Draghi e Scorpioni – Cronache della quarta era

di Siirist
(/viewuser.php?uid=9216)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** UN BEL REGALO DI COMPLEANNO ***
Capitolo 3: *** UN MISTERIOSO POTERE ***
Capitolo 4: *** IL RICHIAMO DEL SANGUE ***
Capitolo 5: *** ESSERE CAVALIERE ***
Capitolo 6: *** KVATCH ***
Capitolo 7: *** IL PASSATO DI EVENDIL ***
Capitolo 8: *** VERSO ANVIL ***
Capitolo 9: *** LA CITTÀ PORTUARIA ***
Capitolo 10: *** IL SEGRETO DEL CONTE ***
Capitolo 11: *** MEMBRO DELLA GILDA ***
Capitolo 12: *** VROENGARD ***
Capitolo 13: *** RORIX ***
Capitolo 14: *** IL DOLOROSO ADDIO ***
Capitolo 15: *** LA PROVA ***
Capitolo 16: *** COMPAGNI PER CINQUE ANNI ***
Capitolo 17: *** LEGAMI POTENTI ***
Capitolo 18: *** CAPODANNO ***
Capitolo 19: *** DIVENTARE CAVALIERE ***
Capitolo 20: *** ELISAR ILYRANA ***
Capitolo 21: *** DICIASSETTE ANNI ***
Capitolo 22: *** CACCIA AL TESORO ***
Capitolo 23: *** LA FINE DELL'ANNO ***
Capitolo 24: *** PRIMO VOLO ***
Capitolo 25: *** AMORE? ***
Capitolo 26: *** OBLIVION ***
Capitolo 27: *** BELEG RUNIA ***
Capitolo 28: *** ZANARKAND ***
Capitolo 29: *** ALBECIUS CORVINUS ***
Capitolo 30: *** LE RELIQUIE DELLA LUCE ***
Capitolo 31: *** LA VOLPE GRIGIA ***
Capitolo 32: *** DRAGHI E SCORPIONI ***
Capitolo 33: *** IL REAME DEI SOGNI ***
Capitolo 34: *** L'ALBA DI CHEYDINHAL ***
Capitolo 35: *** SCELTE DI TESTA, SCELTE DI CUORE ***
Capitolo 36: *** VITTORIA E SCONFITTA ***
Capitolo 37: *** IL MONTE GAGAZET ***
Capitolo 38: *** IL SIGNORE DELLA MONTAGNA ***
Capitolo 39: *** AMORE SOTTO I FUOCHI ***
Capitolo 40: *** IL DEMONE DAI CAPELLI D'ARGENTO ***
Capitolo 41: *** LE ALI DELLA MORTE ***
Capitolo 42: *** LA FURIA DEL CAVALIERE D'INFERNO ***
Capitolo 43: *** SIGILLO DI SANGUE ***
Capitolo 44: *** PARTENZA DA VROENGARD ***
Capitolo 45: *** DA VERO LADRO ***
Capitolo 46: *** FAME ***
Capitolo 47: *** HELLGRIND ***
Capitolo 48: *** LA RISCRITTURA DEI SIGILLI ***
Capitolo 49: *** ESSERE DEMONE ***
Capitolo 50: *** LA GUIDA ***
Capitolo 51: *** TRE SPADE ***
Capitolo 52: *** LA CERIMONIA DI SUCCESSIONE ***
Capitolo 53: *** CAVALIERI ***
Capitolo 54: *** RIVENDELL ***
Capitolo 55: *** PER LE VIE DI ARCADIA ***
Capitolo 56: *** LA CITTÀ PERDUTA ***
Capitolo 57: *** IL VERO NOME ***
Capitolo 58: *** FENICE IN CATENE ***
Capitolo 59: *** LA MITICA FORMULA ***
Capitolo 60: *** LA TOMBA DEL CAVALIERE ***
Capitolo 61: *** UN MOMENTO INFINITO ***
Capitolo 62: *** IL CIMITERO DEGLI INFERNO ***
Capitolo 63: *** AGAR HYANDA ***
Capitolo 64: *** LA RIBELLIONE ***
Capitolo 65: *** TRA LE SABBIE DI DALMASCA ***
Capitolo 66: *** LA FORESTA PROIBITA E GLI SPIRITI DEL MARMO ***
Capitolo 67: *** IL POPOLO DELLA PIETRA ***
Capitolo 68: *** IL DISONORATO ***
Capitolo 69: *** IL GUANTO D'ACCIAIO ***
Capitolo 70: *** PER INCORONARE UN RE ***
Capitolo 71: *** LE VIE PROFONDE ***
Capitolo 72: *** LA DANZA DEL SANGUE ***
Capitolo 73: *** LO SPETTRO DI CORVINUS ***
Capitolo 74: *** IL DOMATORE DI SERPENTI ***
Capitolo 75: *** L'ALBERO FANTASMA ***
Capitolo 76: *** ASILO POLITICO ***
Capitolo 77: *** ADDIO AI MONTI ***
Capitolo 78: *** APPRODO A IVALICE ***
Capitolo 79: *** FRATELLO DEGLI ORCHI ***
Capitolo 80: *** IL FABBRICANTE DI MATERIA ***
Capitolo 81: *** PISTOLERO ***
Capitolo 82: *** ZANMATO ***
Capitolo 83: *** GUARDIANO DEL SALVATORE ***
Capitolo 84: *** IL DESTINO DELL'IMPERATORE ***
Capitolo 85: *** RITORNO A VROENGARD ***
Capitolo 86: *** L'EPURAZIONE ***
Capitolo 87: *** SCONTRO MENTALE ***
Capitolo 88: *** FUOCO E VENTO ***
Capitolo 89: *** DRAGHI CONTRO SCORPIONI ***
Capitolo 90: *** GELIDA FURIA ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


PROLOGO

PROLOGO

 

Era una fresca sera di fine maggio, la brezza gentile accarezzava tutto ciò che toccava e l’aria di primavera, carica più che mai dei dolci aromi dei fiori, stava man mano venendo sostituita dalla calura estiva. Ma ancora non era arrivata l’estate, dunque riposare all’aria aperta era ancora piacevole. Inoltre come era soffice l’erba del campo. Come si poteva rifiutare il suo invito, quando la si calpestava e se ne sentiva la morbidezza sotto gli stivali? Semplice, non si poteva. E allora perché Siirist avrebbe dovuto? Perché doveva badare alle viti di suo padre, nel loro campo fuori da Skingrad? Forse perché, come gli ricordava sempre il suo vecchio, un giorno quelle preziose piante avrebbero contribuito ad arricchire anche lui, come avevano già fatto alla famiglia Ryfon da cinque generazioni. Accidenti che grande ricchezza! Non era che una goccia nel mare se paragonata a quella che possedeva la casata dei Ryfon oltre mille anni prima, quando era ancora un’aristocratica famiglia elfica. Siirist lo aveva scoperto appena un anno prima, quando, intento a studiare la storia dei Cavalieri dei draghi, lesse la storia di un Cavaliere considerato una leggenda all’interno dell’Ordine, sia perché aveva sconfitto da solo dieci demoni alati, sia perché il suo compagno era un drago Inferno, ritenuta la razza di drago alato più forte in assoluto, il quale si chiamava Eleril Ryfon. Così, incuriosito, Siirist ricercò più attentamente notizie riguardanti quel Cavaliere e riuscì a scoprire che il suo pronipote si era innamorato di un’umana e che per stare con lei aveva rinunciato alla sua immortalità, portando in tal modo la casata alla rovina. Dall’unione dei due amanti, poi, discesero persone che sempre meno portavano nelle vene sangue elfico, e con il passare degli anni, i Ryfon, da nobili elfici, divennero agricoltori umani.

Conoscere il passato dei Ryfon, però, non faceva che accrescere il disprezzo che il ragazzo nutriva nei confronti della condizione sua famiglia: detestava la vigna e non la coltivava né la curava mai durante i suoi turni, ma piuttosto dormiva o sognava ad occhi aperti. Sognava di draghi e Cavalieri, di diventarne uno lui stesso, un grande eroe come il suo lontano antenato, e di combattere e sconfiggere i malfattori e salvare belle fanciulle. Ma solo i nobili umani potevano fare la Prova per far schiudere un uovo di drago e divenire Cavalieri. E lui non era affatto nobile, nonostante in leggero e quasi impercettibile residuo di sangue elfico nelle vene.

Il sole stava oramai tramontando, così Siirist decise che poteva anche smettere di “lavorare” e tornare a casa. Si alzò, si pulì la veste dall’erba e si incamminò verso il portone della città. Le guardie lo salutarono e lui, cortese, ricambiò, per poi incamminarsi verso l’abitazione/cantina Ryfon.

Ma come ogni sera, fece una sosta all’armeria di Hans. Entrando salutò il fabbro e lo ammirò mentre lucidava ed affilava una delle spade in vendita. Quelle di Hans erano le migliori armi che umano avesse mai forgiato. Egli era entrato nelle pagine di storia per essere riuscito a lavorare il favoloso e misterioso mithril, fino ad allora di dominio esclusivo dei nani.

Ma il genio di Hans non si limitava solo alla lega nanesca. Egli, infatti, aveva creato il Vetro, che nonostante fosse solo una squallida e inferiore imitazione del Cristallo degli elfi, era comunque un eccellente materiale per forgiare armi e armature: leggero, resistente e facile da lavorare. Oltretutto era assai più economico del Cristallo.

Siirist era veramente onorato di essere suo concittadino.

«Vuoi provare tu?» chiese Hans, porgendo la spada a Siirist, impugnandola per la lama.

Il ragazzo la squadrò. Era una spada di semplice ferro, delle più economiche. Rimase un po’ deluso, avrebbe sicuramente preferito anche solo impugnare una spada di Vetro, ma non si lamentò.

Sorridendo ed annuendo, afferrò la spada nella destra e nella sinistra accettò il piccolo diamante sferico per poter affilare la lama.

‹Anche se questa è una banale spada di ferro, Hans mette tutta la cura possibile nel lavorarla. È proprio il migliore!›

Siirist si sedette a terra a gambe incrociate e continuò il lavoro di Hans. Con decisione, ma allo stesso tempo con delicatezza, passò la gemma, stretta nella sinistra, su uno dei lati taglienti della lama, rendendo il filo sempre più letale.

Hans lo guardava orgoglioso: il ragazzo diventava sempre più bravo.

«Allora Hans, come va il tuo perfezionamento del Vetro?»

«Che ti dico, Siirist? Sono sempre allo stesso punto. Non capisco proprio come facciano gli elfi a rendere il Cristallo così perfetto, tanto da non dovere nemmeno affilare le loro lame poiché non perdono il filo! Sono riuscito a ricreare la stessa leggerezza, ma le armi elfiche sono ancora molto più dure. Ieri ho cercato di spezzare uno scudo di Cristallo con una della mia spade di Vetro e, come puoi immaginare, la lama si è scheggiata. Quando prima avevo tagliato in due uno scudo di mithril! Non c’è che dire, gli elfi sono dei veri maestri. Dopotutto sono loro ad armare i Cavalieri! E delle potenze simili devono avere armi sufficientemente robuste! Ho sentito che un Cavaliere è dieci volte più forte di un umano normale!»

«Già, ed un elfo comune è già dieci volte più forte di un umano.» rispose Siirist fermandosi ed alzando la testa e guardare il fabbro, chino sul suo bancone di vendita.

«Quindi un Cavaliere elfo sarebbe cento volte più forte di noi?»

I due si scambiarono un’occhiata quasi preoccupata, ma poi la situazione fu risollevata da Siirist:

«Almeno non dobbiamo preoccuparci dei demoni!»

Entrambi sorrisero, e il ragazzo riprese ad affilare la spada.

«A proposito di demoni, Hans, cosa credi sia migliore per una spada, il Cristallo degli elfi o lo Hellsteel dei demoni?»

«Senza dubbio il Cristallo perché, come ho detto prima, le armi create con esso non perdono il loro filo. Per non parlare della leggerezza, che è più alta nel Cristallo, anche se lo Hellsteel è quasi tre volte più duro e resistente. Comunque non posso esprimermi molto perché non arrivano molti artefatti demoniaci nell’Impero.»

«Vero.» concordò Siirist.

 

Passarono altri dieci minuti, durante i quali il ragazzo terminò di affilare anche l’altro lato della spada.

«Tieni, ho finito. E grazie per avermi fatto provare su un’arma in vendita, è la prima volta! Di solito non ti fidi e me lo fai fare su quelle ancora in lavorazione!» sorrise il giovane.

«Infatti questa non è in vendita! È tua!»

«Come…?»

«Non hai notato? Questa spada è a una mano e mezza, complessivamente lunga 110 cm, di cui 90 sulla lama. Non hai notato che è esattamente identica alla spada che abbiamo iniziato a forgiare insieme la settimana scorsa, in base alle tue caratteristiche fisiche? Infatti è proprio quella spada! Ora potrai esercitarti meglio, non più con quel bastone con cui sei solito menare fendenti all’aria! E tieni anche questo.» concluse, porgendo un fodero per la spada.

Esterrefatto, Siirist accettò ben volentieri l’arma che il fabbro gli aveva appena regalato.

Con un gran sorriso, chinò la testa per salutare e si incamminò verso casa, roteando e rigirando la spada. Ora non la vedeva più come una banale spada di ferro: ora era la sua spada.

Arrivato a casa, il ragazzo corse subito nella sua stanza e nascose la spada sotto al letto.

Allora, in seguito ai richiami della madre, scese a cena.

 

La mattina dopo Siirist fu destato dalla sveglia sul comodino, che era stata regolata per le sette. Svelto, il ragazzo scese dal letto e andò al pianterreno per far colazione. Era solo, poiché i genitori erano entrambi alla vigna già da un’ora, ma questo era esattamente il motivo per cui il giovane, nonostante avesse potuto tranquillamente rimanere a dormire fino a tardi poiché non doveva occuparsi della vigna, si era svegliato presto: casa libera. Siirist sarebbe stato in pace fino alle due e avrebbe potuto fare ciò che voleva indisturbato.

Come prima cosa andò in bagno a farsi una doccia, per poi andare in camera e vestirsi. Subito dopo uscì, diretto alla piazza centrale della città, dove sorgevano la scuola, frequentata dai sei anni fino ai dieci, ed il tempio della dea Deraia, dea dell’amore e degli inganni. Fra tutte le divinità venerate all’interno dell’intero continente, ella era quella che meno piaceva a Siirist, poiché era nota essere scaltra e furba e dotata di poco senso dell’umorismo, in quanto il suo divertimento più grande era fare innamorare gli uomini di chi meno avrebbero desiderato e poi divertirsi nel vedere il risultato del suo scherzetto, in quanto spesso portava alla rovina famiglie consolidate e che si amavano.

Siirist giunse alla piazza centrale ed entrò proprio nel tempio, scendendo al seminterrato, dove si trovava la biblioteca. Uno dei sacerdoti si avvicinò al giovane.

«Benvenuto, Siirist. Suppongo tu voglia ancora studiare la storia dell’Ordine dei Cavalieri dei draghi.» sorrise il monaco.

«Non proprio, Bain. Cercavo, piuttosto, qualche informazione riguardante i soli draghi.» rispose gentile il ragazzo.

«Vediamo che si può fare, allora.» annuì Bain.

Questi si diresse verso uno degli scaffali della sezione D contenente numerosi volumi e ne prese uno grosso rilegato di viola. Sulla copertina, a caratteri verdi, vi era scritto: Antiche creature di Gaya.

Sorridendo, Siirist prese il libro e lo portò ad uno dei tavoli, dove lo aprì e cercò il capitolo che trattava dei draghi, per poi iniziare a leggere.

Di tutte le misteriose creature che popolano il nostro mondo, nessuna è più antica e nobile dei draghi. La leggenda vuole che siano stati creati dal dio Hanryu a sua immagine e somiglianza e che inizialmente fossero solo alati. Ma, con l’evoluzione, si distinsero altre due varianti di drago: i serpentiformi e i lucertiformi. Entrambi questi derivati dei draghi alati, però, non possedevano le capacità intellettive degli originali e divennero col tempo dei mostri come qualsiasi altro, anche se considerati i più pericolosi. I serpentiformi, i quali vivono nel mare, sono tutt’ora il più grande timore di ogni navigatore, poiché attaccano senza remora tutte le navi che passano nel loro territorio, mentre i lucertiformi preferiscono rintanarsi in profonde caverne e uscire solo per cacciare. Oggi i lucertiformi sono quasi estinti. Gli stessi draghi alati, legati da oltre un’era ad elfi e umani per costituire l’Ordine dei Cavalieri dei draghi, considerano i loro cugini senza ali delle mere bestie che vanno eliminate, in quanto insultano il nome dei draghi.

Siirist guardò l’ora e si accorse che erano già le nove e mezza per cui, poiché aveva ancora molto da fare, richiuse il libro e lo riconsegnò al monaco bibliotecario, per poi ritornare a casa. Arrivato, corse subito in camera a prendere la sua spada, per poi andare nel cortile dietro casa ad allenarsi. Doveva diventare molto abile se voleva entrare nella Gilda dei Guerrieri. Non era come far parte dei Cavalieri, ma ci andava vicino, infatti il compito della Gilda era comunque di proteggere ed aiutare gli abitanti della città in cui si trovava la sede. Anzi, far parte della Gilda dei Guerrieri sarebbe stato da un lato anche più interessante che essere nell’Ordine, poiché essa era un’organizzazione mercenaria. I vari compiti che le venivano affidati, infatti, erano pagati da un privato che la ingaggiava. E più un membro diventava forte e popolare all’interno della Gilda, più alto diventava il suo compenso. Certo, entrando nella Gilda dei Guerrieri Siirist perdeva la possibilità di studiare ciò che più lo affascinava, cioè le arti mistiche. Ma esse erano prerogativa dell’Università Arcana e della sua Gilda dei Mistici, ed essa, come l’Ordine dei Cavalieri, era al servizio dell’Impero, per cui il lato interessante degli ingaggi non c’era. E poi era raro diventare un mistico da battaglia, sia perché chi ricopriva tale rango era eccezionalmente potente, sia perché era difficile che intervenissero, per cui la maggior parte degli appartenenti alla Gilda dei Mistici era uno studioso.

Immerso nei suoi pensieri circa il suo futuro, Siirist aveva già fatto il suo riscaldamento ed aveva già impugnato la sua arma. Inizialmente la brandì casualmente, giusto per avere coscienza della differenza di peso e di bilanciamento rispetto al suo vecchio bastone da allenamento, ma poi, concentratosi, iniziò a ripetere con precisione i movimenti che da mesi eseguiva, anche se con la spada, chiaramente più pesante rispetto al bastone, risultavano essere più difficili. Li aveva imparati osservando la guardia cittadina che si allenava nel cortile della caserma una delle tante volte che vi si era intrufolato. Per prima cosa strinse l’impugnatura con entrambe le mani, la sinistra proprio sotto la guardia crociata, mentre la destra impugnava per metà l’impugnatura e per metà il pomolo. Allora portò l’arma sopra la testa, mentre posizionava il piede mancino più in avanti rispetto all’altro, e menò un fendente. Non appena la punta era arrivata a pochi centimetri dal suolo, Siirist compì una rotazione del busto verso sinistra, cambiando il bilanciamento del corpo con un passo in avanti, e al contempo alzò la spada, posizionandola orizzontalmente all’altezza del petto: in questo modo, seguendo il movimento del corpo, la spada menò un tondo manco. Nel momento in cui ebbe compiuto un giro di 360° e che, quindi, il piede sinistro era nuovamente più avanzato rispetto al destro, e che l’impugnatura della spada si trovava accanto al suo fianco sinistro, la punta rivolta in avanti, lasciò la presa con la destra e, spingendo in avanti il peso del corpo e distendendo il braccio sinistro, eseguì un affondo, subito seguito da un balzo in avanti, che manteneva la stessa posizione di piedi, così da eseguire una stoccata. Come il suo corpo ebbe finito di muoversi, Siirist fece compiere al braccio sinistro un semicerchio verso sinistra, sollevando la spada oltre la testa per poi portarla a raso terra. Da lì, subito, eseguì un sottano manco, per poi tracciare un secondo semicerchio, ma stavolta verso destra, per compiere un sottano dritto. Come il braccio sinistro si trovò rivolto verso l’alto in diagonale, lo portò all’indietro piegando il braccio, rivolgendo così la punta della spada in avanti, e lo distese di scatto, compiendo un secondo affondo.

Dopo mezz’ora di movimenti simili, Siirist passò la spada nella destra e continuò ad allenarsi, cercando di diventare ambidestro. Ma dopo dieci minuti, sia per la poca flessibilità che aveva con la destra, sia perché non era abituato al nuovo peso dell’arma, essa gli scivolò dalle mani mentre menava un fendente, e l’arma gli cadde sul ginocchio destro, più in avanti rispetto alla gamba sinistra e piegato, ferendolo.

Con un grido strozzato Siirist cadde a terra, grido lanciato più per lo shock che per il dolore, poiché la ferita era più una sbucciatura che altro. Niente di grave, dunque, però bruciava, anche se era sopportabile. La cosa importante in quel momento era nascondere le prove ed impedire che i signori Ryfon si accorgessero di niente. Il ragazzo strappò la manica destra della sua tunica e la usò per tamponare la ferita, legando l’improvvisata garza attorno al ginocchio. Ma essa, per la posizione, gli dava noia mentre camminava, così il giovane si diresse in bagno, dove riempì la vasca da bagno e si spogliò. Allora infilò la gamba destra nella vasca e lavò delicatamente la ferita, stringendo i denti per il bruciore. Quando ebbe finito di disinfettare il taglio, poi, aprì l’armadietto del pronto soccorso e prese delle vere garze, con cui si bendò accuratamente la parte interessata.

Dopo che ebbe stretto l’ultimo nodo, Siirist si sbilanciò sulla gamba sinistra e sollevò da terra la destra, così da piegarla e distenderla ripetutamente. Il movimento gli procurava un forte bruciore, ma non aveva alcun problema motorio, e l’importante era quello.

Quando ebbe finito con il bagno, lo lavò per eliminare ogni traccia di sangue e buttò via la tunica ed i calzoni che aveva indossato per l’allenamento, indossandone degli altri. Dopodichè lavò la lama della spada, la rinfoderò e la nascose nuovamente sotto al letto.

Era ormai mezzogiorno e tutto quel camminare aveva procurato un gran male alla gamba infortunata di Siirist che, quindi, già che era in camera, decise di stendersi sul letto. Eventualmente si addormentò.

 

Erano le due pomeridiane e i signori Ryfon, sudati per aver lavorato nella vigna, ritornarono a casa. Stranamente non trovarono loro figlio in cucina a preparare il pranzo, e nemmeno la tavola era pronta. Meravigliati, dunque, si diressero in camera sua e lo trovarono a letto ancora addormentato.

«Certo che abbiamo un figlio proprio dormiglione!» sorrisero i Ryfon.

 

Siirist fu svegliato mezz’ora dopo dal padre che lo era venuto a chiamare per il pranzo.

Mentre erano a tavola, i tre chiacchierarono della mattinata, ridendo di quanto avesse dormito Siirist, il quale, non riuscendo a credere di aver trovato un alibi così efficace così facilmente, reggeva il gioco con piacere.

 

Passarono all’incirca due mesi e si arrivò così alla mattina del tre luglio. Era molto presto, tanto che il cielo era ancora blu scuro e solo in quel momento iniziava lievemente a schiarire. Un maestoso stallone bianco giunse nei pressi di Skingrad, e seduto su una regale sella, fatta con il cuoio più pregiato ed intarsiata d’oro, stava un uomo alto, dai lineamenti delicati e bellissimi, la pelle chiara e la fronte pulita. Era vestito con una tunica di seta verde brillante, sopra a dei calzoni, anch’essi di seta, di un verde foresta, e ai piedi degli stivali marrone scuro, quasi nero, di cuoio lavorato. I lunghi capelli castano chiaro si intonavano perfettamente con gli abiti e lo facevano sembrare un tutt’uno con la foresta che si apprestava a lasciare. Solo il cavallo lo faceva sembrare fuori posto, con quel suo colorito candido.

«Bene, siamo arrivati.»

Sorrise e nello stesso momento si grattò dietro l’orecchio destro. Così facendo spostò i capelli e rivelò un orecchio a punta.

 

 

~

 

 

Note importanti:

 

1)    Come leggere la storia: i dialoghi sono contenuti fra «», i pensieri tra ‹›, la lingua degli elfi (e della magia) è indicata in verde, la lingua dei demoni in rosso, la lingua dei nani in blu.

 

2)    Per descrivere i colpi con la spada è stata adottata la terminologia della scherma bolognese rinascimentale. La descrizione dettagliata dei vari colpi può essere trovata al seguente indirizzo: http://it.wikipedia.org/wiki/Spada_bastarda

 

3)    L’elfico è la lingua della magia, per cui sarà ampliamente utilizzato quando appariranno gli incantesimi. Esso può essere scritto come normale italiano ma con i caratteri in verde (vedi nota 1), ma spesso compariranno proprio le parole in elfico, ed esse saranno tratte dal seguente sito: http://www.grey-company.org/Language/Files/elven.pdf. Nel caso non vi fossero presenti delle parole di cui ho bisogno, sarò io stesso ad inventarle.

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola UN BEL REGALO DI COMPLEANNO

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** UN BEL REGALO DI COMPLEANNO ***


UN BEL REGALO DI COMPLEANNO

UN BEL REGALO DI COMPLEANNO

 

Era il 20 giugno e Siirist si svegliò alle sette. Come ebbe aperto gli occhi, si portò le mani al viso per stropicciarli, subito dopo aver emesso un sonoro sbadiglio. Subito dopo si stiracchiò per poi saltare giù dal letto. Fece un po’ di stretching a braccia e gambe e qualche flessione, per poi scendere in cucina a mangiare. Lì trovò la madre, stupita di vederlo già alzato.

«Perché sei già sveglio? Il tuo turno inizia alle tre.»

«Ho un po’ di cose da fare prima.» spiegò il figlio, ma rimanendo sempre sul vago.

Finito di mangiare, Siirist andò in bagno a farsi la doccia e lavarsi i denti, ma come ebbe finito la seconda operazione, stette un po’ di tempo a guardarsi allo specchio. Aveva capelli biondi lunghi fino a metà collo, scompigliati e nonostante tutto ordinati. La tonalità di biondo variava dalla radice fino alla punta: quasi castano in cima, dorato in fondo. La sua carnagione era leggermente più scura e questo faceva sì che i suoi occhi di un azzurro limpido risaltassero di più, come due turchesi splendenti. Ma la caratteristica dei suoi occhi che più piaceva al ragazzo era il fatto che al sole ottenevano dei riflesse verdognoli. Labbra carnose dal taglio perfetto e naso leggermente schiacciato tra gli occhi e tendente alla punta in fondo; le sopracciglia erano del colore castano della radice dei suoi capelli. Il ragazzo si diede qualche sistemata ai capelli per poi sorridere compiaciuto. Non era uno vanitoso, ma era sempre soddisfatto dell’effetto sulle appartenenti al genere femminile della sua età, spesso anche più grandi di qualche anno.

Uscito dal bagno, Siirist andò in camera e indossò dei calzoni azzurri ed una tunica bianca e celeste. Ai piedi mise degli stivali neri ed uscì tranquillamente di casa, diretto al cortile di una casa nella via opposta alla sua. Entrò di soppiatto e si arrampicò agilmente su per il muro, arrivando su un balcone. Lì c’era una porta a vetri aperta che dava sul bagno, da cui veniva il rumore dell’acqua che scroscia.

‹Puntuale come sempre, la signorina.› sorrise.

Siirist attese solo qualche minuto, per poi vedere la porta della doccia aprirsi e da lì uscire una ragazza bellissima. Aveva lunghi capelli neri che le arrivavano quasi al sedere, corporatura slanciata con curve generose, occhi suadenti color nocciola e sorriso stupendo. Questo è ciò che si notava normalmente di lei, Keira, vent’anni, una delle ragazze più belle della città, ma in quel frangente era diverso: era totalmente bagnata e le gocce le scivolavano lungo la pancia e le finivano in mezzo alle gambe. Grazie al balsamo e alla schiuma appena messi emanava un gradevole profumo di pesca che inebriava le narici di un soddisfatto, ancora solo per la vista, Siirist.

«Vedo che fai sempre la doccia fredda.» commentò il ragazzo, osservando i capezzoli turgidi.

Inizialmente lei si spaventò, ma poi si accorse chi era il ragazzo appollaiato sul balcone, per cui si calmò.

«Certo, fa bene alla pelle. Ti vuoi accomodare?» domandò con tono suadente.

«Perché sarei qui, se no?» chiese retoricamente Siirist, entrando nel bagno e sollevandosi la tunica.

 

Sorridendo soddisfatto, Siirist si diresse da Hans, le mani nelle tasche dei calzoni.

«Ciao! Dove sono le armi da consegnare?» domandò entrando nell’armeria.

«Oh, ciao, Siirist! Sono queste qui. Grazie mille, davvero.» rispose il fabbro.

«No, figurati!»

Siirist osservò le armi: erano una spada ad una mano e mezza ed un pugnale di Vetro. Il ragazzo fu molto colpito dagli oggetti.

«E pensare che questa sarebbe perfetta per me.» commentò sguainando la spada.

«Sì, è vero. Forse quando entrerai nella Gilda dei Guerrieri te ne regalerò una!» sorrise Hans.

«Oh, grazie!» rise Siirist.

Il giorno prima Hans aveva chiesto a Siirist se poteva consegnare alcune armi alla casa dei Vaan, la più importante famiglia della città. Essi possedevano tutte le terre fuori da Skingrad, ad eccezione della vigna dei Ryfon ed erano loro a dare lavoro a tutti i contadini della città. Ma erano delle persone snob ed arroganti, sempre arrabbiate perché, nonostante il loro patrimonio che quasi superava quello del conte, l’Imperatore non permetteva loro di entrare a far parte della nobiltà. “E pensare che mio figlio sarebbe un ottimo Cavaliere! Se gli permettessero di tentare la Prova quell’uovo di Inferno si schiuderebbe sicuramente per lui!”: una delle frasi più comuni della signora Vaan. Quando Siirist vide per la prima volta l’erede della famiglia, ripensando alla famosa affermazione della madre, quasi scoppiò a ridere e dovette scappare via per andare a sfogarsi da un’altra parte: egli era alto e gracile come un fuscello, senza un filo di muscolo, aveva i capelli biondo platino tenuti con un’acconciatura ridicola, e aveva sempre e costantemente un sorriso ebete stampato in faccia. Camminava come una checca, ma era sempre circondato dalle ragazze più belle. Ma solo quelle che erano le figlie dei dipendenti dei suoi genitori.

Siirist, intanto, era giunto davanti all’abitazione dei Vaan. Si trovava nella via più ricca di Skingrad ed era costituita da quattro piani. L’esterno era uno dei più sfarzosi che il ragazzo avesse mai visto: interamente in marmi nero e con tre balconi con i parapetti in ferro battuto ed oro. Il primo era lungo quanto l’intera casa e si trovava al primo piano, mentre gli altri due erano uno accanto all’altro al secondo piano, e vi si accedeva da due porte di vetro ciascuno.

è tempo per un sopralluogo.› pensò con un sorriso furbo Siirist.

Bussò sul battente e gli venne aperta la porta pochi secondi dopo dal maggiordomo.

«Buongiorno, desiderate?»

«Una consegna da mastro Yoji.» rispose Siirist.

«Oh sì, certo, accomodatevi.»

Il domestico fece un cenno di invito con la mano e mostrò al ragazzo un divano su cui sedersi.

«Chiamo subito il signore.» e con un inchino si congedò, dirigendosi al secondo piano.

Siirist appoggiò le armi, avvolte in un panno, sul divano, per poi alzarsi. Camminò in giro per la stanza, analizzandola nei minimi dettagli, come poteva fare un ladro prima di un colpo. Ed infatti era proprio così. Per prima cosa andò ad osservare il portone d’ingresso: esso si trovava esattamente al centro della sala dalla forma rettangolare, lunga all’incirca una trentina di metri e larga sulla ventina, ed era protetto da tre serrature a chiave e da un chiavistello a catena. Ciò che caratterizzava quest’ultimo, però, era il fatto che non vi era una semplice scanalatura in cui scorreva il peso e alla cui fine, grazie ad un punto più largo, il peso usciva, ma il tratto di scanalatura era estremamente lungo e contorto, a formare un labirinto. Era tanto lungo che si trovava su una lastra di acciaio rettangolare con i due lati differenti uno di trenta e l’altro di venti centimetri. Il ragazzo era dunque messo in difficoltà da questo chiavistello, e pensò che avrebbe dovuto elaborare un piano più efficace del semplice entra-arraffa-scappa se voleva rapinare villa Vaan. E questo piano avrebbe necessitato di un po’ di tempo per essere preparato, almeno una settimana. Ma nel frattempo Siirist doveva sfruttare tutto il tempo a sua disposizione per esaminare quanto più possibile dell’interno della casa. Al pian terreno, dunque, si trovava un grande salone che ospitava qualche divano, tra cui quello su cui si era seduto Siirist, mobili che reggevano vasi preziosi e, nella parte sinistra, un tavolo intarsiato. Dietro ad esso, sulla parete di fondo, stava una porta. Nella parte destra, invece, si trovavano le scale che conducevano al primo piano. Con noncuranza, Siirist si diresse verso la porta a sinistra e abbassò la maniglia. La porta si aprì senza emettere il minimo cigolio, per la gioia del ragazzo, e dopo averla sfessurata di poco, Siirist guardò dentro, notando che dietro ad essa si trovavano delle scale discendenti. Da sotto proveniva odore di carne lasciata ad essiccare e di bollito.

‹Probabilmente lì sotto si trovano la cucina e la cantina.›

Sentendo passi per le scale provenienti dal piano superiore, Siirist richiuse delicatamente la porta e corse silenzioso come un gatto verso il divano. Ma da lì ricominciò ad osservare il chiavistello del portone, tentando di capirne il percorso.

‹Fortuna che ho una buona vista!› commentò mentalmente: effettivamente era distante di qualche metro dalla porta.

«Finalmente Hans si è ricordato che doveva forgiare le armi per me! Le aspettavo ieri! E tu chi sei? Perché non me le ha portate lui personalmente?»

Il tono altezzoso di Vaan non piaceva affatto a Siirist, ma non commentò. Semplicemente sbuffò silenziosamente, fece una smorfia ed alzò un sopracciglio, per poi girarsi verso il padrone di casa.

«Ah, sei tu, Ryfon…» mormorò ancora Vaan.

A queste parole Siirist non poté che accennare un mezzo sorriso, in quanto era stato speranzoso di suscitare in Vaan una reazione del genere: era noto che tra i Ryfon ed i Vaan non correva buon sangue, poiché erano concorrenti l’uno dell’altro. Ma mentre ai Ryfon non dava fastidio poiché non avevano manie di grandezza, anche se erano più che benestanti, i Vaan miravano ad avere il monopolio dei campi a Skingrad, ma ciò era loro impedito dalla famiglia di Siirist.

«Poiché Hans è un uomo che lavora sodo, a differenza di altra gente che conosco, non ha il tempo di chiudere la bottega per portarvi una spada ed un pugnale, signore. E visto che sono il suo apprendista, ha incaricato me di fare la consegna. E ovviamente di riscuotere.» sorrise con tono di sfida il ragazzo.

«Papino, sono arrivate le mie armi?» si sentì dal piano superiore.

Siirist avrebbe giurato di aver sentito parlare una ragazza. Ma evidentemente si era sbagliato, poiché la voce aveva parlato delle sue armi. Subito dopo, la voce fu seguita dall’arrivo di chi l’aveva emessa: gli occhi di Siirist iniziarono a bagnarsi per le risate, anche se trattenute. A scendere le scale era Hermeppo Vaan, l’erede della famiglia. Indossava una camicia di seta viola sbottonata tanto da far intravedere i pettorali che non aveva, al collo una catena d’oro. I pantaloni, anche essi di seta, erano bianchi e alla vita teneva una fascia di tessuto dorato a mo’ di cintura. Ma la parte migliore era il viso: aveva occhi tondi con ciglia curate, sopracciglia lunghe, un grande mento diviso in due da una fossetta colossale, un sorriso da demente e dei ridicoli capelli a caschetto che gli arrivavano poco sopra le orecchie. E una spada ad una mano e mezza di Vetro, più che perfetta per le caratteristiche di Siirist, doveva andare a quello lì? Siirist era disgustato: cosa potevano fare i soldi. Anche la sua era una famiglia più che agiata, ma mai i suoi genitori si sarebbero sognati di comprargli un’arma del genere inutilmente! Anche perché ignoravano totalmente che Siirist ambiva ad entrare nella Gilda dei Guerrieri. Per quanto riguardava Hermeppo, invece, Siirist aveva sentito dire che il padre era arrivato persino ad offrire del denaro al Maestro della Gilda per farlo entrare. Chiaramente quello non lo aveva nemmeno degnato di risposta e lo aveva fatto rispedire quasi a calci da Chorrol fino a casa.

«Oh, che bello!» esordì con uno dei toni più femminili che Siirist avesse mai sentito Hermeppo, dopo che il padre gli aveva risposto annuendo.

Senza nemmeno calcolare Ryfon, l’ammasso invertebrato corse verso il maggiordomo che, intanto, aveva recuperato i due oggetti di Vetro e li stava porgendo al padrone. Questi afferrò la spada sull’impugnatura e la sguainò così violentemente da far cadere a terra il fodero. Siirist, allibito, stette qualche momento a cercare di capire quale movimento avesse compiuto la nullità per far cadere il fodero. Ma forse, per quanto era stupido, anche la fisica aveva capito che era inutile contrastarlo e si era inginocchiata a lui, accondiscendente. *

Subito dopo, Hermeppo iniziò a menare l’arma nell’aria, quasi decapitando il domestico. In quel momento scese anche la madre e si mise a saltellare eccitata, sorridendo e battendo le mani, mentre suo marito sorrideva soddisfatto. Siirist li guardò con lo sguardo più meravigliato che i suoi muscoli facciali gli permettevano di eseguire.

‹Ma sono cretini? Come fanno a complimentarlo, è un incapace!›

In quel momento l’arma volò via dalla presa molto salda del sicuro futuro Maestro della Gilda dei Guerrieri. Ma forse era un bene per Siirist che Hermeppo avesse messo su uno spettacolo così esilarante, almeno avrebbe avuto un po’ di tempo per realizzare che insulto fosse per tutti gli spadaccini che un demente del genere possedesse una spada di Vetro, e non sarebbe andato, indignato, a strappargliela di mano. O piuttosto a riprenderla dal pavimento, poiché era già riuscito a perderla una seconda volta. Siirist aveva ormai capito quale fosse il destino dell’arma: rovinarsi dopo essere volata via dalle mani da checca del giovane Vaan, forse ferire, se non uccidere, qualcuno, per poi essere riposta per sempre da qualche parte, poiché Hermeppo si sarebbe prima o poi stufato di non riuscire ad impugnarla.

Dopo un po’ che assisteva ad Hermeppo che dava il meglio di sé, cioè che dimostrava ogni secondo di più di essere un completo idiota, Siirist si stufò e si avvicinò al signor Vaan.

«Scusatemi, ma avrei da fare. Potreste gentilmente pagarmi? Sono trentamila guil per la spada e sedicimila per il pugnale.»

Hermeppo interruppe i suoi esercizi e si girò verso Siirist, forse accorgendosi solo in quel momento della sua presenza.

«E lui che ci fa qui?»

«Buongiorno, signor Vaan.» rispose Siirist con un inchino, sfoderando tutta la falsa cortesia che possedeva.

«Oh, buongiorno anche a te, Ryfon.» rispose con un’espressione altezzosa Hermeppo, compiaciuto del fatto che Siirist gli dimostrava il rispetto che si meritava.

‹Non ci credo, ci è cascato.› Siirist era a bocca aperta.

«Ecco qui, ora sparisci, Ryfon.»

Il signor Vaan stava porgendo a Siirist un sacchetto contenente delle monete, che il domestico era andato a prendere. Siirist lo accettò e, dopo aver salutato tutti e aver dato un’ultima occhiata alla sala, se ne andò. Nemmeno ebbe bisogno di controllare il sacchetto dei soldi perché Vaan era un rinomato uomo d’affari, uno onesto stranamente, e non avrebbe mai barato sui soldi. Piuttosto avrebbe dato via suo figlio che non saldare un debito, o meglio incassare un credito.

‹Con un figlio del genere, anche io lo farei, effettivamente. Ora, passando a cose più serie: di quella casa so che al primo piano c’è una porta impossibile da scassinare dall’esterno e difficile da aprire anche dall’interno. Le uniche finestre si trovano in alto, poco sotto il soffitto, e passano fino al primo piano, dove diventano delle porte finestre che danno sul balcone. La cucina si trova nel seminterrato e lì ci deve essere necessariamente un camino, e probabilmente anche una porta secondaria. Va beh, dovrò controllare meglio. Tra poco è il mio compleanno, e se voglio un bel regalo, devo assolutamente entrare in quella casa!›

Riflettendo sulla giusta strategia per svaligiare villa Vaan, Siirist ritornò da Hans, aprendo il sacchetto con il denaro e riversando il suo contenuto sul bancone del fabbro. Tintinnando, uscirono quarantasei monete d’oro. Hans le prese e richiuse al sicuro nella sua cassaforte.

«Bene, e con queste sono a posto per sei mesi!» rise.

«Avresti dovuto vedere quell’ebete di Hermeppo Vaan: ci mancava poco che impugnava la spada sulla lama, per quanto era negato!»

«Non stento a crederci. Sinceramente mi disturba aver dato una delle mie armi migliori, che ho forgiato personalmente, ad un inetto del genere. Ma devo pur vendere il mio Vetro! Non è ancora conosciuto e devo fargli avere più pubblicità possibile.»

«Sì, capisco. Senti, ora devo andare. Ci rivediamo stasera dopo che hai chiuso, ok?»

«Sì, certo. Ciao!»

«Ciao, allora. E prepara un materiale più decente da farmi lavorare del ferro!»

«Vedrò che posso fare.» sorrise Hans.

Siirist, uscito, si diresse a casa di una delle tante ragazze che frequentava, ma una che non avesse legami con Hermeppo, se no lei avrebbe avuto dei problemi. Mentre camminava, ripensò alla “ginnastica” che aveva fatto neanche due ore prima con Keira e a tale ricordo accostò l’immagine, i movimenti e soprattutto la voce non propriamente virili di Hermeppo.

‹Ora capisco perché urla tanto e mi dice sempre che sono un vero uomo.› scosse la testa, sentendo il dolore della ragazza come il suo.

Arrivato davanti ad una casa a due piani, seminterrato e pian terreno, Siirist bussò alla porta e gli aprì una ragazza della sua età, sedici anni. Aveva capelli castani lunghi fino alle spalle, gli occhi verde scuro che marcavano molto il viso altrimenti delicato. Era alta 160 cm e non era particolarmente prosperosa sul seno, anche se il sedere era perfetto.

«Ciao, Siirist! Che piacere vederti!» e li diede un sonoro bacio sulla guancia.

«Sì, infatti. Senti, ti andrebbe di fare un giro?»

«Volentieri! Ma ora? Puoi aspettare qualche minuto, che mi preparo?»

«Sì, certo.»

«Dai, accomodati.»

‹E ma tanto lo so io che vuoi...›

 

Dopo un’oretta Siirist si stava infilando i calzoni, mentre Miya era in bagno a truccarsi.

‹Accidenti a me quando l’ho sedotta la prima volta! È diventata una cannibale da quella volta! Mi ha completamente sfiancato! E pensare che devo essere perfettamente attento nell’ispezione!›

Pochi minuto dopo Siirist fu raggiunto dalla ragazza che lo trovò seduto a gambe incrociate sul letto.

«Oggi mi hai deluso, Siirist.»

«E perché mai?» chiese lui, mentre infilava gli stivali.

«Perché sei durato meno del solito.» aveva il viso corrugato.

«Ma perché volevo uscire il prima possibile a fare una passeggiata in questa magnifica giornata con te, tesoro mio!» rispose lui.

Miya si sciolse subito.

‹E siamo già a due idioti che cadono per le mie false lusinghe nell’arco di un’ora e mezza.›

I due uscirono per strada e Siirist ci mise un po’ a far capire alla sua accompagnatrice che non doveva stargli troppo appiccicata, e che dovevano stare ad almeno venti centimetri di distanza, poiché in pubblico erano semplici amici: erano amanti, mica coppia fissa!

‹Se continua così, questa mi rovina la piazza…›

Arrivarono nei pressi di villa Vaan chiacchierando del più e del meno, salutando chi incontravano per strada. Ma quando i due iniziarono a girare intorno all’obiettivo del prossimo colpo di Siirist, le parole iniziarono ad uscirgli dalla bocca senza che nemmeno le pensava e neanche si accorgeva di quello che diceva lei. Questa era una tecnica che aveva messo a punto dopo quasi un anno che si frequentavano. Di solito rifletteva su come impiegare il tempo durante i suoi turni alla vigna, oppure alle conversazioni più interessanti che avrebbe intrattenuto con le ragazze con cui si sarebbe visto successivamente, di solito Keira, oppure al tipo di allenamento che avrebbe seguito più avanti nella giornata. In quel momento, però, aveva una cosa della massima importanza da fare: studiare nei minimi dettagli villa Vaan.

Proprio dietro all’edificio vide il comignolo di un camino uscire dal terreno, arrivando ad un’altezza di tre metri. Era decisamente alto per arrivarvi, ma fortunatamente cresceva una pianta di rampicanti attorno ad esso. Con noncuranza e dandosi un’aria da fico, Siirist  li strattonò leggermente per poi salirvici sopra per mezzo metro, come per mettersi in posa. Miya era estasiata. Siirist voleva solo tornare a casa e non vedere più la ragazza per almeno una settimana.

Terminato il giro di ricognizione, Siirist riaccompagnò la ragazza a casa per il pranzo, per poi tornare alla propria abitazione. Quando entrò vide sua madre sorridere di pura gioia.

«Ti ho visto in giro con Miya…» iniziò con il tono di chi la sa lunga.

«No, no, e ancora no! Non cominciare!» si preoccupò Siirist.

«è molto carina!» sorrise la donna.

«No, lascia perdere e basta! Chiamami quando è pronto!» e corse in camera.

Felice per essere scampato ad un interrogatorio, inutile oltretutto, poiché con Miya non c’era niente se non puro sesso, si sedette alla scrivania.

‹La Triade me ne scampi!› l’idea di una relazione con Miya gli dava tanto i brividi da portarlo ad appellarsi agli dei.

Dopo aver riordinato le idee, Siirist prese carta e penna ed iniziò scrivere il necessario per il piano: forcina, piede di porco, manganello, corda. I primi tre erano oggetti che si portava dietro durante ogni rapina, mentre la corda era la prima volta che la considerava, poiché gli sarebbe servita per uscire dal camino.

‹Però devo ancora controllare se la cappa è abbastanza larga da farmi passare. Da fuori sembra di sì, ma devo dare un’occhiata più da vicino.› e così tracciò un punto interrogativo sul foglio accanto a “corda”.

Subito dopo iniziò a pensare a come poter portare il suo bottino al suo rifugio segreto, oltre le mura della città.

‹Bene, ho trovato cosa fare quando sarò fuori alla vigna: ispezionare l’esterno delle mura!›

 

Arrivarono le tre e Siirist uscì dal cancello nord, trovandosi così subito nelle terre di sua proprietà, dove cresceva la vigna da cui veniva prodotto il vino Surrille. Per prima cosa si nascose dalla vista delle guardie andando dietro un capannone dove si tenevano gli arnesi necessari per la coltivazione, dopodichè si addentrò più nel bosco, per poi ritornare verso le mura. Fece tutto il giro del perimetro, ma non trovò alcuna apertura, se non i due cancelli. Allora rifece nuovamente il giro, cercando il punto dove le mura erano meno alte e lo trovò. Ripensando a come fosse strutturata la città all’interno, poi, capì che in quel punto si trovava una piazzetta con un uomo a cavallo, il primo conte di Skingrad.

è deciso, scalerò le mura da lì.›

Ma per prima cosa doveva andare a vedere se possedeva gli attrezzi necessari per la riuscita del piano appena elaborato. Per cui si addentrò nel bosco fino a che non trovò un ammasso di rocce coperte da dell’edera. Siirist la scostò e rivelò un’apertura, oltre la quale iniziava una discesa. Allora entrò nella grotta e percorse il primo tratto al buio, seguendo il percorso tenendo la mano destra accostata alla parete di terra e roccia. Alla prima deviazione, la sua mano toccò una lanterna, che accese subito. Bene, finalmente un po’ di luce. Grazie all’illuminazione che gli dava l’oggetto appena preso, Siirist continuò a scendere sempre più in profondità. Qua e là c’erano travi di legno che reggevano il soffitto e ne controllò un dato numero, verificando che non fossero marce. Solo una non superò l’esame, per cui il ragazzo si segnò nella mente che doveva sostituirla. Arrivato in fondo al cunicolo, si ritrovò in una modesta sala naturale, la quale era stata arredata con numerosi cuscini, qualche tavolo e sedia e credenza, oltre che con un saccone da pugilato ed una rastrelliera che reggeva armi di poco valore, rubate durante le incursioni di Siirist nella varie abitazioni. In più era stata rinforzata con altre travi. E così Siirist era nel suo rifugio segreto. Subito si diresse verso una delle credenze e la aprì, per poi analizzarne il contenuto: aveva tre corde di diverse misure, la più lunga di 20 m, e alcuni rampini da varia forma. Scelse quello che terminava su due uncini e legò stretta la corda attorno all’anello del rampino, opposto agli uncini. Quando ebbe finito, ricoprì il rampino di una stoffa imbottita, così che non facesse rumore quando lo avesse lanciato. Ora si poneva il problema più grande, oltre che dover controllare se il camino era abbastanza largo per permettergli di passare, quello per cui aveva sempre la maggior difficoltà a trovare la soluzione: l’illuminazione.

‹Allora, le vetrate delle finestre sono sufficientemente grandi per permettere alla luce dei lampioni di penetrare nella casa. Il problema più grande, dunque, sarà farmi strada nel seminterrato. Sarà completamente al buio e probabilmente non potrò utilizzare una lanterna o quant’altro perché lì si troveranno probabilmente anche gli alloggi della servitù. Devo riuscire in qualche modo a ritornare in quella casa per esplorarla con più calma, e solo dopo potrò elaborare un piano veramente efficace. Ma come faccio ad entrare? Non sono certo il benvenuto lì dentro! Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima!› Siirist si colpì in fronte dandosi dell’idiota: era così facile, bastava farsi invitare!

Finito di approntare gli oggetti necessari per la missione, Siirist ripercorse i suoi passi, lasciando la lanterna dove l’aveva trovata, e ritornò all’aria aperta.

‹Intanto prendo un po’ il sole alla vigna, dopodichè torno a casa, mangio, aspetto che faccia buio per poi andare a controllare la grandezza del camino. E poi da Keira.›

 

Erano le due di notte e Siirist, vestito completamente di nero, con tanto di cappuccio, uscì dalla finestra di camera sua e salì sul tetto di casa. Da lì, acquattandosi ogni qualvolta sentisse passare una guardia per la strada, corse per i tetti di tutti gli edifici. Era proprio una fortuna che Skingrad fosse stata costruita così, con tutte le case una accanto all’altra! Mentre era diretto a villa Vaan, Siirist passò vicino a casa di Keira, per cui decise di invertire l’ordine degli impegni che si era prefissato. Ma purtroppo la ragazza abitava dall’altra parte della strada, per cui Siirist sarebbe dovuto scendere a terra. Aspettò che non ci fossero guardie nelle vicinanze, dopodichè scese agilmente a terra, con la stessa semplicità che poteva avere una scimmia nello scendere da un albero. Si trattava di anni di furti per tutta la città, tanto che per tutta Skingrad si era sparsa la voce che era lì giunta la Gilda dei Ladri.

‹Se non mi prendono alla Gilda dei Guerrieri, dovrei provare con i Ladri! Sempre che esista davvero una loro gilda e che non sia solo una leggenda.›

Arrivato dietro alla casa di Keira, proprio sotto alla finestra di camera sua al secondo piano, Siirist incominciò ad arrampicarsi su per il muro, sfruttando principalmente la grondaia, ma anche i vari appigli, se pur quasi inesistenti, formati dai mattoni: ci era voluta molta pratica prima che Siirist riuscisse a sfruttarli. Arrivato alla finestra, purtroppo priva i balcone, Siirist, reggendosi con le mani al tetto che sporgeva, busso lievemente sul vetro con il piede. Ci volle qualche minuto prima che la ragazza lo sentisse, ma poi gli andò subito ad aprire.

«Ma chi si vede! La Volpe Grigia!» scherzò lei, chiamando Siirist con il nome del fantomatico capo della Gilda dei Ladri: lei era l’unica in assoluto a conoscere il segreto del ragazzo.

Il ragazzo ridacchiò.

«Mi serve una mano.»

«No, sai che non potrai più nascondere la tua refurtiva da me. L’ultima volta mi hanno quasi beccata con quelle monete d’argento che hai lasciato qui!»

«Sì, lo so. Credimi, se potessi ancora usare casa tua come rifugio temporaneo mi risparmieresti molta fatica per il colpo che sto per fare. E poi non mi è parso che tu abbia tanto disdegnato la gonna che ti ho regalato!»

«Sono una donna, dopotutto.» sospirò lei.

«Sì, lo so bene. Ora ascoltami bene, mi serve che mi organizzi un incontro.»

E Siirist spiegò tutto il suo piano.

«Mi prendi in giro.» rimase a bocca aperta Keira.

«Mai stato più serio.» sorrise divertito lui, con aria furba.

«Non è da te, di solito ti piacciono le sfide. Prendere in giro quello lì, invece, è una stronzata!»

«Sì, ho già avuto modo di testare la spiccata intelligenza mancante.»

«Ecco perché oggi eri in giro di Miya nei pressi di villa Vaan. Immagino che tu abbia ingannato pure lei, vero? Sei proprio uno stronzo, abusare così della gente poco intelligente.»

«Si chiama legge del più forte. E cos’è quel tono nella tua voce? Gelosia, forse…?»

«Assolutamente no. Io e te siamo solo amici. Se trovassi una ragazza sarei solo felice per te.»

«Amici di sesso, vorrai dire.»

«Ti prego, ne ho bisogno! Dopo quello che passo con Hermeppo!»

«Sì, lo so.» rise Siirist.

«Amici per sempre.» sorrise dolce Keira.

«Amici per sempre.» rispose lui.

Con un abbraccio i due si congedarono, d’accordo per vedersi l’indomani alla statua del primo conte, e Siirist si diresse silenzioso come una tigre a caccia, scivolando come un’ombra tra i vicoli. Arrivato a villa Vaan andò immediatamente verso il camino della cucina, arrampicandosi su per la rampicante. Felicemente poté constatare che essa reggeva fino in cima. Ma arrivato lì, fu come colpito da un fulmine: nonostante, grazie ad una piccola lanterna che illuminava la cappa, essa fosse più che sufficiente per permettergli di entrare ed eventualmente anche uscire, era bloccata da una pesante grata.

‹Devo assolutamente riuscire a rimuoverla.›

Senza perdersi d’animo, il ragazzo iniziò subito a cercare leviti della grata, perché dovevano necessariamente esserci: non le trovò. Siirist iniziava a preoccuparsi: il suo brillante piano rischiava di finire alla malora.

Imponendosi di stare tranquillo e di rifletterci su meglio, ritornò a casa. Intanto il giorno dopo si sarebbe visto con Keira ed il suo piano avrebbe progredito. Poi, nel caso non avesse trovato un modo per rimuovere la grata, avrebbe trovato un’altra soluzione. Niente poteva fermarlo.

 

L’indomani Siirist uscì per l’appuntamento con Keira, indossando tunica e calzoni verde oliva e degli stivaletti beige. Quando raggiunse l’amica alla piazzetta dedicata al conte, la trovò in compagnia di altre undici ragazze, con cui non era andato a letto sono con due di esse, e, in mezzo a tutte, lui: Hermeppo Vaan. Alla cintola teneva il suo nuovo pugnale di Vetro e si dava arie da duro. Siirist era sempre più perplesso.

‹Nonostante cerchi di sembrare un macho, a me ricorda sempre una gallinella strozzata.›

«Ryfon! Che ci fai qui? Vuoi combattere?» si vantò ancora la cornacchia gracchiante.

Siirist si limitò a guardarlo stupito, sollevando un sopracciglio. Le ragazze ridacchiarono impercettibilmente, e tutte quelle che erano amanti lo salutarono con un movimento della mano alle spalle di Hermeppo. Tranne Keira, che si stava preparando a godersi la scena.

‹Sto per umiliarmi, ne sono cosciente, ma devo farlo.› Siirist deglutì amaramente.

Corse verso Hermeppo con un’espressione di ammirazione e si inginocchiò a lui.

«Grande Vaan, non mi ero mai reso conto di quanto tu fossi straordinario! Ma ieri, a casa tua, dopo che ho assistito alla tua maestria con la spada, non ho potuto che pensare a te! Ti prego, insegnami! Anche io sogno di entrare nella Gilda dei Guerrieri! E se entreremo insieme sarò il tuo fedele servitore!»

Tutti i presenti, a parte Keira ovviamente, rimasero stupefatti, Hermeppo in primis.

«Da-davvero…?» non credeva alle sue orecchie.

Anche le amanti di Siirist non riuscivano a crederci: il loro uomo, sempre così sicuro di sé, che si prostrava in quel modo a quello smidollato di Hermeppo? Alcune pensarono che non sarebbero più andate a letto con Siirist, altre, quelle che lo conoscevano meglio, erano invece sicure che stesse tramando qualcosa. Non che sospettassero nemmeno lontanamente che fosse lui il fantomatico ladro che rapinava le case di Skingrad! Keira a stento tratteneva le risate. Siirist a stento tratteneva un conato di vomito.

‹Non riesco a credere di averlo fatto davvero…› era disgustato di sé stesso.

«Ah, beh… ma certo! È naturale che tu sia rimasto colpito dal mio talento! – e scoppiò in una fragorosa risata – Non lo sai? Io diventerò il Mastro della Gilda dei Guerrieri! Guarda, al momento sono impegnato, però puoi passare a casa più tardi verso le sei. Vedrò di darti qualche dritta.» disse con aria superiore.

è fatta!› con la testa china, così che nessuno lo potesse vedere, Siirist sorrise.

Era un sorriso sinistro, tanto che pure gli occhi gli si illuminarono di una luce contorta.

«Grazie! Infinitamente grazie!» esclamò alzando di scatto la testa, dopo aver trasformato la sua espressione: aveva ora un’aria di devozione senza limite.

Finita la patetica scenetta, Siirist si alzò, si inchinò per un’ultima volta ad Hermeppo, per poi ritornare a casa.

‹Avrò sicuramente perso qualche amante, ma peggio per loro. A me nemmeno importa particolarmente di loro, sono solo un passatempo per quando non ho nulla da fare.›

Tornato a casa, Siirist fece un po’ di ginnastica: allungamenti, flessioni, trazioni, addominali e quant’altro. Dopodichè andò da Hans.

«Oh, finalmente sei qui! Devo andare a forgiare un’ascia e mi ci vorrà un’oretta. Non è che potresti tenere d’occhio il negozio, intanto?»

«E se tenessi tu d’occhio il negozio mentre io forgio l’ascia?»

«Ma non credo proprio! E poi non ti ho mai nemmeno insegnato a forgiare un’ascia!»

«Ah già, hai ragione. V beh, facciamo come dici tu, allora.»

«Chiaro, sono io il capo!»

«Ma se nemmeno mi paghi!»

«Sei un commesso o il mio apprendista? O meglio mezzo apprendista, visto che vai e vieni come ti pare.»

«Sì, ho capito.»

«Bravo.»

E Hans si ritirò nel seminterrato da cui, una decina di minuti dopo, arrivò sempre più forte il suono del martello che batteva sul metallo.

Fu allora che entrò un cliente. Non era sicuramente uno di Skingrad, poiché Siirist non lo aveva mai visto.

«Buonasera sera. Mastro Hans è fuori?»

«No, signore, è di sotto a forgiare un’ascia. Se desiderate compare qualcosa, sono al suo servizio.»

«Effettivamente sì, avrei bisogno di una lancia.»

«Ma certo, sono tutti lì esposti. Scegliete pure quella che vuole.»

L’uomo si avvicinò allo scaffale delle lance e ne impugnò diverse, saggiandole con il semplice tocco della mano. Sembrava molto esperto di quel tipo di arma. Ma improvvisamente compì un movimento che fece scattare Siirist. L’uomo stava per correre via dall’armeria senza pagare! Allora il ragazzo afferrò un pugnale e lo lanciò contro la gamba dello sconosciuto, facendolo cadere in avanti. Ma quello si riprese e scagliò la lancia verso Siirist, che però si era abbassato: l’arma si conficcò nella parete dietro al bancone. Allora Siirist si munì di una spada di acciaio orchesco ad una mano e di un altro pugnale, per poi saltare fuori dal bancone e lanciare il pugnale, questa volta diretto al braccio destro dell’avversario. Ma sbagliò. Sia perché aveva lanciato l’arma con la destra, sia perché era un bersaglio difficile, ed il pugnale mancò l’uomo di una ventina di centimetri ed andò a rompere una delle finestre del negozio.

‹Merda!›

L’uomo, intanto, aveva estratto il primo pugnale dalla gamba e si era preparato a lanciarlo contro il ragazzo, quando irruppero le guardie.

«Fermo lì! Getta a terra il pugnale o sei morto!»

Con le punte delle spade delle guardie a poca distanza dal collo, lo sconosciuto lasciò cadere a terra il pugnale. Mentre una della guardie lo portò via dopo avergli ammanettato le mani, l’altra si avvicinò a Siirist per assicurarsi se stesse bene e per sapere cosa fosse accaduto.

«è entrato affermando di voler comprare una lancia, ma poi ha cercato di fuggire senza pagare. Poiché non è uno di Skingrad ho immaginato che fosse un ladro venuto da fuori o qualcosa del genere, per cui gli ho lanciato un pugnale nella gamba per fermarlo. Ma poi mi ha scagliato contro la lancia, – e indicò l’arma conficcata nel muro – che fortunatamente sono riuscito ad evitare. Allora gli sono andato in contro con questa spada ed un altro pugnale, ma la seconda volta non l’ho colpito e il pugnale è finito per strada.»

«E direi che è stata una fortuna, visto che ci ha attirati! Bravo, Siirist.»

«Ma chi era?»

«Un bandito ricercato. Abbiamo arrestato la sua banda ma lui ci è sfuggito. Non riesco proprio a capire come abbia fatto ad entrare in città senza che ce ne accorgessimo.»

A Siirist venne un’idea improvvisa.

«E ora dove lo porterete?»

«Alla prigione cittadina, naturalmente. Poi contatteremo Imperia e ci faremo mandare un carro blindato per portarlo alla grande prigione di Cyrodiil. »

«Bene, mi sento più al sicuro sapendo che è in mano vostra.»

«Dovere!» rispose la guardia, per poi andarsene.

‹Perfetto! Questa è la mia occasione!› e l’espressione di Siirist era nuovamente come quando aveva la testa china davanti ad Hermeppo.

L’unico problema era che la prigione cittadina si trovava nella stessa rocca del palazzo del Conte, oltre le mura della città, su un’altura collegata al resto di Skingrad da un ponte, ed entrare nel posto più protetto della città non sarebbe stato facile, e se voleva riuscire doveva rimettere insieme tutte le informazioni che possedeva.

‹Pare che questa sia la settimana delle imprese impossibili.›

Per raggiungere il palazzo bisognava stare fuori dalle mura, e per fare questo doveva uscire prima che fosse buio, altrimenti i cancelli sarebbero stati chiusi. Conosceva benissimo il percorso più sicuro per raggiungere il palazzo e i punti in cui stazionavano le guardie di pattuglia. Oltre a ciò, conosceva la strada per la prigione, poiché aveva accompagnato Hans una volta che bisognava riparare una delle celle. L’unico problema vero era la guardia che stava perennemente davanti alla porta che conduceva alle celle.

‹Quella sarà una vera seccatura.› commentò mentalmente stendendosi sul prato del cortile dietro caso.

Preparato il piano, metà del gioco era fatto: ora bisognava solo aspettare che fosse notte.

Intanto erano arrivate le sei, per cui andò dai Vaan per la sua “lezione di scherma” con Hermeppo.

Il giovane si presentò davanti all’abitazione dei Vaan e bussò sul battente. Poco dopo arrivò il maggiordomo, che lo accolse.

«Buonasera, signor Ryfon, vi stavamo aspettando. Il signorino è di sopra. Ora vi mostro la strada.»

«Grazie, molto gentile.»

Siirist fu condotto su per le scale e ogni suo neurone era dedito a memorizzare anche il più piccolo particolare di quella casa. Vi erano due rampe di scale, dopodichè si arrivava ad un salotto, con al centro un camino aperto a 360°, con la cappa che scendeva dal soffitto ed era distaccata dalla base, attorno a cui si trovavano quattro divani. Nella parte a sinistra era raffigurato un rettangolo sfruttando quattro pezzi di mobilio: due divani, che erano i lati lunghi, e due poltroni, per i lati corti. Al centro della figura geometrica, poi, c’era un tavolino di pegno, anche esso rettangolare. Nella parte destra, cioè esattamente davanti alle scale da cui provenivano i due, due grandi librerie occupavano entrambe le pareti dove erano situate. A terra vi erano in tutto due tappeti, uno a destra e l’altro a sinistra. Il fatto che non ci fosse mobilio nella parte destra e che ci fosse solo quello spazio vuoto, incuriosì Siirist. Il domestico continuò a condurre l’ospite verso l’ultimo piano, che si raggiungeva grazie ad altre due rampe di scale, situate davanti ai mobili a forma rettangolare. Salite le scale, Siirist si ritrovò su un pianerottolo su cui si aprivano quattro porte. Il domestico si avvicinò alla prima e bussò. Poco dopo uscì Hermeppo, e *Siirist non riusciva a credere ai suoi occhi: sbigottito, guardava dritto davanti a sé. No, una cosa del genere non poteva esistere davvero, non poteva assolutamente essere concepita da mente umana.

«Ti vedo colpito, Ryfon. Ti piace la mia corazza?» domandò Vaan con un’aria da superiore.

Allora ecco di cosa si trattava! Effettivamente aveva l’aria di qualcosa che Siirist aveva già visto, e, a guardarla bene, si potevano anche intravedere i tratti caratteristici di una corazza: il busto metallico più voluminoso rispetto al corpo, le braccia lasciate scoperte, come il collo… Ma c’era in quell’oggetto un qualcosa di incredibile.

«Una corazza… ricoperta di pizzo…?» la mandibola di Siirist stava per arrivare a terra.

«Certo! Per renderla più elegante ed adatta alla mia persona! Ho disegnato io stesso le decorazioni!»*

Siirist non riusciva ancora a credere che doveva farsi dare lezioni di scherma, anche se era tutta una finta, da una persona che indossava una corazza ricoperta di pizzo viola con motivi floreali bianchi e rosa, con due delicati veli ricamati che coprivano le spalle e la parte più vicina al collo. Era inaccettabile.

‹Calmati, ingoia e fai una faccia tranquilla. Ti sei umiliato nel bel mezzo della città per avere la possibilità di entrare in questa casa. Ora devi solo andare di sotto e l’avrai vista tutta, escludendo le stanze da letto.› si impose Siirist.

«E ti si addice splendidamente, grande Hermeppo!» esclamò dunque, con una sorta di tic nervoso all’occhio e un sorriso così finto che pareva avesse una paresi facciale.

Ma dopotutto era stato un commento sincero: era una corazza da finocchio. E Hermeppo parve apprezzare.

«Allora, vogliamo cominciare?» propose Vaan.

«Certo!»

«Allora vieni dentro e scegli la tua spada.»

Siirist si accomodò nella camera di Hermeppo e guardò la rastrelliera di armi che possedeva. Rimase sbigottito nel vedere tutto il ben di dio che c’era: spade di varie forme e dimensioni, lance, scudi, gambali e bracciali, asce. C’erano anche alcune mazze. Hermeppo notò che Siirist guardava quelle e gli si avvicinò.

«Sono state le mie prime armi.»

‹Non avevo dubbi, sono armi da decerebrati.› commentò mentalmente, mentre annuiva.

Siirist allora prese una spada ad una mano e la esaminò attentamente, notando che era in perfette condizioni. Pareva essere di acciaio orchesco o di acciaio del nord, non ne era sicuro.

«Di cosa è fatta questa?»

«Acciaio orchesco. Era la mia spada prima di questa di Vetro.»

E Siirist trovò la scusa perfetta per visitare il seminterrato.

«Vedo però che non ci sono altre spade ad una mano e mezza. E poi l’acciaio orchesco, nonostante sia ottimo, si rovinerà dopo un duello contro il Vetro. So, poiché le avete prese da Hans, che le guardie personali di questa casa sono equipaggiate con armi in mithril, e che uno usa una spada ad una mano e mezza. Non potremmo prenderla in prestito?»

Hermeppo soppesò le parole dell’ospite e per una volta fece una faccia che aveva un che di intelligente.

‹Ma allora sa pensare anche lui!› si stupii Ryfon.

«Forse hai ragione.»

Basta, fine. Dopo cinque minuti di ragionamento, l’unica cosa che Hermeppo aveva saputo dire era “forse hai ragione”.

«Allora andiamo agli alloggi delle vostre guardie private?» domandò Siirist, tentando disperatamente di restare calmo.

«Oh, ma naturalmente! Si trovano nel seminterrato. Forza, Dan, sbrigati!» intimò poi al povero domestico.

I due, dunque, ritornarono al pian terreno, preceduti dal maggiordomo, il quale aprì la porta di legno che conduceva al seminterrato, facendo passare i due ragazzi; il primo che camminava come una gallina, un’oca o qualunque altro uccello ridicolo, l’altro come un normale eterosessuale. Le scale che stavano percorrendo erano anch’esse a due rampe, per poi arrivare in una grande camera, larga quanto la metà della casa.. Il soffitto era retto da travi di legno a cui erano appesi prosciutti e salami. Nella parete di fondo si trovava la cucina, e subito Siirist guardò il forno, da cui naturalmente proveniva il camino. Il fondo era enorme, evidentemente ci venivano cucinati spesso animali interi, quando i Vaan organizzavano importanti cene.

‹Perfetto.›

L’altra metà della stanza, che era separata da una parete di legno, accoglieva i letti dei vari servitori; rastrelliere reggenti armi ed armature si trovavano accanto a quelli delle guardie. Alcune di esse erano a dormire, ma si svegliarono subito, sia perché erano abituati a scattare al minimo suono, sia perché Hermeppo aveva acceso la luce senza curarsi del fatto che magari le guardie del turno notturnovolevano dormire.

«Dhorn, ci serve la tua spada.» ordinò Hermeppo.

L’uomo in questione non capiva, ma aveva bene imparato che era meglio fare come gli veniva chiesto senza nemmeno discutere. Si alzò, prese la sua arma e la pose al padrone.

«Per lui, idiota.» reagì Vaan, colpendo il guerriero su una spalla.

Siirist notò negli occhi della guardia un lampo d’odio, ma così fugace che nessun altro se ne avvide. Forse c’era un modo per sfruttare tale disprezzo.

Come il ragazzo ebbe ricevuto la spada dalle mani della guardia, e che lo ebbe ringraziato con un mezzo inchino, lui ed Hermeppo uscirono dagli alloggi della servitù. Automaticamente Siirist si diresse verso le scale, mentre Hermeppo verso la parete dove si trovava la cucina.

«Ma dove vai? Dobbiamo andare in cortile!» esclamò Vaan con il suo solito fare da superiore.

«Infatti stavo andando di sopra…» incominciò Siirist.

«Idiota, c’è una porta nascosta!»

Siirist ringraziò che ci fosse la penombra, perché altrimenti i suoi occhi illuminati dalla gioia sarebbero stati notati da chiunque, anche da un cretino come Hermeppo. Questi salì delle scale che si trovavano opposte a quelle da cui erano scesi, che Siirist non aveva notato per via della scarsa luminosità, in cime alle quali si trovava una porta. Il giovane padrone di casa semplicemente abbassò la maniglia e spinse la porta. Doveva essere molto pesante, perché dovette usare tutto il suo corpo per spingere. O semplicemente era una schiappa lui. Sì, probabilmente era la seconda. Era riuscito solo a sfessurarla un po’ quando fu raggiunto dal maggiordomo che lo aiutò, spalancando la porta apparentemente senza sforzo.

‹Sì, decisamente la seconda possibilità.›

Allora Siirist, brandendo la spada e saggiandone la pesantezza, raggiunse gli altri due. Quando fu all’aria aperta, notò che la porta aveva dalla parte esterna dei mattoni a coprirla, così da poterla mimetizzare perfettamente e che era stata bloccata con un masso.

«Perché la si blocca?»

«Perché si apre solo dall’interno. Se si dovesse chiudere, dovremmo fare tutto il giro fino alla porta principale.»

La spiegazione non piacque a Siirist.

‹Ma almeno ho una sicura via di fuga.›

«Dunque, cominciamo subito. Come prima cosa, poiché hai anche tu una spada ad una mano e mezza, devi impugnare con la destra sotto la guardia, e con la sinistra per metà sull’impugnatura e per metà sul pomolo.»

«Veramente sono mancino, per cui dovrei farei il contrario.»

«Beh, sì… presumo di sì…» Hermeppo nemmeno sapeva cosa rispondere.

Subito dopo che Siirist si fu fatto spiegare come doveva impugnare la spada, chiedendo anche altre due volte a Hermeppo di rifargli vedere la posizione, i due iniziarono dei movimenti, fatti prima da Vaan, poi copiati da Ryfon. E nuovamente Siirist adottò la sua tecnica di pensare ad altro mentre faceva o diceva qualcosa.

‹Effettivamente l’intelligenza di Hermeppo e di Miya è simile.› constatò il ragazzo.

Finiti gli esercizi di riscaldamento, i due ragazzi ingaggiarono un breve duello, e Siirist si fece disarmare una decina di volte. Dopo che si fu arreso all’incredibile bravura di Hermeppo, Siirist sospirò dicendo che avrebbe abbandonato il sogno di entrare nella Gilda dei Guerrieri, poiché se tutti erano così forti come Vaan, non ce l’avrebbe mai fatta. Questi, nel sentire talli parole, proruppe in una fragorosa e fastidiosa risata. Al pensiero di “patetico”, Siirist ritornò nel seminterrato per restituire la spada al legittimo proprietario, ma lo trovò a metà delle scale.

«Perché hai fatto finta di essere un incapace?»

Siirist doveva immaginare che un occhio esperto se ne sarebbe accorto. Dopo aver guardato l’uomo con un sorriso ed uno sguardo furbi, gli riconsegnò la spada.

«E chi lo sa?» rispose poi, avviandosi verso l’esterno.

 

Verso mezzanotte, Siirist si trovava nel suo rifugio. Aveva detto ai genitori che sarebbe rimasto da Hans per forgiare durante la notte, poiché doveva assolutamente stare fuori da Skingrad prima che venissero chiusi i cancelli della città, poiché tra le dieci di sera  e le cinque del mattino nessuno entrava o usciva. Il ragazzo era sgattaiolato fuori verso le nove, subito dopo cena, riuscendo ad eludere facilmente le guardie. Ora si stava preparando per la sua visitina alla prigione cittadina, e, mentre aspettava la una e mezza, ripuliva la sua rastrelliera per le armi.

«Ti devo pulire, sai? Perché tra qualche giorni dovrai reggere una spada ed un pugnale di Vetro! Gentile regalo dei Vaan per il mio imminente compleanno!» sorrise il ragazzo.

‹E poi devo arredare un po’ meglio questo posto, che è un po’ spoglio.› constatò guardandosi intorno.

 

 

~

 

 

Si ringrazia calorosamente Prof per il suo permesso nell’utilizzare alcune sue citazioni dalla fic De Animorum Fabulis (che raccomando caldamente!), che sono state segnate con *. Il primo * indica una frase tratta direttamente tratta dalla storia di Prof, anche se ho cambiato le parole. Gli altri due *, invece, stanno ad indicare una serie di frasi scritte ispirandomi ad una delle scene più divertenti di De Animorum Fabulis.

 

Seconda cosa, nel creare Hermeppo sono andato contro una delle cose che ho scritto nella premessa alla fanfic, cioè che tutti i personaggi sono originali. Si tratta, infatti, dell’Hermeppo di One Piece, che compare quasi all’inizio di tutta la storia. È un personaggio così ridicolo che non ho potuto che inserirlo! Ma tanto è un personaggio di poca importanza, che scomparirà a breve.

 

Il prossimo capitolo si intitola UN MISTERIOSO POTERE

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** UN MISTERIOSO POTERE ***


UN MISTERIOSO POTERE

UN MISTERIOSO POTERE

 

Erano ormai quasi le una e mezza. Siirist aveva finito di riscaldarsi e si era vestito con una leggera armatura in cuoio imbottito, con tanto di maschera per il viso. Alla cintura legò una mazza di legno con rivestimento in ferro ed una spada corta di semplice acciaio di Besaid.

‹Spero di non doverla usare. Poiché non sono molto bravo a combattere, e quindi a parare bene i colpi, rischierei di rompere la lama dopo pochi attacchi.› constatò.

Siirist era perfettamente consapevole della sua capacità in battaglia. Non aveva mai avuto problemi a vincere le risse di strada con i suoi coetanei, e nemmeno contro ragazzi più grandi, anche se si trovava in svantaggio numerico. Erano anni che si allenava, anni che era un ladro eccezionale, che riusciva a sparire anche sotto gli occhi delle guardie che lo inseguivano, il più delle volte nemmeno lo individuavano. Era un ragazzo di un’agilità impressionante, a cui si poteva equiparare solo la sua elasticità. Era anche estremamente forte, tanto da riuscire a mantenere una posizione scomoda per vari minuti, come l’appendersi al soffitto reggendosi sulle travi. Scappare non era mai stato un problema, ma questa volta era tutto il contrario: doveva andare nella tana del nemico. E doveva utilizzare tutto il suo ingegno per non farsi scoprire, perché altrimenti sarebbe o finito in prigione, o morto. Non doveva affrontare i ragazzini di Skingrad, ma l’elite della guardia cittadina, la guardia privata del conte.

‹Che gusto ci sarebbe a vivere senza qualche sfida?› sorrise.

Ad entrambe le cosce legò una fascia reggente dieci piccoli coltelli da lancio ciascuna. Alla cintura fissò una piccola saccoccia contenente tre pozioni che causavano l’improvvisa apparizione di un denso fumo, una più potente dell’altra: l’effetto della prima durava cinque secondi, quello della seconda trenta, quello della terza un minuto. Per finire, indossò dei guanti particolari, che si era fabbricato lui stesso. L’imbottitura sui palmi era particolarmente spessa perché serviva a contenere quattro uncini estraibili, della lunghezza di due centimetri. Essi servivano per le arrampicate, visto che facilmente penetravano il legno e la terra. L’estrazione era anche semplice, poiché bastava scorrere le dita lunghi i palmi. Siirist stava per partire quando si ricordò di un'altra cosa di fondamentale importanza: il suo kit da scassinatore. Dandosi dell’idiota, perché senza non sarebbe mai riuscito ad aprire la cella del bandito, lo prese e lo legò alla parte interna dell’avambraccio. Esso, infatti, era troppo lungo per essere fissato alla cintura, ma abbastanza sottile da non impicciargli i movimenti del braccio. Soddisfatto, il ragazzo si diede un’ultima sgranchita a spalle e collo, per poi avviarsi verso l’uscita del suo rifugio.

Quando fu all’aria aperta, si ritrovò davanti solo un’infinita boscaglia, ma gli bastò andare dall’altra parte dell’ammasso di rocce che nascondeva l’ingresso alla sua grotta per vedere il lato est delle mura della città. Il palazzo del conte si trovava dalla parte completamente opposta, e lo avrebbe raggiunto compiendo un semigiro della città in senso orario, se il suo percorso fosse visto dall’alto. Dunque si mise in marcia, sperando di non incontrare alcun animale che lo potesse rallentare o, peggio, far scoprire.

Dopo un centinaio di metri, percorsi correndo con la schiena curva, nell’erba alta, il ragazzo incontrò un’improvvisa scarpata, lungo la quale scivolò inclinando indietro il corpo. Arrivò così su un sentiero e, nascosto dalle rocce, continuò la sua corsa, tutti i sensi all’erta per qualunque segnale di pericolo. Seguendo il sentiero, giunse poco dopo al cancello sud di Skingrad, dove iniziava la strada pavimentata. Prima di intraprenderla si assicurò che non ci fosse nessuno, per poi andare, costeggiando le mura della città. Dopo una ventina di metri raggiunse il punto in cui avrebbe abbandonato la via Dorata: proprio sotto il ponte che collegava la rocca del palazzo con l’arco principale, da dove era obbligatorio passare se si proveniva da Skingrad, l’unica via d’accesso; l’unica che fosse agibile, per lo meno. Ma a Siirist piaceva fare le cose con più sforzo, soprattutto se gli permetteva di evitare le guardie. Così si avvicinò all’altura che sorreggeva il palazzo e, estratti i ganci dai guanti, iniziò la scalata. Ma la collinetta era prevalentemente costituita da roccia dura, per cui Siirist non poté proseguire dritto fino alla base del ponte, ma dovette procedere a zig-zag, cercando sempre punti in cui i suoi uncini potevano penetrare. Dopo circa dieci minuti di scalata, Siirist raggiunse la cima dell’altura, proprio alla base delle mura, anche se non era esattamente accanto al ponte, bensì qualche metro più lontano, ma andava bene lo stesso. Facendo il percorso ad ostacoli sulle rocce, poi, il giovane arrivò al ponte, anche se si trovava dal lato dove la terra era più bassa, per cui il ponte era irraggiungibile. Dovette allora passare sotto ad uno degli archi del ponte, così da trovarsi dall’altra parte. Allora, sfruttando gli appigli che forniva il ponte stesso, ci si portò sopra, dopo aver verificato che fosse isolato.

‹Bene, questa era la parte facile; ora inizia quella difficile.›

Adesso che doveva fare per entrare nella rocca? Non lo sapeva nemmeno lui.

‹Dunque, aprire il portone assolutamente no. Potrei provare a scalare le mura, ma devo essere pronto nel caso incontrassi una guardia. – gli vennero i brividi solo al pensiero – Va beh, ormai che sono qui, tanto vale procedere! Andiamo per le mura, va.›

Con difficoltà, poiché le pietre della rocca non davano molti appigli, Siirist riuscì ad arrivare sul tetto delle mura. Esse erano ricoperte da sottili lamiere di ferro, facilmente penetrabili dagli uncini dei guanti. Come sentì delle voci dalla torre di guardia alla sua sinistra, però, Siirist si impietrì, rendendosi un tutt’uno con la parete di quella. Ma non poteva perdere tempo, ogni secondo che passava correva sempre più il rischio di essere scoperto. Così, attento a non far rumore sulle lamiere, scivolò lievemente su di esse, fino a che poté sporgere la testa nel cortile conosciuto: un pozzo al centro, altre tettoie che coprivano le passerelle. E lui sapeva esattamente su quale andare. Quella che portava alla prigione si trovava proprio sotto di lui, per cui non dovette fare altro che calarsi di una tettoia per arrivarci. Allora corse per la passerella fino a che non raggiunse la porta. La sfessurò appena per controllare se ci fosse nessuno, per poi slanciarsi in avanti il più silenziosamente possibile.

‹Per fortuna che i soldati indossano l’armatura! Così li posso sentire senza problemi se si dovessero avvicinare!›

Arrivato alla fine del primo corridoio, che si concludeva con un muro davanti, una porta a destra e delle scale discendenti a destra, Siirist prese queste ultime. Però un secondo pensiero lo fermò.

‹Oltre la porta c’è la caserma. Magari dopo potrei procurarmi delle armi un po’ migliori delle mie attuali!›

Il solo pensiero di avere un set di armi in mithril rivestite in argento lo eccitava! Ma quello non era il momento, per cui continuò verso la prigione. Dopo due rampe di scale, Siirist arrivò all’arco che lo separava dalla stanza del carceriere. Doveva in qualche modo riuscire a superarlo, però non gli veniva in mente nessuna idea. Dopo un po’ che pensava, Siirist decise di utilizzare la sua prima pozione. Stava per lanciarla quando sentì delle voci dal corridoio che aveva appena percorso, accompagnate dal suono di stivali di mithril che battevano sulla pietra fredda.

‹Merda!›

Siirist non aveva la minima idea di cosa potesse fare. Il soffitto permetteva di appendersi, ma era così basso che le guardie lo avrebbero visto subito, allora pensò che non aveva altra scelta se non di affrontarli. Impugnò la mazza nella sinistra e la pozione da cinque secondi nella destra, per poi aspettare che le due guardie che stavano arrivando fossero abbastanza vicine. Nel momento in cui le vide, esse lo individuarono e gli corsero incontro sguainando le armi. Una possedeva una spada ad una mano, mentre l’altra un’ascia. Richiamato dal rumore, anche il carceriere scattò in piedi, e come fu ad un metro dall’arco, Siirist gli saltò addosso, cogliendolo di sorpresa e riuscendo a metterlo fuori gioco con una mazzata sulla testa. Gli altri due gli furono subito addosso, ma Siirist era andato nel centro della stanza, da cui poteva muoversi liberamente ed attaccare le altre due guardie con facilità. Come esse ebbero attraversato l’arco, Siirist lanciò a terra la pozione, che si infranse contro la pietra, rilasciando immediatamente un denso fumo. I soldati erano disorientati, e si immobilizzarono, mentre Siirist, che aveva memorizzato la loro posizione, fu loro addosso, e li mise a terra con un possente colpo alla testa ciascuno. Dopo due secondi che le guardie erano a terra, il denso fumo sparì, proprio come era apparso.

«Spero di non avervi fatto troppo male.» mormorò lui accertandosi delle loro condizioni.

Stavano bene, per fortuna, anche se al risveglio avrebbero avuto un gran mal di testa.

‹Bene, così mi sono risparmiato di dover andare nella caserma.›

Siirist, infatti, fece razzia dell’equipaggiamento dei soldati. Prese la spada di uno dei due appena giunti, e le due spade corte che possedeva il primo carceriere. Dell’ascia, invece, Siirist non si faceva nulla. Però il proprietario di quest’ultima portava con sé due pozioni, che Siirist prese, con l’intenzione di farle poi analizzare dal proprietario del negozio di oggetti alchemici.

«Ah già mi presteresti anche queste, per favore? – disse Siirist avvicinandosi al carceriere e prendendogli le chiavi – Grazie! Te le riporto subito, tu resta pure lì!»

Siirist allora si avvicinò alla porta e la aprì, per poi avvicinarsi alla cella dove erano rinchiusi i sei banditi, i quali si erano tutti svegliati per il rumore.

«Ehi, tu! Facci uscire!» gridò sotto voce uno dei fuorilegge.

«Perché sarei qui, se no?» scherzò Siirist.

«Ah sì? E perché dovresti farlo? Chi sei e cosa vuoi?»

«Mi permetti di farti notare quale paradosso sia domandare ad una persona mascherata chi sia?» domandò retoricamente Siirist, con un tono che esprimeva tutta l’ovvietà del mondo.

Il capo della banda rise di gusto, mentre gli altri non capirono.

«Hai ragione. Allora cambio domanda: perché vuoi aiutarci? Ora ti faccio presente io, invece, che questa mia nuova domanda contiene la seconda che ti ho posto precedentemente.»

«Ma certo. Voglio liberarvi, ma ad una condizione.»

«Parla.»

«Ora ti porrò una domanda, se la tua risposta sarà affermativa, vi farò uscire, se no resterete qui dentro. Se mi mentirai solo per poter scappare, ti ucciderò. Ho sconfitto, anche se senza ucciderle, tre guardie in cinque secondi. Non mi ci vorrà molto ad eliminare sei banditi disarmati.»

«Proposta accettata. Poni la domanda.» rispose il capo, dopo averci riflettuto qualche secondo.

«Ho saputo che sei riuscito a penetrare dentro a Skingrad senza essere avvistato, dopo che i tuoi sono stati arrestati. Come hai fatto? C’è un’entrata nascosta?»

«Tutto qui? È solo questo che vuoi sapere?» il bandito non riusciva a credere che la sua libertà venisse per così poco.

«Sì. E se mi risponderai di sì, vi farò uscire. Dopodichè la tua banda potrà fare quello che vuole, se vi sparpagliate sarà più facile evitare di essere catturati nuovamente, infatti, ma tu dovrai condurmi a quel passaggio segreto.»

«Ci sto. Ora apri questa cazzo di cella!»

«Allora c’è un’entrata nascosta?»

«Sì che c’è! Sei scemo, forse? Ora apri e facci uscire, prima che arrivino altri soldati!»

«Ripeto, se mi provi a fregare sei morto. E nessuno faccia ulteriore male alle guardie, o lo ammazzo.»

Tutti e sei annuirono, per cui Siirist inserì la chiave e la girò, sbloccando la serratura della cella: alla fine il kit da scassinatore si era rivelato inutile- Fece subito un passo indietro, portando la mano alla spada lunga, e la destra alla seconda pozione. I cinque banditi uscirono di corsa, ma cercando di essere silenziosi, mentre il capo uscì tranquillamente, osservando il suo salvatore.

«Che, non ti fidi?» mormorò con tono di sfida.

«Ho motivi per farlo?» replicò con lo stesso tono Siirist.

«No, infatti. Ora seguimi.»

«No, tu segui me. Conosco questo posto perfettamente. Ascoltatemi tutti e riusciremo a fuggire.» ordinò Siirist ai banditi.

Ma come vide che uno stava per prendere a calci la testa di una della guardie svenute, Siirist si imbestialì. Con un balzo gli fu accanto, portando tutto il peso sulla gamba sinistra ed inclinando il corpo da quella parte, mentre la destra si sollevava, arrivando ad essere parallela al terreno. Un possente calcio colpì in pieno stomaco il bandito, che si piegò sulle ginocchia reggendosi sul punto colpito, respirando con fatica.

«Avevo detto che non bisognava toccare le guardie.» s’impose.

Gli altri iniziarono a sudare e a temere lo sconosciuto, ma non il capo. Anzi, guardò Siirist con uno sguardo ancora più di sfida di quello che gli aveva rivolto all’uscita dalla cella.

«Avevi detto anche che avresti ucciso chi avesse fatto del male alle guardie.»

Siirist capì perfettamente dove il bandito voleva andare a parare: stava insinuando che egli non avesse il coraggio di ucciderli. Ed effettivamente aveva ragione: non aveva mai ucciso prima e non voleva certo cominciare quella notte.

«Questo era un avvertimento.»

«Ah, capisco…» sorrise arrogante il capo.

Siirist ringraziò la sua maschera che gli copriva l’espressione preoccupata.

‹Forse non è stata poi una brillante idea.›

Siirist, allora, sempre stando attento alle spalle, guidò i banditi verso l’uscita.

‹Tanto non dovrebbero attaccarmi adesso, visto che sanno che verrebbero sicuramente catturati. Dovrò preoccuparmi seriamente quando saremo al sicuro. Anche se non so se ci saremo mai, visto che sette persone sono facili da individuare. Come posso fare?›

E gli venne in mente la bastardata. Ma tanto che importava, erano comunque banditi!

«Sentite, è meglio separarci. Voi prendete la porta che troverete appena saliamo le scale, mentre noi andremo dall’altra parte. Ci incontriamo fuori, d’accordo?»

«Sì! Dai, andiamo!» esclamò uno dei delinquenti.

E così erano rimasti solo lui ed il capo.

«Bella mossa. Tanto anche io stavo pensando di liberarmene.» si complimentò il bandito.

C’era costantemente qualcosa di sinistro, di spietato nella sua voce, e a Siirist dava i brividi.

«Ci avrebbero solo rallentato.»

«Sì, lo so, l’ho capito. Io stavo pensando di ucciderli tutti, ma tu li hai rimandati dritti nelle braccia dei soldati, non è così?»

«Già.» mormorò il ragazzo.

Ma che gli era preso? Perché si stava comportando in quel modo? Quell’uomo gli metteva soggezione, la paura lo stava prendendo sempre di più. Ma doveva stare calmo e mantenere il sangue freddo. Fatto sta che quel bandito aveva qualcosa di strano, di inquietante.

I due avevano appena raggiunto la porta oltre la quale si trovava il cortile della rocca, quando sentirono che era scoppiata una furiosa lotta all’interno della caserma. Urla giunsero dal cortile, richiami delle guardie alle altre di recarsi subito alla caserma. Nessuna passò, per fortuna, dalla porta dove si trovavano Siirist e il bandito. Allora, dopo essersi accertati che il campo fosse libero, sgattaiolarono fuori, muovendosi il più rapidamente possibile. Arrivarono al cancello e si misero in ascolto, se mai stessero arrivando altri soldati, ma non era così, per cui aprirono una delle ante e si lanciarono fuori, per poi saltare dal ponte sull’altura, proprio nel punto in cui Siirist circa venti minuti prima era invece salito sul ponte. I due si allontanarono il più possibile dalla rocca, per poi arrivare ad un lato della collinetta che non avesse la parete perpendicolare, bensì obliqua con un angolo di circa trenta gradi. L’uomo non ci pensò due volte prima di saltare e scivolare giù, mentre Siirist ebbe qualche esitazione. Ma no, non poteva permettersi di essere da meno di quel bandito! Così balzò giù anche lui, rallentando un po’ la caduta con la mano sinistra allungata indietro, dopo aver estratto gli uncini. Quando ebbe raggiunto il bandito, questi si rimise in cammino, mostrando la strada al ragazzo, che lo seguì. Entrambi si tennero vicini all’altura, però, per evitare di essere scoperti. Percorsero al contrario il tragitto che aveva compiuto Siirist all’andata, oltrepassando il suo rifugio e raggiungendo il punto più a nord-est delle mura di Skingrad. Lì vi era una roccia che pareva uscisse dalle mura stesse, ed una pianta di edera la ricopriva.

«Questa roccia si trova anche all’interno della città, infatti le mura vi sono state costruite sopra. I mattoni che si trovavano sotto l’edera che vedi non erano fissati molto bene, però, per cui sono caduti, lasciando un buco. L’ho scoperto tre giorni fa, quando io e la mia banda siamo giunti qui. Ho notato i mattoni a terra e li ho rimossi, perché nessun altro sapesse di questa falla nella sicurezza della cinta muraria. Soddisfatto?»

«Sì, grazie. Hai tenuto fede al patto, ora puoi andare.» rispose il ragazzo, dopo aver verificato che le parole del bandito fossero sincere.

Siirist era felice oltre ogni immaginazione, perché il punto delle mura dove c’era il buco era esattamente dove si trovava la statua del conte a cavallo, cioè a pochissima distanza da villa Vaan, e raggiungibile da essa con un percorso che non era pattugliato dalle guardie. Meglio di così non poteva andare!

«No, aspetta un attimo. Prima ci sono altre due cose che voglio chiarire.»

A Siirist si gelò il sangue nelle vene. Gli parve anche di sentire che l’altro si stesse leccando le labbra, ma non poteva esserne sicuro, perché gli dava le spalle.

«Per prima cosa, chi credi di avere ingannato? Il tuo travestimento sarà anche perfetto, ma non potrai mai celare la tua vera identità se non copri il tuo odore, ragazzino.»

‹Il mio odore?!›

Siirist si voltò rapidamente verso il suo interlocutore, un orribile presentimento che faceva sì che tutti i suoi nervi fossero a fior di pelle. Non sapeva il perché, ma al ragazzo parve di vedere che il naso dell’uomo fosse più schiacciato e più grande.

«Seconda cosa, l’accordo diceva che dovevo portarti all’entrata segreta, ma ti sei dimenticato di specificare che non dovevo ucciderti dopo.»

E accadde. Ciò che Siirist aveva iniziato a sospettare con orrore da quando erano ancora nel cortile della rocca si rivelò vero. Improvvisamente i lineamenti dell’uomo iniziarono a storpiarsi, ad allungarsi. Le sopracciglia e le basette si ingrossarono e si infoltirono incredibilmente, mentre le orecchie si ingrandirono e le unghie si trasformavano in artigli di dieci centimetri, i denti in acuminate zanne: quello era un demone. Durante la trasformazione del demone, Siirist era rimasto impietrito, a bocca spalancata e con gli occhi sgranati. Alcuni neuroni erano rimasti attivi e stavano cercando di spronare il resto a svegliarsi, per poi portare il corpo a muoversi per fuggire il più lontano possibile a tutta velocità. Ma non ci riuscirono. Completata la trasformazione, infatti, anche essi si congelarono. Se ne stava immobile, osservando inerme il demone che si avvicinava lentamente, gustandosi il momento al massimo, leccandosi avidamente gli artigli, un ghigno sadico stampato in faccia che lasciava intravedere uno dei canini, gli occhi iniettati di sangue e lo sguardo da pazzo.

‹Avanti, stupido corpo! Muoviti! Ho ben altro da realizzare in questa vita, non posso certo morire qui, senza gloria né niente! Dai, ubbidisci! Muoviti!!»

Niente. Tutti i muscoli e le terminazioni nervose erano come congelati. Tutta la forza di volontà che il ragazzo poteva possedere era inutile contro il grande terrore che lo immobilizzava. Era sicuro che non aveva mai provato così tanta paura in vita sua. Eppure aveva corso il rischio di morire tutte le volte che era scappato per un pelo dai soldati le rare volte che lo erano riusciti a rintracciare durante i suoi furti. Aveva sempre amato il brivido di eccitazione che provava ogni volta che indossava la sua veste nera, prima di effettuare un colpo. Che differenza c’era, allora, tra quel demone e le guardie? Non si sarebbe mai arreso a queste, rifiutando di finire in prigione, per cui lo avrebbero ucciso. E non era dunque la stessa cosa con l’essere che aveva davanti a sé? Per quanto spaventoso possa essere un avversario, lo è solo quando sai che è di gran lunga più forte di te, per cui sai che morirai, affrontandolo. E Siirist aveva sempre avuto questa consapevolezza, tutte le volte che affrontava le guardie. Ma non aveva mai provato il panico che sentiva in quel momento, anzi era sempre al massimo dell’eccitazione. Che aveva di strano quel demone? Perché era così dannatamente terrificante?!

«Dannazione, chi cazzo sei?!» esclamò con forza Siirist.

Per un momento, riuscì anche a prendere il controllo del suo corpo, stringendo i pugni e muovendo in avanti il petto, per dare più forza alla sua voce.

«Il tuo peggiore incubo.» sibilò con malignità il diretto interessato.

Quelle furono le parole peggiori che il demone avesse potuto dire. In un istante tutta la paura che il suo spirito emanava, soggiogando Siirist, si dissolse, mentre questi scoppiò in una risata isterica.

«Ma che…?»

Adesso era il momento del demone di essere bloccato. La reazione della sua preda era stata così inaspettata da lasciarlo perplesso.

«Cosa hai da ridere?!» domandò nervosamente.

Quando Siirist fu riuscito a calmarsi, si mise ad analizzare mentalmente il suo arsenale: alla vita due cinture, una reggente una spada corta di acciaio di Besaid ed una mazza, l’altra due spade corte in mithril ricoperte di argento. Alle cosce aveva i coltelli da lancio, a tracolla portava la spada ad una mano in mithril, anch’essa con la lama rivestita in argento. Optando per quest’ultima, Siirist la sguainò, per poi rispondere all’avversario.

«Mi sono appena ricordato di una cosa che lessi tempo fa a proposito di voi demoni. Si tratta di un potere innato di cui dispongono tutte le sotto razze, chiamato Intimidazione. Consiste nell’espandere la propria aura per colpire gli avversari circostanti, riuscendo ad imporre una paura senza confronti su coloro che non sono a conoscenza di questa tecnica. Correggimi se sbaglio.» e fece un sorriso di sfida.

Dopodichè Siirist iniziò a passeggiare, facendo roteare la spada con le dita e appoggiandola alla spalla ad ogni giro completo, continuando a fissare l’avversario con sguardo fermo. Il demone iniziò a tremare, inizialmente per il nervosismo, poi per la rabbia.

«Ma come fai ad essere così calmo?! Fino ad un attimo fa tremavi come un coniglio davanti ad un drago!»

«Perché ho capito l’inganno della tua Intimidazione, per cui me ne sono liberato. Grazie a quella tua ridicola frase mi sono distratto da te e la tua tecnica ha perso il suo effetto. Allora mi è tornato in mente di quella lettura che avevo fatto, come ti ho appena detto. Poi davvero, stavi facendo tanto bene! Qualunque cosa cercassi di fare, mi avevi impietrito! E poi che fai? Te ne esci con “il tuo peggiore incubo”. Ma per favore!» lo prese in giro.

«Ma ciononostante come fai a rimanere così tranquillo? Stai per morire, lo sai o no?» ringhiò il demone, accecato dalla rabbia.

«Sì, forse.»

«E allora?!»

«Io non ho paura della morte.» rispose sicuro Siirist.

Lasciando l’avversario a bocca aperta, Siirist si mise in posizione, la punta della spada rivolta verso l’avversario, la mano destra sovrapposta alla sinistra, così da avere più forza nei colpi.

‹Non è un demone particolarmente potente, ma è nettamente più forte di me. Se riuscissi ad evitare uno scontro diretto, potrei vincere.›

«E allora vai sereno!» ruggì il demone, dopo essersi ripreso.

Corse rapidamente verso il ragazzo, ringhiando e con le braccia piegate indietro ma gli avambracci in avanti. Conseguentemente le lame che erano i suoi artigli erano puntate verso Siirist, che lo aspettava tranquillo.

Dal canto suo, come vide che il nemico si preparava all’attacco, il giovane inspirò lentamente, cercando la concentrazione necessaria per lo scontro. Il demone giunse a portata di attaccò, per cui si preparò a reagire. Il primo attacco del bandito era ciò che, se avesse utilizzato una spada, sarebbe stato un tondo manco, ma poiché i suoi artigli erano quasi dei pugnali, il termine non è del tutto inappropriato. Siirist tranquillamente si abbassò, lasciando la presa della spada con la destra e portando entrambe le braccia lungo i fianchi, così da avere più scioltezza nei movimenti, ma l’attacco fu rapidamente seguito da un secondo, stavolta portato con la destra, che colpiva diagonalmente da destra verso sinistra, dal basso verso l’alto, per cui una sorta di sottano dritto. Siirist agilmente balzò all’indietro, evitando anche stavolta la morte certa per un soffio. Subito dopo dovette compiere un giro di novanta gradi con il busto e poi inclinarlo all’indietro, per schivare un affondo del braccio sinistro. Siirist aveva ora il demone a meno di mezzo metro da sé, i loro corpi formavano un angolo retto, per cui era il momento giusto per attaccare. Impugnò la spada con entrambe le mani e con forza vibrò un sottano manco diretto alla gola dell’avversario, ma questi parò il colpo frapponendo alla lama gli artigli della mano destra. Successivamente il bandito ritrasse il braccio sinistro, rivolgendo il palmo della mano all’esterno, puntando quindi gli artigli verso il ragazzo. Il giovane nuovamente balzò all’indietro, ma la posizione non propriamente comoda gli impedì di essere sufficientemente rapido, per cui si ritrovò con la guancia sinistra tagliata in quattro punti, il più basso all’altezza della mandibola, il più alto sullo zigomo. Il dolore pungente pervase tutto il corpo, disorientandolo per un momento. Il demone se ne accorse ed attaccò subito. I suoi artigli penetrarono nella spalla destra di Siirist, fuoriuscendo dall’altra parte: rivoli di sangue colarono da essi e dai buchi nel corpo del giovane. La vista di Siirist si annebbiò, mentre il dolore più grande che avesse mai provato in tutta la sua vita lo investiva con tutta la sua forza. A stento trattenne un acuto grido, non poteva permettersi di rivelare la sua presenza ai soldati. Per riuscire a mantenere chiusa la bocca, si morse il labbro inferiore, arrivando a bucarselo con i denti, per quanto stringeva. Se ne accorse solo quando sentì il sangue nella bocca, poiché il dolore era stato sovrastato da quello causato dagli artigli. Questa sensazione però riuscì a riportarlo alla realtà, permettendogli di rimettere a fuoco il mondo circostante. Inizialmente vide davanti a sé la macabra figura del demone che rideva a pieni polmoni, ma non stava emettendo alcun suono. Pochi istanti dopo Siirist comprese il perché: aveva perso anche l’udito. Mano a mano tutti i sensi stavano venendo meno, mentre lui si sentiva sempre più stanco. Ma non poteva essere solo per la perdita di sangue.

«Cosa mi stai facendo?» chiese debolmente.

Mosse la bocca, lo sapeva, ed era pure cosciente del fatto che aveva dato fiato alle sue parole, ma non riuscì a sentirle. Per quanto si concentrasse, nessun suono del mondo esterno gli giungeva.  Il demone gli rispose, ma lui ovviamente non riuscì a sentirne le parole, e nemmeno a leggere il labiale, poiché tutto stava nuovamente diventando sfocato.

‹Dannazione! Non voglio morire!›

Ed era vero. Nonostante non temesse la morte, Siirist aveva altri piani. Non poteva essere Cavaliere dei draghi perché non era nobile, perciò non aveva il diritto di effettuare la prova, però non era l’unica strada per la fama e la gloria eterne! Aveva deciso di puntare al rango di Campione della Gilda dei Guerrieri, doveva diventare il più forte in assoluto! Non gli interessava il rango di Maestro, poiché comandare e basta standosene seduti in un ufficio non era il suo scopo, però come Campione si aveva il diritto di impartire ordini ai subordinati, cioè tutti tranne il Maestro, si veniva venerati come un Cavaliere, e si avevano più donne a portata di mano, si era ricchi, e si affrontavano le missioni più eccitanti e pericolose. Sì, era di certo la vita per lui! Per cui non poteva morire in quel momento, in quel modo, lui ambiva a ben altro! Quel maledetto demone non gli bloccato fermato la strada!

«Non ti illudere di avermi già sconfitto!» disse furente Siirist, ripresosi.

Il suo sguardo era feroce, i suoi occhi duri, una strana energia gli pervadeva il corpo, pronta ad irrompere da un momento all’altro.

«Ma non muori mai?!» rispose rabbioso il demone.

In quel momento la strana energia che Siirist percepiva si concentrò prevalentemente negli occhi e questo gli permise di vedere una cosa stranissima. Se fosse stato un momento qualsiasi si sarebbe bloccato dalla meraviglia, ma ora c’era in gioco la sua vita ed il suo futuro come Campione dei Guerrieri. Dal corpo del demone parve separarsi il suo fantasma: aveva le sue stesse fattezze, ma era etereo. Questo “fantasma” si mosse prima del bandito, portando in avanti la parte destra del busto e con essa il suo braccio, gli artigli protesi in avanti, in direzione delle gola della sua vittima. Istintivamente Siirist abbandonò la spada e sollevò la mano sinistra per afferrare l’avambraccio del “fantasma”, ma fu troppo lento, e gli artigli incorporei gli penetrarono la carne, però non gli accadde niente. Riuscì invece a bloccare l’avambraccio del bandito in carne ed essa, che aveva seguito poco dopo il “fantasma”. Adesso la strana energia aveva abbandonato i suoi occhi e si trovava nella mano sinistra del ragazzo, che stava stritolando l’arto del demone. Questi stava visibilmente soffrendo, poiché sul viso si dipinsero delle smorfie di dolore, anche se rimase muto. Subito dopo afferrò anche l’avambraccio destro e lo tirò via da sé, estraendo gli artigli dalla spalla. Allora eseguì una specie di salto teso all’indietro, ma piegando la gamba sinistra. Con il piede destro invece colpì il nemico in pieno mento facendogli perdere l’equilibrio. Agilmente, Siirist atterrò sui piedi con le gambe piegate, quasi fosse in ginocchio, e si portò subito la mano alla spalla ferita. Come era venuta, quella misteriosa forza scomparve.

‹Questa è la mia occasione.› pensò Siirist, senza perdersi d’animo.

Si slanciò in avanti e raccolse la spada, per poi correre verso il demone. Spiccò un salto in avanti e con tutta la forza che aveva in corpo conficcò la lama al centro della gola del bandito. Questi, con una smorfia di incredula rabbia mista a paura, si accasciò a terra.

Siirist si sentì venir meno, e cadde sulle ginocchia. Però non poteva svenire lì, sarebbe stato scoperto quando fosse giunta l’alba. Così richiamò a sé tutte le energie restanti, raccolse la spada e la usò come bastone e si diresse verso il suo rifugio. Come ebbe scostato l’edera, cadde in avanti e perse i sensi, mentre il sangue continuava ad uscire copioso dalla ferita alla spalla, assieme ad una strana sostanza violacea.

 

Sentendo il campanello di casa venire suonato incessantemente, Hans si alzò.

‹Ecco, e ora sarò di cattivo umore.›

Lui detestava essere svegliato. Con passo pigro, andò alla porta della bottega e la aprì, trovandosi davanti la madre di Siirist.

‹E adesso che vuole questa?›

«Buongiorno, desiderate?»

«Dov’è Siirist?»

«Come?»

«Non è tornato a casa l’altra notte perché ha detto che sarebbe stato da voi tutta la notte a lavorare, ma sono le undici di mattina e non è ancor tornato a casa. Oltretutto è il suo turno di stare alla vigna, adesso.» sembrava alquanto alterata.

Hans stette un attimo a riflettere sulle parole della signora Ryfon, non avendo capito benissimo tutto quello che aveva detto. Insomma, si era appena svegliato e quella pazza gli urlava contro parole dopo parole! Per Soho, un po’ di comprensione! Il suo cervello non era ancora propriamente connesso!

«Scusate, potreste ripetere…?» sbadigliò il fabbro.

«Mastro Hans, dov’è mio figlio? Non è stato qui da voi stanotte?» ora era decisamente alterata.

Questa volta Hans capì a grandi linee cosa stava succedendo, e maledisse il suo apprendista perché per colpa sua era stato svegliato. Per una volta che aveva la bottega chiusa di mattina!

‹Ma che hai combinato stavolta, delinquente?›

«Sì, certo che è stato qui. Però l’altra notte mi ha detto che sarebbe uscito presto stamattina. Poiché io oggi tengo la bottega chiusa la mattina, come potete benissimo leggere dal cartello degli orari, – e si assicurò di mettere particolare enfasi nell’ultima frase – sono rimasto a dormire questa mattina, per cui non so dove sia andato.» disse lentamente tra uno sbadiglio e l’altro, con gli occhi che minacciavano di chiudersi.

«Ah, va bene. Grazie mille, mastro Hans, e perdonatemi.»

Il fabbro si limitò a rispondere con un gesto della mano, per poi richiudere la porta. Mentre risaliva le scale maledisse nuovamente il ragazzo.

‹Mi devi un favore.›

 

Ma dove diavolo era finito quel vagabondo? Possibile che fosse in ritardo? No, non era da lui. Per quanto fosse irrimediabilmente pieno di difetti, in primis l’essere un criminale, essere ritardatario non faceva parte della compilation. Dopo anni che preparava i suoi colpi calcolando i tempi al secondo, aveva imparato! E allora dove poteva essere?

Keira si trovava su una panchina di una piazza di Skingrad, aspettando l’arrivo di Siirist, con cui doveva poi andare a pranzo. Ma era già mezzogiorno e mezzo e di lui neanche l’ombra, dopo che si erano dati appuntamento per le dodici. In quel momento passarono due uomini che chiacchieravano.

«Hai sentito che le guardie hanno trovato il corpo di un demone grem nei pressi delle mura est?»

«Sì, ho sentito! Aveva una ferita da spada che gli trapassava il collo! Che brutta morte, anche per una bestia del genere.»

«Sono d’accordo.» annuì il primo che aveva parlato.

Un po’ preoccupata, la fanciulla si alzò e andò a casa del’amico. Ma ci trovò già Miya che parlava con la madre del ragazzo sulla soglia di casa.

‹Non dirmi che si vede con lei. Se è così lo ammazzo.›

Non era gelosa, semplicemente le scocciava essersi tenuta libera per lui e trovarlo con un’altra. Specie una di cui Siirist parlava sempre male.

«Mi dispiace, Miya, ma Siirist è fuori. Però non so dove sia.» si scusò la signora Ryfon.

A Keira venne un’idea improvvisa. Più veloce che potesse, corse verso il cancello nord di Skingrad e da lì si diresse verso est, in direzione del rifugio segreto di Siirist. Non appena ebbe scansato l’edera che ne nascondeva l’ingresso, trovò a terra il corpo esanime di Siirist. La zona circostante la spalla destra era ricoperta da una chiazza rosso-violacea.

«Oddio!» la ragazza si portò le mani alla bocca, preoccupata.

Si chinò e gli mise due dita sulla carotide: il battito c’era, anche se debole.

‹E adesso che faccio? Se lo porto in città a far medicare, verrà scoperto, e allora potrò anche dire addio alla nostra amicizia, visto che non mi parlerebbe più. Inoltre lo sbatterebbero subito in prigione. Va bene, è il momento di mettere in pratica gli ultimi tre anni di studi.›

Decisa a curarlo personalmente, lo prese in collo e lo portò in fondo alla grotta, dove lo adagiò su uno dei cuscini. Allora aprì tutti gli armadietti fino a che non trovò quello con il kit del pronto soccorso, da cui prese garze, disinfettante e varie pozioni medicinali.

Procuratasi il necessario, la giovane si preparò a curare l’amico, e per prima cosa gli tolse l’armatura, lasciandolo a torso nudo. La ferita più grave era senza dubbio quella alla spalla, poiché gli artigli del grem l’avevano penetrata a fondo, ed il suo veleno era entrato direttamente in circolo, mentre quella alla guancia era meno pericolosa, anche se più brutta, poiché la tossina demoniaca era rimasta in superficie e stava molto lentamente corrodendo la pelle del ragazzo.

 

Dopo un’ora Keira stava fasciando le ferite del ragazzo, applicando un grande cerotto sul viso.

‹Così dovrebbe bastare. Adesso deve solo riposarsi. Sarà meglio per lui che mi venga subito a ringraziare quando si risveglia! Dove ha messo carta e penna?›

La ragazza cercò i due oggetti per qualche minuto, e infine li trovò. Scrisse un biglietto all’amico e glielo mise nel pugno sinistro.

 

Siirist si risvegliò tutto dolorante, subito si toccò le due ferite e sentì che qualcuno se ne era già preso cura.

‹Ma che…?›

Ma poi si accorse di reggere in mano un foglio piegato. Lo distese e riconobbe subito la grafia di Keira.

Brutto idiota, che diavolo hai combinato? Sento in città che hanno trovato il cadavere di un demone grem e poi trovo te mezzo morto e pieno di veleno nelle vene. Mi devi delle spiegazioni, capito? Vieni da me come prima cosa appena rientri in città, anche perché devo verificare le tue condizioni.

‹Sempre un tesoro…› fu l’unico commento.

Il ragazzo si alzò e si stiracchiò, per poi togliere anche la parte inferiore della sua armatura leggera, e riporla in un angolo assieme alla metà superiore, annotandosi mentalmente di doverla riparare. La maschera, invece, era da buttare, poiché il veleno l’aveva corrosa quasi completamente. Allora prese le armi, le pulì e le mise ordinatamente sulla rastrelliera, per poi ammirare con orgoglio le sue nuove armi in mithril e argento. Solo allora notò di star morendo di fame, gli sembrava che fossero giorni che non mangiava.

Dopo essersi rivestito, Siirist uscì dalla grotta. Arrivato all’uscita, vide che il sole era già basso. Sconsolato perché si aspettava già una ramanzina di almeno tre giorni dai suoi, dunque, si diresse verso il cancello nord, ma lo trovò chiuso.

‹Cazzo, e ora come faccio?›

E improvvisamente gli tornò in mente l’entrata nascosta. Si diresse verso il punto che aveva scoperto la notte precedente e, facendo attenzione che non ci fosse nessuno, entrò nella città. Allora corse furtivamente verso casa di Keira e si arrampicò su per il muro. Ma non appena sforzò la spalla destra, una violenta fitta gli fece perdere la presa, e cadde a terra battendo il sedere.

«Ahi!» esclamò, massaggiandosi le natiche.

Sentendo la familiare voce, Keira si affacciò dalla finestra, un’aria di pura gioia in volto.

«Siirist! Stai bene?»

«Certo, perché non dovrei?»

«Dai, sali che parliamo!»

«Non ci riesco, mi fa male la spalla.»

«Intendevo come una persona normale, infatti. Ti vengo ad aprire.»

Poco dopo, la fanciulla aveva aperto la porta ed il ragazzo entrò nella casa.

«Ciao, Siirist.» salutò la madre di Keira.

«Buonasera, signora.»

Siirist seguì allora l’amica verso la camera di lei, ed iniziarono a parlare.

«Sul biglietto che mi hai lasciato hai scritto che hanno trovato il demone. Quando è successo, stamattina?»

«A dir la verità, tre giorni fa.» rispose lei divertita.

«Cosa?! Tre giorni?!» lui era notevolmente scioccato dalla notizia.

«Hai dormito tre giorni, caro mio, e io ti ho visitato due volte al giorno per cambiarti le bende.»

«Ma come è possibile che mi abbia steso per così tanto?»

«Hai la minima idea di che razza di veleno avevi in corpo?»

«Veleno? Ecco perché mi ha annebbiato i sensi quando mi ha colpito, allora!»

«Ma se ti ho scritto sul biglietto che eri pieno di veleno nelle vene! Perché l’hai letto, vero?» chiese con sguardo omicida.

«Ma sì, certo! Però mi ero appena svegliato dopo tre giorni, non capivo proprio tutto di quello che leggevo. Però almeno adesso so perché mi aveva indebolito tanto.»

«Non sapevi nemmeno con chi avevi a che fare, vero?»

«E che vuol dire? Era debolissimo!»

«A parte che per il suo veleno.»

«Sì, a parte per quello.»

«Mi vuoi spiegare perché hai combattuto contro un demone, per favore?»

«Va bene, ma prima ricordati che sono ancora gravemente ferito, e poiché sono stato curato da te, sei il mio medico. Ed un medico serio non colpirebbe mai un suo paziente in via di guarigione, giusto?»

«Continua…» intimò minacciosa lei.

Allora Siirist spiegò tutto ciò che era successo, e poi accadde esattamente ciò che si aspettava, il motivo per cui aveva fatto quella premessa, che evidentemente era stata inutile: Keira lo colpì con uno straordinario pugno in testa, sbattendolo a terra.

«Paziente convalescente…» tentò lui, con voce strozzata.

«Sei un cretino!»

«Bastava dirlo a voce, non servono i pugni!»

 

Dopo un po’ che lo insultava, Keira si era impietosita per Siirist e lo aveva invitato a stare a cena, ma ben presto se ne pentì perché Siirist, vorace di suo, era incredibilmente affamato e divorò metà dispensa. Dopodichè il ragazzo si diresse a casa, ringraziando caldamente Keira ed i genitori.

‹Ora sono guai…›

E bussò alla porta. Sentì un movimento frettoloso all’interno della sua abitazione ed i genitori si precipitarono alla porta. Per qualche momento fissarono il figlio, mentre lui ricambiava con un sorrisetto da angelo, che però non servì a molto. I Ryfon continuarono a guardare Siirist con un’aria tra il preoccupato e l’incazzato oltre ogni misura. Fu il padre a parlare per primo.

«Dove diavolo saresti stato? E cos’è quel cerotto?»

Lieto che il padre glielo avesse chiesto, Siirist aveva trovato la scusa perfetta.

«Sono stato attaccato da quel demone, e poi salvato da un guerriero emigrante. Non mi ha detto il suo nome, ma dopo che ero quasi morto ha ucciso il mio assalitore e poi mi ha curato.»

In un secondo, i Ryfon abbandonarono qualsiasi sguardo truce avessero avuto precedentemente, per poi abbracciare con affetto il figlio.

è stato facile! Non c’è che dire, sono un genio!› pensò il ragazzo compiaciuto di sé per la trovata così geniale.

 

 

~

 

 

Nota: Cyrodiil è esattamente come in Oblivion, a parte che per piccoli dettagli, tranne che è ruotata. Per capire come sono posizionate le città e tutti gli altri posti, basta trovare su internet una mappa di Cyrodiil e poi immaginarla ruotata di 90° verso destro, per cui il cancello ovest di Skingrad diventa il cancello nord.

 

Ringraziamenti:

Ringrazio caldamente Prof sia perché è stata la prima a recensire (ma dove sono finiti i lettori della storia di prima??), sia perché, su quattro storie che ho scritto, questa è l'unica costruttiva che abbia ricevuto. Cercherò di stare attento sulle cose che mi hai detto, però è veramente una palla rileggere i capitoli! Specie quando sono così lunghi (ho iniziato a rileggerlo alle 21:00 e poi mi è venuto il mal di testa, per cui sono andato a letto. Ora sono le 04:38 e sto scrivendo questo commento!)! Pensa che il primo capitolo doveva chiamarsi IL RICHIAMO DEL SANGUE perché dovevo arrivare al 3 luglio, cioè la fine del prologo, ma poi mi sono accorto che avevo già scritto dodici pagine, per cui era meglio dividere. E anche stavolta ho dovuto rimandare IL RICHIAMO DEL SANGUE al prossimo perché se no avrei fatto qualcosa di una trentina di pagine! Comunque tra Siirist e Keira non c'è assolutamente NULLA se non pura amicizia, proprio come viene detto. Il vero amore di Siirist deve ancora arrivare, e renderò la sua conquista molto più interessante di come ho fatto nella prima edizione. La presenza di oggetti come divani e sveglie non è affatto discordante, anche se la città in cui vive Siirist al momento è arretrata tecnologicamente. Ma è così solo perché è una delle Città Antiche, come verrà spiegato più avanti. Se non dovessi effettuare ulteriori modifiche nell'ordine dei capitoli, nel sesto ci sarà una precisa spiegazione del mondo in cui si svolge la storia. Anche se già un accenno ci sarà nel quarto. A proposito del perché Siirist vuole diventare cavaliere, è un po' per lo stesso motivo per cui Ryuuk lascia cadere il Death Note sulla Terra. E' scritto proprio all'inizio: “Sognava di draghi e Cavalieri, di diventarne uno lui stesso, un grande eroe come il suo lontano antenato, e di combattere e sconfiggere i malfattori e salvare belle fanciulle”. Vuole diventare un famoso eroe, ammirato da tutti, vuole salvare belle fanciulle per poi portarsi a letto pure loro, ecc. Certo, cambieranno un po' di cose quando, effettivamente, toccherà un uovo (e non uno a caso, bensì uno molto speciale, che viene pure menzionato nel primo capitolo dalla signora Vaan) e da esso nascerà il suo drago, specialmente perché inizierà a capire l'importanza del suo ruolo. Tornando al paragone con Ryuuk, comunque, Siirist vuole diventare Cavaliere solo per divertirsi, perché, appunto come Ryuuk, si sta annoiando. Spero di trovare un altro commento e anche di trovare presto la nuova parte di Peter L!

Ricordo a tutti gli altri lettori che recensire NON FA MALE ALLA SALUTE.

 

Il prossimo capitolo si intitola IL RICHIAMO DEL SANGUE

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IL RICHIAMO DEL SANGUE ***


IL RICHIAMO DEL SANGUE

IL RICHIAMO DEL SANGUE

 

A partire dalla mattina del giorno dopo, in tutta Skingrad era girata la voce che Siirist era stato attaccato dal grem e che era poi stato salvato da un misterioso guerriero errante. Mentre la maggior parte della gente era colpita dal fatto che Siirist si fosse ripreso così bene dal veleno del demone, c’era una certa checca che, con la sua fastidiosa voce da gallinella, andava in giro a dire che se fosse stato lui, avrebbe ucciso il demone in dieci secondi. Dopotutto era risaputo che Siirist non era bravo con la spada, visto che era andato implorando da lui a chiedergli di insegnargli a maneggiarla.

«è vero che hai chiesto a Hermeppo Vaan di insegnarti ad usare una spada?»

Siirist si trovava nel retrobottega dell’armeria di Hans, intento a lucidare uno scudo di acciaio orchesco. Improvvisamente, il fabbro alzò la testa dalla freccia su cui stava lavorando per guardare il ragazzo, e poi porgli la domanda.

«Come? Ah sì, è vero.» rispose distrattamente Siirist, per poi riprendere a lavorare.

«Mi prendi in giro?»

«No, no, sono serio.» disse con la stessa attenzione di prima, senza levare gli occhi dallo scudo.

«Ma quell’essere dalla sessualità ambigua è un incapace!» si lamentò ancora Hans.

«Lo so. Ma non avevo niente da fare e mi sono voluto divertire un po’.»

«Ti rendi conto che adesso sarai lo zimbello di tutti i ragazzi di Skingrad, sì?»

«Non mi interessa.»

Una decina di minuti dopo, Siirist ripose il panno che aveva usato e adagiò delicatamente lo scudo su una rastrelliera.

«Bene, allora io vado.»

«D’accordo, a domani.»

Uscendo, Siirist roteò il braccio destro, così da riabilitare la spalla. Gli faceva ancora male, ma stava migliorando. Ciò che lo disturbava maggiormente era il fatto che la spalla in quelle condizioni lo metteva in difficoltà per la rapina. Si diresse verso casa, dove iniziò subito i vari esercizi che gli avevano detto di fare in ospedale.

«Siirist, è ora della pozione!» lo chiamò la madre.

«Sì, lo so, arrivo. Finisco gli esercizi e scendo subito.»

Dopo alcuni minuti, il ragazzo andò in cucina e prese la boccetta rosa che gli porgeva la madre. Essa conteneva una pozione medicinale atta a velocizzare il processo di cicatrizzazione. Non era particolarmente potente, però, visto che doveva prenderla una volta al giorno per una settimana intera. Di questo passo, avrebbe potuto svaligiare villa Vaan solo dalla notte del 2 in poi.

‹Beh, preciso, proprio in tempo per il mio compleanno. A proposito di pozioni, devo portare quelle che ho rubato alla guardia al castello al negozio alchemico. Lo farò in giornata.›

 

Più tardi, nel primo pomeriggio, Siirist uscì di casa munito di ago e filo e si diresse verso il cancello sud. Non poteva infatti utilizzare quello nord, anche se più vicino al rifugio, perché avrebbe incontrato i genitori alla vigna che gli avrebbero chiesto cosa stesse facendo in giro. Se c’era una cosa conveniente riguardo alla ferita alla spalla, era che era stato esonerato dal lavorare nel campo.

Arrivato nella sua grotta, accese tutte le lanterne per vedere meglio, prese il sopra della sua armatura in cuoio ed iniziò a ricucire i buchi. Sarebbe dovuto anche passare da Hans per prendere nuove imbottiture di cuoio, ma al momento non aveva i soldi.

‹Non sarà un problema dopo la visitina dai Vaan.› ridacchiò.

Finito di riparare l’armatura, il ragazzo prese le due pozioni e ritornò in città. Andò subito al negozio alchemico, che si trovava nella sua stessa via.

«Buongiorno, Elric.»

«Buongiorno a te, Siirist. Come posso aiutarti?»

«Vorrei che mi analizzassi queste due pozioni.»

«E da dove sarebbero scappate fuori, stavolta?»

«Me le ha regalate il guerriero errante che mi ha salvato dal demone.» rispose prontamente Siirist.

«Ah sì, certo. Dai qua, fa’ vedere.»

Siirist appoggiò i due oggetti sul bancone ed il negoziante le prese. Come di consueto, il ragazzo osservò ammirato il medio sinistro dell’uomo, in particolare l’anello con il grosso zaffiro che portava.

«Ti piace, eh?»

«Come? Oh sì, proprio un bell’anello.» commentò Siirist, imbarazzato: colto sul fatto!

«Ne vuoi uno? Me lo ha regalato un mio amico, è una sorta di segno di riconoscimento per il nostro… – parve riflettere sulla parola da usare – gruppo di amici.» disse infine.

«Davvero? E che gruppo è?» Siirist era estasiato.

«Mah, gente interessante. Se vuoi posso mandare a chiamare questo mio amico. Potrà essere qui tra due settimane.»

«Magari!»

In quel momento a Siirist cadde l’occhio su un drappo che non aveva mai visto fino a quel momento, uno che stonava completamente con il resto dell’arredamento. I colori della casa, infatti, erano tutti sul verde acqua e sul celeste, mentre quello era un rettangolo nero con in mezzo un occhio grigio.

«Cos’è quello? Non l’ho mai visto.»

«Ma è sempre stato lì.» rispose tranquillamente Elric.

«Sarà…»

L’alchimista sorrise, e si rimise al lavoro.

Dopo circa una ventina di minuti, questi richiamò Siirist, che intanto si era seduto su un divano, e lo informò che le due pozioni erano una un liquido che avrebbe sciolto qualsiasi tipo di metallo non incantato, l’altra una bevanda che, ingerita, proteggeva il corpo di chi l’avesse bevuta da qualsiasi tipo di fuoco, che però non fosse potente come quello di un drago, ad esempio.

«Grazie mille! A proposito, non è che avresti un’altra pozione di fumo da cinque secondi?»

«Certo, eccoti qua.»

«E, senti… al momento non ho i soldi, ma ti pagherò tra una settimana, ok?» era un po’ imbarazzato.

«Allora sai che facciamo? Te la regalo! Insieme anche a questa qui: – e prese una boccetta di vetro nero – ti rende invisibile per un minuto. Oltre a te rende invisibile anche tutti gli oggetti che tocchi, quindi vestiti, armi, ma solo quelli che hai nel momento in cui la bevi.»

Siirist era a bocca aperta.

«Davvero?!»

«Certo. A patto che ti incontrerai con questo mio amico.»

«Ma certo, ho già detto di sì!»

«Era per essere sicuro. D’accordo, allora ci rivediamo qui tra due settimane.»

«Certo!»

Quando Siirist fu uscito, Elric prese carta e penna, così iniziò a scrivere una lettera al suo “amico”:

 

Siirist era felice oltre ogni immaginazione: quella pozione di invisibilità era proprio ciò che gli mancava. Ma era un oggetto estremamente prezioso, per cui sarebbe stato attento ad usarla. Sapeva invece come mettere subito a buon uso la pozione corrosiva, però doveva accertarsi che la grata del camino non fosse incantata. Andò quindi al negozio di articoli mistici, chiedendo al negoziante se possedeva un qualche oggetto che rivelasse la presenza di un incanto di qualunque sorta. Il proprietario del negozio gli mostrò un medaglione.

«Questo diamante che c’è al centro, se l’amuleto viene accostato a qualcosa che sia protetto da un incantesimo, si tinge di blu. Può andare?»

«Sì, perfetto. Quanto costa?»

«Settemila guil.»

«Sì, un attimo… Non è che me lo potete mettere da parte, che ripasso più tardi con il denaro?»

«Sì, certamente.»

Siirist andò subito da Hans, con la faccia più tenera che potesse fare, sperando che il fabbro non gli rispondesse con la balestra.

«Che vuoi…?» domandò questi poco convinto.

«Non è che… insomma… mi potresti prestare dei soldi fino alla settimana prossima…»

«Quanto…?»

«Sette…»

«Sette…?» Hans si stava innervosendo.

«Sette monete…»

«Sette monete…?» sempre di più.

«… d’oro…» completò Siirist con un filo di voce.

«Cosa?! Ma stiamo scherzando?! A che ti servono tutti quei soldi?»

«Perché devo comprare una cosa della massima importanza! Dai, fra una settimana te li restituisco! È il mio compleanno!»

«Tra otto giorni.» precisò il fabbro.

«Ti prego!»

Hans iniziò a smanettare sotto il bancone, e Siirist temette che stesse prendendo la balestra. Invece stava aprendo la cassaforte, da cui estrasse il denaro richiesto.

«Lo rivoglio qui il due mattina.»

«Ehm… facciamo il tre mattina?»

«Il tre è tra otto giorni, non sette. Tu hai detto una settimana e dunque li rivoglio tra sette giorni contando oggi.»

«Sì, d’accordo…»

Siirist prese rapidamente i soldi ed uscì dall’armeria prima che il fabbro cambiasse idea, annotandosi mentalmente di passare tutto il giorno del 2 luglio nel suo rifugio. Ritornò subito al negozio di oggetti mistici e acquistò il medaglione.

‹Stasera verifico se la grata è incantata. Se non lo è sono a posto, e anche se lo fosse questo amuleto mi tornerà utile in futuro. Però in quel caso dovrò escogitare qualcos’altro per entrare dai Vaan.»

 

La notte, sempre intorno alle due, Siirist sgattaiolò fuori di casa. Questa volta però senza indossare gli abiti da ladro, perché con la spalla in quelle condizioni, non sarebbe mai riuscito a fuggire dalle guardie se lo avessero individuato. Così si mise a camminare tranquillamente in mezzo alla strada, salutando chiunque incontrasse. Se gli veniva chiesto perché fosse in giro a quell’ora, rispondeva che non riusciva a prendere sonno e che gli andava di fare quattro passi per sgranchirsi le gambe. Arrivato alla casa dei Vaan, controllò che nessuno lo potesse vedere per poi entrare furtivamente nel cortile posteriore, dove si trovava il camino della cucina. Allora con difficoltà si arrampicò sull’edera e dopo qualche sforzo arrivò in cima. Con il cuore che gli batteva, Siirist tolse il medaglione dal collo e lo accostò alla grata. La pietra al suo centro rimase bianca.

‹Sì!› gli occhi del ragazzo si illuminarono della solita luce sinistra, mentre sorrideva malignamente.

Era fatta.

Balzò a terra e riprese a camminare per la via principale, per poi percorrere tutta Skingrad. Doveva sembrare che stesse davvero camminando in giro, perché se no sarebbe stato sospetto se fosse solo andato a villa Vaan e poi tornato.

Rientrato in casa, richiuse silenziosamente la porta e girò la chiave, per poi salire in camera, spogliarsi e stendersi. Prima di chiudere gli occhi ripensò per la prima volta al suo scontro con il demone grem. Non riusciva ancora a capire cosa fosse stata quell’energia che gli aveva permesso prima di prevedere il movimento dell’avversario, poi di dargli una forza tale da stritolargli l’avambraccio. Ricordava solo come si sentiva: desideroso di continuare a vivere con tutta la sua forza per riuscire a raggiungere l’obiettivo a cui ambiva, e per raggiungerlo egli necessitava di diventare più forte, essere il migliore. Era un’ambizione grande la sua, ma era sicuro che ci sarebbe riuscito. Siirist si rigirò su un fianco, continuando a riflettere su quel momento, domandandosi se il misterioso potere fosse in qualche modo legato a ciò stava pensando, cioè alla sua ambizione. Con sempre la stessa incognita in testa, il ragazzo si rigirò nuovamente, per poi addormentarsi sulla schiena.

 

Era il due pomeriggio e Siirist si trovava nel suo rifugio, come aveva fatto per l’intera giornata, così da evitare Hans. Già se lo immaginava corrergli dietro con un’ascia bipenne, ruggendo come un leone. Non sapeva perché, ma improvvisamente gli venne in mente Hermeppo che armeggiava con la sua spada emettendo un verso da gallina. Che strani poteri che aveva l’associazione di idee!

La sua spalla era ormai perfettamente guarita, anche se gli era stato consigliato di non sforzarla troppo per almeno un’altra settimana, come se lui avesse tempo da perdere.

è il mio compleanno tra poche ore e voglio il mio regalo in tempo!›

Durante tutto il resto della giornata era stato a preparare il suo equipaggiamento: la corda con il rampino uncinato; la cintura reggente un pugnale di acciaio cyrodiiliaco; la saccoccia con le tre pozioni, ma aveva inserito quella dell’invisibilità, quella corrosiva, contenuta in una boccetta verde smeraldo, e quella di fumo da cinque secondi; il suo kit da scassinatore; il tutto disposto su un tavolo, accanto agli abiti che avrebbe indossato, cioè una maglietta a maniche lunghe, dei pantaloni, degli stivali, dei guanti ed una maschera completamente neri.

Quando arrivarono le otto di sera, mangiò le provviste che aveva nel rifugio, carne secca, pane e soprattutto frutta: un pasto leggero ma nel complesso sostanzioso.

Subito dopo cena, iniziò ad allenarsi facendo dei movimenti che avrebbe ipoteticamente dovuto compiere, per poi riposarsi, e dormire un po’.

 

Alle una e mezza suonò la sveglia e Siirist si destò immediatamente. Mangiò due mele, si lavò i denti utilizzando un lavabo ed una brocca d’acqua, orinò in una fossa che si trovava nel fondo della grotta, e poi si vestì, per poi fare un po’ di riscaldamento e stretching.

Erano le due meno dieci quando uscì dal rifugio e si diresse al buco delle mura. Con cautela vi entrò, per poi dirigersi verso villa Vaan. Si arrampicò su per l’edera ed arrivò al camino. Allora prese la pozione corrodente e la versò sulla grata. Con piacere la osservò sciogliersi, fino a che non rimase niente del metallo. Allora prese la corda, che aveva arrotolato e indossato a tracolla, e fissò l’uncino ai mattoni, per poi buttare giù la corda e calarsi. Era appena entrato nel camino quando notò che c’era ancora un po’ di metallo che si stava corrodendo: si trovava in mezzo a due mattoni, e Siirist capì: le viti erano nascoste dai mattoni superiori. Era stata una fortuna che avesse trovato quella pozione, perché se no non avrebbe mai pensato che le viti avessero potuto essere lì.

Giunse in cucina e, ricordandosi la disposizione dei vari mobili, si mosse agilmente anche al buio, arrivando alla porta che conduceva al piano terra senza alcuna difficoltà. La spinse leggermente per poter osservare l’area successiva e vide una stanza semi illuminata grazie alla luce dei lampioni che penetrava dalle grandi finestre. E lì incontrò la sua prima difficoltà: le guardie. Erano due che camminavano per la sala, e Siirist sfruttò il momento in cui entrambe non guardavano nella sua direzione e entrò, richiudendo poi la porta con il massimo del silenzio, per poi correre verso un punto ombroso. Grazie ai suoi abiti era un tutt’uno con il pavimento, su cui si era sdraiato a pancia sotto, osservando i due uomini armati. Uno portava una spada bastarda, l’altro una mazza ad una mano. Siirist studiò i loro movimenti, e scattò al momento giusto fino ad un altro punto d’ombra. Ripeté l’operazione altre due volte, eludendo così le sentinelle e riuscendo a raggiungere il primo piano, dove andò subito a destra, dove c’era solo il grande tappeto a terra. Siirist lo scostò e rivelò, come aveva sospettato da subito, la cassaforte. Tolse il suo kit dall’avambraccio destro e lo appoggiò a terra, srotolandolo. Prese il cacciavite e la forcina ed iniziò ad armeggiare con la serratura, fino a che non sentì un leggero “click”. Allora la aprì e si trovò sotto agli occhi la quantità di denaro più grande che avesse mai visto.

‹Tanti auguri a me!›

Prese uno dei sacchetti che vi erano all’interno e lo riempì con tutto quello che c’era contenuto, comprese gemme, anelli e collane, ma fu pieno che ancora mancava molta roba, per cui ne utilizzò un secondo e per finire un terzo.

‹Con questo sono a posto fino all’anno prossimo!›

Però non poteva andare su in camera di Hermeppo con tutte quelle monete con sé, avrebbero fatto rumore, per cui nascose i sacchi sotto ad un divano, dopo aver richiuso la cassaforte e risistemato il tappeto. Successivamente rilegò il kit al braccio per poi percorrere rapidamente le successive rampe di scale ed arrivare al piano notte.

‹Però, riflettendoci, i genitori potrebbe avere altri gioielli in camera. E poi sarebbe sospetto se visitassi solo la stanza di Hermeppo.›

Così entrò prima nella porta adiacente a quella della gallinella, scoprendo la stanza da letto dei signori Vaan. Vi entrò e frugò ovunque, facendo il massimo dell’attenzione a non fare rumore. Trovò la scatola dei gioielli, ovviamente meno preziosi di quelli in cassaforte, e li prese tutti, infilandoli nelle varie tasche dei pantaloni. Fatto questo, andò nella stanza del figlio e prese le due armi per cui aveva organizzato il colpo. Mise la spada a tracolla ed il pugnale alla vita.

Subito dopo ritornò al primo piano e riprese i tre sacchi che aveva lasciato, per poi ingerire la pozione dell’invisibilità. Era assai carico, per cui non sarebbe riuscito a muoversi senza fare rumore, così che decise che era meglio tramortire le guardie. Sguainò il suo pugnale di acciaio cyrodiiliaco e colpì una dopo l’altra le guardie alla testa con il pomolo. Caddero come mele mature dall’albero. Purtroppo per lui, però, quella era l’ora del cambio della guardia e arrivarono le altre due, tra cui Dhorn. Subito corsero dai compagni per assicurarsi che stessero bene, mentre Siirist, invisibile, si diresse verso la porta segreta nel seminterrato.

La stava aprendo quando l’effetto della pozione svanì, e si sentì una spada affilata accanto al collo. Si girò preoccupato e vide davanti a sé proprio Dhorn. La guardia osservò la refurtiva del ladro e, vedendo le armi di Hermeppo, capì.

«Sei tu, Ryfon, vero? È per questo che hai finto di necessitare una lezione di scherma con Hermeppo, per poter entrare in casa.»

«Beccato…» rispose ridacchiando Siirist.

«Ehi, tu! Fermo lì! Dhorn, tienilo bloccato!» urlò l’altra guardia, accorrendo a sguainando la sua spada.

«Svelto, dammi un calcio e fammi cadere. Odio i Vaan, sono contento se li derubi, specie Hermeppo!»

Siirist inizialmente rimase interdetto, ma poi, vedendo che l’altra guardia era già per le scale, fece come gli aveva detto Dhorn, e lo spinse  con una pedata al petto. Casualmente, l’uomo, nella sua caduta, travolse il compagno. Così Siirist poté fuggire più veloce che mai, diretto verso il buco nelle mura. Fu avvistato da una guardia che però lo perse di vista quando Siirist sparì oltre la roccia.

Il ragazzo raggiunse sano e salvo il suo rifugio, e soprattutto ricco. Stremato si accasciò su un cuscino, e, accostata una lanterna, iniziò a contare i soldi. Rovesciò il contenuto dei sacchi sopra ad un tavolo e separò tutti gli oggetti preziosi mettendoli su un altro tavolino, al cui mucchio aggiunse anche i gioielli che aveva in tasca. Poi si dedicò al denaro, separando le monete in quattro mucchietti: oro, argento, bronzo e rame. Per sua somma gioia, le monete di rame erano solo dodici, mentre la maggior parte era d’argento, subito seguite da quelle d’oro e poi da quelle di bronzo, in netta inferiorità. Siirist contò prima le monete d’oro, che si rivelarono essere quaranta, quelle d’argento erano sessanta, quelle di bronzo venti.

‹Quindi, in tutto fa quarantamila, – disse osservando le monete d’oro  – più seimila, – e guardò quelle d’argento – più duecentododici – stavolta rivolgendo la sua attenzione alle monete di bronzo e di rame. Ho appena rubato 46212 guil ai Vaan!»

Urlando di gioia, Siirist si buttò su un cuscino, rotolandosi nella felicità. Senza contare le armi di Vetro e tutti gli oggetti preziosi!

‹Tra anelli e collane con gemme incastonate a pietre da sole avrò fatto all’incirca altre cinquantamila monete d’oro!›

Siirist subito mise tutti i gioielli in un cassetto in cui aveva riposto gli altri oggetti preziosi che aveva rubato in tutti gli anni di furti, ma che non erano niente rispetto a tutto quello che aveva preso quella notte. Poi ripose con cura le armi sulla rastrelliera, specialmente quando si trattava delle nuove aggiunte.

Si stava per spogliare e buttare sul suo cuscino preferito quando fu come colto da un fulmine. Con immenso orrore, si ricordò che aveva dimenticato la corda nel camino. Così corse in fretta verso la rastrelliera della armi e prese le due fasce di coltelli da lancio che legò nuovamente alle cosce, la spada ed il pugnale di Vetro.

‹Dannazione, ho comprato quel rampino tre mesi fa, il venditore si ricorderà sicuramente di averlo venduto a me!› pensò mentre correva verso il varco nel muro. Con attenzione guardò tra l’edera e vide una moltitudine di soldati che pattugliavano lì intorno.

«Il ladro è sparito qui da qualche parte. Bisogna trovarlo!»

‹Merda!›

Era impossibile muoversi in mezzo a tutti quei soldati senza che lo notassero, per cui decise di attaccare quello che sarebbe passato più vicino all’edera. Colpì quando le altre guardie erano più lontano, attaccando alle spalle e tappando la bocca alla sua vittima con la destra, mentre con la sinistra gli colpì duramente il trapezio, tramortendolo. Allora lo portò dall’altra parte del buco, gli tolse armatura ed elmo e li indossò. Erano un po’ troppo grandi, ma se si fosse mosso rapidamente non se ne sarebbe accorto nessuno. Si avviò subito verso villa Vaan, camminando a testa bassa per nascondere la faccia mascherata, giungendo a destinazione. Non c’era nessuno in giro, per cui poté arrampicarsi sull’edera ed arrivare in cima al camino, dove ancora si trovava la sua corda agganciata. Con immenso sollievo il ragazzo la prese, la arrotolò a si avviò nuovamente verso il buco delle mura. Ma accadde qualcosa di imprevisto.

«Tu! Cos’hai con te? Cos’è quella corda, dove l’hai trovata?» domandò una guardia, che Siirist vide essere un superiore.

Siirist ignorò la domanda e accelerò il passo. Ma l’altro non demorse e continuò a urlargli dietro, attirando sempre di più l’attenzione  degli altri soldati. A quel punto Siirist non aveva altra scelta: doveva scappare. Iniziò a correre a gambe levate con tutte le guardie di Skingrad alle calcagna, quando passò accanto al negozio di alchimia. Vide improvvisamente aprirsi la porta posteriore ed Elric ne uscì, agguantandolo e portandolo in casa, per poi richiudere la porta. L’uomo tenne una mano sulla bocca di Siirist, mentre con il resto del corpo gli bloccava i movimenti, almeno fino a quando i soldati non passarono oltre. Allora lo liberò, rivolgendo al ragazzo uno sguardo duro.

«Che diavolo pensavi di fare, tornando sul luogo del crimine?»

«Che intendi dire?»

«Siirist, basta con le sceneggiate. Sono un affiliato alla Gilda dei Ladri e ti sono stato ad osservare negli ultimi tempi. Devo ammettere che sei stato bravo, ho capito che eri tu solo sei mesi fa, e sono anni che ti dai da fare, se non sbaglio. Inoltre non sono ancora riuscito a trovare il posto in cui nascondi la tua refurtiva. Sei stato molto bravo a nascondere le tracce.» si complimentò Elric.

«Tu… sei un membro della Gilda dei Ladri??» Siirist era senza parole.

«Perché ti avrei regalato quelle pozioni, se no? E a proposito del drappo che hai visto oggi, quello nero con l’occhio grigio, è sempre stato lì, come ti ho detto, ma non l’avevi mai notato perché è protetto da un particolare incantesimo. Può essere visto solo da chi sa che c’è o che è in cerca della Gilda per motivi che non siano pericolosi per la Gilda stessa. Saresti interessato ad entrare, vero?»

«Beh…» effettivamente era la seconda opzione dopo quella di Campione dei Guerrieri.

«E anche l’anello è un segno di riconoscimento per gli affiliati: se due anelli della Gilda si avvicinano, sulla gemma compare il nostro simbolo, cioè l’occhio grigio.»

«Sì, capisco.»

«Dopo che sei andato via quest’oggi, ho inviato una lettera al mio Doyen, cioè il mio capo, colui che prende gli ordini dalla Volpe Grigia e che poi contatta i vari ladri. Tra due settimane sarà qui e ti sottoporrà ad una prova, perché tu possa essere un membro.»

«Ascolta, è molto gentile da parte tua, ma anche se è vero che desidero entrare nella Gilda dei Ladri, è solo la mia seconda scelta. La prima è di diventare il Campione della Gilda dei Guerrieri!»

Elric ridacchiò.

«Capisco. Beh, non preoccuparti, nessuno ha mai detto che non puoi far parte di entrambe le Gilde! Basta che non si scopra in giro che sei anche un ladro! Ti informo che anche un membro della filiale di Skingrad della Gilda dei Guerrieri è uno di noi.»

«Ah sì? E chi è?»

«Dhorn. Credo che vi conosciate.»

«Ecco perché mi ha fatto fuggire, allora! Ma lui è un membro della Gilda dei Guerrieri? Che ci faceva a far la guardia in quella casa, allora?»

«I Vaan hanno pagato la Gilda perché mandasse loro quattro persone a svolgere l’incarico di far loro da guardie, e lui ha richiesto espressamente di essere scelto, e da oltre un anno ci ha fornito le informazioni necessarie perché potessimo poi rapinarla, ma da quando ho capito che il ladro della città eri tu, il piano originale per villa Vaan è stato sostituito con quello di reclutarti. Eravamo sicuri, infatti, che lasciandoti piede libero avresti prima o poi rapinato anche quella casa. E così hai fatto. Se fossi riuscito a fuggire senza che nessuno si accorgesse di te, saresti stato accolto nella Gilda senza ulteriori verifiche, ma poiché sei stato sia individuato, sia hai dimenticato un oggetto sul luogo del delitto, hai fallito il test, e dovrai essere esaminato dal Doyen.»

«E se non volessi entrare nella Gilda?»

«Perché non dovresti? Puoi continuare con la tua solita vita in ogni caso, in più avrai dalla tua l’assistenza della Gilda per qualsiasi colpo tu voglia fare. Oltretutto ogni membro ha il diritto di accedere a vari ricettatori che potranno occuparsi di piazzare e rivendere gli oggetti rubati, in cambio del 20% del ricavato. Le uniche condizioni sono che dovrai dare il 10% degli incassi di ogni furto alla Gilda e dovrai svolgere le missioni che ti verranno affidate di volta in volta. In più tieni a mente questo: la Gilda non ama i ladri che lavorano da soli, per cui o ti unisci a noi, o verrai eliminato.»

«Non mi pare di avere altra scelta. Ma non mi piace questa tassa del 10%. Con “alla Gilda” intendi che i soldi vanno alla Volpe Grigia?»

«No, lui si prende la metà, cioè il 5%. Il resto va, come ho detto, alla Gilda, per poter comprare il cibo che si trova nei vari rifugi sicuri, oppure anche le armi e gli oggetti speciali che verranno di volta in volta prestati ai ladri che dovranno affrontare particolari missioni. Con il 10% dei tuoi furti, in sostanza, paghi da mangiare al nostro capo e finanzi l’intera società.»

«Non sborserò un centesimo di quello che ho rubato fino ad ora. Non ti immagini la fatica e non ho avuto alcun supporto da voi!»

«Ma non ti è richiesto di farlo, infatti. Solo credo che vorrai rivendere i gioielli che hai rubato, no? E per questo ti servirà il ricettatore.»

«Effettivamente questo potrebbe far comodo.»

«Allora vuoi entrare?»

«Ho altra scelta?»

«No.»

«Come si può resistere ad un’offerta così generosa?» ironizzò Siirist.

Elric ridacchiò, dando una pacca sulla spalla al ragazzo.

«Ora vieni.»

Siirist fu accompagnato nel seminterrato, dove si trovava una botola. Il ladro la aprì e vi fece passare Siirist. Il ragazzo scese la scala a pioli e si ritrovò in un sotterraneo. Quando scese anche Elric, questi guidò il giovane lungo vari cunicoli, giungendo infine in una stanza centrale, illuminata da varie lampade ad energia.

«Il sistema energetico è autonomo, separato da quello della città, così che non ci possono rintracciare.» spiegò Elric.

Siirist si guardò intorno meravigliato: il soffitto a volte era tappezzato da drappi neri raffiguranti l’occhio dei Ladri e altri, sempre neri, con al centro un teschio rosso.

«Quello, Siirist, è il simbolo della Confraternita Oscura.»

A quel nome, Siirist fu preso da uno sconforto mai provato prima, nemmeno quando era sotto l’influsso dell’Intimidazione del grem.

«Oh, tranquillo, sono persone per bene. Sai che siamo entrambi, ovviamente segretamente, alleati dell’Ordine dei Cavalieri? Questa è una cosa che scoprono i Cavalieri solo quando hanno completato il terzo anno di addestramento. Oltre a loro, sono a conoscenza di questo segreto solo l’Imperatore ed il re degli elfi.»

«Come mai siete alleati?»

«Perché sia noi che la Confraternita possiamo arrivare dove i Cavalieri non possono. La Gilda dei Ladri viene utilizzata per missioni di ricognizione, la Confraternita Oscura, invece, per incarichi più, come dire… delicati, non so se mi spiego.»

«Sì, benissimo.» annuì nervoso Siirist.

«Elric, chi ci hai portato? Il vostro nuovo membro, quello di cui parli tanto?»

Si era avvicinato un uomo alto, dai corti capelli neri e la pelle chiarissima. Indossava un’armatura nera di cuoio e borchie d’acciaio. Alla vita teneva un pugnale dall’impugnatura ricurva e sul pomolo era raffigurato un teschio.

‹Un assassino…!› si spaventò Siirist.

«Ehi, tranquillo! Non sei sulla lista, e poi ora siamo compagni, no?» scherzò l’assassino, notando lo sguardo del ragazzo.

«Quando non lavoriamo per l’Ordine, la prima regola della Gilda dei Ladri è di non rubare ai poveri, ma solo ai ricchi che non risentirebbero del danno. La Confraternita Oscura, invece, riceve il nome delle sue vittime dall’Uditore, il loro capo, che li prende direttamente dal dio Sithis. Ma queste sono sempre persone di indole malvagia. Quando viene scoperto un cadavere ucciso dalla Confraternita, i Cavalieri subito smettono di occuparsene, anche se fanno finta di continuare ad indagare e a collaborare nelle ricerche.»

Siirist si tranquillizzò dopo aver saputo questa verità.

«Ma attorno alla Confraternita Oscura girano delle voci terribili!»

«Ed è così che deve essere, per intimidire la gente. Quell’assassino che hai appena visto è un mio carissimo amico e da poco ha avuto una bambina. Dubito che ci siano altri padri affettuosi quanto lo è lui.»

«Ah sì, ho capito chi è! Temo di dovergli restituire un po’ di denaro…»

«Effettivamente otto mesi fa, dopo che aveva ricevuto una tua visita, era furioso perché era stato derubato e diceva che avrebbe ucciso il responsabile. Ma si è calmato, non preoccuparti. Basta che non gli rubi più! Quando arriverà il Doyen ti spiegherà tutto il regolamento sui furti e allora capirai a chi puoi e a chi non puoi rubare.»

«D’accordo. Ma perché mi hai portato qui?»

«Per farti uscire dalle mura di nascosto. Credevi forse che quel buco nel muro fosse l’unico modo per uscire e entrare di nascosto a Skingrad? A proposito, lo abbiamo fatto io e qualche altro ladro. Contavo che lo trovassi, ma invece è stato quel demone. Questa è stata un’altra nota negativa nel tuo operato. Però ti sei rifatto, scoprendo che l’aveva trovata e facendolo uscire di galera. Presumo sia stato tu ad ucciderlo.»

Siirist annuì.

«Bene, i miei complimenti! E com’è stato uccidere per la prima volta?

«Se ci ripenso è stato brutto, però in quel momento pensavo più alla mia vita che alla sua.»

Elric rise ancora.

«Ora vieni, dobbiamo camminare solo per qualche altro minuto.» disse poi.

Poco dopo i due giunsero ad un’altra scala a pioli, che, come spiegò il ladro, conduceva a un buco nel terreno nascosto da un agglomerato di rocce. Allora il ragazzo la scalò, dopo aver salutato il nuovo amico, e si ritrovò infine all’aria aperta. Notò di trovarsi davanti alle mura ovest di Skingrad, per cui doveva andare dall’altra parte per raggiungere il suo rifugio. Dopo tre minuti, però, si accorse di essere seguito. Allora sguainò la spada e si lanciò sull’inseguitore, cogliendolo di sorpresa. Anzi, cogliendola di sorpresa. Si trattava difatti di una giovane ragazza con corti capelli neri che le arrivavano poco sotto le orecchie. Aveva due grandi occhi color nocciola ed un bel visino.

«Chi sei?» domandò Siirist, la spada alla gola.

«Sono un’aspirante per la Gilda dei Ladri, proprio come te. Mi hanno detto che se fossi riuscita a seguirti fino al tuo rifugio, sarei stata accettata.»

«Desolato, ma è segreto. Ora sparisci.»

«E se…» propose lei, sbottonandosi la camicia.

«Scordatelo.» rispose secco lui, incamminandosi.

«Ma mi avevano detto che sei un donnaiolo!» si lamentò la ragazza indignata.

«Non sei il mio tipo.»

«Cosa?!»

«Hai il culo un po’ piatto.» spiegò semplicemente Siirist, continuando a camminare.

La sconosciuta sbuffò di rabbia ed emise un verso che esprimeva tutto il suo fastidio, sbattendo le mani a terra.

«Torna al santuario e di’ a Elric che avrai bisogno di fare un’altra prova. Magari la facciamo insieme!» rise Siirist.

Quando finalmente arrivò all’entrata del suo nascondiglio, sicuro che non ci fosse nessuno, il ragazzo vi entrò, scendendo fino alla grotta.

 

Era ancora buio quando Evendil arrivò, la mattina del tre luglio, nei pressi di Skingrad. Il suo fedele Farn lo aveva portato durante tutta la notte, per cui lui non poteva che essergli grato.

Ancora un altro po’ e potrai riposare.› lo rassicurò mentalmente.

Lo stallone rispose felice, non vedendo l’ora di dormire.

Lo so, amico, lo so. Perdonami se ti ho fatto sforzare tanto, ma sai che è una questione della massima urgenza. Sarebbe pericoloso continuare il viaggio con Forza del Vento in queste condizioni.

Finalmente il bosco si diradò e davanti all’elfo e al cavallo comparve la città di Skingrad.

«Bene, siamo arrivati.»

Evendil sorrise e si grattò l’orecchio destro, scostando i capelli. Una leggera brezza si alzò, scompigliando la criniera di Farn e smuovendo il suo mantello di lana beige.

Il cavallo riprese il passo, arrivando nei pressi del cancello nord della città. Lì vide una ricca vigna, e vicino le scuderie. Ve ne erano due, una per lasciare i cavalli e i chocobo privati, l’altra che li noleggiava. Farn si diresse verso la prima ed Evendil smontò. Gli si avvicinò subito il proprietario, inchinandosi quando lo riconobbe come elfo.

«è un onore per me, signore, occuparmi del vostro nobile destriero. Non ho mai avuto il privilegio di badare ad un cavallo elfico. Come si chiama?» disse emozionato.

«Farn. Vi prego, trattatelo con cura.»

«Ma certo.»

Prima di andarsene, Evendil prese un oggetto avvolto da una stoffa da una delle saccocce della sella.

«Signore, aspettate. Il cancello ora è chiuso, riaprirà solamente tra un’ora. Volete accomodarvi in casa mia e bere una tazza di tè?» chiese umilmente lo stalliere.

«Siete molto gentile.» rispose sorridendo Evendil.

«Prego.» si inchinò l’uomo, mostrando la strada all’ospite.

Quando giunsero sulla soglia, l’uomo chiamò la moglie che accorse subito, e le disse di intrattenere l’elfo mentre lui badava al cavallo.

«Siete entrambi molto gentili.» ringraziò sinceramente Evendil.

«No, vi pare? È un onore per noi avere in casa un nobile elfo come voi.» rispose imbarazzata la padrona di casa, intenta a mettere l’acqua a bollire.

 

Erano arrivate le sei, e dunque Skingrad aveva aperto le sue porte. Evendil ringraziò caldamente i due per averlo ospitato, e si diresse verso l’armeria. Ma la trovò chiusa, per cui lesse il cartello degli orari che diceva che sarebbe stata aperta dalle nove in poi. Così l’elfo chiese indicazioni ad una sentinella per la locanda, e ci andò. Affittò una camera e vi salì, per poi stendersi sul letto e riposarsi.

Ancora tre ore.

 

Erano le otto quando suonò la sveglia di Siirist. Così si alzò, finì la sua riserva di cibo per fare colazione, si lavò i denti ed uscì dal rifugio, portando con sé diecimila guil, sette in pezzi d’oro, il resto in monete d’argento e bronzo.

Uscì di soppiatto dalla grotta, per poi dirigersi verso l’ingresso al santuario della Gilda dei Ladri e della Confraternita Oscura. Quando arrivò nel nascondiglio, fu accolto dai vari affiliati della Gilda.

«Sei eccitato per la prova che dovrai sostenere?»

«Sei contento di diventare uno di noi?»

«Sarò onorato di averti come compagno! Ti ho visto all’opera e sei formidabile!»

«Così giovane eppure così abile!»

Ma quanta gente faceva parte della Gilda e della Confraternita? Il posto era affollatissimo, c’erano almeno venti persone: che tutta Skingrad facesse parte di una delle due organizzazione? No, impossibile!

«Ti serve qualcosa, Siirist?»

Il ragazzo si voltò e vide l’assassino del giorno prima.

«Sì, grazie, vorrei ritornare in città, ma mi pare brutto ripassare per casa di Elric. C’è un passaggio pubblico, per caso?»

«Sì, chiaro, seguimi.» rispose l’uomo, incamminandosi.

«Un’altra cosa, come mai c’è tanta gente quaggiù? Non è possibile che tutti gli abitanti della città siano dei ladri o assassini, anche perché non conosco la maggior parte della gente che ho visto.»

«Infatti molti sono da fuori. Le nostre organizzazioni ci portano a viaggiare, solitamente. Io, ad esempio, ero stanziato ad Anvil per una missione della massima importanza fino a sei mesi fa, ma ho fatto richiesta di tornare a casa perché mi stava per nascere una figlia, e così sono qui adesso. A proposito, sono Navare.»

I due si strinsero la mano.

«E con che scusa stavi ad Anvil? Non credo che tua moglie sappia che sei un assassino!»

«Infatti, come copertura faccio il mercante. E poi effettivamente lo sono, visto che collaboro con i ricettatori della Gilda dei Ladri per rivendere gli oggetti rubati, inoltre fornisco ad entrambi i nostri gruppi le armi quando servono per missioni speciali.»

«Allora posso dare a te tutti gli oggetti che ho rubato nei miei furti!»

«Sì, certo, soprattutto quelli che hai preso a casa mia.» disse vago l’assassino.

«Ah sì, ovviamente. Mi ero già detto di farlo!»

«Bene. Eccoci, siamo arrivati: questa scala porta al seminterrato della locanda. Il padrone è un ladro, per cui non avrà problemi nel vedere gente che gli esce dalla cantina, anche se forse è meglio che venga con te, visto che potrebbe attaccarti, dato che non sei ancora un affiliato.»

«Capisco.»

Ed i due salirono la scala a pioli, aprendo una botola e ritrovandosi nel piano inferiore della locanda di Skingrad. L’assassino guidò Siirist verso l’uscita, passando accanto al bancone, e salutò il locandiere, che però era impegnato un cliente. E il ragazzo osservò con tutta la meraviglia di questo mondo tale cliente: era alto, all’incirca 1,90 m, e aveva lunghi e fluenti capelli castano chiaro che ricadevano delicatamente sulle spalle, arrivando a metà schiena; erano ordinati e puliti, non ve ne era uno fuori posto, in fondo erano perfettamente pari. La fronte era ampia e spaziosa, con le sopracciglia di un colore più scuro dei capelli, un naso leggermente a punta ed una bocca sottile. I capelli tenuti elegantemente fuori dal viso passavano dietro alle orecchie: orecchie a punta.

‹Un elfo…!› ammirò colpito il giovane.

L’elfo era vestito completamente di seta verde, i calzoni di una tonalità più scura rispetto alla tunica, ai piedi stivali di cuoio lavorato, quasi neri, e alla vita una cintura dello stesso materiale e colore. Essa reggeva, sul fianco sinistro, una lunga spada ad una mano e mezzo, al sicuro nel suo fodero di pelle nera ed intarsi in argento. L’elsa era lunga ad occhio sui 20 cm, completamente nera, ed era costituita da una guardia leggermente ricurva, con i bracci rivolti verso la coccia, un’impugnatura rivestita di seta bianca e dorata, ed un pomolo costituito da un grande diamante. Sia la pietra che la mezza impugnatura erano ricoperte da scritture elfiche a caratteri d’oro.

‹Quella deve essere senza dubbio una spada di Cristallo! Quant’è bella!› ammirò Siirist.

Oltretutto, l’elfo emanava un leggero profumo di lampone, che inebriava le narici del futuro ladro, e teneva sottobraccio un fagotto.

«Dai, vieni.» disse l’assassino.

«Sì.» rispose lui, ricordandosi dell’esistenza del mondo.

«Quell’elfo ti ha proprio ammaliato, vero? È la prima volta che ne vedi uno, immagino.»

«Sì.» rispose il ragazzo ancora colpito.

«Bene, allora io vado. Ci rivediamo in giro, e se non fosse, in bocca al lupo con la tua prova fra due settimane.»

«Crepi!» esclamò Siirist, per poi andare a casa.

Arrivato, andò subito a farsi una doccia e cambiarsi, per poi andare da Keira a raccontarle del suo successo nella rapina e dell’invito che aveva ricevuto ad entrare nella Gilda dei Ladri.

I due passarono all’incirca mezz’ora insieme, perché poi Siirist dovette correre da Hans. Doveva lavorare l’intera giornata se voleva farsi perdonare, e poi intendeva restituire il denaro prestato il prima possibile.

Lungo la strada, Siirist incontrò nuovamente l’elfo, che stava percorrendo la sua stessa strada. Arrivarono insieme da Hans, e Siirist capì che doveva essere un cliente, per cui lo lasciò entrare per primo. Con un sorriso ed un gesto del capo, l’elfo ringraziò, per poi entrare. Il ragazzo lo seguì subito dopo, per poi sentirsi richiamare dal capo.

«Siirist! Dove sei stato ieri? E dove sono i miei soldi?»

A queste parole, l’elfo parve meravigliarsi.

«Eccoti qui, Hans, settemila ori. Contento?» disse schiaffando le monete sul banco.

«E direi! Era da ieri che me li dovevi! Dov’eri?»

«A nascondermi! Ti ho detto che li avrei avuti per oggi e tu li volevi ieri!» spiegò tranquillamente.

In quel momento fu sicuro che il fabbro lo avrebbe ucciso.

«Ma, Hans, dove sono le tue buone maniere? Non vedi che cliente di riguardo abbiamo?»

Hans parve ritornare alla realtà.

«Oh, ma certamente! Nobile elfo, cosa posso fare per voi?»

«Perdonate la mia domanda, ma avete chiamato questo ragazzo “Siirist”?» chiese allora, dopo che i due avevano smesso di litigare.

«Certo, è il mio nome.» rispose il ragazzo.

«E perché un umano avrebbe il nome di un elfo?»

«Perché discendo da un elfo. La mia famiglia è la discendente della casata dei Ryfon, e per tradizione tutti i maschi portano un nome elfico.»

«Oh, capisco. È un nome che ancora suscita ammirazione negli elfi, se viene menzionato, anche se sono secoli ormai che la casata è decaduta. Molti Cavalieri ne sono provenuti, forse più che da qualsiasi altra famiglia.»

«Sì, lo so. Ora invece siamo solo dei contadini, la mia famiglia possiede la vigna Surrille, e io sono l’apprendista di Hans, e sogno di entrare nella Gilda dei Guerrieri. Vorrei essere un Cavaliere, a dire la verità, ma solo i nobili umani possono affrontare la Prova, giusto?»

«E perché vorresti diventare un Cavaliere? Sai, i tempi dei grandi eroi sono ormai conclusi, non viene nessuna gloria dall’essere un Cavaliere oggigiorno.»

Siirist provò una sensazione strana, era come se la sua mente fosse stata violata, come se l’elfo avesse detto quelle parole sapendo esattamente cosa pensasse. Per tutta risposta, lo sconosciuto sorrise.

«Ora, mastro Hans, sono venuto perché ho bisogno che ripariate la mia spada, Lin dur. Ho incontrato alcune creature fastidiose venendo qui, e mi ci hanno procurato una crepa.» spiegò l’elfo.

Portò la mano destra all’impugnatura della sua arma e la sguainò, per poi appoggiarla sul bancone. Così Siirist ebbe l’opportunità di osservarne anche la lama: essa era completamente ricoperta d’argento, piena di glifi in elfico, iscrizioni che si potevano vedere solo prestando particolare attenzione, poiché erano dello stesso colore del resto della lama. Solo due simboli erano dorati, e si trovavano proprio sotto la coccia. Proprio al centro, vi era una profonda crepa.

«D’accordo, vedrò cosa posso fare. Ma vi avverto che la mia sarà una riparazione temporanea, per cui utilizzerò un materiale di mia creazione chiamato Vetro, simile al vostro Cristallo, ma nemmeno lontanamente così eccellente, per cui, tornato nel vostro paese, dovrete farla riparare nuovamente.»

«Certamente. Quanto credete che ci vorrà?»

«Ve la potrò restituire domani mattina, come minimo.»

«Va bene. Ho fretta, ma se è solo questione di ventiquattro ore posso aspettare. Mi troverete alla locanda.»

«Vi farò portare la spada da Siirist.»

L’elfo salutò ed uscì.

«Siirist, mi servirà una mano tutt’oggi per riuscire a restituire questa spada all’elfo domani mattina. Ho altre due spade da forgiare ed una da riparare, oltre che due scudi e una mazza ferrata. Te la senti di pensare alle tre spade, mentre io lavoro al resto? Poi ci occuperemo entrambi di Lin dur. Le armi in Cristallo sono molto difficili da lavorare, per cui avrò bisogno di aiuto.»

«Sissignore!»

«Bene, allora mettiamoci al lavoro.»

Hans andò a mettere il cartello “chiuso” alla porta, per poi scendere assieme all’apprendista nel seminterrato, dove si trovava la fucina. Questa era una grande responsabilità per il ragazzo, poiché per la prima volta gli veniva affidato il compito di forgiare completamente da solo una spada per qualcun altro. Non doveva fare cazzate.

 

Entrambi lavorarono per tre ore, e ogni tanto Hans aveva interrotto il suo lavoro per controllare l’operato di Siirist, a volte complimentandolo per poi ritornare alle sue armi, altre correggendolo.

Era ormai ora di pranzo, e mancava solo la spada di Cristallo da riparare.

«Beh, ottimo lavoro! Hai finalmente imparato a forgiare una spada! E più tardi vedrai come si ripara una spada magica. A proposito, ho una cosa per te.»

«Perché?»

«Oggi non è forse il tuo compleanno?»

Il fabbro prese un pacco e lo diede al ragazzo, che intanto era felicissimo. Questi lo aprì e trovò due guanti d’armatura completamente bianchi, in mithril.

«Piacciono?»

«Certo! Grazie, Hans!» sorrise Siirist, abbracciandolo.

 

Quel ragazzo ha del potenziale. È un discendente dei Ryfon, ha solo sedici anni compiuti oggi e lo hanno già invitato nella Gilda dei Ladri, non possiede un minimo di tecnica con la spada se non il saperla impugnare, e questo solo dopo aver osservato la guardia cittadina, però è riuscito a sostenere un breve scontro contro un grem. E poi… ha usato quello strano potere… Non si tratterà di…?

L’occhio dell’elfo cadde sul fagotto che si portava sempre dietro, appoggiato ad un comodino, mentre lui era steso sul letto, le mani dietro la testa. Mosse il braccio destro e puntò il palmo in direzione dell’oggetto.

«Tula a’ amin.»

Il fagotto, attirato dalla forza magica, si sollevò e levitò verso la mano dell’elfo. Questi si mise a sedere e tolse la stoffa che lo copriva, rivelando una grande pietra di colore rosso rubino con venature bordeaux, di forma ovale.

Tanto vale verificare.

 

Siirist era ritornato a casa per il pranzo ed era stato accolto dai genitori, che gli avevano preparato un grande pranzo, con tanto di torta di mele come dolce, il preferito di Siirist.

«Oggi è un giorno di grande importanza, figlio mio! – disse suo padre – Oggi hai sedici anni!» dovette interrompersi per la commozione.

«Già, oggi entrerai in possesso delle chiavi della cantina!» terminò la madre, vedendo che il marito era impossibilitato a farlo da solo.

‹Ma che bel regalo! Fortuna che me ne sono procurato uno decente ieri notte!›

«Grazie, ne sono felicissimo! Guardate, vorrei tanto andare a visitare la cantina ora, ma non posso. È venuto un elfo oggi da Hans e dobbiamo riparargli la spada. Ma facciamo domani, d’accordo?»

«Ah, sì… d’accordo…» risposero all’unisono i coniugi Ryfon, delusi.

Siirist, felice per essere scampato alla rottura più grande della sua vita, si affrettò a ritornare all’armeria. Hans lo stava già aspettando e, come lo vide, si diresse immediatamente alla fucina. Prese la spada dell’elfo e la appoggiò delicatamente su un banco da lavoro, dopodichè prese un secchio d’acciaio contenente un liquido incandescente, che Siirist capì essere Vetro fuso, che versò nella crepa.

 

I due lavorarono per ore, sempre più stanchi, fino a che non arrivò mezzanotte.

«Ma come può essere che un’arma incantata sia così difficile da riparare?»

«Non lo è affatto per un mago, a dir la verità, ma per me che non lo sono, hai visto quanto è complicato. È da un po’ che ci penso, dovrei chiudere la bottega per un anno e andare a studiare all’Università Arcana. Niente di troppo impegnativo, ma almeno qualcosa che mi permetta di fabbricare e riparare armi incantate! Fortunatamente per me, non ne girano molte fra gli umani, specie qui a Cyrodiil, ma tra Vroengard e le terre degli elfi, è raro trovare un’arma che non sia incantata. E poi il futuro grande Campione della Gilda dei Guerrieri non potrà certo accontentarsi di una comune spada di Vetro! Imparerò a lavorare il Cristallo e ti forgerò la migliore spada di Cristallo incantata che si sia mai vista!»

Entrambi risero.

«Ma in cosa consiste incantare una spada?»

«Dipende. Vedi questi segni? Sono le lettere dell’alfabeto elfico, e da quel poco che conosco di questa lingua, ti posso dire che qui sono state scritte almeno duecento parole. Ogni parola serve ad attivare un incantesimo. Un’arma può avere un incanto che le permette, per fare un esempio, di dare fuoco ai nemici, ma questo è uno dei più semplici. Le armi magiche più potenti, invece, sono come questa, cioè fungono da scettri. Uno scettro, come forse saprai, è un incalanatore di magia, e serve a potenziare l’incantesimo che viene lanciato. Per cui se quell’elfo dovesse lanciare un incantesimo d’aria, tipo lo scatenare un forte vento, dovrebbe usare un determinato quantitativo di energia e l’incantesimo avrebbe la corrispondente forza. Però se incalanasse l’energia prima attraverso la spada, a seconda della potenza delle scritte, che non ti so proprio dire quanto sia, il suo incantesimo sarebbe potenziato.»

«Ne sai di magia, eh?» chiese Siirist affascinato.

«No, solo di quella che ha a che fare con le armi. E se c’è una cosa che so delle arti mistiche, è che c’è così tanto da sapere che le mie conoscenze sono come una goccia nel mare. Ora vai a letto, che domani devi essere qui alle nove precise, per poter prendere la spada e portarla all’elfo.»

«E tu che farai?»

«Devo ancora lucidarla.»

«Allora ti aiuto.»

«No, ce la faccio da solo e tu devi andare a dormire, che sei stravolto.»

Effettivamente erano giorni che Siirist non dormiva decentemente, e tutto quel lavoro con Lin dur lo aveva distrutto. Così salutò Hans e ritornò a casa, buttandosi sul letto ancora vestito per quanto era stanco.

 

La mattina si svegliò alle otto, scese al piano terra a far colazione, dopodichè ritornò in camera a prendere dei vestiti puliti. Dopo andò in bagno e si spogliò, per poi guardarsi allo specchio: aveva delle occhiaie che non finivano più.

‹In effetti me l’ha detto anche Keira che sto esagerando. Devo dormire di più.»

Finita la doccia, il ragazzo si vestì e andò subito all’armeria, trovandola però ancora chiusa.

‹Ancora a dormire, eh?›

Così prese la sua chiave e aprì la porta, per poi richiuderla. Andò nel retrobottega e lì vide Lin dur, l’elsa nera brillava, e così il diamante. Curioso di vedere quanto lucente fosse la lama, Siirist fu tentato dallo sfoderarla, ma si trattenne. Quella, dopotutto, era una spada preziosa e non era la sua, ma di un degno possessore. La prese e uscì dall’armeria, dirigendosi alla locanda. Lì chiese al proprietario in quale stanza si trovasse l’elfo, ma quello gli disse un’altra cosa prima di rispondere.

«Sei pronto per l’esame del Doyen?»

«Eh? Ah sì, anche tu sei uno della Gilda, è vero!» disse dopo essersi ricordato che faceva la guardia all’entrata pubblica al santuario.

«Allora, sei pronto o no?»

«Ma certo!»

«Bene, metticela tutta! L’elfo sta al primo piano, stanza 16.»

«Grazie.»

Siirist raggiunse e salì le scale, per poi percorrere il corridoio ed arrivare davanti alla porta dell’elfo. Stava per bussare quando si aprì. Ma la cosa che colpì maggiormente il ragazzo, era che l’elfo si trovava accanto alla finestra.

‹Ma come…?›

«Entra pure.»

Siirist entrò e gli porse la spada, così che l’elfo la potesse sguainare. La puntò in alto e ammirò l’ottimo lavoro svolto dal fabbro e dal suo apprendista. Anche Siirist la osservò estasiato, non avendo mai visto l’argento brillare così.

«Un ottimo lavoro, davvero. Porta i miei complimenti a Hans, e bravo anche a te. Dunque, quanto vi devo?»

«Sarebbero, ecco, due ori. Il costo della riparazione in sé è basso, due argenti, però siamo stati tutto il pomeriggio e la sera fino a mezzanotte a lavorarci, e Hans ha dovuto pure chiudere la bottega per tutto il giorno.»

«Sì, capisco. Per un fabbro che non conosce le vie del misticismo, è difficile lavorare su un’arma incantata. E nonostante questo, avete fatto un ottimo lavoro! Però un consiglio per il tuo maestro: studiasse le arti mistiche.»

«Sì, infatti sta pensando di chiudere l’armeria per un anno e andare a studiare all’Università Arcana.»

«Buona idea. Dunque, i soldi sono in quel borsellino, accanto al grande rubino.»

Alle parole “grande rubino”,  Siirist si voltò immediatamente, rimanendo più che colpito.

‹Mai visto uno così grande.›

Era contentissimo che potesse vederlo più da vicino, poiché doveva prendere i soldi. Aprì il borsellino e ne trasse le monete, che intascò, sempre osservando estasiato la pietra.

«Scusa, non è che me la avvolgeresti nel panno?»

«Come? Ma sì, certo!»

Era la sua occasione per toccare quel bellissimo rubino! Certamente non poteva rubarlo, però lo poteva almeno accarezzare! Lo afferrò e lo sollevò, sorridendo a trentadue denti, ma subito dopo cambiò espressione. Strabuzzò gli occhi ed iniziò a boccheggiare, mentre aveva la sensazione di milioni di aghi infiammati che gli attraversava il corpo, partendo dalle mani. Gli mancava l’aria, sentiva ogni fibra dei suoi muscoli prendere fuoco, strapparsi, sgretolarsi. Con un acuto urlo di dolore, il ragazzo cadde in ginocchio, tremando, mentre la pietra rotolò via sul pavimento. L’elfo lo guardò compiaciuto. Pochi secondi dopo, come si era manifestato, il dolore scomparve e Siirist si voltò verso l’elfo, vedendolo sorridere.

«Ma che diavolo mi hai fatto?!» sbraitò, ed uscì di corsa.

L’elfo si avvicinò alla pietra e la raccolse, per poi avvolgerla nuovamente nel panno.

Come immaginavo.

Non era mai stato così felice.

 

Siirist corse come un pazzo verso casa, ancora non credeva a cosa fosse successo: quell’elfo lo aveva attaccato con un qualche incantesimo e ne era stato felice! Ma gli elfi non dovevano essere la razza più saggia e onorevole fra quelle umanoidi?!

Il giovane si buttò immediatamente a letto, stringendo il cuscino a sé. Era ancora spaventato, non aveva mai provato un dolore simile. Avrebbe cento volte preferito morire, piuttosto che soffrire ancora in quel modo.

Passarono cinque minuti, che il ragazzo sentì bussare alla porta. Ormai si era ripreso, per cui scese di sotto, anche se il suo passo era ancora incerto. Ma mai ebbe sorpresa più grande, che nel vedere l’elfo sulla sua soglia di casa.

«Posso?»

Siirist era allibito.

«Mi pare logico che non sei il benvenuto. Che diavolo mi hai fatto prima, bastardo?!»

«Ma che linguaggio poco elegante. – l’elfo avvicinò il fagotto a Siirist – Avanti, prendilo.»

«Ma no! Mi hai preso per scemo?!»

«Prendilo, fidati.»

«E perché dovrei?»

«D’accordo, allora la metterò in termini che puoi comprendere. – trasse un profondo respiro – Poiché prima hai pensato che preferiresti morire piuttosto che soffrire ancora a quella maniera, non posso minacciare te, ma se ti dicessi che uccido la tua amica Keira se non prendi questo cazzo di fagotto?»

Siirist era allibito.

«Tu cosa…?»

«Sì, esatto. E lo farò, se non ti sbrighi a prenderlo. Credimi, ho l’autorità per farlo e anche la mia giusta ragione.»

Furioso, Siirist accettò il fagotto nella mano.

«Scoprilo.»

Ancora più arrabbiato, Siirist sciolse il nodo al panno, ma non lo tolse dal punto in cui il rubino poggiava sulla mano.

«Toccalo.»

Senza nemmeno pensarci, Siirist fece come gli veniva ordinato. Era già pronto a soffrire ancora come aveva fatto prima, ma il dolore non arrivò. Non capiva.

«Te lo spiego io. Questa non è una semplice pietra, bensì un uovo, un uovo di drago. Ed il bruciore che sente chi ne tocca uno è quello che avverte il suo prescelto, ma solo la prima volta. È così che si svolge la Prova: le uova sono disposte in fila e gli aspiranti Cavalieri le toccano. Chi verrà bruciato, sarà poi il Cavaliere del drago di quel particolare uovo. Sei un Ryfon, giusto? Dalla tua famiglia sono venuti molti Cavalieri, tra cui il famoso Eleril, che montava un Inferno. Proprio come questo qua. – indicò l’uovo in mano a Siirist – è nel tuo sangue dopotutto.»

A Siirist si stava per slogare la mandibola.

 

 

 

~

 

 

 

Bene, ce l’ho fatta finalmente!

 

Ringraziamenti: Un caloroso bentornato a Bankotsu! Sono lieto di ritrovare uno dei lettori della prima versione della storia, soprattutto perché ti trovo ancora più appassionato! Effettivamente ho voluto dare più peso al fatto che Siirist sia un completo bastardo rispetto che nella prima versione. Ma ovviamente a Vroengard cambierà un po’, visto che Althidon (che sai già chi è) ci andrà molto pesante fino a che non riesce a farlo rigare dritto. E poi conoscere Alea sarà uno sconvolgimento per lui! Infatti l’attrazione che subito proverà, seguita dalla voglia di impressionarla che proverà nel primo anno di addestramento, e poi dall’amore nel secondo anno, gli faranno mettere la testa a posto. Però la sua anima da delinquente resterà sempre, non preoccuparti! Hai menzionato la sua “possessione”. Non era esattamente così, non ricordi? Ma non diciamo altro, o facciamo troppi spoiler! Già ho detto troppo dicendo di Alea! Comunque, per tornare alle ragazze, a Siirist non importa di loro, se non di Keira, che, però, non è che un’amica, molto vicina ma sempre un’amica. Sono più che felice di averti fatto ridere con Hermeppo perché ti dico che anche io ho riso mentre scrivevo. Ora, per rispondere alla terza recensione, ti dico subito della lunghezza: ho scritto tutti i titoli dei capitoli fino all’ultimo, così da farmi un’idea generale della storia, e sono sulla sessantina, in più credo che verso metà ne aggiungerò ancora per fare una piccola pausa con la trama e esplorare più nel dettaglio il mondo in cui si svolge la storia. E per quanto riguarda il grem, beh, si può definire un demone solo guardandogli il DNA, perché è uno dei demoni più insulsi in assoluto. Era un banalissimo classe E (ricordi la lezioni sui demoni che segue Siirist a Vroengard) e ha un potere (il veleno) che fa ridere, e che chiunque con un minimo di capacità sarebbe riuscito a curare. Siirist ancora era un normalissimo umano, e Keira è una studente di medicina (e nel part-time lavora in un negozio di vestiti, come si vedrà nel prossimo capitolo) che non aveva mai curato un veleno come quello. Dire che quel veleno farebbe il solletico a Siirist fra qualche capitolo, è un eufemismo. Tu che hai letto il capitolo in cui a Siirist viene sconvolta la vita, cioè a metà del suo quarto anno di addestramento, dovresti sapere cos’è un demone potente! Non dico altro per non anticipare troppo a chi non ha letto la prima versione! Un’ultima cosa: sarai contento di sapere che la storia di Evendil sarà molto più approfondita rispetto a prima, e fra tre capitoli ce ne sarà uno interamente dedicato a lui!

 

Il prossimo capitolo si intitola ESSERE CAVALIERE

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** ESSERE CAVALIERE ***


ESSERE CAVALIERE

ESSERE CAVALIERE

 

«Scioccato?» domandò ridacchiando l’elfo.

Siirist non rispose.

«Lo prendo per un sì. Dai, siediti.»

Accompagnò il ragazzo ad una sedia e lo fece accomodare. Quello era ancora imbambolato, così gli tolse l’uovo dalle mani e lo appoggiò su un mobiletto, per poi tornare dall’umano, piegandosi sulle ginocchia per guardarlo negli occhi.

«Per quanto ancora intendi restare con quell’espressione da demente?»

Ancora nessuna risposta.

«Stai mettendo a dura prova la mia pazienza, sai? E noi elfi ne siamo particolarmente dotati. Anche se forse io sono un po’ particolare…» l’ultima frase era detta più a sé che a Siirist.

Ma ancora il ragazzo non si mosse. Era come pietrificato, con la bocca spalancata e la mandibola che minacciava sempre più di cadere a terra, gli occhi stralunati e nessun segno vitale.

Per lo meno respira.

«Va bene, non mi lasci altra scelta. Cuiva tuulo’ lle durin slumter.»

Immediatamente, a Siirist ripresero a funzionare le capacità cognitive.

«Oddio! Scusate, la notizia mi ha decisamente colpito.»

«Ho notato.»

«Avete appena… fatto una magia?»

«Sì.» annuì.

«E che avete detto?» ora Siirist era più che sveglio, eccitatissimo.

«“Svegliati dal tuo stupido sonno.”»

Siirist rise. Dopodichè ci fu un minuto di silenzio.

«Allora, diventerò un Cavaliere?»

«Sì.»

«E ora partiremo per Vroengard?»

«Mi pare chiaro.»

Siirist balzò in piedi, urlando di gioia.

«Ti vedo felice.»

«Naturalmente! È tutta la vita che sogno di diventare un Cavaliere!»

«Lo so, anche se per le ragioni sbagliate.»

«E voi che ne sapete?»

«Ti ho scrutato nella mente. E perché ora sei così cortese? Prima non facevi che insultarmi!»

«Beh, prima pensavo mi aveste fatto una fattura e… No, un attimo… Voi avete cosa?!»

Il suo segreto della Gilda dei Ladri era stato scoperto?

«Sì. Dovresti imparare a chiudere la mente, se non vuoi che lo scoprano tutti. In ogni caso sta’ tranquillo, so tutto della Gilda e della Confraternita. Sono un membro dell’Ordine, anche se non sono un Cavaliere.»

«E com’è possibile?»

«Lunga storia. In ogni caso è meglio se vai da Elric a farti dare uno degli anelli della Gilda. Sono protetti da uno speciale incantesimo che sigilla da intrusioni esterne i ricordi inerenti alla Gilda e alla Confraternita, così che anche se qualcuno ti dovesse penetrare la mente, non li vedrebbe. Comunque smettila con questa cortesia esagerata.»

«Grazie! Ti assicuro che lo trovo molto più comodo! Ancora non mi hai detto come ti chiami.»

«Evendil, Evendil Thyristur.»

«Ora va meglio. Tra quanto si parte?»

«Vediamo, la Prova avrà luogo tra circa un mese, cioè il primo di agosto, però sarebbe meglio arrivare a Vroengard il prima possibile, per cui partiremo subito dopo pranzo.»

«Bene, così potrò salutare i miei. Ah, sei invitato a mangiare da noi!»

«Ma che gentile…» commentò ironicamente Evendil, avendo scrutato i pensieri del futuro Cavaliere.

«Perché il sarcasmo?»

«Perché mi hai invitato a pranzo solo perché sia io a raccontare tutto ai tuoi genitori, perché non hai voglia di farlo personalmente.»

«Io?! Non lo farei mai!» rise il ragazzo.

«E ora dove stai andando?»

Siirist, infatti, si era alzato e diretto verso la porta con una piccola corsetta. Si girò verso l’elfo, continuando a camminare di spalle.

«Che fai, ora non mi leggi più nella mente?»

«Ma che simpatico…»

Siirist corse rapidamente da Keira, a raccontarle l’incredibile notizia. La trovò a lavorare come commessa al negozio di vestiti, dove si trovava anche Hermeppo che la infastidiva.

‹Ci mancava solo lui. Se mi sente lo saprà l’intera città.›

«Keira, ti posso parlare un attimo?»

«Non vedi che è con me, femminuccia?» disse Vaan, la faccia da duro.

Siirist, dopo tante volte che si era trattenuto, non poté evitare di guardarlo in faccia, lacrimando come una fontana, per poi scoppiare a ridere. Era piegato in due, doveva tenersi la pancia per quanto gli facesse male. Dopo una decina di secondi riuscì a mantenere una posizione eretta, ma la fiumana di risate continuava ad uscire, inarrestabile, mentre Siirist muoveva l’indice sinistro ad indicare prima Hermeppo, poi sé, poi la checca, ecc.

Ci volle un minuto prima che fosse in grado di calmarsi.

«Scusa un secondo, fammi capire bene… Tu – e badò bene a marcare il “tu” – hai dato della “femminuccia” a me? Ma dico, siamo impazziti? Si è rivoltato il mondo?»

«Cosa vorresti dire?!» domandò Hermeppo con una voce particolarmente stridula.

«Beh, non lo so, tipo che io sono un uomo, mentre tu una sorta di travestito, o transessuale, o qualcosa del genere.» e nuovamente mise l’enfasi sui due pronomi.

Tutta la gente era ammutolita.

«Ora possiamo parlare un momento? È una cosa urgente.» disse Siirist all’amica.

«Siirist… Siirist Ryfon…!» iniziò Hermeppo, balbettando per la rabbia.

«Che c’è?»

«Possedete una spada?» continuò, trovando una certa dignità.

‹Questo tono formale non mi piace.›

«Sì.»

«Bene. Dunque io vi sfido a duello!»

 

La cosa si fa interessante.› commentò Evendil, seduto sulla sedia che aveva precedentemente occupato Siirist.

 

«Eh?»

Siirist era quasi più sconvolto che dopo aver saputo di essere un futuro Cavaliere.

«Mi prendi in giro, vero?»

Per tutta risposta, Hermeppo si tolse un guanto e con esso colpì la guancia di Siirist, per poi buttarlo a terra.

Con quel gesto, Siirist si riprese, ma era ancora sconcertato. Però una cosa era certa: aveva aspettato questo momento da anni. Guardò Hermeppo e gli sorrise, per poi caricare indietro il braccio sinistro e sferrare un poderoso pugno in faccia all’altro, spendendolo a terra e rompendogli entrambe le labbra, oltre che facendogli perdere un dente. Vaan si rialzò da terra, tenendo una mano alla bocca da cui usciva un flusso continuo di sangue.

«Ma che fai?» chiese con gli occhi in lacrime.

«Sfida accettata. Nella piazza del tempio tra un’ora.» e uscì dal negozio

Quello era decisamente il suo giorno fortunato.

Keira gli corse dietro, fermandolo.

«Ma che diavolo hai fatto?!»

«Keira, io me ne vado.»

«Cosa?»

«Sì. Diventerò un Cavaliere! So che è incredibile, ma prima ho toccato un uovo di drago, ce l’aveva l’elfo che è venuto in città, e sono il prescelto! E visto che dopo pranzo partirò per Vroengard, volevo togliermi qualche sfizio. Avrei evitato questa scenata, ma se l’è cercata!»

Keira continuò a guardare Siirist incredula, le mani che le tremavano, gli occhi lucidi.

«Oh?»

Con uno scatto, gli gettò le braccia attorno al collo, dandogli l’abbraccio più forte e pieno d’affetto che gli avesse mai dato. Lo strinse a sé per quasi venti secondi, senza lasciarlo andare.

«Sono così contenta! È sempre stato il tuo sogno!» era in lacrime.

«Mi mancherai anche tu.» mormorò tenero Siirist.

«Ehi! Che stai facendo con la mia ragazza?»

«Ehi! Che stai facendo con il mio ragazzo?»

Sia Siirist che Keira guardarono oltre la spalla dell’altro e videro rispettivamente Hermeppo e Miya.

«Allora è a lei che puntavi? È per lei che mi hai sfidato! Mi vuoi togliere la ragazza?»

«Ma veramente sei tu che hai cominciato.»

«Lo sapevo! L’ho sempre saputo che tra voi c’era qualcosa! Ma tu, Siirist, hai sempre negato! “No, Miya, non c’è nulla tra me e Keira”! Mi hai sempre preso in giro e usata!»

Intanto si stava formando una piccola folla attorno ai litiganti.

 

La cosa si fa molto interessante!› cominciò a ridere Evendil.

 

«Numero uno: Miya, noi non stiamo insieme, non ci siamo mai stati e mai ci staremo. Fra me e Keira non c’è nulla, se non una profonda amicizia, ma ammetto che a volte è finita nel sesso. Numero due: Hermeppo, se batterti nel duello che hai proposto tu a me, e non viceversa, permetterà alla mia amica – sottolineò l’ultima parola – Keira di essere libera da te, sarò ancora più felice di sconfiggerti.»

«E se vinco… Mi prendo Miya!»

«No, io non sono un oggetto da contendere! Siirist, di’ qualcosa!» pianse l’interessata.

«Ma prego! Fra cinquanta minuti davanti al tempio, non fare tardi.»

«Come puoi lasciarmi così?!» disse Miya in lacrime.

«Non posso, non siamo mai stati insieme!» rispose semplicemente Siirist allargando le braccia.

Keira rientrò ridendo nel negozio a lavorare, mentre Siirist ritornò a casa a indossare il regalo di Hans e la spada di ferro.

«Bella scenetta che avete messo su.» commentò Evendil.

«Si è sentito fin qui?» ridacchiò l’umano.

«Avremo anche un buon udito, ma ora sopravvaluti i poteri degli elfi! Ti stavo scrutando la mente, per controllare che non finissi nei guai.»

«Te la pianti?»

«No. Come guardiano dell’uovo, sono ora guardiano del suo Cavaliere.»

«Beh non mi pare tu stia facendo tanto un buon lavoro.»

«Beh non mi pare tu avessi bisogno di aiuto contro quell’androgino.» rispose Evendil, facendo il verso a Siirist.

«Ha parlato il signor virilità!»

L’elfo lo guardò storto, sospirando.

«è vero che noi elfi abbiamo tratti più… delicati rispetto a voi umani, ma quell’Hermeppo è peggio di qualunque elfo abbia mai visto. E poiché ci sono nato e cresciuto in mezzo e mi capita di guardarmi allo specchio almeno cinque volte al giorno, ti posso garantire che so che aspetto ha un elfo.»

Siirist rise alla battuta dell’elfo, per poi uscire armato a chiamare i genitori.

«Arrivo. – rispose Evendil alla chiamata mentale del ragazzo, portandosi dietro l’uovo. – Non credere di potermi comandare a bacchetta in questo modo.»

«Perché? È divertente!» ridacchiò il ragazzo.

«Siirist, fermo lì. Dovresti sapere che è proibito portare le armi in città, a meno che tu sia un appartenente ad una Gilda o un Cavaliere. E anche voi, nobile elfo. Se state partendo vi auguro buon viaggio, se no vi prego di lasciare la vostra spada alla locanda.»

Una guardia li aveva fermati a poca distanza dal cancello nord.

«Poiché avete accennato ai Cavalieri, vi informo che sono qui proprio a nome dell’Ordine. Porto con me questo uovo e sono il suo guardiano. Il qui presente Siirist, inoltre, è il suo prescelto. Partiremo subito dopo pranzo, e Siirist sta andando ad avvertire i genitori. Oltretutto Hermeppo Vaan ha sfidato a duello Siirist, e lo scontro si terrà tra quaranta minuti nella piazza del tempio. Spero che questo sia consentito.»

Il soldato non sapeva che rispondere.

«Bene, proseguiamo.» disse Evendil al ragazzo.

Le altre guardie presenti non li fermarono perché avevano la stessa espressione di quella con cui aveva parlato l’elfo, avendo sentito tutto.

Quando i due uscirono dalle mura della città, i Ryfon videro subito il figlio e gli corsero incontro, domandandogli perché fosse armato.

«Faresti tu, per favore? La tua concisione con la guardia di prima era perfetta, e sono sicuro che non sarei in grado di eguagliarti.»

«Sei sempre così pigro?»

«No, solo con le cose che non mi interessano.» sorrise.

Scuotendo la testa, allora, Evendil ripeté quasi le stesse parole che aveva usato con la sentinella.

«Cosa?! Tu, un Cavaliere? E ora una sfida? Non capisco, come può essere?»

Il padre di Siirist rispose dopo un minuto circa, mentre la moglie era crollata a terra, incredula.

Allora sia il ragazzo che Evendil iniziarono a parlare, e a convincere i Ryfon che dovevano lasciar andare il figlio a Vroengard, che non dovevano preoccuparsi, che il duello non sarebbe stato pericoloso, e tante altre cose.

«Fatto sta che mi avete fatto perdere venti minuti. Tra altrettanti devo essere davanti al tempio, e prima devo andare ad avvisare Hans e Elric.»

«Sì, assicurati di avvisare Elric, visto che questo imprevisto vi ha sconvolto i piani.» concordò Evendil.

Allora Siirist si diresse immediatamente all’armeria, ad informare il fabbro della sfida e del fatto che fosse un futuro Cavaliere. Hans era felicissimo per l’apprendista, ed in suo onore aprì una bottiglia di rum invecchiato che teneva da parte per le occasioni speciali.

«Forse è meglio dopo il duello.»

«Ah, certo!» e Hans riattappò la bottiglia.

«Vedi di esserci! Tra mezz’ora davanti al tempio!»

«Naturalmente! Ci sarà tutta la città!»

Siirist si diresse subito da Elric, ad informarlo dell’accaduto. Questi fu colto impreparato, e ammise che l’anello era fondamentale per il ragazzo, anche se andava contro le regole perché Siirist non era ancora un membro della Gilda, poiché sarebbe andato in un luogo dove tutti sapevano penetrare la mente.

«Beh, visto che andrai sicuramente ad Anvil, perché è lì che si trova il porto più vicino, vedi di passare dal fabbro del castello. È un collega, uno dei nostri ricettatori, e forse potrebbe avere un lavoro per te, che ti varrebbe come esame di iniziazione.»

«Ma diventerò Cavaliere! Non posso essere anche un membro della Gilda dei Ladri!»

«Come se fossi l’unico! Anche se ammetto che sei il primo ad essere un ladro prima di aver concluso i cinque anni di addestramento. Ma fa lo stesso. Ma assicurati di dirlo al tuo Maestro.»

«Ah, d’accordo.»

Siirist era colpito: persino i Cavalieri stessi erano anche, segretamente, affiliati alla Gilda dei Ladri e alla Confraternita Oscura?

«Prima di andare via, passa qui, ti darò un anello. E manderò una lettera ad Orrin, il collega al castello di Anvil di cui ti parlavo, per informarlo che sarai da lui tra qualche giorno. Farò in modo di dirgli tutto, per cui non dovrai spiegarli nulla. A proposito, che drago è?» chiese infine, mentre prendeva carta e penna.

«Inferno.»

A sentire il nome della razza, a Elric cadde di mano la penna.

 

Mancavano ancora cinque minuti, e Siirist si trovava già sugli scalini del tempio ad aspettare. Era lì da oltre dieci minuti, in compagnia di Evendil, ed erano stati entrambi muti. I genitori di Siirist, invece, erano a casa a preparare il pranzo, tranquilli sull’esito del duello perché l’elfo li aveva rassicurati che sarebbe intervenuto se fosse stato necessario.

Intanto stava iniziando a radunarsi una piccola folla, evidentemente la voce si era sparsa, ma di Hermeppo nessuna traccia.

Passarono dieci minuti, ma lo sfidante non si era ancora fatto vivo, e Siirist stava cominciando ad annoiarsi. Cinque minuti dopo, lo stadio della noia era bello che passato, e lo sfidato si alzò, intenzionato ad andarsene.

«Pazienta, sta per arrivare.» disse infine Evendil, sorridendo.

«Si può sapere perché hai quel sorriso divertito da mezz’ora?»

«Perché sentire i pensieri di Hermeppo è particolarmente piacevole.»

«Fa’ sentire anche a me!» disse Siirist, sorridendo sadicamente.

Allora Evendil aprì la sua mente al ragazzo, passandogli le sensazioni di paura di Hermeppo, affiancate dalla consapevolezza dell’eterna umiliazione se non si fosse presentato.

Siirist rise.

«Io è da mezz’ora che lo ascolto.»

«Lo voglio imparare a fare anche io!»

«Imparerai, imparerai. E ti assicuro che troverai degli usi più utili e interessanti dell’arte dello scrutare la mente altrui.»

«Evendil, tutto su Gaya è più utile e interessante di Hermeppo Vaan.» rispose con voce piatta Siirist.

«Dai, preparati. Sarà qui tra un minuto.»

«Ok.»

Così Siirist si allontanò dai gradini, muovendosi verso il centro della piazza, e tutta la gente gli fece spazio, formando un cerchio. E nello stesso tempo aprirono un varco per Hermeppo che avanzava. La faccia bianca come un cadavere, gli occhi rossi dal pianto, un’espressione terrificata in volto, le labbra gonfie e viola, la stessa armatura che Siirist aveva visto a villa Vaan. Dietro lo sfidante camminavano i genitori e tutti i servitori, comprese le guardie private. Dhorn fece l’occhiolino a Siirist, che rispose con un sorriso ed un leggero cenno della testa.

«Finalmente sei arrivato! Stavo per andarmene, sai?»

«Quanta presunzione! E io che ti ho regalato altri venti minuti di vita!»

«Quasi trenta, veramente.» rispose Siirist, ignorando la spacconata.

«Chiariamo subito una cosa: – intervenne una guardia cittadina – qui non muore nessuno. Nessuna ferita mortale, nessuna menomazione. Non è una sfida regolamentare, ma poiché il nobile elfo lì seduto sulle scale del tempio, che è un emissario dell’Ordine dei Cavalieri, ci ha chiesto di permetterne lo svolgimento, abbiamo deciso di concederlo, con l’autorità del conte, che sta per arrivare. Quindi pochi scherzi, o vi chiudiamo entrambi in prigione.»

Sia Siirist che Hermeppo annuirono. Nonostante Vaan fosse arrivato, però, dovevano aspettare ancora, perché giungesse il conte, che però tardò solamente di ulteriori cinque minuti.

«Perdonate il mio ritardo, ma avevo degli impegni urgenti da sbrigare.»

Il governatore della città era un uomo alto dai lineamenti duri ed i capelli ormai grigi. Era molto amato dalla sua gente, ed era rinomato per essere saggio e giusto.

«Salute, Evendil.» disse poi, avvicinandosi all’elfo ed abbracciandolo.

«Janus.» rispose l’elfo, ricambiando il gesto.

«Sei sicuro che sia una buona idea?»

«Sì, mi serve per verificare le capacità di Siirist, anche se non credo che questo scontro le rivelerà, visto l’avversario.»

«No, infatti. E così quel dannato Inferno ha finalmente scelto il suo Cavaliere. Era ora, mi ricordo che c’era già quando io stesso affrontai la Prova.»

«Se vogliamo dirla tutta, c’è da quando l’ho affrontata io.» precisò Evendil.

«Addirittura?»

«Già, tu non eri neppure nato.»

«Eppure io oramai mi sto avviando verso la vecchiaia, mentre tu dimostri appena venticinque anni.» disse il conte, una leggera  nota di invidia nella sua voce.

«Stanno tutti aspettando te, Janus. Saresti così gentile da dare inizio alla sfida?» disse poi l’elfo, sorridendo.

«Ah, ma certo! Contendenti, avvicinatevi. – i due ragazzi si inginocchiarono – Sono certo che le guardie vi abbiano già detto le regole di questo duello, ma le ripeterò: niente sciocchezze, non vogliamo feriti gravi. E ora, che vinca il migliore!»

Entrambi sguainarono le loro spade, Siirist la sua di ferro, Hermeppo una vagamente familiare, di mithril ad una mano e mezzo. Dopo pochi secondi che la guardava, il futuro Cavaliere capì che si trattava della spada di Dhorn.

«Perché non hai la tua spada di Vetro?»

«Perché me l’hanno rubata!» piagnucolò Hermeppo.

«Oh, mi dispiace! Era proprio una gran bella spada!»

«Già!» fece il broncio.

Siirist sorrise mentalmente con fare soddisfatto e sadico. I due si fronteggiarono, studiandosi, girando intorno, a pochi centimetri di distanza dalla folla che aveva creato un cerchio. Il primo ad attaccare fu Hermeppo, che aveva perso la pazienza. Siirist, invece, dopo anni di furti aveva imparato ad essere paziente quando era necessario, ed in un duello era fondamentale. Evitò quindi facilmente il fendente dell’altro, compiendo un’inquartata verso destra. Vaan allora tentò un sottano dritto, che però fu parato quasi sbadigliando da Siirist, che istintivamente frappose la sua spada a quella dell’avversario, tenendo salda la posizione dei piedi e roteando di 45° verso sinistra il busto, sollevando il braccio e puntando la spada verso terra, in diagonale a destra. Come le lame cozzarono, Ryfon compì un rapido movimento di polso che portò la lama della sua spada a toccare con il piatto opposto di quella di Hermeppo, che, per quanta forza aveva messo Siirist nel colpo, o forse perché la sua presa non era particolarmente salda, perse la presa dell’arma, che cadde a terra. Con un elegante guizzo del braccio, la lama di ferro sfiorava il pomo d’Adamo dello sfidante, che trasalì. Lo scontro era già finito.

Tutti i cittadini scoppiarono in un applauso fragoroso, mentre il signor Vaan si avvicinò al figlio e lo trascinò via. Ma Siirist non fece in tempo di festeggiare che sentì la punta di un’altra spada toccargli il retro del collo. Fece un balzo in avanti con avvitamento di 180°, alzando di scatto il suo braccio: la sua spada di ferro si trovò a contatto con Lin dur.

«Ti sei divertito abbastanza? Ora si fa sul serio. Raccogli la spada di Vaan, la tua non può resistere a lungo contro Lin dur.»

«Ma che ti è preso?» chiese stupefatto Siirist.

«Ti devo esaminare. Raccogli la spada e combatti. Combatti con tutto te stesso, come se dovessi uccidermi.»

Siirist allora ripose nel fodero la sua arma e raccolse quella di Dhorn, per poi mettersi in posizione e affrontare l’elfo. I due duellanti presero a camminare in circolo, sotto gli occhi stupefatti dei cittadini; le guardie non intervennero solo perché il conte Hassildor aveva fatto cenno di lasciar fare all’elfo. Questi e Siirist continuavano a muoversi in tondo, incrociando le gambe così da non distogliere mai l’attenzione dall’altro, studiandosi.

Evendil fu il primo ad attaccare, effettuando un affondo. La punta di Lin dur raggiunse quasi l’addome di Siirist, ma egli portò il peso del corpo sul piede sinistro, utilizzandolo come perno, mentre il destro si muoveva in senso orario di 90°: la lama dell’elfo gli sfiorò appena il corpo. Allora il ragazzo sollevò il braccio sinistro e lo piegò, portando la sua lama oltre la spalla destra, perpendicolare al terreno. Subito dopo menò un tondo dritto, mirando alla gola di Evendil, ma questi, con velocità fulminea, si abbassò, colpendo poi il giovane alle gambe con un calcio basso, facendolo cadere a terra. Rapidamente gli fu addosso, puntandogli la spada alla gola. Siirist era impotente.

«Rialzati.» intimò Evendil.

«Dobbiamo confrontarci ancora?»

«Ovvio. E mostrami tutto quello che sai fare.»

Siirist era nuovamente in guardia, pronto ad un nuovo attacco di Evendil. Ma questa volta l’elfo lo invitò a colpire per primo, così il ragazzo fu costretto a caricare. Menò un fendente, poi un tondo dritto, uno sgualembrato manco, un sottano dritto, un tondo manco, un secondo fendente, un montante, ma nessun colpo riuscì: Evendil schivava tutto con maestria, muovendosi con una leggerezza e fluidità impossibili per un umano. Infine bloccò un successivo montante di Siirist, così duramente da fargli perdere la presa sulla spada e quasi rompergli entrambi i polsi. Immediatamente il ragazzo sentì al pomo d’Adamo la fredda sensazione dell’argento.

«Può bastare?» chiese umiliato.

«Sì.» rispose Evendil.

Rinfoderò Lin dur e sollevò magicamente la spada di Dhorn, facendola levitare fino al legittimo proprietario.

«Hai buoni riflessi, incredibile agilità e una straordinaria capacità di improvvisazione: nonostante tu non possieda un minimo di stile, sai sempre come è meglio portare la spada per difenderti. Nella scherma devi sentire la lama come una prosecuzione del tuo braccio, e devo ammettere che sei naturalmente portato. Basta vedere la finezza che hai compiuto nel disarmare Vaan: mossa eccellente, ma è stato un movimento puramente istintivo. Tutto sommato non sei disastroso, considerando che non hai mai seguito un addestramento all’uso della spada, ma dobbiamo lavorare molto. Per fortuna manca quasi un mese alla Prova, per cui abbiamo abbastanza tempo per rimetterti in sesto prima che tu conosca gli altri futuri Cavalieri, e con molto duro lavoro, entro l’inizio del nuovo anno sarai quasi al livello del tuoi compagni.»

«Allora dobbiamo partire subito. Prima arriviamo a Vroengard, prima posso iniziare ad allenarmi.»

«Ci vorranno almeno quattro giorni per arrivare a Vroengard. Lì ti metterò veramente sotto torchio, ma non ti credere che non ti farò lavorare anche durante il viaggio!»

La folla era perplessa: di cosa stavano parlando quei due? Perché mai Siirist sarebbe dovuto andare a Vroengard?

«Ora torniamo a casa. Dobbiamo mangiare in fretta per poi ripartire il prima possibile.»

«Arrivo. Keira, – si rivolse all’amica – vuoi venire a pranzo? E pure tu, Hans.» guardò il fabbro.

«Con piacere!» risposero entrambi.

I quattro ritornarono a casa Ryfon, dove i genitori del futuro Cavaliere avevano già adibito il salone all’accoglienza dell’ospite di riguardo, ed il cibo era già in tavola. Hans era prima passato a casa sua a prendere il rum

 

Era passata un’ora, durante la quale Siirist aveva mangiato, preparato il suo bagaglio e si era fatto una doccia di mezz’ora, conscio del fatto che sarebbe stata l’ultima fino all’arrivo a Kvatch, e Keira e Hans erano ritornati a casa propria, volendo prendere dei regali per il giovane futuro Cavaliere. Questi scese in strada indossando stivali beige, calzoni marroni e una camicia bianca, ed una sacca tenuta con la destra oltre la spalla. Indossava i guanti di mithril e alla vita teneva la spada di ferro,

«Vienici a trovare, ogni tanto!» pianse la madre.

«Rendici fieri!» lo incoraggiò il padre.

«Tranquillo. E mi dispiace per l’eredità familiare, ma non mi è mai veramente interessato fare il produttore di vino!»

«Riporta in alto il nome dei Ryfon!» annuì il genitore.

«Contaci!» Siirist alzò il pollice.

Fu allora che ritornarono Hans e Keira. L’uomo portava con sé uno scudo di Vetro rotondo del diametro di un metro, un arco di faggio ed una faretra contenente venti frecce di acciaio cyrodiiliaco; la ragazza aveva un pacchetto con un fiocco.

«Siirist, queste armi potrebbero tornarti utili.» disse il fabbro, porgendo i suoi regali.

«Grazie. Però io sono un incapace con l’arco.»

«Ti insegnerò io. L’arco è la prima arma che usa un Cavaliere in battaglia, credo che sia il caso che lo sappia usare.» disse l’elfo

«Perché è la prima?»

«Perché quando un Cavaliere arriva sul luogo di un combattimento, lo fa dall’alto. E quando sei in cielo e devi combattere senza usare la magia, che cosa usi?» chiese retoricamente Evendil.

«Arco e frecce.» rispose a tono Siirist.

«Appunto.»

«Eh, scusate… Siirist, anche io ho un regalo.» s’intromise Keira.

«Oh sì, certo. Che cos’è?»

«Se volessi dirti il contenuto di questo pacchetto, non mi sarei presa la briga di incartarlo.» rispose la ragazza con ovvietà.

Siirist lo prese in mano e lo esaminò: una scatola rettangolare lunga 30 cm, larga 10 cm e spessa 2 cm. Era ricoperta da carta da regalo azzurra con un fiocco bianco.

«Allora lo apro.»

«No! Aspetta questa sera.»

«Perché?»

«Perché sì. Voglio che tu lo apra quando sei in viaggio.»

«Sì, va bene.»

I due si abbracciarono, dopodichè Siirist salutò il fabbro, ma egli aveva ancora un’ultima cosa da dire.

«Stai per diventare un Cavaliere e andartene a Vroengard…»

«Sì, lo so.»

«Mi lasci senza aiutante nella bottega.»

«Potresti sempre ingaggiare Hermeppo.»

«Per cui… – continuò il fabbro ignorando lo spirito di Siirist – potrei approfittare di questo momento e andare finalmente a studiare un po’ di magia.»

«Ottima idea!»

«Così potrò veramente forgiarti un’arma senza eguali!»

«Con il vostro talento, se sapeste forgiare armi di Cristallo ne fareste di nettamente superiori rispetto alle armi dei Cavalieri.» concordò Evendil.

«Che vuoi dire?» chiese Siirist.

«Voglio dire che le spade date in dotazione ai Cavalieri alla conclusione del terzo anno di addestramento sono senza dubbio eccezionali, con tanto di incanti potenti. Ma non sono affatto le migliori armi in circolazione. Esiste un fabbro elfico che vive a Imladris, capitale degli altmer e antica capitale di tutta la nazione elfica, che è in assoluto il più bravo che esista: le sue armi sono senza confronti.» mentre parlava, l’elfo strinse l’impugnatura di Lin dur.

«Mi pareva che quella fosse una spada di fattura straordinaria. È stato proprio Bhyrindaar a forgiarla, vero?» chiese Hans.

Evendil annuì.

«Ora capisco il perché delle scritte elfiche anche sull’elsa. Non è semplicemente una spada, vero?»

L’elfo sorrise.

«No.»

«Ma di che parlate? Chi è questo Bhyrindaar?» chiese Siirist.

«è il fabbro di cui ho parlato prima. Ora dobbiamo veramente andare. Arrivederci, mastro Hans, Keira.»

Siirist nuovamente abbracciò l’amica e strinse la mano al fabbro, per poi seguire l’elfo verso il cancello nord. Avevano fatto pochi metri, quando questi parlò.

«Dimenticato niente?»

«Non mi pare.»

«Elric.»

«Oh, è vero! Torno subito.»

«Sbrigati.»

Siirist corse al negozio d’alchimia, ed entrando trovò il proprietario, Dhorn e Navare a chiacchierare.

«Oh, sei arrivato finalmente.» esclamò il negoziante.

«Quell’anello mi serve, dopotutto.»

«Sì, è vero. Eccoti qui. Non lo togliere per nessuna ragione, mai, almeno finché non avrai imparato a chiudere bene la mente.»

Siirist si tolse il guanto destro ed indossò l’anello sull’indice, per poi rimettersi la protezione.

«Senti, per quanto riguarda gli oggetti che ti ho rubato, li darò a quell’Orrin di cui mi ha parlato Elric, così che tu li possa riavere.» disse rivolgendosi all’assassino.

«Grazie mille.»

«Bene, allora io parto per Vroengard. Qualche consiglio per entrare al castello di Anvil?»

«Fa parte anche quello dell’esame.» rispose divertito Elric.

«Volete farmi uccidere?» rispose secco il giovane.

«No, ma che! Dovrai informarti per la città su come infiltrarti al castello. Lo spionaggio è uno dei compiti della Gilda, devi imparare a trovare le informazioni che ti servono per la missione da solo.» spiegò Dhorn.

«Sì, d’accordo. Vi manderò una lettera di malaugurio da Vroengard, allora. Ciao, gente!»

Siirist raggiunse Evendil ed i due uscirono dal cancello. Evendil andò subito alla stalla dove fu accolto dal proprietario, che gli chiese di attendere solo cinque minuti perché gli preparasse il cavallo.

«Va bene, intanto andiamo a noleggiare un chocobo.»

Siirist gli si avvicinò.

«Scegli pure tu, io vado a prendere il necessario per il viaggio.»

«Sì, d’accordo.»

Il giovane si diresse con fare casuale verso l’ingresso del suo rifugio, scostò l’edera che lo celava, scese il primo tratto al buio, per poi trovare la lanterna e arrivare alla grotta in fondo. Prese uno zaino che riempì con tutto il denaro e gli oggetti preziosi, il suo kit da scassinatore, corda e due rampini, il medaglione per individuare gli incanti; dopodichè lasciò la spada di ferro e indossò due cinture, una reggente la spada di Vetro e la spada di mithril, l’altra il pugnale di Vetro e la saccoccia delle pozioni. Legò i coltelli da lancio alle cosce e uscì dalla grotta. Evendil intanto, ascoltando i pensieri del ragazzo, era arrivato proprio davanti all’ingresso segreto.

«Senti, non è che potresti sigillare l’ingresso? Non vorrei che mi trovassero il rifugio e che mi venisse rubato tutto.»

«Aa’ i’ gon stala a’ intaar.»

Pochi istanti dopo, le rocce che formavano l’arco dell’ingresso iniziarono ad espandersi, fino ad unirsi e non lasciarne più traccia.

«Che hai detto?!» domandò Siirist con gli occhi che brillavano.

«“Che la roccia sigilli l’ingresso”.»

«Forte!»

«Ora andiamo.»

Evendil montò subito sul suo destriero, e Siirist lo imitò, salendo in groppa al chocobo affittato, dopo aver assicurato sul retro della sella lo zaino, lo scudo e l’arco sul lato destro, la sacca sul sinistro.

«Sei ben armato.» osservò l’elfo, mentre il futuro Cavaliere infilava il piede sinistro nella staffa.

Siirist si issò sul pennuto, per poi guardare l’altro.

«Devo essere pronto per ogni evenienza.»

«Ma non sei bravo ad usare niente di quello che hai. A parte i coltelli da lancio, sei abbastanza bravo con quelli.»

«E tu che ne sai?» domandò seccato il giovane.

L’elfo si limitò a sorridergli.

«Mi leggi la mente…» mormorò scocciato il ragazzo.

«Non appena sostiamo, iniziamo ad allenarci con la spada.»

«D’accordo.»

Ci fu qualche minuto di silenzio, mentre i due si muovevano ritmicamente seguendo il passo della propria montatura, che fu rotto da Siirist.

«In cosa consiste esattamente il dovere di un Cavaliere? Elric mi ha accennato qualcosa delle missioni che svolgono la Gilda dei Ladri e la Confraternita Oscura per l’Ordine, e che quando i Cavalieri trovano una vittima della Confraternita, la ignorano.»

«Sì, è vero. Il compito dei Cavalieri è di garantire la sicurezza dell’Impero e del regno degli elfi, sostanzialmente. I Cavalieri pattugliano le vie principali, intervengono in aiuto delle città se c’è un pericolo particolarmente grande che le guardie cittadine non riescono a fermare, fanno da guardia del corpo ai governatori…»

«Hassildor non ne ha, però.» lo interruppe Siirist.

«No, non ce ne è bisogno. È abbastanza forte di suo. Se mai venisse attaccato, il suo avversario passerebbe guai seri. Non sai che è un eminente membro del Consiglio dell’Università Arcana? È uno dei mistici umani più potenti che ci siano ora. Non è particolarmente bravo come mago, poiché il Flusso vitale non è molto forte di lui, ma la sua elevatissima capacità di concentrazione gli permette di evocare spiriti e invocare creature che persino pochi elfi sono in grado di richiamare.»

«Ecco, già che ci siamo, poi torni a spiegarmi dei Cavalieri, mi spieghi esattamente cosa sono le quattro arti mistiche? So cos’è l’alchimia, però non so come funziona.»

«Dunque, le arti mistiche si dividono in: magia, stregoneria, invocazione, alchimia. La magia si basa sull’uso del nome di tutte le cose. Dicendo il vero nome di qualcosa, ad esempio del fuoco, che è “naur”, si può manipolare la tale cosa. Anche creare, ma questo consuma molta più energia che manipolare qualcosa che già esiste nell’ambiente circostante. Appunto, utilizzando il vero nome delle cose, si eseguono incantesimi, ma ovviamente non basta utilizzare le parole, perché se no gli elfi starebbero sempre a fare magie, visto che noi abbiamo adottato la Vera Lingua, che si dice sia il linguaggio degli dei, e questo spiegherebbe perché ci si può fare la magia.»

Siirist annuì.

«Bisogna anche attingere dalla forza del pianeta che è presente in tutti gli esseri viventi, il Flusso vitale di cui ho parlato prima. È una corrente di energia che permette la vita, e con un adeguato allenamento, si impara ad utilizzarla. Più è forte in una persona, più le magie sono potenti. Questa purtroppo è una dote innata, e non si può allenare: o il Flusso scorre potente, oppure no. Tutti gli esseri viventi, come ho detto prima, ne sono provvisti, ma la ragione per cui non tutti sono maghi è che è necessaria una soglia minima perché si possa utilizzare la magia. Gli elfi sono l’unica razza in cui in ogni membro scorre il Flusso vitale in quantità minima per poter utilizzare la magia.»

«Quindi quando si lanciano gli incantesimi, si consuma questa energia del Flusso vitale?»

«No, forse mi sono spiegato male. Il Flusso vitale indica il nostro legame con il mondo, e da questo legame traiamo la capacità di controllare l’ambiente. Ma l’energia che si consuma è quella del nostro corpo. Utilizzando la magia, infatti, si utilizza la stessa quantità di energia che si consumerebbe se compissimo la stessa azione fisicamente. Il problema è che devi imparare a conoscere i tuoi limiti, perché se lanci un incantesimo troppo potente per le tue capacità, muori. Se compi un’azione fisicamente e vedi che non riesci a portarla a termine, come il tentare di sollevare una montagna, puoi tranquillamente smettere di provarci, però se cerchi di farlo con la magia, l’energia necessaria perché la montagna si sollevi verrà sottratta al tuo corpo, portandoti alla morte.»

«La magia è pericolosa, allora!»

«Sì, per chi non la sa padroneggiare. Quando se ne imparano i segreti, l’allievo deve sempre seguire le indicazioni del suo maestro, e mai esagerare.»

«Come faccio a scoprire la potenza con cui scorre in me il Flusso vitale?»

«Lo scopriremo arrivati a Vroengard.»

«E ora spiegami perché i Cavalieri sono più forti rispetto a chi non lo è, come funzionano nel dettaglio le altre arti, e il resto dei compiti di un Cavaliere.»

«Hai molte domande.» rise Evendil.

«Suppongo che chi effettua la Prova sappia già le risposte.»

«Sì, è vero, per cui è meglio che le sappia anche tu, hai ragione. Dunque, un Cavaliere è reso forte dal suo legame con il drago. Ogni razza di drago è diversa l’una dall’altra, ci sono i draghi più forti e quelli più deboli, ma sostanzialmente sono tutti allo stesso livello, tranne che per una in particolare.»

«Gli Inferno.»

«Esattamente. Gli Inferno sono superiori a qualunque altra tipologia di drago. Non sono i più grandi in stazza, ma sono più veloci, più forti e hanno la fiammata più potente in assoluto. Più il drago è forte, più lo è il Cavaliere. Ma non è solo questo che conta, bensì anche l’intensità del legame che drago e Cavaliere instaurano. I due sono legati mentalmente, e più questa unione è forte, fino ad arrivare addirittura a non distinguere le proprie coscienza e a sentire il dolore dell’altro come proprio, più forza trae il Cavaliere dal suo drago. Questa cosa si può anche spiegare numericamente: l’intensità di legame si misura in percentuale, e per ogni numero il Cavaliere ottiene una determinata quantità di energia, differente per il tipo di drago. L’unità di misura dell’energia è il douriki, per cui facciamo l’esempio di un drago che dà 150 douriki ad ogni percentuale, se il Cavaliere ha un legame al 5% con il drago, avrà 750 douriki in più rispetto a prima, se avesse un legame del 20%, ne avrebbe 3000 in più. Sai quanto è il bonus, chiamiamolo così, che dà un Inferno ad ogni percentuale?»

«E come dovrei saperlo?»

«1000. E considera che un essere umano in media, e non parlo di soldati o di persone che sanno combattere, ha sui 50 douriki.»

«Che cosa?» Siirist era a bocca aperta.

«Poi c’è da specificare la differenza tra douriki fisici e douriki energetici. Quelli fisici sono la normale forza che possiedi, mentre quelli energetici sono la tua riserva energetica, a cui devi attingere per usare la magia, per ritornare al discorso di prima. E più basso è il tuo valore di douriki fisici, più douriki energetici dovrai utilizzare, ma d’altro canto più è potente il Flusso vitale, meno douriki energetici sono necessari perché l’incantesimo sia potente. Tutto chiaro fin qui?»

Siirist annuì nuovamente, la faccia seria, intento ad ascoltare attentamente le parole dell’elfo.

«I douriki fisici hanno un limite, puoi allenarti quanto vuoi, ma prima o poi arriverai al tuo massimo. I douriki energetici, invece, sono senza limite. Attraverso la meditazione e altri esercizi mentali, riuscirai ad incrementare la tua riserva energetica così tanto da poter lanciare incantesimi incredibili uno dopo l’altro. Oltretutto i Cavalieri possiedono il Cerchio d’argento, che si procurano dopo aver toccato per la prima volta il drago, che funge da incalanatore di energia, uno estremamente efficace, per cui se dovessero lanciare un incantesimo attraverso di esso, l’effetto avrebbe dieci volte la potenza rispetto al normale.»

«Quindi hanno lo stesso effetto di uno scettro.»

«Esatto, bravo. Ma posso assicurarti che non esistono scettri così potenti. Il massimo che è stato creato è una potenza moltiplicata per sette.»

«Quindi i Cavalieri sono forti grazie al legame che hanno con il drago, e più questo è forte, più forza traggono dal drago, e grazie al Cerchio d’argento che funge da incalanatore di energia.»

«Precisamente.»

«Ora continua con la spiegazione sul misticismo.»

«Sì, allora, le tre branche rimaste sono stregoneria, invocazione e alchimia. Tra gli uomini, gli orchi e i nani la stregoneria è più comune della magia, poiché non necessita di una soglia minima di Flusso vitale per essere praticata. Inoltre è raro trovare maghi potenti tra queste razze, anche perché non sempre il Flusso vitale è potente in chi è portato alla magia. La stregoneria, oltretutto, può essere anche più potente in battaglia rispetto alla magia perché non richiede alcun consumo di energia, ma ciò non vuol dire che non sia più pericolosa, anzi.»

«E come?»

«Attraverso la Vera Lingua, si evocano gli spiriti delle cose, come ad esempio gli spiriti del fuoco per creare una fiamma. Ma questa pratica richiede una grande concentrazione, poiché c’è sempre il rischio di perdere il controllo degli spiriti, e se ciò dovesse accadere, lo stregone verrebbe attaccato dalle entità che lui stesso ha evocato e finirebbe con il trasformarsi in uno spettro.»

«Ecco cosa sono gli spettri, allora! Avevo letto qualcosa, ma non diceva molto.» disse Siirist incuriosito.

«Gli spettri sono creature che non hanno più nulla a che vedere con la persona che erano precedentemente, se non per l’aspetto fisico, occhi e capelli rossi a parte, e sono estremamente potenti, visto che è raro che spiriti deboli sfuggano al controllo dello stregone. Sono assetati di morte e distruzione e servono solo sé stessi o chi incute timore in loro, solitamente grandi signori dei demoni.»

«E Hassildor è uno stregone?»

«Sì.»

«Ma non è pericoloso? Non sarebbe un bene per Skingrad se il suo conte diventasse uno spettro!»

«No ci certo, ma fidati, Janus Hassildor è uno degli stregoni più potenti che abbia mai conosciuto.»

«Più degli elfi?»

«Gli stregoni elfici si possono contare sulle dita di una mano, per quanto sono pochi. In noi il Flusso vitale scorre molto forte, non ha senso praticare la stregoneria, anche se è stato il nostro popolo a scoprirla.»

«Sì, è vero. Ora parlami dell’invocazione e dell’alchimia.»

«L’invocazione non è altro che il richiamare come supporto i daedra, le creature che abitano la dimensione di Oblivion, che si trova in mezzo alla nostra e a Nirn, la dimensione degli dei. Essa è suddivisa in dieci piani, ognuno governato da un Esper, e ciascun Esper è stato creato da un dio che gli ha infuso il suo potere.»

«Ma gli dei non sono undici, scusa?»

«è vero, ma l’Esper del nono piano, Bahamut, è stato creato dalla Coppia della Tempesta insieme.»

«Ho capito.»

«Dicevo, i daedra sono le creature che abitano questa dimensione. Sono di varia forma e potenza, e si possono invocare dopo che sono stati sconfitti dall’invocatore, e può farlo visitando spiritualmente un piano di Oblivion e trovando i daedra. Io stesso possiedo due invocazioni.»

«E quali?»

«Si chiamano sazluck e pirolince, e provengono rispettivamente dal piano di Zordiak e dal piano di Ifrit. Il sazluck è un serpente marino lungo dieci metri, mentre la pirolince, da come puoi dedurre dal nome, è una creatura che assomiglia ad una lince ma è tutta infuocata.»

«Serpente marino e creatura di fuoco? Deduco che questi Zordiak e Ifrit siano gli Esper di Tenma e Hanryu.»

«Esatto, bravo. L’alchimia è invece, a differenza delle altre tre arti, l’unica di invenzione umana e non elfica. Essa è infatti alla base di tutti i progressi scientifici e tecnologici dell’ultimo secolo. Fino a cento anni fa, infatti, l’alchimia era solo la scienza di creare pozioni, ma questa arte è stata rivoluzionata dall’invenzione della Materia. Le Materia sono piccole sfere contenenti energia del Flusso vitale, che sono state con la magia portate a svolgere una data funzione. La luce dei lampioni, le nuove armi ad energia, i bot, e qualunque altra macchina si muove grazie alle Materia. Ma esse possono essere usate in battaglia anche da chi non utilizza armi a energia. Possono infatti essere create delle Materia che aumentino la forza, o che diano la capacità di controllare il fuoco, o qualunque altra cosa possibile con la magia. Ovviamente la loro forza è data dalla quantità di douriki necessaria alla loro creazione. Per utilizzarle si avvicinano alla pelle nuda ed esse la penetrano, entrando nel corpo, donando poi al portatore la capacità di usarne i poteri. Utilizzare le Materia non consuma energia, ma è necessaria una quantità di energia corrispondente alla forza della Materia stessa per mantenerla nel proprio corpo. Se questa soglia minima dovesse mancare, la Materia sarebbe espulsa dal corpo.»

«Quindi se io avessi, diciamo, 200 douriki energetici ed una Materia da 150, dovrei stare attento a non consumare più di 50 douriki o perderei la Materia?»

«Proprio così. Ora, c’è altro che vuoi sapere?»

«Devi finire di dirmi quali sono i compiti di un Cavaliere.»

«Sì, giusto. Ti ho detto già che i Cavalieri devono pattugliare l’Impero ed il regno degli elfi e che devono garantire la sicurezza, ma non devono solo difendere. “Garantire la sicurezza” significa anche investigare ogni qualvolta si sospetti che ci sia un problema per l’ordine attuale di Tamriel. L’intelligence dell’Ordine arriva ovunque, e non parliamo solo di Cavalieri. Solitamente, infatti, sono persone comuni che ne fanno parte, e poi informano i Cavalieri se devono intervenire.»

«Ed ecco la collaborazione tra Ordine e Gilda dei Ladri.»

«Sì, anche.»

«E tu perché sei un membro dell’Ordine? Non sei dell’intelligence, immagino.»

«No, ma questa è una lunga storia e ora non ho voglia di parlarne.»

Siirist si limitò ad annuire.

«In passato il compito più importante dei Cavalieri era combattere i demoni di Hellgrind, poiché tentavano di invadere il resto del continente. Ma ora la situazione è più calma, per cui, come ti ho detto a Skingrad, l’era dei grandi eroi e delle battaglie epiche tra Cavalieri e demoni è finita. Sono ormai passati oltre cinquemila anni da allora, non c’è nemmeno un elfo di quel tempo ancora in vita.»

«Ma non siete immortali?»

«Esagerato. Voi umani non riuscite a comprendere un’esistenza che vada oltre il mezzo millennio, come quella dei nani, e considerate una vita lunga come quella degli elfi una vita infinita. Viviamo al massimo tremila anni, e solo in rari casi un elfo è vissuto così a lungo. Solitamente un elfo vive sui due millenni, due millenni e mezzo.»

«Fosse poco! Comunque io non vorrei mai vivere così a lungo.»

«Mi spiace deluderti, ma i Cavalieri vivono come un qualunque elfo. Non che sia una gran differenza per un elfo Cavaliere.»

«Mi prendi in giro.»

«No.»

«Io dovrei vivere per così tanto?»

«Già.»

«Che noia! E uno che deve fare con tutto questo tempo a disposizione?»

«Ti sorprenderà vedere quante cose ci sono da fare.»

«Parli come uno che ha vissuto molto. Quanti anni hai?»

«No, non molto, ho solo centoventi anni.»

«“Solo”?» Siirist alzò un sopracciglio.

«Considerando i nostri standard, sì.» rise Evendil alla faccia del ragazzo.

«Duemila anni e più a far da balia alla gente dell’Impero.» mormorò Siirist.

«Vedrai che la tua vita sarà più emozionante di quello che pensi.»

«Lo sarebbe se ci fossero ancora da compiere le grandi imprese di un tempo! Ma mi hai detto che oramai i Cavalieri fanno da semplici sentinelle!»

«è vero, ma nel tuo caso penso sarà diverso.»

«E perché, scusa?»

«Perché sei un Cavaliere di Inferno. Nella storia dell’Ordine ci sono stati solamente quattro Inferno, contando Tyron, il drago di Eleril. E tutti questi Cavalieri sono entrati nella storia come formidabili eroi e salvatori di Tamriel. Nonostante i tempi presenti siano diversi dal passato, non credo che sia un caso che questo uovo abbia finalmente scelto il suo Cavaliere.»

«Che intendi dire?»

«Oltretutto tu sarai il quinto Cavaliere di Inferno, e il 5 è un numero importante nella magia.»

«Perché?»

«Perché sta ad indicare il numero di razze senzienti antropomorfiche che vivono su Tamriel.»

«E allora?»

«Cosa? È un numero importante nella magia, punto. E poi c’è da considerare la tua…»

«Che cosa?»

«Niente, lascia stare.»

«No, dimmelo!»

«Fermiamoci qui, Farn e il chocobo sono stanchi.»

Siirist comprese che era inutile cercare di insistere. Entrambi smontarono e slegarono la propria sella, Siirist cercando di capire cosa stesse per dire Evendil, questi che ripensava alla preveggenza che aveva manifestato il ragazzo nello scontro con il demone grem.

 

 

 

 

 

~

 

 

 

E come promesso, ecco il capitolo!

 

Ringraziamenti:

1)      Bankotsu. Evendil sapeva benissimo che se non fosse giunto a minacciare Keira, Siirist non avrebbe accettato di toccare nuovamente l’uovo, ma non l’avrebbe mai fatto. Anche se è vero che ne aveva l’autorità, essendo membro dell’Ordine. Sono felice che la mia citazione di FMA sia stata colta! Quando cercavo un nome, mi è venuto in mente “Eric”, e da lì ci vuole poco per pensare a “Elric”. Nonostante Navare sia una buona persona, al lavoro sa il fatto suo. Infatti penso che lo riutilizzerò in futuro.

2)      franky94. Non preoccuparti per la recensione, sono contento che sei tornato!

3)      jazz211. Nuova lettrice! Sono contento che ti piaccia la storia e ti consiglio di non essere troppo curiosa di sapere chi sia questa Alea, visto che comparirà tra dieci capitoli!

 

Il prossimo capitolo si intitola KVATCH

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** KVATCH ***


KVATCH

 

KVATCH

 

Siirist era seduto contro un albero, intento a giocare con un filo d’erba, mentre stallone e chocobo mangiavano e si riposavano.

‹Potrei vedere cosa mi ha regalato Keira.›

Il ragazzo fece per alzarsi e andare verso la sua sella, quando la sua attenzione fu richiamata da Evendil.

«Attento!»

Siirist si voltò di scatto e fece appena in tempo a buttarsi a terra per evitare una piccola sfera di fuoco che si spense poco dopo averlo superato.

«Ma sei scemo?! Avrei potuto non evitarla!» sbraitò, rialzandosi e pulendosi i vestiti.

«Lo so. Ma non preoccuparti, era molto debole. Nemmeno ti avrebbe bruciato, giusto scaldato un po’.»

«Fanculo.» mormorò il futuro Cavaliere.

Riprese a camminare verso la sella, ma fu sbattuto a terra da una sfera d’aria poco più grande di quella di fuoco. Lo colpì sulle costole destre e lo fece cadere sulla spalla sinistra che colpì un sasso. Ancor più arrabbiato, il giovane si rialzò massaggiandosi le due parti colpite contemporaneamente.

«Perché?!»

«Ti ho sentito.» rispose tranquillo Evendil, seduto su una roccia.

«Ah…»

«Allora, vogliamo cominciare? Prendi la spada di Vetro.»

«Ma veramente volevo…»

«Sbrigati, o ti becchi un’altra sfera di vento.»

«Subito!»

Il ragazzo sguainò la sua spada ad una mano e mezza e si preparò ad affrontare l’elfo che già stringeva Lin dur nella destra.

«Gli stili, o forme, di combattimento con la spada sono tradizionalmente quattro: Makashi, lo stile offensivo, Soresu, lo stile difensivo, Djem-So, lo stile dei Cavalieri, Juyo, lo stile dei demoni. Dico che sono tradizionalmente quattro perché ce ne è anche un quinto, di mia invenzione, che ho chiamato Ataru. Il Makashi è perfetto contro un singolo avversario che utilizzi un’arma da combattimento ravvicinato, ed è la prima forma che si impara ad utilizzare. È uno stile molto elegante, potente, e richiede molta precisione per permettere a chi lo usa di attaccare e difendersi con poca spesa. È anche necessario mantenere un preciso lavoro con i piedi per mantenere una certa distanza dall'avversario durante la difesa e mentre ci si muove in attacco. Tempismo, precisione, e abilità, piuttosto che forza sono preferibili nell'uso di questa forma. Si chiama “lo stile offensivo” perché nonostante abbia ovviamente delle tecniche di difesa, è improntato all’attacco. Lo scopo di questa forma è sconfiggere rapidamente l’avversario, che sia ucciderlo, in questo casi gli attacchi hanno sempre come obiettivo i punti vitali, ferirlo in modo da renderlo innocuo, o anche solo disarmarlo. È incredibile, ma la mossa che hai eseguito nel disarmare Vaan appartiene proprio allo stile Makashi, e nonostante tu non lo conosca, l’hai adoperato. Il Makashi diventa però abbastanza inutile quando si affrontano più nemici, soprattutto quando questi possiedono armi a distanza come archi, balestre, lance o anche quei dannati fucili. Esso infatti richiede la concentrazione massima dell’utente contro un singolo avversario, e non permette di affrontare un numero maggiore. In questo caso si utilizza il Soresu, chiamato “lo stile difensivo” perché usa movimenti molto vicini al corpo, nel tentativo di proteggerlo totalmente e spendere meno energia possibile, rendendo un utente molto esperto di questo stile quasi invincibile. Chi usa il Soresu rimane con sicurezza sulla difensiva finché l'avversario non rivela una debolezza, per questo è considerata una forma passiva di combattimento, usata da persone molto riservate e pazienti. Il Soresu è l’ideale quando si deve affrontare una lunga battaglia. Qualunque spadaccino conosce questi due stili, e si trovano solitamente quelli specializzati o nell’una o nell’altra forma. In rari casi, invece, tra gli elfi è il caso di tutti, trovi chi è un maestro di entrambi gli stili e che sa scambiarli all’occorrenza. Lo Djem-So è lo stile dei Cavalieri, che unisce caratteristiche di entrambi gli stili detti prima: usando una combinazione di blocchi e parate derivate da Soresu e Makashi chi usa Djem-So sa bene come difendersi dagli attacchi ravvicinati e dagli attacchi a distanza. Comunque, mentre chi usa il Soresu rimane sulla difensiva e contrattacca solo quando si verifica una debolezza nella difesa nemica, chi usa il Djem-So non è così paziente e aspetta solamente fino a che ha capito come combatte l’avversario. Mentre il Makashi usa precisi e veloci colpi, il Djem-So usa serie di attacchi a ripetizione con colpi poderosi, per battere la difesa nemica: questo è permesso dalla forza superiore dei Cavalieri rispetto a chi non lo è. Il Juyo è invece uno stile inventato dai demoni e che è giunto con difficoltà anche agli abitanti di Tamriel fuori da Hellgrind. Non è mai praticato dagli elfi o dagli umani, orchi e nani che utilizzano le arti mistiche, per cui se lo vedi utilizzato da qualcuno che non è un demone, vuol dire che ignorano le vie del misticismo. Questo perché è estremamente pericoloso per chi è in contatto con il Flusso vitale o gli spiriti. Il Juyo, oltre che essere uno stile di raffinata tecnica, paragonabile ad un Makashi capace di affrontare anche più nemici, trae la forza per i suoi colpi dalla rabbia dell’utente. Ognuno di noi prova rabbia, anche se poca, e con l’adeguato addestramento mentale, si impara a farla crescere e a farla confluire nel corpo, come fanno i maghi con il Flusso vitale. È pericoloso per chi ti ho detto prima perché gli elfi corrono il rischio di essere corrotti da questa rabbia e di diventare elfi oscuri, mentre i mistici non elfici rischiano di essere posseduti dagli spiriti, attirati dalla negatività generata dal sentimento della rabbia, e di diventare spettri. I demoni invece sono al sicuro, perché è nella loro natura essere malvagi.»

«Già, sono dei mostri.» commentò Siirist, che intanto si era seduto e aveva appoggiato la spada sulle gambe.

«Ecco un altro dei pregiudizi degli umani. Gli elfi sono immortali, i demoni sono dei mostri sanguinari. Se dico che è nella loro natura essere malvagi, non vuol dire che lo siano effettivamente. Poiché è naturale per loro essere alimentati da sentimenti negativi come la rabbia, la sanno controllare perfettamente. Poiché è naturale per loro esse malvagi, sanno superare questa loro indole ed essere delle persone più che di compagnia.»

«Ne ho incontrato uno, ed era un sadico massacratore.»

«Mi sembrava ovvio che stessi parlando di esseri degni del nome di demone. Quel patetico grem che hai ucciso era un insulso classe E, forte quanto l’unghia del piede di un classe B. è dai B che si inizia seriamente a parlare di demoni. I rifiuti come i grem si chiamano “demoni” solo perché in loro è presente DNA demoniaco, ma a vederli sono solo vergognosi. Gli alati li uccidono come sport perché si vergognano di appartenere alla stessa razza.»

«Uccidono i grem o i classe E? E cosa sono queste classi, scusa?»

«Uccidono tutti i classe E, intendo. La classe è una categoria che indica la potenza di un demone in base ai douriki. Un demone che nasce in una classe non necessariamente ci rimane, ma può salire di livello diventando più forte. La classe E va dai 10 douriki ai 150, la D è compresa tra i 151 e i 300, la C tra i 301 e i 1000, la B tra i 1001 e i 3000, la A tra i 3001 e i 7000, la X tra i 7001 e i 20000.»

«20000 douriki?! Ma sono potentissimi!» commentò Siirist a bocca aperta.

«Sì, è vero.»

«Immagino che gli alati facciano parte della classe X.»

«Non proprio, mi sono fermato alle classi a cui appartengono i demoni senz’ali. Gli alati fanno parte della classe S, che va dai 30000 douriki ai 100000, e in rarissimi casi ci sono gli SS, che hanno una potenza oltre ogni immaginazione.»

Siirist era senza parole.

«Ma, aspetta un attimo… Ho letto una leggenda riguardante Eleril Ryfon, diceva che sconfisse dieci alati da solo! Come è possibile? Anche se avesse avuto un legame perfetto con Tyron, dunque un extra di 100000 douriki, come avrebbe potuto battere dieci alati? Anche se fossero stati i più deboli in assoluto, la somma dei loro douriki avrebbe raggiunto i 300000!»

«Tu sottovaluti Eleril. Un Cavaliere non è forte solo grazie al suo drago. È vero che Tyron gli dava una potenza quasi sconfinata, ma Eleril era forte anche senza il suo compagno. Eleril era il più grande mago, stregone ed invocatore che l’Ordine dei Cavalieri abbia mai avuto, oltre che uno degli spadaccini più forti, in grado di usare perfettamente lo stile Djem-So Jar’Kai a doppia spada come pochi prima di lui.»

«Cos’è questo stile? Non me l’hai menzionato prima.»

«Perché ti ho detto solo gli stili ad una mano, cioè quelli che studierai nei primi tre anni di addestramento. Lo Jar’Kai è la forma a due mani, cioè che ti insegna a brandire una lancia, una spada con un’ascia, un pugnale, una mazza o una seconda spada. Quest’ultima possibilità è la meno frequente, perché è più difficile controllare perfettamente due spade.»

«Io lo so fare!»

«Tu non sai combattere con alcun stile, Siirist. Io intendo saper padroneggiare perfettamente le forme mentre si brandiscono due spade. Il Juyo fa largo uso dello Jar’Kai, visto che i demoni più forti utilizzano anche tre spade.»

«E come è possibile?»

«La terza in bocca.»

«Mi prendi in giro.»

«No, affatto. Prega di non affrontare mai un demone che usi il santouryu, appunto “tecnica a tre spade”, visto che è micidiale. Prima stavo finendo di spiegarti lo stile Juyo. Ovviamente non lo imparerai, ma lo devi conoscere perché c’è sempre la possibilità di dover affrontare qualcuno che lo utilizzi. Esso, dicevo, trae forza dalla rabbia, e questo rende gli attacchi molto rapidi e improvvisi, più o meno forti a seconda di quanto l’utente sappia richiamare la sua furia. Oltre a questo, lo Juyo insegna ad utilizzare ogni parte del corpo come arma, per cui è facile vedere chi lo usa colpire con pugni, gomitate, calci, ginocchiate o anche testate. Ovviamente se questi utilizza il nitouryu, cioè “tecnica a due spade” o il santouryu, i colpi senza armi verranno dati unicamente con le gambe. La forma Juyo, per concludere, predilige attacchi portati con il filo, per cui è raro colpire con affondi e stoccate, questo a causa della forma particolare delle spade dei demoni, le katana.»

«E come sono?»

«Unicamente ad un filo e con la lama ricurva.»

«Strane.» commentò poco convinto Siirist.

«Ma efficaci, fidati. Comunque non preoccuparti di incontrare un utilizzatore di santouryu, solo gli alati lo studiano, e per quanto riguarda il nitouryu, anche quello è raro da incontrare, visto che solo i demoni maggiori ci si addestrano, cioè dalla classe A in su.»

«Ma se io dovessi affrontare un alato classe S e fossi al massimo del legame con il mio drago, lo batterei facilmente? Hai detto che il massimo della classe S è 100000 douriki, per cui è difficile che tutti gli S siano a quel livello.»

«Hai ragione, è difficile, ma non è detta che tu vinca. La forza di un demone non si basa solo sui douriki. Se due maghi si affrontassero, uno con il doppio dei douriki dell’altro, ma il secondo con cinque volte la potenza di Flusso vitale del primo, chi vincerebbe?»

«Il secondo.»

«Precisamente. I demoni non possono utilizzare la magia, e questa è una grande fortuna, ma non vuol dire che abbiano delle capacità inferiori. Meno versatili certamente, ma in alcuni casi più efficaci. Cito il grem, visto che ne hai affrontato uno e sai di cosa sto parlando, che possiede il potere del veleno. Nelle sue vene scorre un relativamente potente veleno ed è capace di iniettarlo all’avversario attraverso i suoi artigli. Quello, ad esempio, è un potere scadente. I grem ricoprono uno dei ranghi più bassi tra tutta la scala dei demoni. Oltre che non poter superare la classe D, possiedono un potere insulso. Per citare forse la sotto razza più forte, di cui fa parte anche Raizen, l’Imperatore dei demoni, che è ovviamente un SS, cioè le bestie del fulmine, loro hanno un potere sconvolgente: essi sono il fulmine. Si possono muovere alla velocità della luce, possono lanciare scariche elettriche della potenza di milioni e milioni di volt, possono incanalare il loro potere nei loro corpi per rendere i loro colpi fisici ancora più devastanti di quanto non lo siano da normali, sono anche in grado di creare campi di forza per spostare oggetti o creare scudi protettivi. Ovviamente la magia permette di fare tutte queste cose, ma indovina che succederebbe a cercare di muoversi alla velocità della luce con la magia?»

«Il consumo energetico spropositato porterebbe alla morte.»

«Esatto. I demoni, invece, hanno la capacità di allenare i loro poteri non solo per renderli più potenti, ma anche per ridurre il consumo energetico. Raizen è capace di lanciare un’onda distruttiva così grande da distruggere metà Zanarkand consumando la stessa energia che impiega per respirare.»

Siirist era terrorizzato.

«Non può essere…»

«E invece sì. Perché credi che sia finita la guerra contro Hellgrind? Raizen si era stufato di queste continue lotte e ha firmato l’armistizio con i Cavalieri.»

«Ma è successo millenni fa! Come può essere ancora vivo?»

«Per essere più precisi, aveva già i suoi anni al tempo di Eleril, ma non era ancora Imperatore, lo era suo padre. I demoni alati, per tua informazione, vivono più o meno come gli elfi. Ma la famiglia reale è diversa: l’Imperatore non può morire se non ucciso in uno scontro. E da quello che ti ho detto, dovresti capire che è quasi impossibile. Solo il suo erede può.»

«Ma come può essere che con una potenza simile i demoni non abbiano sconfitto i Cavalieri?»

«L’Imperatore, per legge divina, non poteva e non può tutt’ora intervenire direttamente. Infatti Raizen uccise suo padre, divenne il sovrano dei demoni e fermò la guerra, ma senza mai combattere.»

«E perché le leggi divine gli impediscono di intervenire?»

«Immagino saprai che gli dei non possono direttamente intromettersi nelle faccende dei mortali.»

«Sì, lo so.»

«E secondo te perché la famiglia reale dei demoni è così spaventosamente potente?»

«Non lo so.»

«Conosci il mito della creazione, vero?»

«Sì, più o meno.»

«Te lo spiego io, allora, con precisione, e con tanto di eventi storici, ovviamente storia più che antica, associati. All’inizio esisteva solo la dimensione Nirn in cui convivevano due divinità, Garu, che è sempre stato e sempre sarà, essendo lo spirito del tempo, e Chaos. Ma poi Chaos starnutì fuoco e da quella fiamma si generò un uovo, identico a quello che porti tu ora, e lo starnuto fu così potente da sconvolgere l’intero corpo del dio, che si divise in luce e oscurità, dando vita a Soho e Obras. Subito Soho s’impose sul fratello, reclamando Nirn come sua, e obbligò Obras ad andarsene. Così il dio delle tenebre creò una seconda dimensione, parallela a Nirn, che chiamò Ruu. Ma Soho non si accontentò di Nirn ed invase Ruu, affermando che essa era troppo buia. Obras, non volendo iniziare una lite con il gemello, creò dei corpi in cui abitare, i pianeti, sempre più fino a che non ebbe creato quello perfetto: Gaya. Allora prese come dimora il centro del pianeta, collegato a Nirn, di cui aveva occupato una parte in cambio dell’intromissione di Soho in Ruu. Il dio della luce allora, per contrapposizione ai pianeti di Obras, creò le stelle, a cui diede il suo potere, così che illuminassero le tenebre del fratello. In particolare si interessò a Gaya, la dimora del fratello, e per facilitare il suo compito di amministrarla e di ostacolare il gemello, creò le altre divinità: Raijin, il dio del fulmine, e Fujin, la dea del vento, che subito si amarono e si unirono, formando così la Coppia della Tempesta; Tenma, a cui diede il controllo degli oceani di Gaya; Titano, che rese il sovrano della superficie emersa. Intanto giunse Garu, assieme alla creatura che era nata dall’uovo, il drago Hanryu, a cui Soho donò il potere del fuoco e ne rese il custode. Per non si sa quanto tempo, Nirn e Ruu restarono immutate con questo ordinamento, con la sola differenza della nascita di Levias, il figlio della Tempesta, dio della brezza e del divertimento, ma poi Soho incominciò ad annoiarsi. Vide che su Gaya stava iniziando a nascere la vita, i primi animali, e fu colto dall’ispirazione: decise di creare degli esseri intelligenti che avrebbero regnato su tutti gli altri viventi di Gaya e che lo avrebbero venerato. E nacquero gli angeli. Essi abitarono uno dei continenti di Gaya, Nindoria, chiamata così dal dio della luce in onore della dimensione degli dei, visto che gli angeli erano una diretta emanazione di lui. Essi erano belli e splendenti e possedevano grandi ali piumate, candide come la neve appena caduta sul Gagazet. Per opposizione, Obras creò i demoni alati, e concepì con la femmina più potente il primo re dei demoni, che però nacque senza ali, ma con sei braccia e tre facce. E da questo primo sovrano dei demoni, Asura, discese l’intera dinastia reale di Hellgrind. Ecco perché l’Imperatore dei demoni è così forte, perché è un discendente di Obras. E il motivo per cui non può intervenire direttamente nelle battaglie è proprio legato al suo sangue divino: come gli dei non possono intromettersi nelle faccende dei mortali, non può nemmeno lui.»

«Mio dio! L’Imperatore dei demoni discende da Obras?!»

«Sì.»

«La miseria! Va beh, continua con la narrazione, mi stai appassionando!»

«D’accordo. – sorrise Evendil – A differenza del gemello, Obras decise di creare una gerarchia di demoni, creandone di diversi, la maggior parte senza ali, che sarebbero stati i servitori degli alati e di suo figlio. A Soho piacque l’idea, per cui ordinò alla Coppia della Tempesta di creare dei servitori per i suoi angeli: e furono creati gli uomini. Ma per differenziarli dagli angeli, che erano immortali, Soho decise di rendere la loro esistenza breve e effimera, così che si tolse una ciglia dall’occhio sinistro e la gettò ai suoi piedi: subito si erse Sithis, il signore della morte, che ogni duecento giri dalla loro nascita di Gaya attorno al sole reclamava l’anima degli umani. Ma con il passare del tempo, gli uomini iniziarono a venir meno, perché non si riproducevano. Così, ispirandosi a quello che Raijin e Fujin avevano fatto, Soho creò da una ciglia dell’occhio destro Deraia, che doveva infondere negli uomini il sentimento dell’amore ed il desiderio sessuale. In questo modo l’estinzione degli uomini fu impedita, ma poi essi iniziarono a crescere di numero, perché Sithis non uccideva abbastanza in fretta, così gli fu ordinato di togliere la vita agli uomini in maniera più casuale: ecco perché ora gli umani vivono di media ottant’anni, ma possono tranquillamente morire prima o dopo.»

«Non dovevamo allenarci con la spada?» ridacchiò Siirist.

«Sei tu che mi hai chiesto di continuare.»

«Lo so, però ho pensato che sarebbe più utile allenarci ora con la spada. Quando ci fermeremo stasera per dormire, che saremo stanchi, potrai continuare.»

«Hai ragione. Dai, alzati e impugna la spada. Inizieremo con il Makashi.»

«D’accordo.»

Siirist si alzò stringendo l’impugnatura, la sinistra proprio sotto la guardia, la destra che teneva per metà il pomolo.

«Come ti ho detto prima, il Makashi richiede grazia, leggerezza e rapidità nei movimenti. Ricorda il gioco di gambe per tenerti sempre alla distanza giusta da me, un palmo più indietro rispetto alla lunghezza della mia spada quando attacco io, un palmo più vicino rispetto alla tua lama quando attacchi tu.»

«Non so quanto misurano precisamente le spade.»

«Questa è una delle cose più stupide che ti abbia sentito dire da quando ci siamo conosciuti. Credi che prima di un duello i due contendenti prendano una fettuccia e misurino la lunghezza delle lame? E magari prima di ogni colpo si fermano e controllano precisamente la distanza dall’avversario.»

«Hai finito?»

«Sì.» sorrise gentile l’elfo

«Troppo gentile.» sorrise anche Siirist, il sorriso più falso che avesse mai fatto da quando aveva detto a Miya che era speciale.

«è una cosa che devi affinare con l’istinto, questa capacità di prendere rapidamente le misure, ad occhio. Io ti ho detto che devi essere sempre un palmo più vicino o più lontano, ma ho esagerato. Ti ho detto così tanto perché per imparare si fa così, ma i veri maestri del Makashi evitano la spada avversaria per un millimetro. Ti faccio vedere, attaccami con tutto quello che hai, un bell’affondo in qualunque punto tu voglia, più veloce che puoi.»

Siirist non se lo fece ripetere due volte: partì alla carica portando indietro il braccio sinistro, la lama parallela al terreno all’altezza della sua ascella, e la affondò in direzione del collo dell’elfo. Ma mentre attaccava prestò attenzione alla reazione di questi e lo vide compiere un passo indietro nel momento in cui lui si era fermato per poi colpire: la punta della spada di Vetro distava dal pomo d’Adamo di Evendil appena mezzo millimetro.

«E se io ora facessi una stoccata?»

«Prova.»

Siirist lo fece, ed Evendil si girò incredibilmente veloce di novanta gradi, evitando anche il secondo attacco.

«Anche la schivata con cui hai evitato il mio primo attacco a Skingrad fa parte dello stile Makashi. Noti che era uguale a questa che ho fatto io ora?»

«Sì.»

«Ma poi sei stato avventato e hai provato ad attaccarmi, mentre avresti dovuto tentare di disarmarmi, visto che la mia spada era alla tua mercè. Non che ci saresti mai riuscito, ma dovevi almeno provare. Sarebbe stato più facile quello che riuscire a colpirmi. Nel Makashi devi essere sempre calmo e sicuro del tuo colpo: devi sempre avere la certezza che il tuo attacco colpirà, non devi attaccare casualmente. Poi se il tuo avversario è più rapido di te e riesce a parare o schivare è un altro discorso, ma il tuo colpo non deve mai fallire per un tuo errore. Mi sono spiegato?»

«Sì.»

«Bene, proseguiamo.»

Per la successiva mezz’ora, Evendil si fece attaccare mostrando sempre a Siirist diverse schivate e parate, che poi gli fece ripetere quando fu il suo turno di difendersi. Lo sgridò più volte, rimproverandolo del fatto che si concentrava troppo della parte alta del corpo, dimenticandosi di mantenere sempre un buon gioco di gambe, inoltre gli attacchi dell’elfo erano così rapidi e precisi, che arrivavano sempre a sfiorare i punti vitali del ragazzo senza che potesse fare niente, semplicemente si accorgeva che l’elfo aveva mosso il braccio quando già Lin dur lo accarezzava.

«Non ci riesco, sei troppo veloce!»

«Oh, scusa, mi ricorderò di dire ai tuoi futuri avversari di attaccare lentamente, così da permetterti di parare.»

«Cretino, intendo che potresti almeno andarci piano all’inizio.»

«Prova a dire una cosa del genere al tuo Maestro a Vroengard e ti appende a testa in giù per poi frustarti.»

«Lo fanno?!»

«No, ma è anche vero che nessun Cavaliere in addestramento ha mai richiesto che gli allenamenti fossero leggeri.»

«Sì, ho capito.»

«Farn e il chocobo si sono riposati abbastanza, possiamo ripartire.» disse poi Evendil, rinfoderando la sua spada.

Così Siirist raccolse la sua roba e montò sul pennuto, seguendo l’elfo lungo la strada.

«Non è che i miei attacchi siano troppo veloci per te, – disse dopo qualche minuto Evendil – infatti ho visto che quasi sempre i tuoi occhi seguivano i miei movimenti. Devi imparare ad ascoltare meglio il tuo corpo, devi imparare a seguirne i movimenti. Non è il corpo che devi allenare, bensì la mente. Quando riuscirai a velocizzare il tuo pensiero, sarai in grado di unire la sua rapidità con quella della tua vista. Da lì è facile arrivare a muovere in tempo il braccio.»

Siirist annuì.

«Ah, senti. Prima hai menzionato uno stile di tua invenzione, l’Ataru, se non sbaglio, ma non mi hai spiegato in cosa consiste.»

«Sì, hai ragione. Dunque, l’Ataru è una forma che ho studiato perché potessi essere al livello dei Cavalieri anche in forza fisica. Come mago devo dire di essere sufficientemente bravo, visto che sono ritenuto uno dei dieci maghi più potenti di Tamriel.»

«Che cosa?!»

«Già. Solo altre due persone sono in grado di competere con me quando si tratta di incantesimi di luce, fuoco e vento, gli elementi in cui mi sono specializzato, e ovviamente sono un mago dalle capacità eccezionali anche negli altri campi.»

«Incredibile! E non sei nemmeno un Cavaliere!»

«Mi pare di averti già spiegato che il legame con il drago dona solo ulteriori douriki, sia fisici che energetici, ma la potenza di un mago è basata principalmente sulla quantità di Flusso vitale che scorre nel corpo, anche essa calcolata in douriki. Metti che un mago ha una presenza di Flusso vitale di 300 e 100 douriki fisici, se volesse lanciare un incantesimo che richiede tutta la sua forza, consumerebbe 100 douriki energetici, ma poi la potenza effettiva sarebbe di 400, poiché si deve aggiungere la potenza del Flusso vitale. E poiché per compiere questa determinata azione sono sufficienti 100 douriki, a tale mago basterebbe richiamare un terzo del suo Flusso.»

«Senza quindi spendere nulla di douriki energetici, giusto?»

«Sbagliato. È sempre necessario almeno 1 douriki energetico per richiamare l’energia del Flusso vitale. E poi c’è da dire che una quantità di Flusso vitale di 300 è quasi impossibile. La media tra gli umani è di 10, mentre il minimo per poterne richiamare l’energia ed usare quindi la magia è 20. Negli elfi la media è 50. In me, invece, il Flusso vitale scorre con una forza di 50000 douriki.»

«Ma hai appena detto che 300 è impossibile!»

«No, ho detto è quasi impossibile. Te l’ho detto è un dono di natura, e con me è stata particolarmente generosa.»

«Chi sono i due che hai detto possono competere con te?»

«Due Cavalieri, uno è Aulauthar, il Cavaliere d’argento, uno dei dieci Anziani del Consiglio, l’altro è Althidon, il Maestro più forte di tutta Vroengard, colui che mi ha addestrato, sebbene non fossi il prescelto di alcun uovo.»

«Ho sentito parlare di questo Cavaliere d’argento.»

«Sì, è il più potente Cavaliere in vita. Alcuni considerano essere tale il suo grande rivale, Syrius, il più grande mago su Tamriel per quanto riguarda gli incantesimi d’acqua ed elettrici.»

«Mi sorge spontanea una domanda: mi hai tanto parlato di incantesimi elementari, e oltre a questo ho visto solo magie per risvegliare le persone da uno “stupido sonno” – Evendil ridacchiò – o per far levitare gli oggetti. Ma possibile che non se ne usino di altri tipi in battaglia? Ad esempio, non consumerebbe meno energia uccidere un nemico recidendogli una terminazione nervosa che farlo bruciare vivo?»

«Naturalmente, infatti l’obiettivo di un mago è sempre quello di arrivare a quel punto. Il problema è che per utilizzare incantesimi come quello che hai detto tu, chiamati magie interne, è necessario aver prima preso il controllo della mente dell’avversario, e quando due maghi si affrontano, fanno bene attenzione a tenerla chiusa. Ogni tanto la aprono per cercare di attaccare quella dell’avversario, per poi subito richiuderla nel momento in cui l’altro fa lo stesso. E tutto questo scontro mentale avviene mentre i due si affrontano fisicamente con le armi, e mentre lanciano incantesimi esterni più o meno potenti. Essi, infatti, non servono solo a danneggiare l’avversario, ma anche a fargli perdere la concentrazione, così che si crei una falla nella sua difesa mentale e che la possa si possa attaccare. Ci vuole moltissima concentrazione per disputare un duello magico, specie se è uno di alto livello.»

«Come si chiude la mente?»

«Ti sei reso conto, sì, che da quando siamo partiti non hai fatto che farmi domande? Va bene che è giusto e necessario che tu sappia le risposte, ma ho bisogno di un po’ di tregua!»

«Ok.» rise Siirist.

I due continuarono così a proseguire lungo la via Dorata, quando sentirono un fruscio tra gli alberi alla loro destra. Evendil subito guardò in direzione del suono, il viso serio, e in un attimo sguainò Lin dur. Siirist lo imitò, imbracciando anche lo scudo di Vetro. Fu una fortuna che lo ebbe fatto perché improvvisamente gli balzò addosso una creatura che rassomigliava ad una talpa, ma grande quanto un mastino. Lo fece cadere dal chocobo e gli affondò le zanne nello scudo, danneggiandolo lievemente. Evendil non lo aveva potuto aiutare perché si era ritrovato anche lui a dover affrontare una bestia simile, che però non lo sfiorò nemmeno, avendola incendiata a mezz’aria.

«Non essere ridicolo, è solo una stupida talpa troppo cresciuta. Quanto ci metti ad ucciderla?»

«è forte!» si lamentò Siirist.

Effettivamente il mostro possedeva una discreta forza, in quanto bloccava a terra il ragazzo, impedendogli ogni movimento.

‹E questo qui sarebbe il prescelto dell’Inferno? Fa quasi rabbia!› pensò leggermente irritato l’elfo.

Puntò la spada in direzione delle talpa gigante e con un incantesimo la fece levitare, per poi rimetterla a terra venti metri più in là, lontana dal futuro Cavaliere.

«Alzati e fatti valere. Mi stai facendo arrabbiare.» Evendil serrò gli occhi e guardò il ragazzo con sguardo duro.

Siirist allora si rimise in piedi e si preparò ad affrontare l’animale, che aveva subito caricato non appena era ritornato a terra. Il ragazzo riuscì a stento a schivarlo, ma lo slancio della bestia l’aveva fatta andare addosso al chocobo, che cadde a terra per il peso dell’aggressore. Questo stava per azzannare l’uccello quando Siirist, che aveva capito le intenzioni del mostro, lanciò la spada a mo’ di giavellotto, trafiggendo il cranio della talpa da parte a parte. Evendil batté le mani.

«Complimenti, davvero. Nello scontro ravvicinato non sei capace, ma con le armi da lancio sei un portento.»

«Grazie.» rispose con tono secco il giovane.

«Perché quel tono?»

Siirist lo ignorò e ritornò dal chocobo, assicurandosi delle sue condizioni. Come ebbe visto che stava bene, lo aiutò a rialzarsi, per poi rimontargli sopra. Questo fece sorridere Evendil.

«Mi piace questo tuo atteggiamento: anche se il chocobo non è il tuo, te ne prendi buona cura. È importante tra gli elfi e tra i Cavalieri rispettare ogni forma di vita. Non vale per i mostri come quella talpa gigante, ovviamente. Quelle sono solo creature che vanno sterminate.»

«Sono d’accordo. Comunque ti faccio notare che non hai finito di parlarmi dell’Ataru. Hai iniziato a divagare sul Flusso vitale e su quanto sei un mago potente e fico, e poi siamo stati attaccati.»

«Hai ragione. Ti dico un’ultima cosa sul Flusso e poi ritorno all’Ataru. Anche se scorre potentissimo in una persona, quando essa sta imparando le basi della magia, cioè a richiamare il Flusso e unirlo con la propria energia magica, cioè i douriki energetici, per poi lanciare l’incantesimo, non è che da subito è capace di utilizzare tutto il suo potenziale. Ci vuole molto allenamento prima di poter essere in grado di fare appello a tutto il Flusso vitale.»

«Capisco. Più o meno quanto?»

«Vedrai che avrai imparato ben prima della conclusione dell’addestramento. In ogni caso, questa spiegazione del Flusso vitale era fondamentale per capire il funzionamento dell’Ataru. Come ho detto prima, l’ho messo a punto per essere al livello dei Cavalieri anche in termini di forza bruta, e per farlo mi sono ispirato alla Gilda dei Guerrieri. Nessuno in essa è un mago, non ne trovi uno nemmeno a pagarne oro, ma molti sono capaci di compiere attacchi fuori dal normale, come distruggere un muro di pietra con un pugno, generare potenti sferzate di vento con un semplice colpo di spada. Ti sei mai chiesto perché?»

«Effettivamente è una cosa che mi ha sempre incuriosito.»

«L’energia magica non serve solo per essere unita al Flusso vitale richiamato per poi lanciare un incantesimo, ma la si può utilizzare direttamente per unirla ai douriki fisici, aumentando temporaneamente la forza fisica. Inizialmente ho pensato di fondare il mio stile di combattimento sull’utilizzo della mia energia magica, ma nonostante io abbia una riserva energetica esponenziale, dopo poco tempo arrivavo ad esaurirla. I Guerrieri, infatti, utilizzano questa capacità solo per potenziare singoli colpi, non per disputare un intero scontro. Ho così pensato al Flusso vitale: richiamandolo, sono capace di fonderlo con l’energia fisica, anziché quella magica, ottenendo così lo stesso effetto, ma con un dispendio di energia quasi nullo e utilizzabile per uno scontro lungo. I miei normali douriki fisici sono 3400, un livello di cui andare fieri, ma utilizzando l’Ataru raggiungo i 53400, numero raggiunto da pochi Cavalieri. E all’occorrenza, ovviamente, posso sempre utilizzare il sistema dei Guerrieri per potenziare i miei singoli attacchi, anche mentre uso l’Ataru. A causa della forza che possiedo, riesco a compiere balzi impressionanti con solo una leggera spinta sulle caviglie, e per questo l’Ataru prevede molti movimenti acrobatici, rotazioni in aria, salti e quant’altro. Per difendermi non utilizzo parate particolari, a meno che non sia costretto, ma non considero alzare la spada all’ultimo momento per frapporla a quella dell’avversario una parata tecnica, ma schivo sempre. Nell’offesa, invece, utilizzo tecniche del Makashi, quindi rapide e precise, ma che potenziate dal Flusso vitale sono devastanti. Tendo a non utilizzare particolarmente la magia, quando uso l’Ataru, perché per farlo l’efficacia della forma verrebbe meno, in quanto dovrei separare parte dell’energia del Flusso dall’energia fisica per unirla a quella magica. È per questo che Lin dur possiede alcuni incantesimi predefiniti che si alimentano con l’energia presente nel diamante che costituisce il pomolo.»

«Incantesimi predefiniti?»

«Come ti ho spiegato prima, per combattere in un duello magico, o anche una vera battaglia, è necessaria una grandissima concentrazione, per cui non è sempre semplice pensare a che incantesimo utilizzare. C’è da ragionare sulla quantità di Flusso vitale da immettere nell’attacco, alla quantità di energia magica da consumare, alla forma e all’effetto che deve avere. Per questa ragione sono quasi sempre magie semplici, non molto teatrali, come una normale palla di fuoco o una scarica elettrica. Se invece ti metti giù a studiare degli incantesimi precisi, quindi con tutto quello che ho detto prima, e dai loro un nome, quando sei in battaglia non serve che pensare al nome e automaticamente lo lancerai. Io, per esempio, ho inventato innumerevoli incantesimi predefiniti, ma il mio preferito resta sempre il Giudizio di luce: consuma 13 douriki energetici, uno per ogni elemento dell’incantesimo. Posso permettermi di consumare così poca energia magica grazie alla mia capacità di richiamare il pieno del mio Flusso vitale, per cui solo spendendo 1 douriki il mio attacco ha una potenza di 50000. Gli elementi dell’incantesimo che ti ho detto sono una barriera di luce che impedisce al mio avversario di muoversi, e poi compaiono dodici spade di luce che iniziano a roteargli intorno, per poi salire in alto e allontanarsi l’una dall’altra. Quando sono arrivate ad un’altezza di quattro metri, ritornano rapidamente verso di lui e lo infilzano. Poi la barriera si richiude e causa una violenta esplosione che lo finisce. Gli incantesimi di luce sono molto versatili, perché possono servire sia ad accecare, che a bruciare, proprio come il fuoco, sia a rendere invisibili o a velocizzare gli attacchi. Poi altri incantesimi predefiniti sono l’Aquila esplosiva, di fuoco, l’Anaconda, un altro incantesimo molto bello: genero un’anaconda tutta d’aria attorno all’avversario che poi verrà stritolato fino alla morte. Per finire c’è il Vortice di fiamme che combina il vento con il fuoco. Questi sono gli incantesimi predefiniti più potenti, che utilizzano il massimo del mio Flusso vitale, ma naturalmente ne ho degli altri.»

«Tipo?»

«Il Raggio di luce, la Spinta, la Fiammata prorompente, e molti altri che ti mostrerò più avanti.»

«Me li insegni?»

«C’è poco da insegnare. Basta che ti studi l’effetto che vuoi dare e lo lanci. Però non è semplice creare un incantesimo predefinito, bisogna essere molto preparati nella magia. Potrai farlo almeno dal quarto anno di addestramento.»

«Non vedo l’ora! Ma quali sono gli incantesimi di Lin dur?»

«Innanzitutto essa mi funge da scettro, per cui è capace di amplificare di sette volte i miei incantesimi. Poi possiede appunto degli incantesimi predefiniti, come la Spazzata, l’Eruzione vulcanica, la Lama di vento. Ma basta, queste cose non sono importanti, te le mostrerò in futuro. Se vuoi farmi parlare, chiedimi cose che devi sapere. Ad esempio prima mi hai chiesto come si fa a chiudere la mente.»

Siirist annuì.

«è piuttosto semplice come spiegazione, ma vedrai che effettivamente farlo è più complicato. Devi riuscire a concentrarti unicamente su un pensiero, e tenerlo fisso nella tua mente, così che se un avversario tentasse di penetrartela, vedrebbe solo quel pensiero. Ma vedi di non utilizzare qualcosa che poi possa esserti utilizzato contro. Ad esempio non pensare a Keira, poiché potrebbe poi essere in pericolo.»

«Perché?» domandò preoccupato il ragazzo.

«Perché se un nemico vede che pensi intensamente a lei, capisce che è una persona a cui tieni e può utilizzarla per metterti in difficoltà. Fin qui non è difficile, ma diventa complicato mantenere la barriera mentale e al contempo pensare ad altro, o addirittura lanciare incantesimi, che anche quelli richiedono molta concentrazione.»

«Mi allenerò.»

«Ovviamente lo farai! È fondamentale che tu sia bravo a chiudere la mente!»

 

Giunse la sera, ed i due viaggiatori si stavano preparando per andare a dormire. Avevano predisposto l’accampamento con un fuoco al centro, attorno al quale avevano creato dei giacigli su cui dormire, utilizzando le selle come cuscino. Cavallo e chocobo erano stati lasciati liberi, perché tanto non sarebbero fuggiti.

Siirist si buttò sul suo improvvisato letto, stremato.

«Stanco?» ridacchiò Evendil.

«Stanco? Stanco?! Non mi sento più le gambe e le braccia grazie a te! Non ho mai tenuto una spada per così tanto tempo! Due ore di allenamento! Salta di qua, para qui, schiva questo. Persino la mia schiena è a pezzi!»

Evendil rise.

«Ma la vuoi smettere di ridere? Non è affatto divertente! Il Soresu è così stancante?»

«Sì. Forse di più.»

Siirist affondò la faccia nella sella per la disperazione. Dopodichè prese l’uovo da una delle saccocce.

«Quando nasci, assicurati di arrostirgli le chiappe, d’accordo?»

Mentre Evendil continuava a ridere, Siirist prese un’altra cosa da una seconda saccoccia: il pacchetto di Keira.

«Oh, è vero. Chi sa cosa ti ha regalato.»

«Non dirmi che lo sai già.»

«Certo.»

«C’è almeno una sola persona a Skingrad a cui non hai scrutato la mente?»

«Janus. Sia perché ha una difesa eccezionale, sia perché non mi sarei mai permesso.»

«Mi stai dicendo che l’unica persona di cui non ti sei fatto gli affari privati è stato il conte Hassildor.»

Evendil annuì.

«Sei una merda. No, veramente, sei una merda.» scosse la testa disperato.

L’elfo rise nuovamente. Il ragazzo, invece, aprì il regalo, trovandoci una collana d’argento, quattro fotografie ed una lettera, con scritto: “Sii sempre te stesso. Al mio volpone, Keira.”. Le fotografie ritraevano Siirist in vari momenti, ognuno ancora vivo nei suoi ricordi, ed ognuna lo fece sorridere sempre di più, anche se non solo per il divertimento, ma anche per la nostalgia.

La prima era stata scattata a capodanno e ritraeva lui a torso nudo che faceva una posa stupida, con la testa di lato e le mani sui fianchi. Sulle spalle uno scialle, alle orecchie dei pendenti e sulla testa un grande cappello, tutto rubato ad una delle signore più ricche di Skingrad. La seconda era Siirist che vomitava l’anima e faceva un’espressione da moribondo rincretinito, ubriaco fradicio, dopo i festeggiamenti per un altro furto ben riuscito. La terza foto era stata scattata l’anno prima quando Keira lo era andato a trovare da Hans, e mostrava il fabbro che gli dava la scopa in testa perché aveva cercato di affilare una spada di Vetro senza il consenso del capo; nella quarta c’erano Siirist e la ragazza, abbracciati, che sorridevano alla fotocamera, agghindati con tutti gli oggetti più strampalati. Dietro a quest’ultima c’era una scritta: “Ti voglio bene.”. Siirist trattenne a stento qualche lacrima. Evendil lo guardò e sorrise con affetto.

«Buonanotte, Siirist.»

Il ragazzo nemmeno rispose, ma si rigirò per addormentarsi, indossando la collana e stringendo a sé la quarta foto e l’uovo di Inferno.

 

Il mattino dopo il ragazzo fu svegliato dai raggi del sole che gli batterono sugli occhi, per cui si alzò di scatto. Ripose accuratamente la foto nel pacchetto, che poi mise nella saccoccia, per poi fare lo stesso con l’uovo. Dopo aver mangiato alcune bacche e uova che aveva trovato l’elfo ed un po’ delle scorte che si erano portati dietro, come pane e brioche, il ragazzo si lavò i denti, sellò il chocobo e fu pronto a ripartire.

I due erano già in viaggio da una decina di minuti quando Siirist interruppe il silenzio.

«Mi finisci di raccontare il mito della creazione?»

«Ma certamente. Allora, ero arrivato al perché gli umani hanno una vita così breve. Con il passare del tempo, gli angeli iniziarono a trattare gli umani come schiavi, e che chiamavano con disprezzo “esseri senza ali”, e questo fece dispiacere la Coppia della Tempesta sempre di più, fino a che non andò a lamentarsi con Soho. Così il dio chiese alle sue creature di essere più gentili con i loro servitori, ma gli angeli gli risposero che non aveva il potere di ordinare loro nulla: la loro arroganza era arrivata oltre ogni limite. Il dio della luce, allora, diede il permesso a Raijin e Fujin di dire agli umani che avevano il consenso divino di ribellarsi agli angeli, e lo fecero, ma fu tutto inutile: la grandissima potenza che Soho aveva infuso in loro li rendeva invincibili. Così il dio si trovò costretto a dover dare vita ad una seconda razza, più forte degli umani e notevolmente più longeva, ma senza niente del suo potere: gli elfi. Per renderli capaci di affrontare gli angeli, però, Soho diede loro la capacità di controllare il Flusso vitale, e quindi di utilizzare la magia. In questo modo su Nindoria scoppiò una grande guerra che vedeva gli angeli contro l’alleanza umani-elfi. Nello stesso momento, invece, su Tamriel, nell’isola oggi nota come Condoria, progrediva sempre più la civiltà dei demoni, mentre su Spira Hanryu aveva dato vita alla specie dei draghi, anche essi a sua immagine. Ma l’unica razza che gli assomigliasse in tutto e per tutto era quella degli Inferno, che discendono direttamente da lui: ecco spiegato anche il perché della notevole superiorità degli Inferno rispetto alle altre razze.»

«Quindi il mio drago è un discendente del dio del fuoco?» domandò allibito Siirist.

«Precisamente.»

«Incredibile!»

Evendil sorrise.

«Continuando, sempre su Tamriel, ma sull’isola di Alagaesia, Titano creò gli orchi all’interno dei Monti Beor. Volle differenziare le sue creature da quelle di Soho, Obras e della Tempesta, per cui diede loro l’aspetto che hanno tutt’ora, cioè alti come minimo due metri, pelle verde, naso schiacciato, zanne e occhi rotondi. Ma il dio fu deriso dalle alte divinità per la bruttezza delle sue creature, per cui decise di creare i nani, simili ai mortali degli altri dei, ma più bassi, che entrarono poi in conflitto con gli orchi per la supremazia sui monti, ed eventualmente li cacciarono. Ovviamente gli orchi hanno una diversa credenza a proposito di questa parte del mito, poiché non sarebbe molto dignitoso per loro ammettere di essere stati rinnegati dallo stesso dio che li aveva creati.»

«Immagino!» rise Siirist.

«E fu per questo che gli orchi migrarono a Ivalice.»

«Quindi al momento su Tamriel vivevano solo nani, orchi, demoni e draghi, ognuno su un’isola diversa, mentre gli umani, gli elfi e questi angeli, di cui non avevo mai sentito parlare, stavano su Nindoria?»

«Esatto. Scoppiò questa guerra contro gli angeli che fu vinta dalla fazione elfi-umani, soprattutto grazie al fattore numerico, e la conseguenza fu la migrazione dei due popoli, che abbandonarono Nindoria per Tamriel. Gli elfi si stabilirono su Alagaesia, gli umani su Spira. Subito scoppiò la guerra tra gli elfi e i nani, che si concluse dopo secoli e secoli solo con la venuta dei draghi, che abbandonarono Spira per stabilirsi su Alagaesia, e questo perché Fujin supplicò Hanryu di risparmiare gli uomini, che avevano già sofferto abbastanza. La pace tra elfi e nani fu legittimata dalla fondazione di Ilirea, una città abitata da entrambi i popoli, situata nel deserto di Hadarac, l’attuale deserto di Dalmasca. Allora cominciò una sanguinosa lotta tra draghi ed i due popoli uniti, che terminò con la nascita dei Cavalieri. Ma i nani videro questa alleanza tra elfi e draghi come un tradimento nei loro confronti, per cui Ilirea cadde e loro si ritirarono nei Beor, per non uscirne più. Tutt’ora è difficoltoso raggiungerli, e solo in rari casi possibile. Intanto su Spira gli umani avevano costruito città in tutta la regione di Cyrodiil, ed iniziarono ad espandersi. Inizialmente verso Condoria, dove conobbero i demoni e iniziarono alcune lotte fino a che non si decise di dividere l’isola in due, Junon agli umani, Hellgrind ai demoni, poi verso Ivalice, dove stabilirono subito buoni rapporti con gli orchi. Ma i morti umani a Junon non finirono, per cui gli elfi decisero di intervenire nuovamente in aiuto degli uomini, proponendo loro pure di entrare nel patto di alleanza con i draghi, così che potessero combattere anche da soli contro i demoni. E sostanzialmente la situazione non è cambiata per millenni, fino a che Raizen non salì sul trono dei demoni e non firmò la pace con i Cavalieri, che concluse la terza era.»

«Era?»

«Sì, la storia si divide in quattro ere: la prima è quella precedente alla creazione degli angeli, la seconda è quando nascono gli umani, la terza è quando si liberano dalla tirannia angelica, la quarta è questa di ora, un’era in cui finalmente regna la pace, da quando Raizen ha posto fine ai massacri perpetrati dai demoni.»

«E che fine hanno fatto gli angeli?»

«Questa è una bella domanda. Ciò che si sa per certo è che dopo l’emigrazione di umani ed elfi verso Tamriel, gli angeli abbiano cercato di invadere Nirn, ed è per questo che gli dei crearono la dimensione di Oblivion, per separare la loro da Ruu, e molti angeli caddero affrontando i potenti Esper, anche se si dice che uno degli angeli riuscì a sconfiggere Siiriyll, il dodicesimo Esper, l’emanazione di Soho, ma questa non è una notizia sicura. In ogni caso gli angeli sono ritenuti dalla maggior parte degli studiosi oramai estinti, in quanto Nindoria non esiste più, affondata dall’ira di Tenma, mentre altri credono che gli angeli si siano rifugiati da qualche altra parte e che stiano pianificando la loro vendetta. Oh, dimenticavo di dirti una cosa importante: Hanryu, prima dell’arrivo degli umani a Tamriel, si trasferì per qualche periodo nel luogo più caldo di Gaya, cioè il suo centro, la dimora di Obras, e questo diede vita al fuoco oscuro, il potere più grande di cui dispone la dinastia reale dei demoni.»

«Non è quello del fulmine?»

«No, Raizen possiede il potere del fulmine a causa della sua appartenenza alla sotto razza delle bestie del fulmine, ma la famiglia reale possiede la capacità di richiamare il fuoco oscuro, capace di bruciare qualsiasi cosa, persino di ardere sull’acqua. E si dice che ogni mille anni nasca un drago Inferno in grado di esalare il fuoco nero anziché quello comune.»

«Sarà sicuramente il mio drago!»

«Vedremo.»

I due avevano intanto percorso molta strada ed erano arrivati ad un bivio: una strada continuava dritta verso nord, l’altra andava verso est.

«Prendiamo questa.» esclamò Evendil.

«Ma non dobbiamo andare ad Anvil?»

«Sì.»

«E allora perché andiamo a est?»

«Perché è meglio riposarci. Per questa sera resteremo a Kvatch e domani arriveremo ad Anvil senza sostare. E poi c’è un amico che voglio rivedere qui a Kvatch.»

«D’accordo.»

Così Siirist seguì l’elfo lungo una lunga strada tortuosa che saliva lungo uno dei lati di un’alta collina, in cima alla quale sorgeva la città, ben più grande di Skingrad, con le mura che ricoprivano tutta l’area. Evendil si avvicinò al cancello principale e fu immediatamente salutato dalle guardie.

«Nobile Evendil, è un piacere rivedervi.»

«Grazie mille. Sareste così gentili da accompagnare me e il mio giovane amico dal conte.»

«Ma naturalmente, seguitemi.» e fece un inchino a lui e a Siirist.

Dopodichè la guardia aprì il portone ed entrò, subito seguita da Farn e dal chocobo.

«Ma qui si può entrare con i chocobo e i cavalli?»

«Ovviamente no, ma poiché saremo ospiti del conte, li lasceremo nelle sue stalle.»

«E perché saremmo ospiti del conte?»

«Perché è lui l’amico che devo rivedere.»

«Uno da poco, insomma.»

 

 

 

 

~

 

 

 

Ringraziamenti:

1)      Bankotsu. Scusa, non posso trattenermi… scuola! Hahaha! XD Mi dispiace tanto! Effettivamente anche io domani mattina sarò davanti al portone del mio liceo, ma per poi togliermi alcune soddisfazioni nei confronti di qualche prof, specie la mia prof di italiano che all’orale della maturità ha messo in difficoltà sia me che tutti i miei EX (come mi piace dirlo!) compagni di classe. Ho fatto meglio greco di italiano, ti rendi conto?! Comunque, tornando alla tua recensione, sono contento di poterti assistere anche se con così poco, capisco che tornare a scuola è una vera sega. Quanto ti manca ancora? Come avrai visto, anche in questo capitolo Evendil ha fatto delle spiegazioni, del tutto nuove rispetto alla prima versione, visto che lì non ho mai citato gli dei, e nemmeno gli angeli, ed entrambi saranno più che fondamentali per lo svolgimento della storia.

2)      franky94. Mi spiace, ma non ci sarà alcuna alchimia alla FMA, per quelle cose c’è la magia! Qui l’alchimia, come viene spiegato, serve per creare pozioni e le Materia, ed è alla base dell’enorme sviluppo tecnologico di Tamriel.

3)      Prof. Tu non hai idea di quanto ha ancora da scoprire Siirist. Il suo prossimo incontro con un demone sarà leggermente diverso e più pericoloso rispetto a quello con il grem, e non vedo proprio l’ora di arrivarci. Forse è anche per questo che il capitolo può sembrare un po’ frettoloso. Sì, lo scontro con il grem si è risolto in maniera inaspettata, ma mi sorprende anche di più non vedere alcun commento che mi chiede cosa sia stato quel potere! Anche se forse chi conosce One Piece ci può arrivare tranquillamente. So benissimo che adori le citazioni, ho letto tutta la tua pagina, e devo dire che mi ha fatto ridere abbastanza!

 

Ricordo anche ai lettori che non recensiscono che un commentino non è sgradito. Già che vi prendete la briga di segnare la storia come “seguita”, potreste anche recensire!

 

Il prossimo capitolo si intitola IL PASSATO DI EVENDIL e verrà pubblicato il 27/09. Chiedo scusa per le due settimane di tempo anziché una, ma in questa settimana ho scritto solo mezza pagina perché non ho avuto tempo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** IL PASSATO DI EVENDIL ***


IL PASSATO DI EVENDIL

IL PASSATO DI EVENDIL

 

Le strade di Kvatch erano molto più larghe di quanto lo fossero gli stretti vicoli di Skingrad. Il viale principale era almeno una decina di metri e sui lati si ergevano grandi edifici che ospitavano negozi di vario tipo al piano terra e le abitazioni a quello superiore. Il tempio della città, dedicato a Hanryu, era perfettamente visibile non appena si entrava nelle mura, e si trovava lungo il viale. Siirist ed Evendil, conducendo Farn ed il chocobo, seguirono la sentinella che li guidò lungo la strada, e tutti i passanti si fermavano ad osservarli, molti anche inchinandosi.

«Devi essere molto popolare.»

«Per ottant’anni ho vissuto tra Kvatch e Vroengard, addestrandomi con la Gilda dei Guerrieri locale ed insegnando a combattere con la spada e con la magia a tre generazioni di eredi al titolo di conte. Il figlio dell’attuale signore della città è un Cavaliere, e sono stato io stesso a prepararlo.»

«Ti sei addestrato con la Gilda dei Guerrieri? Quindi è qui che hai inventato l’Ataru?»

«Sì.»

Mentre parlava con l’elfo, Siirist aveva sempre continuato ad osservare colpito la città, ammirandone i rigogliosi parchi, con alti alberi e laghetti, i grandi palazzi, la moltitudine di persone che la popolava.

«Kvatch è la seconda città più grande di Cyrodiil, dopo Imperia ovviamente. Ormellius Goldwine è il conte più ricco della regione ed è quasi al livello del duca.»

«Addirittura?»

«Ed è amato forse anche di più di quanto non lo sia Janus.»

«Impossibile! Hassildor è il migliore!»

«Sono felice che tu sia così affezionato al tuo conte, vuol dire che ha fatto un buon lavoro.»

«Ottimo.» precisò il ragazzo.

«Però ricorda che non sei più tenuto ad obbedirgli; nemmeno l’Imperatore conta più niente per te: sei un Cavaliere.»

«Vorresti dirmi che i Cavalieri non prendono ordini nemmeno dall’Imperatore?»

«Né dal Re degli elfi, no. Le uniche persone che un Cavaliere deve sempre ascoltare sono il Maestro, quando è ancora in addestramento, e i dieci Anziani del Consiglio. Sono loro a comandare a Vroengard.»

«Caspita! Quindi sono al di sopra della legge?»

«Hai il diritto di infrangerla in qualunque momento, persino di uccidere qualcuno se lo ritieni opportuno, ma poi ovviamente dovresti fare rapporto al Consiglio, il quale deciderà del tuo destino in base alle ragioni per cui hai agito illegalmente.»

«Ecco perché a Skingrad mi hai detto che avevi il potere di uccidere Keira, volendo.»

«Proprio così, ma non l’avrei mai fatto.»

«Era così importante portarmi nell’Ordine?»

«Non c’è nulla di più importante del Cavaliere d’Inferno.»

«Sei così convinto che sarò determinante per il futuro di Tamriel?»

«No, non solo di Tamriel, di tutta Gaya.» rispose immediatamente Evendil, non un velo di dubbio nella sua voce.

«Credo tu mi stia sopravvalutando.»

«Io no.»

La sentinella aveva condotto i due fino all’entrata al cortile del castello. Era un portone alto almeno venti metri e largo dieci, interamente in legno nero, spalancato. Le mura erano dello stesso colore di quelle cittadine e ne facevano parte, in quanto l’abitazione del conte si trovava nella parte opposta al cancello principale. Oltre il portone nero, vi era un meraviglioso parco con fontane in oro e marmo e molte persone ben vestite vi camminavano. Siirist era più che colpito.

«Quanto hai ancora da vedere, ragazzo. Se questo misero giardino ti colpisce, dovresti andare a visitare Imladris.»

«E che cos’è?»

«Una delle più importanti città della Yaara Taure, il regno elfico, l’antica capitale quando erano ancora gli alti elfi i sovrani del mio popolo.»

«Ora invece sono gli elfi silvani di Ellesmera, giusto?»

«Vedo che di cose ne sai, per essere un contadino.» commentò ammirato l’elfo.

«Ehi!» si lamentò il ragazzo.

«Oh scusa, volevo dire aspirante fabbro.» scherzò ancora Evendil.

«Vorrai dire futuro salvatore del mondo.» lo prese in giro Siirist.

«Non ci scherzare, è una faccenda seria.» si inquietò l’elfo.

«Sì, come no…» sbadigliò il giovane.

Evendil stava per far rispondere la sua mano, quando fu interrotto da un uomo sulla quarantina che usciva di corsa dalla reggia, accompagnato da una donna di all’incirca la stessa età. Erano entrambi vestiti elegantemente, agghindati con molti monili come collane e anelli. Tutti i presenti si inchinarono, così che Siirist comprese di essere al cospetto del governatore della città.

«Suvvia, Ormellius, non è molto decoroso per un conte correre a tal modo.» sorrise Evendil.

«Stai zitto e smonta, che voglio abbracciarti!» ordinò scherzosamente il conte.

L’elfo fece un inchino e seguì l’ordine, per poi stringere a sé l’amico.

«Sono cinque anni che non ci vediamo! E Antus come sta?»

«Tuo figlio sta bene, non preoccuparti. Fra pochi mesi completerà il suo addestramento e diventerà un Cavaliere in tutto e per tutto.»

«Che arma secondaria ha deciso?» domandò la contessa.

«La mazza. Ti vedo in forma, Reila.»

«Mai quanto te. Sono passati cinque anni ma non sei invecchiato di una virgola, vecchio mio. E il tuo amico chi è?» rispose il conte.

«Siirist Ryfon, il prescelto dell’Inferno.»

Improvvisamente calò il silenzio. Coloro che avevano sentito le parole dell’elfo si ammutolirono, gli altri presenti, intuendo che stava accadendo qualcosa di importante, li imitarono. Siirist allora notò quanto fosse ridicola la reazione di tutti: ma cosa si aspettavano da lui? Possibile che essere il Cavaliere d’Inferno fosse così importante? Ma la persona che lo stupì maggiormente era una delle guardie che aveva accompagnato il conte. Era alto e con una folta chioma di ricci capelli biondi, la carnagione chiara, sopracciglia cespugliose e occhi di un profondo color nocciola. Come aveva sentito chi fosse Siirist, si era immediatamente irrigidito ed aveva iniziato a sudare freddo. Il ragazzo osservò senza farsi notare il sudore che gli colava dalla fronte, lungo il collo, scivolando su un tatuaggio raffigurante uno scorpione rosso scuro. Il futuro Cavaliere si concentrò in particolare sull’immagine, e la sentinella parve accorgersene, tanto che spostò il colletto della sua armatura di maglia per coprirla.

«E così, ci sarà di nuovo un Inferno tra i draghi dell’Ordine. Questo è un vero onore per te, ragazzo, e sarebbe un onore anche più grande per me se accettassi di essere mio ospite.»

Siirist fece per rispondere, ma Evendil lo precedette.

«Siamo qui apposta.»

«Non l’ho dubitato nemmeno un secondo!» rise il conte.

Così Siirist smontò, prese l’uovo ed il pacchetto di Keira dalla sella e lasciò il suo chocobo alle cure degli stallieri che erano appena giunti, per poi seguire elfo, conte e contessa all’interno del castello.

«Innanzitutto sarete accompagnati ad una delle stanze. O preferite stanze separate?»

«Come è più comodo per te…» incominciò Evendil.

«Separate, grazie. E io prendo una doppia.» esclamò Siirist.

Conte e consorte si girarono di scatto, preoccupati, come sentirono il suono di un tonfo invadere l’intero atrio del castello, e videro Siirist a terra dolorante, che si teneva la testa, mentre Evendil, furioso, si massaggiava il pugno.

«Hai una testa dura.» commentò.

«Bastardo…!» mormorò a denti stretti il ragazzo.

Gli sposi erano a bocca aperta.

«Mi ero quasi dimenticato del tuo modo di fare…» disse con un filo di voce il conte.

 

Gentilissimo, nonostante le lamentele di Evendil, il governatore aveva incaricato un servo di accompagnare Siirist in una stanza doppia, e ora lui se ne stava in bagno a torso nudo, osservandosi allo specchio. I punti in cui era stato colpito dalla talpa gigante stavano iniziando a gonfiarsi e grossi lividi avevano iniziato a formarsi. Si sfiorò lievemente la pelle e sentì un leggero dolore pervadergli il corpo. Chiuse gli occhi e strinse i denti, superando il dolore. In quel momento sentì bussare alla porta, per cui si rimise la tunica ed andò ad aprire, trovando un servitore.

«Il nobile Evendil ha richiesto che prelevassi la vostra spada di Vetro, futuro Cavaliere d’Inferno.»

«E perché mai?»

«Dice che è una sorpresa. E aggiunge che avrete un secondo pugno se lo fate venire qui di persona.»

«La vado a prendere immediatamente!»

Siirist corse subito verso la sua cintura dalla quale slegò il fodero della spada interessata, e la portò al servo.

«Grazie mille.» e se ne andò.

‹Chi sa che vuole mai? Hai sentito? Che vuoi?› pensò, sicuro che l’elfo gli stesse, come sempre, violando la mente.

Mancavano ancora due ore prima del pranzo, per cui il ragazzo decise di fare un giro per il castello. Uscì dalla sua stanza per trovarsi nel corridoio che aveva precedentemente percorso, situato nell’ala sud del castello. Era molto ricco e sfarzoso, con il soffitto a volte e numerosi drappi di pregiata qualità appesi al muro; lungo l’intero pavimento si trovava un tappeto rosso di velluto. Accanto alle pareti vi erano molti poltrone e divani, come anche tavolini che supportavano vasi preziosi. Siirist camminava tranquillamente, le mani nelle tasche, guardando dritto davanti a sé, ma il suo occhio attento, abituato ad anni di furti, coglieva ogni minimo particolare: per questo, anche se non ci guardava direttamente, il giovane riuscì a notare le telecamere presenti dopo ogni volta, lungo il battiscopa, gli auricolari nelle orecchie delle guardie che passavano.

‹Il sistema di sicurezza di questo posto è molto più avanzato di quello del castello di Skingrad. Questo conte deve essere davvero così potente e ricco come ha detto Evendil!›

Siirist uscì dall’ala sud ed arrivò ad un incrocio di corridoi, e decise di prendere quello che portava all’ala est. Il mobilio era diverso da quello dell’area appena lasciata, e i divani, i tavolini erano stati sostituiti da rastrelliere di armi, armi da stretto contatto come spade, lance e quant’altro, ma anche da distanza, come archi, balestre e fucili. Il ragazzo si avvicinò ad uno di essi incuriosito, non avendone mai visto uno da vicino, e vide con la coda dell’occhio una delle telecamere che lo seguiva. Non passarono nemmeno dieci secondi che fu raggiunto da due guardie.

«Oh, siete voi, futuro Cavaliere. Sono desolato, ma questa è un’area proibita. Se vorrete tornare quando sarete Cavaliere, saremo più che felici di permettervi l’accesso.»

«Ah, scusate, non lo sapevo. Immaginavo ovviamente che non dovessi toccare le armi, ma il fucile ha colto la mia attenzione, non ne ho mai visto uno dal vivo.»

«Sì, non preoccupatevi. Ora, se volete seguirmi, vi accompagno alla vostra stanza.»

«Ne volete provare uno?»

Siirist e le due guardie si girarono, per vedere arrivare il capitano che imbracciava proprio un fucile.

«Ma, capitano…!»

«Puoi andare, soldato.»

«Sissignore!»

La guardia che aveva parlato ritornò da dove era venuta, lasciando Siirist con il capitano e quella che l’aveva accompagnata.

«Posso?!» il ragazzo era estasiato.

«Naturalmente. Il conte ha detto che dovevamo assistervi in ogni modo. Se mi volete seguire nella caserma, vi mostrerò la nostra sala di addestramento, e potrò farvi provare le armi ad energia.»

Così il comandante delle guardie mostrò la strada a Siirist che lo seguì come un’ombra, oltrepassando la porta in fondo al corridoio, la stessa da dove erano uscite le due sentinelle di prima, per poi entrare nella caserma. Essa era una grande stanza ricolma di rastrelliere, scaffali e armadi per armi e armature. Al centro vi erano soldati che lottavano a coppie affrontandosi a mani nude o con armi da mischia, da un lato vi erano bersagli che venivano colpiti da frecce e sfere di energia sparate dai fucili.

«I fucili possiedono al loro interno una Materia e ogni volta che viene premuto il grilletto, viene rilasciata una quantità di energia. A differenza delle Materia presenti in un corpo, quelle delle armi ad energia consumano la loro energia, finendo con l’esaurirsi. Per questo al lato del fucile è presente questo indicatore di carica, che dice quanti colpi sono ancora disponibili.» spiegò il capitano, mostrando l’arma al ragazzo.

Siirist annuì.

«In base alla grandezza della bocca del fucile, viene consumata più energia. Esistono diversi tipi di armi ad energia, i fucili a doppia o tripla canna, le mitragliatrici, che sparano a ripetizione, o anche i fucili a rotazione, che possono avere le peculiarità dette prima, cioè avere più canne o anche la funzione di mitragliatrice, ma la differenza è che possono contenere più Materia e con il tocco di un tasto, vengono scambiate. Questo è utile per caricare delle Materia con più effetti, come quelle ad energia semplice, oppure di fuoco, congelanti, fulminanti, eccetera.»

Mentre parlava, il capitano aveva preso uno di questi fucili e l’aveva mostrato a Siirist. Esso era identico ai fucili che aveva visto prima per quanto riguardava calcio e canna, ma la parte centrale differiva: non vi era un caricatore, dove si inseriva la Materia, accanto al grilletto, ma un cerchio che ne conteneva di diverse, situato a metà della parte centrale dell’arma.

«Al momento è in uso una Materia che spara una rete di energia, in grado di bloccare qualunque essere ed annullarne persino poteri magici o demoniaci.»

Siirist era notevolmente colpito.

«Lo so, è una Materia dalle capacità eccezionali. La Gilda dei Maghi si fa pagare molto per fornircela.»

«Ah, sono loro a creare la Materia?»

«Certo! Sebbene sia un procedimento scientifico, alla base della creazione delle Materia vi è l’uso della magia.»

«Quindi passerà ancora del tempo prima che l’Impero possa fare a meno della magia, nonostante l’enorme avanzamento tecnologico.» constatò Siirist.

«Credo che quel giorno non arriverà mai.»

«Lo spero anche io! Se no diventerei inutile!»

Il capitano rise.

«Dunque, ti va di allenarti un po’?»

«Con piacere!»

Siirist imbracciò un fucile a canna singola, impugnandolo come gli mostrava il capitano, per poi prendere la mira e sparare ad uno dei bersagli. La sfera di energia colpì quasi il centro, ma il rinculo dell’arma fece sì che il ragazzo ricevesse un forte colpo sulla spalla sinistra. Fece una smorfia di dolore ed abbassò l’arma, massicciandosi l’area dolorante.

«Scusate, non vi avevo avvisato!» ridacchiò il capitano.

«Non vi preoccupate. Non è che potrei provare altri tipi?»

«Ma certamente.»

Ad un cenno del comandante, arrivò un soldato recante due armi ad energia dalle dimensioni notevolmente inferiori rispetto al fucile, con il calcio perpendicolare rispetto al corpo dell’arma.

«Queste si chiamano pistole e si impugnano con una sola mano, come sto facendo io.»

Siirist allora ne prese una per mano, facendo come gli veniva mostrato. Alzò le braccia in direzione del bersaglio ed iniziò a sparare a ripetizione. Dopo un po’ si fermò incuriosito, osservando le dimensioni dell’arma e chiedendosi dove si mettesse la Materia, per poi domandarlo al capitano. Allora questi prese una delle pistole e pigiò un pulsante sul calcio, da cui uscì una componente dell’arma dove era segnata la quantità residua di carica e dove era incastonata una Materia della grandezza di una biglia.

«Le pistole, a causa delle dimensioni ridotte, non possono contenere Materia con grandi quantitativi di energia, per cui sono poco usate, ma come vedi da te, sono più pratiche e meno ingombranti dei fucili. Poi, se vuoi provare un bazooka…»

«E cosa sarebbe?»

Subito giunse una guardia che portava un’arma ad energia di grandissime dimensioni, con la bocca dal diametro di una trentina di centimetri, una grande Materia dalla parte opposta. Siirist rimase incantato e non vedeva l’ora di spararlo, quando fu colpito duramente alla testa. Subito dopo si sentì pervadere da un intenso aroma di lampone.

«Mi spieghi cosa diavolo stai facendo?» la voce dell’elfo era quasi terrificante.

Siirist si voltò intimidito cercando di formulare una scusa più che convincente, quando Evendil interruppe ogni suo pensiero, con le parole più aspre e dure che avesse mai pronunciato, guardando il ragazzo con aria quasi delusa.

«Dovresti vergognarti. Sei un futuro Cavaliere, il Cavaliere d’Inferno per giunta, e stai qui a sparare con armi ad energia! Patetiche, stupide armi per coloro che non sono in grado di combattere con la spada o di utilizzare la magia! – l’elfo alzò una mano in direzione del bazooka che pochi istanti dopo si scompose in tutte le sue parti, che caddero a terra con vari tonfi – Pensa ad allenarti con la spada, piuttosto, che per come sei ora, sei solo vergognoso!»  detto questo, Evendil si voltò per poi  subito andarsene.

Siirist rimase immobile, in un misto tra rabbia e imbarazzo, trattenendo a stento calde lacrime di rabbia. Tutti i soldati anche si sentivano umiliati e contemporaneamente uscirono dalla sala di addestramento. Solo il capitano rimase a guardare il futuro Cavaliere, sentendosi in colpa. Siirist avvertì il suo sguardo e, senza nemmeno guardarlo, gli parlò.

«Non è colpa vostra.» per poi andarsene.

Camminò con passo fermo e dignitoso verso la sua stanza, la testa alta ed un’espressione indecifrabile sul volto. Come fu entrato in camera, lanciò un forte urlo di rabbia, strappandosi i capelli e rompendo ciò che gli capitava a tiro. Con un calcio rovesciò un tavolino, e questo fece cadere un vaso di cristallo che andò in frantumi, lanciò una sedia contro una vetrata mandando in pezzi anche quella, menò un forte pugno contro l’armadio, lasciandoci un segno. Ma l’impatto era stato così forte da rompere la mano sinistra del ragazzo e sbucciarla rovinosamente, per cui dolorante si accasciò reggendosela, lacrimando copiosamente, sentendo la sua rabbia aumentare ad ogni lacrima che gli rigava le guance.

 

Arrivò l’ora del pranzo ed un servitore venne ad avvisare Siirist. Allora il ragazzo andò a lavarsi la mano, stringendo i denti per resistere meglio al bruciore che avvertiva nella carne, sciacquando tutto il sangue, per poi lavarsi il viso. Si cambiò con difficoltà, dovendo fare tutto con la destra e coprì la sinistra fasciandola con una sciarpa di seta che aveva trovato in un armadio. Mantenendo un’espressione dura, uscì dalla stanza e seguì il paggio verso la sala da ballo, dove si sarebbe tenuto il banchetto in onore suo e di Evendil. Il giovane entrò con aria disinteressata, sedendosi dalla parte opposta di Evendil.

Il cibo era del più variegato, con cacciagione, verdure a frutta, oltre che una gran scelta di dolci, il tutto accompagnato da meravigliose ballerine che intrattenevano i commensali, che danzavano seguendo la musica di flauti e tamburi. Per quanto fossero incantevoli, Siirist non le degnò nemmeno di uno sguardo, concentrato sulla rabbia che provava per l’elfo; era così arrabbiato che nemmeno mangiò molto. Attese solo che il conte dichiarasse concluso il banchetto, per poi alzarsi e ritornare in camera sua, imprecando mentalmente sempre più forte per il dolore che gli causava la mano fratturata. Tolse la sciarpa e se la osservò, guardando disgustato le dita in pose innaturali, mentre le ferite, che lasciavano intravedere le ossa delle nocche e la carne viva, erano ricoperte di sangue rubino.

‹Che schifo.›

In quel momento sentì bussare alla porta.

«Chi è?»

«Il conte Ormellius.»

«Entrate pure.»

La porta si aprì e fece capolino il governatore di Kvatch, che notò con orrore la mano del ragazzo.

«Cosa hai fatto?»

Siirist alzò la destra e indicò l’armadio. Ormellius si voltò e capì come si era fatto male il giovane, per poi osservare tavolo, sedia, frantumi di vaso e vetrata.

«Dovresti imparare a gestire meglio la tua rabbia.»

«Ditelo al vostro amico.»

«Evendil mi ha raccontato cosa è successo. Capisco che sia stato un po’ duro, ma c’è una ragione ben precisa del perché si comporta così.»

«Perché sono il futuro Cavaliere d’Inferno e sono destinato a salvare il mondo, blah, blah, lo so già, grazie.»

«è un po’ più di questo, mio giovane Siirist. Tu non sai chi sia Evendil, vero?»

«Perché, è qualcuno di importante?»

«Oh sì! Suppongo tu sappia già quanto sia famoso a livello magico, ma non è tutto, fa anche parte della famiglia reale, il re Aesar è suo zio.»

«Che cosa?!»

«Anche se lui non è interamente un elfo silvano, in quanto suo padre, che ha sposato la sorella del re, è un nobile dei dunmer, gli elfi del mare.»

«E questo che ha a che fare con il modo in cui mi tratta? Solo perché è nobile, può fare lo snob? Senza offesa.»

«Ovviamente no.»

«E oggi non è stata la prima volta! Anche ieri, quando siamo stati attaccati da due talpe giganti, e stavo avendo qualche difficoltà a batterne una, mi ha trattato come ha fatto prima!»

«Forse se ti racconto la storia di Evendil, cambierai opinione si di lui.»

«Sentiamo.»

«Fin da quando era appena un bambino, Evendil ha dimostrato potenzialità eccezionali; solo il fatto che il suo legame con il Flusso vitale sia di 50000 douriki dovrebbe bastare per far capire il suo livello. Era superiore a qualunque suo coetaneo e imparò ad usare incantesimi di alto livello già a dodici anni, a quindici aveva già creato il suo primo incantesimo predefinito, a diciannove era in grado di richiamare tutto il potere del suo Flusso e con la spada era capace di battere anche alcuni dei Cavalieri più deboli. Ovviamente i più forti sono impossibili da battere per chi non è un Cavaliere o un demone potente. Tutti si aspettavano grandi cose da questo “ragazzo prodigio”, ma lui è sempre rimasto umile e modesto: “Diverrò ciò che il Flusso vitale vuole che io diventi”. A differenza di chiunque altro che lo conoscesse, lui non vedeva il suo legame con il Flusso come una volontà da parte dello stesso Flusso di renderlo qualcuno di importante nella storia di Tamriel. Questa sua umiltà derivava da suo zio il re, che si era occupato personalmente di educarlo e gli aveva insegnato il rispetto per il destino e per il Flusso vitale. Ora, come potrai immaginare, il culmine delle aspettative di tutti arrivò quando nel suo ventesimo anno di vita, anno in cui affrontò la Prova, gli Inferno decisero di dare una delle loro uova all’Ordine. Chiunque, ovviamente, vide come un segno del destino il fatto che Evendil dovesse affrontare la Prova proprio quando si ripresentava l’occasione di avere tra le fila dell’Ordine un nuovo Cavaliere d’Inferno. Ma naturalmente non fu lui il prescelto, anzi non fu destinato ad alcun uovo e tutti rimasero più che delusi. Ma lui no, lui e suo zio. Dopo aver affrontato la prova, dunque, Evendil decise di capire perché possedeva un potere così grande se non era destino che diventasse Cavaliere, per cui decise di intraprendere il suo pellegrinaggio personale alla ricerca di sé stesso, scoprendo il suo vero nome.»

«Che cos’è?»

«Il vero nome?»

«Sì.»

«Non lo sai?» chiese stupito il conte.

«Non ve lo chiederei, se no.»

«Giusto, però mi sorprende, pensavo Evendil ti avesse spiegato come funzioni la magia.»

«Sì, a grandi linee. Mi ha detto che si controlla la natura dicendo il vero nome delle cose, ma non mi ha mai parlato di un vero nome delle persone.»

«Capisco. È abbastanza semplice, come le cose possiedono un vero nome, così anche le persone, e sono dei nomi segreti che possono essere scoperti solo da chi li porta, ognuno in modo diverso. Mi raccomando, non dire mai a nessuno quale sia il tuo vero nome, se dovessi scoprirlo, perché poi tale persona potrebbe controllarti.»

«Ah, ecco. E cosa ha a che vedere il suo vero nome con la ricerca di sé stesso?»

«Beh, il vero nome di qualcuno indica ciò che la persona realmente è, ciò che è destinata a fare. Fatto sta che, tornato dal suo pellegrinaggio durato quindici anni, fece una richiesta ufficiale al Consiglio degli Anziani di Vroengard di poter avere il permesso di custodire l’uovo di Inferno e tale permesso gli fu concesso. Quando però fu passato un secolo da quando l’uovo era stato donato all’Ordine ed esso non si era ancora schiuso, e che quindi fu tempo di riconsegnarlo, Evendil protestò furiosamente, fino a che non ricevette almeno il permesso di riportarlo personalmente. Vedi, era suo destino trovare te. Evendil è così duro con te perché per via del suo vero nome, sa in parte quale sia il tuo, dunque sa che sei destinato a grandi cose. Il fatto che sei il futuro Cavaliere d’Inferno dovrebbe essere sufficiente.»

«Questo non spiega perché si comporti da stronzo.»

«Modera il linguaggio!»

«Oh, scusate…» Siirist abbassò lo sguardo.

«Dicevo, Evendil ha riposto in te tutte le aspettative che l’intero popolo elfico e tutto l’Ordine dei Cavalieri aveva riposto in lui oltre cento anni fa, con la differenza che allora la speranza di tutti era mal riposta, mentre ora, che conosce il suo compito, sa che ciò che si aspetta da te si realizzerà.»

«Però potrebbe anche andarci un po’ più leggero.»

«Forse non mi sono spiegato bene: Evendil è così sicuro del proprio compito e del tuo, che non esiterebbe un attimo a sacrificarsi per te se fosse necessario.»

A quelle parole, Siirist cominciò finalmente a comprendere tutto il discorso del conte. Evendil lo considerava veramente così importante? Il ragazzo abbassò nuovamente lo sguardo, stavolta non imbarazzato ma pensieroso: fissare il pavimento lo aiutava a riflettere.

«Ora farò venire il mago di corte a rimetterti a posto la mano.»

«Come? Oh sì, la mano.»

Improvvisamente tutto il dolore che l’arto fratturato gli procurava ritornò a farsi sentire, e Siirist se lo strinse con la destra.

 

 

 

~

 

 

 

Capitolo un po’ corto rispetto agli altri, ma non ho mai avuto tempo di scrivere. Mi farò perdonare con il prossimo! In più non ho avuto la minima voglia di rileggerlo, per cui scusatemi se ci sono alcuni errori.

 

Ringraziamenti:

1)      franfy94. Grazie mille per i complimenti. Un consiglio: non dar nulla per scontato.

2)      Bankotsu. Sì, con questa nuova versione ho deciso di rendere il tutto un po’ più dettagliato. Raijin e Fujin sono sì citazioni, ma non di FF, visto che sono proprio i nomi degli dei del fulmine e del vento nella mitologia giapponese, che rispetto e onoro in quanto sono un grande appassionato. Tutti a dire di Keira… è così difficile capire che sono amici molto legati? Non comparirà nemmeno più, se non in una scena cortissima tra tredici capitoli!

3)      jazz211. Gli stili non sono di mia invenzione, no, ma sono i nomi degli stili per il combattimento con la spada laser di Star Wars, ovviamente riadattati secondi le mie esigenze. Per quanto riguarda il mito della creazione, invece, posso ricevere i tuoi complimenti perché è tutta “farina del mio sacco”, a parte che per i nomi delle due dimensioni Nirn e Oblivion, presi dalla saga di The Elder Scrolls. E sì, il santouryu è quello di Zoro. Io adoro One Piece, mi leggo il manga su internet (perché non ce la faccio ad aspettare tutto il tempo che ci vuole perché arrivi in Italia) e mi guardo l’anime in giapponese con sottotitoli inglesi, e devo dire che è molto utile, visto che ho imparato un sacco di parole giapponesi!

 

 

Il prossimo capitolo si intitola VERSO ANVIL e sarà pubblicato l’11/10. Altre due settimane, dunque, ma con l’inizio dell’università non ho mai tempo per scrivere.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VERSO ANVIL ***


Verso Anvil

VERSO ANVIL

 

Siirist rimase sul letto a fissare la porta chiusa da dove era uscito il conte. Senza che nemmeno se ne accorgesse, essa si riaprì ed entrò il mago di corte, che fu costretto a svegliare il ragazzo dal suo trance, per poi sanare la sua mano. Il futuro Cavaliere dovette stringere i denti per non urlare, mentre sentiva le ossa scricchiolare nel processo di guarigione, la carne e la pelle che venivano come tirate per poi riunirsi. Avere le ferite curate con la magia non era affatto come si aspettava: aveva sempre creduto che tutto ritornasse a posto in un attimo e senza che il ferito se ne accorgesse nemmeno, invece l’operazione era lunga e dolorosa, proprio come se tutto il processo di guarigione naturale avvenisse in pochi minuti anziché in giorni o settimane.
«Vi ho curato il più lentamente possibile, affinché non soffriste il più del necessario, futuro Cavaliere. Spero che il dolore fosse sopportabile.»
«Oh sì, certo. Volete dirmi che si può guarire più in fretta?»
«Oh certo, c’è chi è in grado di rigenerare un braccio intero in appena tre secondi. Io non sono così bravo, ma volendo avrei potuto guarire la vostra mano in una ventina di secondi. Ma immagino che sia la prima volta che venite curato magicamente, per cui ho pensato che fosse il caso di andarci piano, poiché serve un po’ di abitudine.»
«Questo è sicuro! Era come se i lembi della mia pelle venissero strappati.»
«Lo so. Spero mi perdonerete per il male arrecatovi.»
«Solo se risistemate i mobili che ho rotto!» rise Siirist.
«Come desiderate!» sorrise a sua volta il mago.
Finito il lavoro, questi si congedò e Siirist si distese sul letto, guardandosi la mano sinistra. Era perfetta, nemmeno un graffio o l’ombra di una cicatrice, come nulla fosse mai successo. Fu allora che il ragazzo sentì bussare alla porta, e non dovette nemmeno alzare lo sguardo per vedere chi fosse, che il profumo di lampone che invase la stanza aveva già annunciato l’ingresso di Evendil.
«Intendi stare a poltrire tutto il giorno, oppure vieni ad allenarti con la spada? Perché l’unico modo in cui potresti essere meno operativo sarebbe se fossi il letto su cui sei seduto; ma è anche vero che in quel caso ti renderesti utile in una qualche maniera, siccome saresti l’appoggino di un sedere pigro. Oltretutto ho una sorpresa per te.» l’ultima frase fu detta in maniera più gentile rispetto all’amaro sarcasmo delle precedenti.
Siirist girò la testa con sguardo scocciato e vide Evendil sfoderare la spada di Vetro rubata ad Hermeppo, solo che la lama non era del classico colore verde trasparente del Vetro, bensì era completamente ricoperta d’argento. Il ragazzo balzò su, incredulo.
«O forse preferisci un fucile?»
Siirist si lanciò sull’elfo, strappandogli la spada dalle mani, per poi correre fuori dalla camera.
«Vieni o no?»
Evendil sorrise, per poi seguirlo. Entrambi andarono alla caserma dove incominciarono a duellare, sotto gli occhi di tutti i soldati, e andarono avanti per ore.
 
Più umiliato che mai, Siirist rinfoderò la sua spada, per poi uscire dalla sala addestramento con Evendil che gli dava pacche sulle spalle.
«Stai facendo progressi! Sembra incredibile, ma in solo due lezioni sei migliorato tantissimo. Impari molto in fretta, i tuoi movimenti erano quasi perfetti. Ancora molto meccanici, certo, ma in pieno stile Makashi!»
«Ma cosa stai dicendo? Mi hai messo in imbarazzo per quattro ore di fila davanti a tutto il corpo militare della città! Per di più sono stremato!»
«Veramente mi pare che riesci ancora a reggerti in piedi e a camminare, oltre che a lamentarti e piagnucolare. E se vogliamo dirla tutta, non riuscirai mai a battermi, almeno fino a che non sarai un Cavaliere. Nessuno di quei soldati sarebbe nemmeno in grado di sconfiggermi, neanche se mi attaccassero tutti insieme.»
«Saresti in grado d battere tutti quei soldati insieme?»
«Beh, forse dovrei usare l’Ataru, ma di certo non mi servirebbe tutto il potere di Flusso!»
«Sei formidabile. Non riesco a credere che tu non sia stato scelto come Cavaliere.»
Ci fu qualche secondo di silenzio, prima che l’elfo rispondesse.
«Non era il mio destino. Io sono così forte dopo un secolo di allenamento, ma ormai ho raggiunto il mio limite. Tu, d’altro canto, hai ancora tutto il tuo potenziale da liberare.»
«Però non raggiungerò mai il tuo livello! Insomma, so che con il legame con il drago diverrò fortissimo, oltre ogni immaginazione, però se tu, con la tua forza, fossi stato il Cavaliere d’Inferno, saresti stato imbattibile…!»
«Basta!» lo interruppe Evendil, il tono che non ammetteva repliche.
Siirist si ammutolì immediatamente.
«Il destino è quello che è, non si può cambiare: e il mio è quello di proteggerti e prepararti.»
«E come lo sai?»
«Lo so e basta.»
«Per via del tuo vero nome?»
«Ormellius ha detto troppo.» lo liquidò ancora l’elfo, per poi andarsene.
«Ma…!»
«Vatti a riposare, fare una doccia e cambiarti; ci vediamo a cena.»
Siirist non ne poteva più dell’atteggiamento dell’elfo, ma ciononostante fece come gli era stato detto.
 
Alle otto e mezza il giovane scese nel salone dove era stato imbandito il banchetto della cena e vide due cose che lo colpirono grandemente, una più dell’altra: c’erano cinque tavolate ed un giovane, all’incirca di venti anni, che chiacchierava tranquillamente con Evendil, vestito con un’elegante armatura di maglia d’argento e d’oro, ricoperta di una ricca stoffa di seta. Al fianco destro un’ascia bipenne lunga circa cinquanta centimetri, al sinistro una lunga sciabola con un’agata al posto del pomolo e ai suoi piedi un drago giallo delle dimensioni di un grande mastino, dello stesso colore della gemma sulla spada: quello era un Cavaliere. Nello stesso momento in cui il giovane era entrato nella sala, i due si girarono verso di lui, facendogli poi cenno di avvicinarsi. Egli si avvicinò, gli occhi spalancati, la bocca asciutta.
«Perché ti sorprendi tanto? Ti avevo detto che i signori delle città hanno dei Cavalieri come guardie del corpo.»
«Devo chiederti scusa per non averti accolto questa mattina, ma ero a Chorrol per portare un importante messaggio al conte. Evendil mi ha detto che sei il futuro Cavaliere d’Inferno, Siirist, dovresti esserne orgoglioso.»
«Sì, lo sono…»
A essere sinceri Siirist non sapeva cosa rispondere alla domanda, ma dopo tutte le volte che gli era stato chiesto se si sentiva onorato ad essere il futuro Cavaliere d’Inferno, aveva iniziato a credere che forse “sì” era davvero la risposta corretta da dare, e non doveva nemmeno pensarci. All’arrivo del conte, tutti i presenti si inchinarono, ad eccezione del Cavaliere e di Evendil, il quale impedì il gesto anche al ragazzo. Tutti poi si sedettero e i musici iniziarono a suonare, mentre le ballerine iniziarono le loro danze. Questa volta Siirist era calmo e aveva tutte le intenzioni di godersi lo spettacolo ed il cibo; due danzatrici in particolare colsero l’attenzione del giovane: erano una castana e l’altra mora, entrambe con bellissimi occhi nocciola, con l’ombretto che si allungava verso le tempie. Queste erano state a fissare il ragazzo l’intero banchetto e ciò l’aveva portato a sorridere soddisfatto mentre addentava una mela.
 
Era mattina, all’incirca le dieci, ed Evendil doveva andare a svegliare Siirist. Il ragazzo aveva bevuto un po’ troppo vino la sera precedente, dunque si era assentato prima della fine del banchetto, non appena aveva finito di mangiare. Lo aveva accompagnato lui stesso a letto, assicurandosi che stesse bene, per poi ritornare alla presenza del conte. Tutti i convitati erano preoccupati, ma furono rassicurati dall’elfo che il futuro Cavaliere stava bene. La festa era terminata un paio di ore più tardi, ed Evendil si era congedato dicendo che si sarebbe dovuto svegliare presto l’indomani.
Forse ho bevuto troppo anche io ieri sera.› pensò toccandosi la fronte.
Si alzò in fretta e mangiò la colazione che gli era stata portata in camera, dopodichè si fece una doccia, si vestì e andò a bussare alla porta di Siirist. Dopo qualche minuto ricevette la risposta che aspettava ed entrò. Ma come ebbe messo piede nella camera del ragazzo, dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non lanciarsi sul giovane e strangolarlo.
«Ma che…?» mormorò nervosamente, mentre i suoi muscoli facciali cominciarono ad agitarsi.
 
La serata era stata incredibile: una fantastica cena e poi dell’ottima compagnia, ma c’erano state delle conseguenze: un gran mal di testa; ora l’ultima cosa che Siirist voleva era sentire anche il più lieve rumore, ma ovviamente i suoi desideri non furono esauditi e iniziò a sentire dei forti tonfi provenire da un punto lontano. I suoni si fecero sempre più vicini, fino a che il ragazzo non si rese conto di stare sognando e che i rumori venivano dal mondo della veglia. Aprì con fatica gli occhi per poi svegliare completamente anche gli altri sensi, e capì che qualcuno stava bussando alla porta della sua camera.
«Avanti.» disse con voce roca e stanca.
Evendil aprì la porta ed entrò, per poi immobilizzarsi, fissando Siirist ed il suo letto, guardando il ragazzo come se lo volesse uccidere. Il futuro Cavaliere si guardò ai lati e comprese che la sua situazione era grave.
«D’accordo, signore… è ora di andare.»
Le due danzatrici, entrambe accoccolate su di lui, una da una parte e l’altra dall’altra, mugolarono qualcosa, forse non volendo essere svegliate, ma lo sguardo di Evendil si faceva sempre più minaccioso e Siirist cominciava seriamente a temere per la propria vita. Fu allora che abbandonò il suo modo di fare galante e spinse le ragazze giù dal letto; quelle caddero e si svegliarono con un “ahia” di dolore e rabbia, per poi raccogliere i loro veli da danzatrice e dirigersi fuori.
«E così avevi bevuto troppo ieri sera e dovevi andare a letto…?» nonostante gli sforzi evidenti dell’elfo di mantenere un tono calmo, la voce faceva trasparire desiderio di morte.
«Di’ la verità, ti ho fregato, eh?» ma Siirist non se ne curò, sicuro che l’elfo lo avrebbe presto perdonato.
«Cosa vuoi dire?»
Siirist rimase in silenzio, le braccia conserte ed un sorriso sicuro stampato in faccia. Dopo un po’ Evendil parve comprendere, allora la sua espressione cambiò drasticamente, dall’odio puro all’ammirazione, alla felicità.
«Non riesco a scrutarti i pensieri! Hai quindi imparato a bloccare la mente?!»
«Sai, non ne potevo più di te che sapevi ogni cosa che facessi o pensassi.»
«Bravissimo!»
Evendil andò verso Siirist e lo abbracciò. Ma la stretta era così forte che stava soffocando il ragazzo.
«E-Eve-Evendil…! – riuscì infine a dire – No-Non respiro…!»
«Lo so.» rispose secco l’elfo, con un tono di calma rabbia.
«Sei un… bastardo…!» ansimò Siirist.
«So anche questo.» sorrise anche di più il mezzo dunmer, stringendo maggiormente.
Quando finalmente, qualche minuto più tardi, Evendil si decise a lasciare la presa, Siirist cadde ansimando per terra, maledicendo l’elfo ad ogni respiro.
«Per tua informazione, ciascuna delle tue parole non sta avendo il minimo effetto su di me, anzi stai solo sprecando fiato. Per cui sta’ zitto e fai i bagagli, perché noi adesso ce ne andiamo.»
L’elfo non perse tempo ed uscì immediatamente dopo aver completato la frase, per cui Siirist capì che era il caso di fare come gli veniva detto. Prese la sua borsa e la riempì con tutti i vestiti e gli oggetti personali, per poi indossare la cintura reggente la spada di Vetro e uscire dalla camera. Il conte, la consorte, il mago di corte, il Cavaliere e tutti i funzionari del palazzo erano venuti a salutare l’elfo ed il futuro Cavaliere, augurando a quest’ultimo ogni fortuna.
«Aa’ i’ elenea vara lle.» disse il Cavaliere, inchinandosi a Siirist.
«Cosa?»
«Te lo spiego dopo. Ora limitati a rispondere dicendo: “Ar’ aa’ lle hyanda rema maeg.”.» disse secco Evendil.
«Eh, sì… Ar’ aa’ lle hyanda rema maeg…?»
Il Cavaliere sorrise, per poi rivolgere lo stesso augurio all’elfo, che rispose come aveva fatto Siirist, ma senza il tono di incertezza nella voce. Dopodichè i due uscirono dal portone principale, per poi salire sulle loro montature e partire alla volta di Anvil.
Cavallo e chocobo camminavano lungo la strada che li avrebbe riportati al bivio, per poi imboccare la via per la città portuaria, quando Siirist chiese ad Evendil il significato del saluto del Cavaliere.
«“Che le stelle ti proteggano” e “E che la tua lama resti affilata”. Sono le frasi di saluto della lingua elfica che si dicono a chi si rispetta. Chiunque voglia dimostrare rispetto a qualcuno dice la prima frase, dopodichè bisogna rispondere con la seconda. Il fatto che un Cavaliere ti abbia salutato in quel modo è un grande onore; a te non si è nemmeno schiuso l’uovo, mentre lui ha già quasi un secolo di esperienza alle spalle. Ma non montarti la testa, non riceverai questo saluto da tutti i Cavalieri di Vroengard, bensì tu dovrai dire la prima frase alla maggior parte.»
«Immagino invece che tu stia sempre a dire la risposta, vero?»
«Solo ad Althidon ed Aulauthar dico la prima frase, mentre agli altri membri del Consiglio non dico nulla e loro fanno altrettanto. Per quanto riguarda tutti gli altri Cavalieri di Vroengard, hai ragione, sì, dicono sempre loro la prima frase.»
«Che montato.» scosse la testa il ragazzo.
«Vuoi un altro pugno?!»
«Provaci!»
Un secondo più tardi Siirist era a terra dolorante.
«Rialzati, abbiamo ancora molta strada da fare.»
 
Arrivarono le due ed Evendil decise di fermarsi, sia perché gli animali iniziavano ad essere stanchi, sia perché le sue orecchie imploravano pietà a causa dell’insistente supplica del giovane di sostare per il pranzo, la quale durava da quasi un’ora, ed egli aveva in qualche modo trovato un modo per aggirare l’incantesimo di silenzio che l’elfo gli aveva lanciato.
«Mi spieghi come diavolo hai fatto ad annullare il mio incantesimo? È durato solo dieci minuti, dopodichè l’effetto è svanito, e sono abbastanza sicuro di aver messo sufficiente energia per farti stare zitto almeno tre ore!»
«Non lo so, avevo fame e volevo dirtelo.» rispose tranquillamente il ragazzo.
Evendil si pietrificò, osservando il futuro Cavaliere dissellare il chocobo ed iniziare a preparare il posto per la sosta. Si trovavano un poco fuori dalla strada sul lato destro, proprio accanto ad un dosso ricoperto di soffice erba, su cui Siirist appoggiò la schiena dopo che aveva acceso il fuoco con della legna secca che aveva trovato.
«Che stai facendo?»
«L’ultima volta ho cucinato io, per cui questa volta tocca a te.»
Evendil era ancora troppo colpito dal modo in cui il ragazzo aveva aggirato il suo incantesimo, che non si oppose ed iniziò a far bollire l’acqua magicamente creata nella pentola.
«Mi passeresti del pane?»
«Sì, tieni.»
Siirist afferrò la pagnottella che l’elfo gli aveva lanciato, per poi addentrarla con un’espressione compiaciuta.
«E adesso che c’è?» domandò scocciato Evendil.
«Non mi hai sgridato nemmeno una volta! Non ti sei arrabbiato perché mi sono messo a poltrire, obbligandomi poi a cucinare a suon di sferzate di vento, hai generato l’acqua nella pentola anziché addosso a me, non mi hai nemmeno lanciato la pagnotta in faccia! Insomma, stai finalmente iniziando a rispettarmi! Dopotutto ho imparato a chiudere la mente, ho facilmente annullato un tuo incantesimo…»
«Prima che continui, e che quindi mi fai irrimediabilmente perdere la pazienza, ti avverto che se non mi saprai dare una spiegazione di come hai effettivamente annullato la mia magia, ti farò andare a piedi fino alla locanda dove ci fermeremo questa notte.»
«L’ho voluto…?» rispose esitando Siirist.
«E mi sai dire perché ti è bastato semplicemente volerlo per riuscire a vanificare un potente incantesimo del silenzio di ben 500 douriki?»
«No…»
«Goditi il tuo pranzo!» sorrise Evendil.
 
«È proprio necessario…?»
«Sì!» ridacchiò sadico Evendil.
Ritmicamente l’elfo ondeggiava, seguendo il passo di Farn, la mano sinistra appoggiata sulla gamba, la destra reggente le redini del chocobo, mentre Siirist seguiva dietro. Tutto ad un tratto Evendil fermò le due bestie, così all’improvviso che il ragazzo andò a sbattere contro il sedere di Farn, il quale nitrì.
«Due cose: uno, il mio cavallo è etero; due, impugna la spada. Tu occupati di quello che viene da dietro, indossa un’armatura di ferro e brandisce un maglio d’acciaio.»
«Ma che…?»
«Zitto e fai come ti ho detto.»
Un uomo alto quasi due metri, con una corazza grigio spento con i coprispalla dalla forma circolare, bracciali e gambali del medesimo colore ed un maglio, brandito con entrambe le mani, saltò giù sulla strada, diretto verso Siirist. Ma grazie all’avviso di Evendil, egli non era stato colto completamente impreparato, così che aveva già messo la sinistra ad uno dei coltelli da lancio, la destra al pugnale. Rapido scagliò il coltello verso la gola dell’uomo, ma questi lo parò con il bracciale della mano destra, senza minimamente interrompere la sua folle  corsa omicida. Senza nemmeno pensare a ciò che stava facendo, Siirist fece un salto verso sinistra, così da evitare di coinvolgere il chocobo, sguainando simultaneamente spada e pugnale di Vetro. L’uomo era imponente, e sarebbe certamente bastato un unico suo attacco per avere la meglio del ragazzo, ma questi era più leggero e svelto. Evitò abilmente il colpo dall’alto del gigante con un balzo all’indietro, per poi subito attaccare con un sottano manco diretto alla gola dell’avversario. Ma questi si abbassò e spinse in avanti la sua arma, colpendo in pieno stomaco il giovane, che cadde in ginocchio senza fiato. Il brigante alzò  la sua arma per abbatterla sul cranio del ragazzo, quando una freccia di luce, scoccata dall’indice e medio congiunti della mano destra di Evendil, gli perforò la gola. Morì sul colpo, perdendo la presa del maglio che cadde proprio verso Siirist, ma il protettivo Evendil lo fece levitare, per poi farlo appoggiare delicatamente a terra.
«Possibile che debba fare tutto io? Non ci sarò sempre io a proteggerti, lo vuoi capire?»
«Scusa…» rispose debolmente Siirist.
«La tua idea di lanciare il coltello era buona, – Evendil tese la mano per aiutare Siirist ad alzarsi – per cui mi spieghi perché hai cercato di affrontarlo in uno scontro ravvicinato?»
«Era troppo vicino per i coltelli. E ho pensato che la sua arma lo rallentava molto, per cui potevo cercare di sfruttare a mio vantaggio la mia velocità.»
«Esatto! Solo che l’hai fatto nel modo sbagliato.»
«Cioè?»
«Il maglio è un’arma pesante, lenta ed ingombrante. Se chiedi la mia opinione, ti dico che è un’arma inutile.»
«Sono d’accordo. Sono un ladro, ho imparato ad amare i pugnali ed i coltelli da lancio. Ma per uno scontro ravvicinato trovo che la spada sia l’arma migliore, senza dubbio, perché è il perfetto equilibrio tra forza e rapidità.»
«Certo, ma solo per chi la sa usare. E non è il tuo caso. Fai schifo con la spada, te l’ho già detto. Solo perché hai imparato i movimenti del Makashi non significa che ne sei padrone e ora puoi duellare chi ti pare. Sei invece eccellente con i coltelli da lancio, per cui dovevi cercare di stargli lontano e ucciderlo con quelli; avresti dovuto sfruttare la tua agilità per allontanarti da lui e colpirlo dalla distanza. Devi essere più sveglio!»
«Sì, ho capito.» rispose deluso Siirist.
«Vedo che sei triste.»
«Perché non fai altro che rimproverarmi e dirmi che faccio schifo!»
«Ma perché è vero...»
«Lo so!» sbraitò Siirist, interrompendo Evendil.
L’elfo lo guardò con sguardo interrogativo.
«È che tutti hanno così grandi aspettative da me, ma finirò solo con il deluderli!»
«È questo il problema?»
«Sì.» rispose il ragazzo abbassando lo sguardo.
«Ma ti ho già detto che a Vroengard ti addestrerai perfettamente e nel giro di un anno sarai imbattibile. Senza contare il fatto che il tuo legame con il drago ti darà tanti di quei douriki che...»
«È esattamente questo il punto!» esplose il ragazzo.
Evendil lo guardò senza capire.
«Facile essere forti quando si ha un Inferno a fornirti 1000 douriki a percentuale! Ma ne sono veramente degno? Come Cavaliere sarei una nullità, se non per il drago! Pensa solo come saresti tu se fosse tu il Cavaliere d’Inferno!»
«Ti ho già detto di non pensarci! Non lo sono e basta...»
«Ma pensi che gli altri Cavalieri non lo penseranno?» Siirist interruppe nuovamente l’elfo.
«Che vuoi dire?»
«Credi che gli altri non mi riterranno indegno? Per Soho, si vede che anche tu riterresti chiunque altro più valido come Cavaliere d’Inferno!»
Durante la conversazione, Siirist aveva più volte alzato, quando  alzava più la voce, e abbassato lo sguardo. Ma il quel momento lo alzò appena in tempo per vedere il poderoso destro di Evendil abbattersi violentemente sulla sua guancia sinistra. Siirist fu sollevato da terra di almeno trenta centimetri e scagliato indietro di circa sei metri. Cadde nella polvere stordito, quasi sul punto i svenire, con entrambe le labbra lacerate sulla parte sinistra, lo zigomo visibile, rotto ed insanguinato.
«MA CHI TI CREDI DI ESSERE?!!» sbraitò Evendil, gli occhi iniettati di sangue.
L’urlo dell’elfo, che si era sentito forse fino a Kvatch, fu la sola cosa che mantenne Siirist cosciente.    Dolorosamente e lentamente si mise a sedere, resistendo ad ogni tentazione di toccarsi la guancia: non voleva mostrarsi debole e non voleva infettarla con le mani sporche. Con gli occhi che lacrimavano nonostante tutti gli sforzi del ragazzo di contenersi, guardò l’elfo, possente dinanzi a lui, con tutto l’odio che poteva trovare e provare. In quel momento sentiva che se avesse conosciuto lo stile Juyo, avrebbe potuto richiamare così tanta rabbia da metter Evendil al tappeto in meno di due minuti.
«E adesso cos’è quello sguardo?» domandò Evendil, riducendo gli occhi a due fessure.
Siirist lo fissò con sempre più disprezzo. Aprì la bocca ma poi la richiuse subito. Evendil pensò che il ragazzo fosse così arrabbiato da non volergli nemmeno parlare, ma in realtà Siirist aveva voluto chiedergli perché lo avesse colpito, ma non riusciva a parlare per il dolore, e ovviamente non voleva farlo capire all’elfo.
«Devo chiederti scusa per averti colpito.»
‹Ma no????› Siirist in quel momento aprì la mente, pensando la risposta con tutto il sarcasmo di cui era capace.
«Vuoi sapere perché? Perché mi sono stancato di te. Chi ti credi di essere per contestare il destino? Stai sempre a lamentarti di essere un incapace. È vero, se ti vedessi così mi verrebbe voglia di uccidere l’Inferno non appena uscisse dall’uovo, per il fatto che abbia scelto una nullità come te invece che me. Ma ho osservato ogni tuo ricordo, da quando sei nato, intendo, ed ho visto il tuo scontro contro il grem. L’ho visto attraverso i tuoi occhi ed ho sentito ogni una emozione, sensazione. Non più di mezz’ora fa hai annullato un mio incantesimo del silenzio con la tua semplice forza di volontà. Non ti ha nemmeno sfiorato l’idea che le due cose siano collegate?»
Siirist alzò un sopracciglio.
«Quando eri in fin di vita contro quel demone, hai desiderato ardentemente di continuare a vivere, hai voluto sopravvivere per diventare un giorno grande: sei riuscito a vincere perché l’hai voluto. Hai avuto la capacità di prevedere il suo attacco, hai avuto abbastanza forza fisica da stritolargli il braccio e da riuscire a finirlo successivamente, per quanto tu fossi ferito. Tu possiedi un potere così grande da fare impallidire chiunque ne sia a conoscenza.»
«Di cosa stai parlando?» domandò debolmente Siirist, poi stringendo i denti per il dolore e pentendosi di aver parlato.
«Niente che abbia intenzione di spiegarti ora. Non saresti capace di capire e diventeresti troppo vanitoso. Inoltre potresti anche non impegnarti negli allenamenti, confidando troppo in quel potere.»
«Ma di che parli?! Ahia!»
«Te lo dirò tra cinque anni, alla fine dell’allenamento. Ora vieni qui e fatti curare.»
Il ragazzo non era proprio felice all’idea di essere nuovamente guarito via magia, ma era l’unico modo per non sentire più quel dolore insopportabile, oltre che poter di nuovo parlare. Mentre la sensazione di pinze che gli tiravano la pelle e la carne e riunivano i due lembi gli dava la sensazione di avere mille aghi infuocati nel corpo, Siirist tentò di distrarsi, pensando a Skingrad.
‹Chi sa come sta Keira?›
«Bene, ora possiamo riprendere il viaggio.» esclamò Evendil.
Siirist si avvicinò al chocobo con uno sguardo come a dire “Se mi fai ancora andare a piedi ti ammazzo”, che Evendil colse in pieno, e montò, per poi accarezzare il pennuto e spronarlo al passo.
«Mi perdoni per il pugno?» domandò l’elfo, in groppa a Farn.
«Diciamo che dovrai aspettarti qualcosa del genere quando avrò raggiunto il mio 100% di legame con il mio drago.»
«Sai che non ti ho colpito con tutta la mia forza.»
«Dimentichi gli interessi.» rispose Siirist, il tono piatto e lo sguardo fisso in avanti.
«Bene...»
 
Non ci volle molto prima di raggiungere la locanda. Evendil, in groppa allo stallone, entrò prima nel recinto dove lo avrebbe lasciato e Siirist lo imitò, smontando dal chocobo, dissellandolo e portando il tutto nell’edificio. L’ingresso era accogliente, con il bancone della reception proprio di fronte all’ingresso, a destra un salottino con focolare, arredato con vari tavoli e sedie, a sinistra le scale per il piano superiore. Il tutto decorato con bei quadri, tappeti e drappi.
«Vorremmo cenare ed avere una stanza per una notte.»
Il locandiere parve non meravigliarsi troppo alla vista dell’elfo e fece accomodare i due ospiti nel salottino e si apprestò a prendere gli ordini.
 
Siirist era a letto, con lo stomaco pieno e con un gran sonno. Ma per qualche ragione, non riusciva a prendere sonno.
«Che hai?»
«Non riesco a smettere di pensare a questo mio misterioso potere. Di cosa si tratta?»
«Scordatelo.» rispose Evendil, rigirandosi nel suo letto.
‹Vedi di farlo allo spiedo quando nasci.› Siirist strinse a sé il suo uovo e si addormentò.
 

 

 

 

~

 

 

 

Scusatemi tanto!!!!!!!!! Chiedo umilmente venia per il ritardo mostruoso, ma, come già spiegato, il mio vecchio iMac ha deciso di abbandonarmi, per cui non ho avuto molta scelta! Devo ancora riprendere la mano con la storia ed i personaggi, per cui mi rendo conto che questo capitolo può non essere stato perfetto, ma ho preferito sacrificare la perfezione così da pubblicare prima. Solo una cosa in questo periodo è cambiata: ho iniziato a seguire Naruto, e sono rimasto molto colpito. Il sistema della magia in questa storia è sì tratto da Paolini, ma è leggermente diverso. È invece identico alla manipolazione del chakra su Naruto. Oltre a questo le invocazioni (ancora non sono comparse, ma nella prima versione già si erano viste) richiedono un sacrificio di sangue, così come su Naruto. Simpatiche coincidenze, no? Ovviamente non ci sono rospi in Oblivion! Ovviamente mi trovo portato a trarre ispirazione da Naruto per alcune magie, come ad esempio la manipolazione della sabbia di Gaara. Beh, spero che, nel complesso, il capitolo vi sia piaciuto!

 

Ringraziamenti:

jazz211: sì, conosco Fairy Tail, ma ho letto solo il primo numero.

Bankotsu: vorrei correggerti a proposito della scrittura “semplice” di Paolini. Temo di doverti dire che si tratta di una terribile traduzione. A differenza di Harry Potter, che è tradotto alla lettera, e se prendi un numero a caso (io l’ho fatto con l’ultimo capitolo del quarto) e leggi una riga in italiano e poi la stessa in inglese, ti trovi a leggere la stessa identica cosa, solo in due lingue diverse. Per quanto riguarda l’Eredità, invece, in italiano la scrittura è semplicissima, in originale le parole usate da Paolini sono spesso arcaiche, la struttura della frase è più complessa, è certamente una lettura più impegnativa. Sono stato costretto a chiedere a mia madre (che è inglese) il significato di circa una parola ogni cinque righe mentre leggevo Brisingr! Oltre a ringraziarti per la recensione, devo farlo per aver permesso la pubblicazione del capitolo, visto che sei tu che me l’hai convertito in html! Quanto mi manca Office...

Angelickall: ma ciao! E chi si scorda? È bello riaverti! Soprattutto perché sei nuova a seguire questa storia, quindi non ti sei trovata ad aspettare mesi in attesa di questo capitolo! Sì, cerco sempre di rendere l’idea di ogni minima azione di ciascun personaggio, ma non sempre è facile! Ti ringrazio per i complimenti, a presto!

 

Ringraziamenti di merda, ma ho fretta di postare e ora devo uscire! Ciao, e alla prossima con LA CITTA’ PORTUARIA

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** LA CITTÀ PORTUARIA ***


La Città Portuaria

LA CITTà PORTUARIA

 

Era più o meno l’alba quando Siirist aprì gli occhi di scatto, essendosi accorto di movimenti furtivi nella camera. Ma come ebbe impugnato il pugnale, si accorse che si trattava di Evendil.
«Scusa, ti ho svegliato?»
«Argh!» il rantolo rauco e indispettito fu più che sufficiente come risposta.
Arrabbiato per essere stato svegliato, si ributtò sul cuscino, rigirandosi e cercando di ignorare l’elfo.
«Visto che sei sveglio, potresti anche iniziare a fare i bagagli; intendevo svegliarti a breve in ogni caso.»
«Ma è ancora buio!» il lamento del ragazzo giunse molto soffuso, attutito dal cuscino.
«Veramente i raggi solari si intravedono già da un quarto d’ora.»
«Muori.» e Siirist si rimise a dormire.
Evendil sorrise dolcemente, per poi generare una leggera brezza tra il corpo del giovane ed il materasso, sollevando il ragazzo di un metro e mezzo. Questo fece riaprire gli occhi a Siirist che, giustamente, si spaventò.
«Prima tu.» il sorriso dell’elfo si fece ancora più grande e rassicurante.
‹Ma non ci credo nemmeno se...!›
Il flusso di pensieri di Siirist fu interrotto dalla sua improvvisa accelerazione verso il soffitto. Batté duramente la schiena contro le travi, lasciandosi scappare un suono strozzato, per poi ricadere duramente sul letto a faccia in avanti.
«Credo di essermi rotto il naso e qualche vertebra.» disse debolmente.
«Alzati.»
«La trovo difficile come cosa, al momento. Forse tra qualche anno...»
«In piedi.»
Con profondo disappunto, il ragazzo si stiracchiò, sentendo tutte le ossa della schiena scricchiolare in maniera innaturale, per poi mettersi a sedere.
«Stai benissimo, niente di rotto.»
«La sensazione era quella.» rispose accertandosi delle condizioni del setto nasale.
Senza aggiungere altro, Siirist si alzò in piedi tutto dolorante, per andare in bagno. Dopo aver orinato, fatto la doccia e essersi lavato i denti, uscì e si mise degli abiti puliti.
«Eri proprio il desiderio di ogni ragazza di Skingrad, eh?» commentò Evendil, osservando il fisico del ragazzo che si vestiva.
«Tralasciando quanto sia inquietante per me essere guardato in quel modo da un uomo, sì, lo ero.»
«E questo ti ha sempre dato un certo piacere, giusto?»
«Perché mi chiedi cose che già sai?»
«Perché sarà così divertente per me vederti deluso a Vroengard!» ridacchiò sadico Evendil.
Siirist lo guardò con sguardo interrogativo.
«Certo, hai un bel viso, un corpo atletico, definito, si vede che te ne sei preso molta cura, ma resti pur sempre un umano. A Vroengard è pieno di elfi, tutti con una bellezza ben più grande della tua. E vedere come sarai ignorato da tutte le ragazze sarà un divertimento senza precedenti per me!»
«Mi credi così vanitoso e galletto?»
«Forse non mi sono spiegato bene, perché ti ritengo molto più primadonna di quanto tu cosa pensare!»
Siirist rimase senza parole. Effettivamente l’elfo aveva ragione. Dannato.
«Ma io sono pur sempre il Cavaliere d’Inferno! E ho in me sangue elfico!»
«Sì, una goccia su un milione, se ti va bene.»
«Ma non eri tu che mi hai detto di essere fiero di discendere dai Ryfon?»
«Sì, ma ciò non ti rende appetibile per nessuna elfa!»
«Posso benissimo accontentarmi di un’umana.»
«Oh, non credo proprio. Dopo che avrai visto un’elfa, non guarderai più le ragazze umane.»
«Ti rendi conto che sai essere molto fastidioso?»
«Abbastanza, sì.» ammise Evendil.
«Già qualcosa...» mormorò Siirist, mentre chiudeva la sua borsa.
 
Dopo aver fatto una rapida colazione, i due uscirono dalla locanda ed andarono verso il recinto. Farn parve abituato a svegliarsi all’alba, mentre il chocobo non fu esattamente entusiasta di dover portare sulla schiena Siirist già da quell’ora, tant’è che due volte lo fece cadere dalla sella, prima che il ragazzo si arrabbiasse e lo legasse alla palizzata, così da poter salire più facilmente. Come ulteriore precauzione, utilizzò una corda per stringere le sue gambe alla sella, così che non sarebbe caduto più per nessuna ragione.
«Abituatici, che le selle dei draghi sono così.» commentò Evendil divertito dalla giostra che avevano messo su ragazzo e uccello.
«Che vuoi dire?»
«Anche le selle dei draghi hanno dei lacci per le gambe. Credi che sarebbe possibile reggersi sulla sella solo grazie alle staffe e ad un duro lavoro di gambe, quando hai sotto di te un drago che volteggia per aria, spesso a velocità superiori di 300 km/h?»
«No, ne dubito. Ma, scusa, un drago vola così velocemente?»
«Ho detto spesso, per cui intendevo la media di un drago. Gli Inferno vanno ad almeno il doppio.»
«Ma non riuscirei mai a rendermi conto di quello che succede! Sarebbe troppo veloce perché io possa percepire gli spostamenti!» protestò il futuro Cavaliere.
«E a cosa serve, secondo te, il legame tra drago e Cavaliere? Solo a renderti più forte individualmente? Il drago è parte di te, così come tu sei parte del drago. C’è una ragione se il “bonus” di douriki che dà un Inferno è così alto, il suo Cavaliere deve essere in grado di cavalcarlo e vedere ogni spostamento anche ad una velocità impressionante come oltre 600 km/! Oltre a questo, un Cavaliere esprime il massimo delle sue capacità se è assieme al suo drago.»
I due avevano portato, Siirist con più difficoltà di Evendil, le loro montature fuori dal recinto, ed avevano già ripreso la via Dorata in direzione nord.
«Quindi i Cavalieri sono più forti se in groppa al drago? Ottengono qualche altro potere?»
«Non ti ho mai parlato di incantesimi combinati, vero?»
«No.»
«È abbastanza semplice come concetto. Guarda qui. – Evendil comunicò mentalmente a Farn di fermarsi, il quale obbedì. – Aa’ naur nosta ar’ foma u cali.»
A quel punto, l’elfo puntò la destra in avanti e fece apparire a qualche metro da sé un vortice di fiamme, una grande colonna di fiamme turbinanti, alta circa tre metri, con le lingue di fuoco che perfettamente giravano su se stesse, emanando un forte calore.
«Come vedi, ho generato una colonna di fuoco turbinante. La forza immessa nell’incantesimo è di 200 douriki. Ma guarda cosa succede ora. – Evendil interruppe l’incantesimo e la colonna scomparve. – Aa’ i’ lin sula.»
Dove poco prima si trovava una turbine di fuoco, ora ve ne era uno d’aria.
«E guarda che succede se genero lo stesso identico vortice di fuoco di prima.»
Evendil ripeté le stesse parole, ma ciò che Siirist vide, non fu la stessa colonna. Come apparve una scintilla all’interno del tornado in miniatura, ci fu un’esplosione e fiamme almeno tre volte più grandi di quelle di prima proruppero.
«Sicuro di aver immesso la stessa energia di prima?» domandò il ragazzo.
«Naturalmente. Hai visto cosa è successo a combinare due incantesimi? Solitamente è un’ operazione che si fa in coppia, ma non tutti i maghi sono sempre in due. I Cavalieri, invece, sono avvantaggiati, perché hanno sempre con sé il loro drago. Un Cavaliere può specializzarsi nell’elemento aria e sfruttare la combinazione con il respiro infuocato del drago, oppure il drago stesso può imparare ad usare la magia, e allora molte altre combinazioni possono nascere.»
«I draghi possono usare la magia?!»
«Sì, ma diversamente da noi. La magia dei draghi è un mistero ai bipedi quanto a loro stessi. I draghi non controllano gli incantesimi come noi, ma li avvertono. Sinceramente non te lo so spiegare, e nemmeno un drago può farlo, se non dicendo che la magia per loro è a metà tra l’istinto e l’allenamento. Non è una bella spiegazione, vero?»
«No, sono solo molto confuso. Ma ciò che è importante è che posso combinare i miei incantesimi con altre persone e, soprattutto, con il mio drago.»
«Precisamente.»
«Ma che senso ha combinare gli incantesimi? Non posso semplicemente fare come hai fatto tu poco fa? Io da solo posso lanciare un incantesimo d’aria seguito da uno di fuoco.»
«Dimentichi un piccolo dettaglio: io posso perché sono incredibilmente dotato a livello di Flusso vitale. Non è che chiunque ha l’energia per lanciare due incantesimi di fila in quel modo, per questo si combinano.»
«Ma anche io potrei avere un Flusso vitale al tuo livello!»
«Statisticamente improbabile.» rise l’elfo.
Siirist lo guardò bieco.
«Ma è anche vero che non sarebbe poi così strano, trattandosi di te.»
«Che vuoi dire?»
«Che ormai non mi sorprende più nulla di te! Per quello che so, potrebbe anche essere che il tuo drago sia l’Inferno che possiede il fuoco nero!»
«Dici?»
«Sto dicendo che non mi sorprenderebbe.»
«Sarebbe un complimento?»
«Sì.»
«Allora grazie!»
 
I due cavalcavano lungo la Via Dorata da circa un’ora, quando il cielo sopra le loro teste fu oscurato, ed entrambi alzarono lo sguardo. Sopra di loro stava passando un’aeronave, grande quanto tutta Skingrad, scortata da due draghi, uno verde, l’altro grigio.
«Quell’aeronave deve trasportare un carico molto importante se è scortata da due Cavalieri. E visto che sembra provenire da Bevelle, la cosa non mi sorprende.» commentò Evendil.
A Siirist venne in mente una domanda.
«Ah, giusto! Tra un’incazzatura e un’altra mi sono dimenticato di chiedertelo a Kvatch, ma vedere quei due draghi me l’ha fatto tornare in mente. Come mai il drago del Cavaliere di Kvatch era così piccolo?»
«Era di quelle dimensioni perché i draghi hanno la capacità di rimpicciolirsi, fino a diventare grandi come un canarino. Ma certo che sei proprio maleducato.»
«Perché, scusa?»
«“Il drago del Cavaliere”. Ha un nome, sai? Si chiama Glaurung, ed il Cavaliere Altis.»
«Non lo sapevo, non mi si è presentato.»
«Ah, è vero, aveva detto che non ne eri degno. Si era anche lamentato con Altis per via di tutto il rispetto che ti ha mostrato.»
«Ah... simpatico...»
«I draghi la pensano così. Tutti loro temono e venerano gli Inferno, ma non certo i cuccioli. Non vedrai mai Skryrill inchinarsi al tuo drago.»
«Chi è Skryrill?»
«Il drago di Aulauthar.»
«Il Cavaliere d’argento, giusto?»
Evendil annuì.
«Se il tuo drago vorrà essere rispettato dagli altri, dovrà mostrare di meritarselo, così come te. Tutti riconoscono la tua importanza, ma al momento resti pur sempre un novellino.»
«Me l’hai già detto.»
«Hai la testa dura, credo che ripeterti le cose più volte faccia solo bene.»
«Non vedo l’ora che tu ti inchini a me.» Siirist guardò l’elfo ad occhi stretti.
«Non accadrà mai.»
«Ah no? Nemmeno dopo che ti avrò umiliato in duello davanti a tutto l’Ordine?» chiese il ragazzo sicuro di sé.
Evendil scoppiò a ridere, una risata così sentita e fragorosa che iniziò a lacrimare. Siirist invece ci rimase male.
«Scusa, ma non riesco proprio ad immaginarmi la scena!» e continuò a ridere.
«Quando avrò raggiunto il massimo del legame con il mio drago, sarà impossibile per te battermi!» fece notare il futuro Cavaliere, offeso.
«Sì, lo so, scusa. Ma sarò stato pur sempre il tuo primo maestro!»
«Il primo?»
«Pensi che continuerò ad addestrarti io alla Rocca? Ovviamente sarai seguito da uno dei Cavalieri anziani. A proposito, hai già pensato ad un nome da dare al tuo drago?»
Siirist parve soppesare la risposta.
«Un nome? – disse poi, più a se stesso che all’altro – Beh, no... Perché?»
«Perché cosa intendi fare quando ti nascerà, lasciarlo senza nome per chi sa quanto?»
«Ci penserò. Tanto manca ancora del tempo.»
«Veramente nascerà tra tre giorni.»
«Cosa?!» Siirist rimase a bocca aperta.
«Oggi è il quarto giorno da quando l’hai toccato, perciò ne mancano tre. Non sai che le uova dei Cavalieri si schiudono dopo una settimana da quando sono state toccate?»
«Non lo sapevo.»
«Immaginavo.»
 
Passò un’altra ora fino a che i due giunsero in vista di Anvil. La Via Dorata era quasi giunta al termine, e si concludeva in una discesa leggermente ripida, quando la città portuaria apparve fra le fronde degli alberi.
«Bene, adesso andiamo subito al porto e troviamo una nave per Vroengard.» disse Evendil.
«Ehm, senti... non è che potremmo restare un po’ qui ad Anvil?»
«Preferirei di no, perché?»
«Beh, è la prima volta che ci vengo, probabilmente l’ultima, perciò sarei curioso di visitarla.»
«Non mi è parso che avessi nessuna voglia di fare il turista a Kvatch, eppure è una città ben più affascinante di questa comunità di pescatori. O forse vuoi trovare un bordello, così da approfittare del fatto che non hai ancora conosciuto nessuna elfa?»
«Ehi! Mai stato con una donna a pagamento!» si indignò Siirist
«Intendevo dire che visto che non avresti molto tempo per conoscere una ragazza, saresti ricorso ad un espediente.»
«Non ci metto molto a rimorchiare, come avrai notato a Kvatch...» Siirist fece il vago.
«Sì, ho notato.» Evendil trattenne a stento il suo pugno.
Intanto erano giunti alla stalla fuori la città.
«Abbiamo noleggiato questo chocobo a Skingrad.» Evendil informò il proprietario.
Questi annuì ed iniziò ad ispezionare l’uccello dopo che Siirist era sceso. Il ragazzo consegnò la sella all’uomo, accarezzò l’animale e poi seguì Evendil, ancora in groppa a Farn, fino al portone principale.
«Oh, nobile elfo, già di ritorno?» chiese una guardia.
«Ti conoscono?» domandò incuriosito Siirist.
«Certo, sono passato per qui quando sono arrivato a Spira. – disse Evendil a Siirist. – Vorrei prendere una nave per Vroengard e caricare il mio cavallo nella stiva.» si rivolse poi al soldato.
«Certamente. Lasciatelo pure qui, me ne occuperò io.»
«Benissimo.»
Evendil smontò, prese la sua borsa ed entrò in città, seguito da Siirist.
«Quindi? Non possiamo stare un giorno in più qui?» chiese speranzoso il ragazzo.
«Ma perché? Ho già fatto richiesta di caricare Farn sulla stiva della nave che parte oggi.»
«Ma...!»
Siirist tentò di protestare, ma fu interrotto dalla guardia del cancello.
«Nobile elfo, scusatemi per il disturbo, ma mi è appena stato comunicato che non ci saranno navi per Vroengard oggi.»
Siirist sorrise, Evendil no.
«Come mai?»
«Un mostro marino ha danneggiato la nave che sarebbe dovuta arrivare fra due ore, perciò tutte le rotte sono state cancellate.»
«Questo è molto preoccupante. I passeggeri della nave?»
«Dei Cavalieri li stanno soccorrendo, ma ci sono state alcune perdite.»
«Preghiamo Tenma per loro.» rispose Evendil.
Salutò la guardia e si rigirò, dirigendosi verso il cuore della città.
«Quindi andiamo ad una locanda, immagino.» chiese Siirist con un sorriso a trentadue denti.
«Direi che non possiamo altrimenti.» rispose scocciato l’elfo.
L’architettura di Anvil era assai più semplice rispetto a Skingrad e Kvatch. Subito dopo il cancello vi era una grande piazza circolare con un albero al centro, ai cui bordi si trovavano i vari negozi e le due gilde. Due strade, una a destra e l’altra a sinistra, si diramavano, la prima che portava verso la zona abitata, la seconda verso un cancello.
«Quel cancello dà sul porto?» domandò il ragazzo.
«No, per arrivare al cancello per il porto, devi prendere la strada di destra. Quello lì porta al castello.»
«Il castello di Anvil è fuori dalle mura della città come quello di Skingrad?»
«Sì, si trova su un’isola a parte, collegato alla terra ferma da un ponte.»
«Capito. Immagino non sia semplice entrarci.»
«Dipende se sei invitato o no. Perché, vuoi andarci? È per questo che insistevi con il rimanere un giorno qui?»
«No, era pura curiosità.»
«Non me la dai a bere.»
‹Meglio cambiare discorso.› pensò rapido il giovane.
«Questa notizia del mostro marino è preoccupante. Credi che il nostro viaggio andrà bene?»
«Sì, dubito che avremo dei problemi, è una rotta molto sorvegliata. Anzi, mi sorprende che sia accaduto questo incidente. In ogni caso non attacca, dimmi perché vuoi entrare nel castello; mi auguro non sia niente di stupido che hai in mente.»
«Devo solo visitare il fabbro.» rispose infine.
«È per il tuo ingresso nella Gilda dei Ladri?»
«Ma come...?»
«Sono anche io dell’Ordine, ti ricordo, so che Orrin è un ladro.»
«Ah...»
«In questo caso, credo di poterti aiutare.»
«No, devo farlo da solo, se voglio superare l’esame.»
«Risposta esatta. Intanto andiamo alla locanda, poi potrai fare quello che ti pare fino a domani. Ma non possiamo aspettare oltre, non vorrei che il tuo drago nascesse fuori dalle mura della Rocca.»
«Va bene.»
I due camminarono lungo la strada di destra, fino ad arrivare ad un’altra piazza circolare, dove si trovava il cancello per arrivare al molo. Sul lato opposto, vi era la locanda. Evendil entrò per primo, e fece richiesta di una camera per due. Come ebbe preso la chiave e pagato per una notte, salirono entrambi al piano superiore, entrarono nella stanza e lasciarono i bagagli e le armi.
«Bene, io vado!» esclamò Siirist.
«Va bene. Io starò qui sotto a bere qualcosa.»
Il ragazzo scese rapido le scale ed uscì dalla locanda. Si avvicinò alla prima guardia che trovò.
«Scusatemi, mio padre Elric, di Skingrad, era un amico di vecchia data di Orrin, il fabbro del castello. Purtroppo è venuto a mancare una settimana fa, e gradirei comunicargli la notizia. C’è modo che possa incontrarlo?»
«Mi dispiace, ragazzo, ma l’accesso al castello è proibito. Posso farglielo sapere, però.»
«Grazie mille, ditegli che mi troverà alla locanda!» e corse via verso la taverna.
Il ragazzo trovò Evendil, come questi aveva detto, ad uno dei tavolini a bere.
«Già fatto?»
«Se tutto va bene, Orrin dovrebbe venire qui.»
«Me lo auguro, non abbiamo certo tempo da perdere! Anzi, già che dobbiamo aspettare qui, che ne diresti di continuare il tuo addestramento?»
«Non credo che metterci a duellare sia proprio la cosa più adatta da fare.»
«Credi che per essere Cavaliere, devi solo sapere combattere? Non conosci l’elfico.»
«Giusto. Allora me lo inizi ad insegnare?»
«Sì. Torniamo in camera.»
I due si alzarono dal tavolo ed andarono nella loro stanza, dove Evendil consegnò un quaderno ed una penna a Siirist.
«Dunque, iniziamo a parlare dei verbi. Usiamo come esempio “stal”, che significa sigillare.»
«Sì, mi ricordo, l’hai detto per sigillare l’ingresso della mia grotta a Skingrad.»
«Esattamente. Quella volta ho detto “stala”, perché stavo usando il presente. Le desinenze per il passato, il futuro ed il condizionale sono rispettivamente “-e”, “-uva” e “-aya”. Le coniugazioni sono identiche per ciascuna persona, e si capisce a chi ci si riferisce tramite i pronomi personali, obbligatori nell’elfico, diversamente dall’umano. Essi sono: “amin” che significa “io, me, mio, mia”, “lle” “tu, te, tuo, tua”, “ro” che vuol dire “egli, lui, suo, sua”, “re” è il femminile della terza persona singolare e “ta” è il neutro. Il plurale è “lye” che significa “noi, nostro, nostra”, poi “llie” per la seconda persona e “ron” per la terza persona. Quando in elfico si usa il possessivo, l’articolo non si usa. Quindi per dire “il mio libro”, dico “amin parma”. Poiché l’elfico non ha generi, gli oggetti sono tutti indicati con “ta”, e gli articoli sono due, uno determinativo e l’altro indeterminativo. Il determinativo, che è singolare, plurale, maschile e femminile è “i’ ”, mentre l’indeterminativo, anche esso per entrambi i generi, è “u”.»
Siirist era stato a prendere attentamente appunti fino a che Evendil non si era interrotto. L’elfo prese un pezzo di carta per sé e vi iniziò a scrivere usando i caratteri della lingua umana.
«Ora stai bene attento: “Sina nae u talle. Amin rusve ta.”. Riesci a tradurlo?» chiese poi, mostrando il foglio al ragazzo.
Siirist, dopo aver ricopiato sul quaderno la frase, la osservò attentamente.
«Non conosco i significati, però.» puntualizzò il ragazzo.
«Hai ragione, scusa, allora ascolta. “Sina” vuol dire “questo”, mentre “quello” si dice “tanya”; “talle” significa “tavolo” e, per finire, “rusv” significa “rompere”. Ora traduci.»
«Allora, “questo era un tavolo. Io ho rotto esso.”»
«Perfetto. A parte “ho rotto esso” che in lingua umana è meglio dire “l’ho rotto”.»
«Sì, giusto.»
Dopodichè, Evendil scrisse molte altre parole, che Siirist ricopiò pazientemente. Dopo un’ora, Evendil interrogò il ragazzo.
«Traduci “naur naara taver”.
«“Il fuoco brucia il legno”.»
«Ora più complicata: “I’ Uruloki vara i’ gwaith ya duna sen”.»
«“I Cavalieri proteggono le persone (il popolo) che lo rispettano (rispetta).”» rispose dopo un po’.
«Eccezionale!» si complimentò Evendil.
«Non è poi così difficile!» rise Siirist.
«No, se hai un quaderno sotto. Vediamo se ce la fai senza!»
«Ehi, vacci piano! Sono pur sempre alla mia prima lezione!»
«Allora non dire che è facile. Suppongo tu sia stanco ora.»
«Mentalmente sì, ma per niente fisicamente. Un altro po’ di allenamento Makashi ci starebbe bene!»
«Sono d’accordo, ma siamo in città, e non è proprio consentito.»
«Lo so, peccato.»
«Continuiamo con l’elfico?»
«No grazie!»
«In effetti non ho più voglia nemmeno io.»
«Potresti spiegarmi in cosa consiste il mio potere segreto.» propose vago Siirist.
Evendil si limitò a fissarlo.
«Ma potremmo anche andare a farci una passeggiata.»
«Già, buona idea. E Orrin?»
«Sa che deve venire qui, ma presumo lo farà di sera.»
«Sì, è più probabile.»
I due scesero, Siirist portandosi dietro una borsa contenente l’uovo, ed uscirono sulla strada.
«A Kvatch non ho avuto l’occasione, ma qui voglio spendere un po’ dei miei soldi.»
«Un po’ dei soldi dei Vaan, vorrai dire.»
«Non so di cosa parli.»
Nuovamente la risposta di Evendil fu uno sguardo fisso.
«Voglio comprare un souvenir da inviare a Skingrad.»
«Per Keira, suppongo.»
«Sì. Ma a pensarci bene, anche qualcosa per Hans ed i miei genitori.»
«Non so proprio cosa consigliarti. Hans è un fabbro, per cui la sua passione sono le armi, ma non avrebbe senso comprargliene una, visto che è uno fra i migliori fabbri umani in circolazione, e indubbiamente il migliore di Cyrodiil. I tuoi genitori producono vino, ma per loro vale lo stesso discorso di Hans. A Keira cosa piace, invece?»
«Vestiti, scarpe e cappelli soprattutto. Potrei vedere se hanno qualcosa che potrebbe piacerle.»
«E per Hans ed i tuoi genitori?»
«Quali sono le specialità locali?»
«Il pesce.»
Questa volta fu il turno di Siirist di fissare l’elfo.
«Lo so, non è il miglior regalo del mondo, specie da inviare via corriere.» ammise il dunmer.
Camminarono per un po’ lungo la strada, quando ad Evendil venne l’illuminazione.
«Potresti comprare per Hans un libro di grammatica elfica e un dizionario.»
«Buona idea, tanto se vuole studiare la magia, deve imparare l’elfico! Ma dove li trovo?»
«Alla sede della Gilda dei Mistici.»
«Perfetto, così siamo a due. Ora manca il regalo per i miei genitori.»
«Una cartolina?»
«Un po’ squallido.»
«Senti, non li conosco, sei tu il figlio!»
Siirist ci pensò su.
«Vada per la cartolina.»
 
Tre ore più tardi, Siirist ed Evendil tornarono alla locanda a pranzare. Erano stati alla sede della Gilda dei Mistici, alla cartoleria ed al negozio di vestiti, dove Siirist fu molto colpito dalla differenza di moda rispetto a Skingrad. Non era così sostanziale, tanto che ad Evendil la moda cyrodiiliaca pareva tutta uguale, ma il ragazzo aveva imparato a notare ogni dettaglio di un abito, dopo tutti i furti che aveva commesso nella sua città. Gli abiti maschili di Skingrad erano caratterizzati da pantaloni leggermente più stretti attorno alle ginocchia rispetto al resto, tuniche che arrivavano fino a metà coscia e lacci all’altezza dei gomiti. Ad Anvil, invece, i pantaloni si tenevano stretti sulle caviglie, le tuniche avevano lacci sui polsi. I vestiti femminili  di Skingrad avevano più ciondoli rispetto a quelli di Anvil; differenza minime, come due nastri d’argento che pendevano all’altezza della vita anziché tre.
«Sembri una donna, a notare queste sottigliezze.»
«Sottigliezze? Sono un ladro! Devo notare questi dettagli per sapere se un abito vale sei monete d’argento o cinque argenti e cinque monete di bronzo!» si indispettì il ragazzo.
Finito di mangiare, entrambi salutarono il locandiere, per poi salire in camera loro a studiare altre regole dell’elfico, come gli usi di aggettivi ed avverbi, ed altre parole, che Siirist pazientemente memorizzò, o almeno ne imparò la maggior parte.
 
Arrivarono le sette e mezzo e Siirist ed Evendil scesero al piano terra, Siirist con la testa che gli scoppiava di elfico, tanto che si era dimenticato di avere un importante appuntamento.
«Evendil!»
L’elfo trovò subito chi l’aveva chiamato, per poi sorridere e ricambiare cordialmente.
«Ciao, da quanto! Come stai, Orrin?»
Siirist immediatamente si riprese. Davanti a lui si trovava un uomo più sui cinquanta che sui quaranta, dalla carnagione scura, gli occhi stanchi ma attenti, il naso grosso, i capelli bianchi e quasi scomparsi, tant’è che aveva solo un cerchio attorno al cranio.
«È bello rivederti. Io sto bene, grazie. E tu devi essere Siirist.» disse infine, rivolgendo lo sguardo al ragazzo.
«Piacere.» il giovane tese la mano.
«Andiamo a parlare in un posto più appartato.» propose il ladro.
I tre uscirono dalla taverna per andare, guidati da Orrin, verso la piazza dove si trovavano le gilde. Dietro alla Gilda dei Guerrieri vi era un edificio che Siirist non aveva visto prima.
«E io che avevo appositamente evitato di farglielo vedere.» protestò Evendil.
‹Il “Frutto della giovinezza”? ›
Un bordello.
«Ehi! Ti ho già detto che non mi interessano le prostitute!» si arrabbiò il ragazzo con l’elfo.
«Vedrai che qualcuna potrebbe anche cogliere la tua attenzione.» rispose Orrin.
I tre entrarono, e furono accolte dalla più grande quantità di giovani donne mezze nude che Siirist avesse mai visto.
«Sono tutte della Gilda, e non fanno sesso a pagamento con gli altri affiliati. Per cui se ti va di provarci, non sarà prostituzione.» rise Orrin, osservando la reazione di Evendil.
«Ah, ma allora questo cambia tutto!» si rallegrò Siirist.
«Senti tu...!» iniziò Evendil, ma fu interrotto dal ladro.
«Ragazze, intrattenete il nostro Evendil, io e Siirist abbiamo di cui discutere.»
«Ma...!»
«No, non portarmi via! Voglio godermi la scena!» disse Siirist ad Orrin.
Mentre, controvoglia, il ragazzo seguiva il ladro, lanciò sempre occhiate verso Evendil, ridendo di gusto nel vederlo imbarazzato in mezzo a tutte le donne.
«Ma, dimmi un po’, è frocio?» chiese Siirist preoccupato, principalmente per sé.
«No. Tempo fa ha avuto un’importante storia sentimentale, ma non è finita bene, e da allora non si è più innamorato. Oltre a questo, non è mai stato molto aperto rispetto ai rapporti sessuali al di fuori di una coppia.»
«È stato bidonato?! Non mi sorprende!» rise Siirist.
«No, è morta.» rispose tranquillo Orrin.
«Oh...» Siirist abbassò lo sguardo pieno di vergogna.
Il ladro condusse il giovane al piano superiore, dove lo fece accomodare in una stanza.
«Dunque, venendo a noi. Tu sei stato scelto per entrare nella Gilda dei Ladri ed hai ricevuto l’invito ufficiale. Avresti dovuto incontrare uno dei Doyen tra poco più di una settimana, ma si dia il caso che sei il prescelto di un drago, per cui hai dovuto lasciare Skingrad per andare a Vroengard. Poiché sai molti dei nostri segreti e non sei un affiliato, la prassi sarebbe di ucciderti, – Siirist strabuzzò gli occhi. – ma poiché stai per diventare un Cavaliere, puoi anche rimanere in vita senza essere un ladro. A maggior ragione perché sei il futuro Cavaliere d’Inferno.» puntualizzò Orrin.
Siirist non sapeva che dire, per cui annuì solamente, ma di certo era felice di non dover seguire la prassi.
«Ma Elric mi ha assicurato, così come tutti gli altri membri siti a Skingrad, che sei un ladro dalle ottime capacità, per cui sarebbe uno spreco non averti fra noi. Per questo ti dico che, sebbene tu non sia più obbligato ad entrare a far parte della Gilda, l’invito è ancora valido. Vuoi affrontare la prova?»
«Naturalmente, ma non certo fra una settimana e più! Sarò già a Vroengard per allora.»
«Infatti con te è stata fatta un’eccezione, e ti proporrò io stesso un esame. Se riuscissi a superarlo, saresti ufficialmente un membro della Gilda. E la prova si terrà questa notte. Accetti?»
«Assolutamente.» rispose deciso Siirist.
 

 

 

~

 

 

 

Bene, come vedete, ho aggiornato più in fretta. Un po’ corto e frettoloso, ne sono consapevole, ma dopo tutto il tempo che non ho scritto e pubblicato, ho ancora più voglia di arrivare alla parte interessante, cioè da Vroengard in poi.

 

Ringraziamenti:

 

xevel: scusa se non ti ho ringraziato nello scorso capitolo, ma non mi ero accorto di avere una recensione nuova sul Prologo. Ma perché la gente commenta sul primo capitolo? Se hai letto tutta la storia, commenta l’ultimo capitolo, no? Comunque ti ringrazio moltissimo, sono felice che la mia idea sia piaciuta. Spero di non averti deluso e di ritrovarti!

 

Bankotsu: il mio sostenitore più fedele! dunque, sono più che felice che tu abbia colto il rapporto “simil-Scribs”, poiché una frase di Evendil una volta è stata una citazione di Cox, ovviamente riadattata (“Intendi stare a poltrire tutto il giorno, oppure vieni ad allenarti con la spada? Perché l’unico modo in cui potresti essere meno operativo sarebbe se fossi il letto su cui sei seduto; ma è anche vero che in quel caso ti renderesti utile in una qualche maniera, siccome saresti l’appoggino di un sedere pigro.”). Voglio precisare che questo misterioso potere di Siirist non è che faccia accadere qualunque cosa solo con la forza della volontà, e visto che ne ho parlato, voglio dire che sono molto deluso dal fatto che questo potere sia stato così tanto una sorpresa, insomma è da quando è successo che scrivo che Siirist si chiede cosa fosse stato, Evendil pensa “Ma non sarà...?” eccetera! Ovviamente il nome non è ancora stato rivelato, ma chi conosce One Piece dovrebbe aver già capito di cosa si tratta. Il nome verrà detto dal tuo secondo personaggio preferito nella scena “molto amara”, quella drastica per la vita di Siirist durante il suo quarto anno di addestramento. Hai capito, no? E già che ci sono, voglio dire a tutti i lettori (o almeno quelli che recensiscono, gli altri possono anche essersene accorti e non aver detto niente) che sono molto deluso per un’altra cosa: ma il titolo della storia non conta nulla? C’è un dettaglio molto importante nella scena dell’arrivo di Siirist ed Evendil al castello di Kvatch. Tornando alla risposta a Bankotsu, non preoccuparti assolutamente per il cambio di font. Certo, l’altro era più bello, ma non è certo un problema! E grazie mille ancora per l’html!

 

Angelickall: no, no e no! Puntualizziamo che quello NON era un lupo mannaro! I licantropi si vedranno più avanti e sono demoni su un livello totalmente diversi rispetto al grem! Diciamo che se Siirist avesse affrontato un licantropo, la storia sarebbe finita lì, e non c’è potere che tiene! Certo, se lo sapesse controllare non avrebbe problemi, ma durante lo scontro ho evidenziato l’inferiorità di Siirist rispetto al demone, anche se questi era debole, e il ragazzo ha vinto solo per pura fortuna. Un licantropo l’avrebbe guardato e dopo mezzo secondo squartato in due. Per essere precisi, i licantropi sono demoni di classe A. Come avrai visto da questo capitolo, Siirist avrà la possibilità di “divertirsi” ancora eccome! Poi sì, sarà l’ultima per moooolto tempo!

 

 

Alla prossima con IL SEGRETO DEL CONTE, e recensite in tanti, mi raccomando!

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** IL SEGRETO DEL CONTE ***


Il Segreto del Conte

IL SEGRETO DEL CONTE

 

Orrin e Siirist si trovavano in una stanza al primo piano del bordello “Frutto della giovinezza”, seduti entrambi su sedie di legno rivestite di velluto e separati da un tavolo di ciliegio intarsiato. Il ladro era stato a fissare il ragazzo con un sorrisetto soddisfatto, rassicurato alla risposta di Siirist, e si alzò, le mani dietro la schiena. Incominciò a camminare per l’ambiente, mentre Siirist continuava a guardare in avanti, non avendo voglia di girarsi per seguire l’uomo con lo sguardo.
«La prova consiste nel penetrare nel castello e trovare e documentare prove che possano incriminare il conte come mercante di olio di Seithr illegale. Sai di cosa sto parlando?»
«So cosa sia l’olio di Seithr, ne ho trovato spesso alcuni flaconi nella gioielleria di Skingrad, ma non sapevo che fosse illegale.»
«Ah, certo. Tu conosci la versione comune, che come ben sai serve ai gioiellieri per far splendere meglio le loro gemme. È molto raro e costoso di suo, non sapevo che ce ne fosse a Skingrad. Evidentemente i commercianti sono più ricchi di quanto pensassimo, dovrò informare i miei colleghi stanziati lì di stare più attenti. Ma tornando a noi, ne esiste una diversa varietà, che è appunto illegale. Devi sapere che l’olio di Seithr ha una peculiarità che nessun altro liquido ha: facendolo passare attraverso numerosi e precisi processi alchemici, si ottiene un acido corrosivo senza eguali. Al minimo contatto con qualunque materiale organico, lo scioglie come neve sotto il sole estivo.»
«Non trovo nulla di strano, esistono molti materiali capaci di farlo.» puntualizzò Siirist.
«Hai ragione, ma l’olio di Seithr illegale è particolare, poiché corrode solamente gli oggetti organici. Può essere tenuto in normali contenitori di metallo o legno, ed essere usato all’occorrenza. Molti assassini lo usano per impregnare le loro lame, poiché non le tange, ma poi basterebbe un graffio da una di esse per essere morti in poco tempo, a meno che non si viene curati magicamente.»
«Utile.» commentò Siirist.
«Non pensarci nemmeno, è una morte atroce.»
«Non meno di essere bruciati vivi da un incantesimo di fuoco.»
«Questo è vero. Ma in ogni caso, l’olio di Seithr “modificato” è illegale, perciò se il conte Umbranox lo sta trafficando, va arrestato.»
«Tu sei stanziato al castello, potresti anche farlo tu.»
«Non posso perché il Umbranox sospetta di me, per cui devo dare il meno possibile nell’occhio. E poi è la tua possibilità per entrare nella Gilda.»
«Non ha un Cavaliere come guardia del corpo? Dovrebbe essersene accorto.»
«È sparito nemmeno un mese fa assieme al suo drago. Il Consiglio dell’Ordine è furioso, ci sta con il fiato sul collo, vuole assolutamente che scopriamo se c’è effettivamente il conte dietro a ciò.»
«Lo vogliono giustiziare?»
«Peggio. L’assassinio di un Cavaliere è fra i reati più grandi che ci siano. Non so cosa succede a chi lo commette, ma se ne occupa il Consiglio. Presumo sia qualcosa di terribile.»
«Ma come possono aver ucciso un Cavaliere? Nessun umano sarebbe abbastanza forte da farlo!»
«Non bisogna essere per forza forti quando si agisce a tradimento nell’ombra.»
Siirist annuì.
«Allora, sei pronto?»
«Come dovrei fare ad entrare nel castello?»
«Ho qui la planimetria del castello.»
Orrin prese un grande foglio arrotolato e lo distese sul tavolo. Siirist ci si chinò sopra, osservandolo minuziosamente.
«Senza farmi scoprire, ho esplorato tutto il castello, sotterranei compresi, ma non ho trovato nessuna traccia dell’olio. Se il traffico è così grande come crediamo, deve essercene una quantità spropositata che difficilmente passerebbe inosservata. Deve esserci per forza una stanza segreta che non conosco.»
Siirist guardò Orrin, lo sguardo che diceva che stava pensando a qualcosa.
«È un vecchio castello, sicuramente ci sono dei passaggi segreti, che magari si aprono tutti nello stesso modo. Ad esempio nel castello di Skingrad ho scoperto due cunicoli, ma forse ce ne sono anche di più, che si aprono tirando una torcia appesa alla parete.»
Il fabbro rimase di stucco alle parole del ragazzo: nemmeno i suoi compagni ladri avevano mai scoperto niente del genere! Siirist era veramente un portento che andava reclutato.
«Sì, conosco un passaggio segreto nel castello di Anvil, si trova nella cantina. L’ho scoperto perché la cantina è adiacente alla mia fucina.»
«E come sei apre?»
«Tirando una colonnina.»
«Perfetto.»
«Ora che ci penso, il Cavaliere mi ha detto che forse aveva trovato qualcosa. Stava indagando nei pressi della cucina, quando è scomparso.»
«Potrebbe essere un indizio. Proverò a tirare tutte le colonnine che trovo nella cucina e nella sala da pranzo.»
«Spero avrai successo, Siirist.»
«Anche io. Non voglio certo morire ora che sto per diventare famoso!» esclamò il ragazzo.
«Lasciamo perdere... Su, ora vieni a mangiare, dopodiché hai bisogno di prepararti.»
«Lo so da solo, grazie.»
Orrin si alzò ed uscì dalla stanza, seguito da Siirist, per poi ritornare al primo piano, dove trovarono uno spettacolo imprevisto: Evendil stava tranquillamente seduto a leggere un libro, mentre tutte le prostitute dormivano.
«Ma che...?» fece Siirist.
Evendil alzò gli occhi dalla sua lettura.
«L’ho trovato di là, molto interessante.» l’elfo indicò un’altra stanza, probabilmente la biblioteca.
«Ma cosa hai fatto?» chiese Orrin sorpreso.
«Le ho addormentate. Continuavano a tormentarmi, così le ho fatte calmare un po’.»
«Ma tu sei tutto scemo! Hai idea di cosa avresti potuto combinare con tutti questi doni di Deraia?!» proruppe Siirist incredulo.
«Si dia il caso, che io non sono un porco maniaco come te.» rispose secco il dunmer.
«Porco...?! Sì, è vero.» ammise Siirist.
Orrin ora era anche più allibito: assistere ai battibecchi di quei due era fuori dal mondo.
«Ti spiacerebbe svegliarle? È ora di cena.» disse poi.
«Certo, nessun problema.»
Ad uno schiocco di dita dell’elfo, tutte le donne si svegliarono. Confuse si alzarono, per poi ricordare, chi prima chi dopo, perché erano finite a terra, per cui si accanirono su Evendil furiose.
«Smettetela. Andate a preparare la cena, piuttosto, che Siirist ha un compito importante da svolgere questa notte.» ordinò Orrin.
Indispettite, le donne obbedirono, per poi subito dirigersi verso la cucina. Alcune, passandogli accanto, ridacchiarono guardando Siirist, lanciandogli occhiate equivoche. Un gigantesco sorriso compiaciuto gli solcò il viso.
«Non vedo l’ora di vederti a Vroengard.» sospirò Evendil.
«Ti odio.» Siirist lo guardò storto.
 
Arrivarono le undici, e Siirist iniziò a prepararsi per il suo esame, facendo il suo solito riscaldamento pre-rapina.
«Indossa questi, dovrebbero starti come misura.»
Orrin porse dei vestiti a Siirist, che li prese e li esaminò. Un paio di pantaloni, di stivali e di guanti, una maglietta ed una maschera che faceva intravedere solo gli occhi, il tutto completamente nero.
«È un po’ duro, non so se riuscirò ad essere abbastanza flessibile.» commentò poco sicuro Siirist.
Evendil si avvicinò incuriosito e tastò il materiale.
«Questa è pelle di drago marino, vero? Siirist, non fare il cretino e accetta, è un regalo formidabile. La pelle di drago marino ha due qualità straordinarie, che sono la resistenza contro qualunque lama ed incantesimo e la capacità di adattarsi a chi la indossa. Ora la senti dura, ma ti sembrerà una seconda pelle quando ce l’avrai addosso.» spiegò Evendil.
Orrin annuì e Siirist rimase senza parole.
«Questo è un esempio delle attrezzature speciali per le missioni di cui mi ha parlato Elric?» disse infine.
«Precisamente. Inoltre, eccoti un pugnale in mithril, e tre pozioni di invisibilità dalla durata di un minuto.»
Il ragazzo incominciò ad indossare l’armatura leggera che gli era stata fornita, e ad ogni arto che infilava, sentiva la pelle di drago marino restringersi ed aderire perfettamente al suo corpo. Il giovane era sempre più colpito dalla sensazione, e sperò che avrebbe tenuto quell’armatura anche dopo la missione.
«Come ti senti?» domandò poi Evendil.
«Bene.» rispose Siirist ammirando ancora l’armatura.
«Intendevo per l’esame.»
«Ah. Un po’ nervoso, preferirei avere i miei coltelli da lancio.»
«Non ti serviranno. Questa è una missione della massima segretezza.» rispose Orrin.
«Mi hai comunque dato un pugnale.» puntualizzò il ragazzo.
«È per le emergenze.»
«Ma Siirist non è bravo nel corpo a corpo. Per le emergenze sarebbe stato comunque meglio che avesse avuto i suoi coltelli da lancio.» disse Evendil.
Siirist annuì.
Orrin soppesò le parole dell’elfo.
«Allora ti darò qualche altra pozione. È meglio se ti porti meno armi possibile.»
Il ladro uscì dalla stanza per poi ritornare un minuto più tardi con una saccoccia.
«Qui sono contenute quattro tipologie di pozione. – ne svuotò il contenuto sul tavolo. – Tra cui due sonniferi, due accecanti, due fumogene e due corrosive. Per usare i sonniferi, basta far cadere una goccia sulla pelle del bersaglio, e questo si addormenterà per un periodo variabile tra i cinque ed i trenta minuti. Le accecanti e le fumogene, come suppongo saprai, basta buttarle a terra che si infrangeranno; le accecanti emetteranno una fortissima luce, per cui ti consiglio di coprirti gli occhi, mentre le fumogene emetteranno del denso fumo nero, una per la durata di dieci secondi, l’altra per un minuto. Le pozioni corrosive hanno effetto solo sul metallo e basta una goccia per scogliere qualunque lega di fattura umana o nanica che non sia incantata. E le guardie del castello non hanno niente di incantato, quindi vai tranquillo. Come puoi vedere, – Orrin rimosse il tappo sia ad un sonnifero che ad una corrosiva. – entrambe hanno il contagocce, che però può facilmente essere rimosso, se serve.»
Siirist osservò tutte le pozioni: quelle di invisibilità erano di colore blu scuro, le accecanti bianco, i sonniferi verde, le fumogene grigio scuro, le corrosive giallo. Le rimise tutte nella saccoccia e la assicurò alla cintura nella parte posteriore, sul lato destro. Il fodero del pugnale, invece, sul lato sinistro, con l’impugnatura che leggermente sporgeva dal fianco.
«Così puoi facilmente impugnarlo, bravo.» osservò Orrin.
Siirist annuì.
«Ti ricordi bene il piano?» chiese ancora il ladro.
«Certo.»
«Allora adesso dobbiamo solo aspettare.»
 
Arrivarono le una e Orrin si alzò dalla poltrona dove si era seduto, per poi richiamare Siirist al dovere. Il ragazzo lo guardò ed annuì, appoggiando sul tavolo la mela che stava mangiando.
«Ricorda di tenere ben chiusa la mente, ma di lasciare aperto uno spiraglio per tenerti in costante contatto con me, così che possa intervenire nel caso sia necessario.» si assicurò Evendil.
«Ma il mago di corte potrebbe percepirlo.»
«Stai tranquillo, non potrà. Mi assicurerò io che sia permessa la comunicazione solo tra le nostre due menti. Sarà più o meno come quando avrai il tuo drago.»
Siirist tremò di eccitazione all’idea.
«Non aspetti altro, vero?»
«No, voglio proprio che nasca!»
«Allora sbrigati a superare questo esame, così domani potremo partire per Vroengard.
Futuro Cavaliere e ladro uscirono dal bordello per andare nel cortile posteriore. Proprio davanti a sé, Siirist vide il tempio e pensò quanto fosse ironico che proprio accanto al tempio di Tenma, dio della guerra, ci fosse un tempio dell’amore.
‹Sarebbe più adeguato il tempio di Deraia.›
Nascosti dalle ombre, i due si infilarono uno per volta nel pozzo, scendendo una scala a pioli nascosta, fino ad arrivare all’acqua. A quel punto, Orrin prese un profondo respiro e si immerse, imitato poi da Siirist. Il ladro illuminò la strada con il suo anello, che aveva iniziato a risplendere, ed i due entrarono in un cunicolo sotterraneo, per poi incontrare poco dopo una porta. Orrin puntò i piedi sul fondale e la aprì, illuminando poi una piccola stanza in cui entrambi entrarono. Siirist stava per soffocare, sentiva i suoi polmoni bruciare, aveva bisogno di ossigeno. Gesticolò al ladro per fargli capire di sbrigarsi, ma questi rispose di non mettergli fretta. Richiuse la porta e ne aprì una seconda sul fondo della stanza. Subito il livello dell’acqua calò e Siirist si ritrovò in ginocchio a terra a boccheggiare. Fu allora che la pelle di drago mostrò la sua prima “abilità”, si asciugò immediatamente, ma Siirist era troppo affaticato per accorgersene.
«Non abbiamo tutta la notte, riprenditi in fretta.»
Siirist si annotò mentalmente di doversi allenare a trattenere il fiato e che avrebbe fatto arrostire il fondoschiena anche ad Orrin, una volta che il drago fosse nato. Evendil rise.
Quando finalmente l’ossigeno aveva ricominciato a circolare per il corpo, Siirist si rialzò ed Orrin, senza aggiungere altro, si incamminò, sempre mostrando la via con il suo anello. Il tunnel che i due stavano percorrendo era molto lungo, arrivando fuori dalle mura cittadine, ma dopo un centinaio di metri, si sdoppiava; a destra si arrivava ad un’uscita segreta sotto il molo, a sinistra ad un ingresso nascosto nel castello. Fu al bivio che i due si separarono.
«Bene, ora proseguiamo con il piano. Evendil ti ha fatto vedere tutti i miei ricordi a proposito del castello, per cui ti ci dovresti saper muovere bene. Ispeziona la cucina e trova il passaggio segreto per la stanza dove Umbranox tiene l’olio; se non fosse lì il passaggio, allora tenta con la sala da pranzo, ma comunque tenta prima nella cucina. Buona fortuna, mio giovane ladro.»
Siirist sorrise e strinse la mano che gli veniva tesa, per poi correre rapidamente lungo la galleria mancina.
Percorsi oltre cento metri, Siirist arrivò alla porta, dove si fermò di colpo. Riprese fiato ed attese qualche buona manciata di secondi, per poi iniziare dei lunghi esercizi di respirazione atti a migliorare il suo immagazzinamento d’aria. Dopo qualche minuto, nel modo più lento e misurato che gli era possibile, il ragazzo aprì la porta per poi subito richiuderla alle spalle. Ora Siirist aveva davanti a sé la seconda porta. Inspirò profondamente svariate volte per poi aprirla in fretta. Fu inondato dall’acqua che lo spinse contro la prima porta, ma una volta che la stanza di passaggio fu piena, riuscì a nuotarci dentro perfettamente. Uscì e richiuse la porta, per poi attivare un interruttore alla sua sinistra, che accese una seria di lampade che gli illuminarono il percorso. Siirist nuotò per un ventina di metri per poi arrivare ad una botola, accanto alla quale si trovava un altro interruttore. Già il ragazzo iniziava a sentire la mancanza di ossigeno, ma si sforzò di resistere. Afferrò la maniglia della botola e la girò, ma prima di aprire spense tutte le luci. A quel punto, il più silenziosamente possibile, aprì per poi subito scalciare fuori dalla grotta. Con i polmoni che bruciavano, richiuse il passaggio e nuotò su il più velocemente possibile lungo il pozzo, ma quando arrivò nei pressi della superficie, dovette decelerare, altrimenti avrebbe fatto troppo rumore. Così, con i muscoli che quasi non riuscivano più a contrarsi, affiorò lentamente, per poi prendere tante piccole boccate d’aria. Avrebbe voluto prenderne una grande, la più grande della sua vita, ma avrebbe rimbombato nel pozzo e sicuramente attratto le guardie.
Evendil quasi rise nel constatare quanto anche le faccende più semplici fossero difficili per un essere privo di capacità magiche.
‹Invece che ridere avresti potuto lanciarmi contro un incantesimo che mi permettesse di respirare sott’acqua!›
‹Se l’avessi fatto, avresti fallito l’esame.›
‹I ladri non possono usare la magia?›
‹Certo, ti ricordo che ci sono anche dei Cavalieri nella Gilda dei Ladri, ma ricorrono comunque alle proprie capacità. Se poi si trattasse di una missione di gruppo, i ladri non maghi potrebbero sempre approfittare degli incantesimi di eventuali maghi presenti, ma questo esame è personale, devi superarlo con le tue sole forze.›
‹Allora perché abbiamo aperto questo legame mentale tra noi due?›
‹Così che se tu fossi in pericolo, potrei intervenire. Preferirei vederti fallire l’esame di ammissione alla Gilda dei Ladri che morire.›
‹Mi pare giusto.›
‹Ora sbrigati; Orrin è quasi in posizione, se aspetti ancora rischi di perdere il momento propizio.›
‹Avevo bisogno di recuperare fiato. Stavo per affogare, ti ricordo.›
Il ragazzo guardò in alto e vide la luce lunare entrare dall’ingresso del pozzo, circa venti metri sopra di lui. Sfruttando alcune insenature nel cilindro di mattoni, il giovane incominciò la sua scalata, fino ad arrivare a tre metri dall’uscita, dove attese pazientemente.
‹Inizio a stancarmi, quanto ancora mi farà aspettare quel vecchio?›
‹Starà sicuramente tardando appositamente.›
‹E per quale ragione dovrebbe farlo?›
L’immagine del suo bellissimo Inferno rosso che staccava a morsi gli arti di Orrin uno ad uno si faceva sempre più viva e sicura nella mente del futuro Cavaliere.
‹Ci sono due possibilità: o dubita delle tue capacità, per cui ti sta dando più tempo, o ha calcolato che saresti stato appeso a quel muro come un coglione e vuole testare la tua resistenza.›
‹Come un coglione...?› un nervo facciale di Siirist scattò, facendo tremare la bocca ed il sopracciglio sinistro.
‹Più o meno è quello che vedo.›
‹Aspetta, tu mi vedi?!› Siirist era sbigottito.
‹Stiamo mantenendo un contatto telepatico, per cui il mio occhio mentale ti sta visualizzando. Credi davvero che se dovessi intervenire aspetterei che fossi tu a dirmi che sei in pericolo? Avverto tutto ciò che ti circonda come se fossi lì. Probabilmente sarei lì a salvarti prima ancora che il pericolo ti raggiunga.›
‹Quindi sai quante guardie ci sono qui intorno e dove sono?› il ragazzo iniziava ad alterarsi.
‹Sì.› la voce di Evendil assunse una nota di divertimento.
‹E non me lo dirai.› sempre di più.
‹Naturalmente.› impennò in un crescendo.
‹E magari sai anche per quale delle due ragioni Orrin sta tardando.› trovava incredibile quanto Evendil potesse farlo innervosire.
‹Anche questo è scontato.› sorrideva a trentadue denti.
‹E non me lo dirai.› ora reprimeva a stento la sua rabbia.
‹C’è bisogno di conferme?› se avesse potuto, lo avrebbe fatto a sessantaquattro.
Siirist era ora certo che non avrebbe mai permesso al suo drago di arrostire Evendil: lo avrebbe preso lui stesso a bastonate.
‹Ti odio.› mugugnò.
‹Anche io ti voglio bene.› rispose con tono affettuoso.
Com’era fastidioso! Falso fino al midollo! Ma Siirist si rese conto che quel bastardo elfico lo stava solo distraendo dalla sua missione, per cui lo mandò a quel paese e riprese la sua concentrazione.
Fu in quel momento che il ragazzo sentì una forte esplosione ed il cielo si colorò.
«Ehi, cosa è stato?!»
«Proviene dall’isola! Forza, muoversi!»
Gli urli che provenivano da fuori il pozzo si fecero sempre più forti e numerosi, seguiti dal suono di persone in corsa. Il ragazzo trasse un profondo respiro e salì i metri mancanti. Affacciandosi appena vide le guardie correre verso il cancello principale delle mura ed uscire: la distrazione di Orrin aveva avuto successo.
‹Bei fuochi, però!› commentò il ragazzo.
‹Muoviti!› intimò arrabbiato l’elfo.
‹Vado!› rispose Siirist, quasi spaventato.
Mentre la raffica di fuochi d’artificio illuminava di vari colori il cielo notturno, Siirist, come un’ombra, percorse il cortile fino al portone della reggia. Lo aprì appena, quanto fosse necessario per scivolare dentro.
‹È proprio come ha detto Orrin, ci sono poche guardie. A Skingrad e a Kvatch ci sono almeno due soldati una volta entrati nel portone. Si vede che Umbranox ha qualcosa da nascondere, se tiene così poche persone nel suo palazzo.›
L’interno della residenza del conte di Anvil si presentava con mura bianche e tappeti rossi. Una rampa discendente di dieci gradini collegava il portone al pavimento e proprio davanti, a due metri di distanza, vi era una parete in cui si apriva un arco che conduceva alla sala del trono. I due troni di conte e contessa al centro, con ai lati due colonne che sostenevano il pianerottolo su cui si apriva la porta che conduceva alle sale private, il quale si raggiungeva da due scalinate accanto alle due colonne. In fondo a sinistra, accanto alla parete da dove era arrivato il ragazzo, vi era una porta che si apriva sulla sala da pranzo.
‹Là.›
Indisturbato, Siirist corse silenzioso verso la porta e la sfessurò, spiando all’interno. Non vedendo nessuno, il ragazzo avanzò nella stanza, raggiungendo poi l’angolo opposto, in alto a sinistra, dove si apriva la porta che conduceva alle stanze della servitù e alla cucina. Correndo il rischio di incontrare qualche servo ancora sveglio, Siirist procedette il più attentamente possibile, confondendosi con le tenebre, fino a che non percorse tutto il corridoio ed arrivò alla porta della cucina. Dietro di essa si apriva una grande stanza, dotata di una decina di camini e numerosi tavoli con attrezzi per la cucina. Entrato, Siirist iniziò ad esaminare tutte le colonnine sulle pareti, ma nessuna accennava a muoversi.
Passò dieci minuti prima che il suo controllo fosse concluso, e quando stava per demoralizzarsi, notò una quasi invisibile porta nascosta nel buio. Ci si avvicinò e la aprì, trovando la dispensa. Nella stanza tutto era accatastato nel lato di destra, lasciando libera una grande porzione di parete a sinistra, da dove uscivano due colonnine. Siirist si illuminò. Richiuse la porta dietro di sé ed avvicinò trepidante la mano alla colonnina di sinistra. La tirò e sentì che seguì il movimento del suo braccio, facendo poi scomparire una parte del muro nel pavimento.
‹Alla faccia della Gilda e di tutti i ladri!›
‹Sì, sei bravo, lo sappiamo, ora muoviti ed entra!›
Sempre più infastidito dai soliti e non richiesti commenti di Evendil, Siirist entrò nel passaggio segreto, poi richiudendo la parete. Si trovava ora in un corridoio buio, molto umido.
‹Cazzo, non vedo niente.› imprecò il ragazzo.
‹Poveri umani senza magia...›
‹La vuoi smettere?!›
Il ragazzo iniziò la sua avanzata molto lentamente, la sinistra appoggiata alla parete. Percorse almeno cinquanta metri, incontrando due angoli, fino a che sentì delle voci. Si paralizzò, tutti i sensi all’erta. Due uomini si stavano avvicinando alla sua posizione, ma non provenivano dall’ingresso segreto che aveva utilizzato lui.
‹Quindi c’è un altro passaggio segreto. Dopo devo scoprire dove conduce.›
‹No, pensa a trovare l’olio! Non metterti in pericoli non necessari!›
‹Stai zitto.›
E fece ciò che Evendil temeva di più: scisse il loro legame mentale.
 
‹Merda! Che idiota...!› Evendil scattò in piedi in ansia.
 
‹Bene, ora finalmente potrò fare a modo mio.›
La destra di Siirist andò ad aprire la sua saccoccia e ad afferrare la prima pozione sulla destra, una dell’invisibilità. Come sentì che i passi si facevano sempre più vicini e vide il leggero chiarore creato dalla fiaccola di uno degli uomini, il ragazzo estrasse la pozione e la ingoiò in un fiato. immediatamente il suo corpo incominciò a svanire. Era una sensazione strana avvertire il proprio corpo ma non poterlo vedere. Rischiava sempre di andare a sbattere contro qualcosa, non rendendosi bene conto dello spazio che occupava. Se Siirist non avesse già in passato provato quella sensazione, si sarebbe certamente disorientato. Ma era oramai la quarta volta che diventava invisibile, per non parlare della volta precedente, cioè quando rapinò villa Vaan: muoversi al buio tra tutta quella mobilia e con la refurtiva era certamente più difficile che farlo in un corridoio vuoto illuminato da una fiaccola.
I due uomini avevano oramai svoltato l’angolo e Siirist li poté vedere: il primo che portava la torcia nella sinistra era più alto, equipaggiato con armatura e spada; il secondo era vestito elegantemente, agghindato con numerosi gioielli ed aveva un portamento regale.
‹Deve essere il conte Umbranox.›
Quando la luce della fiamma illuminò tutta l’area in cui si trovava, Siirist poté vedere che era giunto ad un bivio: la strada a sinistra era discendente, mentre quella a destra puntava verso l’alto, ed i due erano giunti proprio da lì, ed erano diretti verso la prima. Oltrepassarono il giovane e continuarono la loro discesa. Siirist, silenzioso come un leone in agguato, li seguì mantenendo una certa distanza, tenendo sempre a mente il tempo rimanente allo scadere dell’effetto della pozione.
Le varie rampe di scale scendevano sempre di più e l’umidità si faceva sempre più pesante, fino a che non apparve una porta di legno. Umbranox prese una chiave dalla tasca e la infilò nella toppa, sbloccandola.
‹36, 35... Deve essere lì che nasconde l’olio... 32...›
I due entrarono e si chiusero dietro la porta.
‹Merda! E ora?›
Il ragazzo corse silenziosamente verso l’ingresso alla stanza nascosta. Ora era completamente buio, ma aveva ben memorizzato la distanza dalla porta, per cui non ebbe problemi a muoversi anche senza poter vedere. Accostando l’orecchio alla porta sentì i passi dei due rimbombare, ma notò che si allontanavano sempre più.
‹26, 25... Ora o mai più!›
Lentamente il ragazzo aprì la porta e la oltrepassò, per poi richiudersela alle spalle. La stanza dove si trovò poi colpì enormemente il ragazzo. Principalmente perché non era una stanza. Si trovava in una enorme grotta naturale, estremamente umida, illuminata da numerose fiaccole e piena di casse. Al centro si trovavano il conte con la sua guardia ed altre otto persone.
‹Incredibile, sto assistendo ad una vendita di olio!›
Siirist si nascose in una delle zone d’ombra, dietro ad una cassa, per assistere allo svolgimento degli eventi, mentre l’effetto della pozione si esauriva.
«Eccoti qui, Umbranox, 1250 monete d’oro.»
Colui che doveva essere il capo del compratori, fece un cenno della mano e gli altri portarono due forzieri ed un grande numero di sacchi. A Siirist stava per cadere la mandibola: 1250000 guil?!
«Non so proprio a cosa vi servano così tante fiale di olio alterato.» rispose Umbranox compiaciuto.
«Sai a cosa ci servono.»
«Certo, ma mi sembrano tante anche per il vostro scopo.»
«Il nostro signore ci ha ordinato di prendere 2500 fiale e così abbiamo fatto.»
«Il demone o l’altro?» chiese curioso il conte.
«Il demone. L’Architetto ha di meglio da fare che stare ad occuparsi dell’armamento delle truppe.»
«Siete diventati molti, immagino, se vi serve così tanto olio.»
«Precisamente.»
«E che razze comprendono le vostre file?»
«Non vedo come possano interessarti questi dettagli.»
«Perché sono un vostro alleato. Vi sto aiutando enormemente con questo traffico di olio alterato.»
«Ma mi pare tu ci stia guadagnando adeguatamente. Senza contare che quando quel Cavaliere ha iniziato ad indagare più del dovuto, sei venuto in piangente e tremante da noi a pregarci di eliminarlo.» lo prese in giro.
«Ma era anche nel vostro interesse. – il conte non colse la provocazione – E non dimenticare che il vostro “Architetto” mi ha promesso il governo di tutta Spira, una volta che avrete portato a termine i vostri piani. Questo vuol dire che sarai un mio servitore. Ora dimmi che tipo di forze contano le fila della Setta degli Scorpioni.»
Il suo interlocutore guardò bieco il conte, per poi sbuffare e rispondere.
«Siamo per la maggior parte umani e demoni di basso livello. Ma ci sono anche molti elfi oscuri e spettri. E naturalmente il nostro signore e il grande Architetto.»
«So che il vostro “signore” è un demone alato, ma cos’è l’Architetto?»
«Nessuno lo sa tranne il nostro signore. E in futuro ricorda la tua posizione, non osare più pretendere niente da me.» disse deciso il capo dei compratori.
«Prendi il tuo olio e vattene.» rispose ancora più duro il conte.
«Prima vorrei fare un nuovo ordine.»
«Quante?»
«Altre mille.»
«Non potrò averle almeno fino al mese prossimo.»
«Va benissimo, fammi sapere quando le avrai.»
«Naturalmente.»
Gli altri membri della Setta dello Scorpione avevano finito di caricare le dieci casse di fiale sulla loro barca, e quando furono raggiunti dal comandante, si immersero in acqua e la spinsero fuori da una spaccatura nella parete rocciosa.
Siirist era allibito. Aveva assistito ad una conversazione estremamente preoccupante. Doveva farlo subito sapere ad Evendil. Aprì leggermente la sua mente per cercare quella dell’elfo, ma accadde un imprevisto.
«Umbranox! C’è una spia nella grotta! Non farlo scappare!» urlò il capo del compratori.

 

 

 

 

 

 

~

 

 

 

E ecco qui!

 

Ringraziamenti:

 

1)  Bankotsu. Eccoti qui un piccolo assaggio di cosa sia la Setta dello Scorpione. Chi sia il demone alato lo sai bene, mentre questo Architetto è ovviamente un personaggio nuovo, ma è quello a cui ti ho accennato nella mail. Devo dire che i tuoi commenti sono sempre i più belli da leggere perché mi fai sempre ridere in qualche modo: “ [...] sarò o molto indottrinato sull'elfico o ragionevolmente sbronzo.” XDXDXD

2)  xevel. Ah... il fatto è che ho trovato la tua recensione tra quelle del Prologo, ma poiché hai detto che ti piace la storia, ho dedotto che fosse impossibile fare un commento simile senza aver letto niente. E poi mi è capitato altre volte di trovare commenti sul primo capitolo. Per il cucciolo c’è da aspettare ancora poco, tranquillo!

3)  Angelickall. Grazie mille anche a te. Oltre a questo non so che dirti, non vedo niente che richieda una risposta nel tuo commento, ma comunque ci tengo a ringraziarti per aver recensito.

 

 

Il prossimo capitolo si intitola MEMBRO DELLA GILDA.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** MEMBRO DELLA GILDA ***


Membro Della Gilda

MEMBRO DELLA GILDA

 

‹Ups...›
Rapidamente il ragazzo richiuse la mente e si fece tutt’uno con il buio.
«Dove si trova?!» chiese agitato il conte.
«Da qualche parte in quella zona. Non sono riuscito a restare abbastanza nella sua mente per trovare l’ubicazione esatta. Mi ha respinto molto in fretta, deve essere molto abile con la mente. Ma di fronte a me nessuna zona d’ombra è un luogo sicuro. Voi state tutti fermi, ci penso io.»
‹Che vuole dire?›
Siirist osservò con terrore l’ombra dell’uomo animarsi e scivolare lentamente sul pavimento di roccia, diretto verso il punto in cui era nascosto lui. Quello era un mago. E lui doveva scappare. Subito.
Ma aveva bisogno di alcune prove tangibili oltre ai suoi ricordi, per cui aprì la cassa che aveva davanti e ne osservò il contenuto. Trovò una fiala e la prese, mettendosela poi nella saccoccia.
‹E ora è il momento di scappare.›
Rapidamente scorse le sue possibilità di fuga: vi erano due uscite dalla grotta, una che dava sull’acqua, l’altra era la porta che aveva utilizzato prima per entrare. Poteva bere una seconda pozione di invisibilità, ma in quel caso sarebbe stato costretto a ritornare nel castello, perché se si fosse immerso nell’acqua, avrebbe rivelato la sua presenza, perché anche se invisibile, avrebbe creato un vuoto d’acqua. Ma la porta era tenuta sotto controllo da conte e dalla sua guardia, entrambi armati; non che l’uscita sul mare fosse libera, visto che i membri della Setta dello Scorpione la stavano bloccando. E intanto l’ombra del mago si muoveva sempre più verso di lui.
‹Cosa diavolo sta facendo? Merda, se fossi in contatto con Evendil, potrebbe dirmi come reagire, ma non posso rischiare di contattarlo di nuovo, quel bastardo starà sicuramente cercando la mia mente.›
«Sei bravo, i miei complimenti! Non solo riesci bene a chiudere la mente, ma sei anche in grado di celare la tua presenza.»
Cosa voleva dire? Quello non era certo il momento di interrogarsi su questioni a cui non avrebbe trovato risposta, lo avrebbe semplicemente domandato ad Evendil una volta che fosse fuggito. L’ombra del capo dei compratori era ormai ad un paio di metri dalla zona d’ombra in cui era nascosto Siirist. Questi non aveva la minima idea di cosa sarebbe successo se l’avesse raggiunta, ma era sicuro che  non erano buone notizie. Ma Siirist aveva notato che il mago era rimasto immobile con le mani congiunte da quando aveva iniziato a fare allungare la sua ombra. Il ragazzo fu colpito da questo, non aveva mai visto Evendil restare fermo nel lanciare un incantesimo. Il ragazzo sorrise: aveva trovato il punto debole del suo nemico. L’ombra era ad un metro e mezzo di distanza quando Siirist iniziò a cercare qualcosa da poter tirare al mago. Silenziosamente si mosse nella sua zona di oscurità fino a quando non trovò un sasso. Facendolo saltare un paio di volte in mano ne saggiò la pesantezza, per poi prendere la mira e prepararsi a lanciare. L’ombra del mago distava solamente di una decina di centimetri dalla sua destinazione, quando il sasso lo andò a colpire sulle mani, facendole separare: la sua ombra ritornò rapidamente al proprio posto.
«Maledetto! È lì, prendetelo!»
‹Bene, proprio quello che speravo dicessi.›
Siirist utilizzò una seconda pozione di invisibilità, per poi correre verso la porta. Evitò facilmente conte e guardia per poi aprire la porta ed entrare nel passaggio.
«Ma dove è finito?!»
«Deve essersi reso invisibile, ma non ho percepito alcuna magia, per cui deve aver usato una pozione. Maledizione, la porta! Umbranox, sei un incompetente!» urlò il mago.
Siirist rise. Corse rapidamente lungo la scalinata, i suoi passi inudibili, quando arrivò al bivio, pensò un po’ su cosa fare. Conosceva bene il corridoio che aveva usato precedentemente, per cui lo avrebbe potuto percorrere facilmente anche al buio, ma i suoi inseguitori sarebbero certamente andati per lì. Inoltre sarebbe dovuto riuscire a ritornare al cortile e rientrare nel pozzo, e di certo di avrebbe messo più di un minuto, per cui la pozione avrebbe esaurito il suo effetto e avrebbe rischiato di far scoprire il passaggio segreto della Gilda dei Ladri. Orrin lo avrebbe certamente ucciso. I passi dei suoi inseguitori rivelarono che essi erano già nel corridoio. Siirist si concentrò sulla mappa del castello che Orrin gli aveva mostrato e cercò di capire dove potesse trovarsi e dove potesse condurre la strada da dove erano giunti conte e soldato la prima volta che li vide. E Siirist capì.
‹Certo, avrebbe anche senso.›
Allora riprese la sua corsa, imboccando la scale ascendenti, muovendosi però meno agilmente, poiché era buio pesto e non aveva la minima idea di come fosse strutturato il percorso. Salì varie rampe tenendo la sinistra accostata alla parete, fino a che non sbatté la faccia contro una parete.
‹Ahia!›
Sentì del sangue uscire dalla narice destra. Tastò la parete che aveva davanti fino a che non trovò due colonnine, quella a sinistra adiacente alla parete, quella a destra tirata. La spinse e la parete scomparve nel pavimento. Il ragazzo si trovò inizialmente leggermente abbagliato dalla luce che proveniva dalla stanza, una stanza sontuosamente arredata, con armadi e cassettiere, tavoli e sedie ed un letto a baldacchino su cui dormiva beatamente una donna sulla cinquantina.
‹Deve essere la contessa.›
Svelto spinse la colonnina di sinistra che ritornò al suo posto, facendo risalire la parete, per poi dirigersi verso la porta dall’altra parte della stanza. Ma un oggetto colse la sua attenzione: un portagioie sul comodino della contessa. Siirist sapeva di essere in pericolo e di doversi sbrigare, ma il suo istinto di ladro ebbe la meglio. Andò immediatamente accanto al letto ed aprì la scatoletta, trovando anelli, collane e bracciali dal valore incredibile. Sorridendo più che mai, il ragazzo la richiuse e la portò via, correndo verso la porta che dava sul terrazzo. Trovandosi all’esterno, il ragazzo fu investito dall’odore del mare e dalla serenità di quella notte.
‹Certo, se non fossi inseguito da dieci uomini che mi vogliono uccidere!›
Siirist guardò oltre il parapetto e vide proprio sotto di sé il mare. Orrin gli aveva spiegato che l’isola su cui sorgeva il castello era una montagna subacquea, molto stretta, per cui dove si vedeva il mare, voleva dire che l’acqua era profonda.
‹Speriamo bene, sembrerei molto stupido si morissi a questo punto.›
E tenendo ben stretto il portagioie della contessa, Siirist saltò. Quando toccò l’acqua con i piedi sentì una botta improvvisa, e tutto il corpo iniziò a formicolare. Affondò di qualche metro, fino a che non riuscì a riprendersi e tornare a galla. Nuotando a stile libero, si diresse verso il porto, raggiungendo il molo tre, sotto al quale si trovava il passaggio segreto per ritornare al pozzo dietro al bordello.
Prendendo bene il fiato, Siirist si immerse e andando a tastoni trovò la leva per aprire la porta. Vi entrò e rapidamente la richiuse, dopodichè aprì la seconda porta e tutta l’acqua cadde nel corridoio sotterraneo. Siirist trasse qualche respiro per poi correre sempre dritto fino ad arrivare Alla porta che lo separava dalla grotta sotto al pozzo.
 
«Come può essere stato così stupido?! Se gli succedesse qualcosa sarebbe solo colpa mia!»
«Calmati, Evendil.»
«“Calmati”?! “Calmati”?! Orrin, Siirist è il futuro Cavaliere d’Inferno! Sai cosa significa! Se dovesse morire sarebbe una perdita senza eguali! Non so nemmeno perché ho aspettato fino ad ora, io vado a prenderlo!»
«A prendere chi?»
Evendil ed Orrin si volsero di scatto verso l’ingresso del “Frutto della giovinezza” e videro il ragazzo in questione entrare con in mano una scatoletta di legno e ferro.
«Non vi potete immaginare cosa mi è successo.»
«No, ma so cosa ti sta per succedere...!»
Evendil stava per correre contro il ragazzo quando Orrin lo fermò.
«Hai trovato l’olio?»
«Trovato l’olio? Orrin, ho con me una fiala come prova ed ho anche assistito ad un discorso che rivela un complotto contro l’Impero.»
Elfo e ladro erano sbigottiti.
«Ah già, ho anche rubato il portagioie della contessa.»
«Dimmi meglio di questo complotto.» disse incerto il fabbro.
 
Dopo che Siirist ebbe raccontato tutto ciò che aveva sentito nella grotta, come era stato stupidamente scoperto e come era agilmente fuggito, Orrin ed Evendil sentivano ammirazione, e preoccupazione.
«Quindi questo “Architetto” avrebbe promesso ad Umbranox il governo dell’intera Spira? Chi si crede di essere questa “Setta dello Scorpione” da pensare di poter rovesciare l’Impero?!» esclamò il ladro.
«Hanno detto di avere tra le loro fila un demone alato.» rispose ansioso Evendil.
Orrin annuì.
«C’è anche un’altra cosa che mi preoccupa.» aggiunse Siirist.
Gli altri due lo guardarono.
«Il nome di questa organizzazione.»
«Che ha di strano? È solo il nome di un animale.» fece notare l’elfo.
«Una delle guardie del conte di Kvatch aveva un tatuaggio sul collo rappresentante uno scorpione rosso.
«Cosa?!» Evendil era visibilmente preoccupato.
«Allora Ormellius va subito messo in guardia.» esclamò Orrin.
«Sono d’accordo.»
«Allora da ora in poi la priorità della Gilda dei Ladri sarà di investigare questa “Setta dello Scorpione”. Informerò la Volpe Grigia questa sera stessa. Ma intanto abbiamo una festa da preparare.»
«Che festa?»
«Siirist ha superato l’esame. Anche se è stato scoperto, è successo solo perché ha cercato di informare te della situazione, per cui se fosse veramente stato solo, non sarebbe accaduto. Oltre a questo, non solo è riuscito a compiere la missione, si è anche procurato un bottino di tutto rispetto. Siirist Ryfon, da ora in poi sei un affiliato della Gilda dei Ladri.» annunciò Orrin.
Siirist iniziò a saltare per la gioia, urlando felice.
«Adesso non ti montare.» lo rimproverò Evendil.
«Va bene, lo prometto.»
Evendil lo guardò storto, poco convinto dall’obbedienza del ragazzo.
«Pensa bene a quello che hai detto: “Non ti montare”.»
L’elfo iniziò ad intuire dove il giovane stesse andando a parare.
«Ma non mi hai mai detto di non montare in generale! Gentili donzelle!» Siirist salì le scale quasi urlando.
Evendil era allibito.
«Ma tanto prima o poi lo ammazzo. Non mi importa se è il futuro Cavaliere d’Inferno, io lo ammazzo.» disse di getto.
«Dai, tranquillo, vuole solo rilassarsi un po’.»
«Hai idea di cosa voglia fare con quelle donne?»
«Se avesse qualche anno di più potrei immaginare, ma è ancora giovane. Suppongo sia stanco, magari vuole farsi massaggiare.»
Evendil scoppiò a ridere.
«Povero illuso! Se tu stesso hai detto che se voleva poteva provarci!»
«Ma stavo scherzando...»
«Quello è un maniaco sessuale. Credo che fra tutte le ragazze carine di Skingrad, solo due o tre non sono state a letto con lui.»
Adesso era il turno di Orrin di essere allibito.
«Ah... ecco...»
 
Arrivarono le dieci del mattino ed Evendil aprì la porta della stanza dove era andato a dormire il ragazzo. Lo trovò a terra, adagiato su comodi cuscini ed avvinghiato ad una dozzina delle prostitute del bordello. L’elfo osservò attentamente la scena, imprimendola ardentemente nella memoria così da avere un pensiero fisso per farlo arrabbiare durante il suo addestramento nello stile Juyo. Piegò il braccio destro rivolgendo il palmo verso l’alto, richiamò il Flusso vitale per poi unirlo alla sua energia interna: l’energia sopra la mano si manifestò fisicamente come una distorsione dello spazio, mentre al suo interno incominciarono a crearsi delle gocce d’acqua. Nel giro di tre secondi, una sfera d’acqua del diametro di trenta centimetri levitava sopra la mano aperta dell’elfo. A quel punto non dovette fare altro che muovere la mano perché le dita fossero rivolte verso il ragazzo e la sfera si mosse ad alta velocità, schiantandosi fragorosamente sul bersaglio. Sia Siirist che alcune delle giovani donne si svegliarono urlando, bagnati fino alle ossa. Una volta destate, le vittime dell’incantesimo guardarono verso l’uscio e videro l’elfo. Svelte, le ladre si alzarono spaventate e corsero fuori dalla stanza, alcune poco vestite, altre per niente. Evendil attese di essere solo con Siirist prima di parlare.
«L’altro giorno ti ho fatto vedere un esempio di incantesimi combinati, mostrandoti cosa succede ad unire il vento con il fuoco. Ora ti farò vedere un’altra ottima combinazione.»
Siirist iniziava ad intuire cosa stesse per succedere e non gli piacque affatto. Evendil stava puntando l’indice destro verso di lui, il quale si circondò di leggere scariche elettriche. Nemmeno un secondo passò prima che una scarica ben più grande partisse dal dito ed andasse a colpire il bersaglio, fulminandolo.
Siirist urlò per il dolore, per poi accasciarsi a terra, ma continuò ad avere degli spasmi causati da ripetute scosse.
«Come vedi, bagnando prima l’avversario e poi lanciando un incantesimo di fulmine, non solo si causano più danni con la scarica, ma si fa sì che la vittima subisca delle scariche più leggere anche con il passare del tempo.»
«Sei... un... bastardo...» ad ogni parola il ragazzo fu interrotto da uno spasmo.
«Che c’è? Ti ho solo fornito un ulteriore e validissimo insegnamento.»
«Tu... dammi solo... un anno e poi... ti spacco il culo!»
Le scosse si facevano sempre meno frequenti, ed il ragazzo, dopo una trentina di secondi, poté alzarsi, anche se ancora barcollava.
«Adesso preparati in fretta che bisogna partire. Sono già le dieci e un quarto e la nave salpa a mezzogiorno. Dobbiamo anche ritornare alla locanda a prendere tutta la nostra roba.»
L’elfo se ne andò lasciando Siirist a cercare di camminare dopo aver avuto almeno metà dei nervi del corpo fritti dal fulmine del mago. Cadde in avanti e si appoggiò allo stipite, per poi uscire dalla stanza reggendosi sempre alla parete. Quando finalmente riuscì a scendere al pian terreno, il ragazzo trovò Orrin ad aspettarlo.
«Evendil è andato alla locanda a prendere i vostri bagagli e ha detto di aspettarlo qui.»
«E chi si muove?»
«Immaginavo. Quando mi ha detto di averti fulminato non volevo credergli!»
«Pensavo lo conoscessi.» mormorò il giovane, andandosi a sedere su una poltrona.
«Sì, hai ragione!» rise ancor di più il ladro.
«Tu sei un ricettatore, vero?» chiese Siirist dopo qualche momento di silenzio.
«Sì, perché? Vuoi darmi i gioielli presi alla contessa?»
«Sì, e anche alcune delle cose rubate a Skingrad. Quando Evendil torna ti faccio vedere.»
«Benissimo.»
«E posso sapere perché il tuo anello ha la capacità di illuminare mentre il mio no?»
«Perché ho richiesto io che ce l’avesse, non è un’abilità di tutti.»
«Ho capito.»
«Vuoi fare colazione?»
«Assolutamente! Sto morendo di fame!»
«Sarai stanco dopo ieri sera, immagino.»
«Ah sicuro! Le ragazze sanno fare il loro mestiere.!»
Orrin rimase senza parole.
«Mi riferivo alla missione...» rispose poi.
«Ah...»
 
Siirist stava divorando tutto quello che Orrin gli aveva messo davanti, uova, pancetta, salsicce, pane, brioche, crostate, quando Evendil ritornò.
«Vedo che sei un maiale anche a tavola, oltre che a letto.»
Senza nemmeno distogliere lo sguardo dal cibo, il ragazzo sollevò la destra con il pollice alzato.
«Sono senza parole.»
‹Allora sta’ zitto.› i pensieri di Siirist suonarono nella mente dell’elfo.
Evendil fu così sorpreso da non riuscire a rispondere, quasi allo stesso modo di quando Siirist gli aveva detto di aver vanificato il suo incantesimo del silenzio con la semplice forza di volontà. Fu proprio in quel momento che gli tornò in mente qualcosa di cui voleva discutere con il ragazzo.
«Forza, muoviti. La nave parte tra un’ora e dieci e ho bisogno di parlarti.»
«Sto mangiando, puoi farlo sulla nave.»
Nel parlare, Siirist non aveva interrotto la sua attività divoratrice, e pezzi di tutto quello che aveva in bocca furono sputati fuori.
«Avrei preferito che me lo avessi detto telepaticamente, come prima.»
Per tutta risposta, Siirist gli sorrise spalancando le fauci. Evendil era disgustato. E stufo. Puntò il braccio sinistro verso il ragazzo per poi ritrarlo rapidamente. E Siirist, in perfetta sincronia con il braccio di Evendil, schizzò via dalla sedia per finire contro la porta, alle spalle dell’elfo.
«Ma perché devi sempre reagire così...?» chiese, quasi piangendo dalla disperazione, Siirist.
«Perché fai schifo e io solitamente mi occupo della spazzatura con la magia, per non doverla toccare.»
«Ti ricordo che verrà il giorno in cui ti restituirò tutto con gli interessi.» minacciò il futuro Cavaliere.
«Non aspetto altro.» rispose a tono l’elfo.
«Potreste gentilmente litigare fuori da qui?»
«Certo, Orrin, scusa tanto. Siirist, andiamo.»
Ma Siirist era nuovamente diretto verso il tavolo dove era precedentemente seduto.
«Non ho ancora finito.» disse semplicemente.
«Io ti ammazzo, sappi che prima o poi ti ammazzo.»
 
Alle undici e un quarto Siirist finì di mangiare, per poi alzarsi tutto contento.
«Ah, sono pieno!» esclamò massaggiandosi la pancia.
«Ci mancherebbe altro.» rispose Evendil che accarezzava l’impugnatura di Lin dur.
«Bene, Orrin, ecco qui tutti i gioielli che ho rubato nei miei anni di furti a Skingrad. E ecco pure il mio bottino del castello.»
«Molto bene. Lo valuterò e ti farò pervenire i soldi a Vroengard.»
«D’accordo!»
«Avete fatto? Possiamo andare? Se perdiamo la nave ti faccio arrivare a Vroengard a calci!»
I due uscirono dal “Frutto della giovinezza”, diretti verso il cancello davanti alla locanda.
«Di cosa volevi parlarmi?»
«Di ieri notte. Volevo sia spiegarti di che natura fosse l’incantesimo del mago della Setta degli Scorpioni, inoltre ho un paio di domande.»
«Spara. Ma prima dimmi cosa fosse quella magia, che sono curioso.»
«Non posso sapere cosa avrebbe fatto, ma posso dirti che era un incantesimo d’ombra, di elemento oscuro. Come avrai visto, permette di manipolare la propria ombra. Conosco una persona che sfrutta la sua manipolazione d’ombra per attaccare l’ombra del proprio avversario e costringerlo a fare ciò che vuole, chiama questo incantesimo “Imitazione d’ombra”, inoltre riesce a creare un clone facendo sì che la sua ombra si stacchi dal suo corpo. Non so cosa avesse intenzione di fare il mago di ieri, ma posso dirti come neutralizzare il suo attacco.»
«Eliminare ogni fonte di luce?»
«Sì, bravo! Come hai fatto?»
«Non era difficile. Se tutto il suo incantesimo risiede nell’ombra, basta fare in modo che la sua ombra scompaia.»
«Precisamente. Ah, voglio precisare che quella era una manipolazione d’ombra estremamente squallida. Il Cavaliere a cui ho accennato prima, riesce a far muovere la sua ombra a 100 km/h.»
«Ah! Ma dimmi un po’, perché è rimasto immobile con le mani unite?»
«Perché, come ho detto prima, si trattava di un mago da quattro soldi. Restava immobile per facilitare l’accumulo di energia necessaria all’incantesimo e la concentrava tutta tra le mani. Da lì la trasmetteva direttamente alla sua ombra. Sei stato bravo a capire che dovevi colpirgli proprio le mani.»
«Ci ho pensato perché non ho mai visto te mantenere la stessa posizione prima di lanciare un incantesimo. Ma suppongo sia perché non devi accumulare nessuna energia, ti basta spendere 1 douriki per richiamare il Flusso e usi solo quello per la magia, giusto?»
«Proprio così. Ora rispondi tu alle mie domande. Mi ripeti perché ti sei fatto scoprire?»
«Perché stavo cercando di contattare te.»
«Appunto. E da quando avresti imparato a cercare le menti altrui? Anche prima, come hai fatto a comunicare mentalmente?»
«Non lo so. Diciamo che mi ricordo qual è la tua, diciamo, “frequenza mentale”. E ho percepito come hai fatto a creare quell’apertura mentale riservata solo a noi due, per cui ho tentato di ricrearla, ma ho aperto troppo la mente e quello mi ha beccato.»
Evendil era notevolmente sorpreso.
«E come hai fatto ad entrare nella mia mente prima al bordello, che la stavo tenendo chiusa?»
«Nello stesso modo. Visto che eri più vicino sono riuscito ad individuare la tua “frequenza” più facilmente ed ho sfruttato il canale aperto ieri.»
«Ma l’ho richiuso!»
«Veramente l’ho trovato. Nella tua barriera mentale c’era una falla con sopra scritto il mio nome.»
«Di che stai parlando?»
«Con il mio occhio mentale ho visto la tua mente. Diciamo che era come un muro con un cancello di cui solo io avevo la chiave.»
Evendil scoppiò a ridere: non era possibile!
«Adesso che ti prende?» si indispettì il ragazzo.
«Tu se riuscito a capire i più grandi segreti della comunicazione telepatica in una sola serata senza nemmeno che ti venisse spiegata?! Avrei capito se avessi già instaurato il legame con il tuo drago, per i Cavalieri diventa naturale saperlo fare, ma tu non hai ricevuto alcun addestramento e non ti si è ancora schiuso l’uovo! Sei sempre più sorprendente!» rise Evendil, le lacrime agli occhi.
«Insomma, sono fico!»
«Ora ho la mia seconda domanda: come hai fatto a celare la tua presenza mentale?»
«Di che parli?»
«Beh, nel momento in cui hai aperto la mente, il mago ti ha individuato, per cui vuol dire che stava sondando precedentemente la zona alla ricerca di qualche intruso. Ora, anche si tieni la mente chiusa e impedisci a chiunque di entrare, la tua presenza resta comunque. È come hai detto prima, quando hai cercato la mia coscienza per parlarmi telepaticamente, hai trovato un muro; se invece io avessi celato la mia presenza, non avresti trovato nulla.»
«Non so di che parli. Io ho solo chiuso la mente.»
«Allora era un incapace anche sul fronte mentale, oltre che su quello magico.» concluse Evendil.
I due erano usciti dalle mura e si trovavano nel porto. La nave sarebbe attraccata al molo 3, per cui si diressero lì. Passando, Siirist notò una mappa che raffigurava l’intera Tamriel. Vi erano cinque isole, una in ogni punto cardinale e la quinta al centro: Spira a Nord, Condoria a Est, Ivalice a Sud, Alagaesia a Ovest e per finire la mitica Vroengard. Spira era la più complessa, divisa in varie regioni molto diverse da loro. Nella parte sud vi erano due isolette, Besaid e Kilika, per poi arrivare all’Isola Maggiore, dove sulla costa si trovava Luka, la città più importante della regione Mihem, tanto che vi era uno stadio di blitzball. Da Luka partiva una lunga via, chiamata via Mihem, appunto, che raggiungeva il grande fiume che divideva in due l’Isola Maggiore, il Fluvilunio. Passato quello, si entrava nella regione Macalania, in cui erano presenti le città Guadosalam e Bevelle, la capitale di Spira. Guadosalam si trovava poco dopo il Fluvilunio, lungo la via Djose, ed era una piccola città costruita in un grande albero cavo, popolato da elfi. Oltre Guadosalam, seguendo sempre la via Djose, si arrivava al grande Bosco di Macalania, che, come Guadosalam, ospitava alcuni insediamenti elfici, e vicino a cui si trovava la grande Città delle Macchine, Bevelle. Con la popolazione che superava i dieci milioni di abitanti, Bevelle era il nucleo politico del paese, e aveva grande importanza anche a livello economico in tutto l’Impero. Era anche la casa della Torre dei Draghi, sede più importante dell’Ordine dopo Vroengard. E per finire, era la città dei fortissimi Bevelle Stars, i pluricampioni dei tornei di blitzball di Spira, e dello Stadio Dorato.
Oltre Bevelle, si entrava nella regione Antica, di cui facevano parte la Piana della Bonaccia, Cyrodiil, il monte Gagazet e la esuberante e brillante Zanarkand. La Piana della Bonaccia era una grande pianura che collegava Macalania con il Gagazet. Sottostante alla Piana della Bonaccia, nella parte nord-ovest dell’Isola Maggiore vi era Cyrodiil, con al centro il lago Rumare, in mezzo al quale si trovava un’isola su cui sorgeva Imperia, la capitale di Spira prima che venisse fondata Bevelle, nemmeno un secolo prima. Il lago si prolungava a mo’ di fiume molto largo fino a che formava una baia, la baia di Niben, sulla cui sponda nord sorgeva la città di Bravil. Dopo la baia, il letto si restringeva, formando un fiume, che andava a sfociare nel mare, e proprio sulla foce si trovava la città di Leyawiin. A sud di Imperia vi era Cheydinhal, a nord Chorrol, a nord-ovest Skingrad, Kvatch e Anvil. Da Imperia si diramavano tutte le strade che portavano alle altre città: la Via Verde portava verso Bravil e Leyawiin, la Via Blu a Cheydinhal, la Via Rossa a Chorrol, la Via Dorata verso Skingrad, Kvatch e Anvil. Non molto lontano dalla città portuaria, si vedeva sorgere sul mare la grande metropoli di Zanarkand, costruita su sostegni che arrivavano al fondale marino, e molto più avanzata tecnologicamente di Bevelle. Con una popolazione che superava i venti milioni di abitanti, era una città completamente costruita di metallo e pietra, con cascate che scendevano dai tetti degli edifici. Vi erano molte aree verdi, di cui molte sulle isole che costituivano la città. Zanarkand era un altro importante centro economico per tutto l’Impero, ed anche politicamente era forte. Il gran duca che la governava era noto per essere buono e cordiale, oltre che generoso, ma assolutamente intransigente per quanto riguardava la legge e l’ordine. Si assicurava personalmente con numerose ispezioni per la città che essa fosse sempre pulita, ordinata e sicura. Oltretutto, la città vantava di essere la casa della sede dell’Università Arcana più prestigiosa di Spira, superiore anche a quella di Imperia, che restava, però, la principale. Ma la città era famosa anche dal punto di vista ludico, in quanto era la patria degli acerrimi rivali degli Stars, gli Zanarkand Abes, i campioni in carica del blitzball di Spira. A est di Zanarkand, nel punto più a nord di Spira, si ergeva imponente il freddo monte Gagazet, casa di alcuni villaggi e della città di Bruma.
L’isola di Condoria era solo per metà facente parte dell’Impero, poiché metà di essa era lo stato di Hellgrind, la dimora dei demoni. Nello stato di Junon, invece, erano presenti due importanti Città delle Macchine, quali Midgar, la capitale, e Esthar. Gli altri insediamenti erano i villaggi Nibelheim, Gongaga e Wutai.
Lungo le sponde del mare, nella zona più a sud, sorgeva il prestigioso Gold Saucer. Esso era un albergo di altissimo lusso e dai prezzi esorbitanti, dove vi era anche un casinò famoso per avere anche una pista per la corsa dei chocobo, sui quali scommettere. Vi erano saune e piscine a non finire, oltre che il miglior servizio di maggiordomi bot che la tecnologia potesse offrire.
A sud del continente, vi era l’isola di Ivalice, dove sorgeva la capitale di tutto l’Impero, Arcadia, anche essa grande Città delle Macchine, paragonabile a Zanarkand in quanto a sviluppo tecnologico. Le altre città erano Timber, Deling, Galbadia e Balamb, la città portuaria di Ivalice, a nord del paese.
Alagaesia, invece, era dell’Impero solo per un terzo, cioè della parte centrale, Ridorana. Il paese era caratterizzato dal deserto di Dalmasca, dove sorgeva la Città delle Macchine Rabanastre e la città portuaria Balfonheim, e la regione pianeggiante di Lindblum, dove sorgevano Alexandria, la capitale, e Nabreus, anche quest’ultima Città delle Macchine.
A sud si ergevano i monti Beor, che erano dominio dei nani, la cui capitale era Tronjheim, e a nord vi era la Yaara Taure, la Foresta Antica, regno degli elfi, le cui città principali erano Ellesmera, la capitale, e Cleyra, una città costruita interamente su un albero titanico, da cui uscivano gli edifici come fossero stati naturalmente dell’albero, nonché la grande Rivendell, Imladris per gli elfi.
E al centro delle quattro Isole Cardinali si trovava lei, Vroengard. Era stata scelta dall’Ordine come base appunto perché così i Cavalieri sarebbero stati in un punto strategico da cui poter intervenire ovunque. Poi, ovviamente, furono create sedi dei Cavalieri anche nel resto delle isole. Vroengard era composta da un porto, intorno al quale abitava una piccola comunità, e poi vi era la Rocca dei Cavalieri, costruita dai migliori artigiani altmer sull’alto di una montagna, da cui si vedevano tutte le Isole Cardinali. Ed era proprio lì che Siirist stava andando. Ancora non ci credeva.
Non passò molto prima che arrivasse la nave, ed i due salirono.

 

 

 

~

 

 

Ah, non ci credo! Già pronto un altro capitolo! Voglio precisare una cosa: non era mia intenzione fare Siirist troppo forte e quant’altro. Cioè sì, ma solo a livello di abilità innate (come ad esempio quella misteriosa di cui ha parlato Evendil), non è certo il tipo in grado di imparare qualunque cosa in cinque minuti. Per cui il fatto che sia riuscito a comunicare mentalmente con Evendil, beh... è stato un mio correre ai ripari. Solo dopo che avevo già pubblicato il capitolo scorso, mi sono reso conto della mia colossale puttanata, cioè scrivere che Siirist cerca Evendil per comunicargli cosa fosse successo, cosa che ovviamente non dovrebbe essere in grado di fare. Per cui  ho rimediato come avete letto sopra. Ma almeno vi ho risparmiato una spiegazione per il futuro, visto che i capitoli di Vroengard ne saranno pieni!

 

Ringraziamenti:

 

1)  Bankotsu. Siirist e buonsenso? Una coppia che non conosco. Dimmi un po’, ti verrebbe mai in mente di liberare un bandito da una prigione quando solo poche ore prima ha cercato di ucciderti? Poi certo, il fatto che fosse un demone era puramente sfiga per Siirist. Effettivamente Evendil non ha fatto la solita parte dell’impaziente durante la notte, ho un po’ scazzato con il personaggio, ma non potevo far entrare Siirist nella Gilda se avessi fatto fare ad Evendil irruzione nel castello! Di sicuro avrebbe sventato il piano del conte, ma non sarebbe stato decisamente nello stile della Gilda; poi sì che Siirist avrebbe perso definitivamente la possibilità di entrarci! Inoltre non è ancora il momento di vedere Evendil fare sul serio. E tu dovresti sapere quando arriverà quel momento. Immagina solo che il caro vecchio elfo saprà tenere a testa a Siirist anche quando questi sarà Cavaliere, e vedrai più avanti perché. Niente di segreto o particolare, è semplicemente un mago particolarmente eccezionale e che conosce bene il Flusso vitale. Per quanto riguarda Oblivion, diciamo che essere furtivi è un po’ più che il piegare le gambe! Per finire, ci hai preso alla grande con la tua previsione: due capitoli per Vroengard, infatti è proprio il prossimo!

2)  Angelickall. Beh, diciamo che non aveva tutti i torti a voler contattare subito Evendil perché ha pensato (è vero, mi sono dimenticato di scriverlo! XD) che se fosse stato catturato o ucciso, avrebbe dovuto informare qualcuno di quello che aveva scoperto. Poi certo, è solo un ragazzino da poco uscito dal suo mondo che includeva soltanto Skingrad, non è ancora abituato a pensare di poter avere davanti a sé un mistico. Ed è stato fortunato a trovare un mago, poiché come ha detto Evendil, il Flusso vitale scorre debole negli umani, se non per qualche eccezione, perché se avesse incontrato uno stregone, sarebbe sicuramente morto. Non è divertente che sto a dire “è stato fortunato” quando ovviamente sono io a decidere? Ma per scrivere mi devo immergere nella storia, per cui tutto accade per caso, e per rispondere ai commenti mi tocca farlo da quest’ottica! Comunque, per dirti di Evendil, ti faccio notare che le donne sono sì cadute tutte ai suoi piedi, è lui che non se le è filate. Anche quando Siirist lo vide per la prima volta restò ammaliato, ma non avevo particolarmente voglia di approfondire l’argomento.

3)  xevel. Bene. Su due risposte, sto già a due figure di merda. Ci manca che inizio ad inneggiare il nazismo e tu mi dici di essere ebrea. Ok, magari questo è un po’ esagerato (e poi non mi metto certo ad esaltare il nazismo!), però mi piace fare gli esempi in grande. Allora, carissimA, rispondo a te come ho fatto a Bankotsu: Siirist ed il buonsenso sono due rette parallele. E anche in futuro sarà così! Se sarà più serio sarà perché ha imparato con l’esperienza, non certo perché pensa prima di agire. A meno che si mette a preparare un piano, ma quella è un’altra cosa. E sì, Evendil sa rendersi particolarmente insopportabile, soprattutto quando vuole far sbrigare Siirist (che sia svegliarlo e il farlo alzare da tavola), ma di certo non è gay. Sicuramente le umane non lo hanno interessato minimamente perché, come hai detto tu, lui è un elfo, ed il discorso che ha fatto a Siirist al loro arrivo ad Anvil vale anche per lui, ma poi non è minimamente interessato nel sesso. La sua vita ha subito due grandi shock (sembra Nagato! Questo commento è per chi conosce Naruto), cioè il non essere scelto come Cavaliere, come racconta Ormellius, e l’aver perso la sua compagna. Per questo non prova interesse per nessuna donna e vive unicamente per fare diventare Siirist un grande Cavaliere. Per quanto riguarda l’uovo... Si schiuderà nel capitolo dopo il prossimo, per cui tranquillA, manca poco. Ma non ti dico il nome, dovrai aspettare. Ma ti dico che sarà il nome del capitolo, per cui ti basterà aspettare il prossimo capitolo per scoprirlo.

 

 

Il prossimo capitolo si intitola (finalmente) VROENGARD.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** VROENGARD ***


Vroengard

VROENGARD

 

La nave era salpata da circa mezz’ora e Siirist ed Evendil avevano passato il tempo chiacchierando del più e del meno, ripassando le nozioni di elfico che il ragazzo aveva imparato e aggiungendo nuovi vocaboli alla lista.
«Wow, ho proprio un bel nome.» concluse infine il giovane.
«Scusa?»
«“Figlio della luce”, molto bello, non trovi?»
«Ah sì, certo. Non tutti i nomi elfici hanno un significato, anzi la maggior parte non ce l’ha, ma alcuni sì, ed il tuo ne è un esempio.»
«Perché non me l’hai mai detto?»
«Perché non ce ne era motivo. Anche perché la tua personalità non ha niente a che vedere con il nome che porti.» concluse poi.
«Dovrei ritenermi insultato, perché è più che evidente che mi stavi insultando per l’ennesima volta, ma mi trovo costretto a concordare!» ridacchiò.
«Contento tu. Vuoi niente?»
«Eh?»
Evendil indicò la cameriera che stava passando con il carrello del cibo.
«Sì, grazie.»
L’elfo richiamò l’attenzione della donna levando il braccio ed ella si diresse subito verso di lui.
Ma a poca distanza da dove erano seduti i due, vi era un buco nel pavimento e una ruota del carrello ci finì dentro. La cameriera non se ne accorse e continuò a spingere, con il risultato che il portavivande si rovesciò in avanti. Ma Evendil non era il tipo da farsi cogliere di sorpresa, se non da Siirist, e rapidamente richiamò il Flusso vitale nella sua mano destra che mosse in direzione dei cibi, bloccandone la caduta a mezz’aria. La gente intorno scoppiò in un applauso a cui il mago rispose con un sorriso ed un leggero inchino.
«Oh che bello, ci ha pure offerto questi panini!» esclamò l’elfo quando la donna se ne era andata.
«Mi spieghi come fai?»
«A fare cosa?»
«Lanciare incantesimi senza dire nulla. Mi hai spiegato che gli incantesimi, per essere lanciati, richiedono la manipolazione del Flusso vitale tramite la Vera lingua. Ma tu muovi le mani e basta senza pronunciare una sillaba.»
«Hai ragione, ma non è sempre così. Vedi, bloccare degli oggetti a mezz’aria, far levitare e schiantare te contro un muro, creare una sfera d’acqua scagliare un fulmine, sono tutte azioni basilari. E poiché ho il pieno controllo del mio Flusso vitale, riesco a richiamarlo anche senza pronunciare le parole. Poi se devo eseguire una magia più complessa, come quando ho sigillato l’ingresso del tuo rifugio a Skingrad, che è qualcosa che solitamente non sono abituato a fare, mi trovo costretto a specificare l’effetto dell’incantesimo con le parole. Quando ti ho mostrato la combinazione di fuoco e aria, invece, ho pronunciato le parole per farle sentire a te, mentre avrei potuto facilmente lanciare quegli incantesimi senza dire niente.»
«Questo perché sei specializzato negli elementi vento, fuoco e luce, mentre non lo sei con la terra, giusto?»
«Precisamente.»
«Però la scrosciata d’acqua con cui mi hai svegliato questa mattina e poi quella spiacevole scarica elettrica non fanno parte degli elementi in cui sei specializzato.»
«Ma come ti ho appena detto, sono incantesimi basilari. Se dovessi lanciare degli incantesimi più complessi dovrei usare le parole. E poi ti ho detto che sono bravo anche negli altri elementi. Ma non ti credere, non basta essere un esperto in un elemento per poter non usare le parole. Io riesco a far levitare gli oggetti e a farli muovere sfruttando l’elemento vento perché sono abituato a farlo, è uno degli incantesimi che sfrutto più spesso, non solo in battaglia, come hai visto poco fa. E poi mi aiuto con i movimenti delle mani per far sì che accada ciò che voglio io. Lanciare un incantesimo senza parlare o muoversi è estremamente difficile e richiede una concentrazione ed una conoscenza dell’elemento enormi. Aulauthar è in grado di farlo, ma stiamo parlando di un membro del Consiglio di oltre duemila anni di età, dopotutto. Io non sono che un novellino a confronto, anche se la mia capacità nello sfruttare il Flusso vitale è ineguagliata. Non per niente nessuno è riuscito a copiare il mio Ataru. Sto iniziando a pensare che per essere in grado di utilizzare il Flusso come faccio io, bisogna esserne eccezionalmente dotati come me, ma non ne posso essere sicuro.»
Siirist annuì colpito.
«Ma dimmi un po’, che significa esattamente specializzarsi in un elemento? Insomma, non basterebbe pronunciare le parole per far accadere qualcosa?»
Evendil ridacchiò un po’, per poi rispondere.
«Fosse così facile, essere un mago sarebbe un mestiere semplice! Per utilizzare la magia, è necessaria la conoscenza alla base del fenomeno che si va a creare. Se ad esempio io volessi creare il ghiaccio, dovrei sapere quali legge fisiche e chimiche regolano la formazione del ghiaccio in natura. La magia non fa altro che creare ciò che crea la natura. Poi naturalmente il mago è in grado di manipolare e gestire a piacimento ciò che genera, ma tutto avviene secondo natura. Io, che sono specializzato nel vento, se volessi, come ho detto prima, creare il ghiaccio userei proprio il vento. Genererei una folata così fredda da congelare quello che tocca. Un mago specializzato nell’acqua, invece, crea il ghiaccio lanciando prima un incantesimo di acqua che poi porta a solidificare. Un mago specializzato in un certo elemento, quindi, è uno che sa modificare gli incantesimi che lancia. Ma tutti gli elementi sono collegati, per cui è necessario conoscere le basi di ognuno di essi. Per citarne due, l’aria e l’acqua lo sono, poiché per creare dal nulla dell’acqua, si deve far condensare l’aria.»
«Ah, ecco. Quindi c’è molto da studiare.»
«Non sai quanto.»
«E io che speravo bastasse dire “khelek” per creare il ghiaccio.»
«Anche, ma non solo. Vedrai che imparerai tutto, con il tempo. Dopotutto c’è un motivo se ci sono cinque anni di addestramento.»
«Giusto.»
 
Siirist stava con la faccia appoggiata al vetro della nave, osservando il mare increspato muoversi ai lati dello scafo. Teneva le braccia incrociate sopra l’uovo appoggiato sulle gambe, uno sguardo vuoto e stanco. Sbuffò ed annebbiò una parte del vetro.
«Che hai?»
Evendil stava seduto composto con la testa appoggiata all’indietro e gli occhi chiusi. Siirist era sicuro che stesse dormendo, ma evidentemente si era sbagliato.
«Mi sono stancato! Sono due ore che siamo salpati e siamo ancora in alto mare! Quanto manca ancora! E poi non stavi dormendo?»
«Siirist, Anvil è una delle città più a nord di Spira, ce ne è di strada da fare per arrivare all’isola di Vroengard. E sì, stavo dormendo.»
«Non ho mai visto nessuno con il sonno più leggero del tuo.»
«Noi elfi abbiamo una concezione diversa del “sonno” rispetto a voi.»
«E anche della sessualità, da quello che ho potuto vedere ieri sera al “Frutto della giovinezza”.»
Chiaramente, l’ultima affermazione di Siirist gli valse un bernoccolo sulla testa.
«Mi hai fatto male!» si lamentò massaggiandosi il capo, gli occhi umidi.
«L’ultima volta che ho controllato, i pugni non vengono dati per fare del bene ad una persona.»
Siirist guardò bieco il suo “mentore” per assicurarsi che avesse richiuso gli occhi, per poi rifargli il verso, imitando grottescamente il labiale dell’ultima frase dell’elfo.
Il sinistro di questi si mosse così rapidamente che il ragazzo nemmeno se ne accorse e fu colpito in fronte così forte da venire buttato oltre la sedia, cadendo dolorosamente battendo schiena e nuca.
«Ma sei impazzito?! Potevo rompermi il collo! E non stavi dormendo?!»
«Sai che perdita. E sì, stavo dormendo.»
«Voi elfi siete strani.»
«E voi umani pelosi.»
«E questo che c’entra?!»
«Niente, stavo solo facendo notare alcune differenze tra le nostre razze. Hai iniziato tu, dopotutto.»
«Buonanotte.» disse infine Siirist, volendo solo terminare quella conversazione insensata.
«Grazie.»
Il ragazzo raccolse il suo uovo e si sedette, appoggiando nuovamente la faccia al vetro.
 
Un’ora dopo, lo stomaco di Siirist prese a brontolare.
«Mi spieghi come è possibile che sei ancora affamato? Hai mangiato come un bue a colazione e nemmeno un’ora fa un panino. Ma che hai al posto dello stomaco?»
«E tu mi spieghi invece perché sembra che sei morto, a stento respiri, e poi tutto d’un tratto te ne esci fuori con queste perle di saggezza, come se fossi stato sveglio tutto il tempo?»
«No, dormivo, ma il tuo brontolio mi ha disturbato.»
«Ma come...?»
Evendil ridacchiò per poi aprire gli occhi e guardare in faccia il suo interlocutore.
«Devi sapere che noi elfi ci riposiamo diversamente da voi umani. Il nostro sonno non è uno spegnimento dei sensi, bensì solo un rilassamento della mente, mentre i sensi restano vigili. Per cui ci riposiamo e allo stesso tempo restiamo coscienti del mondo circostante.»
«Ah, ecco perché sembravi sempre sveglio! Ma come fai a sognare in questo modo?»
«Chi ti ha mai detto che sogniamo?»
«Gli elfi non sognano?!»
«No. Perché ti sorprendi tanto? I sogni, intendo quelli che voi umani avete nel sonno, non sono nulla di importante o fondamentale. Se invece dicessi che noi elfi non abbiamo sogni intesi come speranze e desideri, allora ti direi che sarebbe un dramma se non ce li avessimo. Ma ovviamente anche noi desideriamo quanto voi. Beh no, non così tanto. Voi vorreste essere migliori, noi siamo già perfetti.»
«Sì, tu sei un perfetto idiota.»
Evendil lo guardò storto.
«Non ti picchio solo perché mi è piaciuta la risposta.»
Siirist sorrise soddisfatto mentre Evendil si rimise a dormire.
 
Erano le cinque del pomeriggio quando Siirist fu svegliato dall’elfo. Lentamente aprì gli occhi per ritrovarsi con la faccia incollata al vetro dalla sua stessa saliva.
«Ti ho mai detto che sei disgustoso?»
«Almeno un paio di volte, sì.»
«Solo?»
Siirist si staccò dalla finestra e si pulì la guancia con la mano, per poi massaggiarsi la mandibola.
«Perché mi hai svegliato?»
«Guarda fuori.»
Il ragazzo fece come gli era stato detto e vide, in lontananza, un’isola. Era grande, con un’alta collina al centro, sopra alla quale svettavano mura nere.
«Quello è il marmo nero dei Beor. Non sai quanto vale; solo gli elfi, oltre ai nani, ovviamente, lo sanno lavorare. Per quanto i nani odino l’Ordine, quando c’è di mezzo l’oro, sarebbero disposti a commerciare con chiunque. Anche se quando la Rocca fu costruita, i nani erano ancora molto mal disposti verso gli elfi, tant’è che molti di loro proposero di non vendere il loro prezioso marmo. Ma per fortuna la maggioranza decise di sì.»
Siirist a malapena aveva sentito le parole dell’elfo. I suoi occhi splendevano, era emozionato come mai prima d’allora: davanti a lui si trovava Vroengard.
Ci volle un’altra mezz’ora prima che la nave attraccasse, ma Siirist ed Evendil, non certo per volere di questi, erano già in piedi all’uscita, pronti a scendere sull’isola.
«Calmati, la Rocca non scappa certo via!»
«Gara!»
«Eh?!»
«Ti sfido ad arrivare in cima prima di me!»
«La strada è molto lunga, non esagerare.»
«Paura di perdere?»
«Siirist, i tuoi douriki fisici sono appena a 80, mentre i miei sono 3400: come pensi di vincere?»
«Perché sarai tu a portare i bagagli!»
Così, lasciando tutto a terra, ad eccezione dell’uovo, Siirist partì a tutta velocità.
«Che rottura di scatole.» scosse la testa Evendil.
Il ragazzo saltò dal molo alla terra ferma, per poi uscire dal porto. Si ritrovò immediatamente sulla strada che lo avrebbe condotto alla cima della collina. Dopo un centinaio di metri, il ragazzo passò accanto all’entrata al villaggio, luogo dove era diretta la maggior parte dei passeggeri sulla nave, ma proseguì senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. Con tutte le sue forze continuò lungo la strada che iniziava la sua pendenza.
 
«Nobile elfo, il vostro cavallo.»
«Molto gentile.»
Uno dei marinai aveva portato Farn fuori dalla stiva e lo aveva accompagnato da Evendil, che intanto aspettava sul molo con accanto a sé tutte le borse. Quando il suo compagno gli fu accanto, lo accarezzò dolcemente sul collo.
Devo chiederti di andare alla Rocca da solo. Siirist mi ha stupidamente sfidato ad una corsa e non mi ha dato modo di rifiutare.
Farn nitrì il suo commento, mentre nella mente di Evendil prendevano forma parole.
So che è stupido, ma è pur sempre il futuro Cavaliere d’Inferno.
Lo stallone si girò in direzione dell’uscita del porto ed iniziò a dirigersi verso la strada.
Beh, credo di avergli dato abbastanza vantaggio. Anzi, prima mi prendo un bel tè.
 
Siirist continuava a correre a perdifiato, ma il suo fisico allenato ancora resisteva.
‹Certo che la strada è lunga!›
La salita era sempre più tortuosa e ripida, e la sua velocità ne risentiva notevolmente. Dopo cinque minuti incominciò a sentirsi affaticato, dopo un quarto d’ora aveva il fiatone.
‹Ma quanto manca ancora?!›
Si era fermato, chinato in avanti con le mani appoggiate alle ginocchia, a riprendere fiato, mentre reggeva l’uovo tra le cosce.
‹E dove diavolo è Evendil?!›
Dopo essersi concesso un minuto di riposo, il giovane ripartì. La Rocca ormai non era molto lontana, mancano solo due curve della strada e sarebbe arrivato all’entrata. Fu in quel momento che si sentì buttato a terra da una terribile folata di vento, mentre un qualcosa di scarsamente identificabile gli passava accanto a velocità sorprendente, alzando un polverone che lo fece tossire ripetutamente.
«Sei lento!»
La voce di Evendil, proveniente dalle mura della Rocca, lo fece imbestialire. Facendo appello alle sue ultime forze, corse a tutta velocità per l’ultimo tratto, fino ad arrivare accanto ad Evendil, che lo aspettava di fronte al cancello, le borse a terra. Siirist cadde faccia in avanti.
«Sei così stanco? Credevi veramente di potermi battere?»
«Ovviamente no. Volevo solo allenarmi, vedere quanto tu fossi realmente veloce e non dover portare i miei bagagli.» rispose dopo un po’.
«Ma senti tu...!»
L’elfo, furioso per essere stato ingannato, stava per prendere a pugni il ragazzo ai suoi piedi, quando fu richiamato.
«Evendil
Questi interruppe il suo destro per guardare in avanti e vedere colui che lo aveva nominato.
«Althidon, che onore che mi sei venuto ad accogliere tu stesso! Che le stelle ti proteggano.»
«E che la tua lama resti affilata. Avrebbe voluto anche Aulauthar, ma è impegnato con il Consiglio. Presumo tu abbia riconsegnato l’uovo di Inferno al suo nido.»
«Veramente no.» sorrise.
«No? Come mai? E chi è questo ragazzo?»
«Siirist, alzati.»
Il ragazzo fece come ordinato, mostrando l’uovo di drago precedentemente nascosto dal suo corpo.
«Althidon, abbiamo il Cavaliere d’Inferno. E sarebbe meglio che parlassimo la lingua degli umani. Gli sto insegnando la nostra, e sta imparando piuttosto in fretta, ma non è ancora abbastanza bravo da intrattenere una conversazione.»
«Salve! Siirist levò la mano per salutare l’elfo che aveva di fronte. Volevo dire: Aa’ i’ elenea vara lle.» e si inchinò.
Era leggermente più basso di Evendil, con corti capelli biondi e occhi azzurri. I lineamenti sottili e delicati come tutti gli appartenenti alla sua razza, ma allo stesso tempo duri. Sotto ed intorno agli occhi aveva qualche ruga ed il suo sguardo era tagliente ed inquisitore; il suo odore era quello dei ciliegi in fiore. Indossava una tunica e dei calzoni di seta bianchi, stivali e guanti di pelle conciata. Alla vita aveva una cintura decorata che reggeva una spada con un’ametista al posto del pomolo sul fianco sinistro, una spada corta sul destro; sulle spalle portava un mantello viola. Quasi senza accorgersene, perché ancora troppo scioccato dalla notizia, l’elfo rispose al saluto del ragazzo.
«Voi siete un altmer, vero?»
«Come...?» il tono era vago e confuso.
«Il colore dei vostri capelli e dei vostri occhi è tipico degli alti elfi. Evendil invece ha capelli castano chiaro e occhi nocciola, un abbinamento atipico, ma comprensibile visto che in lui scorre sangue bosmer e dunmer.»
«Mi sorprende che sapessi queste cose!» si meravigliò Evendil.
«Anche io sono biondo con gli occhi azzurri, non per niente i Ryfon erano degli altmer.»
«Scusatemi un secondo...» li interruppe Althidon, il suo accento più marcato di quello di Evendil.
«Mi state dicendo che tu, ragazzo, sei il predestinato dell’uovo d’Inferno? E cosa c’entrano i Ryfon?»
«Althidon, ti presento Siirist Ryfon, discendente della nobile famiglia di Imladris.»
Althidon era ora anche meno incerto su cosa dire.
«Venite dentro, dobbiamo subito avvisare il Consiglio. Tra quanto si schiuderà l’uovo?» esclamò infine.
«Due giorni.» rispose il mezzo dunmer.
«Perché ci avete messo tanto a venire?»
«Siirist ha dovuto affrontare l’esame di ammissione alla Gilda dei Ladri, e l’ha superato egregiamente. A proposito, abbiamo una questione importante di cui parlare.»
«Quindi sei anche un ladro? Che altro sai fare, ragazzo?»
«Niente. Non sa combattere, gli ho incominciato ad insegnare il Makashi ma ancora non lo ha padroneggiato. Però c’è un’altra nota interessante.»
«Cioè?» chiese Siirist, già sapendo di cosa stesse parlando Evendil.
«Scordatelo che te lo dico.»
«Bastardo.»
«Non siamo molto educati, eh?» commentò Althidon.
«Quanto mi divertirò.» ridacchiò l’altro elfo.
Oltre il grande cancello vi era uno spiazzo rettangolare di circa seicento metri per duecento, dopodiché iniziavano gli edifici. Ve ne erano vari, di diversa grandezza e forma, e Siirist poté notare un continuo viavai di gente. Come ebbe posato gli occhi sulle prime elfe che gli passarono davanti, i suoi occhi si sgranarono e la mandibola quasi si staccò dalla testa.
«Che succede, perché ti sei fermato?» chiese Althidon.
«Niente, tranquillo. Tu vai pure avanti ad avvertire il Consiglio, gli devo parlare un momento.» disse Evendil, celando abilmente la sua smorfia divertita.
Il Cavaliere annuì e proseguì, lasciando Siirist solo in balia della derisione di Evendil.
«Guarda lì! Non è carina quella ragazza?» disse indicando un’umana che passeggiava con il suo drago azzurro.
«Quale?»
Lo sguardo di Siirist era vago ed il tono piatto.
«Quella lì, non la vedi?»
«No, dove...?»
Il sorriso sadico dell’elfo si allargò maggiormente nel constatare che gli occhi del ragazzo erano ritornati a seguire le elfe. Era come ipnotizzato dal movimento dei loro bacini, la sua testa si muoveva in sincronia. Non aveva mai visto curve così eleganti, gentili. Tutto ad un tratto Keira, che aveva sempre considerato bellissima, gli pareva più simile ad un secchio di rifiuti. I fluenti capelli delle elfe cadevano loro sulle spalle come una piuma a terra. Ma che diavolo stava pensando?! Ripresosi, ritornò a fissare la perfezione dei sederi.
«Una domanda.»
«Sì...?»
«Con quante ragazze sei stato a letto?»
«Ventisei a Skingrad, due a Kvatch e dodici a Anvil.»
«In tutto quaranta.»
Siirist annuì.
«Beh, pare che in tutta la tua vita sarai stato con quaranta ragazze. Spero che tra qualche secolo ti ricorderai di questi anni.»
Siirist lo guardò storto.
«C’è poco da guardarmi male! Ti avevo detto che avresti perso interesse nelle umane, e di sicuro nessuna elfa ti vorrà.»
«Mio caro, tu mi sottovaluti!» esclamò il giovane, dando all’altro una pacca sulla spalla.
In quel momento un Cavaliere accompagnato dal suo drago verde acqua si avvicinò ai due.
«Che le stelle vi proteggano.» si rivolse ad Evendil, inchinandosi.
«E che la tua lama resti affilata.»
«Nobile Evendil, il Consiglio ha convocato voi ed il ragazzo.»
«Veniamo subito.»
Il Cavaliere se ne andò e l’elfo informò il giovane dell’ordine, per cui si avviarono verso un edificio tondeggiante, con la porta intarsiata affiancata da due colonne. Evendil la aprì ed entrò, seguito da Siirist. Gli sguardi dei presenti si concentrarono tutti sul ragazzo, che si sentì un po’ in ansia.
«Ragazzo, devi perdonare il nostro accento, ma non siamo molto ferrati nella tua lingua.»
Siirist si voltò verso colui che aveva parlato. Si trattava di un altmer dai capelli biondi, lunghi fino a metà schiena e tenuti ordinatamente come quelli di Evendil. I suoi occhi erano di un intenso verde scuro e alla vita portava una cintura che reggeva una spada sul fianco sinistro ed un pugnale su quello destro; il pomolo era costituito da una gemma d’argento, lo stesso colore del mantello che indossava e del drago ai suoi piedi.
«Aa’ i’ elenea vara lle, aredhel Aulauthar.»
«Ar’ aa’ lle hyanda rema maeg, nessa Siirist.» sorrise il Cavaliere d’argento.
Skryrill alzò la testa e fissò il futuro Cavaliere d’Inferno: pareva compiaciuto.
«Chiedo scusa, ma non conosco ancora il significato di “nessa”.»
«Significa “giovane”.» sorrise Aulauthar.
Allora anche Evendil salutò il Cavaliere e questi rispose.
«Possiamo arrivare al punto, adesso?» mormorò pigramente un altro membro del Consiglio.
Siirist rivolse lo sguardo a lui e notò che si trattava di un bosmer. Aveva corti capelli neri e occhi verdi, dello stesso colore di Aulauthar. L’arma che pendeva al fianco sinistro era un’ascia, mentre la sua spada aveva il pomolo costituito da una sfera ricavata da dell’onice; il mantello ed il drago accanto a lui erano dello stesso colore nero.
«Naturalmente, Syrius.» sorrise cordiale Aulauthar.
Ma Siirist era un ladro d’eccezione, e la sua capacità di osservazione gli permise di vedere il lampo di sfida negli occhi del Cavaliere d’argento. Il ragazzo allora si guardò intorno e vide dieci Cavalieri seduti in semicerchio, sono uno dei quali era umano, mentre accanto all’ingresso si trovavano Althidon ed il suo drago viola.
«Siirist Ryfon, siamo stati informati dal Maestro Althidon che tu hai toccato l’uovo di Inferno, il quale si schiuderà tra due giorni. Inoltre hai recentemente superato l’esame per entrare nella Gilda dei Ladri. È esatto?» domandò duramente Syrius.
Siirist annuì, ma il Cavaliere parve non apprezzare la risposta ed i suoi occhi si ridussero a due fessure.
‹Rispondi propriamente, è pur sempre un membro del Consiglio!› mormorò la voce di Evendil nella testa del giovane.
«Volevo dire sì, nobile Syrius.»
«Ma sappiamo che non hai seguito mai alcun tipo di addestramento con la spada e sono in questi giorni hai iniziato a studiare il Makashi con Evendil Thyristur.»
«Sì, è così.»
Nuovamente Syrius non fu soddisfatto della risposta.
«Ma che volete? Vi ho già chiamato “nobile” prima! Devo dirlo ad ogni frase?» domandò irritato il ragazzo.
Evendil lo guardò scioccato, ma leggermente divertito, Althidon accennò un mezzo sorriso ed Aulauthar lo palesò; tutti gli altri presenti erano sconvolti, Syrius era furente.
‹Bella risposta. Mi piaci, ragazzo.›
Siirist urlò di paura, mentre una sconosciuta voce ruggente gli invase la mente.
«Che succede?» si allarmò il mezzo dunmer.
«Tranquillo, Evendil. Siirist, era solo Skryrill. Non puoi essere un buon Cavaliere se ti fai spaventare dalla voce di un drago.»
«Ah, era il vostro drago...? Volevo dire, eravate voi, nobile Skryrill?»
«Dice anche che la tua difesa mentale non è molto efficace, ha superato facilmente la tua barriera.»
«Siirist, sii onorato, non è da tutti comunicare con un drago che non sia il proprio.» gli disse Evendil.
Il futuro Cavaliere annuì deciso, per poi inchinarsi al drago argentato.
«Per quanto tu mi abbia insultato, ammetto che hai carattere, e questo è un bene. Ma impara il tuo posto: la prossima volta non sarò così gentile da perdonarti.» disse Syrius.
«Vi ringrazio. Vi rispetto e vi obbedisco, solo non chiedetemi di ripetere ad ogni mia risposta “nobile Syrius”, nobile Syrius.»
Il Cavaliere in questione ridacchiò divertito.
«Va bene. Riprendendo il nostro discorso, sappiamo che ti manca qualunque preparazione nel combattimento, e anche una conoscenza completa della Vera lingua. Ma devo notare l’accuratezza della tua pronuncia, seppure non ancora perfetta. Evendil, hai fatto un buon lavoro.»
«Vi ringrazio, Syrius. Ma se posso intromettermi, vorrei aggiungere che Siirist è un ottimo combattente dalla distanza. Non parlo dell’uso dell’arco, ma sa utilizzare perfettamente armi da lancio come giavellotti e pugnali. Ma purtroppo solo con la sinistra, con la destra non ha ancora imparato.»
«Bene, almeno su un fronte sei già pronto. Perciò in questi mesi, prima dell’inizio del nuovo anno, continuerai ad allenarti sotto Evendil. Mio caro amico, ti incarico dell’educazione di Siirist sia dal punto dell’apprendimento dell’elfico, sia dal punto dell’uso della spada, poiché credo che Althidon sarebbe molto contrariato ad avere un allievo incapace di utilizzare le forme Makashi e Soresu. O sbaglio?»
«Per niente, Aulauthar.» confermò l’interessato.
«Dunque sarà Althidon il Maestro di Siirist?»
«È il migliore di tutta Vroengard, ed è necessario che il Cavaliere d’Inferno sia un guerriero d’eccezione.» disse Syrius.
Tutti gli altri membri del Consiglio approvarono.
«Beh, buona fortuna, allora, Siirist!» esclamò Evendil.
«Perché?»
«Ti lamentavi che i miei regimi di addestramento erano pesanti? Aspetta di seguire quelli di Althidon!»
«Mi sembra ti abbiano fatto bene, però, Evendil.» osservò il Maestro Cavaliere.
«Sì, è vero.»
«Bene, tutto è deciso. Non manca ormai molto alla Prova, per cui sapremo entro breve quali compagni ti seguiranno nei prossimi cinque anni, Siirist.» esclamò Aulauthar.
«Compagni? Ma Althidon addestra sempre e solo un neo-Cavaliere!»
«In questo caso credo che farò un’eccezione. Avere dei compagni motiverebbe Siirist più che essere da solo.»
«Concordo, sono uno competitivo.» rispose il giovane.
«Una delle uova è di Incubo. Sarebbe interessante se ci fosse il suo Cavaliere, sarebbe un’ottima sfida per il Cavaliere d’Inferno.» osservò Syrius.
«Cos’è un Incubo?» chiese il ragazzo.
«Gli Incubo sono tra le poche razze di drago ad avvicinarsi agli Inferno in quanto a forza, anche se restano comunque molto distanti. E il loro bonus è di 600 douriki.» spiegò Evendil.
‹Io sono un Incubo.›
Nuovamente una voce ruggente si fece largo nella mente di Siirist, ma diversa da quella di Skryrill.
«Moreus conferma che la tua mente è facilmente penetrabile.» disse Syrius.
Lo sguardo di Siirist andò subito a posarsi sul drago nero ai piedi del Cavaliere.
«Allora vedrò di allenarmi di più.»
«Potete andare ora.» esclamò Aulauthar.
Siirist ed Evendil si inchinarono ed uscirono dalla sala.
«Non finirai mai di sorprendermi.»
«Perché?»
«Non ho mai visto nessuno comportarsi in quel modo con il Consiglio. Hai anche preso in giro Syrius!»
«Non era mia intenzione, ma evidentemente è sembrato così. Ma mi è parso che Aulauthar ed Althidon ne fossero contenti.»
«Aulauthar e Syrius, come ti ho detto, sono grandi rivali. Hanno la stessa età e si addestrarono insieme. In quanto a potenza sono esattamente identici, poiché i douriki di Syrius sono più alti di quelli di Aulauthar, anche se di poco, ma Aulauthar è un mago più dotato e con un legame con il Flusso maggiore. Non si stanno molto simpatici, anche se il rispetto è grande, per cui ad Aulauthar può solo aver fatto piacere vederti prima rispettarlo con il saluto formale e poi rispondere male a Syrius. E Althidon è stato, quasi un millennio fa, ormai, allievo di Aulauthar, per cui la sua corrente di pensiero è uguale.»
«E tu sei stato allievo di Althidon, per cui anche tu la pensi allo stesso modo.»
«Precisamente.»
«Aredhel Evendil.»
I due furono interrotti dall’arrivo di un giovane umano non accompagnato da alcun drago.
«Dimmi pure, e parla tranquillamente la tua lingua.»
«Vi ringrazio, nobile Evendil. Vi volevo informare che Farn è arrivato cinque minuti fa e che ce ne stiamo prendendo cura alla stalla.»
«Se l’è presa comoda, eh?»
«Inoltre vorremmo che veniste a controllare Griever.»
«Cosa succede?»
«È un po’ irrequieto. Forse ha bisogno di volare un po’.»
«Va bene, vengo subito. Andiamo Siirist, questo potrebbe interessarti.»
Siirist e l’elfo seguirono il servitore alle stalle dove trovarono Farn che veniva lavato e spazzolato ed accanto a lui un box contenente un animale che il ragazzo non si sarebbe mai immaginato di vedere: un grifone. Il corpo simile a quello di un leone, ma almeno dieci volte più grande e dal pelo argentato, la testa da aquila, le ali e la coda di penne bianchissime. Gli occhi svegli balzarono subito su Evendil. Aprì il becco ed emise un forte grido, un misto tra il richiamo di un’aquila ed il ruggito di un leone.
«Siirist, questo è Griever. Poiché non posso cavalcare un drago, mi sono dovuto accontentare. Anche se devo ammettere che mi ci trovo molto bene. Non ha ovviamente la forza di un drago, ma è un ottima cavalcatura per una battaglia. Ha un po’ un caratteraccio, ma fortunatamente si fa domare. Inoltre il modo di guidarlo è simile a quello di un drago. Non vi è nessun legame stretto, ma si fa tutto telepaticamente.»
«Come fai con Farn.»
«Sì, esatto. Vuoi cavalcarlo? Ti può dare un’idea di come sia volare su un drago.»
«Non lo so, mi sembra poco docile...» rispose insicuro il futuro Cavaliere.
Il grifone si alzò in un’impennata, ruggendo insoddisfatto: voleva volare.
«Va bene, se insiste...»
Il grifone si allontanò dalla porta quando Evendil e Siirist entrarono, per poi abbassarsi per permettere all’elfo di legargli la sella sulla schiena. Come ebbe finito, l’elfo spiegò al giovane come salirvi e come legare i lacci attorno alle sue gambe, oltre che come stare seduto durante il decollo, le varie fasi di volo e l’atterraggio.
Vedi di comportarti bene, tu.› disse con tono serio il mezzo dunmer.
Griever annuì, per poi piegarsi di lato, aiutando Siirist a salirgli in groppa. Come si fu accomodato sulla sella, il futuro Cavaliere guardò giù e quasi si spaventò nel vedere quanto fosse lontano dal suolo.
«Non dirmi che soffri di vertigini?»
«No, è solo che è impressionante.»
«Pensa a quando salirai sul tuo drago.»
«Hai ragione.»
Evendil si avvicinò ad una leva che si trovava sulla parete del box e la abbassò. Il soffitto incominciò ad aprirsi, mostrando il cielo azzurro, e una volta che fu completamente aperto, il grifone diede un poderoso calcio con le zampe posteriori, balzando fuori dalle stalle e trovandosi ad una decina di metri di altezza.
«Woooohh...!» urlò spaventato Siirist, non aspettandosi una partenza simile.
Evendil rise divertito.
Griever allora distese le ali e le sbatté con forza, alzandosi ancora di più in cielo di circa altri dieci metri. Ad ogni battito di ali il grifone acquistava velocità ed altitudine, e Siirist si sentiva sempre meno male. Sentiva naturale la sensazione del volo, la percepiva come parte di sé. Il grifone si lanciò in avanti e Siirist si gustò la sensazione del vento in faccia. Quando però la creatura compì qualche giro su se stessa, Siirist si sentì cadere, ma quando si accorse di non essersi staccato dalla sella nemmeno di un millimetro grazie a tutti i vari lacci, si calmò ed incitò il grifone a farlo ancora.
Evendil osservava compiaciuto come Griever volasse libero nel cielo. Rapidamente si muoveva verticalmente verso l’alto per poi subito lanciarsi in picchiata; faceva avvitamenti su se stesso, volava per lunghi tratti inclinato di novanta o anche centottanta gradi; e da Siirist l’elfo non percepiva alcuna emozione negativa: solo pace con se stesso e grande divertimento.
Dopo un quarto d’ora, Griever tornò al suo box e Siirist, sganciatosi dalla sella, saltò giù.
«Ti sei divertito?» chiese retorico Evendil.
«Cazzo, sì!» Siirist era al settimo cielo.
«Sei un portento, non ho mai visto nessuno essere così naturale al suo primo volo. Ma montare un drago è leggermente diverso, per cui non abituarti troppo a Griever.»
«Va bene. Ma pensi che potrò cavalcarlo ancora?» domandò eccitato.
«Non credo. Althidon non ne sarebbe molto contento.»
«Ah, va beh... Peccato, mi sarei divertito molto. Ma di certo non voglio far arrabbiare Althidon!»
«E nemmeno io!»
I due salutarono il grifone e si incamminarono verso uno degli edifici che ospitava gli appartamenti.
«Fino a che si terrà la Prova, cioè quando avrai dei compagni di addestramento, dormirai nel mio appartamento. Ma non ti ci abituare troppo, le stanze dei Cavalieri in addestramento non sono così comode.»
L’edificio era, come tutti gli altri, di pietra grigia, costruito in stile elfico, con molti altorilievi raffiguranti elementi naturali. Entrarono dal portone principale e percorsero un lungo corridoio con finestre sul lato destro e porte sul sinistro, distanti venti metri tra loro. Arrivarono quasi alla fine, dove vi erano delle scale che conducevano al secondo piano, che Evendil abbassò la maniglia di una porta ed entrò.
«Niente chiave? Lasci tutto così aperto?»
«Nessuno chiude mai a chiave, non c’è nulla da temere. I Cavalieri non rubano certo ai loro compagni ed i servitori sarebbero pazzi a provarci.»
La stanza che Siirist si trovò davanti era un rettangolo di dieci metri di larghezza e venti di lunghezza. Al centro vi era un tavolino con attorno dei divanetti, e sulla parete di sinistra, alla stessa altezza del tavolo, un focolare. Gli altri mobili della stanza erano poltrone e divani. In fondo vi era una porta per lato, mentre sulla parete opposta alla porta di ingresso vi era una grande finestra. Il colore delle pareti e del soffitto era verde scuro, mentre il tappeto intarsiato che copriva il pavimento di pietra era azzurro, dorato e rosso acceso.
«La porta di destra è della mia camera da letto, quella a sinistra del bagno. Tu dormirai su questo divano.» e ne indicò uno accostato alla parete di sinistra, tra il camino e il lato dell’ingresso.
«D’accordo.»
Siirist appoggiò la sua roba accanto al suo improvvisato letto e si sedette per saggiarne la comodità.
«È di tuo gradimento?»
«Sì.» annuì soddisfatto il ragazzo.
Evendil fece per andare in camera sua quando fu richiamato dal giovane.
«Che c’è?»
«Mi hai detto che avrei scoperto quanto è forte il mio legame con il Flusso una volta che fossimo giunti qui, per cui vorrei sapere quando succederà.»
«Pochi giorni dopo la Prova. Ti verrà prelevato del sangue e verrà esaminato. Ma poiché rilevare la presenza del Flusso è molto complicato, viene fatto per tutti insieme, per te e per i nuovi futuri Cavalieri. Quindi abbi ancora un po’ di pazienza.»
«D’accordo.»

 

 

 

~

 

 

 

Ben ritrovati tutti! Da oggi ho deciso che pubblicherò sempre di domenica. Questo non significa che ci sarà un aggiornamento ogni settimana, ma se non dovessi finire un capitolo entro la domenica lo pubblicherei quella dopo. In ogni caso, il capitolo sarà online solo ed esclusivamente nel di’ di festa.

 

Ringraziamenti:

1)  Bankotsu. Beh, è un ladro, per cui è naturale che sia un genio dell’improvvisazione e dell’osservazione. E finalmente ho trovato dove farlo essere meno ferrato, nonostante le potenzialità sarebbero incredibili, ma non dico niente di più. Vedrai Syrius come utilizza gli incantesimi di oscurità più avanti, quello della Setta era solo una nullità. Non è che Evendil sia interessato a coinvolgere persone innocenti, semplicemente non è interessato a non coinvolgerle! Non ti dico se la Gilda otterrà informazioni rilevanti o meno prima del quarto anno di addestramento di Siirist, ma ti dico che saranno comunque inutili, e sai già perché. Tamriel è esattamente come era presentata nella prima versione, ho semplicemente fatto copia e incolla! E per quanto riguarda Evendil che terrà testa a Siirist anche dopo il legame con Rorix (ormai si può dire), beh, prima che il Cavaliere d’Inferno raggiunga il 100% del legame con il drago ce ne vorrà, inoltre Evendil è un esperto di tutte le arti mistiche a parte l’alchimia e con la spada non scherza. Come ho scritto in uno degli ultimi capitoli (non ricordo in quale! XD), si sta addestrando in un particolare stile che sarà decisamente importante nel futuro di Siirist, anche se ne passerà di tempo prima che lo impari. E quando finalmente vedremo Evendil dare il massimo, sarà lo scontro più sensazionale che abbia mai scritto. Sostanzialmente ci sono tre battaglie colossali in tutta questa storia e quella di Evendil sarà la prima. Credo che ci metterò due settimane solo a scrivere quella scena!

2)  Angelickall. Il mago è scarso perché nella Setta ci sono così tante persone che è naturale che non tutti siano fortissimi. E comunque l’incantesimo che stava lanciando avrebbe ucciso Siirist se avesse raggiunto la zona d’ombra, quindi non era poi così debole, solo era estremamente lento e aveva il problema di dover restare immobile per concentrare meglio l’energia. Ci saranno più avanti molti maghi che dovranno fare così, poiché questo è indice di legame debole con il Flusso e bassa capacità di richiamare l’energia. Non tutti sono dotati come Evendil!

3)  xevel. Sì, Siirist ha decisamente molto “ “Fattore C” ”! Sì, il prossimo è il capitolo dove finalmente nasce Rorix! Inoltre verrà menzionata la misteriosa Alea di cui si parlava sulle recensioni dei primi capitoli e si conosceranno le abilità di Aulauthar, Syrius, Althidon e Adamar, un altro Cavaliere del Consiglio.

 

Il prossimo capitolo si intitola RORIX.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** RORIX ***


RORIX

 

Evendil era appena entrato nella sua camera da letto e Siirist aveva iniziato ad organizzare i suoi oggetti personali su un tavolino nell’angolo alla sinistra del divano. Appoggiò la sua cintura reggente le due spade, quella con il pugnale e le pozioni, lo scudo, l’arco e la faretra, i guanti in mithril ed il kit da scassinatore.

‹Quanto avrei voluto tenere l’equipaggiamento usato nella missione! Non tanto per il pugnale, ma le pozioni erano fantastiche, senza contare l’armatura!›

‹I draghi avevano ragione, la tua mente è facilmente penetrabile. Fino ad oggi non mi sono mai impegnato seriamente ad invaderla, però è proprio semplice. Lascia perdere le pozioni, quando saprai usare la magia, ti saranno inutili!›

‹Gradiresti uscire dalla mia testa, per favore?›

‹Non ho voglia di urlare e volevo dirti che ci alleneremo con l’arco prima di cena, per cui prendilo e esci in cortile.›

‹Sissignore.› rispose stanco il ragazzo.

Prese le armi necessarie ed uscì dall’appartamento. Camminando lungo il corridoio, vide arrivare un Cavaliere accompagnato da un drago verde acqua, anche esso, come tutti gli altri che Siirist aveva visto, era grande quanto un mastino. Il Cavaliere era vestito con una tunica ed un paio di calzoni beige, stivali e guanti neri. Alla vita portava una cintura bianca reggente una spada ad una mano sul fianco sinistro ed una mazza su quello destro, il mantello era dello stesso colore del drago. Il giovane lo aveva visto nel Consiglio ed aveva notato come fosse stato sempre un po’ più sulle sue rispetto agli altri.

«Ci rivediamo, futuro Cavaliere d’Inferno.» mormorò appena, con accento stentato e tono annoiato.

Il drago fissò il ragazzo con i suoi occhi smeraldo, e questi non poté non notare come il riflesso della gemma che costituiva il pomolo della spada del Cavaliere fosse uguale.

«Aa’ i’ elenea vara lle.» si inchinò il ragazzo.

«Ar’ aa’ lle hyanda rema maeg.» rispose con la stessa piattezza l’elfo.

Come Siirist lo osservò procedere lungo il corridoio, si ritrovò nella sua scia di muschio.

«Ancora qui?»

Evendil era appena uscito dalla sua abitazione e aveva raggiunto il futuro Cavaliere.

«Mi sono imbattuto in un Cavaliere del Consiglio.»

«Chi?»

«Non conosco il nome. Il suo drago era verde acqua.»

«Si chiama Adamar ed il drago Varin.»

«Sembrava così stanco.»

«Sì, è vero. È molto vecchio, ha quasi duemila settecento anni, è il Cavaliere in vita più anziano.»

«Ah!»

«Inoltre credo che anche la sua specializzazione lo abbia portato ad essere così pacato.»

«Cioè?»

«È un mago di terra. In tutta la sua vita ha studiato esclusivamente l’elemento terra e se fossi un novellino ti direi che sa tutto quello che c’è da sapere a riguardo.»

«Che intendi?»

«Voglio dire che solo un novellino affermerebbe che un mago è capace di scoprire tutti i segreti di un elemento. Non c’è mai limite a quello che si può fare con la magia. Pensa che un mago d’acqua potrebbe addirittura far cristallizzare un suo getto in modo tale da generare un diamante.»

«Ma non è possibile. Mi hai detto tu che la magia segue il corso della natura, e l’acqua non diventa diamante.»

«Mi sono dimenticato di aggiungere che il mago può anche piegare le leggi naturali? Io so far levitare gli oggetti, ma fisicamente sono attratti al terreno grazie alla gravità.»

«Ma tu generi delle correnti d’aria sotto agli oggetti e li fai alzare.»

«Te ne sei accorto?»

«Con tutte le volte che hai usato quel trucchetto su di me?!»

Evendil rise.

«Vedi, la magia ha in sé anche una gran parte di fantasia. Utilizzando l’esempio di prima, ad un mago basterebbe vedere il nesso che c’è tra l’acqua ed il diamante. Unisci la specializzazione in acqua alla capacità di alterare la composizione chimica e hai tutto quello che ti serve per creare un diamante.»

«Ma tornando ad Adamar, cos’è in grado di fare?»

«Volendo, sarebbe capace di attrarti a sé sfruttando la presenza di ferro nel tuo sangue. Ma il suo incantesimo preferito riguarda la sabbia. La sa controllare e manipolare a piacimento. Inoltre è in grado di generarla come vuole. Utilizzando un pizzico di elemento acqua, ha il potere di seccare e polverizzare qualunque oggetto o animale. Ma la cosa più sorprendente, è che è in grado di trasformare il suo stesso corpo in sabbia e ricomporsi a piacimento. Nessun mago in tutta la storia è mai riuscito a trasformare il suo stesso corpo in un elemento.»

«Quanto è forte il suo legame con il Flusso?»

«3600.»

«Ma è poco!»

Evendil si bloccò e fissò il ragazzo.

«Ti sei forse dimenticato di quanto sia la media? Tra tutti i maghi che conosco, solo lui, Althidon, Aulauthar e Syrius superano il 1000!»

«Ma tu ce l’hai di 50000!»

«E ti ho detto che è sconvolgente. Non ti credere che tutti abbiano un livello tanto alto!»

Siirist annuì.

«Quanto hanno gli altri, invece?» chiese poi.

«Althidon 2800, Aulauthar 5000, Syrius 3120. E non dimentichiamoci dei Cerchi d’argento.»

«Ah giusto. Ma di quanto potenziano gli incantesimi? E non mi hai detto come fa un Cavaliere a procurarseli.»

«Quando un Cavaliere tocca il suo drago per la prima volta, nel punto in cui avviene il contatto si forma un cerchio argentato in grado di potenziare ogni incantesimo lanciato di ben dieci volte. Per cui Aulauthar è in grado di lanciare una magia potente esattamente quanto una mia.»

«Sconvolgente! Pensa se tu fossi un Cavaliere! I tuoi incantesimi sarebbero...»

«Lo so, ma è inutile pensare ai “se”.» lo interruppe.

Il ragazzo guardò l’elfo, lo sguardo di questi improvvisamente cupo. Siirist si diede dell’idiota.

«Che volevi dire che la specializzazione di Adamar può aver influenzato il suo carattere?»

«Quando un mago si avvicina tanto ad un elemento, ne prende alcune caratteristiche. Solitamente vengono studiati almeno due elementi, per cui gli effetti vengono bilanciati. Specializzandosi nel fuoco, si diventa leggermente più irascibili, con il vento più spensierati, con la luce più riflessivi, con l’acqua più impetuosi, con l’oscurità più pazienti, con il fulmine più estatici, con la terra più calmi.»

«Tu sei irascibile, per niente spensierato e abbastanza riflessivo.» osservò il giovane.

«A te farebbe bene studiare luce, oscurità e terra. E evita assolutamente vento e acqua.» rispose  a tono Evendil.

«Sono d’accordo!» rise.

«Ma vedrai come il tuo carattere cambierà anche dopo il legame con il drago.»

«Come mai?»

«Perché le vostre menti saranno legate. Una parte del suo carattere sarà trasmessa a te e viceversa. Anche l’aspetto fisico sarà leggermente cambiato. I tuoi lineamenti saranno leggermente più aggressivi, mentre quelli del tuo drago più addolciti.»

«Mi pareva infatti che i tratti degli elfi che ho visto qui fossero più virili dei tuoi! Persino quelli delle donne!»

Evendil lo fissò bieco, lottando con se stesso per non picchiarlo.

«Ma non mi pare che i draghi fossero tanto dolci.»

«Capirai quando vedrai un drago selvatico.»

I due si erano seduti sul prato fuori dall’edificio, osservando la Rocca. Finito di parlare, si alzarono ed iniziarono l’addestramento con l’arco.

«Dunque, impugna l’arco, incocca la freccia, tendi la corda e mira al centro di questo cerchio di fuoco.»

Evendil schioccò le dita e ad un metro da lui comparve una fiamma dalla forma circolare, con il diametro di dieci centimetri.

«Non mi segni la mosca?»

«Inutile. Quando combatti e devi colpire il centro di qualcosa non c’è un punto preciso, devi riuscire da solo a capire qual è.»

«Mi stai trattando come se fossi un maestro del tiro con l’arco. Questo esercizio potrebbe essere utile se stessi usando i coltelli da lancio, ma con l’arco sai che non sono capace.»

«Sempre a lamentarti.» si spazientì l’elfo.

Siirist vide che attorno all’indice destro del maestro si stava concentrando dell’energia che pareva congelare l’aria, e sgranò gli occhi quando questi toccò un punto nell’aria al centro del suo cerchio, il quale si ghiacciò.

«Contento?»

«Ma non è tutto un po’ piccolo? Per essere un novizio, non dovrei allenarmi con bersagli più grandi?»

Il tic nervoso sul sopracciglio di Evendil suggerì al ragazzo di stare zitto e scagliare la freccia. Il dardo entrò nel cerchio di fuoco, ma scheggiò e basta la sfera di ghiaccio.

«Visto? Senza avrei fatto anche peggio.»

«Ritenta.»

 

«Hai fatto schifo.»

«Beh, non direi proprio “schifo”. Dopotutto sono riuscito a colpire il blocco di ghiaccio!»

«Ma non a centrarlo.»

«Dovrò pur imparare, no?»

«Tutte scuse.»

«Prossima volta usiamo la tua fronte come bersaglio, sono sicuro che riuscirei a fare un centro perfetto!»

«Come questo?»

«Eh...?»

Il pugno di Evendil si abbatté sulla fronte di Siirist, sbattendolo a terra.

«Ahia!»

«Alzati, è ora di andare a cena.»

Siirist aveva la testa rivolta all’indietro e vide qualcosa di sorprendente. Syrius era seduto su una poltrona di pelle nera, di squisita fattura, con a terra un cuscino dello stesso materiale su cui riposava Moreus, e stava scrivendo su un libro.

«Che sta facendo?» domandò il ragazzo rialzandosi.

«Sta scrivendo sul suo grimorio.»

«Sul suo che?!»

«Il grimorio è il libro di un mago. Poiché lo studio degli incantesimi può rendersi complesso, un mago tiene una sorta di diario in cui annota tutte le scoperte che ha fatto. Il grimorio di un mago è l’oggetto più prezioso che possiede e non esiste né in cielo né in terra che lo faccia leggere a qualcun altro.»

«Ce ne hai uno anche tu?»

«Naturalmente.»

«Mi fai dare un’occhiata?»

«Ma mi ascolti quando parlo?!»

«Se sei il mio maestro, dovresti insegnarmi quello che sai.»

«Quando completerai il tuo terzo anno di addestramento e quindi dovrai decidere in che elementi specializzarti, ti seguirò se vuoi e ti aiuterò, magari ti insegnerò anche qualche segreto, ma non chiedermi mai di rivelarteli tutti. Chiedere ad un mago di leggere il suo grimorio è come chiedere ad una sacerdotessa di venire a letto con te.»

«Fatto.»

«Cosa?!»

«Due anni fa. Ma disse di no.»

«Non hai pudore.»

«Me l’ha detto spesso anche Keira.»

«Sei vomitevole.»

«Anche questo.»

Siirist, sorridendo, si voltò nuovamente verso il Cavaliere nero.

«Ma che ci fa una poltrona come quella all’aperto?»

«L’ha creata lui con la magia, rendendo fisica l’oscurità.»

«Ma come...?»

«Syrius e Aulauthar sono gli unici maghi che siano riusciti a rendere l’oscurità e la luce tangibili. Riescono a realizzare tante cose sorprendenti, lo so.»

«E tutto il procedimento per farlo è scritto nei loro grimori?»

«Precisamente.»

«Verrebbe voglia di andare a darci un’occhiata...»

«Non provarci nemmeno! Ti ho detto che i furti sono imperdonabili. E se provassi a farlo, credo che verresti condannato a morte.»

«Ho detto che verrebbe voglia, non che lo farei davvero!»

I due si erano intanto incamminati verso la mensa e vi erano entrati. Siirist vide come tutti i Cavalieri a cui passavano vicini si inchinassero ad Evendil e fissassero lui.

«Ma che vogliono?» bisbigliò.

«Le voci girano, ormai tutti sanno che tu sei il futuro Cavaliere d’Inferno.»

«Ah, ecco.»

«Skryrill che razza di drago è, invece?»

«Si chiama Custode, ed il suo bonus è di 500.»

«Molto vicino a Moreus, allora.»

«Vero.»

«E cosa sa fare esattamente Aulauthar?»

«Come ti ho detto prima, è riuscito a dare forma solida alla luce. Anche io sono in grado di lanciare attacchi di luce sotto forma di raggi in grado di tagliare, come quando lanciai quella freccia lucente al bandito che ci attaccò lungo la strada, ricordi?»

«Sì.»

«Ma è tutta un’altra cosa rispetto a quello che sa fare Aulauthar. Lui è in grado di creare degli oggetti veri. Uno dei suoi incantesimi preferiti è l’Armatura di luce: avvolge il suo corpo in un alone di luce che poi trasforma in un’armatura argentata, che a toccarla sembra fatta di metallo, ma in realtà è leggerissima e indistruttibile. Per infrangerla bisognerebbe lanciare un incantesimo più forte, ma poiché per essa utilizza tutto il suo Flusso, ha una forza di 50000 douriki.»

«Ma a cosa serve creare degli oggetti reali? Se tanto anche tu sai dare forma solida alla luce, che cambia?»

«Cambia perché se io volessi avvolgermi in un’armatura di luce, potrei farlo, e avrebbe lo stesso effetto, ma resterebbe comunque un incantesimo, per cui dovrei costantemente fornirle energia, per cui dovrei sacrificare una parte di Flusso per l’armatura. Invece Aulauthar dà forma a degli oggetti veri, per cui non deve costantemente alimentarli di energia. Poi va beh, ci sono anche dei modi di controllare il Flusso che ti permettono di alimentare vari incantesimi contemporaneamente, ma ci sto ancora lavorando.»

«Di che parli?!» domandò eccitato Siirist.

«Ti ho detto che ho un controllo notevole sul mio Flusso vitale, no? Ma è una tecnica che sto ancora mettendo a punto, per cui non ti dico altro.»

«E tutto il tuo studio è appuntato sul tuo grimorio, giusto?»

«Naturalmente.»

«Ma con gli altri elementi in cui è specializzato, che sa fare Aulauthar?»

«Beh, con il vento è in grado di generare folate potentissime, di far levitare, di creare sferzate taglienti e quant’altro. Con il fuoco sa creare vampate così calde da scogliere il metallo. Niente di speciale, quindi, solo molto potente.»

«Ma per quello ci vuole poco, se si ha un livello di Flusso alto! Basta saper richiamarlo tutto e lanciare la magia!»

«Credi davvero che sia così semplice? Ormai dovresti aver capito che c’è sempre una fregatura nell’uso della magia! Non bisogna solo essere in grado di lanciare la magia, ma anche di riuscire a controllarla! Se io fossi un Cavaliere, ci penserei due volte prima di lanciare un incantesimo al massimo della potenza, perché sarebbe di 500000 douriki! E dubito che alla mia giovane età sarei in grado di controllare una magia del genere. Se fosse un incantesimo di fuoco, potrebbe sfuggirmi dal controllo e bruciare l’intera Rocca!»

«Ah ecco.»

Siirist mosse un passo in avanti lunga la fila, procedendo verso i vassoi. Ne prese uno e ne passò un altro ad Evendil. Dopo qualche minuto passato a chiacchierare di vari incantesimi, Siirist riuscì finalmente ad arrivare al cibo. Prese un piatto abbondante di insalata mista, varie pagnotte, due mozzarelle ed una porzione di lasagne.

I due poi cercarono un tavolo con due posti liberi e si sedettero.

«Però le lasagne sono più buone con il ragù.» commentò il giovane.

«Niente carne qui.»

«Cosa?!»

«Non troverai mai carne nella cucina di un Cavaliere e di un elfo. Se strettamente necessario la mangiamo anche, ma preferiremmo di no.»

«E come mai? Io adoro la carne! Ora mi sta venendo voglia di una tagliata di vitello con olio, rosmarino ed un tocco di aceto!»

«Mi stai facendo venire la nausea.»

«Ma perché, scusa?!»

«Durante il tuo addestramento imparerai ad apprezzare la cucina priva di carne.»

«Ne dubito, ma vedremo.»

«Ma tu sei il futuro Cavaliere d’Inferno! Con il bellissimo ~mmmmm Evendil!»

Siirist fu interrotto a metà del suo boccone e si voltò di scatto, potendo giurare di aver sentito la voce di Hermeppo. Davanti a lui vi era un Cavaliere dall’aspetto giovane, ordinati capelli castani tenuti corti, ma pur sempre vellutati, sulla nuca, mentre due lunghe trecce agghindate scendevano dalle basette. Al suo fianco sinistro vi era una spada con una pietra dal colore ambiguo, tra il rosa ed il fucsia, e accanto a lui un drago dello stesso colore.

«Eh...?» Siirist arricciò la bocca e guardò storto la persona che aveva di fronte.

«Sparisci, Adeo.» intimò Evendil, alzando gli occhi dal suo piatto.

«Ma perché sei sempre così cattivo con me, ~mmmmm Evendil!» si rattristò e fece il broncio il Cavaliere.

Siirist sgranò gli occhi terrorizzato e orripilato, per poi voltarsi immediatamente verso l’elfo e fissarlo preoccupato.

«E tu perché devi sempre emettere quel fastidioso e nauseante suono prima di pronunciare il mio nome?» Evendil aveva i brividi.

Siirist si pietrificò quando sentì qualcosa accarezzarlo sulla coscia, molto vicino all’interno: guardò giù di scatto e vide il drago fargli gli occhi dolci.

«Adeo!» tuonò una voce.

Il Cavaliere, sentendo chiamare il proprio nome, quasi saltò per lo spavento e si ricompose, così come fece anche il drago. Chi aveva parlato si avvicinò con passo deciso, al centro dello sguardo di tutti, seguito da un drago rosso scuro. I lunghi capelli tenuti legati dell’uomo erano dello stesso colore ed alla cintola portava una spada a sinistra ed un’ascia a destra.

«Chiedo immensamente scusa per il disturbo arrecatovi dal mio subordinato, nobile Evendil, futuro Cavaliere d’Inferno. – e piegò la testa per la vergogna. – Ora tu vieni con me.» intimò poi a denti stretti.

Siirist osservò sconvolto come il Cavaliere appena giunto trascinasse via per il collo l’altro, mentre il drago del primo prendeva a morsi il secondo. Come i quattro furono usciti dalla sala della mensa, il giovane si girò istantaneamente verso l’elfo.

«Adesso tu mi spieghi cosa diavolo è appena successo.»

«Hai appena conosciuto Adeo, il più grande imbarazzo dell’Ordine.»

«Credo di potere immaginare il perché.» rabbrividì.

«Già. Ma la cosa più imbarazzante è che è da esempio per tutti i più giovani.»

«Cosa??!!?!»

«Hai mai sentito parlare di un drago omosessuale?»

«No.»

«Appunto. Però credo tu abbia notato come si comportava stranamente il suo.»

«Avrei preferito di no.»

«Adeo ha la mia età, ci siamo conosciuti durante la Prova. Ma nonostante tutto, il suo legame con il drago è al massimo, o quasi, tant’è che il povero Skimir si è ritrovato condizionato dalla mente pervertita di quel maniaco feticista.»

«Non poteva essere il contrario...?»

«È quello che speravano tutti.»

«Non stento a crederci.»

«Ma si dia il caso che Adeo sia un portento con la mente, è il più bravo tra tutti i suoi coetanei e anche molti tra i più anziani, anche di mezzo millennio più vecchi, mentre Skimir appartiene ad una delle famiglie di draghi meno forti.»

«Come si chiamano?»

«Non hanno nome. Poche sono le famiglie di drago con il nome, giusto gli Inferno, gli Incubo, i Custodi, e pochi altri.»

«E chi era quello che è venuto a prenderlo?»

«Ren, il suo vice-capitano, con il suo drago Zabi. Poveraccio, mi dispiace tanto per lui, che si deve sopportare quel finocchio in calore. Però Adeo resta pur sempre uno dei migliori guaritori che ci siano.»

«Perché?»

«Adeo è un eccellente guaritore perché è un maestro di magia organica. Poiché è così bravo con la mente, in uno scontro riesce facilmente a penetrare quella avversaria, e per questa ragione si è specializzato nel uccidere dall’interno.»

«Ah sì, mi ricordo che ti avevo chiesto se non fosse più logico eliminare qualcuno semplicemente recidendo una terminazione nervosa.»

«Precisamente, Adeo lo fa con estrema facilità. Inoltre non è molto dotato con il Flusso, quindi il tutto è ben mirato.»

«E se non dovesse riuscire a superare la barriera mentale del nemico?»

«Spada e incantesimi di fuoco e di vento.»

«Capito. Che mi dici di Ren, invece? Non mi avevi mai parlato di vice-capitani.»

«L’Ordine dei Cavalieri è diviso in dieci divisioni ed ogni Cavaliere che ha concluso i suoi cinque anni di addestramento viene assegnato ad una di esse. Per diventare capitano bisogna avere dei prerequisiti minimi, come l’essere specializzati in almeno tre elementi, avere un minimo di 30000 douriki, avere almeno mille anni, essere dei completi maestri del combattimento con la spada in tutte le forme utilizzate dai Cavalieri, della lotta a mani nude e sapersi trovare a proprio agio con qualunque arma. Ma ci sono sempre le eccezioni. Ad esempio Adamar, che ora è nel Consiglio, nonostante sia specializzato solo nell’elemento terra, grazie al suo alto legame con il Flusso e alla sua conoscenza profonda della sua specializzazione, diventò capitano. O anche Eimir, altro membro del Consiglio, con un legame di 60, conosce solo le basi della magia, ma è un invocatore e stregone come nessun altro. Tutti i membri del Consiglio erano un tempo capitani o Maestri.»

Siirist annuì.

«Quindi Ren, per essere un vice-capitano, deve essere molto forte.»

«Abbastanza, ma non quanto tu possa immaginare. Per essere vice-capitano ci vuole molto meno che per essere capitano, basta essere specializzati in almeno due elementi, avere 20000 douriki, mezzo millennio di vita, saper utilizzare tutte le forme di combattimento con la spada e saper perfettamente sfruttare il Jar’kai con la spada e la propria arma secondaria. Può succedere che un sottoposto con molto talento eventualmente lo superi e diventi capitano. Impegnandomi lo riesco a battere, con Adeo invece non ho problemi.»

«Usando l’Ataru, però.»

«Certo, senza non potrei niente contro nessun Cavaliere!»

«E in cosa è specializzato Ren?»

«Fuoco, aria e terra.»

«Di che squadra fa parte?»

«La sesta.»

«Ed il capitano com’è?»

«Si chiama Bial ed il suo drago turchese Silvir, che gli fornisce un bonus di 360 douriki. È originario di Arcadia, ha un legame con il flusso di 600 ed è specializzato in luce, terra, acqua e fulmine. È tra i maghi più potenti, escludendo naturalmente i casi rari che superano il 1000, ed oltre a ciò ha una vasta conoscenza della magia, per cui riesce a capire che tipo di incantesimo stia per lanciare un altro mago solamente percependo l’energia che lo circonda. Ma ciononostante lo riesco a battere, poiché i miei livelli sono superiori ai suoi.»

«Se tu fossi un Cavaliere saresti un capitano, da quello che mi dici.»

«Il più potente, senza ombra di dubbio, ma di certo non il più esperto. Ti ricordo che sono ancora giovane. Per quanto la nostra potenza magica non sia minimamente paragonabile, Bial sa molto più di magia di me. Sarà un umano, ma ha quasi milleduecento anni.»

«Da quello che mi dici, la magia è più testa che potenza.»

«Il combattimento in ogni sua forma è 80% ragionamento e calcolo e 20% forza, tienilo bene a mente.»

«Annotato.»

I due avevano intanto finito di mangiare.

«Adesso vieni, andiamo ad allenarci con la spada.»

«Sì.»

 

Siirist ed Evendil passarono tutta la giornata ad allenarsi nel Makashi. L’elfo aveva mostrato al ragazzo nuove guardie, posizioni e attacchi, spesso rimproverandolo per la troppa rigidità che aveva nella spalle e nelle gambe. Nell’ultima ora di allenamento Siirist aveva per la prima volta iniziato ad usare il braccio destro, in quanto il mezzo dunmer gli aveva fatto imbracciare lo scudo e mostrato diversi tipi di parata e di attacco.

«Ma a cosa mi serve uno scudo se tanto dovrò imparare a combattere con due armi?»

«Ogni Cavaliere sa usare la combinazione spada-scudo. Solo perché solitamente li vedi armati con due armi, non vuol dire che in caso di battaglia non possano equipaggiare uno scudo.»

«Giusto. Senti, stavo pensando ad Althidon ed Aulauthar.»

«A cosa di preciso?»

«La loro arma secondaria. Ho visto che Althidon ha una daga con un’elsa strana, in quanto al posto del pomolo ha una specie di gancio.»

«È proprio di questo che si tratta, serve ad unire la sua spada corta alla sua spada, creando così una sorta di lancia con due lame.»

«Fico! E Aulauthar? Per quanto è forte mi aspettavo qualcosa di meglio, visto che tutti hanno armi migliori, mentre lui ha solo un pugnale.»

«Siirist, non finirò mai di stupirmi di quanto tu sia ingenuo. O stupido, dipende da come vedi la cosa.»

«Ehi!» replicò offeso e arrabbiato.

«Hai poco da agitarti, hai detto una cretinata e te l’ho fatto notare. Aulauthar utilizza la forma di Jar’kai più complessa, la stessa che usava il tuo antenato.»

«Ma Eleril usava due spade, non spada e pugnale.» Siirist non capiva.

«E pensi che andasse in giro con due spade? I Cavalieri dei draghi sono i guerrieri più forti delle nazioni alleate e questo vuole che siano esperti nel combattimento a mani nude, a mano singola armata e a due mani armate, che utilizzino due armi separate o una che necessiti l’uso di entrambe le mani. Per questo la tradizione vuole che i Cavalieri portino una spada ed un’arma secondaria. Ma l’arma più importante resta comunque la spada, tant’è che alla secondaria non viene nemmeno dato un nome. Per questo la secondaria ha sempre una grandezza inferiore, come tutte le asce, mazze e daghe che hai visto. Il pugnale che porta Aulauthar è particolare, poiché può magicamente cambiare forma e diventare una spada identica a Vesta en’ siir. Anzi, dovrei dire che è una spada che ha la facoltà di trasformarsi in pugnale per essere riposta nel fodero.»

«Quindi Aulauthar utilizza il Jar’kai a doppia spada...» si disse affascinato Siirist.

«Sì, quello che pateticamente hai cercato di utilizzare tu durante le nostre prime sessioni di addestramento.»

«Ed è l’unico in tutta Vroengard?» domandò ignorando completamente la presa in giro dell’elfo.

«No, l’unico in tutto l’Ordine. Non dimenticare i vari Cavalieri in giro per Tamriel.»

«Sì, giusto. È incredibile.»

«Vuoi farti insegnare da lui?»

«Non ancora, quando sarà il momento. Mi hai detto che dovrò scegliere la mia arma secondaria all’inizio del quarto anno, giusto? Sarà allora che gli chiederò di insegnarmi.»

«Bravo, è questa la risposta che volevo. Ora andiamoci a cambiare che dobbiamo andare a cena, e siamo stati invitati a mangiare con gli anziani.»

 

Siirist era appena entrato nel bagno di marmo bianco e si era svestito. Aprì la porta della doccia e girò la manopola, facendo uscire l’acqua. Mise la mano sotto il getto per sentirne la temperatura ed entrò, trovandola rinfrescante al punto giusto. Inizialmente restò immobile con gli occhi chiusi, godendo tutte ogni goccia che lo accarezzava sulle spalle irrigidite ed indolenzite.

‹Questo è perché non stavi rilassato.›

‹Vuoi lasciarmi almeno cinque minuti di pace?! Ricordo bene che quando ero nel tunnel segreto per entrare nel cortile del castello di Anvil mi hai detto di potermi vedere con il tuo occhio mentale! Vedi, insomma, adesso sarei nudo.›

‹Allora? Sono un uomo anche io.›

‹È esattamente quello il problema.›

Siirist sentì il fastidioso elfo ridacchiare prima di uscirgli dalla testa. Scuotendola come a velocizzarne l’azione, prese il sapone ed incominciò ad insaponarsi il corpo.

Finito di lavarsi, uscì dalla cabina e prese un asciugamano, passandoselo sul busto per poi arrotolarlo attorno alla vita. Si avvicinò allo specchio e si guardò, l’attenzione colta dalle quattro cicatrici nel gran pettorale destro, tra la spalla e la clavicola, lasciate dagli artigli del grem. Si girò di cento gradi storcendo la testa, per vedere i segni nei punti corrispondenti dalla parte opposta.

‹Me la sono propria vista brutta quella volta.›

Iniziò anche a chiedersi se con le conoscenze che aveva ora sarebbe stato capace di sconfiggerlo anche senza quel misterioso potere.

‹A proposito...›

«Scordatelo, non ti dico nulla.»

«Ma che...?!»

Evendil era appena entrato nel bagno, iniziando a spogliarsi.

«Scusa?! Il concetto “tu mi hai visto nudo per cui io devo fare lo stesso” lo applico solo alle ragazze, che diavolo credi di fare adesso?!»

«Problemi?»

«Beh sì, cioè no, nel senso non sto a giudicare i gusti degli altri, ognuno è libero di scegliere l’orientamento sessuale che preferisce, ma io non la penso così, insomma...»

«Vuoi fare silenzio? È tardi e devo farmi anche io la doccia.»

Evendil, scocciato aveva finito di spogliarsi, così che Siirist lo potesse vedere completamente come mamma l’aveva fatto.

«Ma... – incominciò a sghignazzare il giovane. – Non hai neanche un pelo...! Io ce l’avevo così a dodici anni!»

«Hai finito di asciugarti?»

Il tono sorprendentemente calmo di Evendil comunicò a Siirist che stava per abbattersi una catastrofe sulla sua testa. Ma il messaggio non giunse appieno che il ragazzo si lasciò sfuggire la risposta.

«No...»

«Ti aiuto.» ed attorno alla destra dell’elfo cominciò a concentrarsi dell’energia.

La fiammata partì violentemente ed andò ad abbattersi contro lo specchio, frantumandolo, mentre Siirist saltava di lato e correva fuori dal bagno.

‹Preferivo quando era Keira a dirmi che aiutava ad asciugarmi. Di certo non stava a tirarmi palle di fuoco!›

L’asciugamano attorno alla vita si sollevò appena.

‹Sei un pervertito.›

‹Maledetti draghi! Perché diavolo hanno dovuto dire che la mia mente è facilmente violabile?! Ti preferivo quando non ci provavi!›

‹Non ti conviene insultare Skryrill e Moreus, potrebbero sentirti.›

‹Di questo passo mi abbasso a chiedere aiuto ad Adeo per imparare a chiudere bene la mente!›

‹Come ti pare, basta che stai attento a non abbassarti troppo in sua presenza.›

‹Mi pare che fossi tu quello per cui ha un debole. La prossima volta che faccio la doccia e dopo tocca a te, lascio la saponetta a terra e gli dico di mettersi in agguato, così che quando entri tu e ti abbassi a prenderla...›

‹Molto divertente.›

 

Mezz’ora dopo, alle otto e mezza, i due uscivano dagli appartamenti degli anziani diretti ad uno degli edifici accanto alla mensa dove avevano mangiato a pranzo. Erano entrambi vestiti elegantemente, Evendil con abiti verde chiaro, Siirist azzurro acceso.

«Dovrai cominciare a vestirti più di rosso.» osservò l’elfo.

«Un mantello, ad esempio?» che comprese il motivo.

«Adesso non esageriamo, solo gli anziani indossano un mantello. Ma tendenzialmente ogni Cavaliere indossa almeno un capo di abbigliamento del colore del proprio drago.»

«Vedrò di fare qualche compera, allora.»

Entrarono nella sala arredata sfarzosamente, divani, tappeti e drappi, dipinti, candelabri e tavoli circolari circondati da sedie di legno pregiato rivestite di cuscini.

«Mi ricordo la mensa dei comuni mortali essere un po’ più spartana. No, forse non solo un po’, visto che erano lunghe tavolate con panche. Decisamente più spartana. Vedo che i vecchi si trattano bene.» commentò Siirist a bassa voce, così che solo Evendil potesse sentirlo.

O almeno così aveva sperato: tutti i presenti si zittirono istantaneamente, rivolgendo i loro sguardi duri e freddi verso il ragazzo; alcuni draghi ringhiarono. Evendil si nascose la faccia tra le mani, mentre Althidon sospirava e Aulauthar sorrideva.

«Vedo che il nostro futuro Cavaliere d’Inferno ha sempre lo stesso atteggiamento. Althidon, vedi di insegnargli il rispetto per i suoi superiori oltre che a combattere.» commentò tra il divertito e l’acido Syrius.

«Sarà fatto.» rispose indispettito.

«Vieni, Siirist, sediamoci ed iniziamo mangiare. Evendil, amico mio, non fare quella faccia, è un bene che il ragazzo abbia un carattere forte.» esclamò il Cavaliere d’argento.

«Sarà, ma Syrius ha ragione.» scosse la testa il mezzo dunmer, tentato più che mai dall’uccidere Siirist una volta per tutte.

I tre e Althidon si sedettero ad uno dei tavoli, mentre alcuni servitori umani si avvicinarono a chiedere l’ordine.

Durante il pasto, Syrius si avvicinò al loro tavolo.

«Hai sentito, Althidon, la giovane Ilyrana affronterà la prova quest’anno.»

«Sì, ho sentito. Perché lo dici a me? E perché nella lingua degli umani, soprattutto?»

«Perché è di interesse per Siirist.»

«Come?» il giovane rivolse lo sguardo al Cavaliere nero.

«Non ricordi che la ragazza è il secondo elfo più dotato nel Flusso vitale degli ultimi quattro millenni, con un legame di 36000 douriki?»

Siirist strabuzzò gli occhi.

«Oh, è vero. Dunque se risulta essere la prescelta di una delle uova, dovrei addestrarla io, in quanto sarebbe un ottima sfida per Siirist.»

«Precisamente. E se fosse la prescelta dell’Incubo potrebbe facilmente essere più forte del nostro Siirist.»

«Non credo.» rispose Evendil.

«Che vuoi dire?»

«Althidon, ricordi che quando io e Siirist siamo arrivati alla Rocca ti ho detto che c’è una nota interessante a proposito di lui?»

L’elfo interessato annuì.

«Poi non ho avuto l’occasione di parlarne né a te, né al Consiglio, infatti dobbiamo rimediare il prima possibile, ma questa sua particolarità impedirà a chiunque di essere più forte di lui.

«Per come ne parli sembra quasi che si tratti di...» incominciò a supporre Aulauthar.

«Credo abbiate capito, Aulauthar, ma ritengo sia meglio non parlarne troppo davanti a lui.»

«No, infatti, parlate dei fatti miei per conto vostro.» bofonchiò Siirist.

«Credo di avere capito anche io, ma ne parleremo nella sala del Consiglio. Ora vi lascio finire di mangiare.» e Syrius tornò al suo tavolo.

«Dunque Alea Ilyrana ha finalmente raggiunto i vent’anni. Ho sentito dire che ha ereditato tutto il portamento nobile della sua casa.» disse Althidon.

«E con questo cosa volete dire?» domandò Siirist.

«Significa che è un’arrogante, montata, snob insopportabile.» spiegò Evendil.

«È quello che temevo.»

«Evendil, perché la descrivi così male? Anche tu sei di nobili origini.»

«Appunto per questo so cosa significa avere “portamento nobile”, Aulauthar.»

«Siirist, non lasciarti condizionare da Evendil. Alea è la erede della casata Ilyrana, una delle famiglie nobili più importanti del regno elfico, la principale di Imladris. È posata, elegante, educata e di una bellezza unica. Non l’ho mai vista personalmente, ma ho sentito dire che è la fanciulla più bella che si sia mai vista a Imladris da almeno duemila anni.»

«Come vorrei che diventasse un Cavaliere, così sarebbe compagna di allenamento di Siirist e dormirebbero nella stessa stanza.» esclamò Evendil.

«Dannato.» Siirist lo guardò male.

«Che vuoi dire?» chiese poco convinto Althidon, preoccupandosi del fatto che sarebbe lui il Maestro.

«Che Siirist è un donnaiolo che però non ha speranze con nessuna elfa, e che avere la più bella di tutte in camera sarebbe una tortura.» disse sadico Evendil.

«Ti detesto.»

Aulauthar ridacchiò, Althidon rimase impassibile. Siirist sospirò, per poi cambiare argomento.

«Syrius ha detto che questa Alea è la seconda più dotata, chi è il primo?»

«Davvero devi chiederlo?» domandò retorico Evendil.

«Tu, giusto. Ma com’è che di lei si sa già che legame ha, mentre io ancora non lo so?»

«Perché ogni mago deve conoscere il suo livello di legame prima di iniziare a praticare la magia, e visto che è un’elfa, la studia da quando ha imparato a parlare.» spiegò Althidon.

«Anche questo è vero.»

 

Conclusa la cena, Siirist ed Evendil tornarono all’appartamento di questi, dove Siirist si buttò sul suo divano abbracciando il suo uovo il momento in cui entrò.

«Dovresti lavarti i denti, sozzo.»

«Fai silenzio, sono troppo stanco.»

«Togliti i vestiti, almeno.»

«Non rompere.»

«Buonanotte, allora.»

«Finalmente qualcosa di intelligente.»

 

Il mattino dopo Siirist si svegliò stranamente da solo; nessuna scrosciata d’acqua, nessuno schianto contro le pareti. Aprì gli occhi tranquillamente e vide Evendil seduto su una poltrona che scriveva su un libro.

«Il tuo grimorio?»

«Oh, ben svegliato. Sì, è il mio grimorio, non osare metterci le mani o te le taglio.»

«Che ore sono?»

«Le undici passate.»

«Non che mi dispiaccia, ma perché non mi hai svegliato? Mi aspettavo una giornata ricca di allenamenti.»

«Ogni tanto puoi anche prendertela comoda, se no finisci che mi muori davanti. E dopo il mio allenamento sarebbe stato vano.»

«Che animo gentile.»

Evendil sorrise divertito.

«Adesso alzati e preparati. Mangiamo presto e dopo iniziamo un allenamento di combattimento senza armi.»

«Sono più preparato che con la spada, dopotutto ho avuto molte risse a Skingrad e nessuno utilizzava armi.»

«Non mi sorprende, con il carattere che hai. Poi immagino fosse perché hai spesso portato a letto la ragazza di qualcun altro.»

«Ovvio!» rispose Siirist con il tono più naturale del mondo.

«Non avevi molti amici a Skingrad, vero? Infatti ricordo che non hai salutato nessuno se non Hans e Keira.» osservò l’elfo.

«No. Le ragazze erano quasi tutte stupide, i maschi mi guardavano sempre con disprezzo. Sono figlio di una famiglia benestante, di bell’aspetto e discendente dagli elfi. Hanno sempre creduto che mi credessi chi sa chi, per cui mi hanno sempre escluso dalle loro attività.»

«Quindi è loro che devo ringraziare per il tuo caratteraccio strafottente.»

«A forza di sentirmelo dire, lo sono diventato davvero. Le uniche persone che mi conoscevano bene erano Keira e Hans. Nemmeno i miei genitori, perché con loro non potevo mai aprirmi più di tanto; non pensavano ad altro che a farmi ereditare la cantina.»

«Sono sicuro che qui farai degli ottimi amici.»

«Ah, immagino. Già ieri in mensa tutti mi guardavano come fossi un fenomeno da baraccone, poi a cena ho fatto imbestialire tutti gli anziani.»

«E per la seconda volta il Consiglio.»

«Appunto.»

«Prima che ti svegliassi sono stato a parlarci.»

«A proposito del mio misterioso potere?»

«Sì. Ho mostrato loro i miei ricordi e sono tutti perfettamente d’accordo che si tratti di quello che penso io. Erano tutti sorpresi tranne Aulauthar e Syrius. E Adamar, ma dubito fosse sveglio dal principio.»

Siirist rise.

«Althidon invece si è messo le mani nei capelli, immaginando che sarai un vero problema da addestrare.»

«È un male o un bene?» domandò preoccupato il futuro Cavaliere.

«Nessuno dei due, è giusto divertente vedere Althidon così. Gli piaci, sa che diventerai un ottimo Cavaliere, ma sa che gli darai problemi nei prossimi cinque anni.»

«A te ne ho dati?»

«Alquanto.»

«Allora sì!» e rise.

«Adesso vatti a preparare.»

 

Terminato di mangiare, i due uscirono dalla mensa e ritornarono all’edificio degli appartamenti degli anziani, fermandosi al prato all’esterno.

«Innanzitutto fammi bene vedere quanto sei sciolto.» cominciò Evendil.

Siirist iniziò a fare un po’ di stretching per poi correre dall’elfo e dargli un calcio. Nel movimento il ragazzo piantò il piede sinistro a terra, mentre roteava il busto alzando la gamba destra con forza, portando il piede a scontrarsi con il viso dell’elfo. Questi non si aspettava nulla di simile, per cui fu lento a reagire, schivando l’attacco solo all’ultimo momento. Compiuta una rotazione di centottanta gradi, Siirist riportò a terra il piede destro, per poi terminare il giro alzando la gamba sinistra, portata a colpire sempre il viso del mezzo dunmer, ma con il tallone. Questa volta l’elfo era più preparato e schivò senza problemi, ma fu quasi colpito dal colpo successivo, che lo aveva colto completamente impreparato: Siirist aveva terminato il suo giro di trecentosessanta gradi ed aveva ancora la gamba alzata parallela al terreno, quando si spinse in aria con la sola forza della destra che portò subito in avanti per attaccare con un calcio frontale, usando la sinistra come propulsore, dopo avere rapidamente frustato l’aria. Il piede, con le punte rivolte verso la destra di Evendil, che aveva come obiettivo lo sterno dell’elfo, fu fermato dalla sua mano a pochi centimetri di distanza.

«Questo calcio era debole.»

«Hai notato che ho usato solo questa gamba per il salto e che poi l’ho portata all’attacco? Non era facile.»

«No, immagino. Già da domani ti riuscirà meglio.»

«Perché domani?»

«Hai dimenticato cosa succede? Eppure è un giorno molto importante!»

«Oh, giusto! Il mio drago!»

«Esattamente. Bene, ho visto che sei abbastanza sciolto da poter portare la gamba abbastanza in alto da colpirmi al volto. Benissimo, possiamo cominciare ad allenarci.»

 

A cena Siirist ed Evendil furono raggiunti al loro tavolo da Adeo e Ren, il primo perché voleva stare accanto al suo “~mmmmm Evendil”, il secondo perché non poteva lasciare solo il suo subordinato.

«Ma perché?» Evendil guardò verso il soffitto implorando gli dei.

«È la punizione divina per aver rifiutato tutte quelle splendide fanciulle al bordello di Anvil!» rise di gusto Siirist.

«Oh, tesoro, l’hai fatto per mantenerti puro per me???? Sei adorabile!» e Adeo si appiccicò all’elfo.

«Io non lo sopporto più.» mugugnò Ren che metteva mano alla spada.

«No, fermo, lascia che si diverti un po’!»

«Ti detesto.» gli occhi di Evendil lanciavano fiamme a Siirist.

Altri tre secondi e Adeo fu scagliato verso la parte opposta della sala da una potente folata di vento.

«Andiamo, Siirist.» tuonò poi il mezzo dunmer.

«Arrivo.» continuava a ridacchiare il giovane.

«Scusami, futuro Cavaliere d’Inferno.» lo richiamò il vice-capitano della sesta squadra.

«Sì.»

«Da quand’è che abbiamo tanta confidenza noi due?»

«Come?»

«Poco fa ti sei rivolto a me come ad un tuo pari. Cosa ti fa credere di poterlo fare?»

«Ah, ecco, io non l’ho fatto apposto, insomma, mi è venuto spontaneo.» tentò di giustificarsi, non sapendo che pesci prendere.

«Scusalo, Ren, non lo fa apposta, è solo un po’ tardo.» si intromise Evendil.

«Ehi!» protestò Siirist.

«Non preoccuparti, Evendil, non mi interessa più di tanto, ma sono pur sempre un vice-capitano. E vedrai che agli altri importa la forma, soprattutto perché sono quasi tutti elfi.»

«D’accordo, vi ringrazio.»

«Tranquillo. Se entri nella mia divisione avremo modo di conoscerci meglio, anche se allora dovrai fare lo stesso con Adeo.»

«Preferirei di no.» rispose Siirist rabbrividendo.

«Ti capisco. Ma non sta a te decidere, è il Consiglio che assegna i Cavalieri alle varie squadre. E tranquillo, a parte Adeo, la sesta squadra è composta da bella gente.»

«Va bene. Ma tanto ho ancora cinque anni prima di essere assegnato.»

«Cinque anni... che saranno mai cinque anni? Quando avrai vissuto quanto me, capirai che cinque anni non sono niente.»

 

Il mattino dopo il sonno di Siirist fu disturbato da alcuni colpi che accusava sul petto e sul viso.

‹Che diavolo è?› si chiese ancora rincoglionito, rifiutandosi di aprire gli occhi.

Ma fu costretto a farlo quando sentì una serie di piccole lame acuminate affondargli appena nella carne, non a sufficienza perché venisse ferito, ma abbastanza da fargli male.

«Ma che cazzo...?!»

Siirist si destò di soprassalto, mettendosi a sedere di colpo. Sentì un qualcosa di pesante cadere dal suo petto a terra, e la sensazione fu accreditata dal tonfo immediatamente successivo. Senza pensarci, il giovane guardò a terra e rimase sconvolto: steso di schiena sul tappeto, con le piccole ali schiacciate dal corpo, si trovava una creatura con il ventre ed il sotto della coda coperti di scaglie rosso chiaro, quasi rosa, mentre le zampe erano di una tonalità leggermente più scura. Il neonato non era molto contento della posizione di cui si trovava e non capiva bene come alzarsi. Disperatamente cercava di rotolare di lato, ma le ali, per quanto piccole, erano resistenti e non si piegavano facilmente, inoltre i muscoli per controllarle erano ancora deboli ed il peso del corpo impediva loro di muoversi. Agitando furiosamente la coda e la testa e ringhiando contrariato, emettendo un suono che ricordava quello di un cucciolo di leone, il drago riuscì a girarsi e a rimettersi sulle zampe. Siirist continuava ad osservarlo allibito mentre scuoteva la testa per riprendersi, per poi fissare i suoi occhi rubini sul ragazzo. A questi parve di vedere un lampo di sfida, ed il cucciolo prese a saltellare sbattendo nevroticamente le ali, tentando di volare sopra il divano ed aggredire nuovamente il ragazzo. La parte superiore del corpo del drago era coperta da scaglie di un rosso intermedio tra quello del ventre e delle zampe, mentre la testa aveva una forma diversa dal resto dei draghi che Siirist aveva visto negli ultimi due giorni. Nonostante fosse appena nato, l’Inferno aveva uno sguardo che sembrava più altezzoso rispetto agli altri, anche più di Skryrill e Moreus. Il muso era corto e leggermente schiacciato, il cranio aveva tre ingrossamenti, uno al centro e due ai lati.

Dopo qualche minuto che lo guardava agitarsi disperatamente, arrabbiandosi sempre di più, Siirist si riprese e capì cosa stava succedendo.

«È nato il mio drago!»

Proprio in quel momento, Evendil uscì dalla stanza, appena in tempo per vedere con orrore ciò che stava per accadere: Siirist si era sporto e stava afferrando con due mani il cucciolo di drago.

«NO!!»

Troppo tardi: il ragazzo aveva preso il drago con entrambe le mani e lo aveva sollevato, girandosi appena verso l’elfo, non capendo il perché del richiamo. In quel momento si sentì investire da una quantità infinita di energia che gli bruciò per l’intero corpo; gli occhi gli si rovesciarono, mentre un improvviso conato lo spinse in avanti. Siirist cadde a terra con la faccia nel suo vomito, mentre il drago, per niente felice, cadde a terra dopo che il Cavaliere ne perse la presa. Evendil corse rapidamente verso il giovane e gli guardò le mani, notando entrambi i palmi gravemente ustionati, per poi appoggiare due dita alla giugulare. Il battito c’era, seppure debole, ma il ragazzo non si riprendeva nonostante tutti gli scossoni: era in coma.

 

Siirist era sdraiato pancia sotto su un comodino, la coda che sbatteva ritmicamente sulla superficie del mobile, le ali richiuse su se stesse propriamente. Aprì gli occhi leggermente e fu accecato dalla luce, doveva ancora mettere bene a fuoco. Quando ci fu riuscito, vide Evendil davanti a lui seduto su una sedia con il busto piegato in avanti, il mento appoggiato alle mani ed i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo serio e preoccupato, fisso davanti a sé.

‹Che ha da essere così agitato?›

Siirist allora volse lo sguardo verso la sua destra, intravedendo un letto con dentro una persona stesa. Non fece in tempo a vederla in faccia che fu distratto dalla porta che si apriva, ma riuscì solamente a cogliere una chioma bionda.

«Tranquillo, Evendil, si rimetterà. I valori sono stabili, ha solo bisogno di permettere al proprio corpo di abituarsi alla nuova ondata di energia che lo ha invaso.»

A Siirist era bastato percepire l’odore di ciliegio in fiore per capire che era entrato Aulauthar, ma non aveva capito una parola che aveva detto. Il suo accento era diverso da quello di Evendil, per cui non era abituato a sentirlo e la comprensione gli risultava più difficile.

«Ha toccato il drago con entrambe le mani! Poteva morire!» si lamentò il mezzo dunmer.

Questa volta, seppur sforzandosi, Siirist riuscì a capire. Ma di che stava parlando?

«Ma è ancora vivo, per quanto lo shock subito sia maggiore rispetto al solito. In compenso riceverà due Cerchi d’argento e il processo di sincronia mentale sarà il doppio più rapido.»

Il senso generale fu nuovamente colto dal ragazzo, che, cominciando ad intuire cosa stesse succedendo, si voltò verso il letto e con suo immenso orrore notò che il corpo con i capelli biondi era il suo.

‹Ma che...›

«...diavolo sta succedendo?!»

Nello stupore più assoluto dei due elfi nella stanza, Siirist scattò in posizione seduta urlando una frase a metà, ma l’espressione più sconvolta era certamente quella del neo-Cavaliere. Di scatto si girò verso il cucciolo di Inferno appollaiato sul comodino accanto al suo letto.

‹Era ora che uscissi dalla mia testa.›

La voce ruggente del drago risuonò nella mente del ragazzo. Essa era molto più feroce di quella di Skryrill e Moreus, ma meno profonda e sviluppata.

«Siirist, tu...»

«Non crederai mai cosa mi è capitato.»

«Questa me la voglio sentire.»

‹Prima vorrei avere un nome, altrimenti saprò già su cosa allenarmi nell’esalare fuoco.› minacciò l’Inferno.

«Come scusa?» Siirist si girò indignato verso il cucciolo.

«State già comunicando mentalmente?» si stupì il Cavaliere d’argento.

‹No, solo io lo sto facendo, lui è troppo stupido per farlo. Riferisci. E dammi un nome.› ruggì minaccioso il drago.

«Questa è bella!» Siirist si stizzì anche di più.

«Che sta dicendo?» domandò curioso il Cavaliere anziano.

‹Riferisci o ti arrostisco. Fallo. Ora. E dammi un nome.›

Siirist si prese qualche secondo per calmarsi, corrugando varie volte la fronte in maniera nervosa, resistendo alla voglia di voler strangolare il suo drago dopo appena due minuti che ci parlava.

«Dice che sbagliate nel dire che stiamo comunicando mentalmente poiché lui è l’unico a farlo, mentre io sono troppo stupido. Se non ve lo avessi comunicato mi avrebbe arrostito e chiede in maniera quasi ossessiva che gli dia un nome.»

‹Adesso.›

«Ho capito!» scoppiò il giovane.

‹Allora fallo.›

«Smettila!» urlò ancora.

L’attenzione del ragazzo e del drago fu colta da un’improvvisa e malamente soffocata risata di Evendil. Entrambi si girarono di scatto verso di lui con uno sguardo arrabbiato.

«Che cazzo ridi tu?!» ‹Che cazzo ride questo qui?!›

Altro risolino.

«È esattamente come te!» rispose infine, per poi esplodere in una fragorosa risata.

«Eh??» ‹Eh??›

«Quanto speravo succedesse! Il tuo drago ha ereditato il tuo caratteraccio! Ora vedrai che significa avere a che fare con te stesso!» Evendil non era mai stato più felice.

«Uguale a questo qui?! Ma è uno stronzo!» ‹Uguale a questo qui?! Ma è uno stronzo!›

Drago e Cavaliere si voltarono immediatamente di scatto l’uno verso l’altro. Ok, forse Evendil aveva ragione.

«Vedete, Siirist, Inferno, quando un neo-Cavaliere tocca per la prima volta il suo cucciolo, il drago ottiene tutti i ricordi e le esperienze del suo Cavaliere, ed è per questa ragione che ottiene la capacità di parlare la sua lingua. Con il tempo sarà invece il Cavaliere ad essere condizionato dal drago a livello caratteriale. Poiché voi siete creature molto più sagge e potenti di noi, crescendo imparate a superare la personalità inizialmente trasmessa dal Cavaliere, ottenendo un vostro carattere, per poi influenzare il Cavaliere, anche se l’impronta iniziale rimarrà sempre.» spiegò Aulauthar.

«Per cui resterà sempre un insopportabile bastardo come sei tu e dovrai sempre conviverci! – rise ancora Evendil. – Perdonami, Inferno, non voglio insultare te, ma lui.»

‹Perché mi chiamano sempre “Inferno”? Non mi piace essere chiamato “Inferno”. Perché non mi chiamano per nome? Oh, è vero... io non ho un nome!›

‹Sì, ho capito, fammici pensare!› rispose spazientito Siirist.

‹Oh, allora lo sai fare pure tu! Bravo, vuoi un applauso? E di’ a Evendil che non mi sono offeso e che ho capito perfettamente le sue intenzioni e che continui l’ottimo lavoro che sta svolgendo.›

‹Nell’addestrarmi?›

‹No, nell’insultarti e nel prenderti in giro, coglione. È colpa tua che non capisco l’elfico, perché tu non lo sai. Sei un cretino! Si è mai sentito di un drago che non sappia parlare l’elfico?›

«Per Soho, come si fa a chiudere la mente dal proprio drago?!» Siirist si stava strappando i capelli.

 

‹Dammi un nome, un nome, un nome, dammi un nome, muoviti, sbrigati, dammi un nome, adesso.›

‹Ho capito, aspetta un attimo fammici pensare!›

‹Sono nato già da due giorni, direi che ne hai avuti di attimi.›

‹Mi hai mandato in coma, ti ricordo, non ho avuto proprio l’occasione per pensare.›

‹Sei andato in coma perché sei un cretino per avermi toccato con due mani.›

‹E tu sei insopportabile.›

‹È tutto quello che sai dire? Oltre che stupido sei anche poco originale!›

Siirist stava per scoppiare mentre usciva dall’edificio dell’infermeria con il cucciolo di Inferno appollaiato sulla sua spalla. Al suo passaggio, tutti si voltavano con stupore e timore.

‹Sei già più grande di quando ti sei schiuso.› constatò Siirist, approfittando di un momento in cui il drago non lo assillasse richiedendo un nome.

‹Te l’ho detto, sono nato da due giorni. Di questo passo sarò grande come una montagna prima di avere un nome.›

Siirist fece degli esercizi di respirazione per calmarsi.

‹Per prima cosa, sei un maschio mi pare di capire.›

‹Mi stupisci sempre di più, continui a rivelarti ogni secondo meno stupido di quanto sembri.›

‹Bastava un “sì”.›

‹Allora, hai trovato un nome da drago maschio?›

‹Mi fai tornare all’appartamento di Evendil? Mi è venuta un’idea, ma devo ricercarlo sul mio quaderno degli appunti, che non ricordo bene la parola in elfico.›

‹Mi piacerà?›

‹Spero di sì, almeno te ne starai zitto e smetterai di tormentarmi.›

‹Affare fatto.›

Nel suo tragitto dall’infermeria alla residenza degli anziani, tutti i Cavalieri ed i draghi che Siirist incontrava si rivolgevano a lui con la stessa espressione che avevano avuto quelli nell’ospedale.

‹Siamo famosi!› il drago era soddisfatto di sé.

Come che Evendil fu entrato nella sua abitazione, Siirist lo aveva rapidamente seguito e si era fiondato al suo quaderno.

‹Dov’è, dov’è...?›

Il dizionario che Siirist aveva iniziato a scrivere era ordinato nel quaderno a seconda dell’iniziale di una parola. Prima di iniziare a scriverci, aveva suddiviso equamente tutte le pagine a seconda delle lettere dell’alfabeto. Rapido andò verso la fine, cercando la “V”.

‹Eccolo qui, “vulcano”, in elfico “rorix”. Ti piace?›

‹Sì.› rispose Rorix.

 

 

~

 

 

Eccomi qui! Scusatemi tutti così tanto per la colossale attesa, ma ho avuto un periodo estremamente incasinato. Inoltre anche per il prossimo capitolo dovrete aspettare, poiché martedì parto per l’America e non avrò modo di scrivere. Torno il 9 giugno, per cui se sono bravo pubblicherò il 13, se no il 20, ma di certo non oltre. Intanto vi ho voluto lasciare con un capitolo bello lungo ed importante in quanto ad informazioni.

 

Ringraziamenti:

1)  xevel. Dunque, ecco qui Rorix. L’aspetto fisico cambierà ovviamente mentre cresce, ma il carattere, nonostante quello che dice Aulauthar, resterà praticamente invariato. Solo che il rapporto tra lui e Siirist si farà più stretto, per cui eventualmente smetterà di insultarlo ad ogni frase! Spero vivamente che tu abbia apprezzato i nuovi battibecchi tra Siirist ed Evendil, nonché quelli con l’ultimo personaggio introdotto! O anche la scenetta con Adeo.

2)  Zackneifan. Non so se dire se vorrei fosse un nuovo lettore oppure no, perché questo vorrebbe dire aver perso il fedele Bankotsu, ma tanto il problema non si pone in quanto si tratta della stessa persone. Beh, ecco, non so se l’ho fatto capire abbastanza, ma Siirist è un po’ un maniaco. È una delle tante cose che gli ho dato per renderlo atipico rispetto allo stereotipo dell’eroe occidentale e decisamente più simile al protagonista di un manga. Non per quanto riguardi la stupidità, poiché per quanto lo possa credere (per ora) Rorix, Siirist non è stupido, a differenza di Naruto, Luffy e tanti altri. È un po’ più come Ichigo ed in futuro diventerà quasi come Alucard. A proposito di Ichigo, ho recentemente iniziato a seguire Bleach, e da lì l’idea di dividere i Cavalieri in divisioni. La sesta divisione di cui fanno parte Ren e Adeo è in onore di una delle mie squadre preferite su Bleach in quanto Kuchiki Byakuya (a cui è ispirato il capitano Bial) e Abari Renji (Ren) sono tra i miei preferiti (le altre due squadre che adoro sono naturalmente la 11 e la 10). Dici che ti sorprende tanto vedere un elfo con un’ascia. A Kvatch hai visto un Cavaliere, seppure umano, avere una mazza. Dopotutto i Cavalieri sono liberi di scegliere la propria arma secondaria in base al loro stile di combattimento. Il protagonista del prossimo capitolo, come vedrai tra tanto tempo (per questo te lo dico ora), ad esempio, affiancherà alla spada una mazza con una lama da ascia da una parte. E Syrius sarà decisamente importante nella storia, così come lo sarà Adamar, non tanto per Siirist, quanto per il personaggio menzionato sopra. Mi chiedi perché Evendil non avesse utilizzato Griever per andare a riportare l’uovo al nido? Seguendo la storia ti direi che non l’ha fatto perché il grifone ha un caratteraccio (per quanto incredibile) peggiore di Rorix, e che non sarebbe andato molto d’accordo con tutti i draghi. In realtà la risposta è alquanto ovvia: mi è venuto in mente mentre scrivevo che Farn era tornato alla Rocca (circa due righe sopra). Perché mi fai domande che mi rovinano la credibilità di autore, scusa?

 

Al prossimo aggiornamento, che ripeto sarà il 13 o il 20 giugno. Il titolo sarà IL DOLOROSO ADDIO, e si tratterà del primo capitolo dedicato ad un altro dei personaggi principali della storia.

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** IL DOLOROSO ADDIO ***


IL DOLOROSO ADDIO






Perché, perché doveva farlo? Perché doveva andare a svolgere la Prova per diventare Cavaliere? Lui non voleva, detestava l’idea. Per tutta la sua vita, per tutti i suoi venti anni non aveva fatto altro che addestrarsi con la prospettiva di diventare Cavaliere. Ma che senso aveva, tanto quasi nessuno superava la Prova? E poi era più che certo che vi erano persone più qualificate di lui. Più volte aveva sentito parlare di giovane umani reclutati anche tra i non nobili, come ad esempio il vice-capitano della sesta divisione, Ren Aber, originario di Nibelheim. Ormai i Cavalieri umani erano per lo più plebei che nobili, anche se non tutti erano a conoscenza di ciò. Allora come mai lui doveva comunque andare a Vroengard? Perché non poteva restarsene a casa a Cheydinhal, seguire il padre ed imparare a governare una città? Ed infine sposare lei, Deria. Suo padre non era d’accordo, in quanto la ragazza non era di nobile stirpe, ma a lui non importava.

«Nobile Gilia, siete sveglio?»

Sì, era sveglio, ma avrebbe cento, mille volte preferito non esserlo. Il ragazzo aprì infine gli occhi, ritrovandosi a fissare il soffitto della sua camera da letto. Esso era decorato da preziosi affreschi, alcuni raffiguranti draghi e Cavalieri.

Mi viene la nausea solo a vederli.›

Stanco, spostò le sue lenzuola di seta ricamata e girò il corpo in modo da mettersi a sedere con i piedi sul tappeto accanto al bordo del letto.

«Io entro, nobile Gilia.» continuò la voce del servo.

«Fai come ti pare.» rispose senza enfasi il giovane.

Vide la porta di legno laccato aprirsi, mentre si faceva avanti la figura di un giovane dall’aria timida, un novizio dell’Università Arcana inviato a studiare sotto il mistico di corte di Cheydinhal. Aveva i capelli lunghi fino alle spalle di un colore nero molto particolare, che quasi gli dava un’ombra di blu. Gli occhi grandi avevano una fastidiosa aria servizievole e remissiva: la sola vista di quella persona era sufficiente per far imbestialire Gilia, soprattutto quel giorno.

«Venite, nobile Gilia, dovete vestirvi, questo è un giorno molto importante, è un grande onore partecipare alla...»

«E allora perché non ci vai tu?! E smetti di essere così debole, abbi un po’ di spina dorsale, per l’amor di Raijin! Sembri più una figlia di Fujin che un uomo!»

«Perdonatemi, nobile Gilia, io...»

«Smettila!»

Il giovane servo era sull’orlo di una crisi di nervi. Si inchinò e corse fuori dalla stanza. Gilia si lasciò cadere sul suo letto, steso sopra le lenzuola a fissare un punto indefinito del soffitto.

«Ancora così? Abbiamo un lungo viaggio da fare oggi, dobbiamo essere a Vroengard domani per mezzogiorno.»

Era appena entrata l’ultima persona che Gilia avrebbe voluto vedere almeno fino a dopo la colazione: Thor.

«Nobile Gilia, avete l’aspetto di un contadino piuttosto che quello di un guerriero.» lo rimproverò il maestro.

Un contadino? Sì, magari! Magari per lui fosse nato tra la gente comune. A lui neanche piaceva tanto essere un nobile, dopotutto l’unica cosa che gli importava era Deria, il titolo di conte poteva anche prenderselo quell’affamato di potere di suo cugino, che tanto, avendo già ventiquattro anni, aveva già affrontato la Prova, risultando non prescelto da alcun drago, e il “grande onore di diventare Cavaliere” poteva andare tranquillamente a Thor o a qualche altro soldato di Cheydinhal, come era già successo circa dieci anni prima.

«Sbrigatevi.»

«Lasciami solo, vorrei passare le mie ultime ore in questo castello a salutare i miei ricordi di infanzia.»

«Bravo così! Parlate come se siete sicuro che supererete la Prova! Un vero guerriero non ha legami sentimentali e deve tagliarli tutti prima di andare in battaglia!» rispose orgoglioso Thor, il vocione che riecheggiava nella stanza.

«Sei noioso.»

E anche stupido.› pensò poi.

Con un inchino, il guerriero uscì dalla stanza, lasciando nuovamente solo il ventenne. Gilia si guardò intorno: avrebbe avuto una possibilità di sgattaiolare fuori inosservato per salutare Deria e rassicurarla che sarebbe tornato a casa dopo che nessun uovo lo avesse scelto? Il ragazzo guardò fuori dalla sua stanza e vide una fila infinita di servitori pronti a salutarlo orgogliosi.

«Nobile Gilia, diventerete un ottimo Cavaliere!» esultarono tutti.

Terrorizzato, richiuse con forza la porta alle sue spalle.

Niente da fare, da qui non si passa. Maledetti, perché non capiscono che non voglio diventare un Cavaliere?›

Corse verso la sua finestra, ma come si affacciò, vide che era sorvegliata anche da sotto.

«Perdonatemi, nobile Gilia, ma vostro padre mi ha incaricato di impedirvi di fuggire.»

Gilia si girò indispettito, riconoscendo la voce, ma non vedendo nessuno. Non che la cosa lo sorprendesse.

«Maestro Adrian, dovevo immaginarmelo. Vorreste per favore disperdere i vostri spiriti, almeno così potremmo parlare in maniera normale?» e si sedette di peso sul bordo del letto.

«Come desiderate. Spiriti dell’ombra, disperdetevi e restituitemi alla luce.»

Davanti al ragazzo apparve improvvisamente la sagoma nera di un uomo, che man mano riacquistò sempre più colore, mentre l’oscurità che lo avvolgeva si disperdeva sempre più.

«Grazie mille. Ora, – e puntò la mano destra verso il mistico. – spiriti del fuoco, rispondete alla mia chiamata e fatevi fiamma di distruzione.»

Lo stregone di corte rimase scioccato dalla rapida evocazione del ragazzo, e non riuscì ad impedire la formazione della sfera di fuoco nella sua mano, ma solo a schivarla al momento giusto, seppur sacrificando alcune ciocche di capelli che vennero colpite e consumate dalle fiamme.

«So che siete ben legato con gli spiriti del fulmine, da quando avete imparato a controllare così bene gli spiriti del fuoco? Non vi ho mai visto richiamarli così rapidamente, né loro rispondere con tanta tempestività!»

«Non ho studiato la stregoneria solo davanti a voi, ma mi sono allenato anche per conto mio, sapete? Se no come credete che sia riuscito a scappare da Deria tutte quelle volte? Dovevo necessariamente imparare nuove evocazioni! E adesso sapevo che vi sareste aspettato un’evocazione del fulmine, infatti vi ho visto mormorare un contro-incantesimo, per cui vi ho sorpreso.»

«Siete riuscito a leggere le mie labbra anche a quella velocità? Sono sorpreso, felicemente sorpreso.»

«Però non so richiamare gli spiriti dell’aria, per cui non posso volare via. E non so nemmeno evocare spiriti dell’oscurità abbastanza forti da rendermi completamente invisibile come fate voi.»

«No, i miei spiriti dell’oscurità non rendono invisibile, mi rendono estraneo alla realtà, per cui ogni suono che emetto è impercettibile a chi mi sta intorno e posso anche passare attraverso le superfici solide.»

«Ah, giusto. In ogni caso non posso andare a trovare Deria, a quanto capisco.»

«Precisamente.»

«Perché mio padre la odia tanto?»

«Il conte non la odia, la ama come ama ogni cittadino di Cheydinhal, ma ama voi oltre ogni altra persona, e teme che quella ragazza possa rappresentare per voi una distrazione dal diventare Cavaliere o in alternativa conte.»

«Ma io la amo! E se gli dei mi assistono, nessun uovo si schiuderà per me, così che possa tornare qui. E quando mio padre morirà e io diventerò conte, la sposerò!»

«E se gli dei assisteranno me, vivrò abbastanza da insegnarti che esiste un protocollo formale per noi nati nella nobiltà.»

Gilia si girò scioccato, vedendo suo padre entrare nella stanza.

«Padre...»

«Adrian, lasciateci.»

«Come desiderate.»

Il conte, dall’aspetto elegante e signorile, aspettò immobile, lo sguardo fisso sul figlio, che il mistico uscisse, per poi avvicinarsi al ragazzo e sedersi accanto a lui.

«Ah...» sospirò.

Seguì qualche attimo di silenzio, dopodiché il conte parlò ancora.

«Ti dirò la verità, Gilia, come tuo nonno con me, io non desidero che tu diventi Cavaliere. Darei qualunque cosa perché tu non superi la Prova e torni a casa, così che possa vedere mio figlio sposarsi ed eventualmente diventare un conte giusto e amato dalla sua gente. Ma quello di attendere la Prova è un onore ed un dovere di ogni nobile dell’Impero, oltre che delle persone che sono ritenute meritevoli, tant’è che io dieci anni fa raccomandai il mio capitano delle guardie che infatti risultò prescelto da un drago. Ricordi quanto ci volle prima di poter trovare un rimpiazzo adeguato? Roliand era un guerriero d’eccezione, abile con tutte le armi e nel corpo a corpo, oltre che un incredibile capo, con una mente acuta veloce nel ragionamento. Pensi davvero che sia stato un piacere per me perderlo? Ma come ho detto, è nostro dovere fare quanto possibile per l’Ordine dei Cavalieri. E se è stata così dura perdere un capitano, immagina come possa essere perdere il proprio unico figlio? Non voglio che tuo cugino salga al potere, non ho mai avuto un buon rapporto con mio fratello, sempre geloso del fatto che io, nonostante fossi il minore, sia stato scelto da nostro padre come suo successore. E suo figlio è tale e quale a lui, ed ora che tuo zio è morto, sarebbe lui il mio erede nel caso tu restassi a Vroengard. Quindi smetti di pensare di essere l’unico a non voler andare, sai che ti voglio bene sopra ogni altra cosa e che mi mancheresti tantissimo!»

Gilia non sapeva se essere più sorpreso dal discorso o dall’abbraccio che ne seguì: le lacrime del padre gli cadevano sulla spalla, inumidendola.

Ma che...?›

«Quindi smetti di piangerti addosso e preparati a partire, Thor ti sta già aspettando. Ma se proprio vuoi, vai pure a salutare Deria.»

Il conte si pulì rapidamente il viso e si ricompose, assumendo la sua solita posa signorile, per poi uscire dalla stanza del figlio. Gilia non sapeva più che pensare. Non aveva mai visto suo padre piangere, nemmeno alla morte della contessa, anche se di certo lo aveva fatto privatamente, e l’abbraccio? Da quello che ricordava era successo forse altre due volte, quando a dieci anni si era perso nel bosco ed era stato ritrovato due giorni dopo da Thor, e quando a dodici aveva per la prima volta evocato gli spiriti del fulmine. Ma quello non era il momento di pensare al passato: aveva avuto il permesso di suo padre di vedere Deria e non avrebbe certo perso tempo!

In un baleno fu alla porta e la spalancò, trovando fuori il conte e tutti i soldati che aveva visto precedentemente.

«Ho detto che avresti potuto vedere Deria? Mi sono dimenticato di aggiungere che dovrai superare tutti loro se proprio ci tieni. Scusa!» disse con aria divertita il conte.

«Maledetto... Spiriti del fulmine, spingeteli indietro!»

L’affinità del ragazzo con gli spiriti del fulmine gli permetteva di utilizzare un richiamo rapido per eseguire anche incantesimi relativamente potenti. Egli puntò in avanti la mano destra ruotata di novanta gradi con le punte verso sinistra, dal cui palmo scaturirono quattro fulmini che colpirono ciascuno un soldato, ognuno dei quali fu spinto all’indietro investendo altri compagni. Tre dei soldati non coinvolti nella stregoneria sguainarono le loro spade ed attaccarono.

«Spiriti del fulmine, obbedite alle mie parole: lama!» il richiamo era così rapido che durò nemmeno un secondo.

Obbedienti, gli spiriti di formarono attorno al braccio destro di Gilia a partire dal gomito, creando una lama di un metro, estremamente affilata e che produceva un continuo suono crepitante.

Il primo soldato attaccò con un fendente, che il giovane evitò facendo un passo verso sinistra. La lama nemica gli passò a tre centimetri dalla spalla destra. Rapidamente distese il braccio e lo portò parallelo al terreno, con la punta della spalla rivolta verso destra, e durante il tragitto la lama di fulmine aveva attraversato quella di mithril, tagliandola perfettamente a metà.

«Scossa!»

La lama si scompose istantaneamente, mentre gli spiriti seguivano i comandi dello stregone, andandosi a concentrare esclusivamente sul palmo, illuminandolo completamente di una luce tra il celeste ed il bianco. Gilia appoggiò la mano al viso della guardia e questa subì una violenta scossa che le bruciò il volto e la fece cadere a terra.

Ma il giovane non aveva finito, altri soldati lo stavano attaccando. Uno lo stava raggiungendo da sinistra menando un tondo dritto che lo avrebbe colpito al collo.

«Velocità!»

Gli spiriti smisero di concentrarsi esclusivamente sul palmo del loro controllore e si distribuirono intorno a tutto il corpo, che iniziò ad emettere scariche elettriche. La lama della guardia aveva quasi raggiunto il suo obiettivo quando Gilia si abbassò con una rapidità inumana, generando una scia di luce bianco-celeste. Strinse il pugno e la concentrazione di spiriti attorno all’avambraccio destro aumentò, arrivando a colorarlo completamente, e dopo aver compiuto una rotazione del corpo di settanta gradi in meno di mezzo secondo, colpì con il palmo della mano il petto dell’avversario, sfondando la corazza ed arrivando a colpire lo sterno. Il soldato colpito volò indietro, cadendo rovinosamente di schiena.

«Ah!»

Gilia girò di scatto la testa oltre la spalla destra, gli occhi azzurri percorsi da scariche elettriche e vide la terza guardia corrergli incontro, anche se pareva muoversi alla metà della velocità, in quanto quella dello stregone era il doppio del normale. Ruotò il busto completamente giusto in tempo per colpire con il palmo della sinistra la lama avversaria sul piatto, mandandola fuori traiettoria, per poi puntare la mano aperta contro l’uomo.

«Lampo.»

Gli spiriti abbandonarono la loro disposizione attorno a tutto il corpo per concentrarsi esclusivamente sul palmo mancino, da cui poi partì una potente scarica elettrica che spinse indietro la guardia fulminandola.

«Può bastare?» chiese Gilia, lo sguardo omicida ed il respiro pesante.

«Può bastare.» il padre si voltò e si allontanò.

Il ragazzo allora scattò, superando il padre in pochi secondi e continuando alla stessa velocità verso il portone principale del castello, poi verso il centro della città. Arrivò davanti alla casa di Deria con il fiatone, annaspava, sentiva i polmoni bruciare, mentre piegò il busto in avanti appoggiando le mani alle ginocchia. Sembrava completamente fuori allenamento, invece aveva corso quasi un chilometro al massimo della velocità.

Il nobile si avvicinò al portone e bussò. Sentì un movimento frenetico all’interno ed un affrettarsi a rispondere. Come aveva supposto, Gilia si trovò presto faccia a faccia con l’amata. I loro sguardi si incrociarono, le delicate iridi nocciola di lei, con quelle dure e profonde, quasi nere, di lui. Non passò nemmeno un secondo che i due si lanciarono l’uno verso l’altra, stringendosi come se non volessero fare altro nella vita, stringendosi come per far finta che non esistesse altro al di fuori di loro due, stringendosi come se fosse l’ultima volta che si sarebbero visti, come se stessero per morire. Ed entrambi sapevano che se Gilia avesse superato la Prova, entrambi sarebbero morti dentro. I due continuarono a restare uniti per quello che parevano pochi secondi, quando invece passarono svariati minuti. Una folla aveva iniziato a formarsi davanti alla casa della ragazza, curiosa nei confronti di quella inusuale scena.

«Forse è meglio se entriamo.» sussurrò infine Gilia, che non voleva staccarsi.

«Hai ragione.» rispose dolce Deria.

Per mano, i due si chiusero dietro la porta e salirono le scale verso la camera da letto. Si sedettero sul letto ed iniziarono a baciarsi dolcemente, accarezzandosi, mentre pian piano ogni pezzi di vestiario veniva tolto. Quando finalmente il giovane aiutò l’amata ad adagiarsi nuda sul materasso, la osservò con affetto e tristezza, mentre i capelli castani di lei erano delicatamente disposti a coprire completamente il cuscino.

«Ora non ci pensare.»

Deria allungò le braccia e strinse il collo di Gilia, portandolo verso di sé.



Gilia era nella sua stanza, preparando i suoi bagagli prima della partenza. Guardò il calendario appeso al muro: 31 luglio. Come avrebbe voluto poter cancellare quel giorno, ma ormai aveva capito che era inutile desiderare certe cose impossibili; sarebbe semplicemente andato a Vroengard ed avrebbe sperato di non essere scelto da alcun uovo. Molti servitori vennero a prendere le borse del loro signore, compreso l’apprendista di Adrian, Levus. Il suo solito sguardo timido però non indispettì Gilia, poiché questa volta era lui ad avere quello più debole e triste.

Il figlio del conte fu raggiunto all’atrio del castello dal padre, Adrian e Thor, fu salutato calorosamente dai primi due ed accompagnato fuori dal terzo.

Scendendo la strada che conduceva dal castello al resto della città, Gilia vide tutti gli abitanti disposti lungo di essa per salutarlo. Quando passò di fronte alla casa di Deria, guardò verso la sua finestra e lì la vide, immobile, con solo una lacrima silenziosa che le scendeva lungo il viso.







~







Importante! Alcune nozioni di pronuncia: “Gilia” si legge “Ghilia” e tutte le “y” nei nomi si leggono come fosse “ai”, per cui “Skryrill” si legge “Scrairill”, eccetera. Un’altra cosa è questa: nel capitolo scorso c’era stato un problema con la conversione in html e tutte le scritte in verde sono diventate nere, per cui il discorso tra Evendil e Aulauthar è naturalmente in elfico, ma è risultato essere nella lingua comune degli umani. Ora questo errore è stato corretto, comunque.



Ringraziamenti:

  1. xevel. Anche io ho riso come un matto quando mi è venuto in mente Adeo! Per la precisione esattamente quando stavo scrivendo! Non so se dirti se sarai delusa o altro, ma non avrà mai un fidanzato. Non esiste né in cielo né in terra che io scriva qualcosa yaoi! Rorix è un completo rompi scatole, insopportabile e fastidioso e tutti i prossimi capitoli saranno incentrati sulla costruzione del rapporto tra lui e Siirist. E sì, ti arrostirebbe! XD Il potere di Siirist? Ancora otto capitoli prima che venga rivelato il nome, nove per vederlo in azione per la prima volta. Alea sarà sì importante, poiché è una dei due co-protagonisti!

  2. Zackneifan. Forse mi sono espresso male, volevo dire che sono contento che ci sei sempre, però avere un nuovo recensore non sarebbe stato male! È stato d’obbligo inserire Adamar, poiché dovrà insegnare la sua specializzazione a qualcuno, prima o poi. E quali saranno quelle di Siirist credo sia scontato. La battuta sulla sacerdotessa mi è venuta (come tutte, del resto) assolutamente di getto. Stavo immaginando la scena con questi due che camminano e parlano e alla riposta di Siirist, Evendil si blocca e lo fissa tra il perplesso e lo scioccato, mentre Siirist non si accorge di nulla e continua a camminare. Non ho scritto tutto questo per non interrompere la continuità della narrazione, ma è così che doveva essere. Althidon sta già odiando Siirist e trema al pensiero di doverselo sorbettare per i cinque anni successivi! Come ho detto a xevel, Adeo è stata un’illuminazione del momento. Inizialmente anche Ren (aveva anche un nome diverso, ma non ricordo quale!) era tutt’altro, ma poi l’ho voluto rendere simile a Renji. Non so se in futuro ci saranno altre sorprese tipo Adeo, poiché non ho ancora pensato a tutti i dettagli, ma non credo. Anche se non è mai detta l’ultima fino a che non ho scritto i capitoli! Alea? Aspetta e vedrai. Il suo rapporto con Siirist non sarà come nella prima versione, in cui i primi tre anni di addestramento erano racchiusi in un capitolo, ora verrà tutto ampliato e più dettagliato, le evoluzioni varie saranno più graduali. Sono felice che non hai rimpianti, visto che quelle discussioni non ci saranno più: il rapporto tra i due che sai sarà totalmente differente, esattamente come è su Bleach. Niente paura per i draghi femmina, crescendo, come dice Aulauthar, Rorix svilupperà un carattere suo. Resterà sempre un completo testa di cazzo, ma più saggio. Ren è forte, non preoccuparti, avrà il suo momento di gloria in futuro. Non tanto nella scena che conosci tu, quanto più avanti, nel momento che più attendo in assoluto, ma di cui non dico niente perché non ci ero arrivato nella prima versione. Bial è umano perché non voglio che tutti i capitani siano elfi, e voglio mantenere l’aspetto di Byakuya identico, anche se effettivamente le orecchie a punta ci stavano bene. Oh beh, troppo tardi! Per finire, ti ho già detto che un Kenpachi ci sarà e sarà per Siirist una delle figure più importanti nella sua formazione.



Ricordo a tutti che un commentino fa sempre piacere. Il prossimo capitolo si intitola LA PROVA


Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** LA PROVA ***


LA PROVA

 

La strada per arrivare ad Anvil era stata lunghissima. Da Cheydinhal avevano intrapreso la Via Blu che li portò alla Via Rossa Circolare, la strada che circondava il lago Rumare, percorrendolo in senso antiorario diretti verso nord, oltrepassando l’incrocio con la Via Nera che conduceva a Chorrol, arrivando infine a quello con la Via Dorata. Solo per arrivare a quell’incrocio, solitamente erano necessari tre giorni; loro ce ne avevano impiegato uno: senza alcuna sosta, spingendo i cavalli al massimo delle loro capacità.

‹Thor è un pazzo.› aveva pensato Gilia.

Fosse stato per il guerriero, cavalli sarebbero caduti stremati a prima di aver raggiunto la Via Nera, ma fortunatamente per loro, il ragazzo li aveva sempre ricaricati di energia richiamando gli spiriti della natura.

Erano le oltre le due di notte quando Gilia e Thor erano arrivati alla città portuaria ed avevano affittato una stanza alla locanda per la notte. Il giovane stava per svenire per la fame e si avventò sul cibo nel momento in cui lo vide.

«Un vero guerriero sa contenere i suoi istinti!» lo aveva rimproverato il maestro di spada.

«Un vero guerriero sa che non è conveniente per lui provocare uno stregone stanco, affamato ed irritabile.»

«Credete che sareste in grado di sconfiggermi, nobile Gilia? Nemmeno fra cent’anni!»

«L’importante è crederci...»

«Come?!»

«Io vado a letto.»

Così Gilia si era alzato ed era andato nella sua stanza, dove cadde sul letto come un cadavere.

Il mattino dopo Thor lo aveva svegliato alle otto, invitandolo ad allenarsi in vista della Prova. Gilia aveva richiamato gli spiriti dell’oscurità affinché inghiottissero i suoni emessi dal barbaro e gli permettessero di continuare a dormire, ma arrivate le nove aveva capito che era inutile, poiché l’armadio con la scatola cranica vuota aveva iniziato a prendere a pugni il materasso e la testata del letto.

Dirigendosi al molo, poi, i due avevano sentito parlare del conte, che era stato arrestato con l’accusa di tradimento e cospirazione contro l’Impero, oltre che con detenzione di olio di Seithr. Al ragazzo la notizia era parsa estremamente grave e preoccupante, ma allo stesso tempo difficile da credere, poiché Umbranox era uno stretto amico di suo padre e di tutta la sua famiglia.

Dopo ore di estenuante attesa, finalmente erano arrivate le dodici e puntualmente anche la nave per Vroengard, su cui Gilia e Thor erano subito saliti, ed il ragazzo si era seduto, del tutto intenzionato a dormire, imponendo all’uomo di stare zitto e fermo, altrimenti non lo avrebbe perdonato.

E così Gilia stava ancora dormendo, mentre le onde si infrangevano contro lo scafo, e nel sogno rivide ogni istante degli ultimi tre anni che aveva passato con Deria; senza potersi controllare e fermare, il ragazzo incominciò a piangere nel sonno.

Il riposo del giovane fu interrotto da un forte odore di rosa e vaniglia che invase le sue narici, inebriandolo completamente. Aprì lentamente gli occhi, un’aria di beatitudine sul volto, ogni dolore per Deria svanito, e si guardò intorno. Vide poco più avanti camminare una fanciulla, che evidentemente gli era appena passata accanto. Ella era alta, oltre un metro e ottanta, con le lunghe gambe atletiche dalla pelle olivastra che invitavano ad essere venerate e seguite fino al bordo del vestito verde smeraldo che arrivava a metà coscia sulla gamba destra, poco sopra il ginocchio sulla sinistra. I lunghi capelli fluenti erano elegantemente intrecciati in una acconciatura complessa, ed il loro colore ricordava quello del miele più dolce. Arrivavano quasi a coprire il sedere, ma la forma scultorea e perfetta di questo gli permetteva di non essere ignorato nonostante la copertura della chioma. Esso si muoveva ritmicamente ad ogni passo, obbligando il ragazzo a seguirlo con lo sguardo, ipnotizzato, la bocca aperta con un’espressione da ebete.

‹Che diavolo stai facendo? Distogli lo sguardo, cretino! Hai Deria ad aspettarti a casa, non puoi certo stare a sbavare dietro alla prima elfa che vedi!› si maledisse.

Però era strano. La nave era carica di elfi, ed i loro odori vari permeavano l’aria: allora perché quello della fanciulla lo aveva colpito così tanto? Non poteva essere solo perché gli era passata accanto. Inoltre il giovane aveva conosciuto diversi esponenti di quel misterioso popolo, e pensava di essere immune al loro fascino. Allora cosa aveva di particolare quella lì? Gilia voltò lo sguardo verso il guerriero alla sua sinistra, e lo vide con il busto perfettamente eretto, le braccia conserte e la testa china, con il mento quasi poggiato al petto e gli occhi chiusi.

‹Sempre la solita statua irremovibile.›

 

Finalmente la nave attraccò al porto di Vroengard. Tutti i passeggeri si prepararono a scendere e, messo piede sul molo, Gilia si ritrovò accanto all’elfa di prima. Ora la vedeva anche da davanti e ne rimase anche più affascinato: il vestito verde smeraldo arrivava sopra la spalla destra, proseguendo poi in diagonale coprendo appena il seno sinistro, che però era coperto da una sottoveste verde chiaro, appena scollata. Il petto generoso ma non esagerato si conciliava alla perfezione con il resto della corporatura. Alla vita, dalla forma bellissima, intuibile anche se coperta dagli abiti, vi era una cintura d’oro che reggeva sul fianco sinistro una spada ad una lama di fattura tradizionale elfica, con l’elsa in avorio e l’impugnatura ad una mano ricoperta di seta bianca e dorata. Di sicuro quella era una delle spade più belle che Gilia avesse mai visto. Subito pensò al suo spadone a due mani, dalla semplice guardia a croce senza alcuna decorazione.

Un soffio di vento portò il profumo naturale dell’elfa alle narici del ragazzo, catturando nuovamente la sua attenzione, ma questa volta sul viso. Ed in quel momento si chiese in quale modo inspiegabile fosse possibile che precedentemente la sua attenzione fosse andata invece sulla spada. Il volto della fanciulla era la visione più bella che gli si fosse mai parata davanti, così bella che non riusciva nemmeno a comprenderla appieno. Due lunghe trecce scendevano lungo le tempie, arrivando quasi alle anche, incorniciando la faccia come fanno due montagne in mezzo alle quali sorge il sole. L’espressione era composta ed impassibile, come quella di tutti gli elfi che egli avesse conosciuto, altezzosa, anche più del solito. Osservando anche l’eleganza degli abiti, dell’acconciatura e degli accessori, Gilia intuì che ella fosse di famiglia nobile.

La stava ancora fissando con espressione di stupida meraviglia, quando lei parve accorgersene, tanto che si girò verso di lui, fissando i suoi occhi smeraldini in quelli scuri di lui. Dopo quella fugace occhiata, ella guardò nuovamente davanti a sé, incamminandosi poi verso la terraferma.

Un’occhiata, un’occhiata era bastata perché Gilia avvampasse.

‹Ancora una volta: Deria!› si ripeté forte.

Seguendola con lo sguardo, Gilia vide che l’elfa era seguita da quattro servitori, ognuno che portava due borse.

‹Sembra essere più che sicura di diventare un Cavaliere.›

Si voltò verso Thor, osservando come invece egli avesse solo una grande borsa con sé.

‹Io invece spero proprio di no.› rabbrividì solo al pensiero.

«Andiamo anche noi, nobile Gilia?» chiese il guerriero.

«Sì, certo.»

I due seguirono la massa di passeggeri all’esterno del villaggio di Vroengard. Dopo esservi entrati, l’attenzione di Gilia fu colta da un ragazzo biondo tra i sedici ed i diciassette anni, alto circa un metro e settanta o poco più, che intratteneva una conversazione con tre belle giovani. Inguardabili per la loro bruttezza se paragonate alla fanciulla elfica, ma considerabili molto carine per gli standard umani. Vide che quello ignorò per un momento la sua compagnia per osservare interessato il corteo di persone scese dalla nave. Non era lo sguardo di un semplice abitante curioso nei riguardi di quella importante ricorrenza, era piuttosto lo sguardo di qualcuno interessato personalmente. Ma fu un istante, come ebbe percorso con lo sguardo tutta la fila di gente, ritornò ad intrattenere le donne, per poi allontanarsi con loro all’invito di una di esse.

Non volendo sapere cosa sarebbe successo poi tra quei quattro, Gilia accelerò il passo, seguito a ruota da Thor.

La salita per arrivare alla Rocca era molto lunga e ripida, oltre che tortuosa, e Gilia già iniziava a sudare un po’.

«È tutta qui la vostra resistenza, nobile Gilia? Un vero guerriero deve essere più forte!»

«Un vero guerriero suda, io preferisco la via dello stregone: spiriti della terra, ascoltate la mia preghiera, sostenetemi lungo il cammino.»

La terra sotto i piedi del ragazzo incominciò a tremare, fino a che non si mosse, trasportando lo stregone. Le persone che camminavano e che sentivano la roccia accanto a loro muoversi inizialmente si preoccuparono e si allarmarono, ma quando poi videro che si trattava di uno dei potenziali futuri Cavalieri che aveva utilizzato un’evocazione, si rassicurarono, ed osservarono meravigliati la scena.

Thor, d’altro canto, non ne fu proprio contento, ed il suo odio nei confronti di Adrian, che, a detta sua, aveva rammollito Gilia, crebbe anche di più.

«Aspettatemi, nobile Gilia! Un vero guerriero non ricorre a simili trucchetti!»

Scattò in una corsa sfrenata all’inseguimento del ragazzo, il quale, percepito il pericolo, evocò spiriti ancora più potenti che permisero al terreno di scorrere più rapidamente.

Egli aveva raggiunto la fanciulla elfica, la quale si girò verso di lui, guardandolo con le sopracciglia alzate, forse sorpresa, quando una mazza lo colpì sulla nuca, buttandolo in avanti. Subito gli spiriti della terra si dispersero, e la roccia ritornò alla solida normalità.

‹Dannato... barbaro...› pensò tenendosi dolorante la testa, sentendo il sangue macchiargli la mano e colare lungo il collo.

L’elfa per un momento di fermò, osservandolo con aria indifferente, forse con indecisione, per poi finalmente decidersi ed abbassarsi verso il giovane umano.

«Ma, nobile Alea, che fate...?»

Ella non rispose. Appoggiò l’indice della mano destra sulla fronte di Gilia e un momento più tardi questi sentì un fortissimo dolore al cranio, anche più grande di quello che già aveva, che però sparì nel giro di un istante, così come il flusso di sangue. Ma anche la mano e gli abiti, ormai imbrattati del liquido rosso, ritornarono ad essere lindi come se non fosse successo nulla. Persino la polvere che si era procurato cadendo in avanti dopo aver ricevuto la mazza in testa fu rimossa.

Sempre in silenzio, la fanciulla si rialzò e riprese il cammino. Fu allora che arrivò Thor che recuperò la mazza.

«Ma che...?»

«Quella è stata la magia curativa più potente che abbia mai visto...» rispose Gilia, ma parlando più a sé che all’altro.

Come diavolo aveva fatto quell’elfa a curarlo in quel modo? Ne era sicuro, la sua mente non era stata violata. Allora come era possibile? Per utilizzare la magia organica era basilare il controllo mentale. Eppure lei non lo aveva fatto. Piuttosto a Gilia era parso che ella avesse immesso il suo Flusso vitale direttamente nel corpo di lui. Ma non era possibile, bisognava avere un legame spropositato per fare qualcosa del genere, mai ne aveva sentito parlare.

«Vi aiuto.»

Thor porse la sua mano al padrone, il quale la prese per alzarsi.

«Vi chiedo scusa per il colpo arrecatovi, ma dovevo pur dimostrarvi che non è quello il modo di salire verso la Rocca per un vero guerriero.»

«Sì, a proposito... Spiriti della terra, mostrategli la mia rabbia e scatenatevi su di lui.»

La roccia sotto i piedi di Thor tremò per poi alzarsi, formando una collinetta. La crescita fu così violenta da spingerlo in aria. Subito dopo, la collinetta appena formata si trasformò in un gigantesco blocco di pietra dalla forma di un pugno serrato, che si abbatté sull’uomo, schiantandolo contro il terreno, da cui poi scivolò, candendo oltre il limite della strada, verso il tratto sottostante.

«Un vero guerriero sale a piedi questa strada? Allora fallo ancora, imbecille!» tuonò Gilia, che poi evocò gli spiriti del fulmine e lo fulminò.

Fece il gesto di pulirsi le mani e si voltò, riprendendo il suo cammino, ma senza utilizzare la stregoneria perché la sua stabilità mentale era un po’ vacillante a causa della forte curiosità che provava nei confronti di quella Alea, cosa che gli impediva di concentrarsi adeguatamente.

‹Di certo non voglio diventare uno spettro. A questo punto sarebbe meglio essere Cavaliere!›

 

Siirist uscì dall’appartamento di una delle sue nuove amiche, fermandosi poi sulla soglia. Si guardò intorno e poi si allacciò il bottone del polsino destro con nonchalance.

‹Altre tre da aggiungere alla lista, alla faccia di quel bastardo di Evendil.›

La festa era durata appena mezz’ora, ma nonostante ciò le tre parevano aver gradito più che a sufficienza, ma il ragazzo aveva fretta di tornare alla Rocca, in quanto i candidati a diventare futuri Cavalieri erano arrivati.

‹Oramai saranno già alla Rocca. Se non arrivo in tempo per assistere alla Prova, quell’elfo finocchio mi mette allo spiedo. A proposito di spiedo...›

Tramite il legame mentale, il Cavaliere d’Inferno sapeva già dove trovare il suo compagno, per cui ci si diresse. Trovò il cucciolo di drago volare, seppur in maniera affatto aggraziata, inseguendo una libellula. Il giovane si sedette su una roccia, divertito dallo spettacolo. L’insetto disperatamente volava in tondo, tentando di scappare all’inevitabile morte, ma dopo qualche minuto finì nelle fauci del draghetto. Inoltre, a terra Siirist poté vedere un ammasso di cadaveri di uccelli e conigli vari.

‹Vedo che ti sei dato da fare. Ti sei divertito?› sorrise Siirist.

Per tutta risposta, Rorix fece passare la lingua fuori dalla bocca, come a leccarsi le labbra, se ce le avesse avute.

‹Perfetto, andiamo?›

L’Inferno miagolò eccitato e volò sulla testa del Cavaliere, dove si appollaiò. Il ragazzo allora si alzò e sì incamminò verso la Rocca. 

 

Gilia rimase colpito dall’imponenza delle mura della Rocca. Il marmo nero splendeva alla luce solare ed il grande cancello era aperto per permettere a tutta la gente di entrare. Appena davanti a sé vide tutta la folla ammassarsi nel grande cortile, così si unì ad essa. Facendosi largo, riuscì ad arrivare in prima fila e riuscì finalmente a vedere cosa tutti stavano osservando con ammirazione e nervosismo: un lungo tavolo d’ebano su cui erano poggiate dieci pietre di vario colore.

‹No, non sono pietre... quelle sono le uova...› Gilia si fece serio e le fissò, il respiro che si faceva più lento.

Tutto intorno a lui parve non produrre più alcun suono; non sentiva più il continuo vociare di nobili umani e elfici, persone che sfruttavano l’occasione per rivedere parenti divenuti Cavalieri. Tutto sembrava anche essere rallentato. Ormai non esisteva più niente, solo lui e le uova. Dieci uova, dieci possibilità, dieci colpi al cuore prima di poter essere finalmente sicuro. Sempre che lo sarebbe stato.

‹Deria...›

Il ragazzo fu richiamato alla realtà da una mano che lo toccò sulla spalla. Un tocco delicato, morbido. Un’aria di rose e vaniglia. Si voltò di scatto, trovandosi nuovamente faccia a faccia con l’elfa.

«Vieni, i candidati devono presentarsi al Consiglio.»

Dette quelle parole con un tono quasi privo di vitalità, la fanciulla si incamminò, facendo strada all’umano. Inizialmente il giovane rimase bloccato, quasi non sapendo come reagire. Quella ragazza oramai non aveva più alcun effetto di attrazione su di lui, piuttosto gli incuteva un timore incomprensibile. Che razza di legame mostruoso aveva? Non poteva credere che fosse reale, era troppo anche per un elfo.

Ella fermò il suo passo e si voltò, fissandolo con occhi fermi, impassibili, che non ammettevano repliche.

«Sì, arrivo...!»

Gilia balzò in avanti correndo verso di lei, fermandosi quando la ebbe raggiunta, per poi camminare al suo fianco.

Si diressero verso un edificio dove entrarono, trovando altri ventiquattro candidati, di cui sei elfi, e dieci Cavalieri, tutti uomini elfici a parte un umano ed un’elfa. Gilia si inchinò a questi e li salutò formalmente. Tutti abbassarono la testa, ma solo uno rispose, uno accompagnato da un drago argentato.

«Buongiorno, io sono Aulauthar e questi sono gli altri membri del Consiglio. Ho già dato il benvenuto agli altri, e, come ho già detto, sono felice di vedere così tanti candidati quest’anno, soprattutto perché ci sono alcuni umani non nobili, grandi guerrieri o mistici raccomandati dai loro superiori. Il tuo nome, ragazzo?»

«Gilia Corvinus, figlio di Garrus Corvinus, conte di Cheydinhal.»

«Oh, bene, un altro cyrodiiliano. Io faccio parte della guardia di Imperia e sono stato candidato dal duca.» gli sorrise uno degli uomini.

Gilia fece altrettanto.

«Ed un ritardatario. Se superi la Prova vedi di essere più attento, quest’anno abbiamo già per le mani un combina guai.» disse scocciato un Cavaliere accompagnato da un drago nero.

Gilia abbassò la testa mortificato, guardando il drago, che lo fissò con le sue iridi scure. Non poté non notare come il colore profondo fosse uguale a quello di una delle uova disposte sul tavolo nel cortile.

«Su, Syrius, non parlare così male di Siirist.» ridacchiò Aulauthar.

«Amico mio, presto sarà Althidon a farlo. Quello è un delinquente ed il suo drago... è anche peggio... Un secolo di attesa perché si schiudesse e... ci ritroviamo... quello...» rispose il Cavaliere nero, con un tono tra il disperato e l’adirato.

Tutti i pretendenti si chiedevano di cosa stessero parlando i due Cavalieri, intuendo che ci fosse qualcosa che non andasse all’interno dell’Ordine; sospetto provato dall’espressione assunta dal resto dei membri del Consiglio. Solo Aulauthar manteneva il suo sorriso ed era ottimista.

«Su, ora andiamo, la Prova deve avere inizio.»

 

Siirist era a metà della salita. Camminava con le mani appoggiate alla cintura, il busto piegato in avanti.

‹Quanti futuri Cavalieri pensi che ci saranno?› domandò alzando lo sguardo.

Rorix allungò il collo, abbassando la testa ad incrociare gli occhi del ragazzo, seppur vedendoli all’incontrario.

‹Non lo so, non mi interessa. Spero solo ci sia il prescelto dell’Incubo, questo renderebbe il tutto molto più interessante.› rispose con tono eccitato il drago.

Siirist conosceva bene quel tono, era quello che veniva a lui ogni volta che gli si presentava una sfida; la maggior parte delle volte lo aveva usato per rispondere a Keira quando ella gli diceva che il furto che si apprestava a commettere era troppo difficile, se non impossibile.

Sorrise.

‹Che ridi? Ti sei rincretinito?›

‹Sì, ho un peso insopportabile sulla testa.›

‹Vuoi che ti strappi il naso?›

Le fauci dell’Inferno circondarono in modo minaccioso il naso del Cavaliere.

‹No grazie, mi piace così.›

Entrambi si lanciarono un’ultima occhiata. E ridacchiarono.

 

«Signori e signore, elfi e umani, benvenuti a Vroengard. A nome di tutto il Consiglio e dell’intero Ordine dei Cavalieri dei draghi, vi chiedo di accogliere queste nobili persone che sono venute qui per diventare il nostro prezioso futuro.» proclamò Aulauthar.

‹Certo, come se fosse una libera scelta...›

Gilia stava insieme agli altri pretendenti dietro al Cavaliere d’argento e gli altri membri del Consiglio, ed osservò il pubblico che aveva di fronte. Non conosceva gli elfi, ma vide tra gli umani alcuni dei più grandi esponenti della società umana, quali Yevon, granduca di Zanarkand, Mika,  granduca di Bevelle e governatore di Spira, ed un altro uomo anziano circondato da molte guardie. Il ragazzo non lo aveva mai visto, ma conosceva bene lo stemma raffigurato sul mantello: un grande grifone fiammante su sfondo bianco.

‹Ma quello... è l’Imperatore Septim!›

«Dunque, senza che aggiunga altro, direi che possiamo procedere! Candidati, formate una fila alla sinistra del tavolo ed iniziate man mano a procedere toccando, uno per volta, tutte le uova.»

Gli interessati fecero come ordinato e Gilia si ritrovò ad essere il sesto della fila, mentre Alea era la prima. Ella fece un passo verso il primo uovo, dal colore arancione, e lo toccò. Evidentemente non doveva aver sentito nulla, tanto che passò avanti. Come fu arrivata di fronte ad un uovo grigio metallo, il secondo della fila toccò quello arancione: a nessuno dei due accadde nulla. L’elfa allora passò al terzo, giallo paglia, ma nuovamente non ebbe alcuna reazione. Quando fu la volta di toccare quello nero come il drago di Syrius, Gilia notò come il Cavaliere la guardò con più interesse, notevolmente deluso quando, ancora una volta, ella passò avanti.

Dalla folla arrivò un vociare di meraviglia e sorpresa che attirò l’attenzione di Gilia, così egli si voltò e vide arrivare il ragazzo biondo che aveva visto al porto, che camminava con le mani intrecciate dietro la nuca ed un cucciolo di drago dalle scaglie rubine sul capo.

‹Ma quello... non sarà...?!›

Con gli occhi sgranati, Gilia si diresse a toccare il primo uovo, e, con sua somma gioia, non accadde nulla. Alea stava per toccare il settimo, dal colore azzurrino, quando egli era al secondo. Lo toccò in fretta, volendo finire tutto rapidamente, e ancora non ci fu reazione. Stessa cosa con quello giallo paglia.

Gilia cominciava a rassicurarsi, già tre erano andati. Sì, poteva farcela, forse poteva andarsene da Vroengard e tornare ad abbracciare la sua amata Deria. Tutto eccitato si diresse all’uovo nero e stava per toccarlo quando sentì un urlo disumano provenire dalla sua sinistra. Si voltò di scatto e vide Alea, di fronte al penultimo uovo, bianco come la neve più candida, crollare a terra sofferente e contorcersi agonizzante. Pochi attimi dopo, come gli urli erano cominciati, si interruppero. L’elfa si rimise in piedi, si pulì la veste con noncuranza, prese sottobraccio l’uovo bianco ed andò a raggiungere i Cavalieri, accompagnata da un’esplosione di applausi dal pubblico.

Gilia la stava ancora guardando quando senza nemmeno accorgersene appoggiò la mano sull’uovo nero. Un istante dopo strabuzzò gli occhi quando sentì un’improvvisa fiammata partire dalla sua mano e consumare il suo intero corpo. Con dolore, cadde sulle ginocchia, rifiutandosi di urlare, di manifestare la sua agonia poiché non le voleva dare credito, non era essa a farlo soffrire di più, era l’immagine di Deria spazzata via dalle ali nere di un drago.

«NO!!!» urlò, le lacrime agli occhi, candendo all’indietro e perdendo i sensi.

 

‹Contento?› chiese Siirist, i suoi occhi fissi sul ragazzo appena svenuto.

‹Sì.› rispose euforico Rorix, il tono maniacale.

‹Ma il Cavaliere sembra una sega, è svenuto per aver toccato l’uovo? A me non è successo, e ho toccato quello d’Inferno!›

‹No, però hai recuperato quando sono nato, dando prova della tua colossale idiozia, ti ricordo.›

‹Fai silenzio tu.›

Molta gente era intanto accorsa attorno al futuro Cavaliere svenuto, primo tra tutti un grande uomo dai capelli e la barba incolti, fiammanti come le scaglie di Rorix.

‹Andiamo ad aiutare anche noi?› domandò Siirist.

‹Nah.› rispose svogliato l’Inferno.

‹Sono d’accordo.›

 

Gilia lentamente aprì gli occhi. Dapprima la luce della stanza lo abbagliò, ma poi riuscì a mettere a fuoco.

«Oh, sei sveglio, finalmente.»

Di chi era quella voce? Gilia si girò nella sua direzione e vide il ragazzo biondo seduto su una sedia accanto al suo letto. Il drago appollaiato sulla sua testa lo guardava incuriosito.

«Chi sei tu?»

«Il mio nome è Siirist, piacere di conoscerti. Saremo compagni di addestramento per i prossimi cinque anni, per cui ho pensato sarebbe stato gentile venirti a far visita.»

«Compagni...?»

Girò anche più la testa e vide, appoggiato sul comodino alla sua sinistra, l’uovo nero.

‹Ah, giusto... Deria, mi dispiace...›

Senza modo di controllarsi, il ragazzo incominciò a piangere ininterrottamente, bagnando in poco tempo le lenzuola.

«Ehi, che hai? È da quando hai toccato l’uovo che non fai che piangere! C’è qualcosa che non va?» domandò preoccupato il biondo.

«Vattene...» mormorò appena Gilia.

«Come?» Siirist non lo aveva sentito.

«Ho detto di andartene!» urlò.

 

Che cosa?! Che diavolo aveva detto quello lì? E lui che si era affannato tanto per lui. Cioè no, in verità nemmeno tanto, anzi era stato felice di andarsene da quella cerimonia pomposa. Aulauthar aveva detto che doveva essere presentato assieme agli altri tre che avevano superato la Prova e che erano ancora coscienti, ma lui aveva detto di essere preoccupato per il futuro Cavaliere d’Incubo. Non che credesse davvero di aver fregato l’anziano, ma almeno se ne era andato. Insomma, dopo tutto quello, quel bastardo gli diceva di andarsene?

«Eh?!» alzò il sopracciglio e fece una smorfia.

«Ti ho detto di lasciarmi solo.» il tono era calmo, ma molto più freddo.

‹Siirist, andiamocene. Questo qui è solo un idiota.›

‹Sì, sono d’accordo.›

‹Incredibilmente più di quanto non lo sia tu.›

‹Fai silenzio.›

Il Cavaliere d’Inferno uscì dalla stanza dell’infermeria e vide venirgli incontro Evendil.

«Hai saltato la cerimonia. I Cavalieri prestano sempre un giuramento di fronte ai signori più importanti delle due nazioni.»

«Sono stato a prendermi cura del mio futuro compagno di addestramento!»

«Cazzate.»

«Hehe. Allora perché non sei venuto a prendermi?» ridacchiò appoggiando la testa alle mani dopo averle intrecciate dietro la nuca.

«Stavo parlando con mio zio.»

«Il re degli elfi?»

«Sì. Ha detto che gli è dispiaciuto non conoscerti, ci teneva molto. Ma è dovuto andare via subito, per cui non ne ha avuto la possibilità.»

«Sarà per un’altra volta.»

«Sicuramente.»

«Che hanno detto tutti del fatto che ora c’è il Cavaliere d’Inferno?»

«Sono rimasti tutti molto sorpresi. Alcuni felici, altri timorosi. Alcuni poco convinti del fatto che una persona immeritevole abbia ricevuto questo onore.» rise.

«Eh?!» fece la stessa smorfia rivolta al futuro Cavaliere d’Incubo.

«È stato Syrius a spiegare più o meno che tipo fossi.»

«Allora si spiega tutto.»

«Dunque saresti tu il Cavaliere d’Inferno?»

Siirist si voltò verso la voce che aveva parlato e rimase di stucco nel vedere che si trattava della ragazza più bella che avesse mai visto in vita sua. La aveva osservata durante la Prova, ma in quel momento era stato attento esclusivamente all’esito di essa, per cui, incredibilmente, non aveva notato più di tanto quanto la fanciulla che aveva ora davanti fosse incantevole. Lunghi capelli biondi che le incorniciavano il volto che doveva essere stato scolpito da Deraia stessa, ed un delicato aroma di rose e vaniglia che giungeva felicemente alle sue narici, inebriandole insieme a tutto il suo essere.

«Alea Ilyrana, è un piacere conoscerti.»

«Evendil Thyristur, presumo stiate parlando in questa lingua primitiva per permettere anche a lui di comprendere, giusto?»

«Non hai un’alta considerazione degli umani, vero?»

«Sono deboli, nient’altro da aggiungere. Per questo mi chiedo perché quel drago abbia scelto un patetico ragazzino anziché uno di noi, come ad esempio voi, nobile Evendil. Siete l’unico che mi superi in quanto a legame con il Flusso vitale, la vostra forza è sprecata come un non Cavaliere.»

‹Già mi sta sul cazzo.› ringhiò Rorix.

‹Lo dici a me?› rispose retorico il suo Cavaliere.

«Ragazzina, non parlare di ciò che non conosci. Io sarò anche potente, ma non hai idea di cosa è capace Siirist. Ora sarà anche poco esperto nel combattimento, ma le sue potenzialità sono infinite. Per cui non insultarlo più, perché potresti finire con il farti male.» sibilò Evendil, per poi camminare via.

Alea rimase interdetta. Siirist non aveva la minima idea di cosa avesse detto l’elfo, ma dal tono che aveva usato poteva giudicare che non fossero complimenti su quanto stessero bene i capelli alla fanciulla.

Per tutta risposta, ella guardò Siirist con ancor più disprezzo.

«Tu, vieni con me. Mostrami di cosa sei capace.» intimò, per poi girarsi ed uscire dall’infermeria.

‹Una sfida! Interessante!› Rorix si passò la lingua sul muso, gli occhi infiammati.

‹Perfetto, un idiota depresso e una stronza. Mi aspettano cinque anni di festa, insomma!›

 

 

 

 

~

 

 

Ed ecco il nuovo capitolo. Niente da aggiungere questa volta, se non una richiesta a tutti di lasciare un commentino!

 

Ringraziamenti:

 

Banko/Zack (ti piace? XD). Gilia ha molto rispetto per le autorità, solo che con suo padre si permette di rispondere come non farebbe con nessun altro (infatti abbassa lo sguardo quando Syrius lo cazzia perché è arrivato in ritardo) perché, appunto, è suo padre. Se davvero c’è una cosa che li accomuna tra quelle che hai detto, è volere il meglio per sé! Mi pare che Siirist non abbia fatto altro dall’inizio! Gilia è un abilissimo stregone e questa abilità gli permetterà di essere alla pari con gli altri due, soprattutto per un dettaglio che dirà nel prossimo capitolo. Certo, poi ad un certo punto Siirist diventerà tutta un’altra cosa e lo sai bene, ma quella è un’altra faccenda. Il conte di Cheydinhal sarà visto più avanti e ricoprirà un ruolo molto importante per lo svolgimento della trama. Ancora devo lavorarci perché ho bene in mente solo il proseguimento dell’avventura di Siirist e non di quello che succederà a tutta Tamriel (in pratica quello che combinerà la Setta dello Scorpione), ma so già che Cheydinhal sarà un punto focale. Per rispondere alla tua ultima domanda... Non credo, almeno non seriamente. Ho già in mente un momento in cui Siirist la userà per prendere in giro i suoi nemici, ma non so bene quando inserirlo, forse all’inizio del quarto anno di addestramento.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** COMPAGNI PER CINQUE ANNI ***


COMPAGNI PER CINQUE ANNI

 

Sbuffando e scuotendo la testa, Siirist si apprestò a seguire la sua nuova migliore amica fuori dall’infermeria, volendo sapere esattamente cosa le passasse per la testa.

‹Ti ha sfidato. Non credo tu sia così tanto stupido da non capire questo.›

‹Oh, grazie per la delucidazione, non ci ero arrivato.›

‹Sempre a tua disposizione.›

‹Datti fuoco. Dico solo che non mi pare sia il caso iniziare a combattere al nostro primo incontro.›

‹Ammettilo che non riesci a far male ad una così carina.›

‹“Carina”?! Ma l’hai vista? È una fica colossale!› ammise il ragazzo.

‹Ah!›

Siirist aveva raggiunto l’uscita ed aveva messo piede sul terreno esterno. Alea era lì ad aspettarlo, con alcuni Cavalieri che già si erano avvicinati curiosi di sapere l’esito dello scontro. Evendil non ne era molto convinto, ma comunque lasciava stare, poiché vedeva che Althidon era d’accordo.

Ma a Siirist nessun altro interessava, era concentrato esclusivamente su di lei. Piegò le gambe toccando il sedere quasi a terra, le braccia conserte appoggiate sulle ginocchia.

‹Scherzi a parte, so già che questo scontro non avrà belle conseguenze, comunque vada a finire.›

‹Temo tu possa avere ragione, ma Althidon non vi ha posto fine, perciò è d’accordo.›

‹Sì, ho notato. Va beh, facciamola finita.›

Il giovane si alzò facendo qualche esercizio di stretching, per poi camminare verso la sfidante.

«Hai finito di pensare?» chiese con tono piatto lei.

«Sì. Sappi che non sono d’accordo, ma se è quello che vuoi, non posso che assecondarti. Non è mia consuetudine non far felice una bella donna.» rispose con un sorriso beffardo.

«Hmpf.» rispose Alea per niente interessata ai commenti di Siirist, sguainando la spada.

«Ehi, quanta fretta! Non ho la mia spada con me, lascia che vada a prenderla!» fece notare il ragazzo.

«Prendi la mia.»

Siirist si girò di colpo, non credendo alle sue orecchie: davanti a lui c’era Evendil che sguainava Lin dur, la impugnava per la lama e la porgeva al giovane. Siirist guardò incerto prima l’elfo poi l’arma, per poi allungare timoroso la mano verso l’elsa. Un attimo prima che questi potesse afferrarla, il mezzo dunmer la alzò di scatto, portandola lontano dalla mano del ragazzo.

«Trattala bene. Ti ammazzo se ci trovo qualche graffio.» disse, per poi riabbassarla.

Allora lo sguardo di Siirist cambiò: si fece più sicuro e strinse saldamente l’impugnatura.

‹Così ti voglio. Batti questa arrogante ragazzina.› disse poi Evendil.

‹Sarà una ragazzina per te, resta comunque più grande di me di quattro anni! Ed è certamente più forte di me.›

‹E io che sono, una nuova moda di cappello?› protestò Rorix.

‹Come?›

‹Voglio dire, sto qui a prendere la polvere? Quella puttana sarà anche più esperta di te, ma non certo più forte: abbiamo un legame mentale del 6%, non sminuire la forza che ti trasmetto!›

‹Tralasciando il linguaggio forbito degno del suo Cavaliere, Rorix ha ragione. Ma fai attenzione ai suoi incantesimi. Se intende fare sul serio, e temo sia così, userà anche quelli.›

‹Lo so, ha un legame di 36000, inoltre immagino sia anche piuttosto esperta in materia.›

«Avete finito la vostra riunione strategica?» esclamò tutto d’un tratto Alea, per una volta mostrando una parvenza di emozione nella voce: impazienza e irritazione.

«Sì, hai ragione. So che comunemente si dice che non bisogna mai far attendere una donna, ma io preferisco farlo, in quanto nella mia esperienza ho imparato che far aumentare l’attesa rende il tutto più piacevole.»

«Spero di non aver capito di cosa tu stia parlando.» rispose nauseata.

«Se vuoi te lo spiego più tardi... in camera...»

«Mi disgusti.»

«Se vuoi va bene anche da qualche altra parte.»

«Ora basta. Fai silenzio e mettiti in guardia.»

Alea spostò indietro il piede sinistro, alzando il braccio destro e la spada, allineati perfettamente, puntandola verso il cuore del ragazzo. Egli, invece, mantenne i piedi paralleli, con la spada davanti a sé tenuta con due mani, mentre Rorix saltava giù dalla sua testa e si avvicinava ai piedi di Evendil.

‹Fai attenzione, ha assunto una posizione di attacco.› disse Evendil.

‹Ho notato, per questo io ne ho una difensiva. Quanti douriki pensi abbia?›

Alea partì all’attacco, rapida come il vento, compiendo un rapido giro su se stessa verso sinistra per caricare il suo tondo dritto diretto alla spalla sinistra del giovane, che reagì piegando immediatamente il gomito sinistro verso il busto, ed il braccio destro seguì. La lama, in questo modo, andò a trovarsi esattamente in mezzo all’attacco.

‹Non lo posso sapere per certo, ma considerando la sua età ed il suo sesso, direi sui mille.›

‹Ma tu sei un uomo e hai oltre cento anni e ne hai oltre tremila! O esageri o sei una mammoletta tu!›

Siirist piegò le gambe sbilanciandosi verso destra, appoggiando la mano a terra e contemporaneamente alzando la gamba sinistra per colpire con un calcio basso al ginocchio dell’elfa.

‹Alla sua età io avevo quasi duemila douriki. Gli elfi raggiungono al massimo cinque o seimila douriki, e fino ai cinquant’anni salgono molto in fretta, per poi crescere molto più lentamente. Non è così facile sviluppare la forza fisica, sai? – rispose acido. – Per quanto riguarda i douriki energetici, non ti so dire, ma non credo sia molto importante come fattore, considerando il suo Flusso.›

Alea, anche se a malapena, evitò il calcio di Siirist saltando indietro, per poi rilanciarsi in avanti in una stoccata. Il calcio del giovane, andato a vuoto, portò la sua gamba verso l’alto per poi portare tutto il corpo ad allinearsi in una verticale su una mano sola, successivamente egli chiuse le gambe sul busto e le riportò a terra. Fu nuovamente dritto in piedi un attimo prima che l’attacco dell’elfa lo colpisse.

‹Sì, lo so. Come diavolo ha fatto ad evitare il mio calcio? Se davvero ha sui mille douriki io dovrei averne sei volte tanti, perciò dovrebbe essere stato per lei impossibile schivarlo!›

‹Non contano solo forza e velocità in uno scontro, ma anche l’esperienza. Alea è sicuramente molto abile nei duelli, perciò deve aver intuito la tua mossa prima che la completassi. Ti devo comunque fare i miei complimenti per la tua abilità di comunicare mentalmente anche durante azioni impegnative come un combattimento.›

Il Cavaliere d’Inferno evitò la spada per un soffio, portando indietro e verso destra la gamba sinistra, seguendo poi con il corpo. Sfruttando il movimento, diede forza con la gamba destra e saltò, avvitando in senso antiorario in aria, per poi stendere il braccio sinistro ed attaccare con uno sgualembrato dritto rovescio.

‹Sai com’è, a forza di allenarmi le cose le imparo. Pensi che durante i nostri allenamenti delle ultime due settimane non sia stato continuamente a chiacchierare con Rorix?›

‹Ecco perché sembravi così distratto!›

‹All’inizio, poi ci ho preso l’abitudine.›

Alea parò il colpo, ma non sufficientemente in tempo, infatti Lin dur la ferì sulla spalla, ma non tanto profondamente grazie al blocco portato con la sua spada.

‹Ecco, vedi che significa avere sei volte la quantità di douriki? Bravo!›

‹I miei attacchi sono imprevedibili, spesso anche tu non te li aspetti, eppure duelliamo da molto›

‹Verissimo, ma pur sempre in perfetto stile Makashi! Stai diventando davvero bravo!›

Ma essere ferita non piacque ad Alea, che non diede nemmeno il tempo a Siirist di toccare a terra, che gli appoggiò il palmo sinistro al petto.

«Kaurea.»

Dalla sua mano si sprigionò una potenza spaventosa che piegò il petto di Siirist verso l’interno, spedendolo poi indietro ad elevata velocità, sbattendolo a terra e facendolo rotolare furiosamente.

«Siirist!» si allarmò Evendil.

‹Come stai?› domandò agitato, ma ciononostante mantenendo la calma, Rorix.

‹Non... proprio bene.›

Il giovane stava difficilmente tentando di rimettersi in piedi quando ebbe un violento colpo di tosse che gli fece sputare sangue, e questo lo fece vacillare così tanto che ricadde in avanti, la faccia nella pozza rossa sotto di lui.

‹Credo di avere qualcosa di rotto.›

«D’accordo, finiamola qui.» disse Evendil.

«Hmpf, patetico.» Alea rinfoderò la sua spada, curandosi subito dopo la ferita.

‹Non credo proprio...! Dille di rimettersi in guardia, che io non ho ancora finito!›

‹Non essere ridicolo, sei gravemente...›

‹Diglielo! Non mi comporterò certo da codardo con una bella ragazza! Sono pur sempre un gentiluomo io!› sorrise agonizzante, sangue che gocciolava dal ghigno.

‹Mi lasci senza parole.› commentò Evendil.

‹Haha, così ti voglio!› rise soddisfatto il drago.

Siirist osservò la lama di Lin dur, leggendo attentamente le varie scritture elfiche, cercando di trovare qualcuna che capisse. Quando finalmente lesse “Lin hyanda”, cioè “Lama di vento”, sorrise soddisfatto. Ci passò le dita sopra e la scritta incominciò ad illuminarsi, mentre l’aria attorno alla lama si distorceva a causa dell’energia che si stava accumulando.

‹Dille ora di stare attenta, perché io sto arrivando.›

«Ehm, Alea. Siirist dice di sguainare la spada, perché non ha finito.»

«Come...?»

Ella fece appena in tempo a portare la mano al fianco sinistro che Siirist, richiamando le sue ultime forze, si mise in piedi e portò la spada sopra la sua testa, menando poi un forte fendente dal quale partì una lama di vento che viaggiò rapida verso l’elfa. Ma purtroppo per lei, non era abbastanza veloce e l’incantesimo l’avrebbe colpita, se non fosse intervenuto Althidon che, con un movimento delle mano, disperse l’attacco di Siirist a mezzo metro dalla fanciulla. Ella rimase impietrita, gli occhi sgranati, la paura dipinta sul suo viso. Aveva rischiato di morire.

«Hehe, così t’impari!»

Un altro colpo di tosse, con tanto di condimento di sangue, e Siirist fu nuovamente a terra.

 

Cos’era stato tutto quel baccano fuori? Già che gli avevano ucciso l’anima, potevano almeno lasciarlo riposare. Finalmente era tutto finito, ora poteva dormire.

No, come non detto, ora sentiva un forte agitarsi nel corridoio fuori dalla sua stanza. La porta si aprì ed entrarono il ragazzo biondo, svenuto, accompagnato da un elfo con i lunghi capelli castani ed un odore di lampone che lo adagiò sul letto accanto al suo.

«Che è successo?» chiese.

L’elfo per un momento non rispose, prima tolse gli stivali al ragazzo e poi tirò giù le coperte, per poi coprircelo. Il cucciolo di drago aiutava nel compito.

«Quello è un cucciolo di Inferno, vero?»

Finito di badare al biondo, l’elfo si sedette sul letto di Gilia.

«Sì, è un Inferno. Alea lo ha sfidato a duello, volendo testare quanto fosse abile, non ritenendolo degno della sua posizione. Lo ha colpito con un forte incantesimo al petto ed ora bisognerà trattarlo.»

«Immagino sia stata un’umiliante sconfitta per lui.»

«Veramente no. Prima che Alea usasse la magia, le teneva perfettamente testa, anzi stava avendo la meglio, ma lui non ha ancora iniziato a studiarla, per cui aveva questo svantaggio. E comunque alla fine ha vinto, anche se il merito è da attribuire alla mia spada, in quanto ha utilizzato uno dei suoi incantesimi predefiniti.»

«Ah!»

«Già, Alea sarebbe morta ora se Althidon, il vostro futuro Maestro, non avesse annullato il colpo.»

«Allora qualcosa sa fare.»

«Ti sorprenderesti.» sorrise Evendil.

«Parlate bene la mia lingua.»

«Grazie, sono di certo uno dei migliori tra tutti gli elfi. Ho vissuto per molti anni a Kvatch.»

«Bella città. Anche io sono di Cyrodiil, di Cheydinhal.»

«Lo so, sei il figlio del conte. Brav’uomo.»

«Sì, lo è.»

Entrambi si girarono all’unisono verso la porta quando sentirono il profumo di rose e vaniglia.

«Che vuoi?» chiese Evendil, guardando storto la ragazza.

«Guarirlo.»

«Come? La sua mente è fermamente chiusa, ci vorrà del tempo per penetrarla e riuscire ad utilizzare qualsiasi incantesimo di magia organica. Credo tu abbia fatto abbastanza per oggi.» rispose secco Evendil.

«Nobile elfo, lasciatela fare. Non so come, riesce a guarire senza invadere la mente.»

«Impossibile.»

«Ve lo assicuro, l’ha fatto con me.»

Il mezzo dunmer si limitò ad osservare la fanciulla che si avvicinò al letto di Siirist ed avvicinò la mano al suo petto. Dovette però subito ritrarla che, in un ringhio, Rorix fece scattare le sue fauci.

‹Dai, lasciale fare.›

‹Non mi piace.› ringhiò ancora.

‹Nemmeno a me, ma Siirist è messo male, e se lei può curarlo subito è solo un bene.›

‹Va bene.›

Alea guardò Evendil e come vide che annuì, allungò nuovamente la mano, questa volta però più timorosa. Si bloccò quando il drago ringhiò ancora, ma si tranquillizzò quando lo vide poggiare la testa sulla pancia del Cavaliere. L’elfa toccò con l’indice il punto esatto in cui lo aveva colpito con il suo incantesimo e poco dopo si sentì il suono di ossa scricchiolare, mentre il petto si ripiegava verso l’esterno e si raddrizzava.

«Ora ha solo bisogno di riposo. Lo sterno era spezzato ed era andato a toccare il cuore. Non so come abbia fatto a rimettersi in piedi.»

«Ha una forte volontà, non si arrende facilmente.» rispose Evendil soddisfatto nel vedere come la fanciulla già si stesse pentendo di aver lanciato quella sfida.

«Io vado.»

«Brava.»

Ed ella uscì. Nessuno lo vide, ma aveva il viso in fiamme.

 

Rorix dormiva beatamente sul ventre di Siirist, arrotolato come un gatto, alzandosi ed abbassandosi ad ogni respiro del Cavaliere, ma tutto ad un tratto si svegliò ed alzò la testa, rivolgendola al ragazzo.

‹Sei sveglio, finalmente.›

‹Quanto tempo è passato?›

‹Un giorno.›

‹Il Cavaliere d’Incubo?›

‹È uscito poco dopo che ti hanno portato qui. Sia lui che Alea sono già andati nella vostra stanza.›

‹Ma bene, quindi prenderò solo gli scarti di quei due! Che bello!›

‹Hehe.›

‹Fai silenzio tu. A proposito, il nome del signor allegria?›

‹Gilia Corvinus.›

‹Per caso è il figlio del conte di Cheydinhal?›

‹Precisamente.›

‹Ho sentito una volta Hassildor parlarne, diceva che è un ottimo stregone.›

‹Lo vedremo.›

«Come stai?»

Evendil era appena entrato dalla porta.

«Bene, grazie. La mia condizione era abbastanza grave, mi sorprende siano stati così veloci a guarirmi.»

«È stata Alea.»

«Mi prendi per il culo.»

«No, sono serio. Penso si sentisse in colpa.»

«La farò sentire io in colpa quando la ammanetterò al letto e tirerò fuori la frusta!» ridacchiò.

«Di cosa stai parlando...?» Evendil era spiazzato.

«Di solito non sono molto per queste cose, ma credo che con lei farò un’eccezione.»

«Come faceva Keira a sopportarti? Capisco Miya, che prendevi in giro e basta e a cui non mostravi la tua vera personalità, ma Keira?»

«La facevo ridere!» sorrise grandemente il ragazzo.

«Non stento a crederci...»

«Che ne dici di fare qualche altra lezione di elfico? Non mi sento molto in forze al momento, per cui non credo sia il caso di uscire dal letto, però non voglio perdere tempo.»

«Ti vado a prendere il quaderno, allora.»

«Grazie.»

 

«Basta, come non detto, non ce la faccio più a stare qui!» sbraitò Siirist, sbattendo il quaderno sul letto.

«Mi sorprende tu sia durato tutte queste ore.» commentò Evendil, aspettandosi questo momento da quando era tornato con il quaderno.

«Inoltre sto morendo di fame. È quasi ora di cena, andiamo?»

«No, io vado con gli anziani. Sarebbe il caso che tu facessi amicizia con i tuoi compagni.»

«Rorix? Sì, è un cazzone, ma stiamo facendo progressi!»

‹Stessa cosa vale per me.›

«Intendevo Alea e Gilia.»

«Grazie, non l’avevo capito. È proprio necessario?»

«Ci devi vivere per i prossimi cinque anni. Tu che dici?»

«Appunto, solo cinque! Pure Ren ha detto che non sono niente! Con Rorix invece sarà per i prossimi due millenni e più, direi che è più importante lavorare sul rapporto con lui!»

Il drago annuì.

«Muoviti.»

«Che palle.»

‹Sei fregato.›

‹Già...›

Più energetico che mai, Siirist balzò giù dal letto e fu accompagnato dall’elfo all’edificio dove si trovavano le stanze dei Cavalieri in addestramento. La sua stanza era la settima del piano terra e quando entrò trovò tre letti lontani tra loro di tre metri, con una cassettiera larga un metro per lato con una rastrelliera per armi dietro ad ognuna. Il letto a sinistra, quello più vicino al bagno, e quello accanto alla parete di destra erano occupati.

‹Mi tocca stare in mezzo a quei due...›

La faccia del ragazzo aveva assunto un’espressione di disgusto ed un violento tic nervoso gli faceva tremare il naso.

«Beh, io torno al mio appartamento a leggere un po’ e poi me ne vado a cena. Come vedi tutti i tuoi bagagli sono lì in fondo al letto, per cui inizia pure a sistemare tutti i tuoi averi.»

«Credo mi taglierò le vene entro breve.»

«Vedi di usare una lama bene affilata!» urlò Evendil che era già uscito.

‹Lo odio.›

‹Io lo adoro.›

‹Odio te di più.›

‹Io mi adoro anche di più.›

‹Non ne dubitavo.›

Siirist allora aprì la sua borsa con i vestiti ed iniziò a metterli nelle sue due cassettiere, per poi sistemare le armi. Curioso, osservò l’equipaggiamento degli altri due: Gilia aveva uno spadone a due mani, una spada ad una mano e mezza, un’ascia bipenne a due mani, un’ascia bipenne a mano singola ed un’ascia a lama singola ad una mano, un martello da guerra a due mani ed una mazza ad una mano, uno scudo dalla forma rettangolare alto un metro e mezzo e largo mezzo e uno alto la metà; Alea aveva la spada che Siirist aveva già visto, un’altra dalla forma identica, solo più corta, un pugnale sempre della stessa fattura, una spada a doppio filo, una lancia con una punta ed una con due lame, due archi e numerosi coltelli da lancio ed un piccolo scudo rotondo.

‹Lo stile di Gilia sembra essere votato allo scontro diretto molto violento, mentre Alea punta più che altro sulla leggerezza e l’agilità. Inoltre non credo sia al suo massimo nel combattimento ravvicinato, quanto più sulla media-lunga distanza.›

‹Sono d’accordo. Pare non abbia dato il meglio di sé nel vostro duello.›

‹Eppure ha fatto male.› rispose Siirist massaggiandosi il petto.

‹Vero, ma chi sa che tipo di incantesimi possiede per il combattimento alla distanza.›

‹Sarà interessante allenarsi con quei due. Potrei imparare molto.›

‹È per questo che Althidon li ha presi come allievi, dopotutto.›

‹Giusto. Ora andiamo a mangiare, sto morendo di fame.›

Siirist uscì dalla sua stanza e si diresse verso la mensa, con la coda di Rorix a penzoloni che gli grattava il collo ad ogni oscillazione.

Quando finalmente arrivò, la trovò già piena ed aveva difficoltà ad individuare i suoi compagni.

‹Oh beh, che posso farci? Non possiamo stare con loro.›

‹Un vero problema, è vero. Dovremo arrangiarci, per quanto sia triste.› concordò Rorix, asciugandosi finte lacrime.

Preso il cibo per sé e per il drago, il Cavaliere d’Inferno iniziò a cercare un posto libero quando fu raggiunto da Ren.

«Ehi, Siirist, come stai? Non ho visto il duello di ieri, ma ho saputo che hai preso una bella botta.»

«Posso far notare che ho vinto?»

«Come, scusa? Se sei finito in infermeria!»

«Prima di svenire ho lanciato una Lama di vento da Lind dur. Se non ci fosse stato Althidon ad annullarla, ora avremmo due Alea!»

«Allora hai vinto solo per merito della spada di Evendil, non certo grazie alle tue capacità, per cui non vale!»

«Ehi, non è colpa mia se non so ancora usare la magia! Se lei non la avesse usata per prima, avrei comunque vinto.»

«Certo, continua a dirtelo!» e ridendo si allontanò.

«Dannato, fermati! Dammi un anno e ti faccio il culo a strisce!»

«Modera le parole, sono pur sempre un ufficiale! E credo sia il caso che vai a sederti, la mensa è piena ed il posto che Alea ti ha riservato non resterà vuoto in eterno.»

«Che Alea ha... che?»

Siirist si guardò intorno e vide una tavolata con un posto libero, accanto al quale era seduta la fanciulla e alla destra di lei vi era Gilia. Ella stava mangiando in maniera composta, gli occhi bassi sul suo cibo, mentre lui aveva il gomito sinistro sul tavolo e la guancia appoggiata sulla mano ed aveva infilzato un pezzo di pane con la forchetta e lo faceva passare svogliatamente sul suo piatto di riso. Siirist vide come molti Cavalieri avevano formato una fila, esigendo che fosse loro permesso sedersi a quel posto vuoto. Uno in particolare, accompagnato da un drago marrone era più insistente degli altri e alla fine non fece attenzione alle parole dei due futuri Cavalieri e fu per sedersi. Non fece nemmeno in tempo ad avvicinarsi che fu fulminato e buttato a terra.

«Cosa diavolo è stato?!» esclamò rabbioso.

«Gli spiriti sanno che non devono permettere a nessuno di sedersi se non al Cavaliere d’Inferno. Ora sparite.» mormorò svogliatamente Gilia.

«Ehi, chi diavolo vi credete di essere? Non avete nemmeno cominciato il vostro addestramento! Come osate trattare così Cavalieri più anziani di voi?!»

Il Cavaliere stava per mettere mano alla spada quando il suo polso fu afferrato da Siirist. Con occhi iniettati di sangue, il ragazzo guardò verso l’alto per incontrare lo sguardo dell’altro.

«Non ho ancora la forza per trattenerti, ma se adesso anche sfiori i miei compagni e mi fai incazzare, giuro che tra un anno verrò a cercarti e ti strapperò la testa con le mie sole mani.»

Gli occhi del Cavaliere guizzarono dallo sguardo mortifero del giovane a quelli rubini del drago sopra la sua testa, che lo fissava, se possibile, più maligno del ragazzo. Aprì le fauci e soffiò. Il drago marrone allora ruggì, attirando l’attenzione di tutte le persone intorno.

«Siete davvero sicuri di voler far arrabbiare un Inferno ed il suo Cavaliere? Dovreste sapere cosa significa.»

«Sei solo un ragazzino impudente ed il tuo drago è nato da poco più di due settimane. Potremmo schiacciarvi con un dito.» ringhiò l’uomo.

«Ma non lo farete. Sapete che non potete uccidere un altro Cavaliere e sapete anche meglio che se ora ci fate male, in futuro verremo a cercarvi e che non ci saranno leggi che terranno, vi trucideremo senza pensarci due volte.» lo sguardo ed il ghigno di Siirist erano da pazzo.

Inferno e Cavaliere emanavano una così forte aura di morte che gli altri due si spaventarono un poco, per poi andarsene indignati, bofonchiando qualcosa a proposito di vendetta.

‹Siamo stati forti!› rise Siirist.

‹E chi ci ferma?!›

‹Complimenti per lo sguardo da duro. Uccidere libellule ti ha fatto montare la testa!›

‹Senti chi parla! Haha!›

Ed entrambi, ridendo, si sedettero. Alea e Gilia li avevano osservati in silenzio, quasi in ammirazione, increduli. Ma come Siirist si fu seduto, si girarono nuovamente verso i loro piatti.

«Parole coraggiose per uno che ha perso contro di me.» disse Alea.

«Ehi, io ho vinto!»

«L’incantesimo che hai lanciato non contava, non era frutto delle tue abilità.»

«Ho saputo leggere la scritta!»

«Anche una scimmia sa leggere.»

A Gilia scappò una leggera risata.

«E a quanto pare anche lui sa ridere! Hai finito di fare il depresso?» chiese Siirist sporgendosi.

«Non sono affari tuoi.» e ritornò ad utilizzare un tono lugubre.

‹Porta pazienza.› disse Rorix.

‹Tu più di tutti dovresti sapere che non conosco tale parola.›

‹La speranza è l’ultima a morire.›

‹Illuso.›

«E comunque, Alea, se sapessi usare la magia, ti potrei battere senza problemi.»

La fanciulla accennò un lieve sorriso. Paragonato alla sua solita espressione statuaria, quella era una grassa risata.

«E tu sei in grado di mostrare emozioni! Dai, man mano state facendo progressi!»

«Se hai un legame con il Flusso vitale maggiore del mio, ti do un bacio!» rispose lei riacquistando la sua forma composta ed impassibile.

«Addirittura? E chi ti dice che ne vorrei uno da te?»

«Ho notato cosa stavi guardando quando ieri sei saltato e mi ha colpito alla spalla.» disse lei semplicemente.

«Beh, sai com’è, la tua scollatura era troppo poco evidente stando a terra, ma dall’alto non potevo resistere!» ammise lui ridendo.

‹Ecco a cosa stavi pensando! Per questo ti sei fatto cogliere alla sprovvista ed è riuscita a colpirti con quella magia!› sbraitò Rorix.

‹Ups... hehe...›

‹Sei un deficiente!› e lo frustò sul collo con la coda.

«Ahia! Va beh, Alea, ci sto.»

«Ma vedi di stare su un gradino.»

«Cosa?»

«Non mi piace abbassarmi per baciare qualcuno.»

«Grr...!» lui strinse il pugno.

‹Ah, è più alta di te! E anche di parecchio, più di dieci centimetri! Sei una merda!›

‹Chiudi il becco, tu, lucertola con le ali.›

‹Come mi hai chiamato?!›

‹Non puoi non averlo sentito, stiamo condividendo gli stessi pensieri!›

‹Dannato!›

Così Rorix incominciò a picchiare sul capo di Siirist e questi a prendere a pugni il drago, che però  ne intercettò uno con le fauci che poi serrò.

«Ahia!» urlò Siirist, scuotendo il suo braccio in fondo al quale era arpionato il drago che volteggiava nell’aria ad ogni movimento dell’arto.

Ad ogni scossone le zanne affondavano sempre di più, e ciò portò Siirist a muoverlo anche più forte per il dolore, facendo penetrare maggiormente i denti acuminati, e così via.

«Staccati, dannato uccello squamoso!»

‹Va bene, ma mi porto via la mano!›

«Ah!!»

Alea e Gilia nuovamente si ritrovarono a fissare Inferno e Cavaliere, ma questa volta sbigottiti e disgustati.

Dopo lunghi minuti di supplizio, Siirist finalmente riuscì a staccare Rorix dalla sua mano, per poi buttarlo a terra dietro di sé.

‹Ehi, ti sembra questo il modo di trattare il tuo drago?!›

‹Ti sembra questo il modo di trattare il tuo Cavaliere?!› e avvicinò la mano devastata e insanguinata al muso dell’Inferno.

Conoscendo Rorix, il ragazzo la ritrasse appena in tempo perché non venisse nuovamente addentata.

«Ma guarda tu... che male...»

Siirist si guardò bene la mano sinistra, il dorso completamente rosso e bucherellato, le ossa del tutto masticate.

«Dai qui.» disse Alea.

«Eh?»

Senza che potesse rispondere, la fanciulla prese la mano di Siirist fra le sue ed un attimo dopo, tra mille dolori, ritornò alla normalità.

«Ma come fai ad utilizzare la magia organica senza invadere la mente?» chiese Gilia

«Toccando il corpo della persona che devo curare, sfrutto il mio Flusso vitale per vedere quali sono i danni e cosa devo guarire. Solitamente questo si fa dall’interno, invadendo la mente e percependo i danni come propri, ma il mio grande legame con il Flusso mi permette di agire anche in questo modo. Dopodiché immetto la mia energia direttamente nel punto interessato che guarisce nel giro di pochi secondi.»

«Dovresti trovare il modo di farlo senza arrecare dolore a chi guarisci, se sei così potente.» rispose Siirist massaggiandosi la mano.

«Potrai farlo tu quando imparerai ad usare la magia, no? Non dici che hai un legame più forte del mio?»

«Chiaro! Ma appunto per questo non studierò in maniera troppo approfondita la magia organica, piuttosto mi specializzerò in tutti gli elementi!»

«Hm, come no.» rispose Alea.

«Gilia, tu non sai usare la magia, giusto?» chiese poi Siirist.

«No. Il mistico di corte di Cheydinhal è un esperto stregone, per cui sono stato educato solo in questa arte. Credo che sperimenterò incantesimi misti ad evocazioni, dopo che avrò studiato le basi della magia.»

«Non essere ridicolo. Io conosco un po’ di stregoneria, e non sono mai riuscita a farlo.»

«Ma non conosci il livello di affinità che ho io con gli spiriti del fulmine. Adrian, il mio maestro, ha detto di non aver mai visto nessuno così dotato da riuscire a controllarli unicamente con una parola, senza utilizzare alcuna evocazione. Non dico che lo farò con tutti gli incantesimi elementali, ma so per certo che mi vorrò specializzare nell’elemento fulmine e sarò in grado di potenziare i miei incantesimi tramite gli spiriti.»

«Finalmente un po’ di buona volontà! Beh, io non ne avrò bisogno, so per certo che il mio legame con il Flusso è senza paragoni! Alea, tieni bene a mente che mi devi un bacio.»

«Come no.» rispose secca, addentando un altro boccone.

‹E se invece avessi un legame anche più alto di Evendil?›

«Giusto! Rorix chiede cosa farai se risulta che ho un legame anche maggiore di quello di Evendil.»

«Beh, vediamo... Allora forse verrò a letto con te!» e fece l’occhiolino.

«Oh!»

«Dopotutto non sei male, anche se un po’ basso.»

«Ehi!»

«Beh, io ho finito, me ne torno in camera.» concluse poi, alzandosi.

«Io pure. Siirist, ci vediamo dopo.» e anche Gilia lasciò il tavolo.

«D’accordo.»

‹Quella ragazza è strana. Prima fa la stronza, poi ti dà corda.›

‹Nessun essere di sesso femminile può resistermi!›

‹Diciamo piuttosto che ti prendeva colossalmente in giro perché ritiene impossibile, ed effettivamente potrebbe avere ragione, che tu possa avere un legame più alto di lei, anche più assurdo che sia maggiore di quello di Evendil.›

‹Forse è davvero rimasta colpita da me.›

‹La smetti di montarti?›

‹Non intendo sessualmente, scemo. Capisci quando sono serio! Inizialmente mi ha sfidato perché non mi riteneva degno di essere il tuo Cavaliere, ma evidentemente è rimasta colpita dall’esito che ha avuto il nostro scontro. E poi Evendil deve aver contribuito. Vederlo così sicuro di me le ha sicuramente fatto pensare che valgo più di quanto abbia pensato quando mi ha visto la prima volta.›

‹Sì, è possibile. Certo, Syrius non deve aver aiutato.›

‹No di certo, il bastardo. Ma almeno ad Aulauthar sto simpatico!›

‹Credo sia impossibile risultare antipatico a quello lì, non fa che sorridere!›

‹Hai ragione!› rise Siirist.

‹Dai, andiamo anche noi ora.›

‹Sì.›

 

Siirist arrivò alla sua stanza e trovò Alea stesa sul suo letto che giocava con il suo uovo, facendolo levitare sopra di sé, creando dei cerchi nell’aria, mentre Gilia era seduto e scriveva su un foglio.

«Alea, vuoi dare la nausea al tuo drago non ancora nato?»

«È lei che me l’ha chiesto, la diverte.»

«“Lei”?»

«Sì, il mio drago è una femmina.»

«E come lo sai? Come ha fatto a chiedertelo, oltretutto?»

«Abbiamo già instaurato il nostro legame mentale. Non sapevi che in rari casi un Cavaliere può comunicare con il suo drago anche prima che esso nasca? Umano ignorante.»

«Sì che lo sapevo! È solo che mi ha sorpreso!»

‹Adesso ricomincia a fare l’arrogante? È proprio strana.› commentò Rorix.

‹È una donna.›

‹Avrà il ciclo?›

‹Può darsi.›

«Tu, Gilia? Che fai?»

«Niente che ti riguardi.»

‹Che bella compagnia.›

Siirist si buttò di schiena sul letto e, mentre era ancora a mezz’aria, Rorix volò via dalla sua testa, per poi atterrare sulle sua pancia e raggomitolarsi. La destra sotto la testa a mo’ di cuscino e la sinistra ad accarezzare il drago, Siirist fissò il soffitto chiedendosi se prima o poi sarebbero andati tutti e tre d’accordo.

«Lie lye aut ar’ caela u tengwada.» disse Alea alzandosi.

«Eh?»

«Andiamo a fare una passeggiata.» ripeté, ma utilizzando la lingua umana.

«Ah. No, non mi va.»

«Sei noioso.»

«No, credo che volessi dirlo a quello sul letto dopo il mio.» Siirist indicò Gilia.

«No, parlavo proprio con te. Va beh, io vado, se non ti va resta pure lì.»

La fanciulla si alzò e si diresse alla porta.

«Dove pensi di andare, di preciso? Intendi girare per la Rocca o andare fino al villaggio?»

«Pensavo di visitare il villaggio, perché?»

«Perché allora ti accompagno, ho alcune persone da vedere.»

«D’accordo.»

 

Intanto nel laboratorio situato nell’edificio ospedaliero, i medici analizzavano i campioni di sangue prelevati dai tre futuri Cavalieri umani e da Siirist. Per venti ore di fila avevano cantato incantesimi ed evocazioni apposite perché si manifestasse il Flusso vitale nelle cellule, e finalmente era possibile osservare le fiale al microscopio. L’elfo che aveva sotto alla sua lente il campione di Gilia quasi cadde dalla sedia, quando vide la potenza del Flusso in lui.

«Non è possibile... non ho mai visto un legame così forte in un essere umano...!»

«Quanto è?» chiese sorpreso un altro, accorrendo.

«Dodici... dodicimila...!»

Tutti si lasciarono sfuggire un suono strozzato. Solo uno rimase in silenzio, gli occhi incollati all’oculare, sudore freddo che nasceva dalla fronte e che iniziava a scorrere abbondante lungo il collo, inumidendo la tunica.

«Ehi...» fece inizialmente quasi senza voce, troppo colpito per riuscire a parlare.

Nel rumore generato alla notizia della potenza di legame di Gilia, il richiamo muto del ricercatore andò perso.

«Ehi!»

Questa volta riuscì a parlare più deciso, richiamando quindi l’attenzione dei colleghi.

«Che succede?»

«Venite a vedere...»

«Cos’è?»

«Il sangue del Cavaliere d’Inferno.»

Uno dei medici andò allora a vedere e dopo pochi secondi che aveva appoggiato l’occhio al microscopio, alzò violentemente la testa, tremante.

«Chiamate immediatamente Evendil.»

 

 

 

~

 

 

 

Una precisazione su quando ho scritto “sgualembrato dritto rovescio”: sembra un controsenso, ma era per dire che Siirist mena un attacco in diagonale che va dall’alto verso il basso, da destra verso sinistra, ma dato impugnando la spada con la sinistra.

 

Ringraziamenti:

Banko/Zack. Come ti ho già detto per mail, se i dialoghi dello scorso capitolo ti hanno fatto ridere, allora non so come hai preso la scena alla mensa! Secondo me quella è una delle più divertenti che abbia mai scritto, ho riso io stesso mentre la scrivevo! Gilia è un “depresso cronico” a detta di Siirist, che, come tutti saprete, è il candidato numero uno per il premio Delicatezza dell’anno. Nel prossimo capitolo, però, si riprenderà, anche grazie ad un aiutino dal tuo elfo preferito, che rivelerà un altro dettaglio della sua vita. Nel capitolo successivo vedrai la prima adozione della mia tecnica di scrittura preferita quando non ho voglia di entrare troppo nel dettaglio e ho fretta di continuare: accade una cosa/spazio/passa del tempo, anche mesi. Per cui la nascita del rapporto tra i tre sarà più dettagliata rispetto alla prima edizione, ma non troppo, anche perché se no anziché fare oltre sessanta capitoli in tutto, dovrei dedicarne un centinaio solo agli anni dell’addestramento! capisci da solo che una cosa simile è fuori discussione. Come hai quasi giustamente detto, Alea si prende la briga di guarire Gilia perché vuole dimostrare la sua superiorità, ma lo fa anche perché lui le fa pena. Tutti gli umani per lei sono insignificanti e patetici e costantemente bisognosi di aiuto, per cui, se non le costa niente, può anche aiutarli ogni tanto. Ma notare come la sua scorta si sia sorpresa, infatti l’ “ogni tanto” è molto raro. Ma come cambierà idea nei confronti degli umani nel giro di poco! Anzi, lo ha già fatto, anche se non completamente. L’Ataru sarà totalmente inutile per Siirist, ma Evendil avrà sempre e comunque un ruolo fondamentale. Senza spoilerare, ti posso dire che sarà l’obiettivo più alto per Siirist, la persona che il ragazzo vorrà sconfiggere più di chiunque altra, ma non ci riuscirà mai, almeno non fino a dopo l’addestramento. E poi c’è quell’episodio durante il quarto anno in cui Evendil avrà una leggera (proprio!) importanza.

 

Ancora una volta, ricordo i lettori che ogni recensione è gradita, anche le critiche (certo, non quelle del tipo “sei un cretino, ritirati” et simili), anzi, invito a lasciarne qualcuna. Siccome il prossimo capitolo è già pronto, posso permettermi di aggiornare prima questa settimana: appuntamento a giovedì 1 luglio con LEGAMI POTENTI.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** LEGAMI POTENTI ***


LEGAMI POTENTI

 

Il mezzo dunmer stava tranquillamente bevendosi una tazza di tè nel suo appartamento quando gli venne comunicato di dirigersi immediatamente al laboratorio dell’ospedale.

Cosa potrà mai essere?› si chiese ansioso.

Il tono del messaggero era grave, aveva parlato senza fiato, in quanto aveva corso fino allo sfinimento dal laboratorio alle abitazioni degli anziani. Egli però non aveva saputo rispondere, in quanto gli era semplicemente stato ordinato di recapitare il messaggio il più presto possibile. Doveva essere successo qualcosa per far agitare talmente tanto i medici.

Ora Evendil stava correndo al suo massimo diretto all’ospedale e finalmente era arrivato a destinazione.

«Qual è il problema?!» domandò quasi sfondando la porta.

«Sei arrivato, finalmente.»

Ad attenderlo vi erano Aulauthar e Syrius. Il primo era stranamente serio, il suo solito sorriso era sparito, ma riusciva comunque a mantenere la calma. Il Cavaliere nero, al contrario, era completamente sudato, gli occhi gli tremavano e la bocca spalancata appariva completamente asciutta.

Non l’ho mai visto così, che diavolo può essere accaduto?!

«Evendil, abbiamo qui il risultato delle analisi del sangue del Cavaliere d’Inferno.» rispose un ricercatore.

«Allora? Il suo legame con il Flusso vitale?»

«È esattamente quello il problema.»

«Che significa?!»

«Non abbiamo mai visto niente di simile.»

«Eh?»

 

«Non vedo l’ora che Rorix sia abbastanza grande perché lo possa cavalcare, almeno non dovrò più farmi questa strada a piedi! Si perde almeno mezz’ora a scendere e quasi un’ora a tornare su!» si lamentò Siirist.

«Perché l’hai lasciato in camera?» domandò Alea, camminando compostamente, le mani unite davanti a sé.

«Sarà anche piccolo, ma pesa! Non posso sempre tenermelo in testa, sai?»

«Sembrate andare molto d’accordo.»

«È un bastardo.»

«Allora andate certamente d’accordo.»

«Sì, è vero!» e sorrise sguaiatamente.

«Non puoi essere un poco più composto?»

«Nah, perché dovrei? Servirebbe a fare colpo su di te, mia cara?» e mosse le sopracciglia con fare provocante.

«Nemmeno tra mille anni.»

«Mille e cinque? Dopotutto saremo ancora vivi!»

«Sempre che tu non muoia prima.» le risposte della fanciulla erano una più secca dell’altra.

«E perché dovrei essere io a morire e non tu, scusa?»

«Potrei anche morire io, infatti.»

«Quanto siamo seriosi...»

«Non parlare al plurale, tu ti stai comportando in maniera infantile.»

«Lascia perdere...»

Per alcuni minuti continuarono a percorrere la discesa in silenzio. Ci volle poco perché Siirist decelerasse il passo e lasciasse che l’altra lo superasse, così che potesse poi sbirciarle il sedere. Sorrise soddisfatto.

«Che stai guardando?» chiese retorica lei, un filo di rabbia che traspirava dal suo finto tono calmo.

«Infondo hai scommesso che saresti venuta a letto con me, devo prepararmi a cosa mi aspetterà!»

«Sai che non ero seria, vero?»

«Immaginavo. Ma tanto non c’è nulla da temere, vero? È impossibile che sia più potente di Evendil.»

«Precisamente.»

«Allora dovrò darmi alla stregoneria.»

«Cos’è che ti riempie così di entusiasmo?»

«Non lo so, forse il fatto che sono sempre voluto essere il numero uno? Il fatto che ho sempre odiato la mia vita e che l’essere diventato un Cavaliere è stata una boccata d’aria fresca?»

«È così che vedi il nostro dovere, una “boccata d’aria fresca”?» domandò indispettita l’elfa.

«Direi di sì.»

«Sei una vergogna. Avevo ragione, non sei degno di essere il Cavaliere d’Inferno.»

«Meglio di un Cavaliere d’Incubo frignone.»

«Gilia ha i suoi motivi, inoltre essere il Cavaliere d’Incubo non è importante come essere il Cavaliere d’Inferno. La vostra forza non è minimamente paragonabile. O almeno così dovrebbe essere, invece Gilia è un abile stregone, mentre tu sei un buono a nulla.»

«Che fine ha fatto l’Alea del pranzo? Mi stava più simpatica.»

«È questa la vera Alea. Posso anche scherzare e prenderti in giro, ma è questo che penso veramente.»

«Non è vero, non ti ho mai vista scherzare finora. Non si scherza veramente se non si sorride, e tu hai sempre mantenuto un’espressione seria. E pensare che un bel sorriso ti starebbe così bene!»

Siirist si era fermato a guardare Alea dritta in faccia, trattenendola per un polso. I loro occhi e si incrociarono e lo sguardo del ragazzo era così convinto che la fanciulla ebbe un leggero mancamento.

Di nuovo! Ma che...?!› pensò lei.

«Sì! Sono riuscito a penetrarti la mente! Il mio legame con Rorix mi ha reso più forte anche dal punto di vista mentale! E sono anche riuscito a capire tutto quello che hai detto! Haha! Che intendi con “di nuovo”?»

«Lascia stare.» rispose lei offesa, allontanandosi.

 

Cos’era stata quella sensazione? Quel ragazzo era un idiota, un perditempo, un arrogante, da lui percepiva esclusivamente confusione. Eppure l’Inferno lo aveva scelto, eppure erano in perfetta sintonia. Senza contare quei due momenti in cui l’aveva fatta tremare: alla mensa, quando aveva afferrato il polso del Cavaliere e lo aveva minacciato e pochi momenti prima. In entrambe le occasioni le onde emanate dal Flusso che percepiva da lui erano cambiate, da turbolenti come una cascata si erano improvvisamente calmate, rassomigliando più la superficie di un lago. Ed allora era riuscita a percepirne la vastità, il lago pareva grande quanto l’oceano.

 

‹Merda, adesso la sua barriera mentale è nuovamente impenetrabile. Allora poco fa sono riuscito ad invaderla perché si era distratta, proprio come avevo intuito. Il suo blocco è incredibile, non c’è nemmeno una falla, riesco a vedere distintamente un prato verde in cui scorre un fiume limpido. Vedo addirittura il mio riflesso nell’acqua! Come può una protezione così perfetta essere persa per una distrazione momentanea? Per quanto vorrei crederlo, dubito che i miei begli occhi blu abbiano questo effetto, non è Miya.›

«Non mi vuoi proprio dire cosa stavi pensando, vero?»

«Invadi ancora la mia mente, se ci riesci.»

«D’accordo. Non volevo farlo, ma se proprio mi costringi...!»

La afferrò nuovamente e la fissò negli occhi il più intensamente possibile.

«Sei un idiota.»

«Ah...!» sospirò lui.

‹Lo sapevo, non è affatto come Miya!›

 

Evendil uscì lentamente dal laboratorio, camminando per il corridoio dell’edificio ospedaliero con la schiena leggermente curva in avanti e la mani appoggiate alla cintura. Una volta fuori si appoggiò con la schiena alla parete, scivolando poi giù e sedendosi a terra. Alzò gli occhi al cielo e sorrise.

«Siirist, sei incredibile.»

 

«Se ti sto tanto antipatico, perché prima a pranzo avete fatto tanto per tenermi il posto?»

«Non demordi, vero?»

«No.»

«Ho voluto darti una possibilità. Evendil ha molta fiducia in te, l’ho fatto esclusivamente per lui. E poi hai finito con il deludermi, non so cosa veda in te.»

«Non riesco proprio ad inquadrarti. A volte sembri diventare più aperta, e poi subito dopo ritorni ad essere fredda come la cima del Gagazet.» disse Siirist ignorando completamente l’elfa.

«Lo stesso vale per te. Hai sempre quest’aria spensierata e poi ci sono dei momenti in cui sembri serio.»

Il ragazzo ci pensò su.

«No, non credo. Che mi venga in mente, non mi comporto mai seriamente. Per quanto una situazione possa essere difficile o pericolosa, non mi preoccupo mai. Calcolo le cose, sono attento, ma in realtà prendo tutto come una sfida e cerco sempre più eccitazione.»

«“Situazione pericolosa”? Come se tu ne abbia mai affrontata una! Ho saputo che sei di Skingrad. Cresciuto in una piccola città di Cyrodiil in una famiglia benestante, che pericoli avrai passato mai?» rispose con aria divertita Alea.

E per la prima volta incrinò la bocca in un accenno di sorriso. Ma quel sorriso non piacque affatto a Siirist. Egli si bloccò, la testa bassa, la bocca stretta, i pugni serrati.

«Eh?» anche ella si bloccò, girandosi poi verso di lui.

«Mi pare che te lo abbia detto anche Evendil: non parlare di cose che non conosci.»

«Come?»

«Non ho capito tutto quello che ti ha detto, ma alcune parole sì, e più avanti sono riuscito a ricostruire almeno la prima frase. Non sai niente della mia vita, per cui non dare nulla per scontato.» e mentre parlava incominciò a togliersi la veste che copriva il busto.

«Che stai facendo?»

Quando la ebbe rimossa, Siirist la lasciò cadere a terra, per poi avvicinarsi alla fanciulla e sbatterle in faccia la spalla destra.

«Cosa sono quelle cicatrici...?»

«Ho lottato contro un demone grem. Sarà anche un demone di classe E, citando Evendil possiamo dire che è “forte quanto l’unghia del piede di un classe B”, ma comunque molto più forte di me. Riconosco che ora riuscirei a sconfiggerne uno facilmente, i miei douriki sono nettamente superiori, ma un mese fa non avevo Rorix, un mese fa non avevo nemmeno studiato il Makashi con Evendil. Fuori dalla mia “piccola città” ho affrontato un demone che mi ha quasi ucciso. Sono riuscito ad ucciderlo cogliendolo di sorpresa, per poi crollare a terra avvelenato. Fortunatamente la mia migliore amica mi ha trovato ed è riuscita a farmi guarire. E indovina cosa pensavo durante quello scontro? “Quanto mi sto divertendo. Ma se muoio sarà una vergogna, io devo diventare grande!”. Quindi sì, per me essere un Cavaliere è una boccata d’aria fresca, per me è un divertimento, in quanto è quello che ho sempre desiderato in tutta la mia vita!»

 

L’espressione di Siirist era così dura, gli occhi così glaciali che Alea quasi ebbe i brividi. In quel momento si alzò un leggero vento, ma dopo attenta osservazione, l’elfa capì che non era un vento normale, in quanto aveva come fonte il ragazzo di fronte a lei. Rapidamente la sensazione di gelo fu sostituita da un forte calore, che la fece leggermente sudare.

«Bene, ora che sai qualcosa della mia vita, magari non avrai un’opinione così bassa di me, eh?» e sorridendo come niente fosse accaduto, il giovane si rimise la veste e riprese a camminare.

La fanciulla era ancora incerta ed esitò un poco prima di rimettersi in cammino. Stava per girarsi verso l’altro quando notò uno dei fiori sul lato della strada improvvisamente prendere fuoco e finire in cenere dopo pochi istanti.

È stato quel calore che ha sprigionato poco fa Siirist? Incredibile... Come può non essersene accorto?!

 

Si sentì bussare alla porta. Gilia posò penna e lettera e si alzò, andando ad aprire. Si trovò così al cospetto di Evendil. Era la prima volta che lo vedeva così vicino da in piedi; era veramente alto, nonostante i suoi 187 centimetri, il ragazzo era obbligato a guardare in su.

Gli occhi dell’elfo guizzarono via dal giovane ed andarono ad osservare la stanza, posandosi poi sul dormiente Rorix che riposava sul letto centrale.

«Mi sembrava di non sentire la presenza di Siirist ed Alea, ma volevo essere sicuro. Sai dove sono andati?»

«No, Evendil. Avete qualcosa di importante da dire a Siirist, presumo.»

«Sì, è così. Ma anche a te, ad essere sinceri.»

«Ah sì? Di cosa si tratta?»

«Posso entrare?» sorrise.

«Oh certo, perdonatemi. Ecco qui, accomodatevi pure.» e gli porse una sedia.

«Molto gentile.» rispose accomodandosi.

«Dunque, di cosa volevate parlarmi?»

 

«Ehi, Siirist.»

«Dimmi.»

«Riguardo a quella scommessa fatta...»

«Tranquilla, so che non eri seria.»

«È vero, ma solo perché non avrei mai immaginato possibile che la perdessi. L’ho comunque fatta, ed io sono solita essere di parola, nonostante l’abbia detta utilizzando la lingua degli umani.»

«Per cui puoi tranquillamente aver mentito, giusto? Vorresti annullarla?»

«Sì...»

«Che succede, adesso non sei più tanto sicura?» la prese in giro.

«È solo che non mi sembra giusto scommettere quando nemmeno si crede in quello che si dice.» tentò di giustificarsi.

«Tranquilla. Non era nemmeno una vera scommessa dall’inizio.»

«Che intendi?»

«Una scommessa vuole che entrambe le parti mettano in gioco qualcosa. Se dovesse risultare che il mio Flusso è più basso del tuo, dovrei perderci qualcosa. Per cui non vale niente, ok?»

«D’accordo, grazie.»

«Questo ovviamente non vuol dire che se decidi di offrirti a me io non sarei tentato di accettare, sia chiaro!»

«Non accadrà mai.» rispose decisa.

«Mai potranno accusarmi di non averci provato! A differenza di un elfo asessuato di mia conoscenza...»

«Eh?» Alea lo fissò incerta.

 

Evendil stava pensando a come iniziare il discorso, ma sapeva che c’era un problema più impellente da risolvere prima. Lo sguardo continuamente perso del futuro Cavaliere d’Incubo era un chiaro segno che egli avesse qualcosa che non andasse, il pianto durante la Prova e la lettera bagnata di lacrime alle sue spalle erano ulteriori prove.

«Cos’hai che ti turba, Gilia?»

«Non so di cosa voi stiate parlando.»

«Oh, avanti, non me la dai a bere. È da quando hai capito di essere un prescelto che sei a pezzi. Perché desideravi tanto non essere un Cavaliere? Chi hai lasciato a Cheydinhal?»

Gilia parve colpito dalle ultime parole e reagì alzando di colpo la testa, gli occhi che brillavano, per poi abbassarla e distogliere lo sguardo.

«Siirist è fortunato, non aveva amici, e nemmeno una fidanzata. Posso solo supporre che il tuo caso sia l’esatto opposto, giusto?»

Il giovane rimase in silenzio.

«I Cavalieri non sono prigionieri, completato l’addestramento possono andare dove vogliono anche per una settimana al mese, a patto che poi ritornino alla loro postazione, che essa sia Vroengard o qualche altra. Diventare Cavaliere, quindi, non cambia quasi nulla ad un elfo, in quanto può continuare la sua vita come nulla fosse e farsi una famiglia fuori dall’Ordine. Inoltre un elfo a vent’anni è difficile che abbia trovato il suo compagno di vita, in quanto solitamente queste scelte vengono fatte arrivati ai mille anni. Poi certo, ci sono delle eccezioni. – e si fermò un momento, sospirando tristemente. – Per gli umani invece è diverso. Chi diventa Cavaliere vedrà eventualmente tutte le persone della sua vita precedente invecchiare e morire entro un misero secolo, mentre egli continuerà a vivere ancora a lungo. Inoltre, essendo la loro vita così breve, gli umani tendono a trovare già il loro amore entro i vent’anni. Dico bene?»

Gilia nascose il viso tra le mani, incominciando a singhiozzare.

«L’amore... Qualcuno di molto saggio un tempo disse che è la forza più grande di questo mondo, anche più grande della gravità. Posso immaginare cosa stai provando, avere la tua unica ragione di vita strappata via. È doloroso, lo so bene. Vedi, io faccio parte di quelle eccezioni menzionate prima, e trovai la mia compagna di vita a sessant’anni. Fummo felici per un periodo, ma trent’anni fa fu uccisa.»

L’umano alzò la testa, sconvolto alle parole dell’elfo.

«Fu molto tragico, soprattutto perché fu suo fratello.»

«Cosa?!»

«Era uno degli elfi più forti e gentili che abbia mai conosciuto. Ma purtroppo per lui e per tutti noi, era poco dotato nel Flusso vitale, era l’unico elfo di cui abbia mai sentito parlare che non potesse utilizzare la magia. Per questo si dedicò alla stregoneria e tu più di me dovresti sapere i rischi che essa comporta.»

«Divenne un elfo oscuro...?!» chiese orripilato.

Evendil annuì.

«Trucidò tutta la sua casa, famiglia e servitori, e fuggì. Non ne ho più avuto notizie, non so dirti se è ancora vivo o se ha finalmente trovato la pace.»

«Mi dispiace...»

«Non esserlo, ormai è passato. Se continui a pensare a quando eri felice in passato, non lo sarai mai in futuro. Immagino che per te il pensiero di aver perso la tua fidanzata e la consapevolezza che ella prima o poi troverà un altro uomo ti faccia stare anche peggio di come sia stato io, ma devi riprenderti. Sei il futuro Cavaliere d’Incubo e sei compagno di addestramento del Cavaliere d’Inferno. Dovresti sapere che ruolo importante hanno ricoperto i Cavalieri d’Inferno in passato, e sono fermamente convinto che anche ora Siirist sarà destinato ad essere ricordato dalla storia. Credi davvero che il tuo ruolo sarà marginale nello sviluppo degli eventi futuri?»

«Che volete dire?»

«Che niente accade per caso. Non sono venuto qui a parlarti della mia dolorosa vita, ma del risultato degli esami del sangue per rivelare la forza del legame con il Flusso vitale che tu e Siirist avete.»

«E sarebbe?»

«Ho solo una cosa da dirti: Adrian è un incompetente.»

«Come?!»

«Oppure uno stupido, scegli pure quello che preferisci. Perché diavolo non ti ha mai fatto studiare la magia? Con il tuo legame è stato uno spreco!»

«Quanto ho?»

«Il legame più alto che abbia mai visto in un umano completo: dodicimila.»

Gilia rimase impietrito.

«Bada, ho detto essere umano completo. Questo esclude Siirist.»

«Perché?»

«Il fatto che abbia un nome elfico non ti ha sorpreso?»

«Sì, un po’, ma è umano.»

«È vero, ma il suo cognome è Ryfon. Discende dalla grande casata di Rivendell, perciò ha sangue elfico nelle vene, seppur poco.»

«Allora quanto è il suo legame?»

Evendil sorrise.

 

Siirist e Alea avevano finalmente raggiunto la fine della strada ed avevano alla loro sinistra il porto ed i vari locali sul molo, a destra il villaggio.

«Siirist! Come va?»

I due avevano raggiunto il cancello ed il ragazzo era stato salutato dalla guardia di turno.

«Bene, grazie. Questa è Alea, una mia compagna di addestramento.»

«Piacere di conoscervi, nobile elfa.» e si inchinò.

La fanciulla invece rispose con un leggero cenno del capo.

«Perdonala, è un po’ antipatica dapprima, soprattutto con noi umani, ma dopo un po’ ci si fa l’abitudine.» spiegò Siirist, allargando le braccia con fare disperato.

Ella lo guardò truce.

«Non fare quella faccia, è vero. Comunque, – e si rivolse alla guardia. – voleva visitare il villaggio. C’è nessuno che possa accompagnarla?»

«Non puoi farlo tu?»

«Ti pare che mi faccio tutta questa strada solo per fare una gentilezza a lei? Ho un appuntamento con Eva, sai dov’è?»

«Ah, certo! L’ho vista prima con Selvia.»

«Perfetto, due in una botta! Beh, Alea, divertiti!»

 

«Ma che...?!»

Vedere Siirist scappare via e lasciarla sola fece imbestialire l’elfa. In quel momento il Flusso del ragazzo emanava energia così confusa che poteva significare solo una cosa.

«Nobile elfa, se volete vi trovo qualcuno che possa accompagnarvi per il villaggio.» propose la guardia.

«Grazie, so badare a me stessa!» ed entrò indignata.

La struttura del luogo era tipica di un villaggio marittimo: dopo il cancello si entrava nella piazza principale, con al centro un piccolo prato con delle palme, a destra la taverna, a sinistra i vari negozi. Più avanti, invece, si arrivava alla zona abitata. Come prima cosa Alea si diresse dal fabbro, notando come egli non fabbricasse armi, per poi andare a vedere il negozio di vestiti. Osservò alcuni abiti, criticando mentalmente lo stile ed i materiali grossolani utilizzati dagli umani. Mentre andava verso la taverna, l’elfa vide Siirist dirigersi verso la via residenziale in mezzo a due giovani umane, mentre le teneva entrambe per la vita. Un improvviso impulso di rabbia la attraversò. Subito dopo arrossì, non capendo perché avesse provato quel senso di sconforto.

 

Due ore più tardi Alea stava aspettando appoggiata al muro che circondava il villaggio ed il punto in cui toccava con la schiena si era ghiacciato. Come vide arrivare Siirist con passo grintoso, le mani dietro la testa ed un sorriso sornione stampato in faccia, si sentì improvvisamente tremare ed il ghiacciò evaporò in pochi istanti. Il ragazzo parve accorgersene.

«Che hai fatto?»

«Magia involontaria.»

«Sarebbe?»

«Non ho voglia di spiegartelo adesso. Possiamo andare?»

«Acida...!»

«Non fare commenti.» sibilò ella furiosa.

«Ok... Allora, che hai fatto di bello?» chiese lui cambiando argomento.

«Niente. Ho fatto qualche giro, ho bevuto un bicchiere d’acqua e poi sono stata ad aspettarti lì.»

«Divertente, insomma! Potevi anche tornare da sola, sai?»

«Non volevi che ti aspettassi? Magari preferivi essere riaccompagnato alla Rocca da Eva...»

«Ehi, che c’è? Ti avevo detto che dovevo incontrarmi con una persona!»

«Si trattava di questo?»

«Sì.»

«Sesso?»

«Certo! Qualcosa che non va? Si dia il caso che sia qualcosa di molto piacevole e calmante.»

«Sì, certo... lo so!» rispose agitata lei.

Solo il suo grande autocontrollo le impedì di arrossire.

 

‹Vergine?› pensò Siirist girandosi verso di lei e sollevando un sopracciglio, un sorrisino furbetto stampato in faccia.

«E adesso che hai da guardare?» chiese lei infastidita.

«Oh, niente.»

Il resto del cammino fu estremamente noioso, in quando Alea non aveva la minima intenzione di fiatare ed aveva minacciato di trasformare Siirist in una statua di ghiaccio se solo avesse aperto bocca.

Arrivati alla Rocca, tornarono subito alla loro stanza e trovarono Evendil e Gilia parlare, quest’ultimo stranamente meno cupo del solito.

«Evendil, come hai fatto, dimmelo.» disse il Cavaliere d’Inferno incredulo.

Entrambi si voltarono e fissarono i due appena entrati.

«Gilia, è stato un piacere parlare con te. Rifletti sulle mie parole e vedi di riprenderti E ti prego, aiutami con questo qui.» ed afferrò Siirist per il collo, strofinandogli poi forte la testa con il pugno.

«Ahia, mi fai male!» si lamentò il giovane.

«Certo, conta su di me!» sorrise il futuro Cavaliere d’Incubo.

«Adesso tu vieni fuori con me, dobbiamo parlare. Alea, è sempre un piacere vederti.»

«Anche per me, Evendil.» e si inchinò.

Appena furono usciti, Siirist chiese all’elfo cosa fossero le magie involontarie.

«Hai visto Alea usarne una? Interessante. Doveva essere molto felice, triste o arrabbiata perché una maga abile come lei perdesse il controllo.»

«Bella spiegazione.»

«Dunque, da dove comincio? Intanto possiamo dire che ogni persona in grado di usare la magia è particolarmente più affine ad un elemento. Esso risulta essere il più facile da apprendere e padroneggiare e per questo è sempre il primo in cui un mago si specializza. Può capitare a volte che quando le emozioni di un mago sono molto grandi, esse prendano forma nella magia di quell’elemento. Hai detto che la parete su cui si poggiava Alea era parzialmente congelata e che poi è evaporata in un attimo. Posso supporre che l’elemento più affine a lei sia il vento: evidentemente prima era molto triste o indispettita e dopo si deve essere imbestialita.»

«Conosci bene gli effetti del vento.»

«Certo, è anche quello con cui sono più in sintonia io. Aulauthar lo è con la luce, Syrius con l’oscurità e Adamar, naturalmente, con la terra. Sospetto che Gilia invece lo sia con il fulmine, questo spiegherebbe la sua fenomenale capacità di controllare gli spiriti.»

«Io?»

«Non ne ho la minima idea, non ti ho mai visto sprigionarla.»

«Ah.»

«Un’altra cosa ha notare è che più è grande il legame con il Flusso, più l’elemento affine può essere alimentato dalle emozioni. Quindi chi ha un legame di cinquanta può essere furioso quanto vuole, non succederebbe nulla, mentre chi ce l’ha molto elevato, deve stare attento a mantenere la calma. E qui veniamo a te.»

«Eh?»

«Non sono andato nella vostra stanza solo per chiacchierare con Gilia, ma per cercarvi entrambi. Sono arrivati i risultati delle analisi.»

«Che analisi?»

«Quelle del sangue per vedere quanto è forte il vostro legame con il Flusso.»

«Non mi è stato fatto alcun prelievo.» obiettò Siirist.

«Sì invece, quando eri in infermeria dopo il duello con Alea.»

«Ah giusto, effettivamente sarebbe stato stupido per i medici non approfittare di quel momento che ero lì.»

«Anche perché se bisognava cercarti, sarebbero dovuti andare al villaggio e cercare nei letti della varie belle ragazze.»

«Hehe!»

«Tornando al discorso di prima, Gilia ha un legame di dodicimila.»

«Ma è tantissimo!» si meravigliò Siirist.

«Sì, è l’umano completo con il legame più alto che abbia mai visto.»

«Ah... Allora io ce l’ho più basso...» si deluse il giovane.

«A Gilia l’ho dovuto spiegare, ma speravo che non ce ne fosse bisogno con te, visto che sai da chi discendi.» scosse la testa l’elfo.

«Eh?»

«Tu sei un umano completo o hai in te sangue elfico, seppur poco?»

Il ragazzo si illuminò nuovamente.

«Siirist, quello che ti sto per dire deve essere più che chiaro. Devi ricordartelo finché vivi, perché è molto importante. Devi mantenere sempre la calma e non montarti la testa, se lo fai, con il tuo legame è capace che distruggi tutto.»

Siirist non capiva.

«Il tuo legame con il Flusso è di centomila douriki.»

«Che cosa...?» rimase a bocca aperta.

«Bene, e con questo enorme peso sulle spalle, ti lascio. Voglio sapere cosa ha avuto da dire il Consiglio a riguardo e ho perso già abbastanza tempo ad aspettare che tornassi dalla tua scappatella. Anche se l’ho passato parlando con Gilia, ed è stato molto utile. Smetti di tormentarlo, ha le sue ragioni per essere triste com’è, ma vedrai che si riprenderà.»

Evendil se ne andò, lasciando Siirist solo con se stesso a pensare. Ci vollero appena due minuti prima che si riprendesse e tornasse ad essere quello di sempre. Aprì la porta della stanza e vide Alea girarsi vero di lui in sconvolta ammirazione.

«Peccato che abbiamo annullato la scommessa.» scosse la testa desolato.

L’espressione della fanciulla cambiò drasticamente nel giro di mezzo secondo.

«Solo a quello sai pensare?!» e lo scagliò contro la parete accanto al proprio letto, per poi uscire fuori.

Rorix scoppiò a ridere.

«Ma che ho detto?!» chiese il ragazzo alzandosi dolorante.

Gilia ridacchiò e scosse la testa.

«Oh, la cassettiera di Alea! Vediamo che mutandine usa!» esclamò poi Siirist, dimenticandosi completamente dei dolori causati dallo schianto.

L’altro ragazzo ed il drago scoppiarono entrambi in una risata isterica.

 

«Ah!»

L’urlo di Siirist lo caricò durante l’attacco e poco dopo la sua lama cozzò con quella dello spadone di Gilia. La forza del primo, che aveva raggiunto un legame del 14%, era nettamente superiore al secondo, con un legame dell’8%, per un totale di 5050 douriki, contro i 14120 di Siirist. Ma l’esperienza e l’abilità del ventenne erano di gran lunga maggiori rispetto all’altro, inoltre si era potenziato i muscoli richiamando a sé gli spiriti della terra e del fulmine, e questi gli conferivano anche una maggiore velocità.

Ryfon aveva ormai perfettamente padroneggiato lo stile Makashi e stava rapidamente apprendendo il Soresu. Ma vedere Gilia all’opera era incredibile, poiché egli non alternava ripetutamente le due forme, piuttosto ne utilizzava una tutta sua che mischiava le due precedenti.

«Parlane male quanto vuoi, ma Thor ti ha insegnato bene.» si complimentò Siirist, con il fiatone, in uno dei momenti in cui i due si trovavano faccia a faccia, le lame a contatto.

«Pensa a combattere!»

Corvinus lasciò la presa dell’elsa con la sinistra e la appoggiò al petto di Siirist.

«Spinta!»

Gli spiriti del fulmine obbedirono alle sue parole e presero la forma di una potente scarica elettrica che però non diede la scossa al bersaglio, ma semplicemente lo spinse indietro di cinque metri. Subito dopo lo stregone passò la mano lungo la lama, per poi menare un fendente utilizzando solo la destra. Dal colpo partì una lama elettrica che si diresse rapidamente verso Siirist, che però riuscì abilmente a schivarla. Ma quello era uno dei casi in cui la stregoneria si dimostrava superiore alla magia, in quanto gli spiriti sono entità senzienti ed era stato loro ordinato di colpire il biondo. La lama elettrica, quindi, cambiò la sua traiettoria e andò a colpire la schiena del Cavaliere d’Inferno.

‹Attento alle spalle!› gli urlò Rorix.

Siirist si voltò appena in tempo per accorgersi del pericolo ed evitarlo in tempo, balzando verso destra. Ma Gilia non perse tempo e partì anch’egli alla carica, avvicinando la sua spada alla lama fulminante, che ritornò a circondare quella di Cristallo rivestito d’argento dello spadone. Roteò la sua arma sopra la testa per poi impugnarla anche con la mano mancina e menare un altro fendente a Siirist, solo che questa volta utilizzando un attacco ravvicinato. A differenza delle volte precedenti in cui la spada di Vetro di Ryfon aveva resistito, ora gli spiriti del fulmine che circondavano la lama di Corvinus la rendevano più affilata, aumentandone la capacità di perforazione. Siirist aveva parato alzando la spada sopra la testa orizzontalmente, impugnandola sull’elsa con la sinistra e spingendo sulla lama con la destra. Con orrore la vide venire lentamente tagliata da quella avversaria.

Allora balzò rapidamente indietro, per poi contrattaccare con un salto in avvitamento, menando un tondo dritto rovescio, parato in modo impeccabile dall’altro.

‹Dannazione! Rorix, qualche consiglio?›

‹Impara presto ad usare la magia?›

‹Sì, qualcosa più utile adesso, magari?›

‹Arrenditi?›

‹Cosa?!›

‹Vuoi rischiare di rimanere senza spada?›

‹Sei inutile. I tuoi douriki non bastano!›

‹Hai più del doppio dei suoi, più di così non puoi volere! È solo troppo bravo per te! Se sapessi usare la magia sarebbe tutta un’altra cosa, però.›

Siirist balzò nuovamente via verso destra. E gli venne un’idea.

«Spiriti del fulmine, abbandonate quel cazzone ed aiutate me!»

Gilia abbandonò la sua posa da combattimento ed iniziò a ridere, così come fecero i draghi di entrambi i duellanti, Evendil ed Aulauthar. Syrius si indignò e se ne andò, Althidon non fu affatto contento ed Alea e la sua Eiliis scossero la testa.

«Ti arrendi?» Gilia non riusciva a smettere di ridere.

«Mai!»

Siirist ripartì all’attacco con un affondo, che Gilia evitò appena per un pelo. La sua velocità era molto diminuita. Il biondo sorrise soddisfatto.

«Maledetto.» mormorò a denti stretti il moro.

Dopo quel primo attacco, Siirist partì con una serie di colpi a ripetizione, tondi, sgualembri e sottani a non finire, ognuno dei quali fu accusato sempre di più dall’altro, che ad ogni parata arretrava sempre più e perdeva sempre più forza. Dopo una ventina di attacchi, Siirist riuscì a disarmare l’amico, puntandogli poi contro la sua spada.

«Complimenti per la trovata.» ridacchiò Gilia.

«Grazie.» rispose sorridente Siirist, rinfoderando la sua arma.

«Hai utilizzato quella stupida evocazione apposta per fargli perdere la concentrazione così che non potesse più controllare gli spiriti. Bella trovata, Siirist, stai migliorando sempre più.» ed Evendil gli scompigliò i capelli.

«Hehe, tra non molto riuscirò a sconfiggere anche te!»

«Forse in un’altra vita.»

«Beh, Siirist, andiamo?» disse poi malvolentieri Corvinus.

«Eh?»

«Ti devo una birra, no?»

«Ah, certo. Prima però una doccia ci sta tutta!»

I due si diedero il cinque e andarono insieme verso la loro stanza a cambiarsi, entrambi tenendo un braccio sopra le spalle dell’altro, accompagnati dai due draghi.

«Negli ultimi due mesi quei due sono diventati molto affiatati, non trovi?» sorrise Evendil.

«Sì, è vero.» annuì Alea, mantenendo però un atteggiamento composto.

«Hai dei bei compagni, dovresti aprirti di più anche tu.»

 

«No, no e no! Ma si può essere più incapaci?» si adirò Alea.

«E che palle! È complicato!» si lamentò Siirist, grattandosi il capo.

«E parla in elfico, ormai lo conosci abbastanza bene per farlo!»

«Sì, sì...»

«Ecco, meglio. Ora ritenta.»

Siirist raccolse nuovamente il sassolino che aveva buttato a terra e lo mise sul palmo della mano, guardandolo poi come se lo volesse far esplodere.

«È da un mese che ti alleni a richiamare il Flusso vitale e finalmente una settimana fa ci sei riuscito. Quella è la parte più difficile, lo riconosco, come lo è poi utilizzare incantesimi complessi, ma sprigionare il Flusso attraverso il palmo e farlo entrare in quel sasso per farlo levitare è semplice.»

‹Bla bla bla...› pensò Siirist alzando gli occhi al cielo.

«Concentrati, ti ho detto.» intimò nervosa Alea.

«Hai presente quando ti ho detto che ti è concesso assumere anche qualche espressione facciale e non rimanere sempre impassibile? Intendevo espressioni carine, non queste qui.»

«Basta, io mi arrendo!» e se ne andò furiosa.

La fanciulla aveva quasi raggiunto la porta quando fu colpita in testa. Si girò arrabbiata e guardò a terra, dove vide il sassolino.

«Me lo hai lanciato...?»

«Non proprio: vieni a me.»

Siirist rivolse la mano verso il sasso e sul palmo comparve il suo Cerchio argentato. Un attimo dopo l’oggetto mirato guizzò nella sua presa.

«Ma come...?» la fanciulla era allibita.

«Scherzavo! Ora passiamo a qualcosa di più interessante.» disse Siirist con lo sguardo deciso.

Rorix abbaiò, esprimendo il suo consenso.

 

Arrivò il primo dicembre e Siirist era nel cortile dietro l’edificio dei Cavalieri in addestramento vestito con abiti pesanti ed un cappotto rosso rubino. Rorix era accanto a lui, grande quanto un pony, e lo osservava compiaciuto. Il Cavaliere puntò la mano sinistra aperta in avanti, afferrando il polso con la destra. Davanti a sé aveva quattro bersagli ed egli intendeva colpirli tutti. Si concentrò e richiamò a sé il Flusso vitale, che poi concentrò nella sua mano, trasformando l’energia in fuoco. Senza nemmeno fiatare, generò quattro sfere fiammanti che volarono rapidamente verso gli obiettivi, ma solo tre riuscirono a centrare in pieno i bersagli, mentre una lo sfiorò appena, andandosi ad estinguere in aria.

‹Merda.›

‹Dai, non te la prendere, stai migliorando! L’altro ieri non riuscivi a prenderne nemmeno uno, ti ricordo, ed eri pure costretto ad utilizzare le parole per richiamare e manipolare il Flusso.›

Siirist si avvicinò al drago e si sedette accanto a lui, affondando nella neve.

‹Lo so, ma non mi piace ugualmente. Le sfide con Gilia ultimamente stanno andando tutte a favore suo, Alea basta che usa seriamente un incantesimo e mi stende, Evendil è Evendil. Per quanto i miei douriki siano superiori a tutti loro, non riesco a batterli. Il non saper utilizzare alcuna arte mistica è veramente un grande handicap.›

‹Questo è vero. Ma tranquillo, tra non molto arriverai al punto di umiliarli tutti. È da agosto che non fai altro che allenarti come un ossesso per recuperare, vedrai che presto raccoglierai i frutti. Anzi, dovresti rilassarti un po’ più, sono due mesi che non fai sesso! E per te è innaturale!›

Siirist rise.

‹Inoltre direi che abbiamo trovato il tuo elemento affine.›

‹Sì, il fuoco, senza dubbio. A proposito di fuoco, quanto ci vuole ancora perché tu possa esalarlo? Sei abbastanza ridicolo come drago al momento, lo sai? Voglio vedere se tu possiedi il famoso fuoco nero di cui mi parlò Evendil!›

‹I draghi comuni impiegano un anno prima di sviluppare la capacità di esalare fuoco, un Inferno necessita di sei mesi. Verso metà gennaio dovrei esserne capace. Spero proprio di avercelo, perché non vorrei essere da meno di te!›

‹Che vuoi dire?›

‹Tu tra i bipedi sei eccezionale: Cavaliere d’Inferno, Flusso vitale spropositato e poi quel potere segreto di cui Evendil non ci vuole parlare. Io per essere superiore rispetto alla mia famiglia dovrei possedere il fuoco nero, se no sarei un comune Inferno! Non mi interessa essere più forte di qualunque altro drago nell’Ordine, voglio essere unico nel mio genere così come sei tu!›

‹Questa è nuova, un drago che rivaleggia con il suo Cavaliere!›

‹Chiaro, mi sentirei stupido ad essere inferiore a te!›

‹Non era un complimento nei miei confronti, vero...?›

‹No.›

In quel momento arrivò Gilia con il fedele Asthar accanto. L’Inferno subito si alzò e sbatté la testa contro quella dell’Incubo. Questi tentava invano di contrastare la superiorità del primo, ma invano, in quanto dopo una decina di secondi cadde in ginocchio. Corvinus si avvicinò al compagno e lo accarezzò, rassicurandolo.

«Tranquillo, tanto ci penso io a vendicarti mettendo al tappeto il Cavaliere!»

«Dannato. Dammi sei mesi e ti batterò cento volte di fila!»

«Perché non sento parlare elfico?»

«È arrivata la guastafeste...» commentò Siirist.

«Come hai detto, scusa?» si inalberò Alea.

«Mi hai sentito bene!»

«Ah, davvero? Pioggia di ghiaccio!»

Dalla sua mano, su cui si illuminò il Cerchio argentato, partì una folata di vento che si trasformò in dardi di ghiaccio. Aveva quasi raggiunto Siirist quando egli portò il braccio destro verso sinistra concentrando l’energia del Flusso vitale nella mano, per poi creare un arco di fuoco nel suo tragitto verso destra, sciogliendo all’istante l’incantesimo di Alea, che rimase colpita.

«Oh!» si complimentò Gilia.

Si avvicinò a Siirist e gli diede il cinque.

«Mi dispiace bellezza, ma d’ora in poi dovrai fare di meglio per battermi!» e portò avanti a sé il braccio sinistro piegato a novanta gradi, con il pugno serrata davanti alla faccia, un sorriso vincente stampato in faccia.

«Adesso non montarti troppo la testa!» esclamò lei, generando una potente folata che spinse indietro Siirist.

‹Dannazione, non ho la spada.›

‹In uno scontro di sola magia non puoi vincere, cerca di avvicinarti a lei e usare il corpo a corpo!› intimò Rorix.

‹Non posso prendere a botte una ragazza!›

‹Preferisci perdere contro una ragazza? Di nuovo?›

«Preparati che arrivo!»

Siirist scattò verso Alea, le braccia lungo i fianchi e le mani aperte, intorno alle quali si stavano creando delle fiamme. Quando fu a due metri di distanza, Siirist scagliò due sfere di fuoco, che vennero facilmente congelate da uno schiocco di dita della fanciulla. Ma le magie erano state dei diversivi per avvicinarsi, e quando fu a portata attaccò con un potente colpo a palmo aperto sulla sua bocca dello stomaco. Alea non aveva modo di evitare e l’impatto le fece perdere il fiato. Ma Siirist non aveva finito: subito si abbassò ed attaccò con un calcio basso la caviglia sinistra dell’elfa, sollevandola in aria, per poi infierire con una gomitata destra data lateralmente che la prese nuovamente sulla bocca dello stomaco, lanciandola indietro di qualche metro.

«Non c’è che dire, Siirist, con il corpo a corpo sei pauroso. Ma attento, hai appena messo della distanza tra voi, e sai che questo per lei è solo un vantaggio.» disse Gilia.

«Lo so bene.» rispose Siirist, lanciandosi nuovamente all’attacco.

La differenza in douriki fisici era troppo grande, i 20200 suoi contro i 6560 di lei. Nonostante il legame tra Alea e Eiliis fosse maggiore di quello tra Siirist e Rorix, in quanto la fanciulla ed il suo drago avevano raggiunto il 23%, il bonus di Eiliis, di soli 220 douriki, era notevolmente inferiore rispetto a quello dell’Inferno. Ma la potenza del Flusso vitale era tutta un’altra cosa. Per quanto il legame di Siirist fosse mostruoso, circa tre volte quello di Alea, ella era in grado di richiamarlo completamente, anche se ancora non aveva imparato a controllare tutta la potenza che poi scaturiva grazie al Cerchio argentato, mentre il ragazzo riusciva a richiamare solo trecento douriki, controllandone però i tremila che otteneva. Doveva trovare il modo di imparare a controllare incantesimi lanciati con entrambe le mani, in quanto sarebbero stati potenziati di cento volte. Ma non era quello il momento di pensarci, ora doveva correre verso la ragazza e colpirla senza esitazione. Nello scontro ravvicinato aveva il vantaggio, ma bastavano due metri e gli incantesimi dell’elfa lo avrebbero annientato.

Era arrivato ad un metro di distanza ed era saltato pronto a colpire con un calcio dall’alto, quando fu investito da una sfera d’aria che gli ruppe tutte le costole del lato sinistro, schiantandolo poi a terra.

‹Merda doppia! C’ero quasi!›

«Mi hai fatto male.»

«Scusa, tesoro. Mi guarisci adesso?» e fece gli occhi dolci.

Alea lo guardò con occhi teneri per poi alzare il dito medio.

«E quello quando l’hai imparato? Chi sono i bambini cattivi che ti insegnano certe cose?»

L’elfa lo guardò impassibile mentre lui alzava la mano per poi guardarsela con finta aria sorpresa.

«Oh, è vero, sono stato io!» e rise.

Ma la risata gli provocò maggior dolore al polmone sinistro, contro cui premevano le costole rotte, per cui si azzittì.

«Se vuoi essere curato ti chiamo Adeo.»

«Lasciami morire.»

«Come desideri.»

Gilia e tutti i draghi risero di gusto. E pure Alea increspò la bocca nell’accenno di un sorriso. Vedendola in quel modo, Siirist rimase colpito da quanto effettivamente fosse bella. Quasi se lo era dimenticato, dato il suo atteggiamento. La guardò con un sorriso dolce, diverso dalle sue solite espressioni arroganti e strafottenti.

Alea, notando il modo in cui il ragazzo la fissava, arrossì. Rorix e Eiliis si guardarono sospettosi.

 

 

~

 

 

 

Ed ecco qui! La settimana scorsa sono stato colto da ispirazione e ho scritto tre capitoli, per cui è anche normale che pubblichi prima, soprattutto perché ad agosto sto via e perderei quattro giorni di pubblicazione. la storia è davvero lunga, più di quanto avrei mai pensato, e poiché non vorrei finirla tra troppo tempo, pubblico quando posso.

 

Ringraziamenti:

1)  xevel. Ehilà! Sono oltremodo felice di ritrovarti a commentare! Il capitolo ha risposto da solo a più di metà della tua recensione, perciò non c’è bisogno che lo faccia io. Per quanto riguarda l’infatuazione di Alea... beh... sicuramente qualche idea te la sei fatta, ma la conferma definitiva ce l’avrai con il prossimo capitolo. Rorix è il vero co-protagonista della storia, in quanto sarà l’unico a stare sempre vicino a Siirist, ovunque lui vada, come è anche naturale che sia, perciò sono felice che ti piaccia. Chiaramente anche Gilia e Alea hanno conversazioni con i loro draghi simili a quelle di Siirist e Rorix (anche se non si insultano in quel modo!) ma la storia è dal punto di vista di Siirist, perciò i pensieri degli altri non vengono scritti. Ma più avanti ci sarà qualche altro capitolo incentrato su di loro, per cui avremo modo di analizzare meglio il loro rapporto con Asthar e Eiliis.

2)  Banko/Zack. Sono contento ti sia piaciuto tanto il capitolo. Il carattere di Alea è molto particolare, e verrà trattato e capito meglio nel capitolo che va a domenica prossima, per cui capirai perché si comporta così. Come viene detto, la promessa che fa a Siirist è una pura presa in giro, infatti quando si rende conto lungo la strada per il villaggio che effettivamente Siirist non è messo così male, ha qualche ripensamento. Anche se...! Gilia, beh Gilia è fondamentale per l’evoluzione di Siirist, è grazie a lui e ad Alea che Siirist crescerà fino a diventare un vero Cavaliere. Poi anche grazie ad Evendil diventerà ciò che diventerà, ma non facciamo spoiler! Ora arriviamo al commento sulla scena della tavola. Devo dire, che l’ho adorata. Come con Adeo e tutte le scene comiche, mi viene da ridere mentre le scrivo, perché per farlo sto lì a scrivere e basta. Non penso molto a quello che scrivo, lo faccio di getto, per poi ricorreggere e aggiustare, ma non tocco mai i dialoghi. Le conversazioni sono sempre naturali, sto descrivendo la scena e metto in bocca ai personaggi quello che direbbero se fossero reali. Fino ad un minuto prima non avevo la minima intenzione di rendere la scena comica, ma dopo che ho scritto che Rorix dà una codata a Siirist, mi è sembrato logico mettere che lui rispondesse con un pugno. E da lì la lite, fino ad arrivare al drago che intercetta la mano con le fauci, a Siirist che cerca di scrollarselo e poi ai suoi insulti, quasi ridicoli, ma del tutto naturali. Ricordi il “ridicolo orecchie a punta” che dice a Evendil nella prima versione nel loro viaggio verso Vroengard? Non è tanto quello che dice, ma il contesto: gli elfi sono quasi venerati dagli umani, questo qui li prende in giro su una loro caratteristica fisica, oltretutto in una nave piena di elfi. Siirist è così, dice quello che gli passa per la testa. E più che altro mi sto divertendo ora, poiché tra qualche capitolo il tono della fanfic sarà tutt’altro e Siirist non sarà più il tipo da risate e scherzi, ma uno taciturno che sventra a mani nude chiunque gli fa un torto. Tu sai bene il motivo, anche se non ne hai visto i progressi perché non ci ero arrivato nella prima versione, ma ora basta spoiler.

 

Ci si ritrova domenica 4 luglio con CAPODANNO, il mio capitolo preferito fino ad ora.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** CAPODANNO ***


CAPODANNO

 

«Signori miei, un brindisi a voi ed all’inizio di un nuovo anno e del vostro addestramento!»

Evendil sollevò il boccale di birra. Lui ed i tre neo-Cavalieri erano nel suo appartamento a festeggiare.

«Evendil, è solo l’ora di pranzo ancora! La festa di capodanno sarà stasera.» fece notare Siirist.

«Lo so bene, ma dubito che voi tre ragazzi vorrete passarla in compagnia di un vecchietto come me.» rise l’elfo.

«Giusto, hai ragione. Io credo che andrò giù al villaggio.» concordò il Cavaliere d’Inferno.

«A fare che...?» domandò con rabbia sospettosa Alea.

«Non so, a fare gli auguri a qualche amica.» rispose vago.

«Sempre il solito...» si alterò maggiormente lei.

«Che, fai la gelosa?» prese in giro lui.

«Vuoi combattere?!»

«Avanti, ti aspetto!» sorrise eccitato il ragazzo, avvolgendo le mani nelle fiamme.

«Trattenetevi finché siete nel mio appartamento, per favore. E Siirist, ti ho conosciuto che eri un gentiluomo. Si trattano così le donne, una splendida come Alea, poi?»

«È lei che provoca! A volte si comporta come la mia fidanzata, ma solo nei lati negativi!»

«C-cosa...?! Chi vorrebbe mai stare con te, arrogante narcisista?!» arrossì, per poi assumere un’espressione indispettita.

«Hai chiamato?» e assunse un tono sorpreso.

«Eccoli che ricominciano...» si disperò Gilia.

«Come fai a sopportarli ogni giorno?»

«Non ne ho idea.»

Mentre gli altri due continuavano ad urlare e ad insultarsi, il Cavaliere d’Incubo ed il mezzo dunmer incominciarono una loro conversazione.

«Che mi dici di Deria?»

«Mi è arrivata una sua lettera proprio due giorni fa. Mi ha scritto che mio padre e Adrian hanno accettato di farla diventare un’apprendista stregona al castello.»

«Oh, questa è una bella notizia.» sorrise felice Evendil.

«Sì, assolutamente. Probabilmente avremo modo di vederci in futuro, ma sappiamo bene che non c’è modo che possiamo stare insieme, oramai l’abbiamo accettato. Fa male, ma andiamo avanti. Non so lei come abbia fatto, ma io sono sicuro che senza quei due sarebbe stato difficile.»

«Come li vedresti insieme?» scherzò l’elfo.

«Per carità! Non farmici nemmeno pensare!»

Evendil rise.

«Bene, ora basta, calmatevi entrambi.»

Alea e Siirist vennero improvvisamente bloccati da delle catene invisibili ed imbavagliati dall’aria.

«Ci voleva, un attimo di silenzio. Alea, la vicinanza con quel teppista ti ha rovinata, non eri affatto così combina guai quando sei arrivata.» osservò il mezzo dunmer.

L’interessata ne fu colpita e abbassò lo sguardo, leggermente imbarazzata.

«Benvenuta nella famiglia!» rise poi Evendil, alzando il suo boccale.

Il sorriso soddisfatto di Siirist andava da un orecchio all’altro, mentre Gilia imitò il padrone di casa ed i tre draghi battevano il pavimento con le code. La fanciulla alzò la testa e guardò tutti, infine il Cavaliere d’Inferno che le fece l’occhiolino. E lei ne fu contenta.

 

Nella loro stanza, i tre neo-Cavalieri si stavano preparano per la festa della sera, uno dei rari momenti in cui l’intera Rocca, ad eccezione di pochi sfortunati Cavalieri assegnati alla guardia, si concedeva alla festa.

«Alla fine non sei sceso giù al villaggio.» fece notare Gilia.

«No, ho avuto da fare.»

«Ho visto, sei stato a scrivere lettere tutto il giorno. Per i tuoi familiari?»

«Sì, questa che sto scrivendo ora è per i miei genitori. La prima, quella per cui ci ho messo tre ore, è per una mia amica. Non le ho mai scritto in questi mesi e temo possa venire qui a suonarmele per questo, perciò le ho scritto tutto quello che è successo fino ad oggi. Non vedo l’ora che mi risponda.»

«Semplice amica o amore?» si interessò Corvinus.

Alea, che stava rileggendo il suo grimorio e sorseggiando un bicchiere d’acqua, drizzò le orecchie.

«“Amore”? Non ne ho mai sofferto a differenza di un Cavaliere d’Incubo di mia conoscenza che non fa altro che piangere.»

«Ti ammazzo.» lo stregone lo fissò truce, stringendo il pugno.

«Però ammetto che c’è un legame speciale tra noi. È l’unica con cui abbia sempre diviso i miei segreti, anche il fatto che fossi un ladro, ed inoltre è stata la mia prima volta.»

All’elfa andò di traverso il suo sorso.

«Prima volta? Con quante ragazze sei andato a letto, per la precisione?»

«Cinquantasei. Ero a quaranta prima di arrivare a Vroengard. E in questi mesi ho alternato la compagnia delle stesse sedici. Purtroppo non posso fare di più, perché ho i gusti abbastanza raffinati, e oltre a loro non ce ne sono altre che mi aggradano.»

«Sedici?! E di che età?»

«Vanno dai quindici ai venticinque, non un anno in più, non uno in meno.»

«Quindici non saranno un po’ pochi...?»

«Perché? Io ne ho sedici, dopotutto.»

«Anche questo è vero.»

Alea era rimasta scioccata a sentire quella conversazione.

«Tu?»

«Ah no, io solo con Deria, due anni fa. Ci frequentavamo già da un anno e alla fine l’abbiamo fatto. È stata la prima volta per entrambi.» rispose Gilia, lo sguardo perso, evidentemente stava rivedendo il momento.

«Questo lascia solo una persona. Alea...?» e Siirist si voltò con sguardo interrogatorio.

La fanciulla aveva temuto che sarebbe presto o tardi toccato a lei, per cui aveva già chiuso il suo grimorio e si era alzata.

«Lasciatemi fuori dai vostri discorsi da uomini.» e se ne andò innervosita.

«È stato qualcosa che ho detto?» si chiese dubbioso Ryfon, grattandosi la testa.

‹Eiliis dice che sei uno stupido e io concordo pienamente.› disse Rorix.

‹Perché, scusa?›

‹Lascia perdere.›

 

Venne la sera e Siirist si preparò ad uscire dalla sua stanza indossando un elegante smoking con un fazzoletto rosso nel taschino, un orologio d’argento sul polso e l’anello della Gilda dei Ladri sul medio destri.

‹Vedo che ti piace la moda delle Città delle Macchine.› commentò Rorix.

‹Sì. Il negozio di vestiti del villaggio è veramente ottimo, è comodo stare al centro delle quattro isole. Però certo, ho quasi finito i soldi del furto ai Vaan!›

‹Sei uno spendaccione.›

‹Di questo passo dovrò lasciare Vroengard e andare a fare qualche lavoretto per la Gilda!›

Sentì bussare alla porta ed andò ad aprire, trovando Evendil. Egli era vestito come suo solito di verde, il suo colore preferito.

«Bello il vestito. Da dove viene?»

«Da Zanarkand.» rispose Siirist sistemandosi i gemelli d’oro.

«Sei solo?»

«Sì. Gilia è già andato alla festa, Alea è uscita oggi pomeriggio e non è più tornata. Non so cosa ho detto, ma devo averla fatta arrabbiare.»

«Ho un regalo per te.»

«Sarebbe?»

«Il tuo primo grimorio. Avrei voluto dartelo più avanti, ma ultimamente sei progredito talmente tanto che è il caso che inizi ad appuntare le tue scoperte.»

«Grazie, ma ho già iniziato il mio grimorio.»

«No, al limite hai iniziato il tuo diario. Non ogni libro può diventare un grimorio, i grimori sono fabbricati specialmente all’interno dell’Università Arcana.»

«Ah. E che hanno di speciale?»

«Solamente chi vi scrive per la prima volta può aprirlo. Altre persone possono solo con il consenso del proprietario o se questi è morto. Altrimenti per superare le varie barriere servirebbero degli incantesimi estremamente potenti, e poiché le protezioni che vengono applicate ai grimori sono tenute segretissime, è quasi impossibile superarle.»

«Ah! Allora grazie, prima cosa domani trascriverò tutto!»

«Di niente. Goditi la festa ma non fare troppo tardi, che domani Althidon non vorrà sentire scuse.»

L’elfo passò il tomo a Siirist, dopodiché si salutarono. Il ragazzo lo andò a posare sopra una delle sue cassettiere, osservandolo attentamente. La copertina era di cuoio rosso e vi erano due placche d’acciaio sovrapposte ad unire i due lati. Siirist separò la prima dalla seconda, dovendo applicare un po’ di forza in quanto erano unite come da un magnete, dopodiché aprì il libro. Le pagine bianche scorrevano tra le dita producendo il loro caratteristico suono frusciante. Soddisfatto, il giovane ripose l’oggetto e si alzò, uscendo dalla stanza.

‹Non sei vestito un po’ leggero per uscire con questo freddo?›

‹Tanto la mensa è riscaldata. E al limite mi riscalderò dall’interno con la mia magia del fuoco.›

‹Riesci già a controllarlo così bene? Che mi dici degli altri elementi?›

‹Quasi niente. Ho imparato a lanciare qualche incantesimo d’aria e di terra, che sono gli elementi più semplici da imparare a controllare, almeno finché non si applicano modifiche varie. Ma acqua, fulmine, luce e oscurità sono un completo mistero. Per non parlare della magia organica e di quella spazio-temporale! Mi viene il mal di testa solo a pensarci!›

‹Insomma, a parte che con il fuoco, sei una frana con la magia.›

‹Parrebbe di sì! Fisica, chimica, biologia... Non ci capisco niente!›

‹Non mi dirai che il tuo grande legame con il Flusso andrà sprecato?›

‹Certo che no! A costo di rubare i grimori di Althidon, Syrius, Evendil e Adamar, imparerò a controllare tutti gli elementi!›

‹Perché Evendil? Per quanto sia potente, una volta ottenuti quelli dei tre anziani il suo diventerebbe inutile. Inoltre dimentichi che ti sarebbe impossibile aprirli.›

‹Ma tu mi sottovaluti, cario il mio drago. Se davvero riuscissi a rubare i loro grimori, pensi veramente che mi arrenderei tanto facilmente prima di poterli leggere? E poi il grimorio di Evendil sarebbe utile per imparare a controllare bene il Flusso vitale. Non mi interessa l’Ataru, una volta raggiunto il 100% di legame con te sarò forte abbastanza. Ma ricordo bene che Evendil una volta ha detto che c’è un modo per lanciare contemporaneamente più incantesimi che sfruttino tutti il pieno della potenza del Flusso, ma che ci sta ancora lavorando. Inoltre un paio di mesi fa l’ho visto discutere ardentemente con Alea a proposito delle varie capacità che dona un Flusso abbondante. Io ce l’ho il doppio di lui, per cui le mie capacità dovrebbero essere inimmaginabili, ma suppongo che imparare i vari segreti del Flusso vitale sia peggio di studiarsi tutti i muscoli e le ossa che compongono un corpo umano per poter poi usare la magia organica.›

‹Devo darti ragione. Sbirciare il grimorio di Evendil ti potrebbe dare una conoscenza sul Flusso enorme. Con quelli dei tre anziani, invece, sapresti controllare incredibilmente i sette elementi. Saresti invincibile!›

‹Già. Quindi tu vedi di sputare fuoco nero, chiaro?›

‹Hehe, di certo non voglio essere da meno di te! Ma purtroppo non è una mia scelta, è questione di nascita. Di certo mi allenerò fisicamente fino allo sfinimento e studierò la magia con tutto l’impegno possibile. Vedrai che ti batterò!›

‹Bravo, questo è lo spirito giusto! E alla fine non importa chi di noi due è più forte: resta il fatto che saremo una coppia imbattibile.›

Rorix alzò la coda e la andò a sbattere contro il palmo aperto del Cavaliere.

Arrivati all’edificio della mensa, lo trovarono notevolmente cambiato rispetto al solito: i tavoli erano stati tutti accostati alle pareti per lasciare spazio per ballare, vi era un’orchestra e tutto era addobbato con decorazioni floreali.

‹Elfi.›

Vi era così tanta gente in piedi che Siirist non riuscì a vedere i suoi amici, così ricorse a rintracciarli percependo la loro presenza mentalmente. L’operazione gli richiese qualche buona manciata di secondi, e alla fine si trovò con il respiro pesante e leggermente sudato.

‹Ti serve molta più pratica.› puntualizzò Rorix.

‹Lo so bene, grazie.›

Il drago si avvolse in fiamme rubine e si rimpicciolì, così da permettergli di salire sulla spalla del Cavaliere. Facendosi largo tra la folla, Siirist urtò un uomo che si girò irritato, così come fece il suo drago marrone. Quando questi e Siirist si ritrovarono faccia a faccia, il primo guardò l’altro in cagnesco, mentre Ryfon lo fissava cercando di ricordarsi chi fosse, per poi rigirarsi e dirigersi nuovamente verso i compagni.

Li trovò accanto al tavolo dove veniva servito lo spumante, importato direttamente da Arcadia, considerato il migliore di tutta Tamriel. Gilia era elegantemente vestito con una tunica e dei calzoni neri, di fattura pregiata, mentre Alea indossava un abito da sera bianco senza spalline, che la copriva da metà seno alle caviglie. Sulle spalle teneva uno scialle di cashmere bianco, al collo una collana d’oro, alla vita una cinta dorata e ai piedi dei decoltè, sempre bianchi, con il tacco di cinque centimetri. Già normalmente era alta 185 cm, ora raggiungeva i 190. Gilia, 187 cm al naturale, era 188 grazie alla suola dei suoi stivali. Anche le scarpe di Siirist avevano un tacco di un centimetro, ma questo lo rendeva solo 176 cm. Si sentiva una merda.

«Oh, bene arrivato.» lo salutò la fanciulla, il tono noncurante, sorseggiando il suo spumante.

«Ciao, Siirist, vuoi un bicchiere?» disse Gilia più cordialmente.

«No grazie...» rispose il giovane, ancora incantato da Alea.

L’elfa pareva più splendente che mai. Oramai Siirist era abituato a vederla, l’aveva vista anche in biancheria una volta che era entrato nel bagno dopo che lei si era dimenticata di chiudere a chiave, evento che Ryfon ricordò per molte notti seguenti in sogno, solo che l’esito non era stato una lancia di ghiaccio ma ore di passione, ma mai in quel modo. L’abito che si posava delicatamente sulle sue gentili curve, i capelli tirati su in un’acconciatura ricercata, il pendente che scendeva nello spacco del seno e che pareva indicare la via per il paradiso. Tutto quello era nuovo per Siirist. Quella sera sentì di aver posato gli occhi sulla creatura più bella del mondo. In quei pochi secondi il ragazzo non vedeva l’elfa come compagna di addestramento, come rivale, come nemico nelle centinaia di sfide che avevano disputato: ella era la bellezza fatta a donna. E non sentiva solo un enorme impulso sessuale nei suoi confronti, anzi quasi per niente, in quanto ella era così incantevole che Ryfon sentiva di doverla venerare e che il suo minimo tocco l’avrebbe solo contaminata. Si chiese come diavolo avesse fatto tutte quelle volte a colpirla, anche violentemente. In verità lo sapeva, l’eccitazione della sfida lo infiammava e davanti a lui vedeva solo un avversario da sconfiggere, anche se il più delle volte accadeva che era lui ad venire sconfitto, quello che non capiva era come facesse a vedere quella dea come un nemico.

‹Ci sei ancora?› Rorix diede una testata alla mandibola del giovane, richiudendola.

‹Eh... Sì, sì, certo, eccomi. Wow, è incantevole.›

‹Sì, ho capito, sono cinque minuti che non fai altro che pensarlo in tanti modi diversi.›

‹Non la trovi meravigliosa?›

‹No, per me è una bipede come può esserlo Fralvia.›

‹Ah! No!›

Siirist aveva disperatamente cercato di rimuovere dalla sua mente l’immagine di Fralvia, la padrona della locanda del villaggio, la donna più brutta che avesse visto in tutta la sua vita. Scheletrica, con il sedere piatto, seno cadente, incisivi tre volte il normale e sporgenti, occhi piccoli come una talpa, fronte alta dieci centimetri e capelli ispidi grigio topo. Al ragazzo vennero i brividi: come poteva quello stupido drago trovare uguali in aspetto Alea e quella cosa innominabile?

‹Anche il nome è fastidioso: Fralvia, Frrr, Frrrralvia...› e tremò schifato.

‹Credi davvero abbia ventisei anni?›

‹No, basta!›

La domanda di Rorix ricordò a Siirist il momento che la conobbe, in cui ella rivelò la sua età mettendosi in posa sensuale. Almeno così credeva lei. Ignorava infatti di aver causato incubi al Cavaliere per tutta la settimana successiva.

‹Frrrrrrrrrralvia...!›

«Alea, siete più splendente che mai questa sera.»

Un altmer accompagnato da un drago turchese si avvicinò alla fanciulla e le si inchinò, baciandole poi la mano. Il drago anche si inchinò ad Eiliis.

«Siete gentile, ma non dovete rivolgervi a me con tale cortesia. Sono pur sempre una novizia.»

«Alea, io sono di Imladris, perciò rispetto la vostra casa come quella reale. So che all’interno dell’Ordine l’origine non conta, ma io non posso ignorare il fatto che voi siate una Ilyrana. Anche se non lo foste, sarebbe la vostra bellezza a rendervi nobile.»

‹Cazzone cascamorto.›

«Mi lusingate.» e sorrise appena, sbattendo gli occhi.

‹Ah!! Ha sorriso!! Perché ha sorriso a lui e non a me tutte le volte che faccio una battuta?! Sono riuscito a far ridere quel cadavere depresso di Gilia e non lei, e ora arriva questo buffone snob e lei fa tutta la carina?!›

«Posso permettermi di invitarvi a ballare?»

«Con piacere.» e sorrise anche di più.

‹Argh...!!›

Siirist rimase immobile, gli occhi spenti, la bocca spalancata. I due alti elfi si diressero verso la pista da ballo, mentre Gilia si avvicinò all’amico, il flute colmo di spumante in mano, la sinistra appoggiata alla cintura.

«Vedi, quelli sono dei veri modi signorili. Si vede che è di famiglia nobile.»

«Lo brucio vivo...» gli occhi di Ryfon si infiammarono, il tono era piatto ma lugubre.

«Eh? Perché?»

Siirist, tutto d’un tratto, si riprese. Scosse la testa e si rivolse al ventenne.

«Eh? Boh, non lo so, pensavo ad altro. Io esco un attimo, sto sentendo troppo caldo.»

«D’accordo.»

‹Rorix, tu resta qui, ho bisogno di stare un po’ da solo.›

In maniera calma e controllata, Siirist uscì dalla mensa. Lasciò il pavimento di pietra per l’erba ricoperta di neve e continuò a camminare fino a che non raggiunse uno spiazzo privo di edifici, sciogliendo la neve ad ogni passo. Inspirò ed espirò, per poi guardare dritto davanti a sé, gli occhi ardenti, l’aria attorno all’avambraccio sinistro che si faceva più calda, sino a sprigionare alcune fiamme. La capacità magica del ragazzo non era ancora tale da permettergli di richiamare sufficiente Flusso vitale per lanciare incantesimi davvero potenti, ma aveva bene imparato a controllare la sua magia involontaria. E la rabbia, l’irritazione ed il fastidio che provava in quel momento erano considerevoli.

«Naur paur!»

Siirist menò un potente pugno in avanti, da cui poi scaturì una grande fiammata che volò dritta in avanti per cento metri, fino a che non fu fermata dalle mura di marmo nero, che dispersero la magia. Il giovane era ancora in posizione, il braccio teso, la parte sinistra del busto inclinata in avanti, il piede mancino davanti all’altro. Il braccio di Siirist era ancora circondato dalle fiamme e le maniche sinistre della camicia e della giacca erano diventate mezze maniche. Il ragazzo respirava affannosamente, per poi sorridere soddisfatto e cadere a terra. La neve attorno a lui si sciolse, creando un cerchio del diametro di dieci metri in cui si vedeva il verde del prato.

‹Finalmente ce l’ho fatta, ho lanciato il Pugno di fuoco, il mio primo incantesimo predefinito. Bene, so come inaugurare il mio grimorio domani mattina!›

Liberatosi dal fuoco che gli ardeva dentro, Siirist si sentiva finalmente più calmo. La tensione che aveva provato nel vedere quel Cavaliere insignificante provarci con Alea era stata grande, ma non aveva la minima idea di perché ce la avesse avuta.

‹Ora mi sono comportato io da fidanzato.› rise e scosse la testa, la mano destra a coprire occhi e fronte.

Si rialzò e si guardò il braccio sinistro, contemplando il danno ai vestiti.

‹La cosa peggiore è aver perso uno dei gemelli, erano i più belli e mi sono costati una fortuna!›

Tornò velocemente nella sua stanza e si cambiò, indossando una camicia rossa, ed un completo di pantaloni e giacca neri. Pensò di abbinarci pure la cravatta ma poi decise di no.

Quando tornò alla mensa trovò Alea che parlava con Gilia, e stranamente si sentì sollevato.

«Il tuo ballerino?» chiese ironico.

«È andato a prendere da mangiare, ritorna fra poco.» rispose fredda senza nemmeno guardarlo.

«Ah... evviva...»

«Perché ti sei cambiato i vestiti?» chiese Corvinus.

«Perché gli altri si sono bruciati.»

«Eh?!»

‹Bell’incantesimo.› si complimentò Rorix.

‹L’hai visto?›

‹Dimentichi che siamo legati mentalmente? Anche se non sono con te fisicamente, so sempre cosa fai e pensi.›

‹Giusto, a volte me ne scordo.›

‹Perché a te ancora non riesce così bene, per cui non te ne accorgi e ti passa di mente.›

‹Già. Perché non hai ancora strappato la giugulare a quell’elfo cazzone?›

‹Quale dei tanti?›

‹Quello con il drago turchese. Ha anche un drago dal colore da checca.›

‹No, quello è un drago con il colore da checca, perfettamente abbinato con il suo Cavaliere.›

Siirist guardò nella direzione in cui puntava l’Inferno e vide arrivare Adeo e Skimir.

«Ohi, Siirist!» chiamò con voce delicata.

‹Perché Ren deve stare alla festa degli anziani? Non mi importa se è un vice-capitano, non ha mille anni e in questo modo non può tenere al guinzaglio quello lì!›

«Il mio adorato ~mmmmm Evendil non c’è, per cui dovrò accontentarmi di te e delle tue guanciotte adorabili!» prese le guance di Siirist ed incominciò a tirare.

Vari muscoli facciali del ragazzo incominciarono a tremare, sconvolti da innumerevoli tic nervosi.

«Ehm, Adeo, penso ti convenga smettere, è da prima che Siirist è un po’ nervoso...» cominciò a dire Gilia.

Troppo tardi. La mano del Cavaliere d’Inferno era ormai così avvolta dal fuoco che nemmeno si vedeva. La appoggiò alla pancia del Cavaliere omosessuale ustionandolo, per poi sprigionare una sfera di fuoco che lo spedì dall’altra parte della sala, attirando l’attenzione di molti presenti. I vari ringhi e ruggiti di Rorix fecero desistere Skimir dalle stesse attività del Cavaliere.

Ma questi si guarì subito e nel giro di pochi secondi fu di nuovo a tormentare Ryfon.

«Io... ti... ammazzo...» disse tra una tirata di guance e l’altra.

«Sei adorabile!»

«Brucia!»

Ma Siirist non riuscì a lanciare un altro incantesimo, in quanto entrambe le sue braccia caddero come due pesi morti.

‹Ma che?!›

Per quanto si sforzasse, il ragazzo non riusciva a sollevarle.

«È inutile, ti ho reciso tutte le terminazioni nervose. Non sottovalutare la magia organica.» spiegò Adeo, stranamente adottando un tono serio e meno effeminato del solito.

«Ma non mi hai invaso la mente!»

«Finché ti tocco, non ho bisogno di farlo, proprio come fa la tua amica Alea. La differenza è che lei immette direttamente la sua corrente di Flusso nel corpo dell’altra persona, che sia per guarirla o danneggiarla, mentre io creo attorno alle mie mani dei bisturi invisibili con cui posso tagliare ciò che voglio all’interno del corpo. Alea sfrutta il Flusso per vedere ciò che va a colpire, io invece so già cosa sto per fare. Conosco alla perfezione la funzione e l’ubicazione di ogni muscolo, tendine, nervo, osso e organo all’interno del corpo. Potrei fermarti il cuore solo toccandoti sul petto ora, se volessi.»

Siirist deglutì.

«Ma non lo farei mai! Sei semplicemente troppo adorabile, con queste tue guanciotte tenere!» e riacquistò il suo accento insopportabile.

«No, piuttosto, uccidimi.»

Adeo sorrise e sfiorò le spalle di Siirist che, improvvisamente, poté muovere nuovamente le braccia.

«Non posso solo creare dei bisturi per recidere, ma anche dei punti di sutura che guariscono all’istante! Ma purtroppo questo è meno efficace, poiché solitamente bisogna invadere la mente per capire bene quale è il danno subito. Ma nel tuo caso sono stato io a reciderti i nervi, perciò sapevo già cosa dovevo andare ad aggiustare!» e rise goffamente.

«Spero tu ti renda conto che sei insopportabile.»

Adeo mise il broncio, per poi subito girarsi verso Alea.

«Oh, Alea, il vestito ti sta d’incanto! Ho fatto proprio bene a consigliartelo! La moda di Zanarkand al momento è quella più in voga nell’Impero! Inoltre si abbina perfettamente con i vestiti di Siirist! Peccato si sia cambiato, però, lo smoking di prima era perfetto!»

La fanciulla arrossì appena, tanto che nessuno se ne accorse, se non il Cavaliere omosessuale.

«Ha avuto l’effetto desiderato...?» sussurrò poi, guardando verso Siirist.

Questi però era stato attento alla conversazione e riuscì a capire.

‹Di che diavolo stanno parlando?›

Alea sorrise e annuì.

Ecco, di nuovo, l’aveva fatto ancora. Un altro sorriso. Ma a differenza di quelli che aveva mostrato al “cazzone cascamorto”, quello era stato sincero e felice, seppur meno accentuato e più fugace. Siirist la guardò nuovamente con ammirazione. Era veramente bella.

«Eccomi di ritorno, mia divina Alea!»

La sola voce che sentì riuscì ad irritare Siirist più di quella di Adeo. Il ragazzo si girò e vide arrivare il Cavaliere con il drago turchese con in mano un vassoio d’argento carico di prelibatezze.

«Arrivo subito. Andiamo a mangiare laggiù, a quel tavolo appartato.»

Il corpo di Siirist cominciò a generare sporadiche fiamme che gli bruciarono nuovamente i vestiti.

‹Calmati o butterai quasi dieci monete d’oro.›

‹Non mi interessa, io lo riduco in carbone!›

Il ragazzo fiammante fu toccato sulla spalla da Adeo ed improvvisamente il fuoco scomparve ed i vestiti si ricucirono da soli, ritornando allo stadio precedente.

«Ma come...?»

«Oh, sì, un po’ di lingua umana! Nell’Ordine si parla elfico, per cui da quando hai imparato a parlarlo tutti si rivolgono a te utilizzandolo, persino gli umani, ma devo ammettere che ogni tanto è piacevole utilizzare la propria lingua madre!» disse esuberante Adeo.

Si girò verso Siirist che lo guardava interdetto e sorrise.

«Immagino ti stia chiedendo come ho fatto a bloccare il tuo fuoco, vero? Il Flusso vitale può essere richiamato solo da alcuni punti del corpo e io te li ho momentaneamente inibiti. La magia involontaria è molto pericolosa e chi come te possiede grandi legami con il Flusso deve prestare molta attenzione. Da quando hai imparato a studiare la magia hai risvegliato il tuo Flusso dormiente, perciò ora ogni volta che ti emozioni tenderai a sprigionare fiamme, soprattutto quando ti arrabbi. E la sfortuna più grande è che una specializzazione in fuoco rende più irascibili. Non che tu possa essere definito uno specializzato, ma al momento stai solo studiando un elemento, trascurando quasi completamente tutti gli altri. Ho sentito dire che vuoi diventare un maestro di tutti gli elementi. Beh, non è certo questo il modo giusto. Capisco che lo studio della magia può essere impegnativo e che allenarti con il fuoco è più semplice che con gli altri, ma non puoi continuare a farlo, per le sicurezza tua e di chi ti circonda. Inoltre devi imparare a controllare le tue emozioni. Non dico come fanno gli elfi, che si mostrano impassibili ma in realtà scoppiano di rabbia, in quel modo la magia involontaria accade comunque, ma devi imparare a separare le tue emozioni dal Flusso vitale e non alimentare i tuoi incantesimi con esse, ma con la disciplina e con la volontà. Mi sono spiegato?» disse assumendo nuovamente il suo tono serio.

«Sì.» annuì Ryfon.

«Perché ti sei arrabbiato tanto adesso?» chiese ritornando alla sua voce irritante.

«Io... non lo so.»

«Ti disturba vedere Alea in compagnia di un altro uomo, forse...?» sorrise malizioso.

Era davvero quello? Certo che no, perché doveva esserlo? Non gli aveva mai dato fastidio sapere che Keira andasse a letto con altri uomini, tra cui quell’androgino di Hermeppo, e teneva a lei sicuramente più di quanto tenesse a quell’arpia camuffata da dea. Allora cos’era? Perché lo irritava tanto vedere quel presuntuoso bellimbusto che non faceva che mangiarsi con gli occhi la fanciulla. Siirist vedeva bene come la stesse guardando, conosceva bene quello sguardo poiché ce lo aveva lui ogni volta che vedeva per la prima volta una bella ragazza. Ma erano mesi che uomini, esclusivamente umani, provavano a entrare nelle grazie della fanciulla, mai Ryfon aveva provato quella sensazione di gelosia. Gelosia?!

‹Ma stiamo scherzando?!›

Siirist si voltò e si diresse con passo svelto verso la porta, sbattendo il pugno infuocato contro lo stipite: la pietra prese a bruciare, obbligando Adeo ad intervenire nuovamente.

 

Siirist era a letto, steso sulla schiena, le mani sotto la nuca, pensoso. Si girò verso sinistra e guardò sopra alla cassettiera dove teneva la sua sveglia: le undici e cinquanta.

‹È quasi mezzanotte. Bel capodanno sto passando.› sorrise amaro.

Gli venne naturale pensare all’anno passato, quando festeggiò senza ritegno con Keira, finendo in coma etilico, ma non prima di aver riverniciato le pareti della stanza dell’amica con il suo vomito.

‹Quest’anno sta facendo schifo. Anzi, anche di più.›

Sentì risate provenire dal corridoio fuori dalla porta e difficilmente riconobbe la voce, in quanto non l’aveva mai sentita con quei toni acuti e parlare in maniera così delirante. La porta si spalancò ed entrarono Gilia ed Alea, quest’ultima tenuta sottobraccio.

«Che è successo?» chiese Siirist.

«Suppongo abbia bevuto troppo. Ho visto quell’elfo darle molto da bere e poi portarla verso la propria stanza, ma lei lo ha trasformato in una statua di ghiaccio. Temo sarà molto arrabbiato domani mattina.»

«E noi sapremo come rispondergli, o sbaglio?» disse sicuro Siirist.

«Assolutamente no! Se qualcuno se la prende con uno di noi...» cominciò il Cavaliere d’Incubo.

«... viene massacrato da tutti e tre!» finì il Cavaliere d’Inferno.

Corvinus adagiò l’elfa sul suo letto, per poi guardare l’ora.

«È quasi mezzanotte. Vado a procurarmi una bottiglia di spumante e la porto qui.»

«Ok!»

Lo stregone uscì di corsa, seguito a ruota da Asthar, lasciando gli altri due soli assieme ai loro draghi.

«No, basta alcool...!» si lamentò la fanciulla.

«Suvvia, un brindisi al nuovo anno è d’obbligo! Tra cinque minuti inizia ufficialmente il primo dei nostri cinque anni di addestramento!»

«No, no, no... niente... alcool...» disse ella storpiando le parole, fermandosi ad ognuna, interrotta da singhiozzi o apparenti conati di vomito.

Il suo viso, seppur deformato da espressioni strane causate dallo stato di ubriachezza, era più rilassato di come Siirist lo avesse mai visto. E la trovava anche più incantevole di come l’avesse vista appena arrivato alla festa.

«Quel... cattivone... mi ha fatto bere troppo e ha... cercato di... approfittarsi di me! Hic!»

«Ma gli hai fatto vedere tu, vero?»

«Certo! Prima gli ho dato un bam! – e mimò il gesto di un pugno. – e poi con un frush! l’ho congelato!»

Siirist trovò il racconto una delle cose più esilaranti che avesse mai sentito in vita sua. Vedere l’elfa, solitamente sempre composta, utilizzare un linguaggio da bambini, parlare biascicato e gesticolare era senza dubbio qualcosa dopo la quale si può dire di poter morire felici.

«Sai, sei più bella così.»

«Eh?» chiese lei, più addormentata che sveglia.

«In cinque mesi ti avrò vista sorridere tre volte, e questa sera l’hai fatto continuamente. Non mi ha dato molto piacere vedertelo fare con quel cazzone, e sinceramente non so spiegarmi il perché, ma resta il fatto che diventi almeno mille volte più bella quando sorridi. Dovresti farlo più spesso.»

Ed in quel momento Alea si trasformò e sembrò recuperare un po’ di lucidità. I suoi occhi persi e spenti si concentrarono su Siirist e brillarono di una profonda luce smeraldina, mentre il continuo risolino da pazza che emetteva scomparve. Gli occhi dei due si fissavano immobili, entrambi erano impossibilitati a distogliere lo sguardo. La ragazza sorrise ancora, questa volta non come un’ebete come le volte precedenti, ma dolce e aggraziata, mostrando parte della dentatura superiore, bianca come la neve pura e perfetta. Con un guizzo veloce si lanciò contro Siirist, sfiorando le sue labbra con la bocca. Il ragazzo rimase immobile, non sapendo come reagire.

«Ti amo.» gli sussurrò poi accanto all’orecchio.

Si ritrasse poi con la stessa velocità, appena in tempo prima che Gilia ritornasse.

«Avanti, fate presto, mancano trenta secondi!»

«Sì, altro alcool!» urlò felice Alea.

Si riempì il bicchiere per poi crollare indietro sul letto.

«Beh, sembra che la principessa sia fuori gioco. Contiamo il suo come un brindisi? Ecco il tuo bicchiere.» disse divertito Corvinus.

«Eh? Oh sì, grazie.» rispose ancora sotto shock.

E quella notte tutti e tre si addormentarono ancora vestiti ed Alea, per la prima volta nella sua vita, russò come un orso.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

Ed ecco qui! Tanto per essere chiari, so benissimo che “flute”, il bicchiere da spumante, si scrive con l’accento circonflesso sulla “u”, ma non l’ho trovato! E sinceramente non ho nemmeno perso tanto tempo a cercarlo!

 

Ringraziamenti:

1)  Banko/Zack. Sì, dicevo che avevo molte idee, ma in verità... nemmeno ricordo quali fossero! Pensi davvero che avessi già pianificato tutto questo? La mia prima idea era dedicare un capitolo a ciascuno dei primi tre anni! Invece non è ancora cominciato il primo anno e ho già aggiunto tre capitoli! Sto già scrivendo il secondo capitolo ambientato durante il primo anno di addestramento e credo ne dovrò mettere altri due, poi forse ce ne vorranno due o tre anche per i successivi due anni. Io non avevo la minima idea che avrei messo tutte queste situazioni comiche! Fralvia, per fare un esempio, l’ho pensata proprio mentre scrivevo che Rorix non trova affascinante Alea! Siirist ha un legame con il Flusso senza paragoni, ma ce ne vorrà del tempo prima che impari ad utilizzare bene la magia. Anche con il fuoco, come è scritto prima che lanci il Pugno di fuoco (Hiken! W Ace di One Piece! sigh...!) non è che lo sappia utilizzare propriamente, piuttosto ha imparato a controllare la sua magia involontaria. Se non fosse stato incazzato com’era e se non si fosse immaginato il “cazzone cascamorto” davanti a lui, col cavolo che avrebbe lanciato un incantesimo del genere! Nei prossimi tre anni imparerà ad utilizzare la magia elementale, ma solo ai livelli di base, possiamo anzi dire che è assolutamente negato nella magia. Dopotutto devo pur dargli un punto debole! Poi va beh... sai bene come diventerà Siirist tra qualche anno!

2)  xevel. In tutti questi capitoli, quando mai Siirist ha preso qualcosa sul serio? È per questo che Althidon e Syrius si sono preoccupati quando hanno scoperto il suo legame, perché sanno bene che un potere simile nelle mani di un combina guai come lui è pericoloso! Ma come ho scritto sopra, Siirist rimane negato nell’utilizzare la magia. Solo grazie ad Evendil potrà imparare qualcosa, se se la dovesse studiare da solo, morirebbe di vecchiaia prima di saper lanciare un fulmine! E io metto quegli spoiler apposta: per incuriosire i lettori! XD

 

Appuntamento a giovedì 8 con DIVENTARE CAVALIERE.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** DIVENTARE CAVALIERE ***


DIVENTARE CAVALIERE

 

Il mattino del primo gennaio, l’alba sorse alle 07:32, e Siirist la vide in diretta, seduto sul portico dell’edificio delle abitazioni dei Cavalieri in addestramento, osservando la neve che cadeva fitta. Era sveglio da due ore, eccitato all’idea di finalmente cominciare il suo addestramento e ancora pensieroso riguardo la sera prima, quando Alea lo baciò e gli si avvicinò all’orecchio.

«Amin mela lle.» aveva detto: “ti amo”.

«Che stai facendo qui fuori? È freddo, vuoi ammalarti proprio il tuo primo giorno di addestramento? Ti informo che non mi importa, ti farò lavorare lo stesso.»

Siirist si voltò sorpreso nel vedere Althidon, sorpreso più che altro perché non aveva notato la sua presenza. Evidentemente era troppo assorto nei suoi pensieri.

«Buongiorno, Althidon. Siete venuto a svegliarci? Non vi preoccupate per me, mi piace stare al freddo, mi aiuta a rinfrescarmi le idee e a calmare il mio fuoco interiore.»

Il Maestro si sedette accanto a lui.

«Ah, sì. Ne ho discusso con Evendil. Siamo tutti molto colpiti da come hai imparato in fretta a controllare il tuo elemento affine, ma suppongo ti sia accorto anche tu che è pericoloso se non inizi a studiare presto anche qualche altro elemento, così da bilanciare gli effetti del fuoco. Ottime scelte a livello caratteriale sarebbero aria, terra, luce o oscurità. Ti consiglio aria, poiché è utile anche negli incantesimi combinati con il fuoco.»

«L’elemento aria rende più spensierati, vero? È uno degli elementi in cui Evendil mi ha proibito di specializzarmi, dato il mio carattere.»

«E non posso che dargli ragione, ma è anche vero che è la combinazione perfetta con il fuoco: contrasta l’effetto caratteriale ed è utile nelle combinazioni, come ho già detto. E comunque qui non si parla di specializzazioni, ma di apprendimento delle basi. Hai tre anni di studi davanti a te prima di specializzarti in qualche elemento. Ma poiché suppongo la tua prima scelta per quello sarà il fuoco, suggerisco il vento come seconda.»

«E magari la luce come terza?»

«E così l’eredità di Aulauthar passa ad un’altra generazione ancora. – scherzò l’altmer. – In ogni caso, mi sono messo d’accordo con Evendil perché ti dia delle lezioni supplementari sulla magia, in particolare sul controllo del vento. Anche io sono affine con il fuoco, per cui so bene cosa significa la necessità di contrastarne il potere, anche se non sono mai stato una testa calda, a differenza tua. Allora, ti metterai d’impegno a studiare anche gli altri elementi?»

«Sì, Maestro.»

«Bene, a proposito di “Maestro”, le sette sono passate già da un po’, se continua così non farete in tempo a prepararvi. Mi faresti il favore di andare a chiamare gli altri? Presentatevi puntuali alle nove all’aula sette dell’edificio scolastico.»

Siirist si inchinò e rientrò nella sua stanza, svegliando per primo Rorix, incaricandolo poi di richiamare gli altri draghi. Il ragazzo svegliò Gilia tirandogli addosso un cuscino, mentre con Alea fu più gentile. Si sedette sul bordo del suo letto e delicatamente la scosse sulla spalla. Ella aprì pigramente gli occhi ed un ciuffo di capelli glieli andò a coprire. Allora Siirist glielo scansò con una carezza. Nemmeno sapeva cosa stesse facendo, ma dopo l’avvenimento della notte precedente, gli sembrava la cosa giusta da fare.

«È ora di alzarsi, Althidon è venuto a chiamarci.» mormorò dolcemente.

Dapprima la fanciulla parve confusa, non realizzando bene cosa stesse accadendo, poi sbatté ripetutamente le palpebre e mise a fuoco la situazione.

«Che diavolo stai facendo così vicino...?» sibilò pericolosamente.

‹Oh-oh.› deglutì Ryfon.

«Beh, ecco, non lo so, insomma...»

«Levati subito.» intimò lei con un tono che non ammetteva repliche.

Si alzò di scatto e spinse via il giovane: cattiva idea.

«Ah!» urlò di dolore.

Si rimise stesa reggendosi la fronte, sentendola pulsare come se avesse qualcuno che le prendeva a martellate il cranio dall’interno.

«Non mi sorprende, con la sbronza che si è presa ieri sera. Ehi, Siirist, com’è che lei l’hai svegliata tutto carino, io invece mi sono preso un cuscino in faccia?» chiese sonnolento ma indispettito Gilia, rilanciando il guanciale al mittente.

«Ecco... mi è capitato spesso di esagerare con il bere, perciò so come è meglio essere svegliati la mattina dopo.» si inventò al momento, e non era del tutto una bugia, afferrando al volo l’oggetto.

«Ah, capisco. Quanto tempo abbiamo per lavarci e fare colazione?»

«Dobbiamo essere nell’aula sette alle nove.»

«Poco più di un’ora, dobbiamo sbrigarci. Noi stiamo bene, ma lei non mi sembra molto in forma per andare di fretta.»

 

Venti minuti più tardi, i tre Cavalieri in addestramento erano nella mensa a fare colazione. Alea si reggeva la testa con la sinistra mentre lentamente faceva avanti e indietro tra il piatto e la bocca con il cucchiaio stretto nella destra. Ad ogni ingoio del suo boccone di latte e cereali sentiva come se il cervello pulsasse e premesse contro la scatola cranica.

«Tra quanto smette...?» chiese disperata.

Gilia rideva, non rendendosi conto che firmava la sua condanna, in quanto l’elfa, una volta rimessasi, lo avrebbe impalato con almeno cento lance di ghiaccio, mentre Siirist la osservava con sguardo serio.

‹Non si ricorda proprio nulla. Forse era l’effetto dell’alcool. O forse era un sogno.›

‹Non era un sogno.› lo corresse Rorix.

‹Eh?!›

‹C’eravamo anche io e Eiliis, ti faccio presente. E come ti ho detto ieri sera, anche se non fossimo stati lì, lo avremmo saputo grazie al legame mentale.›

‹È vero. Quindi se Eiliis lo sa, dovrebbe saperlo anche Alea!›

‹No, perché non glielo dirà, dovrà essere Alea stessa a ricordarselo, da sola o con un aiutino da parte tua.›

‹Che vuoi dire? Ah, capisco...›

‹Ora capisci perché si arrabbiava ogni volta che andavi al villaggio a farti qualche scappatella?›

‹E chi l’avrebbe mai detto, considerando come mi si è presentata!› e ridacchiò fissando lo sguardo sull’elfa.

«Che hai da guardare tu?» domandò minacciosa.

«Quanto sei carina così.»

Lei arrossì lievemente.

«Sei sempre mattiniera, precisa, controllata. È bello vedere che anche tu sei umana. Si fa per dire.»

«Dovrebbe essere un complimento?» chiese insicura.

«Dipende da come lo vuoi intendere tu.»

La ragazza sorrise, per poi subito dopo corrugare la fronte, come a chiedersi perché lo avesse fatto. Subito dopo se ne pentì, in quanto il mal di testa le procurò un’altra fitta.

‹Allora qualcosa se lo ricorda di ieri sera, si ricorda che deve sorridere più spesso!›

‹L’inconscio registra tutto, mio caro Cavaliere.› fece notare l’Inferno.

I tre Cavalieri continuavano a consumare la loro colazione quando furono avvicinati dall’elfo con il drago turchese della sera precedente, del tutto intenzionato a vendicarsi di Alea.

«Ragazzina irrispettosa, come hai osato congelarmi?! Io sono il quarto ufficiale della quinta divisione, mentre tu hai appena cominciato il tuo addestramento e ti permetti di trattarmi in quel modo?!»

Il nuovo venuto mise mano alla spada, per poi sguainarla. L’elfa lo guardò incerta, non sapendo nemmeno di cosa l’uomo stesse parlando.

«Chiedo scusa, ma non ricordo nulla di cosa sia accaduto ieri, nemmeno so chi siete voi.» tentò di giustificarsi.

«Ti farò ricordare io!»

Siirist vide l’elfo muovere il braccio verso l’alto per preparare un fendente e, imbestialito, si infiammò e saltò in avanti contro il tavolo, attraversandolo, riducendo in cenere ciò che toccava, per poi lanciarsi contro il braccio dell’elfo, afferrandolo e bloccandolo prima che potesse completare il suo movimento. Il Cavaliere fece una smorfia di dolore nell’avere l’avambraccio destro bruciato. E più Siirist stringeva, più il danno si faceva grave.

«Mi sono stancato di ripeterlo, per cui questo sarà l’ultimo avvertimento che do a tutti: se qualcuno si azzarda anche solo a sfiorare i miei amici, me ne frego delle leggi dell’Ordine, lo farò a pezzi con le mie mani. Sarò anche un novizio, ma sono il Cavaliere d’Inferno con un legame mentale del 33% ed un legame con il Flusso vitale di centomila douriki. Ci penserei due volte prima di farmi incazzare.»

Le fiamme di Siirist si spensero ed egli lasciò andare la presa. La pelle ed i muscoli dell’altro erano oramai carbone nel punto in cui era stato afferrato e si riusciva ad intravedere l’osso.

«Te la farò pagare, ragazzino insolente!»

«È la seconda volta che mi viene detto, ma ogni giorno divento più potente. Se davvero volete vendicarvi, vi consiglio di farlo in fretta.» lo sguardo di Siirist era duro, le iridi del colore del fuoco.

«Sai, sappiamo difenderci perfettamente anche da soli. Tu piuttosto, dovresti imparare a controllarti. Prima o poi bruci tutta la Rocca.» disse Gilia tranquillamente, addentando il suo toast.

Alea, invece, aveva gli occhi lucidi e fissava Ryfon con ammirazione.

«Non posso farci niente, mi infiammo in un secondo. E intendo letteralmente. Althidon ha ragione, devo mettermi giù a studiare gli altri elementi.»

«Ti aiuto!» propose entusiasta Alea, per poi pentirsi del suo movimento improvviso e tenersi la testa.

«Grazie ma no, Althidon si è già messo d’accordo con Evendil perché mi dia lezioni supplementari, e ammetto che sono felice di passare del tempo con lui.»

«Ah, ok...» rispose delusa.

«Ma se vuoi, puoi aiutarmi a ripassare in camera! Evendil è un bastardo, sono sicuro che mi darà un sacco da studiare ed esigerà che sappia tutto la volta dopo.»

Alea annuì vigorosamente, ignorando completamente il martellare continuo nella sua testa.

«Questo significa che non avrai più molto tempo per le tue scappatelle al villaggio.» ridacchiò il Cavaliere d’Incubo.

Ilyrana lo guardò con occhi di ghiaccio.

«Temo che le signorine laggiù dovranno arrangiarsi in qualche modo. Mi dispiace per loro, si perdono il meglio che c’è sul mercato, ma ho di meglio da fare, e di certo in migliore compagnia.» e sorrise all’elfa.

«“Il meglio sul mercato”, che paroloni! Siamo presuntuosi, eh?»

«Gilia, non è colpa mia se sono tutto un fuoco!»

«No, ma è il caso che ti calmi un po’. Non credo ci vorrà molto prima che il Consiglio ti faccia una bella ramanzina.» rispose cogliendo il patetico doppio senso, ed indicò il tavolo distrutto.

«Filiamo.» disse dopo un po’ Siirist.

«Sono d’accordo.» e anche Corvinus si alzò di scatto.

Alea, divertita dalla scena, li seguì, sempre maledicendo il suo dopo sbornia.

 

Erano le nove meno dieci ed i tre, seguiti dai loro draghi, arrivarono all’aula 7. Ma ad attenderli non vi erano solo Althidon ed il suo drago, bensì anche Evendil ed Aulauthar. E Siirist poteva benissimo immaginare perché fossero presenti anche gli ultimi due.

«Siirist, mio caro, mi è giunta voce che nemmeno mezz’ora fa hai fatto parlare di te nella mensa.» cominciò il Cavaliere d’argento.

«Aulauthar, se permettete, vorrei correggervi, in quanto forse volevate dire: “Siirist, brutto pezzo d’imbecille, hai combinato un’altra delle tue e siamo oltremodo girati di palle.» disse furioso il mezzo dunmer.

«Evendil, che parole sono queste? No, Siirist, il nostro caro amico esagera. Non siamo alterati come dice lui, piuttosto colpiti nel vedere come rapidamente riesci a padroneggiare l’elemento fuoco, ma allo stesso tempo preoccupati perché resta il fatto che devi imparare a controllarti. So che Althidon ti ha già informato delle tue lezioni supplementari con Evendil sulla magia, per cui sono qui solo per vedere se sei consapevole che la situazione rischia di diventare pericolosa.»

«Certo, Aulauthar. Io stesso prima, dopo la commozione, ho ammesso che devo seriamente iniziare a studiare altri elementi.»

«Bene.»

«Ma per quanto riguarda la bruciatura che ho inflitto al quarto ufficiale della quinta divisione, non me ne pento affatto. Non mi interessa chi sia, nessuno minaccia i miei compagni.»

«La nostra società è governata da delle leggi e chiunque le infranga diventa un criminale, possiamo dire tranquillamente che diventi al pari di immondizia. Ed una delle leggi che vigono all’interno dell’Ordine dei Cavalieri dei draghi è quella che vieta di uccidere o far del male ad un altro Cavaliere. Alea ieri sera ha attaccato Ethlando con una magia, perciò era in torto, non importa se fosse in stato di ubriachezza. Ethlando ha solo esatto vendetta, con la legge dalla sua parte.»

«Ma...!»

«Non ho finito. – il tono che non ammetteva repliche. – Ma è anche vero che chi non protegge i propri amici è da considerare anche peggio di un rifiuto. Siirist, non intendo punirti per aver difeso la tua compagna. Non tutti all’interno del Consiglio erano d’accordo con questa decisione, ma solitamente tutti fanno come diciamo io e Syrius. In genere siamo in contrasto, ma questa volta era della mia stessa idea.» sorrise poi.

«Ambeh, se ho il sostegno di Syrius allora devo aver fatto davvero bene!»

«Cerca di far sì che non accada più, però. Ora vi lascio alla vostra prima lezione, Cavalieri in addestramento.»

«Io e te ci vediamo dopo, delinquente.» mugugnò Evendil all’orecchio di Siirist, appena prima di uscire.

«Io non so veramente più dove mettere le mani con voi. Sapevo fin dall’inizio che Siirist sarebbe stato un problema, ma speravo che voi due potesse aiutarmi a contenerlo. E invece siete stati affetti dal suo atteggiamento irresponsabile.» scosse la testa Althidon.

«Hehe...»

«Lasciamo perdere ed iniziamo la lezione. Come prima cosa, vi presento Zelphar. – ed indicò il suo drago. – Draghi, siete pregati di andare fuori con lui.»

Rorix sbuffò e balzò giù dalla testa di Siirist.

«Ragazzi, mi raccomando, state bene attenti al legame mentale con i vostri draghi e viceversa, in quanto alla fine della lezione io vorrò sapere cosa ha spiegato Zelphar e lui vorrà sapere di cosa ho parlato io.»

Tutti e sei annuirono. I quattro draghi, guidati dal maschio viola, uscirono dall’aula, mentre i tre ragazzi si sedevano, pronti a prendere appunti.

«Dunque, come avrete capito, oggi cominceremo con una lezione teorica. Vorrei parlarvi approfonditamente dei demoni e di come funziona esattamente il loro legame con il Flusso vitale. So bene che conoscete già molto sul popolo di Hellgrind, tranne Siirist, naturalmente, ma i dettagli sul funzionamento dei loro poteri sono informazioni riservate all’interno dell’Ordine. Allora, iniziamo con il dire le due principali differenze tra qualunque bipede ed un demone: la prima fisica è naturalmente quella che un demone ha due forme, una in cui assume aspetto umano, l’altra in cui rivela la sua vera natura. In questa forma i demoni possono variare appena rispetto a come sono da umani oppure essere completamente diversi. La seconda differenza è invece a livello energetico. Tutti i bipedi di Tamriel hanno tre tipi di energie che scorrono dentro di loro: il Flusso vitale, l’energia fisica e l’energia interiore, detta anche magica o spirituale. Unendo il Flusso vitale all’energia interiore, utilizziamo la magia, ma siamo noi a decidere l’effetto della magia e più il Flusso scorre abbondante, più l’incantesimo è potente. Possiamo quindi dire che la magia nasce nel Flusso vitale e che l’energia magica ha la funzione di tramite tra noi ed essa. Per i demoni è l’esatto opposto. Essi non possiedono energia spirituale, ma energia demoniaca. Il Flusso vitale scorre con la stessa potenza in tutti i componenti di una sotto rozza ed è esso a determinare il tipo di poteri che essi possiedono. Per fare un esempio, possiamo dire che nelle bestie del fulmine il Flusso scorre con una potenza di 50000 douriki ed è questo legame a fornire loro i loro poteri, mentre è di 100 douriki in qualunque classe E. Ripeto, questo è un esempio, non ho la minima di idea di quanto siano forti i legami dei vari demoni, ma è questo il sistema con cui funziona. Quindi noi richiamiamo il Flusso vitale sacrificando energia spirituale e tramite esso otteniamo la capacità di utilizzare la magia, mentre un demone ha naturalmente in sé la capacità di utilizzare i suoi poteri e li sprigiona tramite la sua energia demoniaca. Maggiore è la forza sprigionata dal potere, più energia demoniaca consuma, ma con il tempo un demone impara ad allenare i suoi poteri, fino ad arrivare al punto di non spendere quasi alcuna energia e sprigionare comunque un attacco devastante, sempre che il potere lo permetta.»

«Evendil mi ha detto che l’Imperatore Raizen sarebbe in grado di lanciare un fulmine così grande da spazzare via metà Zanarkand utilizzando lo stesso quantitativo di energia che spende per respirare.»

«Non so dirti quanto sia accurato, ma dubito Evendil si sia tenuto tanto lontano dalla realtà. Raizen è indubbiamente dotato di una forza sconvolgente, in quanto discende dallo stesso dio Obras. Bene, finito di spiegare come ottengono i loro poteri i demoni, vi parlerò di uno dei clan meno conosciuti, in quanto non sono ritenuti molto pericolosi, ma in realtà sono forse tra i più potenti: i vampiri. Secondo molti non sono degni di tanta considerazione poiché per i loro primi cento anni di vita sono abbastanza deboli, anche se dotati di svariati poteri. Sono dei classe C ed hanno il potere della telepatia e dell’immortalità, cioè possono rigenerare qualunque ferita, ma non far ricrescere un arto ed il loro unico punto debole è il cuore. Però anche decapitarli è un metodo efficace, così come dar loro fuoco. Possono vedere chiaramente nella notte e sono dei predatori d’eccezione, in quanto i loro sensi sono tra i più sviluppati di tutti e demoni ed hanno la capacità di vedere il flusso sanguigno delle creature viventi, perciò potrebbero individuare qualcuno anche attraverso una parete, in quanto i loro occhi fungerebbero da raggi X e vedrebbero tutto il sangue scorrere come se fosse una luce nel buio. Inoltre una volta che hanno memorizzato l’odore di qualcuno, riescono a rintracciarlo anche a chilometri di distanza. Per una preda sfuggire ad un vampiro è quasi impossibile. Ma per un Cavaliere risulta un facile compito ucciderne uno, in quanto i douriki fisici non sono molto elevati, non hanno poteri offensivi e sono molto deboli al fuoco, come ho già detto, e anche alla luce. Senza contare che possono muoversi solo di notte, in quanto la luce del sole li brucerebbe vivi. Ma come ho detto, queste informazioni sono vere se si parla di vampiri comuni, vampiri sotto il secolo di vita. Pochi raggiungono questa età, poiché gli altri demoni li temono e spesso li eliminano quando sono ancora vampiri comuni per evitare che diventino secolari, in quanto in questa fase sono tutta un’altra faccenda. Diventano dei classe A ed aggiungono molti altri poteri a quelli che avevano precedentemente, inoltre anche il loro morso diventa più pericoloso. Le capacità che ottengono sono: volo, nebbia, seduzione, controllo del sangue, lo stormo notturno e l’ombra. Cosa sia il volo è abbastanza chiaro, sono tra i pochi clan di demoni in grado di farlo senza possedere ali, mentre presumo sia necessario spiegare i dettagli degli altri poteri. Dunque, la nebbia è un potere alquanto fastidioso, in quanto il vampiro genera dal suo corpo una fitta foschia in cui solo lui può vedere chiaramente, mentre impedisce a chiunque altro vi resti intrappolato di vedere ad un palmo dal naso. Come se non bastasse, questa nebbia è come una dimensione a parte, in quanto è impossibile uscirne: si potrebbe correre per ore ed ore in avanti ma mai sfuggirvi. Penserete che sarebbe sufficiente usare la magia per annullare il potere, ed avete ragione, il problema è che la nebbia ha anche il potere di prosciugare qualunque energia magica. La seduzione è un’evoluzione della telepatia, in quanto permette di sottomettere ad un controllo mentale totale il suo bersaglio, obbligandolo poi a fare qualunque cosa gli venga ordinata. Lo stormo notturno è l’evoluzione dell’immortalità dei vampiri comuni, in quanto ora i vampiri sono completamente immuni a qualunque attacco fisico, poiché, se colpiti, il punto attaccato si scompone in tanti pipistrelli svolazzanti che poi si ricompongono, così un vampiro secolare può rigenerare un arto e non muore se decapitato. Ah, mi sono dimenticato di specificare un dettaglio fondamentale: quando dico che i vampiri sono immortali se non vengono colpiti sul cuore, intendo dire che lo sono anche se attaccati con l’argento. Benché l’argento neutralizzi i poteri demoniaci, se si passa una lama rivestita d’argento nel cervello di un vampiro, questo non muore. Rimangono quindi il controllo del sangue e l’ombra, i due veri poteri offensivi di un vampiro secolare: il primo permette di alterare il proprio sangue, indurendolo in modo tale da impedire di essere tagliati o facendolo uscire da una ferita ed usarlo poi come arma; il secondo è invece un potere elementale, di tipo oscuro. I vampiri secolari possono controllare la loro ombra e darle vita e cambiarle forma, rendendola anche tangibile ed utilizzarla per attaccare. Chi è molto forte riesce a separare la propria ombra dal corpo e creare un clone, oppure prendere il controllo dell’ombra dell’avversario e controllarne i movimenti, o fare quello che vuole. Il morso di un vampiro secolare è un’altra delle facoltà che distingue i vampiri da qualunque altro clan di demoni. Già da vampiri comuni hanno forti zanne e ad una mandibola d’acciaio facilmente in grado di lacerare pelle, carne e muscoli, persino spezzare ossa come fossero burro. Ma la loro evoluzione in vampiri secolari permette loro di secernere una particolare tossina dai canini che, entrato nel sistema della vittima, ne inibisce ogni movimento, impedendole così ogni tentativo di fuga. Ma oltre a questo, le zanne di un vampiro secolare possono produrre anche un tipo di veleno capace di trasformare le persone morse in ghoul, esseri senza mente, schiavi del vampiro che li ha trasformati, ma se hanno una mente abbastanza forte, i ghoul possono superare questo stadio e diventare loro stessi vampiri. Indipendentemente dall’età che aveva la persona prima della trasformazione, l’età da vampiro comune è pari a zero, per cui dovranno aspettare cento anni dal giorno in cui sono stati morsi per diventare secolari.

Secondo quanto vi ho detto, un vampiro secolare pare essere imbattibile, ma ci sono anche delle buone notizie nel caso ne affrontaste mai uno: i vampiri secolari possono esporsi alla luce del sole, ma così facendo, perdono i loro poteri, inoltre sono ancora deboli a magie di fuoco o luce. La scelta migliore sarebbe di lanciare un incantesimo di luce modificata con cui bruciarli vivi. Ma non è finita qui: i vampiri, raggiunti i mille anni di vita, diventano vampiri millenari, e allora sì che sono quasi invincibili, in quanto entrano nella categoria dei classe X, non perdono mai i loro poteri, non sono più deboli al fuoco né alla luce ed il loro controllo del sangue si estende anche agli altri, cioè possono far esplodere il cuore di chiunque stiano controllando tramite la seduzione. Al momento ci sono cinque vampiri millenari, uno dei quali è il conte Alucard, signore dei vampiri. Raizen lo tiene in così alta considerazione che gli ha persino dato in sposa sua figlia. Non so se hanno figli, ma spero vivamente di no, in quanto un incrocio tra un vampiro millenario ed una bestia del fulmine sarebbe inconcepibile.»

 

Era l’ora di pranzo e Siirist ed i due amici erano nella mensa seduti ad un tavolo da soli. Dopo l’incidente della mattina, nessun Cavaliere voleva avvicinarsi a loro e tutti quelli della quinta divisione che passavano loro accanto li guardavano in cagnesco. A loro però non importava, anzi in quel modo era più tranquillo.

«Salve!»

Come non detto, la pace era perduta per sempre, era arrivato Adeo, ma almeno tallonato da Ren.

«Ma Siirist, ho sentito che hai combinato un altro disastro stamane! Non credi sia il caso che segui qualche corso sul controllo della rabbia?» scherzò il Cavaliere dal drago fucsia.

«No, quello che mi serve è scaricare il fuoco in eccesso. Mi vuoi aiutare?» chiese retorico, la rabbia che saliva.

«Oh, preferirei di no. Sai, la mia pelle è molto delicata, troppo caldo non le fa bene.»

«Mi dai i brividi. Ehi, Ren, perché non lo porti via?»

«Mi spiace, ma questo è l’unico tavolo libero.» rispose rassegnato il vice-capitano.

«Guarda lì come ci fissano quelli.» indicò Gilia.

«Ren, sono della quinta divisione?» chiese Siirist, sicuro della risposta dell’uomo con i capelli vermigli.

Questi annuì.

«Sono proprio arrabbiati, eh?»

«Beh, Alea ha trasformato in una statua di ghiaccio per tutta la notte il loro quarto ufficiale e tu gli hai poi carbonizzato buona parte del braccio destro fino a scoprire l’osso. Dovrà stare sotto cura per una settimana e poi ne avrà un’altra di riabilitazione.»

«Se l’è cercata.»

«Indubbiamente, ma non vedo come questo possa interessare a loro.»

«Chi se ne frega. Gilia, Alea, Althidon ci aspetta, meglio andare.»

Gli altri due concordarono e tutti e tre si alzarono, salutando Ren e Adeo. Seguiti dai rispettivi draghi, i Cavalieri ritornarono all’aula della mattina.

 

Erano le sei di sera quando la seconda lezione teorica terminò, e Siirist corse fuori diretto all’appartamento di Evendil. Stava per entrare quando si fermò a riflettere.

‹Già sarà furioso per quello che ho fatto a colazione, forse è il caso di non farlo arrabbiare ulteriormente.›

E bussò.

«Entra.» rispose la voce forzatamente calma dell’elfo.

Siirist aprì la porta e lo trovò seduto su una poltrona puntata direttamente alla porta, così che ne incrociò subito lo sguardo. Deglutì. Non sapeva perché, ma il ragazzo trovava il mezzo dunmer più terrificante di Althidon, Aulauthar, Syrius e tutti gli altri anziani del Consiglio messi insieme. Forse era la vena ingrossata della tempia che pulsava in maniera innaturale. O forse era la porzione di carotide che sporgeva e pareva essere viva. O forse la bocca stretta, gli occhi desiderosi di morte. Ma molto probabilmente era tutto il complesso. Sì, decisamente tutto il complesso.

«Bene arrivato.» sorrise Evendil, il sorriso più falso e forzato che il giovane avesse mai visto.

«Eccomi, sono pronto a cominciare.» si affrettò a dire il ragazzo, sperando di distrarre il mezzo bosmer.

«Prima abbiamo un discorsetto da affrontare.» rispose questi arricciando il naso.

Chiaro segno del suo tentativo di reprimere la voglia di sfondare il muro usando la testa del biondo come ariete.

«È quello che temevo...» deglutì nuovamente.

«Che diavolo credi di fare, dando fuoco a tutto quello che hai davanti, persone e oggetti?!» gli sbraitò contro, marciando pesantemente verso di lui.

Ogni passo pareva far tremare la terra. D’istinto, Siirist arretrò di un passo.

«Non lo faccio apposta, basta che mi arrabbio un po’ e nascono le fiamme!» tentò di giustificarsi.

«Appunto, devi imparare a controllarti, cretino!»

E lo colpì in testa, facendolo sbattere a terra.

«Ahia, mi hai fatto male! Ma come è possibile?!»

«Ho usato l’Ataru. Hai il tuo grimorio?»

«Sì...» mormorò Siirist alzandosi e massaggiandosi la testa, mostrando il tomo all’elfo.

«Lo hai inaugurato?»

«No.»

«Che aspetti?»

«Non ho avuto tempo, però intendevo farlo oggi.»

«Bene, inizia a scrivere, poi voglio leggere.»

«Solo se mi fai leggere il tuo.»

«Ti sembra davvero il momento adatto per continuare a provocare...?» digrignò i denti alzando nuovamente il pugno.

Siirist allora aprì il libro e lo posò su un tavolo, impugnò la penna nella sinistra ed iniziò a scrivere tutto quello che era riuscito a realizzare con la magia fino a quel momento. Il naur paur ebbe l’onore di essere il primo argomento trattato, ed il ragazzo segnò come fosse riuscito a concentrare tutto il fuoco che gli bruciava dentro nel braccio sinistro, per poi facilmente lanciare l’attacco. Aggiunse che era necessaria ancora qualche modifica, in quanto non voleva incenerire ogni volta la manica dei suoi vestiti, e quello che gli era successo la mattina era stato molto interessante, in quanto era riuscito a controllare il fuoco e far sì che le fiamme si sprigionassero dall’aria attorno a lui e lo circondassero, non danneggiando i suoi vestiti, invece che farle nascere dal corpo. Quello era certamente un passo importante.

«Fatto.»

«Bene, fammi vedere quanto sei progredito finora.»

Evendil attrasse a sé il grimorio generando una corrente d’aria e lesse le due pagine scritte in un baleno.

«Dunque, vedo che hai ancora molto su cui lavorare, in quanto riesci a lanciare incantesimi davvero potenti, come questo pugno di fuoco, solo se sfrutti la magia involontaria. Dovevi essere davvero imbestialito per aver tirato fuori 1000 douriki. Ma devo farti i tuoi più vivi complimenti per essere riuscito a controllarlo perfettamente, nonostante abbia avuto una potenza di 10000 douriki. Ora riprendilo, ti spiegherò i concetti base della magia del vento. Ma prima parlami della tua prima lezione con Althidon e di quella di Vulcano con Zelphar.»

«Althidon ci ha parlato di alcuni clan di demoni, in particolare dei vampiri e dei licantropi, in quanto sono gli unici demoni in grado di far mutare umani e elfi, mentre nani e orchi non possono essere infettati. Zelphar ha iniziato a spiegare ai nostri draghi come volare, che posizione del corpo e delle ali devono tenere, come direzionarsi utilizzando la coda, come sfruttare le varie correnti. In sintesi è questo che abbiamo fatto tutt’oggi.»

«Bene, adesso cominciamo con la nostra lezione.»

 

Siirist raggiunse gli amici alla mensa, disperato.

«Che succede?»

«Che è tutta quella fisica?! Non ci ho capito niente! Alea, ti prego, mi devi aiutare con il vento!»

«D’accordo.» sorrise felice lei.

 

Quella sera, Siirist ed Alea passarono ore a studiare le varie leggi che regolavano gli incantesimi d’aria.

«Se trovi difficili le basi, non voglio pensare come sarà quando dovrai imparare a cambiare la temperatura delle tue correnti, quindi creare il ghiaccio e generare calore. Oppure per capire la velocità che occorre dare alla tua folata per renderla tagliente.»

«Ho già il mal di testa.»

«Non può essere peggio del mio di questa mattina.»

Nel mentre, Gilia era stato ad allenarsi muscolarmente, facendo addominali, flessioni e scioltezza, il tutto facendo levitare ogni cinque minuti un oggetto diverso sfruttando gli spiriti dell’aria.

«Finalmente sto imparando a controllarli. Stare intorno a te, Alea, che sei affine con il vento, mi ha reso più sensibile nei loro confronti.»

«Solo così uno stregone può diventare più forte?» chiese incredulo Siirist.

«No, uno stregone dotato e con molta esperienza. Serve molta attenzione per avvertire la presenza degli spiriti non evocati.»

«Voglio studiare anche io la stregoneria.» concluse Ryfon.

«Serve molta calma e disciplina mentale. Pensa alla magia prima, e frena il tuo animo fiammante, poi vedremo se sei adatto.»

«Però non ti sei allenato molto con la magia.» fece notare Alea.

«Non importa, lo farò con Althidon insieme a Siirist, mentre tu ti eserciterai con Evendil.»

«Cosa? Cos’è questa storia, dici sul serio?»

«Sì, me l’ha detto Althidon.»

«Ma allora se ci penserà lui stesso ad insegnarci le basi, perché mi sta facendo prendere ora queste lezioni supplementari con Evendil?»

«Perché non inizieremo a studiare la magia prima di qualche settimana ed intanto è fondamentale che tu riesca a trattenere il tuo fuoco.»

«Giusto.»

 

Il mattino dopo il Maestro volle educare i suoi tre allievi nella scherma dei Cavalieri.

«Siete tutti e tre abili nel Makashi e nel Soresu, Gilia soprattutto, ho visto il tuo stile particolare che combina le due forme. Lo Djem-So è molto simile in questo. Ora vi spiego la teoria, poi lo vedremo insieme in pratica.»

«Io la conosco.» rispose Siirist.

«Come è possibile?» chiesero stupiti gli altri due.

«Evendil?» domandò sicuro Althidon.

Ryfon annuì.

«Allora saresti così gentile da spiegare tu ai tuoi compagni in cosa consiste la forma Djem-So?»

«Dunque, il Djem-So difensivo è un insieme di blocchi, parate e schivate di Makashi e Soresu, quindi, come ha detto Althidon, è in questo simile allo stile di Gilia, ma nell’offensiva Gilia utilizza solo tecniche del Makashi, cioè colpi precisi e veloci che vogliono evitare di essere intercettati, mentre il Djem-So usa serie di attacchi a ripetizione con colpi poderosi, atti a battere la difesa nemica, possibile grazie alla superiorità in termini di douriki di un Cavaliere rispetto ad una persona comune.»

«Perfetto. Ma non dimenticate le tecniche del Makashi, in quanto sono fondamentali quando si affronta un nemico forte. Se un Cavaliere andasse contro un umano od un elfo comune, la sua forza fisica sarebbe certamente sufficiente per prevalere, ma pensate ai demoni classe SS o anche semplicemente a Siirist. Quando, se Soho vuole, finalmente diventerà un po’ più esperto e calmo e capace di controllare i suoi poteri, sarà un guerriero ineguagliabile. Gilia, tu sei il Cavaliere di un Incubo, i draghi che più si avvicinano in forza agli Inferno, eppure il legame con Asthar ti dona 600 douriki fisici ad ogni percentuale, permettendoti di arrivare ad un massimo di 60000, mentre Siirist potrà arrivare a 100000. Capisci che in quel caso, se dovessi sfidarti con lui, le tecniche offensive del Djem-So risulterebbero inutili per te, mentre lui potrebbe utilizzarle per schiacciarti inevitabilmente.»

«Hehe.» e Siirist alzò il dito medio verso l’amico.

«Ma ancora hai tanto da fare prima di arrivare a quel livello, ragazzino.» e Althidon lo fulminò.

Ora toccava a Corvinus ridere e insultare l’altro, mentre questi stava a terra a contorcersi mentre le scariche elettriche ancora lo percorrevano.

A poca distanza da loro, si trovavano i quattro draghi e quello viola stava spiegando agli altri tre le basi del combattimento di terra quando non si è cavalcati.

 

Era il venti gennaio quando Siirist si svegliò di colpo sentendosi strano. Aveva uno strano bruciore di stomaco, ma poi, facendo più attenzione, capì che non si trattava di nulla di fisico, piuttosto di qualcosa di magico.

‹Strano, ultimamente sto controllando meglio il fuoco.›

Alzò la mano e sopra al palmo aperto rivolto verso l’alto concentrò il suo Flusso vitale: pochi istanti dopo si generò una piccola fiamma che ardeva vivace.

‹Bene, perfettamente separata dalla pelle di tre millimetri, questa mi è venuta piuttosto bene.›

Un forte crampo allo stomaco gli fece annullare l’incantesimo, portandolo sulle ginocchia mentre si teneva la pancia. Sentiva di stare male, ma non capiva affatto il perché. Finalmente arrivò, il tanto preannunciato conato. Ma non era ciò che il ragazzo si aspettava: anziché succhi gastrici, il ragazzo vomitò fuoco.

‹Eh, fuoco?! Che storia è questa? Non mi è mai uscito fuoco dalla bocca! A meno che...?!›

Concentrandosi attentamente, Siirist capì che il dolore di stomaco non veniva dal suo corpo ma da quello del drago, che nel sonno soffriva atrocemente. Il dolore era così immenso che aveva chiuso la sua mente al Cavaliere per non farglielo provare, ma il loro legame al 38% fece sì che egli ne potesse percepire almeno una piccola parte.

‹Finalmente Rorix respirerà fuoco! Anche se non mi sembra sia un processo piacevole da attraversare.›

In ansia ritornò al suo letto e si avvicinò al suo compagno che, della grandezza di un gatto, stava raggomitolato sopra al piumone, ma era violentemente scosso da brividi.

‹Resisti, amico.›

Un’altra fitta lo fece cadere all’indietro, ed andò ad urtare il letto di Alea.

‹Come diavolo fa a sopportarlo? Io, che ne sto provando una piccola parte, sto soffrendo come un cane!›

«Che succede...?» domandò una sonnolenta Alea.

«Oh, scusa se ti ho svegliato, è solo che... Uh!»

Un altro conato appiccò fuoco alle coperte della fanciulla. Ella si fece sfuggire un leggero gridolino, ma poi si riprese e spense il fuoco con un movimento della mano.

«Che sta succedendo, Siirist, che hai?!»

«Io niente, è Vulcano, credo gli si stia risvegliando il fuoco nello stomaco.» e con una smorfia di dolore si piegò in due, stringendosi la pancia.

Era il dolore più grande che avesse mai provato, gli sembrava di stare per sciogliersi in qualunque momento. Iniziò a sudare, bagnandosi completamente in poco tempo. Alea era terrorizzata, all’ultimo attacco di Siirist si immobilizzò, non sapendo cosa fare.

«Alea, non stare lì impalata! Vai a chiamare aiuto!»

«Sì!» rispose decisa, ripresasi.

Corse verso la porta e la spalancò, contemporaneamente inondando Gilia con una cascata d’acqua gelata.

«Ma che diamine...?!» urlò.

Ma poi si accorse subito della situazione e, dopo un rapido scambio di occhiate con Asthar, si lanciò all’inseguimento dell’elfa.

‹Ehi, come te la passi...?› domandò sofferente Siirist.

‹Scusami tanto.› rispose Rorix.

‹Che scherzi? Siamo una squadra, non esiste che ti faccio passare qualcosa del genere da solo!›

‹Ti ringrazio.› rispose affettuosamente.

‹Hmpf.›

Il Cavaliere strisciò con fatica verso il suo letto e vi appoggiò il busto, stendendo il braccio fino a prendere il drago ed avvicinarlo a sé, accarezzandolo.

‹Forse so cosa fare.›

‹Eh? No, aspetta, non farlo!›

‹È l’unico modo per alleviare anche di più il tuo dolore, no?›

‹Io sono un drago, sono fatto per questo! Ma per un umano non è naturale provare il fuoco di un Inferno nello stomaco! Non fare il cretino, non farlo!›

Rorix chiuse la mente al Cavaliere, non volendo assolutamente che questi si prendesse il dolore che stava provando lui.

‹Già ne provi abbastanza!›

‹No, sento solo quello che traspira da te, non è il vero dolore che stai provando!›

‹Idiota, io soffro molto meno di te! Te l’ho già detto, sono fatto per questo, tu no!›

‹Quando mai ti ho dato ascolto?›

Per quanto il drago lottasse per escluderlo dalla sua mente, Siirist riuscì ad invaderla e trovò l’area che faceva avvertire il dolore al suo compagno.

‹Non farlo!›

Ma, testardo come sempre, Ryfon non gli diede retta e si immerse totalmente nel dolore di Rorix. Istantaneamente Rorix balzò in piedi, pieno di energie, mentre Siirist perse i sensi, un calore intenso che gli bruciava le interiora.

‹Brutto idiota! Svegliati, svegliati! Vuoi morire, cretino?!›

Il drago incominciò a prendere a testate il ragazzo, spingendolo giù dal letto, continuando poi ad infierire.

‹Svegliati, apri gli occhi, deficiente! Sveglia!›

‹Ma quanto urli...?›

‹Oh, ci sei!›

‹Certo. E sto anche meglio di prima.›

‹Come può essere?›

‹Ora che mi sono preso tutta la sensazione di fuoco nello stomaco ne ho compreso meglio la natura e sono riuscito a proteggermi grazie alla magia. Devo dire che è un fuoco incredibile, ardente come niente che abbia mai sentito! Però non mi sembra abbia nulla di particolare.›

‹Questo non lo so, non conosco la sensazione del fuoco interiore, non sono io che prendo fuoco se vedo Alea con un altro.›

‹Ehi!›

‹Oseresti negarlo?›

Un forte rumore di passi attirò l’attenzione di drago e Cavaliere, i quali si girarono verso la porta e videro arrivare Alea e Eiliis con Evendil, Gilia e Asthar con Althidon e Zelphar. Il drago viola si avvicinò con passo elegante all’Inferno. I due si fissarono per qualche istante, dopodiché il primo si voltò e si diresse nuovamente verso il suo Cavaliere, il quale annuì.

«Bene, da domani allora non solo Siirist avrà lezioni supplementari, ma anche Vulcano. Sono felice che ora stiate bene entrambi, le parole di Gilia e Asthar ci hanno preoccupati molto. Complimenti per la tua capacità di contenere il fuoco d’Inferno grazie alla magia, Siirist. Ragazzi, tornate a letto, ci si vede tra poche ore, non accetto ritardi.»

Ed uscì, accompagnato da Zelphar che gli camminava al fianco. Evendil si avvicinò a Siirist per scompigliargli affettuosamente i capelli, per poi salutare ed andarsene pure lui.

I tre ragazzi ed i loro draghi tornarono ai rispettivi letti. Il primo ad addormentarsi fu, come sempre, Gilia, e Alea aspettò quel momento per alzarsi ed andare a sedersi su quello di Siirist.

«Hm?» girò la testa verso di lei.

La fanciulla si piegò e lo abbracciò stretto. Il ragazzo sentiva il suo collo venire bagnato dalle lacrime della altmer.

«Che paura che mi hai fatto prendere! Non farlo più, va bene?»

«D’accordo.» sorrise dolce lui, mettendole una mano dietro la nuca e spingendola più verso di sé.

Ella sorrise e dopo qualche minuto che passarono in quel modo, si staccò, ma non prima di stampare un tenero bacio sulla guancia del ragazzo.

Tornò a letto e si stese rivolta verso di lui, per poi girarsi in direzione del muro alla sua sinistra.

‹Che amore che sei.› prese in giro Rorix.

‹Taci tu.›

E Siirist, le mani intrecciate dietro la nuca, fra il capo ed il cuscino, si addormentò con il sorriso in faccia.

 

 

 

~

 

 

 

Ringraziamenti:

1)  xevel. No, Arcadia è una città su FFXII, gioco del cavolo, ma belle città, infatti ce ne sono alcune nella fanfic. Va beh, credo che andasse bene comunque con la “ù”! Sì, Siirist è abbastanza geloso, ma ancora ci metterà un po’ prima di capire quali siano i suoi veri sentimenti per Alea, non credere che sia tanto facile! E non capisco questa tua battuta sui topi...

2)  Banko/Zack. Come ti sei giustamente aspettato, il mal di testa c’è stato. Beh, Adeo sarà molto importante per il futuro, per forza che sa comportarsi da Cavaliere! Tranquillo, per il quarto anno sarà abbastanza bravo in materia, anche se non proprio un genio, ma certo, il famoso evento farà scaturire da lui così tante fiamme che pure l’aria brucerà! Ti ringrazio anche qui per la segnalazione all’amministrazione a favore della mia storia. Grazie mille.

 

Il prossimo capitolo si intitola ELISAR ILYRANA. Chi ha letto la prima versione sa già che il primo incontro tra Siirist ed il padre di Alea non è proprio dei migliori, anche se lì avveniva in un altro luogo ed in un altro momento. Comunque sia, ora sarà anche peggio. Appuntamento a domenica 11.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** ELISAR ILYRANA ***


ELISAR ILYRANA

 

Il 7 febbraio non fu un giorno come i soliti, in quanto era il compleanno di Gilia, perciò gli allievi di Althidon avevano un giorno di pausa.

«Ma che bello! Questo vuol dire che in tutto l’anno abbiamo quattro vacanze! Capodanno ed i nostri compleanni!» commentò Siirist.

«Meglio che niente. Di certo non è possibile seguire un regime del genere senza avere nemmeno un giorno di pausa. Che fine ha fatto la domenica? Perché non conta il fine-settimana?» concordò Gilia.

«Quanto vi lagnate! Non avete di meglio da fare? Gilia, è il tuo compleanno, pensa ad organizzare qualcosa!» li rimproverò Alea.

«Merda, il regalo! Non ho niente! E ho quasi finito tutti i miei soldi!» si ricordò il biondo.

«Ma figurati! Andiamoci a bere una birra giù al villaggio e basta!»

«Sicuro di voler vedere Fralvia il giorno del tuo compleanno?» domandò Ryfon tremante.

«Suvvia, non è poi così brutta!»

«Eh?! Ma sei cieco?» chiese Siirist con tutta la naturalezza del mondo, come se fosse un qualcosa di scontato.

Alea pareva soddisfatta con quel discorso.

«Ho trovato! Ti trovo da fare per stasera! Ricerco alcune delle mie vecchie amiche e te le presento! Così ne scegli una!»

Alea non era più tanto contenta.

«Ma no, ti pare! Non è certo sesso occasionale quello che cerco io! Forse la tua spiccata delicatezza te lo ha fatto dimenticare, ma io sono ancora innamorato di una persona.»

«Ancora? Sono passati circa sei mesi, non credi sia il caso di andare avanti? Quelle cose che hai penzolanti fra le gambe sono fatte per essere svuotate. Non vorrei ritrovarmi con un vicino di letto a cui viene una polluzione notturna. Sai, mi farebbe un po’ schifo.»

Alea era felice di sentire che non si parlava più delle compagnie di Siirist, ma l’argomento incominciava a darle un po’ fastidio.

«Io non ho polluzioni notturne!» si imbarazzò Corvinus.

«Ah, ma quindi...?– e mimò l’azione con la mano. –Che schifo, nel nostro bagno!»

Ora Alea era sul punto di sentirsi male.

«No, cretino!» e diede un pugno in faccia al biondo, atterrandolo con un sonoro tonfo.

«Allora qualcosa non torna. Alla nostra età dovremmo svuotarci almeno quattro volte a settimana. Sicuro che non vuoi che ti trovi una ragazza?»

«Sì, grazie, non voglio una ragazza.»

«Sporcaccione! Ho capito, ne vuoi due! O tre?! Ti sconsiglio di provarne di più perché io una volta sono andato con quattro ma ne sono uscito esausto, e ho più esperienza di te. Tu arriveresti a prosciugare anche l’energia di Asthar!»

Gilia e Alea erano senza parole. Purtroppo per loro, ciò permise a Siirist di continuare.

«Però certo, trovare una o più ragazze disposte a venire con te. Insomma... Dopo il modo in cui le ho abbandonate, poi! Forse dovrei farmi perdonare prima...» e si grattò il mento con fare pensoso.

«No, basta, non ti posso più sentire, io me ne vado!» esclamò alterata l’elfa.

‹Sei soddisfatto adesso?› chiese Rorix scuotendo la testa.

‹Un po’, sì.› ridacchiò il Cavaliere.

 

La sera la passarono cenando al villaggio assieme ad Evendil e Althidon e fu quest’ultimo ad offrire. Fralvia in persona si occupò di servire al tavolo, per la somma sofferenza di Siirist, che quasi non toccò cibo, e l’altrettanto grande divertimento di Alea, che trovava tutte le scuse per far alzare lo sguardo a Ryfon quando aveva davanti la proprietaria della taverna. I festeggiamenti però non furono protratti a lungo, in quanto il Maestro era stato più che chiaro nel ricordare che non avrebbe ammesso ritardi l’indomani.

Tornati in camera, dunque, i tre Cavalieri in addestramento si misero subito a letto dopo che ognuno si era fatto una doccia. Prima di addormentarsi, Siirist guardò verso destra e vide il festeggiato stringere al petto la lettera di Deria che aveva ricevuto la mattina e versare qualche silenziosa lacrima. Il biondo scosse la testa con tristezza, non volendo nemmeno sapere cosa si provasse ad essere inesorabilmente strappati al proprio amore. Allora si girò verso la sua sinistra e vide Alea stesa perfettamente composta con gli occhi rivolti al soffitto. Il giovane sorrise e scosse nuovamente la testa, questa volta dandosi dell’imbecille.

 

Il primo marzo fu un giorno molto impegnativo e stancante. Siirist e Gilia, supervisionati da Althidon, erano stati tutto il giorno, mattino e pomeriggio, ad allenarsi con la magia elementale, in particolare con l’elemento terra, con tanto di Adamar come ospite speciale a dare consigli e suggerire piccoli segreti, mentre Alea, assieme ad Evendil, aveva iniziato a specializzarsi con l’elemento acqua.

I draghi anche avevano avuto un allenamento duro, in quanto per la prima volta avevano volato fino a dieci chilometri di distanza dall’isola, mentre fino a quel momento avevano solo volteggiato attorno alla Rocca. Da quando il fuoco di Rorix era risultato essere comune e non nero, si era impegnato negli allenamenti con tutta l’energia che aveva in corpo, continuando a lavorare anche dopo la fine della giornata. Zelphar aveva pure iniziato ad allenare i suoi allievi nella magia e l’Inferno, a differenza del suo Cavaliere, si era subito dimostrato essere un portento. Siirist era veramente colpito dalla determinazione del compagno e totalmente deciso a non essere da meno.

 

La mattina dell’11 aprile Alea ricevette una lettera che la fece ammutolire ed essere irrequieta per tutto l’arco della giornata. Durante ogni pausa che avevano avuto dall’addestramento, Siirist e Gilia avevano cercato di farle sputare il rospo, ma la fanciulla semplicemente evitava l’argomento e li azzittiva in maniera secca e fredda, e per tutto il corso della giornata di addestramento non erano riusciti a scoprire niente.

«Che diavolo credi le sia successo? Sembra essere tornata a com’era i primi giorni che l’abbiamo conosciuta!» osservò il moro.

«Non ne ho la più pallida idea. Aspetta, ho trovato, leggiamo la lettera che ha ricevuto stamattina.»

«Eh, la fai facile tu. Non pensi che ci abbia già pensato io che è quella la causa del cattivo umore di Alea? Il problema è che la tiene sicuramente nascosta.»

«Oh, mio caro amico, dimentichi una cosa fondamentale.»

«Sarebbe?»

«Io sono un ladro.» e sorrise a trentadue denti.

«Pensi che saresti in grado di trovarla?»

«Se la tiene in camera sì, mi bastano cinque minuti in cui sono sicuro di non venire disturbato, per cui vedi di tenerla occupata.»

«Dove altro potrebbe tenerla?»

«Con sé. In quel caso sarebbe più difficile, ma ho qualche idea su come riuscirei a prenderla. Intanto tienila occupata, io vado a cercare.»

Entrambi rientrarono nella loro stanza dopo aver preparato il piano e si misero a chiacchierare vagamente dei loro progressi negli allenamenti, Gilia che si complimentava molto con l’altro per i suoi ottimi risultati nel Djem-So. Alea stava semplicemente sul suo letto a leggere una raccolta di poesie dei più grandi autori elfici, ignorando completamente gli altri due. Ad un certo punto Siirist accusò di provare grandi dolori alla pancia e corse in bagno.

«Io glielo dico sempre che tutti quei cornetti che si mangia a colazione prima o poi lo faranno star male. Ehi, che ne dici di farci una passeggiata?» propose Corvinus.

«Non mi va.» rispose apatica la ragazza.

«Suvvia, è tutt’oggi che sei giù! Domani è il tuo compleanno, che hai da stare così triste? Pensa che stasera possiamo fare baldoria fino a tardi perché domani è vacanza!»

«Non mi interessa fare baldoria.»

«Ma come, su?! E poi Siirist è andato in bagno. Sai che non è molto salutare stare in camera quando lui va al bagno, specie se ci va con tutta quell’urgenza!»

La fanciulla si girò e sbuffò.

«Non vuoi proprio lasciarmi leggere in pace, vero?»

«No!» e rise.

Ilyrana sospirò e chiuse il suo libro, appoggiandolo alla sua cassettiera di sinistra mentre si alzava.

«Dove pensi di andare?»

«Vorrei che mi aiutassi a capire meglio gli spiriti dell’aria. Li so controllare abbastanza bene, ma non ancora perfettamente.»

«Pensavo volessi fare una passeggiata.»

«Sì, anche. Prima passeggiata per arrivare al cortile di allenamento, poi pratica con gli spiriti, poi di nuovo passeggiata per tornare qui!»

«Come ti pare.» rispose senza emozioni.

Come sentì che la porta della camera fu chiusa, Siirist uscì dal bagno.

‹Gilia, bastardo, sarai tu, piuttosto, quello che caga come una vacca!›

Si lanciò immediatamente verso il lato della stanza dell’elfa ed iniziò a cercare in ogni punto possibile, aprendo ogni cassetto, soffermandosi ad osservare la biancheria, immaginandosi la ragazza solo con quella addosso, controllando sotto il letto, all’interno di ogni pezzo d’armatura. Niente. Allora lo sguardo del giovane cadde sul grimorio sopra alla cassettiera adiacente al muro.

‹Se è in camera è di sicuro è lì, ma non posso aprirlo. Dannazione, voglio sapere cos’ha!› si indispettì.

Si avvicinò al tomo e lo sollevò, rigirandoselo poi fra le mani. Tentò inutilmente di forzare le placche metalliche, ma, per quanto strattonasse con forza, non vi riusciva. Quasi offeso per aver fallito, rimise a posto il volume ed uscì dalla stanza, andando a cercare i due amici.

‹Non è che puoi chiedere ad Eiliis cosa ci sia scritto?› domandò Siirist a Rorix.

L’Inferno, che si trovava assieme a Gilia ed Alea ed ai rispettivi draghi, rispose che lo aveva già fatto, ma che la dragonessa aveva detto di non poterne parlare.

‹Mannaggia.›

E, raggiunti gli altri, si sedette a terra, appoggiando la schiena al drago rubino.

«Come va il controllo degli spiriti dell’aria?» domandò noncurante il biondo.

«Abbastanza bene. Guarda che so fare! Spiriti dell’aria, sostenetemi e levatemi verso il cielo!»

Siirist sgranò gli occhi nel vedere l’amico lentamente perdere il contatto con il terreno, arrivando una decina di secondi dopo a levitare un metro da terra.

«Sì, la stregoneria è potente e tutto, ma Althidon non ne sarà tanto contento, vuole che studiate la magia. Gilia, se solo ti ci applicassi di più, saresti già potentissimo, soprattutto con la magia del fulmine, in quanto conosci già molte caratteristiche dell’elemento grazie alla tua affinità con gli spiriti. E Siirist, beh... Vedi di studiare di più. Hai un legame che lascerebbe a bocca aperta chiunque, eppure sai solo lanciare incantesimi elementali di base, e nemmeno molto potenti.»

«Ehi, i miei incantesimi di fuoco spaccano!»

«Siirist, tu sfrutti le tue emozioni per alimentare la tua magia involontaria. Sei bravo nel riuscire a controllarla, ma questa non può essere considerata vera magia. Crea una sfera di fuoco.»

Siirist accolse la sfida e sollevò la mano, generando una palla fiammante nel palmo.

«È tutto quello che sai fare?»

Alea schioccò le dita e l’incantesimo di Ryfon si congelò.

«Debole, mi sono bastati 400 douriki.»

«Oh, avanti! Studi la magia da vent’anni, è chiaro che sei più brava di me!»

«Veramente anche io ti avrei potuto annullare quell’incantesimo. Non congelandolo, non sono ancora così bravo con il vento, ma levando una folata che avrebbe spento la tua fiamma, oppure lanciandole contro una sfera d’acqua, o anche utilizzando il fuoco e semplicemente spegnerla.»

Siirist stava per esplodere e dare fuoco ai due amici quando si accorse che aveva davanti a sé l’occasione perfetta per controllare se l’elfa aveva addosso la lettera.

‹Ora dimmi se non dovevo andare a fare l’attore.›

‹Se riesci a fregarla sarò un drago servizievole per il prossimo mese.›

Quasi con le lacrime agli occhi, il biondo si lanciò contro la fanciulla abbracciandola forte e supplicandola di aiutarlo con la magia. Ella avvampò talmente tanto che la sua faccia era diventata del colore delle squame di Rorix e non si accorse minimamente della mano lesta del ladro che la tastava su tutto il corpo.

‹Trovata!›

Siirist sentì la consistenza di un foglio di carta arrotolato sotto la veste di seta della altmer, retta dalla cintura che indossava sopra la sottoveste, dietro la schiena.

‹Bravo, sei riuscito a non farti scoprire, però ora come fai a prenderla?› domandò l’Inferno, pentendosi di aver dubitato delle capacità da ladro del Cavaliere.

‹Stai a vedere.›

«Beh, ecco, insomma...» Alea, ancora imbarazzatissima, non sapeva che rispondere.

«Nah, scherzavo!» ridacchiò il giovane.

«Eh?»

La rabbia che i due compagni di addestramento gli avevano fatto crescere prendendolo in giro ancora ribolliva nel suo animo e Siirist la sfruttò per concentrare delle fiamme attorno alla mano destra che teneva delicatamente ed impercettibilmente sopra al punto in cui era custodita la lettera. La veste prese fuoco, rivelandola.

«Maledetto! Ti sei preso gioco dei miei sentimenti!» si infuriò l’elfa, lanciando sferzate di vento tagliente al ragazzo.

«Di che parli?» domandò non capendo Gilia.

Alea arrossì violentemente, se possibile anche più di come era precedentemente, e di conseguenza le lame di vento di fecero più forti e numerose.

«Invece di fare stupide ed inutili domande, fammi vedere cosa sai fare davvero con gli spiriti dell’aria! Al momento mi trovo un po’ impegnato e non riesco a concentrarmi molto bene per lanciare alcun tipo di incantesimo!» rispose Siirist, impegnato a schivare tutte le magie della fanciulla.

Inizialmente Corvinus non capì, ma poi il biondo si mosse in modo che Ilyrana fu costretta a girarsi, mostrandogli la schiena. Non ci pensò due volte.

«Spiriti dell’aria, portatemi quella lettera.»

Alea, nel sentire l’evocazione dello stregone, si bloccò per un istante, comprendendo tutto ciò che era successo fino a quel momento. Stava per afferrare il foglio arrotolato, ma gli spiriti erano stati più veloci ed esso era già diretto alla mano aperta del Cavaliere d’Incubo.

«Dannazione!»

‹E bravo Siirist.› si complimentò l’Inferno.

‹Hehe, sono un genio, non c’è che dire!›

«Allora, cosa dice?» domandò Siirist trepidante.

Gilia però non fece in tempo a srotolare la lettera che fu colpito in pancia da una sfera d’aria e la lettera volò nella mano della ragazza.

«Fatevi gli affari vostri.»

«No, vogliamo sapere che c’è scritto!» insistette Ryfon.

Corvinus tossì ed alzò il braccio destro, il pollice alzato a dire che era d’accordo.

«È tutt’oggi che sei strana. Siamo preoccupati per te.» disse sinceramente il biondo.

 

Allora l’elfa non sapeva quasi che dire. Effettivamente era da egoisti tenere così sulle spine i suoi amici. Lei, al posto loro, avrebbe certamente voluto sapere cosa stesse succedendo, soprattutto se si trattava di Siirist... Però no, era esattamente quello il problema! In quei mesi aveva perso il suo modo di fare nobiliare, aveva dimenticato le maniere degli elfi. Curiosità? Cos’era quel ridicolo sentimento? Lui di certo non ne sarebbe stato contento. Affatto. Per quello per tutta la giornata, da quando aveva ricevuto la lettera, aveva cercato di comportarsi come faceva prima di aver tentato la Prova. Persino Eiliis era stata a tormentarla continuamente nelle ultime ore, cercando di convincerla a comportarsi come suo solito. Un Cavaliere che non ha nemmeno l’appoggio del proprio drago, aveva raggiunto un nuovo livello di ridicolaggine. Come era possibile che avessero già un legame del 30% ed andassero così in disaccordo? Di sicuro lui avrebbe avuto qualcosa da ridire. Come sempre.

Diglielo.› disse la ruggente voce della dragonessa nella sua mente.

Come, scusa?

Meritano di sapere cosa hai che non va, sono entrambi sinceramente preoccupati. E anche se non lo dimostra, Siirist lo è in modo particolare. Me lo ha detto Vulcano.

Alea sbuffò: farsi fare la ramanzina dal proprio drago, davvero vergognoso. Ecco un’altra cosa che lui avrebbe certamente detto. Ma Eiliis aveva ragione. Dopotutto era il suo drago, avevano un legame mentale molto potente per la loro età, anche maggiore di quello di Siirist e Rorix, nonostante il ragazzo avesse due Cerchi d’argento, per cui il loro legame si rafforzava al doppio della velocità rispetto al normale. Ma infondo Alea ed Eiliis avevano instaurato il loro legame mentale ancora prima che la dragonessa bianca nascesse. Alea aveva talento, questo era indiscutibile. Eppure per lui non sarebbe certo bastato, per lui sarebbe certo stato un imbarazzo. E quando avesse conosciuto i suoi due compagni, Siirist in particolare? Non poteva sentirsi dire che era una vergogna per gli Ilyrana, la grande famiglia di Imladris, avere un umano come Cavaliere d’Inferno anziché uno di loro, per giunta uno con un legame con il Flusso vitale più alto di qualunque elfo. Oltretutto si trattava di uno degli umani discendenti dei Ryfon, la più grande disgrazia e vergogna mai capitata ad Imladris! Per lui sarebbe stata di certo colpa della ragazza poiché non era abbastanza dotata. Sicuro, avrebbe certamente trovato il modo di umiliarla di fronte ai suoi due amici e ad Althidon! Amici, e cos’erano questi sentimenti? Un elfo, un Ilyrana non fa amicizia con dei patetici umani! Di sicuro le avrebbe detto così. E se avesse scoperto la vera natura dei sentimenti che provava per Siirist, ben più che semplice amicizia? Sarebbe stata la fine! Ma lui che ne sapeva? Lui cosa sapeva di Siirist e Gilia? Cosa sapeva di quanto fossero fantastici, leali, coraggiosi. Cosa sapeva di quanto fosse affascinante, divertente, dolce e affettuoso Siirist? Alea si ritrovò ad arrossire leggermente.

Anziché mettere su nuovamente un canto d’amore su quanto sia bello e tutto il resto Siirist, perché non ti decidi a togliere loro questo peso e dire cosa c’è scritto su quella lettera? E chiedi scusa a Gilia, gli hai fatto male.

Alea sbuffò nuovamente, guardando verso il moro e vedendo che si era messo a sedere a terra, la schiena appoggiata ad Asthar che si era sdraiato dietro di lui. Allora volse lo sguardo verso Siirist e lo vide con le gambe piegate, il sedere quasi a terra e le braccia appoggiate alle ginocchia: la sua posizione preferita per pensare.

 

«Domani è il mio compleanno.» disse infine l’elfa.

Era ora! Erano passati circa dieci minuti da quando aveva schiantato violentemente Gilia a terra, e per tutto quel tempo era stata immobile, forse a pensare, forse a discutere con Eiliis, forse entrambe le cose. Così lui e Gilia, in tacita intesa, si erano silenziosamente messi ad aspettare che la altmer fosse pronta a parlare. E finalmente arrivò il momento tanto atteso.

«Lo sappiamo.» disse Gilia.

«Io non lo sapevo. Però ora effettivamente capisco perché ti sei depressa, avanzare d’età per una donna è più difficile che per un uomo. Ogni anno ti avvicina alla vecchiaia, e tra una quarantina d’anni la tua bellezza di ora sarà bella che andata. No, aspetta, sei un’elfa, rimarrai di aspetto giovane per altri duemila anni almeno! Allora che cazzo hai?!» sbottò Siirist dopo un’iniziale calma ironia.

«E per l’occasione mi viene a trovare mio padre.» spiegò allora la fanciulla.

Gilia parve comprendere, incrociò le braccia ed abbassò la testa pensoso. Non era il caso di Siirist.

«E allora?»

‹Ma sei proprio scemo? Bisogna spiegarti tutto?›

‹Perché, che ho detto?›

Rorix sospirò disperato.

«Mio padre è, come dire... molto orgoglioso. Insomma, se ero in un modo quando ci siamo conosciuti, se, senza nemmeno conoscerti, ti ho ritenuto indegno del tuo ruolo come Cavaliere d’Inferno, se ti ho continuamente insultato fino a che ho scoperto il tuo legame con il Flusso vitale, è tutto grazie all’educazione che ho ricevuto a casa. L’educazione che mi ha impartito mio padre.»

Ryfon incominciava a capire.

«Mio padre è, per usare parole tue, snob, arrogante e “cazzone” come ero io ma almeno cento volte peggio.»

Ora il biondo iniziava a preoccuparsi.

«Inoltre il suo orgoglio come altmer è spropositato. Quando abbiamo scoperto la mia potenza di legame con il Flusso, tutti si sono complimentati con me, ma non lui. L’unica cosa che ha saputo dire, ad una bambina di tre anni, faccio presente, è stata: “Tutto qui? È comunque più bassa del nipote del re dei bosmer!” riferendosi ovviamente ad Evendil. Detesta gli elfi dei boschi, non li riconosce come sovrani, è ancora attaccato alle storie di suo nonno, che gli raccontava di quando erano gli alti elfi i signori di tutto il nostro popolo. Ma ciò che detesta più in assoluto sono i Ryfon.»

«Eh...?» Siirist arricciò il naso ed alzò il sopracciglio: già sentiva che avrebbe voluto dar fuoco al padre di Alea.

«Li considera gli zimbelli di Imladris per essersi contaminati col sangue degli umani ed aver mandato in rovina la loro casa. Considera i Ryfon la principale causa della caduta della famiglia reale degli altmer e la presa di potere dei Kelvhan di Ellesmera. In più sono sicura che ti troverà indegno di essere il Cavaliere d’Inferno, come credevo io perché sei umano, a maggior ragione perché sei discendente dei Ryfon.»

«Già so che andremo tanto d’accordo.» sorrise forzatamente, scintille che scaturivano dai polpastrelli, dalla bocca e dagli occhi.

«Dunque suppongo che vederti così intima con due umani, uno dei quali un Ryfon, non gli farà molto piacere. Per questo oggi ti sei comportata così freddamente, per cercare di far sembrare a lui che in realtà i rapporti tra noi siano così.» dedusse Gilia.

«Esatto.» annuì.

«Potevi anche dircelo. Se non avessimo avuto questa conversazione, avremmo continuato ad insistere e lo avremmo fatto anche domani. Invece in questo modo possiamo tenerti il gioco domani. Però mi dispiace che non possiamo festeggiare il tuo compleanno insieme.»

«Davvero mi aiuterete? Mi sembrava una richiesta talmente ridicola che non l’ho voluta fare.»

«Ma certo! Vero, Siirist?»

«Eh, cosa? Oh sì... certo...!» rispose vago.

‹Non ci pensi nemmeno, vero?›

‹Chiaro.›

‹Lo vuoi fare arrosto.›

‹Hai fatto bene a non porla come domanda.›

‹Ormai ti conosco.›

‹Non sei d’accordo.›

‹Mai stato di più. Che diavolo, mi prendono tutti per scemo questi Ilyrana? Ma potrò scegliere per i cazzi miei il mio Cavaliere! E poi guarda, stiamo marciando alla grande! Abbiamo un legame del 28% dopo soli otto mesi!›

‹Ma è grazie ai miei due Cerchi argentati. È Alea quella fenomenale, che è al 30%›

‹Continui a dimenticare che io sono un Inferno. Stringere un legame mentale con noi è estremamente difficile, così come lo è con gli Incubo. Eppure anche Gilia se la sta cavando bene, è già al 12%. Voi tre siete dei Cavalieri veramente dotati. E tieni presente che Alea ha instaurato il legame con Eiliis quando questa era ancora nell’uovo, è una cosa rara.›

‹Va beh, torniamo al discorso principale, sei convinto della tua scelta?›

‹Sei tu il mio prescelto e nessun altro può sostituirti. Appena ho sentito il tuo tocco ho capito che eri tu. È nel tuo sangue, il tuo destino è stato scritto il momento in cui sei nato, quando il Flusso vitale si è concentrato in te con una così grande quantità, sei nato per diventare il mio Cavaliere. E nessun altmer cazzone può cambiare questo fatto!›

‹Hehe, mi piace sentirtelo dire.›

‹Fra nemmeno cinquant’anni lo potrai rigirare sulle dita il padre di Alea, non importa quanto sia vecchio e potente.›

‹Perché aspettare tanto? Io lo voglio carbonizzare domani appena lo vedo!›

‹Sono d’accordo e ti appoggio, ma non sei ancora abbastanza potente come mago.›

‹E allora? Sai che ho imparato a controllare perfettamente la magia involontaria. Mi basterà richiamare la rabbia provata poco fa quando parlava Alea e vedi che Pugno di fuoco gli sparo contro! Inoltre credo proprio che mi basterà parlarci per un po’ che mi farà imbestialire anche di più.›

‹Va bene. E se vuoi una mano, chiedi pure. A differenza tua non faccio tanto schifo con la magia e la mia preparazione nell’elemento vento non è poi così male. Potremmo provare una combinazione, così capirà che siamo un’ottima squadra.›

‹La trovo un’ottima idea.›

«Siirist!» chiamò forte Gilia.

«Che c’è?!»

«Sono cinque minuti che ti chiamiamo! Sei diventato momentaneamente sordo?»

Alea lo fissava con sguardo interlocutore: sapeva che stava tramando qualcosa.

«Ah no, scusate, sono stato impegnato in una conversazione con Vulcano.»

«Hai detto che aiuterai Gilia a reggermi il gioco domani. Tu e il tuo drago non starete pensando di fare qualcosa di stupido domani con mio padre, vero...?» domandò spietata l’elfa.

«No! E perché mai ti vengono certe idee?!» rispose con tutta la naturalezza del mondo.

Scosse la testa e allargò le braccia con innocenza, imitato perfettamente dall’Inferno che distese le ali e le mosse come faceva il Cavaliere con le braccia.

«Dire a tuo padre che forse è il caso che non venga è fuori discussione, vero?» domandò disperato Gilia, aspettandosi il peggio l’indomani.

«Sì...» rispose sconsolata l’elfa.

 

Alle undici di sera, i tre Cavalieri in addestramento erano in camera. Siirist ed Alea già a letto, Gilia al bagno.

‹Appunto, è lui che caga come una vacca, non io.›

Con la coda dell’occhio Ryfon vide Eiliis spostarsi per permettere alla fanciulla di scendere dal letto, ed ella si avvicinò al suo. Si sedette e fissò il ragazzo dritto negli occhi.

«Ti prego, ti scongiuro, comportati come si deve domani con mio padre. Anzi, fatti vedere il meno possibile.»

«Questo significa che non possiamo stare insieme.»

Siirist notò il lampo di tristezza negli occhi dell’elfa.

«No. Ma è meglio così, fidati. E poi è solo per un giorno.»

L’espressione della altmer era così seria che il biondo non poté dirle di no.

«Ti ringrazio.»

Sorrise gentile e gli diede un tenero bacio sulla guancia, per poi ritornare a letto.

‹Tenerone. Che fina ha fatto la voglia di bruciare vivo il signor snob?›

‹Come si fa a dire di no ad un viso angelico come quello? E poi è per il meglio. Non credo che farei una bella figura all’interno dell’Ordine se dessi fuoco ad uno degli uomini più importanti di Rivendell. E poi credo che mi metterei in cattiva luce anche con Alea. Dopotutto è suo padre.›

‹Non dire idiozie, non te ne frega niente dell’opinione dell’Ordine, lo fai esclusivamente per Alea. Come ho detto, sei un tenerone.›

‹Come ho detto, come si fa a dire di no ad un viso dolce come il suo?›

Siirist notò Rorix che voltava la testa verso il letto di Alea e lo vide scambiare un cenno con Eiliis.

‹Ehi, cos’era quello?›

‹Che? Niente!›

‹Poche cazzate, vi ho visti!›

‹Niente ti dico!›

‹Cosa avete in mente voi due?›

‹Chi lo sa.›

‹Non ti sopporto quando fai così. Ehi, aspetta un attimo, stai anche chiudendo i tuoi pensieri! Sei un bastardo, non vuoi proprio farmi sapere cosa state complottando!›

‹Hehe.›

‹Dannato.›

 

Il mattino dopo Siirist si svegliò come sempre presto. Nonostante non avesse in programma per quel giorno nessun allenamento, in quanto era il compleanno di Alea, uscì per allenarsi per conto suo assieme a Rorix. Arrivati al cortile dietro all’edificio, il Cavaliere iniziò ad allenarsi nei movimenti del Djem-So, il drago nelle tecniche di combattimento draconiche. In particolare Ryfon cercò di lanciare alcuni incantesimi durante i suoi vari movimenti, e non solo di fuoco. Il fatto che il giorno prima non fosse in grado di concentrarsi abbastanza per attrarre a sé la lettera di Alea mentre era impegnato ad evitare le sue lame di vento lo aveva fatto riflettere.

‹Che ne dici di cercare di combinare i nostri incantesimi?›

‹No, non mi sembra il caso, prima devo imparare a lanciarli decentemente per conto mio. Devo smettere di controllare la magia involontaria, più continuo a farlo, più difficoltà avrò nell’imparare ad utilizzare la magia volontaria.›

‹Ma ci serve combinare i nostri incantesimi se vogliamo dar fuoco a papà Ilyrana!› insistette Rorix.

‹Ieri sera ho promesso ad Alea che non avrei fatto niente del genere, te lo ricordi?›

‹Oh, e intendi davvero mantenere la promessa? Non è da te, non me l’aspettavo!›

‹Fottiti.›

 

Gli allenamenti si conclusero dopo un’ora, con Siirist esausto che crollò, fermato a mezz’aria da un’ala del premuroso Rorix che lo accompagnò delicatamente a terra.

‹Grazie.›

‹Non voglio certo che il mio Cavaliere si faccia male così stupidamente.›

‹Ehi, guarda un po’ là.›

Rorix si girò nella direzione in cui puntava il ragazzo e vide arrivare un corteo di elfi biondi attraverso i grandi cancelli, guidati da uno elegantemente vestito, con tanto di coroncina d’oro attorno al capo.

‹Quella corona è indossata solo dai nobili più importanti di tutti gli elfi. Quello deve essere il tuo futuro suocero.› commentò il drago.

‹Eh, che hai detto?!› si imbestialì il Cavaliere, lanciandosi al collo del compagno.

‹Niente, sei tu che senti male. Dovresti lavarti le orecchie.›

‹Ma che orecchie, stiamo comunicando mentalmente!› si arrabbiò anche di più Siirist.

‹Tanto so che non sei arrabbiato davvero, non vedo fiamme!› lo prese in giro l’Inferno.

‹Maledetto!› ringhiò Ryfon.

Ma il drago si avvolse in fiamme rubine e si rimpiccolì, sfuggendo così alla presa del Cavaliere, per poi volargli sulla spalla.

‹Ora comunque non mi sembra il momento più adatto per litigare. Stiamo tranquilli e non facciamoci notare. L’hai promesso ad Alea, giusto?›

‹Sì.› rispose ancora alterato il giovane.

Come si furono alzati, decisi ad allontanarsi, i due videro venire in contro al corteo Aulauthar con Skryrill, Althidon con Zelphar, Alea con Eiliis e Gilia con Asthar.

‹Voglio sapere cosa dicono. Puoi sfruttare la comunicazione telepatica con Eiliis o Asthar per farmi sentire la conversazione?›

‹Certo. Ora lo dico ad Asthar e gli faccio aprire la mente a te. Non vi siete mai parlati direttamente, vero?›

‹No.›

‹Siirist?› disse qualche secondo dopo una voce ruggente e roca, ma meno profonda di quella di Rorix.

‹Sì. Sei Asthar? Grazie per farmi questo favore. Piuttosto mi sembra strano che non abbiamo mai parlato prima d’ora.›

‹Non preoccuparti.›

‹Gilia sa di questa nostra conversazione?›

‹Mi sembra logico.› rispose il moro.

‹Che eccitante, una cosa a quattro!› commentò Rorix.

‹Preferisco quando lo faccio con tre ragazze.› rispose schifato Siirist.

‹Non mi hai detto che è stancante?›

‹Sì, ma meglio che con un altro uomo e due draghi! Insomma, è una cosa malata!›

‹Haha, hai ragione! Va beh, ora iniziano a parlare, facciamo attenzione.› disse Gilia.

Gli altri tre annuirono.

«Benvenuto, nobile Ilyrana. È impressionante che abbiate fatto tutta questa strada solo per il compleanno di vostra figlia. Alea, dovresti esserne felice.» disse Aulauthar.

Ella annuì, seppur poco convinta.

«Grazie mille, Aulauthar. Althidon, siete voi il Maestro di Alea, vero?» rispose Ilyrana con tono calmo e pacato, ma autorevole.

«Sì. Sono molto felice di averla come allieva, è l’unica dei tre che non sia difficile da maneggiare. È seria durante gli allenamenti ed è una maga già molto preparata, oltre che incredibilmente dotata.»

«Eppure è legata ad un drago insignificante. Mi aspettavo come minimo che diventasse il Cavaliere dell’Incubo.»

‹Che persona poco piacevole.› commentò Gilia.

‹Come osa insultare Eiliis?! Come minimo dovrebbe staccargli la testa!› disse Asthar irato.

Eppure la dragonessa rimase calma.

«Tu, Cavaliere d’Incubo. Sei Gilia Corvinus, figlio del conte di Cheydinhal, dico bene?»

«Eh? Oh sì, proprio come avete detto.»

«E dov’è il vostro terzo allievo, Althidon? Il Cavaliere d’Inferno, il discendente dei Ryfon?»

‹Sono qui, schifoso bastardo.› pensò con rabbia Siirist.

‹No, sta’ calmo. È proprio per questo che Alea ti ha chiesto di non farti vedere da suo padre, sapeva che ti avrebbe fatto arrabbiare.› gli ricordò Gilia.

Ma nessuno aveva pensato di avvisare Althidon.

«È da quella parte. È da un po’ che ci osserva.»

‹Ma vaffanculo!› sbraitò mentalmente Ryfon.

Tutti si voltarono nella sua direzione ed egli fu costretto ad alzarsi in piedi ed avvicinarsi. Rorix saltò giù dalla spalla e assunse le sue vere dimensioni, sei metri di lunghezza, coda esclusa, altezza al garrese di due metri, apertura alare di tre metri.

‹Cerca di restare calmo, per lo meno.› intimò al suo Cavaliere.

‹Ci proverò. Ma non mi sforzerò più di tanto, già lo dico.›

«Ma bene. Vedo che le cattive maniere dei Ryfon sono giunte sino ai loro discendenti.»

«Come?» domandò poco convinto Siirist: già si sentiva ribollire dentro.

«Sei stato ad osservarci da lontano senza venire a presentarti a me, non è certo un modo appropriato di comportarsi. Ed è risaputo che i Ryfon non fossero molto eleganti. Non per niente sono caduti per essersi mischiati a dei semplici umani.»

Siirist, furente, ma comunque in grado di contenersi, si girò verso Alea e la vide mordersi nervosamente il labbro inferiore, stringere ed agitare nevroticamente le mani, muovere i piedi con ansia.

«Sicuro che non volevate dire “patetici”?» rispose a tono il ragazzo.

‹Ecco, gli ha risposto. È fatta.› commentò Gilia dandosi una manata in faccia.

«Sì, effettivamente è quello che intendevo.»

«Eppure non mi sembra che io e Gilia siamo poi così patetici. Siamo rispettivamente il Cavaliere d’Inferno ed il Cavaliere d’Incubo, con il legame con il Flusso vitale di 100000 e 12000 douriki. Chiamaci scarsi, se ti pare il caso.»

Ora Siirist aveva persino utilizzato un tono poco rispettoso. Alea sembrava sull’orlo di un collasso.

«Quanto... avete di... legame...?» Ilyrana era sconvolto.

«Hai sentito bene.»

L’elfo rise lievemente, per poi voltarsi verso la figlia.

«Alea, camminiamo un po’ insieme. Signori, se volete scusarci.»

La fanciulla parve non essere a suo agio pensando alla prospettiva di dover stare sola con il padre.

Tutti, Eiliis compresa, rimasero a guardare padre e figlia allontanarsi con passo altezzoso.

«Mi pareva anche troppo agitata prima. Evidentemente ha completamente dimenticato come nascondere le sue emozioni alla maniera degli elfi.»

«Già.» disse cupo Siirist, che aveva voglia solo di dare fuoco ad Ilyrana.

‹Che fai ora?› domandò Rorix.

‹Mi sento bruciare dentro, ho bisogno di scaricare un po’ di fuoco.›

‹Un altro Pugno di fuoco?›

‹No, è diverso, qui ci vuole qualcos’altro. È da più di un mese che non faccio sesso, ora che ci penso. Questo mi sembra il momento adatto per scaricarmi.›

‹Capito. Allora io ti aspetto qui, sto un po’ con Eiliis.›

‹Sì, e fatti dire cosa ha pensato Alea durante la discussione di prima e cosa sta facendo ora con quel genitore bastardo.›

‹Non c’era bisogno di dirmelo.›

‹Ma quanto sei bravo e professionale.›

‹Sono il tuo drago, non sono te.›

Siirist salutò tutti e scattò verso i cancelli, raggiungendoli in pochi secondi. Li oltrepassò ed arrivò al limite della strada, oltre cui si arrivava al livello inferiore della salita verso la Rocca. Saltò con tutta la sua forza, arrivando ad un’altezza di cento metri e spingendosi in avanti di una cinquantina. Ritornò a terra con un sonoro tonfo, creando anche un buco notevole nella roccia, piegando bene le gambe per attutire l’impatto e contemporaneamente caricare un secondo salto con il quale raggiunse la base della strada. Trasse un respiro profondo e si incamminò con calma verso il villaggio. L’aria attorno a lui era così calda che seccò le foglie degli alberi che pendevano lungo la strada. Nonostante cercasse di contenere la sua magia involontaria, la rabbia che aveva suscitato in lui il padre di Alea era troppo grande.

«Oh, Siirist, da quanto non ci si vede!» disse la guardia all’ingresso del villaggio.

«Ciao, è vero.»

«Ho sentito che alcune delle tue amiche non sono state molto di buon umore nell’ultimo mese.»

«Hehe, vedrò di rimediare!»

 

«Dunque un umano discendente dei Ryfon non solo è il Cavaliere d’Inferno, ma ha persino un legame con il Flusso vitale notevolmente più alto del tuo.»

Ed ha anche due Cerchi d’argento, è simpatico, tenero, dolce, coraggioso, divertente e ne sono innamorata, se vuoi proprio saperlo!› pensò con rabbia.

«Sì, lo so, trovo la questione molto umiliante, padre. Ma è un completo incapace con la magia, per quanto sia potente nel legame. In combattimento può solo fare affidamento sulla spada, poiché grazie ai suoi elevati douriki è avvantaggiato, ma qualunque cosa richieda studio, è un punto debole per lui.» rispose invece.

Camminavano entrambi allo stesso, lento passo, le mani dietro la schiena, le teste alte, gli occhi che guardavano dritti davanti a loro. Alea si stava comportando perfettamente, come era prima di arrivare alla Rocca. Prima di conoscere Siirist.

«E ciò è bene. Dunque sei più forte di lui?»

«Sì. In questi mesi ci siamo spesso sfidati a duello, e io ho perso solamente otto scontri, le volte in cui riusciva ad avvicinarsi a me abbastanza per colpirmi.»

«Come mai glielo hai permesso?»

«Per quanto abbia appreso bene le tecniche del Makashi e del Soresu, e recentemente stia imparando alla svelta la forma Djem-So, egli resta un principiante, dunque si muove da principiante. È molto improvviso nei movimenti, si sposta senza apparente ragionamento, è come un animale quando combatte, lo fa esclusivamente d’istinto. Perciò certe volte è capitato che sia riuscito a sorprendermi e ad avvicinarsi a me. La maggior parte delle volte sono riuscita a contrattaccare, ma per otto volte ha avuto la meglio lui.»

Suo padre rimase in silenzio, continuando a camminare.

«Persino Evendil Thyristur viene colto alla sprovvista da Ryfon.»

«E quante volte è stato battuto lui?»

«Mai.»

Ilyrana si girò di scatto e colpì con un poderoso schiaffo il viso di Alea, sbattendola a terra. Le aveva fatto male. Il maledetto aveva rinforzato la mano con un misto della sua magia di terra e organica, uno dei suoi incantesimi a contatto più forti. Dannato vecchio.

«Come osi essere da meno di un non altmer! È il nipote del re, ha sangue degli usurpatori di Ellesmera nelle vene, e tu ne sei inferiore?!»

Alea era a terra, mentre cercava di calmarsi. Un anno prima si sarebbe rialzata come se nulla fosse accaduto, ma ora doveva farsi forza per non iniziare a piangere di rabbia ed attaccare suo padre. Evendil aveva detto bene a capodanno: la vicinanza di “quel teppista” non le aveva fatto bene. Ma a lei andava bene così. Pensando a Siirist sorrise ed arrossì impercettibilmente, per poi ritrovare la volontà di resistere. Si ricompose e si rimise in piedi, affiancandosi al padre.

«Vi faccio presente che Evendil è uno dei guerrieri più forti all’interno dell’Ordine, nonostante non sia un Cavaliere. È un esperto maestro di spada, mago e stregone potentissimo, nonché invocatore. È con lui che mi sono allenata fino ad ora con la magia, in quanto Althidon si occupa di insegnare la basi ai due umani.»

Si era lasciata prendere dalla foga. Stava per dire i nomi dei due ragazzi: sarebbe stata la fine.

«Ah, davvero? Invece credo che sia tu un fallimento. Non trovare scuse, non sono gli altri troppo forti, sei tu che sei debole. Ora vai a prendere la tua spada, ho intenzione di darti una lezione che non dovrai dimenticare per molti anni a venire.»

Alea sbiancò. Era finita.

 

Siirist era in casa di Silana, una attraente ragazza di ventiquattro anni, con lunghi e fluenti capelli castani e profondi occhi scuri. Dopo essere riuscito a farsi perdonare a parole, era passato ai fatti e si stavano man mano facendo più intimi, rotolandosi sul letto. Ma la mente del biondo era altrove. Aveva una brutta sensazione, non gli piaceva il fatto che Alea e suo padre fossero da soli.

«Mi sembri distratto.» si arrabbiò la ragazza.

«No, tranquilla. Sono solo un po’ stanco, il mio Maestro ci massacra di lavoro.»

E non era del tutto una bugia.

‹Siirist, vieni subito qui.›

La voce di Rorix, apparsa all’improvviso, era piena di preoccupazione ed allarmò gravemente il Cavaliere.

‹Che succede?› domandò mentre sfilava le mutandine, baciando le cosce di Silana.

‹Alea e suo padre stanno duellando.›

Siirist si bloccò di colpo, e la ragazza subito alzò la testa, indispettita.

«Mi dispiace, devo scappare.»

Senza nemmeno darle il tempo di rispondere, si rivestì a velocità inimmaginabile e saltò dalla finestra, per poi correre a tutta velocità.

‹Vai a prendere la mia spada e aspettami ai cancelli.›

‹Va bene.›

Con quattro balzi, il giovane salì la strada che conduceva alla Rocca e lì trovò il fedele drago che lo attendeva con la spada di Vetro tra le fauci. Siirist la afferrò senza nemmeno arrestare il suo passo e la assicurò alla vita, per poi correre reggendo l’elsa con la destra.

Arrivato sul luogo del duello trovò molta gente accalcata e con difficoltà riuscì a farsi largo tra la folla. E quando ci riuscì si ritrovò davanti agli occhi uno spettacolo raccapricciante, che mai si sarebbe aspettato. Alea era a terra, sanguinante, orribilmente bruciata in vari punti del corpo, con alcune lame di ghiaccio che la perforavano. La gamba destra era rotta, il ginocchio rivolto all’incontrario, la spalla sinistra si trovava in una posizione innaturale ed il braccio pendeva da dietro la schiena. Respirava a fatica, a causa delle schegge di ghiaccio nei polmoni e lacrime miste a sangue le rigavano il volto.

‹Non può essere...› rimase a bocca aperta Siirist.

Attorno a lui cominciò a fare molto caldo, tanto che le persone vicine, allarmate, si allontanarono in fretta. Abbondanti lacrime cominciarono a formarsi sugli occhi, ma nessuna riuscì a cadere, in quanto evaporavano l’istante in cui apparivano. Tutto questo, quindi, diede a Siirist non un aspetto furibondo ma triste, piuttosto demoniaco.

Con incredibile autocontrollo, riuscì a non lanciarsi subito contro Ilyrana, volendo sapere cosa fosse successo esattamente. Dopotutto, se era in quello stato, Alea aveva permesso al padre di farlo, no? Lei era un Cavaliere con un potentissimo legame di Flusso e molto abile nella magia, nessun elfo comune poteva ridurla in quel modo e rimanere illeso se non fosse stato per il volere suo.

‹No, Alea ha dato tutta se stessa. È suo padre che è molto forte. È un esperto di acqua, con cui è affine, vento, terra, fuoco e fulmine. Ha un legame di 300, ma sia la sua spada che i suoi guanti sono degli scettri da 7 x, che gli conferiscono una potenza magica totale di 102.900 douriki. Inoltre è spietato.› spiegò Rorix, aspettandosi già un’esplosione.

E così fu.

«Ehi, tu!» urlò Siirist, l’avambraccio sinistro già avvolto dalle fiamme.

Ilyrana si girò, gli occhi due fessure, la bocca stretta, appena in tempo per vedere arrivare un’ondata di fuoco ad alta velocità.

«Pugno di fuoco!»

L’elfo sollevò il braccio destro e puntò la spada verso la magia nemica, appoggiando anche la mano sinistra sull’avambraccio destro. Come il fuoco toccò la punta della lama, si trasformò immediatamente in ghiaccio.

Dopo quella magia, Siirist cadde in ginocchio con il fiatone. Non aveva mai richiamato così tanta potenza dal Flusso vitale, diecimila douriki, e farlo con la magia involontaria era molto pericoloso per il corpo.

‹Un incantesimo da 100000 douriki... non mi è mai venuto niente così potente... Eppure è riuscito a fermarlo... è proprio forte. Dannazione!› ansimò.

Ma l’altmer non si era fermato a neutralizzare la magia di Siirist, l’aveva anche usata a suo vantaggio: aveva ora al suo comando una potenza di 100000 douriki, non l’avrebbe certo sprecata. Puntò la spada verso l’alto e trasformò il gigantesco blocco di ghiaccio in una scarica elettrica lunga un metro che cominciò a crepitare con forza.

‹Siirist, attento!› esclamò Rorix.

«No!» urlò Alea, causandosi uno spasmo che le fece sputare sangue.

La crepitante scarica fu indirizzata verso Siirist che non fece nemmeno in tempo a reagire che fu colpito e fulminato. Quando l’incantesimo svanì, il ragazzo era a terra annerito e fumante, immobile.

«Siirist! Siirist, no...!» disse Alea, disperatamente avvicinandosi a lui.

«Cos’è tutto questo interesse per Ryfon? Non mi dirai che siete amici, vero?!» sbraitò suo padre.

‹Ehi, Siirist...? Mi senti? Stai bene, vero? Insomma, so che non sei morto, lo sento, però... Ohi?›

‹Porta Alea via.›

‹Eh?›

‹Portala via e fai allontanare tutti.›

Rorix deglutì nell’avvertire la forza del fuoco che proveniva dal suo Cavaliere. Comunicò mentalmente ad Eiliis gli ordini del biondo ed ella fece come detto, nonostante la fanciulla fosse contraria, in quanto voleva stare vicino al ragazzo.

«Dove state andando?!» si arrabbiò ancora Ilyrana.

«Beh, anche io me ne andrei...» mormorò Gilia.

E seguito da Asthar, si allontanò in fretta. Tutti i Cavalieri presenti, intuendo cosa stesse per succedere, fecero altrettanto, a parte Althidon, Aulauthar e Syrius. Pure Evendil non si mosse.

Non vi conviene starmi troppo vicino, lo sai?› gli disse Siirist.

Allora contieniti. Una magia troppo potente non controllata, è pericolosissima. Il tuo Pugno di fuoco di prima è stato pauroso. Fortuna che lo ha neutralizzato lui, se no, se fosse andato fuori controllo, sarebbero stati guai.› rispose il mezzo dunmer.

Non voglio prediche, voglio che ve ne andiate, non voglio che vi facciate male.

E noi non vogliamo che fai niente di stupido, per cui stiamo qui a controllarti. Non esplodere, contieni la tua rabbia e richiama intelligentemente la tua forza magica. Non sfruttare la rabbia, ma assimilala, falla diventare calma. Va bene essere furiosi, ma in modo calmo e controllato. Ricorda, non sei una bestia, ma un Cavaliere dei draghi. Ora calmati, richiama logicamente il tuo Flusso e dai pure fuoco a quel gran bastardo.

Il corpo di Siirist cominciò ad emanare fiamme, sempre più abbondanti, fino a che non si levò da lui una colonna di fuoco che raggiunse cento metri di altezza. In mezzo a quell’inferno, il ragazzo si rialzò, gli occhi due braci.

Ma mi ascolti quando parlo?› scosse la testa Evendil.

Non ho imparato fino ad oggi a controllare la rabbia e richiamare volontariamente il Flusso vitale, ti pare che lo riesca a fare ora?! Anche tu sei stupido!

Evendil sospirò.

‹Ti aiuto io a controllare la magia.› disse Rorix.

«Non ti arrendi, eh, Ryfon?» disse quasi schifato il nobile.

Siirist mise mano alla spada ed in quel momento tutto il fuoco attorno a lui scomparve, andandosi a concentrare esclusivamente attorno ai piedi e alla lama.

‹Ma che...?›

‹Ti ho detto che non faccio schifo nella magia quanto te. Mi pare che così dovrebbe andarti bene, no? Ora stai zitto e combatti, io devo concentrarmi, non è semplice controllare il tuo fuoco.›

‹Bravo Rorix.› si complimentò Evendil.

«Bene, preparati!» disse Siirist.

Balzò in avanti, scivolando sul terreno, sospeso in aria grazie alla propulsione delle fiamme sotto i piedi. Menò un tondo dritto rovescio da cui partì una forte fiammata a forma di drago, che andò ruggendo verso l’elfo, spalancando le fauci pronto ad inghiottirlo. Ma questo lo congelò come fece prima. Siirist si aspettava tale azione e già aveva stretto con due mani l’impugnatura ed aveva menato un fendente che rivitalizzò il drago di fuoco, che, ruggendo anche più forte, si liberò dalla sua prigione di ghiaccio, salì appena verso il cielo per poi dirigersi nuovamente verso terra, intenzionato a divorare Ilyrana.

‹Rorix, ma hai dato vita ad un incantesimo?!› si meravigliò Evendil.

‹No, l’ho solo fatto sembrare vivo, non sono ancora così bravo.›

‹Zitto e concentrati, Rorix!› ordinò Siirist, notando un’esitazione nell’incantesimo.

‹Hai ragione.›

L’alto elfo balzò indietro, evitando nuovamente di essere colpito, e l’incantesimo colpì il muso fiammante contro la roccia, frantumandola, per poi raddrizzarsi e puntare nuovamente verso il suo obiettivo, creando un solco nella terra nel processo.

Tsunami artico!

Ilyrana nuovamente puntò in avanti la spada e si afferrò l’avambraccio destro con la mano sinistra, e dalla punta della lama partì un’onda di grandezza colossale che investì l’incantesimo di Siirist, arrivando pure al Cavaliere. L’acqua, dopo pochi secondi, si congelò all’istante, intrappolando per metà il ragazzo, che però infilzò il ghiaccio con la sua spada infuocata, sciogliendolo. In quel momento notò la sua lama e la vide lentamente squagliarsi per il calore del fuoco che la avvolgeva.

‹Merda. Evendil, mi puoi dare la tua spada?›

‹È inutile, tanto ormai il fuoco avvolge la tua. Dovresti annullare l’incantesimo per salvarla, ma così facendo perderesti tutta la rabbia che vi hai messo, perdendo quindi anche il duello. È così che vuoi che finisca?›

‹No di certo.›

Siirist allora saltò verso l’avversario ed incominciò a menare attacchi ravvicinati, che questi evitò e parò con seria difficoltà, ricorrendo sempre più spesso alla magia, fino a che non fu disarmato e messo in ginocchio.

Vedendo che il suo Cavaliere aveva vinto, Rorix controllò il fuoco affinché si spegnesse, preservando quello che rimaneva della lama.

«Come con tua figlia, finché porto lo scontro ad un combattimento ravvicinato, vinco io: i miei douriki fisici sono troppo superiori ai vostri.»

Siirist rinfoderò la sua arma e abbatté un forte pugno in faccia all’avversario, spaccandogli zigomo, mandibola e mascella, e anche il naso con l’impatto che diede contro il terreno. Dopodiché il ragazzo sorrise soddisfatto e si allontanò seguito dal suo Inferno, lasciando tutti intorno basiti, camminando con la sua solita posizione noncurante, con le mani dietro la testa.

‹Ti sembra il modo di terminare un duello...?› chiese neanche tanto sorpreso Evendil.

‹Ho vinto, no? Posso fare quello che voglio.›

‹Senza di me non avresti vinto, ricordalo.›

‹Lo so, ma dopotutto siamo una squadra, no?›

E si diedero il “cinque”, sbattendo mano contro coda.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

E così arriva anche questo capitolo.

 

Ringraziamenti:

1)  Banko/Zack. Come hai visto, non lo ha ridotto male come nella prima versione, piuttosto è il loro rapporto che è anche peggiore. E poi il modo in cui si è evoluta la storia dopo la conoscenza di Siirist ed il padre di Alea è uno dei motivi per cui ho riscritto tutta la fic, perché, non so per quale ragione, ho iniziato a far usare troppo a Siirist la sua “altra parte” e in realtà dovrebbe essere un segreto. Alea ha accettato e come i suoi sentimenti, il problema è Siirist che ancora non sa che fare. Alea non gli sembra adatta (e ha perfettamente ragione) per avere del divertimento gratuito, ed al momento è tutto quello che vuole, nonostante provi alcuni sentimenti. Ma tutto deve ancora evolversi! Ma comunque l’influenza del “teppista” si è fatta sentire notevolmente sui due compagni, che hanno perso completamente tutti i loro atteggiamenti iniziali! Althidon è fortissimo, ma ancora non hai visto Aulauthar e Syrius. Ho in mente una cosetta per il terzo anno, una sorta di torneo tra Cavalieri, e allora vedrai cosa ti tirano fuori i due anziani! E Siirist capirà veramente di essere solo una merda, nonostante per quel tempo sarà diventato molto più forte. Non so dirti quanto sia adatto il confronto tra Althidon e Aulauthar con i due capitani, in quanto il loro è un rapporto di allievo/maestro, e anche se ora sono amici, Althidon continua a venerare l’altro. In ogni caso a Bleach sono arrivato all’arrivo di Wonderweiss nella falsa Karakura che ha fatto un po’ di casini! Quando lo odio... è irritante!

 

Come sempre, i commenti non sono sgraditi.

 

Il prossimo capitolo si intitola LA FINE DELL’ANNO e verrà pubblicato domenica 18.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** DICIASSETTE ANNI ***


DICIASSETTE ANNI

 

Siirist era in camera ad esaminare la sua spada di Vetro. La lama era molto rovinata in certi punti, molti dei quali avevano pure perso il loro rivestimento in argento.

‹È un ottima spada, ma non è fatta per la magia.› commentò Rorix.

‹No, questo è sicuro. Mi dispiace, Hans. Mi serve una spada nuova.› e la buttò a terra.

‹Hai quella di mithril.›

‹No, quella è una spada ad una mano, la uso come spada secondaria. Mi serve una spada nuova ad una mano e mezza.›

‹Se non avessi sputtanato tutti i tuoi soldi in vestiti, molti dei quali hai bruciato, oltretutto, avresti ancora abbastanza soldi per comprarti una spada decente!› lo rimproverò il drago.

‹Lo so!› mise il broncio lui.

‹Non credi sia meglio andare da Alea ora?›

‹Assolutamente sì!›

I due uscirono di corsa, diretti all’infermeria, facendo a gara per chi arrivasse prima.

‹Ah, ho vinto io!› saltò vittorioso Rorix, arrivato due secondi netti prima di Siirist.

‹Ah, mannaggia!› si arrabbiò.

Cadde a terra con il fiatone, i polmoni che facevano male ad ogni respiro.

‹Da quant’è che non ti affatichi così a correre?›

‹Da un po’. Dovremmo farlo più spesso, se no rischio di perdere allenamento!›

«Vi pare questo il modo di comportarsi davanti ad un ospedale?» chiese severo Althidon.

Diede un forte pugno ii testa a Siirist e Zelphar colpì Rorix sul cranio con una testata.

‹Ahia!› commentarono entrambi simultaneamente.

«Sei vergognoso.» commentò Evendil.

«Senti chi parla! Quanto ci avete messo a venire a trovare Alea? Io sono arrivato ora perché sono andato a posare la mia spada, voi che scusa avete?»

«Siamo stati a parlare con lord Ilyrana e a convincerlo che non è necessario esigere vendetta nei tuoi confronti.»

«Eh? Che vuole?!»

«Lo hai ridotto piuttosto male, dopotutto.»

«Eh ma lui non è stato tanto tenero, eh! Senza contare come ha trattato Alea!»

«È sua figlia, può farci quello che vuole.»

«Ma siamo matti?! Che razza di tradizioni avete voi orecchie a punta?! E Alea è un Cavaliere, non dovrebbe essergli permesso niente del genere!»

«Elisar Ilyrana è uno degli uomini più potenti fra tutto il popolo elfico, ed in quanto nobile, ha alcuni diritti. Se dovessi stare a spiegare tutti i dettagli, faremmo notte. In ogni caso, tu hai interrotto una sua punizione contro sua figlia ed ora è molto arrabbiato.»

«Cercherò di metterlo in parole chiare e semplici, così anche le tue orecchie da psicopatico potranno capirlo: se queste sono le vostre tradizioni, siete tutti una manica di pazzi! E non mi frega un emerito cazzo di leggi, regole o tradizioni, se qualcuno fa male ad un mio amico, io lo ammazzo! Se quel figlio di puttana osa mettere ancora le mani su Alea, lo trasformo in carbone!»

«Oh, davvero? Hai un linguaggio veramente molto civilizzato, Ryfon, i miei complimenti. Ma vedremo cosa ne dirà il Consiglio di queste tue idee.»

Elisar Ilyrana era appena arrivato. Siirist si voltò di scatto, le mani infiammate, lo sguardo truce. Pure Rorix si mise in posizione d’attacco, ringhiante, con fiamme che uscivano dalle fauci.

«Il Consiglio non ha nulla da dire a riguardo, Elisar. Siirist ha solo seguito un insegnamento che gli ho dato io, cioè di prendersi sempre cura degli amici, non importano le conseguenze. Ora però calmatevi tutti e due, non sono ammessi spettacoli pirotecnici all’interno dell’ospedale.» esclamò l’appena giunto Aulauthar, per poi entrare ridendo soddisfatto.

‹Io lo adoro.›

‹Sì, è proprio fantastico. Senza contare Skryrill! Mi ha appena parlato! Ti rendi conto, il grande Skryrill ha parlato a me, che sono appena più di un cucciolo!›

‹Ha parlato anche a me, ti ricordo.›

‹Non ti allargare, ti ha detto due parole. Con me ha appena fatto un discorso simile a quello di Aulauthar! Siamo dei grandi, non c’è che dire, siamo dei grandi!›

‹Sei lento, drago mio, l’ha capito solo ora?› e ridacchiò.

Ed anche loro due entrarono, ignorando completamente Ilyrana.

«Tu!»

Indignato, l’elfo si lanciò contro Siirist, afferrandolo per le spalle e sbattendolo contro la parete. Il ragazzo cercò di liberarsi dalla presa, ma non ci riusciva. Non sapeva perché, ma sentiva che non aveva forze.

‹Magia organica. Quanto la odio.› capì infine

Rorix prese a ringhiare, ma smise al comando di Siirist.

«Sei solo un ragazzino, non hai nemmeno diciassette anni! Sei anche troppo giovane per essere un Cavaliere! Chi diavolo ti credi di essere, eh?! Cosa ti fa pensare di essere così speciale, da lasciarti fare quello che vuoi?!»

Siirist lo guardò dritto negli occhi, storcendo la bocca, rivolgendo in fuori il labbro inferiore, ed assumendo un’espressione che esprimeva ovvietà, sollevando le sopracciglia.

«Mi piace pensare che siano i miei capezzoli turgidi.»

«Credi di essere spiritoso?» chiese imbestialito, stringendo sempre più la presa sulle spalle del ragazzo.

«Credo di essere adorabile.» rispose sorridendo con aria di sfida, ignorando completamente il dolore alle spalle.

«Portami rispetto, ragazzino!»

«Succhiami le palle, vecchio!»

L’alto elfo stava per andare in escandescenze quando fu fermato da Evendil.

«Credo che possa bastare, nobile Elisar.»

«Kelvhan...» ringhiò a denti stretti.

«No, il mio nome è Thyristur, mio padre è un dunmer, vi ricordo.»

«Sei mezzo Kelvhan, e tanto basta per me.»

Adirato, l’altmer lasciò andare Siirist e se ne andò.

«“Succhiami le palle, vecchio”? Era proprio necessario?»

«E che dovevo dire?»

«Cammina, va’!» e lo spinse verso la stanza dove era ricoverata Alea.

Quando entrarono la videro addormentata con molte fasciature sul corpo. Adeo le era accanto a fare qualche accertamento, erano presenti anche Gilia, Althidon, Aulauthar ed i rispettivi draghi.

«Perché non la guarisci completamente e basta?»

«Ecco cosa succede quando un ignorante e grezzo mago elementale, nel tuo caso si fa per dire, viene a mettere in questione la magia organica con me, il più alto esponente in questa branca.» rispose pigramente il Cavaliere, il tono serio.

«Come dici?!»

«Guarire magicamente è una forzatura nei confronti del corpo, e rigenerare un numero così elevato di ferite la più danneggiare fisicamente. Ho guarito le lesioni agli organi, ma le ferite e le ossa dovranno aspettare domani. Non tutti hanno un potere magico così grande da poter ristabilire l’energia contemporaneamente alla guarigione. L’unica guaritrice nell’Ordine che può farlo è Alea, ma come vedi non è in condizioni. Se tu ti degnassi di studiare la magia organica, saresti un guaritore senza pari. Ma anche un buon combattente dalla distanza ravvicinata. Ti ho dimostrato in passato quanto possa essere utile la magia organica in quel frangente, o sbaglio?»

«Sì, e anche Ilyrana padre prima mi ha tolto la forza con la magia organica.»

«Appunto.»

«Ma la magia elementale è più figa!»

«Ed è esattamente per questo che ho chiamato i maghi elementali dei grezzi ed ignoranti, poiché tutti quelli che non studiano almeno un po’ la magia organica, lo fanno perché non è “figa”. Anche se nel tuo caso, ripeto, chiamarti mago sarebbe insultare chi di magia ne sa qualcosa.»

«Ma senti questo!»

«Evendil, qui in questa stanza sei certamente tu lo stregone migliore, perciò potresti per favore evocare qualche spirito che la aiuti nella guarigione?»

Gilia rimase colpito.

«Evendil, sei uno stregone?!»

«Quando serve. Per ovvi motivi non mi piace molto usarla. E Adeo, grazie per avermi chiamato normalmente.»

«Sto lavorando. Sei vuoi passione, aspetta che usciamo.» disse seriamente, ma lanciò un occhiolino all’elfo.

Aulauthar ridacchiò.

«Spiriti della natura e della vita, ascoltate la mia chiamata ed accorrete in aiuto di questa fanciulla. E già che ci sono, Siirist, senti un po’: spiriti del fuoco, mostratevi a questo irresponsabile ed insegnategli a comprendere la vostra natura, così che la smetta di incendiare tutto.»

Tutti risero alla seconda evocazione tranne Siirist, che rimase colpito nel vedere comparire davanti a sé piccole sfere di luce fiammeggiante, e Gilia, ancora meravigliato dalla prima evocazione.

«Evendil, hai richiamato contemporaneamente spiriti della natura e della vita?! Questa è senza dubbio la stregoneria di guarigione più potente a cui abbia mai assistito, e una delle più forti di cui abbia mai sentito parlare! E gli spiriti evocati, lo sento bene, sono di alto livello!»

«Grazie. Sei veramente un ottimo stregone, Gilia, se riesci a percepire così bene gli spiriti. Se vuoi ti insegno qualcosa.»

«Molto volentieri!»

«Ehi, non vale! Anche io!» si intromise Siirist.

«Tu pensa ad imparare ad usare per bene la magia, prima.» lo rimproverò Althidon.

«Ah, dettagli! Evendil, fra quanto si sveglierà Alea?»

«Stasera o domattina.»

«Bene, allora ripasso più tardi.» ed uscì con Rorix.

Mentre camminavano, il ragazzo ripensò alla sua arma danneggiata.

‹Se potessi portarla da Hans, me la rimetterebbe a posto in mezza giornata. Ma poi si chiederebbe perché ce l’ho io. E resta anche il problema di come portargliela. Merda, mi serve una spada nuova, non c’è niente da fare.›

‹L’Ordine non ti darà la spada da Cavaliere fino all’inizio del quarto anno di addestramento. Però, nel frattempo, potrebbero dartene una sostitutiva.›

‹Hai ragione. Domani ne parlo con Althidon.›

 

Erano le undici di sera quando Alea, dopo ulteriori cure da parte di Adeo, aprì gli occhi.

«Ben svegliata, principessa.»

«Perché non parli in elfico?»

«Ma hai solo da lamentarti tu?! Ogni tanto potresti anche allenarti a parlare umano. Sai, il tuo accento non è proprio perfetto.»

«Non mi pare questo il momento di farmi affaticare ulteriormente.»

«Hai ragione, scusa. Come stai?»

E Siirist si avvicinò ulteriormente, prendendole la mano. Il gesto fece improvvisamente arrossire l’elfa.

«Ora bene, grazie. Mio padre?»

«È tornato a casa. Gliel’ho fatta pagare cara.»

«Cosa gli hai fatto?!»

«L’ho preso a calci, naturalmente! Però capisco come abbia fatto a batterti, magicamente è un mostro. Mi ha rilanciato contro, sotto forma di fulmine, un mio Pugno di fuoco da 100000 douriki! Sono riuscito a rialzarmi solo perché ero troppo arrabbiato per come ti aveva ridotta.»

«Centomila?! Ma è tantissimo!»

«Te l’ho detto, ero furioso! E preoccupato...»

«Grazie.» sorrise lei.

Siirist si alzò e la baciò sulla fronte, per poi augurarle la buonanotte e uscire dalla stanza.

 

Arrivò il tre luglio e Siirist fu svegliato da Gilia che lo buttò giù dal letto, mentre Alea entrava nella stanza con cibo in abbondanza per la colazione.

«Ma che cazzo fai, idiota?!» ruggì Siirist in faccia a Corvinus.

«Guarda che non mi offendo se non mi aliti in faccia.»

«Come, scusahhhhhh??»

«Ah, che schifo!» ed il moro sventolò la mano davanti al naso.

«Tanti auguri!» esclamò Alea leggermente indispettita.

Aveva fatto lo sforzo di andare a prendere la colazione per portarla a letto a Siirist e lui considerava solo Gilia che lo aveva buttato giù a forza?

«Oh, è vero! Diciassette anni! Oddio, questo è il mio primo compleanno senza Keira degli ultimi sette anni!»

Alea si alterò anche di più: possibile che lei fosse così poco importante?!

«Ehm, ti ho portato la colazione...» fece notare, forse alzando eccessivamente la voce.

«Eh? Oh, grazie! È tutto per me?» sorrise gioioso.

«Ma quanto sei ingordo?! È per tutti e tre!» lo spinse via Corvinus.

«Ah...» rispose deluso.

«Vuoi altro?» chiese subito la fanciulla.

«Magari! Ma ci va Gilia.»

«Scordatelo!»

«Tranquillo, ci vado io.»

«No, resta pure qui, preferisco che resti qui.» e sorrise all’elfa.

Ella arrossì.

«E perché lei sì e io no, scusa?» si indispettì il moro.

«Perché lei è carina, tu sei un buzzurro.»

«Ha parlato il signor raffinatezza!»

«Vuoi combattere?!» domandò Siirist, portando indietro il pugno sinistro.

«Sempre pronto!»

Ed i due si lanciarono l’uno contro l’altro, facendo la lotta come bambini, tirandosi i capelli e cercando di sottomettere l’altro, Siirist utilizzando come arma anche il suo alito mattutino, per il dispiacere dell’amico. Ma Alea non notò nulla di tutto ciò, era immobile, con un’espressione da ebete stampata in faccia, il sorriso largo, con la mente ancora rimasta alle parole: “perché lei è carina”.

Solo lo stomaco brontolante di Ryfon riuscì a farlo desistere dalla lotta con l’altro ragazzo, e si fiondò come un falco sui vari cornetti, divorando in un baleno pesche sciroppate e fette di torta di mele.

«Che mangiata!» disse infine, soddisfatto.

«Ti è piaciuta la torta?» chiese ansiosa Alea.

«Sì, moltissimo! Però mi sembrava diversa da quella che fanno solitamente, avranno cambiato cuoco?»

«Era meglio o peggio del solito?» domandò ancora più agitata la fanciulla.

«Molto meglio!»

«Oh, bene! L’ho fatta io!» rivelò sollevata.

«Davvero?! Non sapevo sapessi cucinare così bene!»

«Sarebbe un’ottima mogliettina, non credi?» scherzò Gilia.

Il suo commento, del tutto casuale, fece cadere un silenzio imbarazzato, illuminato dalle scaglie di Rorix e dal viso di Alea, entrambi dello stesso colore.

«Sì, bene... Insomma, che si fa oggi?» disse Siirist per sviare il discorso.

«Ho organizzato tutta la giornata, spero che il programma ti piaccia.» rispose entusiasta Alea.

«Sono sicuro di sì. Se mi hai preparato altre torte, sarà il regalo migliore che potessi farmi.»

«Sì! Però te ne ho preso anche un altro, ma te lo do dopo.»

«Io non te l’ho fatto. Dopotutto tu non mi hai preso niente.» fece notare Gilia.

«Tranquillo, non mi interessa. Però ti ringrazio molto, Alea, non me lo aspettavo.»

«Figurati, è stato un piacere.» sorrise lei.

Si sentì bussare alla porta.

«Avanti.» disse Siirist.

Entrò Evendil portando con sé un pacchetto regalo che pareva racchiudere un libro.

«Cos’è, il tuo grimorio?»

«Ti piacerebbe. Però è un libro, come si può facilmente intuire. Sei un Cavaliere, non un barbaro, è tempo che ti fai un po’ di cultura e che studi qualche cosa di elegante. Guarda Alea, per esempio, ho notato che ha varie raccolte di Ilrune, considerato il più grande poeta elfico. Sono felice che tu non sia stata corrotta fino al punto di diventare una grezza ignorante, ragazza mia.» disse il mezzo bosmer.

L’interessata rise.

«Quindi mi hai preso un libro di poesie?» domandò poco convinto il festeggiato.

«Gli hai preso un libro di Ilrune?!» chiese colpita la fanciulla.

«Ma siamo matti?! Ilrune è troppo complesso, è stato un grande filosofo, per comprendere le sue opere è necessario conoscere a perfezione tutta la cultura elfica e bisogna avere sviluppata una raffinatezza unica. Sono poesie di Ilimitar.» rispose quasi indignato l’elfo.

«Ah, ecco!» e la altmer rise.

«Che c’è da ridere?» domandò il biondo.

«Le poesie di Ilimitar sono storielle per bambini. Questo lo so pure io, ho imparato l’elfico con il mio maestro che me le leggeva.» rispose divertito Gilia.

Rorix scoppiò in una risata fragorosa.

«Evendil, muori.»

Però Siirist prese senza esitare il pacchetto dell’elfo, curioso di leggere qualcosa di letteratura elfica.

«Allora, Alea, vogliamo andare?» propose Thyristur.

«Com’è che tutto d’un tratto si parla elfico?» chiese Siirist.

«Perché qui nella Rocca di Vroengard è la lingua ufficiale, non deve esserci una ragione speciale per parlarlo. Anzi, è già tanto che ho parlato in umano fino ad ora. Avanti, andiamo, se no i piani della nostra Alea saranno rovinati.»

«Grazie, Evendil.»

I quattro bipedi, accompagnati dai tre draghi, uscirono dalla stanza, diretti al cancello delle mura nere. Siirist si era già stancato della camminata, in quanto aveva capito che avrebbero dovuto fare molta strada, e non vedeva l’ora di poter cavalcare Rorix, ma i Cavalieri in addestramento imparavano a cavalcare i draghi solo dal secondo anno, e fino ad allora era proibito loro provarci. Al ragazzo pareva ridicolo, ma non era certo il caso di discutere con le autorità, le aveva già fatte arrabbiare abbastanza negli ultimi mesi.

«Facciamo a gara?» propose allora.

«Non essere ridicolo, anche questa bella camminata fa parte del programma di Alea.» rispose stufo Evendil.

«Che c’è, hai paura di perdere?» lo sfidò il biondo.

«Come hai detto...?»

«È da molto che non ci sfidiamo, e per quanto riguarda una semplice corsa, senza usare alcun trucco, sono sicuro di poterti battere.»

«Niente magia?»

«No. Ma chiaramente puoi usare l’Ataru, se no avresti perso in partenza.» lo prese in giro.

«Ma che simpatico. A quanti douriki stai ora? 30200, giusto? Allora farò in modo di averceli uguali ai tuoi, così vediamo chi è più bravo.»

«Preparati a perdere.»

«Preparati ad andare a 97 a 0.» corresse l’elfo.

«Non ci sperare.» rispose indispettito Ryfon.

Alea, rassegnata al fatto che non avrebbe camminato assieme al festeggiato fino alla base della montagna, diede il via, ed i due contendenti partirono al massimo della velocità. Erano chiaramente veloci uguali, ma la grazia che aveva Evendil gli conferiva un leggero vantaggio. Il passo di Siirist, temprato da innumerevoli furti, era leggero, e pareva scivolasse sulla roccia, ma, nonostante tutto, rimaneva umano. Incredulo vide il mezzo dunmer prendere sempre più vantaggio, centimetro dopo centimetro, e cercò di capire cosa avessero gli elfi di speciale che li rendesse così superiori agli umani. Lui ed Evendil avevano gli stessi douriki fisici, lui era un ottimo corridore dal passo rapido, affatto pesante come poteva essere Gilia, allora perché quel dannato orecchie a punta continuava ad essere meglio? Poteva capire in un duello, non per niente aveva perso novantasei volte di fila, ma possibile che fosse in svantaggio anche in una semplice gara di velocità?! Perché, accidenti, perché?! Siirist sentiva la rabbia infiammarsi in lui, mentre scintille scaturivano dal contatto dei suoi stivali con la roccia. Ma doveva cercare di stare calmo, non poteva lasciare che la magia involontaria si liberasse, in quel caso avrebbe perso immediatamente la gara. Gli venne un’idea. Come mise il piede sinistro a terra, dopo aver compiuto un passo di corsa, vi mise tutta la sua forza e balzò verso destra, arrivando otto livelli più giù, superando enormemente il suo avversario. Allora Evendil fece altrettanto, ma Siirist, vedendolo arrivare, balzò in aria e lo intercettò con un calcio in pieno petto, mandandolo a finire contro la parete di roccia.

Ah, è così che la vuoi mettere, eh?› disse con una forzata calma Evendil.

Proprio così.

Poi non metterti a piangere.

L’elfo balzò con forza in direzione del ragazzo, che ormai era già arrivato ben oltre metà, che lo vide arrivare e fece la stessa mossa. Ma il mezzo bosmer non cadeva due volte nella stessa trappola e, all’ultimo momento, piegò indietro il busto, vedendosi passare ad un centimetro dal naso il piede e poi la gamba di Siirist. Evendil continuò la sua rotazione indietro, ma, arrivato ad avere la testa verso il basso e le gambe verso l’alto, le aprì, afferrando il busto del ragazzo. La seconda metà del giro fu compiuta dieci volte più velocemente, e così lanciò il giovane verso il lato della montagna.

L’impatto fu così forte che Ryfon fece un buco profondo otto metri nella roccia e si ferì sopra la fronte, un rivolo di sangue che rapidamente scese lungo il viso. Rimase intontito per qualche secondo e, ripresosi, si pulì la faccia con la manica della tunica e vide l’elfo che era quasi arrivato a destinazione.

‹No, basta, non può vincere anche questa volta!›

Siirist spiccò un salto verso il livello inferiore, ed un altro ed un altro ancora, deciso più che mai a sconfiggere l’elfo.

«Maledetto, fermati!»

Lo aveva raggiunto ed aveva già preparato il pugno sinistro. Ma la sua foga era così grande che, senza possibilità di contenimento, si sprigionò attorno alla mano una fiammata. Attaccò l’altro, mirando alla nuca, ma quello fu così rapido nel movimento che sorprese il giovane: si voltò verso la sua sinistra muovendo con rapidità il braccio destro, toccando con due dita l’avambraccio del ragazzo che lo stava attaccando, sbilanciandolo. Spinse con forza verso il basso ed il busto di Ryfon fu spinto in quella direzione, portandolo in una rotazione. Lesto, Evendil ritrasse il braccio destro e nel preciso momento in cui Siirist si era ritrovato con la pancia verso il cielo, mosse il sinistro a colpirlo con una possente gomitata sullo stomaco. Con tutti gli organi interni in subbuglio, il ragazzo cadde a terra ad una velocità quasi impercettibile ad un occhio comune, schiantandosi contro la roccia e creando una voragine di ventri metri di profondità e dieci di diametro, rompendosi qualche vertebra nell’impatto.

Impietoso, Evendil atterrò accanto a lui e lo derise.

«Come appunto avevo detto, ora siamo 97 a 0.»

E senza curarsi ulteriormente del giovane, fece qualche altro balzo ed arrivò alla fine della discesa.

Un quarto d’ora dopo Gilia ed Alea arrivarono al punto in cui si trovava il biondo e la fanciulla, più spazientita che preoccupata, lo guarì in pochi secondi. Siirist aprì gli occhi e balzò in piedi pieno di energia.

«Ehi tu, non è finita!» urlò immediatamente ad Evendil.

L’elfo, seduto a terra con le gambe incrociate, nemmeno si voltò verso lo sfidante.

Vuoi, per favore, smettere di fare l’idiota e far felice Alea? Sono tre giorni che organizza questo giorno, tra un po’ credo che scoppierà a piangere o ti impalerà con una lancia di ghiaccio. O entrambe le cose.› disse però.

Ryfon ci rimase di stucco.

‹È vero?› chiese al fedele drago.

Alla risposta positiva del compagno, il giovane cambiò subito atteggiamento, sentendosi un cretino, e si girò verso l’amica.

«Ok, come non detto, non voglio perdere due volte di fila contro Evendil il giorno del mio compleanno. Allora, dove siamo diretti?» sorrise.

La fanciulla ricambiò e fece strada agli altri, che la seguirono lungo un sentiero che girava attorno alla montagna della Rocca, che si addentrava sempre più nella boscaglia.

Dopo mezz’oretta di camminata, gli alberi incominciarono a diradarsi e finalmente il sole ritornò ad illuminarli. Erano arrivati nel punto più bello che Siirist avesse mai visto. Il lato opposto di Vroengard rispetto al porto era una splendida baia con un elegante prato che divideva la foresta da una sabbia bianchissima. Sulla spiaggia crescevano varie palme che creavano zone d’ombra. L’acqua era cristallina ed i vari scogli erano ricchi di molluschi, visibili ogni volta che il mare si ritraeva prima di una nuova onda.

«È bellissimo...» Siirist rimase a bocca aperta.

«Speravo ti piacesse. I draghi ci sono passati spesso ed Eiliis me ne ha parlato.»

«Io direi che ora un bagno è d’obbligo.» disse subito Ryfon.

«Cosa?» Alea rimase di stucco.

«Con un mare così, non posso che dar ragione a Siirist.»

«Ma non abbiamo un costume...!» tentò di dire Ilyrana.

«E a che serve, ci andiamo in mutande, no?»

Siirist si spogliò nel giro di pochi secondi e si tuffò immediatamente nell’acqua, seguito poco dopo da Gilia.

«Ma come fai a spogliarti così in fretta?»

«Quando anche tu avrai il numero di amanti che ho io, capirai che l’abilità di spogliarsi in pochi secondi è un requisito fondamentale.» rispose Ryfon con l’aria di chi la sapeva lunga.

«Ma...! Non doveva andare... così...!» incominciò a dispiacersi Alea.

Siirist se ne accorse e smise di schizzare ed affogare Corvinus, e si mise immobile con le mani congiunte. Incominciò a concentrare nei palmi congiunti l’energia del Flusso vitale, e poi li rivolse davanti a sé, indirizzati verso l’acqua, rilasciandola.

«Che l’acqua sorga e formi una colonna. Che la colonna si diriga verso Alea e la catturi, per poi portarla in mare.»

L’incantesimo, avente una potenza di 5000 douriki nonostante Siirist ne avesse richiamati solo 50, riuscì e la ragazza, troppo stupita nel vedere il biondo avere successo con una magia, non ebbe il tempo di reagire, e poco dopo si ritrovò completamente sommersa a mezzo metro dal giovane. Puntò i piedi e si alzò, i capelli incollati alla faccia. Li scansò e guardò seria, leggermente indispettita, il festeggiato che intanto rideva soddisfatto. Ma poi smise di farlo quando la altmer gli sputò in faccia l’acqua che teneva in bocca. E sorrise.

«Maledetta!» si offese per finta Siirist.

«Io? Ora tutti i miei vestiti sono fradici grazie a te.»

«Potevi toglierteli.»

«Sicuro di volermi provocare mentre stiamo in acqua?»

Mosse la mano ed in mezzo ai due si generò un’onda che spinse via Siirist, intrappolandolo poi contro uno scoglio. Con l’acqua, che aveva ottenuto una consistenza quasi gommosa, che gli premeva contro la faccia e gli scogli che gli graffiavano contro la schiena e la nuca, Siirist non si trovava proprio nella migliore delle situazioni.

«Che l’acqua le dia un pugno in faccia!»

A dieci centimetri di distanza da Alea, l’acqua incominciò a gorgogliare e spuntò un braccio liquido con la mano stretta a pugno, che andò a colpire la ragazza proprio sul naso, buttandola indietro.

‹Hehe, così ti impari!›

Ci fu un’esplosione nel punto in cui era affondata l’elfa ed una grande colonna d’acqua, con lei sopra, si alzò verso il cielo. Da lì sopra, la fanciulla lanciò schegge di ghiaccio create dal raffreddamento dell’acqua, ma Siirist pensò che fossero il solito incantesimo dell’amica che sfruttava la solidificazione dell’aria, per cui reagì in modo errato. Infiammate le mani e le prese a pugni, ma, sciolto il ghiaccio, l’acqua spense il fuoco.

‹Ma come...?!›

Alea intanto, avendo previsto le azioni di Siirist, aveva già iniziato a preparare un secondo incantesimo, che si abbatté sull’avversario come uno tsunami dalla forma di un pugno, che lo schiacciò contro lo scoglio, il quale si frantumò, e Siirist fu spedito centro metri al largo.

Ora siamo pari.› ridacchiò l’elfa.

Due minuti dopo Siirist ritornò ed insieme a tutti si fece una gran risata.

«Ma tanto in una battaglia combattuta in acqua, vincerei io, poiché mi basterebbe elettrizzare tutta la zona.»

«Caspita, è vero! Devo imparare presto ad usare anche l’elemento fulmine!» rispose pensoso Siirist.

«Non è vero per niente, vai a dire a Syrius qualcosa del genere e ti fa a pezzi.» disse invece Evendil.

«Ma lui è un maestro di fulmine, per cui gli basterebbe neutralizzare il mio incantesimo con uno altrettanto potente. Io voglio dire che potrei vincere contro chi non è un maestro di fulmine. Anche un maestro d’acqua, per quanto pericoloso nei pressi di tanta acqua, perderebbe contro il fulmine.»

«Invece no. Syrius semplicemente cambierebbe le proprietà dell’acqua ed eliminerebbe la sua capacità di conduttore elettrico. Potrebbe neutralizzarti completamente. E ho citato Syrius perché è il più grande esperto di acqua e fulmine che ci sia, ma chiunque nel Consiglio potrebbe farlo, persino Althidon, o anche io. Troppo hai da imparare ancora, Gilia!»

«Ah...»

«Azzittito!» lo prese in giro Siirist.

«Tu fai silenzio, che hai risposto ad un incantesimo di acqua con uno di fuoco!» disse secco Corvinus.

«Pensavo fosse una magia di vento!»

«Possibile che non percepisci la differenza tra un ghiaccio creato dall’aria e uno creato dall’acqua?» disse con aria di ovvietà Gilia.

«No. E comunque, se creassi del fuoco abbastanza potente, potrei far evaporare l’acqua!»

«È vero, ma non sei ancora abbastanza bravo per richiamare abbastanza Flusso da superare un incantesimo di Alea!»

«Mi basterebbe riuscire a ricreare il fuoco d’Inferno.»

«Cosa cambierebbe rispetto a richiamare molto Flusso, scusa?» il moro non capiva.

«Il fuoco di drago è diverso da quello normale che utilizziamo con la magia. E quello d’Inferno è ulteriormente diverso. Non so come spiegarlo, ma brucia in modo diverso. Due magie di fuoco dalla stessa potenza, se lanciate sfruttando il fuoco comune o il fuoco di drago, sarebbero comunque una meno potente dell’altra di almeno dieci volte, quindi immagina solo come sarebbe controllare il fuoco d’Inferno. Poi va beh, c’è il fuoco nero che brucia qualunque cosa e che è inestinguibile. Riuscissi a controllare quello, allora sarei il mago di fuoco più potente in vita!»

«Vedo che il tuo legame alto con il Flusso e la tua affinità con il fuoco ti hanno permesso di capire molto, bravo, Siirist. Ma, mi dispiace deluderti, il fuoco nero è impossibile da apprendere, solo la famiglia reale dei demoni lo sa controllare e nasce in un Inferno ogni mille. Se Vulcano lo avesse avuto, allora forse, e dico forse, avresti potuto controllarlo, ma purtroppo non è il caso.» precisò Evendil.

‹Mi dispiace.› abbassò la testa l’Inferno.

‹Ma di che? Chi se ne frega! Diventeremo comunque i più forti nella storia dell’Ordine, vedrai!›

‹Certo, basta che non mi rallenti.› rispose il drago, che, incoraggiato dalle parole del Cavaliere, aveva recuperato il suo solito atteggiamento.

‹Così ti voglio.› e lo accarezzò sulla testa.

«Bene, che ne dite di smettere di fare lezioni sul fuoco ed iniziare la festa?» propose Alea.

«Sì, ci sto! Ma non vedo buffet, alcool, musica o spogliarelliste!» osservò il festeggiato.

La fanciulla lo avrebbe impalato.

«Mi dispiace, ma tutte le spogliarelliste erano già prenotate.» sorrise ironica, un velo di acidità nella voce.

«Puoi sempre farlo tu...» ammiccò Siirist.

La fanciulla rimase interdetta, per poi colpirlo con una ventata in pancia.

«Dunque, abbiamo cibo e alcool, ma dovrai cercare il tutto. Quest’oggi metterai a dura prova le tue abilità di ladro, oltre che tutto quello che hai imparato durante l’addestramento.»

«Sembra interessante!» si entusiasmò il giovane.

‹Pare ti abbia preparato una caccia al tesoro.› fece notare Rorix.

‹Eh già! Me lo fece anche Keira due anni fa, il mio miglior compleanno, senza contare quello scorso, chiaramente, quando ho toccato il tuo uovo. Alea ha capito perfettamente, in meno di un anno, cosa mi piace.›

‹Due anni fa il premio finale era proprio Keira che ti aspettava a letto, giusto?›

‹Esatto. Chi sa se Alea ha preparato lo stesso tipo di regalo...?› sorrise malizioso.

‹Ne dubito altamente.›

‹Sì, anch’io.›

«Eccoti qui gli indizi per trovare cibo e bevande. Cosa vuoi cercare per primo?» disse Alea porgendo due fogli di carta.

«Il cibo. Perché se trovo subito degli alcolici, mi metto a bere fin da ora!»

«Va bene, allora leggi prima il foglio di sinistra. Noi intanto andiamo a metterci in posizione.»

Mentre gli altri tre si alzavano, Siirist, assieme ai draghi, rimase sulla spiaggia a leggere il foglio con le indicazioni per la prima fase della caccia al tesoro. Era seduto a gambe incrociate e Rorix aveva infilato la testa tra il braccio e la gamba destri, volendo leggere anche lui per conto suo.

‹La cosa è molto interessante.› sorrise eccitato il ragazzo.

Era da tanto che Siirist non provava quella sensazione. Era percorso da brividi, l’adrenalina che già scorreva copiosa nel corpo. Il sorriso che gli deturpava il viso era quasi diabolico, gli occhi brillavano. Finalmente tornava a rubare. Ma non si sentiva come durante l’esame della Gilda, dove era osservato e doveva stare attento a non mettere in pericolo tutta l’organizzazione, piuttosto si sentiva come prima dei furti a Skingrad. Era una sfida per lui e solo lui, niente esaminatori, niente giudizi. Ve ne erano solo due: vittoria o fallimento. Si sentiva come quando, l’anno prima, organizzò il piano per liberare il demone grem dalla prigione di Skingrad.

Dal corpo del ragazzo si liberò un’ondata di energia che mosse leggermente la sabbia, creando dei piccoli cerchi concentrici che la allontanavano da lui.

 

 

 

~

 

 

 

Come al solito, ho cambiato il titolo perché mi aspettavo di mettere tutto in un capitolo, ma poi mi sono trovato a scrivere troppo e ho dovuto dividere.

 

Ringraziamenti:

1)  Banko/Zack. Come hai visto da questo capitolo, i rapporti tra Siirist e il “suocero” (nd di Rorix. XD) sono dei peggiori. Chiaramente ricomparirà in futuro, e sarà anche peggio! Oltre a questo, non so che dire, anche perché devo uscire ora (c’è un mio amico che sta aspettando fuori di casa!) e mi sto sbrigando apposta per poterti inviare ora la mail!

 

Il prossimo capitolo si intitola CACCIA AL TESORO. Per motivi tecnici, non potrà essere pubblicato prima di domenica 8 settembre, per cui ci si ritrova fra più di un mese.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** CACCIA AL TESORO ***


 

CACCIA AL TESORO

 

In questa gara è proibito l’uso di alcuna arte mistica e di armi. Raggiunto il punto ove è custodito il tesoro, vi sarà un guardiano a difenderlo. Sconfiggilo e avrai superato sfida.

Il sentiero precedentemente intrapreso

tu nuovamente devi percorrere.

E quando, nel cuor della foresta, crederai di esserti perso

udirai il richiamo di una fanciulla da soccorrere.

Corri rapido, corri lesto

ma la terra non sarà tua amica.

Attenzione anche agli alberi

e arriva in men che non si dica.

 

Quella sorta di filastrocca doveva nascondere gli indizi necessari per trovare il cibo della festa? A Siirist pareva tanto stupido che Alea si fosse sforzata tanto, gli sarebbe bastata un’indicazione detta a voce del tipo: “Da quella parte”, ma gli faceva piacere vedere quanto la fanciulla ci tenesse. Il ragazzo allora ritornò al sentiero e dopo un po’ che lo percorreva trovò sulla sinistra una deviazione che si addentrava sempre più fra gli alberi.

‹Deve essere da questa parte.›

Allora, scansando le fronde che gli si paravano davanti o piegandosi per evitare i rami più spessi, Siirist entrò nella zona di gara. La frase “ma la terra non sarà tua amica” non lo convinceva particolarmente, in quanto aveva un suono pericoloso. Si aspettava trappole di ogni tipo, per cui si muoveva con attenzione, controllando sempre dove mettesse i piedi, dove appoggiasse le mani. Il secondo verso che gli dava da pensare era “udirai il richiamo di una fanciulla da soccorrere”: possibile che Alea avesse coinvolto altre ragazze nel suo regalo di compleanno? Altamente improbabile. Anzi, impossibile. Il solo pensarci lo fece ridere e Rorix non poteva essere più d’accordo.

‹Tu cosa credi che significhi?›

‹Io lo so, è diverso. Ma se anche non sapessi tutti i dettagli di questa caccia al tesoro, avrei dei sospetti su cosa possa significare. E si dia il caso che i miei sospetti sarebbero confermati.›

‹Di cosa stai parlando?›

‹Se fossi stato attento anche alle lezioni noiose di Althidon, avresti anche tu qualche idea su cosa significhi.›

‹Come, scusa?›

‹Non ti dico altro, perché se no rovino il gioco ad Alea.›

‹Drago traditore.›

‹Che, hai paura di non farcela da solo? Che razza di ladro sei?›

‹Che, provochi?›

‹Un pochino. Ti dico solo che devi fare attenzione a dove cammini, ma tanto l’avevi già capito.›

‹Immagino ci siano molte trappole.›

‹Esattamente.›

‹Preparate con la magia o no?›

‹Alea non sa preparare trappole se non con la magia.›

‹Dannazione. Trappole comuni sono semplici da individuare, quelle magiche non lo sono affatto, invece!›

‹Ma di che ti lamenti? Sono almeno tre mesi che lavori su centinaia di trappole diverse, sul seguire piste e tutto il resto! L’esame della Gilda dei Ladri non è più tanto lontano! Questa caccia al tesoro è proprio ciò di cui avevi bisogno per vedere se tutti i tuoi allenamenti hanno dato i loro frutti!›

‹E come darti torto? Certo che è strano che non sia mai venuto quaggiù ad allenarmi, questa foresta è fittissima!›

‹Ma se approfittavi di ogni momento libero per scendere giù al villaggio e “scaricarti”! Pretendi anche di trovare il tempo di allenarti seriamente oltre che come Cavaliere?›

‹Ma almeno so tutto quello che c’è da sapere su un centinaio di Cavalieri! E poi vedere quei bastardi della quinta brigata impazzire perché “perdevano” uno dopo l’altro i loro averi, o farli inaspettatamente “inciampare” era meglio che venire qui e catturare qualche animale! Soprattutto perché qui gli animali sono molto speciali e – ›

Il filo di pensieri di Siirist fu improvvisamente interrotto quando fu come colto da un lampo.

‹Oh, hai finalmente capito cosa significa quel verso? Allora stavi ascoltando, dopotutto!› sorrise soddisfatto, seppur sorpreso, Rorix.

‹Ricordo che Althidon una volta ci ha parlato di un particolare uccello che emette un richiamo peculiare...›

‹Davvero? Non l’avrei mai detto!›

‹Parcanico: uccello tipico di Vroengard e delle isolette circostanti. Piumaggio variopinto, rosso, giallo, verde, azzurro, arancione e rosa, con un grande becco giallo con striature nere, zampe arancioni, occhi marroni e una grande cresta viola. Vive in comunità dal numero variabile, da quattro membri fino a dodici, ma ognuno distante l’uno dall’altro di almeno venti metri. Amano alberi alti e grandi, e sono molto protettivi della loro casa, perciò impediscono a chiunque di avvicinarvisi. Ma ogni parcanico fa sempre in modo di trovare casa nelle vicinanze di una radura, luogo dove si dirigono una volta al mese per il rituale di accoppiamento.›

‹Mi sorprendi, mio Cavaliere!›

‹Drago inutile e scettico, per chi mi hai preso?›

‹Per un dongiovanni alcolizzato e perditempo. Fortuna che almeno non hai il vizio del gioco!›

‹Perché avrei iniziato a rubare, secondo te? Sei anni fa avevo perso dei soldi ai dadi contro uno strozzino che ha minacciato di uccidermi se non gli avessi portato la sua vincita, perciò, disperato, li ho rubati e glieli ho dati.›

‹Cosa?! Non lo sapevo!›

‹Sì, era molto tempo fa. Ma grazie a quell’avvenimento ho scoperto quanto sia divertente fare il ladro, per cui mi sono trovato un nuovo hobby!› sorrise a trentadue denti.

‹A undici anni... – Rorix era incredulo. – E a chi li avevi rubati? Ai tuoi genitori? Se era la tua prima volta, dubito sia stato qualcuno di molto importante e sorvegliato – ›

‹Allo strozzino stesso! Hehe!› lo interruppe fiero di sé il ragazzo.

‹Perché ho chiesto...?›

Ancora gongolante, il giovane mise il piede sopra una radice, spezzandola. Istantaneamente fu percorso per tutto il corpo da una sensazione spiacevole. La conosceva, l’aveva già provata molte altre volte, almeno un migliaio, ogni volta che affrontava un incantesimo. Dopo tutto quel tempo aveva finalmente iniziato a capire la sua origine: direttamente dal Flusso vitale. Esso reagiva, lo avvisava ogni volta che veniva attivato un incantesimo pericoloso nelle vicinanze.

‹Merda.›

Troppo tardi. Il secondo che passò tra il calpestare la radice ed il realizzare cosa stesse per succedere era più di quanto gli era concesso. L’enorme esplosione innescata dalla radice spezzata lo colpì, anche se solo di striscio, nonostante fosse subito balzato indietro.

‹Dannata Alea, vuoi forse uccidermi?!›

In aria Siirist roteò all’indietro su se stesso, atterrando poi sul tronco di un albero, da cui poi si sarebbe semplicemente lasciato cadere a terra. Ma nuovamente avvertì uno sconvolgimento nel Flusso mentre sentiva la corteccia tremare. Balzò con forza in avanti per evitare una seconda esplosione che però non avvenne: la trappola questa volta consisteva in un’estensione dell’albero a forma di lama, che con velocità sconvolgente puntò verso il biondo. Egli se ne accorse appena in tempo e portò tutto il suo peso sul lato mancino, avvitandosi verso sinistra. Dopo svariati avvitamenti, toccò terra con il busto in avanti, reggendosi sulle punte dei piedi e la mano sinistra, la destra sollevata, pronta a reagire. Delle radici spuntarono violentemente dal terreno proprio sotto all’addome di Siirist, il quale le evitò agilmente appoggiando la destra a terra e portando tutto il peso del corpo su quel lato, spingendo poi facendo forza su polpaccio, bicipite e deltoide. Roteò in aria su se stesso una decina di volta prima di toccare nuovamente terra.

‹Non è possibile!›

Una nuova trappola si era attivata e questa volta si trattava di spunzoni di terra indurita, abbastanza forti da penetrare l’acciaio. Saltò venti metri verso l’alto, arrivando ad evitare ampiamente gli spunzoni.

‹Adesso basta!›

La rabbia che stava provando gli infiammò l’animo e stava per dar fuoco alle sue mani, pronto poi a colpire ogni ramo, pietra, radice che lo avesse attaccato.

‹Fermo!› chiamò improvvisamente Rorix.

‹Come?›

‹Sono vietate le arti mistiche e le armi in questa sfida! Cosa pensi di fare?!›

‹Merda! Giuro che quella lì mi sentirà dopo oggi!›

In aria roteò all’indietro in modo da non impalarsi nelle rocce acuminate che lo attendevano a terra. Ritornato al suolo, tirò un sospiro di sollievo quando finalmente non si attivò nessuna altra trappola.

‹Adesso cerca di stare attento.›

‹Ma no? Sembra che mi voglia uccidere, quella maledetta!›

‹L’hai già detto.›

‹Ma è ovvio! Ad ogni passo che faccio trovo trappole mortali! Vuole che la incenerisca?!›

‹Non lo faresti mai.›

‹Già, appunto, è quello il problema! La stronza ci conta troppo!›

‹Smetti di lamentarti come una ragazzina piagnucolosa e arriva a trovare il tuo tesoro.›

‹Effettivamente mi sta venendo una fame da lupo. Farò fuori tutto il cibo e non ne lascerò nemmeno una briciola agli altri! Così imparano! Hahaha!›

‹Sei sempre il solito...› il drago scosse la testa sbuffando.

‹Chiaro!›

Siirist stava scavalcando una grande radice che spuntava dal terreno quando fu sorpreso da un terrificante urlo: come di una ragazza terrorizzata. Il giovane sorrise.

‹Era ora.›

Eccitato, corse in avanti fino a che non notò dei movimenti in cima ad uno degli alberi a cui si stava avvicinando. Allora piegò le gambe e caricò il suo salto, per poi spiccare un balzo di cinquanta metri, con cui raggiunse la folta chioma. Non passarono nemmeno tre secondi che fu attaccato dal bizzarro uccello che vi viveva, ma il ragazzo se lo stava aspettando e afferrò il grosso becco giallo con la destra prima che potesse fargli del male. Il parcanico si indispettì e si agitò furiosamente, guardando storto l’umano.

Tranquillo, non voglio farti del male. Sono solo di passaggio.

Le parole, che avrebbero dovuto tranquillizzare l’animale, non sortirono l’effetto desiderato, ed esso continuò ad agitarsi nervosamente.

‹Non sei ancora così bravo a comunicare con gli animali, a quanto pare.›

‹È la prima volta che ci provo. Potrebbe anche calmarsi un po’, però, non credi?›

‹Cerca di capirlo, gli hai invaso il territorio. E non è che tu lo stia trattando proprio bene.›

Siirist, in piedi su un grande ramo, continuava ad osservare l’uccello che agitava le ali a mezz’aria, impossibilitato però a muoversi perché il ragazzo continuava a tenerlo per il becco.

‹Se lo lascio andare, mi attacca. Ma non posso certo portarmelo dietro. E poi è una specie protetta, per cui non posso fargli male.›

Il parcanico incominciò a lamentarsi, ma i suoi richiami non erano più quelli di una fanciulla urlante, in quanto il becco era serrato, piuttosto ricordavano più quelli di una ninfomane che mugolava a letto. Lo sguardo di Siirist si perse nel vuoto, mentre un sorrisino ebete si disegnava sul volto.

‹Ti pare il momento di pensare a certe cose...?› il drago non sapeva più che pensare del suo Cavaliere.

«Ah, zitto, sei fastidioso!» sbraitò.

Il giovane si riprese e, alterato, scagliò l’uccello giù dall’albero, mandandolo a sbattere contro il suolo.

‹Non era un specie protetta, scusa...?›

‹E chi se ne frega! Era rumoroso!›

Siirist si accovacciò nella sua solita posizione pensante, per elaborare il piano giusto per continuare la sua avanzata. Prese dalla tasca il foglio datogli da Alea: “vi sarà un guardiano a difenderlo”. Chi sa che tipo di mostro aveva preparato? Niente armi o arti mistiche. Certo, Siirist era forte a mani nude, ma qualche fiammetta gli avrebbe sicuramente fatto comodo. Attentamente, il ladro osservo la fitta foresta che aveva davanti, analizzando ogni percorso possibile.

‹Se nella filastrocca era presente il parcanico, vuol dire che esso è un’indicazione per farmi capire che sto andando nella giusta direzione. Ma non era detta che arrivassi per forza a questo albero, perciò ne avrei potuti incontrare altri. Ciò significa che la mia meta si trova al centro della zona dei parcanici. La radura!›

‹Allora anche tu sai fare quella cosa chiamata “ragionamento”! Pensavo fosse un prerequisito di draghi e elfi!›

‹Che vuoi dire...?›

‹Tu e Gilia non avete mai mostrato più di tanto un’abilità del genere!›

‹Quando la finirai di sfottere?›

‹Quando riuscirai a battere Evendil.›

‹Ah, bene! Quindi devo aspettarmi di venire tormentato ancora a lungo!›

‹Naturale!› rise Rorix.

Sapendo di dover raggiungere una radura, Siirist saltò di ramo in ramo fino ad arrivare al più alto di tutto l’albero, da cui poi caricò il balzo, lanciandosi in avanti, sorvolando i vari alberi sottostanti. Ripeté l’operazione due volte, ma la seconda non andò liscia come le due precedenti, infatti Siirist si era dimenticato di un altro dei versi, che gli ritornò istantaneamente in mente, anche se troppo tardi: “attenzione anche agli alberi”. Le foglie cominciarono tutto d’un colpo a vibrare, per poi staccarsi e volare contro il ragazzo.

‹Hanno un aspetto tagliente, tu che credi?› ridacchiò l’Inferno.

‹Fai silenzio!› si arrabbiò il Cavaliere.

Balzò subito verso terra, attivando altre trappole ad ogni suo passo, ma questa volta intenzionalmente, poiché le foglie lo seguivano, e poteva essere fermate solo da improvvise barriere, come i vari spunzoni di roccia che spuntavano dal terreno per impalare Siirist, o i numerosi rami assassini. Ma nonostante si sforzasse tanto per liberarsi definitivamente di tutte le foglie, solo una piccola parte fu intercettata, ed il grosso continuava ad inseguire il povero malcapitato.

«Quanto le vorrei bruciare! Maledetta elfa sadica!» urlò furente, gli occhi ardenti e scintille che scaturivano dalla gola.

Tutto d’un tratto, Siirist notò della luce davanti a lui ed accelerò il passo, saltando poi fra gli alberi e tuffandosi di pancia nella radura. Le foglie seguirono e stavano minacciosamente fendendo l’aria sopra la schiena di Siirist, quando questi sentì una voce conosciuta:

«Che le foglie diventino cenere! » e vennero subito polverizzate da varie scariche elettriche.

‹Eh?›

Siirist alzò lo sguardo e vide davanti a sé un grandissimo tavolo imbandito di ogni ben di dio, sul quale stava allegramente seduto Gilia, che si mangiava felicemente una mela. Lo sguardo del biondo andò subito sulle due lance accanto all’altro.

«Pensavo che le arti mistiche fossero proibite in questa gara.» esclamò Siirist alzandosi e pulendosi i vestiti.

«Nella prima fase, sì. In questa lo è solo la stregoneria. E ci è permesso usare una lancia. Alea ha scelto un’arma in cui nessuno dei due è particolarmente bravo.»

«Quindi adesso posso usare la magia...?» la voce di Siirist tremava dall’emozione.

«Sì.» sorrise Gilia.

Un sorriso di sfida, arrogante, desideroso di divertimento.

«Oh sì, ora sono tutto un fuoco!» sorrise di gusto Siirist.

I pugni stretti, la bocca storta in un ghigno, gli occhi lampeggianti. L’aria attorno al ragazzo si incendiò, mentre fiamme uscivano sempre più abbondanti dalla bocca, le mani ne erano avvolte.

«Tieni certi commenti per le signore.» rispose Gilia emozionato.

Afferrò una lancia e la scagliò ai piedi dell’amico, per poi impugnare l’altra.

«No, amico mio, questo fuoco è tutto per te!»

Siirist scattò verso l’altro, afferrando con la destra l’asta, facendola roteare e passandola poi nella sinistra. Le due aste metalliche si scontrarono, una avvolta da fiamme, l’altra da scariche elettriche, producendo grandi scintille. Furono scambiati numerosi colpi, ma nessuno arrivò a colpire il bersaglio, in quanto entrambi si tenevano perfettamente testa. Ma il modo d’uso della lancia era più adatto allo stile di combattimento di Siirist che a quello di Gilia, perciò dopo una decina di minuti di scontri, questi incominciò a trovarsi in svantaggio. Non volendo darla vinta al biondo così facilmente, il moro fu costretto ad usare più magia, per quanto fossero lenti nell’esecuzione, poiché nel tempo libero si era solo allenato con la stregoneria, e non a creare incantesimi predefiniti.

Con un montante dato con la parte posteriore della lancia, Siirist ruppe la difesa avversaria, per poi attaccare con un calcio laterale che colpì Corvinus in pieno petto, lanciandolo indietro. Ryfon non perse tempo e balzò in alto, ricadendo poi velocemente con un fendente.

«Non così in fretta! Che la terra eriga una barriera contro il suo attacco!»

Un’alta parete di roccia spuntò rapidamente dal terreno ed andò a frapporsi tra la lama del biondo ed il corpo del moro.

‹Dannato!› ringhiò quegli.

«Che il lampo diventi la mia velocità!»

Con orrore, Siirist vide la sagoma contorta e crepitante di Gilia, muoversi a velocità sconvolgente verso destra, per poi andarsi a scontrare con lui con un sottano manco dato con il dietro dell’asta e portato con la sinistra. Rotta la guardia dell’amico, il Cavaliere d’Incubo lasciò la presa con la sinistra e portò indietro il braccio destro per caricare poi il suo affondo, che colpì di striscio il fianco sinistro dell’altro, il quale era a malapena riuscito a schivare, spostandosi verso destra. Ma la lama della lancia, elettrizzata, ferì comunque gravemente il festeggiato, che cadde a terra, tenendosi la ferita con la destra, sentendo il sangue fuoriuscire sempre più abbondante.

«Mi complimento con te. Nonostante il mio incremento di velocità grazie al fulmine, sei comunque riuscito a schivare il mio attacco. Ma forse è solo merito dei douriki di Rorix. Hai ancora molto da allenarti, amico!»

«Che parole spavalde! Qualcosa del genere me lo può dire solo Evendil, non certo tu! Tu che stai per perdere!» rispose a tono.

«Pensi davvero di poter vincere con quella ferita? Il mio fulmine l’ha resa estremamente dolorosa, e poi stai perdendo molto sangue. Se ti sapessi guarire sarebbe tutto a posto, ma da quello che so sei una frana in magia organica, o sbaglio?»

«“Dolorosa”?! Non farmi ridere! In confronto a quello che ho provato con il fuoco di Rorix, questo bruciore è solo solletico!»

Siirist strinse i denti in preda all’agonia quando infiammò la mano destra sulla ferita, cauterizzandola in pochi secondi.

«He!» esclamò soddisfatto, sudando ampiamente.

«Non mi aspettavo una mossa del genere da parte tua.» sorrise Gilia.

«Allora hai ancora tanto da meravigliarti!»

Siirist scattò nuovamente verso l’altro, avvolto da fiamme sempre più calde. Il moro, suo malgrado, era nuovamente stato coinvolto in uno scontro ravvicinato, e questa volta lo trovava anche più impegnativo. Non capiva come fosse possibile. Siirist si muoveva sempre con maggiore velocità, con maggiore grinta, come se stesse recuperando le forze, come se il dolore causato dalla ferita non fosse niente, come se l’essersela cauterizzata fosse uno scherzo di tutti i giorni. D’altro canto lui si sentiva sempre più stanco, sudava sempre di più. Quelle fiamme erano insopportabili. Non riusciva nemmeno a respirare.

«Che si alzino i...»

Cercò disperatamente di lanciare un incantesimo per contrastare quell’inferno, ma la bocca era troppo secca, e dopo le prima parole, uscì solo un rantolo soffocato. Intanto tutta la radura stava andando in fiamme, ed esse avevano anche raggiunto il limitare, incendiando gli alberi. Numerosi uccelli si levarono dalle chiome e volarono via.

‹Occhio a non esagerare, stai per dar fuoco al banchetto!› Rorix richiamò il suo Cavaliere.

‹Ma neanche morto!›

Con un calcio assestato in testa a Gilia, Siirist lo atterrò, per poi concentrarsi sulle fiamme che avevano ormai perso il controllo. Era la prima volta che faceva qualcosa del genere, per cui ci volle tutta la sua concentrazione. Ma non era sufficiente. Questa volta aveva pure bisogno di utilizzare le parole.

«Che tutte le fiamme ritornino verso di me e si concentrino sul palmo della mia mano.»

Siirist alzò il braccio sinistro in direzione di Gilia, il quale si stava rialzando, la mano aperta a forma di coppa, e sopra al palmo si stava formando una sfera fiammeggiante. Venti secondi dopo, tutte le fiamme vi si erano concentrate ed essa, del diametro di dieci centimetri, emanava un calore ed una potenza incredibili. Gilia era sbigottito.

«Cinquantamila douriki. Sei sicuro di voler continuare?»

Il moro si guardò intorno con orrore: ogni punto che era stato anche solo toccato dalle fiamme era oramai scomparso, nemmeno la cenere era rimasta, persino la terra era stata arsa, e come prova vi erano solchi profondi molti metri.

«No grazie, vorrei vivere ancora un altro po’.» ridacchiò, accasciandosi a terra.

«Hehe!»

Siirist riassimilò la sfera di fuoco per poi crollare lui stesso, soddisfatto.

«A questo giro ti ho massacrato!»

«Solo perché ti ho dato tempo di guarirti! Prossima volta non sarò così clemente! Ma d’altronde oggi è il tuo compleanno!»

«Prossima volta non mi farò colpire. E se dovesse succedere, farò in modo di guarirmi all’istante.»

«Hai sprigionato un potere incredibile con la tua magia involontaria!»

«Non era del tutto involontaria. L’ho volutamente liberata, ma l’energia è nata dal mio entusiasmo.»

«Capisco. E ora?»

«Ora si mangia!»

 

Evendil era comodamente seduto con gambe e braccia incrociate sul fondale marino, la schiena appoggiata ad uno scoglio.

Sviluppo interessante, non trovi?

Molto.› rispose Alea.

Ha recuperato le energie con il fuoco. I suoi poteri mi stupiscono sempre di più. Fortuna che contro di me non potrà fare lo stesso!› commentò l’elfo, guardandosi intorno ed osservando tutta la massa d’acqua che lo circondava.

Anche se potesse, tu non avresti problemi a metterlo in riga. Credi che si sia reso conto di quello che ha fatto?

Che si sia rigenerato con il fuoco?

Hm.› annuì ella.

Molto improbabile. Anzi, direi che è da escludere completamente. Sai che razza di testa calda sia. Sarà stato troppo eccitato per lo scontro e nemmeno si sarà accorto di quello che gli succedeva intorno. Anzi, mi sorprende che abbia fermato in tempo le fiamme prima che divorassero il tavolo del cibo! Ma forse il suo istinto animalesco è così forte che lo ha avvisato quando il cibo era in pericolo!› scherzò.

Tu ridi, se avesse sprecato le mie torte di mele lo avrei ucciso! Sono stata sveglia tutta la notte per prepararle!› strinse i pugni Alea.

Calmati! Sento da qui la tua rabbia! Stai facendo scappare gli animali! Quel povero coniglio ti si era avvicinato tanto teneramente, o ora l’hai terrorizzato!

È incredibile come tu riesca a percepire la presenza di forme di vita così precisamente anche a questa distanza!› si meravigliò la fanciulla.

Vedrai che imparerai presto anche tu a farlo. Imparerete tutti e tre. Ma non vedo l’oro di vedere Siirist all’opera, sarà un completo fallimento! Ci metterà tre secoli!

Allora fortuna che abbiamo vita lunga!

Sinceramente non so se sarà abbastanza per lui!

Ed entrambi risero.

 

«Bene, ora tocca trovare le bevande. Effettivamente mi è venuta una certa sete.» constatò Siirist.

Aveva finito di mangiare ed aveva recuperato le forze. Ma la quantità di cibo disponibile pareva essere invariata.

«Alea ne ha preparato veramente tanto. Mi dispiace, ma se vorrai bere, dovrai sbrigarti a finire la seconda caccia.»

«Potrei crearla con la magia?»

«Non sei abbastanza bravo con l’elemento acqua per poter creare dell’acqua potabile! Rischieresti di avvelenarti!» lo riprese Gilia.

«Allora fallo tu.»

«Nemmeno io.»

«È ridicolo, siamo entrambi bravi in elementi che fanno venire sete, ma che non la possono placare!» si lamentò Siirist.

«Sì, fulmine e fuoco, che accoppiata!»

«Va beh, sarà il caso di sbrigarsi, allora, ho la gola secca.»

«No, aspetta, prendi questo.» disse Corvinus allungando la mano che teneva un foglietto.

«Cos’è?»

«Metà dell’indizio per trovare il terzo tesoro, che non so cosa sia, è il regalo che ti ha fatto Alea.»

«Ah già, è vero! Con tutta l’eccitazione della caccia al tesoro, mi ero dimenticato che Alea mi aveva anche preparato un regalo!»

«Si è impegnata davvero molto, eh?» osservò il moro.

«Eh già.» rispose pensieroso il biondo.

I due si salutarono e Siirist ripartì verso la foresta, sedendosi poco dopo su una radice.

‹Che aspetti?› domandò il drago.

‹Dovrò pur leggere le indicazioni, no?›

 

In questa gara è proibito l’uso di armi e di qualunque arte mistica ad eccezione della magia. Raggiunto il punto ove è custodito il tesoro, vi sarà un guardiano a difenderlo. Sconfiggilo e avrai superato sfida.

Nell’ignoto mistero ti dovrai avventurare,

là dove tutto è buio e la luce è solo un distante riflesso.

Sarai a disagio e sarà un problema respirare,

ma in questa avventura ti dovrai tuffare lo stesso.

Il fuoco non è efficace ed il fulmine è sconsigliato,

se davvero li vorrai usare, significa che sei malato.

Segui i miei consigli e sarai fortunato;

e ricorda che potrai stappare la bottiglia solo dopo che sotto la sabbia avrai guardato.

 

Siirist lesse tutte le indicazioni, per poi rimanere incerto. Gli indizi erano così chiari, che aveva già capito dove sarebbe dovuto andare per trovare il suo secondo tesoro, il che era un bene, ma allo stesso tempo, Siirist doveva avventurarsi nell’elemento che avrebbe negato ogni sua capacità magica.

‹Quella mi vuole morto.›

‹È una possibilità, sì.› concordò Rorix.

Sempre più sicuro che l’elfa stesse complottando per ucciderlo, Siirist si incamminò verso la spiaggia, raggiungendola dopo qualche minuto. Lì vi trovò i tre draghi, interessati più che mai alla vicenda. L’Inferno si alzò, si stiracchiò un poco per poi avvicinarsi al suo Cavaliere.

‹Che c’è?›

‹Sei sicuro di volerlo fare?›

‹Certo.›

‹Potrebbe essere rischioso.›

‹Dovresti sapere ormai che non sono il tipo che si tira indietro.›

‹Lo so, ma buttarsi a capofitto nell’oceano, quando non sei tanto bravo con incantesimi d’acqua è troppo azzardato anche per te!›

‹Niente è troppo azzardato, mio caro drago. Il mio unico dubbio è come respirare. Potrei creare una bolla d’aria attorno alla testa, oppure farmi spuntare le branchie. Ma entrambi questi incantesimi sono fuori dalla mia portata.›

‹Vero. Con il vento sei bravino, ma mantenere per un lungo periodo un incantesimo come una sfera d’aria per respirare è difficile, non dovresti lasciarlo nemmeno per un istante. E non parlerò nemmeno della tua abilità con la magia organica.›

‹Appunto. Ti viene in mente nessun uso del fuoco per respirare? E comunque non potrei usarlo, perché sott’acqua svanirebbe, non ci pensavo. Dannazione, questa è proprio complicata.›

‹Non so se può essere utile, perché non sono andato a controllare, ma ho visto Alea lasciare qualcosa da quella parte, in mezzo a quegli scogli.› disse dopo un po’ Rorix.

‹Davvero?!›

Siirist si illuminò e guardò dove gli diceva il drago, notando verso l’orizzonte un ammasso di scogli. Senza aggiungere altro, ci si fiondò, nuotando a stile libero a tutta velocità. Raggiunto l’agglomerato di rocce, vi ci salì, cercando poi qualunque oggetto che fosse fuori posto. Sorrise quando trovò un foglio con su scritto un incantesimo.

‹Oh bene, una pergamena!›

La lesse prima mentalmente, per accertarsi dell’effetto della magia, per poi recitarla ad alta voce.

«Che io possa respirare sott’acqua per trenta minuti!»

Finita di dire l’ultima parola, il foglio si dissolse, mentre il collo del ragazzo incominciò dapprima a formicolare, poi a bruciare, infine su sconvolto da un’orribile sensazione, come se carne e pelle si stessero lacerando. Digrignando i denti per il dolore, Siirist si tenne i punti doloranti con entrambe le mani fino a che non sentì sotto ai polpastrelli degli strani tagli, ma niente sangue, ed il dolore improvvisamente svanì.

‹Non saranno mica... branchie?! Incredibile, ho avuto la sua stessa idea! Allora non sarei poi così male come mago, le idee non mi mancano!›

‹Già che è stata ad organizzarti la festa, ti pare pure che stesse a pensare a qualche modo originale per farti respirare sott’acqua? Comunque ti ricordo che l’effetto dell’incantesimo è a tempo determinato, hai solo mezz’ora. E hai già sprecato un minuto.›

‹Hai ragione. Bene, io mi tuffo!›

Siirist si buttò di testa nell’acqua, scalciando sempre più verso il fondo, per poi prendere una bella boccata a pieni polmoni. Si sentì male e ritornò rapido in superficie, tossendo anche l’anima.

‹Ma che succede?! Non dovrei riuscire a respirare sott’acqua?!›

‹Hai respirato con la bocca, cretino! Devi usare le branchie! Perché ce le avresti se no?!›

‹Pensavo avrebbero funzionato automaticamente.›

‹Ho un Cavaliere deficiente.› scosse la testa sconsolato il drago rubino.

‹Ah sì? Allora dimmi un po’, genio, come si usano?›

‹E io che ne so! Mica ce le ho! Riesci a respirare anche fuori dall’acqua, questo vuole dire che il tuo normale sistema respiratorio è rimasto invariato, semplicemente ti si è aggiunta questa altra capacità. Anziché respirare dalla bocca o dal naso, fallo dalle branchie. Sentile come parte del tuo corpo, impara a controllarle.›

‹Ora ci provo.›

‹Ma fallo sotto! Se no non riuscirai a respirare e soffocherai!›

‹Giusto.›

‹A volte mi sorprendi per la tua stupidità.› si depresse ancor di più Rorix.

Siirist mise la testa sotto la superficie e con tutte le sue forze tentò di concentrarsi sulle branchie, in modo da farle funzionare. Dopo qualche minuto di estenuanti sforzi, vi riuscì, anche se l’operazione risultava tutto tranne che naturale, e ogni tanto capitava che respirasse dalla bocca, ma era in grado di ributtare fuori l’acqua dai polmoni grazie alle branchie.

‹Hai perso ben oltre dieci minuti. Sbrigati ora.› fece notare l’Inferno.

‹Lo so bene!› rispose nervoso il biondo.

Ryfon si immerse, andando sempre più in profondità, raggiungendo all’incirca una profondità di cento metri, muovendosi ad alta velocità. Fu allora che si rese conto del pericolo della situazione e di quanto fosse stato incosciente ad immergersi così tanto e a quella rapidità. Si fermò a pensare e a controllare che stesse bene. Ed effettivamente non aveva alcun problema agli organi interni, nessun mal di testa, non gli facevano nemmeno male le orecchie, inoltre anche la vista era perfetta.

‹Come è possibile? La pressione dell’acqua dovrebbe essere schiacciante!›

Colto da un’illuminazione, comprese improvvisamente quanto fosse effettivamente potente l’incantesimo di Alea. Non gli aveva solamente dato delle branchie, ma aveva adattato il suo intero corpo a vivere sott’acqua. Ma nonostante ciò, non aveva avuto problemi a respirare all’aria aperta.

‹Il mio corpo è capace di vivere contemporaneamente sia fuori che sotto l’acqua, anche a questa profondità...! Sono stato un idiota a credere che la mia idea fosse al livello di quella di Alea! È incredibile, la sua capacità con la magia organica è impressionante!› restò ad ammirarla per qualche momento.

‹Ti vorrei ricordare che l’incantesimo ha una durata complessiva di mezz’ora, ed hai già perso quasi venti minuti!›

‹Lo so. Diciassette e trentadue secondi, per l’esattezza. Ora sono trentacinque.›

‹Sì, va beh, sbrigati!›

Siirist aveva ormai raggiunto il fondale e la luce incominciava a scarseggiare.

‹Beh? Non vedo niente.›

‹Che ti aspettavi di trovare?›

‹Evendil con le bottiglie.›

‹Perché per forza Evendil? E pensavi davvero che sarebbe stato così facile trovare il tesoro?›

‹Suppongo ci sia Evendil perché le prove sono tre. Durante la prima c’era Gilia e all’ultima immagino troverò Alea, dunque rimane solo lui. E trovare la pergamena già sarebbe stato difficile, credevo che il tesoro fosse nelle vicinanze di questi scogli.›

‹Ma ti ho detto io di cercare qui! Logicamente la vera caccia inizia solo ora!›

‹Ah, quindi era calcolato che mi aiutassi...? Credevo che lo stessi facendo in veste di drago fedele!› si deluse Siirist.

‹Illuso!› lo derise l’Inferno.

Insultando il compagno, il giovane incominciò a nuotare intorno attorno alle rocce in cerchi concentrici, sicuro che comunque il primo indizio si trovasse lì intorno. Quando finalmente la sua attenzione fu colta da una conchiglia stranamente giallo brillante, si avvicinò curioso.

‹I colori sono quasi del tutto inesistenti. Cosa significa questo?›

La prese in mano e la esaminò attentamente, fino a che non notò che era circondata da energia magica.

‹Elemento luce. Perfetto, ecco il primo indizio.› sorrise soddisfatto.

Rimise a posto la conchiglia nel punto in cui l’aveva trovata e guardò verso gli scogli, per poi allinearsi con essi.

‹Da quella parte.›

Veloce calciò nella direzione opposta, percorrendo all’incirca duecento metri, fino a che non raggiunse un secondo gruppo di rocce, anche esse grandi come il primo, che aggirò e continuò nella sua nuotata. Passarono però cinque minuti, ed il ragazzo non aveva più trovato nessun indizio.

‹Com’è possibile?› si preoccupò.

‹Attento, hai solo sette minuti rimasti.›

Digrignando i denti per l’irritazione, Siirist cercò di pensare a cosa potesse aver sbagliato.

‹Ma certo!›

Rapidamente ritornò verso gli ultimi scogli incontrati, attorno ai quali nuotò come aveva fatto precedentemente. Trovò in poco una conchiglia rossa, per poi proseguire nella direzione in cui essa puntava. Dopo altri centoventi metri, si fermò di colpo percependo dell’energia vitale. Immobile, chiuse gli occhi concentrandosi, cercando di capire che tipo di creatura avesse davanti. Siirist odiava farlo, gli esercizi mentali erano i più difficili in assoluto per lui; detestava concentrarsi troppo. Era il tipo di persona dalla mente arguta, che pensava in fretta ed amava improvvisare: stare a meditare tutto il tempo era semplicemente insopportabile. Eppure doveva farlo, imparare a percepire le forme vitali e vedere con la mente altri luoghi era un’abilità importante per un buon Cavaliere, o per un mistico in generale. Il ricordo di Evendil che lo importunava mentre si trovava nella galleria segreta sotto al castello di Anvil gli ritornava ogni volta che si allenava. Ma era inutile, lui non era nemmeno lontanamente così bravo. Il massimo che riusciva a visualizzare il suo occhio mentale era uno sfondo nero in cui si intravedevano alcune sagome dei vari oggetti e su cui si muovevano delle luci che rappresentavano le varie forme di vita, ma solo quelle più grandi. Ed in quel momento vedeva che davanti a sé, che nuotava in circolo, vi era un animale molto grande, che sentiva anche essere carnivoro.

‹Uno squalo? No, non conosco squali così grandi. Anzi no, ce ne è un tipo... Non è possibile, non può esserci un megalodon... questo è semplicemente volermi morto, niente di meno.› incominciò ad aver paura.

Grave errore. Il predatore marino, percependola, incominciò a nuotare verso di lui, dapprima lentamente.

‹Oh merda.›

Il solo paragonare le due luci della sua vista mentale, la sua e quella del mostro, era sufficiente per far rimanere a bocca aperta il ragazzo, in quanto la prima era della grandezza di un punto lasciato con la punta di una matita, la seconda utilizzando un pennello, ma la consapevolezza che si trattasse di un carnivoro estremamente vorace e che i suoi poteri in quell’ambiente erano inutili quanto vivere in una casa con cento belle donne che, però, avevano tutte fatto voto di castità. La creatura aveva incrementato la velocità e lo stava man mano facendo di più, fino a che non apparve finalmente alla vista del ragazzo. Lungo sui venti metri, con una bocca abbastanza grande da ingoiarlo intero, Siirist sentiva con orrore che la brama di sangue del mostro cresceva ad ogni secondo.

‹Scappa.› consigliò vivamente Rorix.

Ma Siirist non aveva certo bisogno del suggerimenti, in quanto era già partito.

‹Ma che diavolo fai?! Gli stai andando incontro!›

Ma Siirist non poteva permettersi di perdere altro tempo, era rimasto poco più di tre minuti. Nuotando più veloce che potesse, Siirist passò accanto al mostro, bloccandogli il muso con la mano sinistra, per poi affondarlo nella sabbia e ripartire in linea retta seguendo la traiettoria iniziale. Il megalodon si riprese in poco e si rimise all’inseguimento. Il ragazzo era veloce, ma l’acqua non era il suo elemento, e la bestia era avvantaggiata, per cui lo raggiunse in pochi secondi. Siirist allora poggiò i piedi sul fondale e spinse, muovendosi rapidamente verso l’alto e venendo sbalzato dalle correnti causate dalle fauci dello squalo che si chiudevano a vuoto, mancando la preda per un soffio.

‹Due minuti e cinquantatré.›

Ryfon ritrovò il suo equilibrio e la sua direzione, ripartendo istantaneamente. Raggiunse in venti secondi il terzo agglomerato di massi, a cui nuovamente nuotò attorno, inseguito sempre più ferocemente dal predatore marino. Avvistata una conchiglia verde smeraldo, Siirist si voltò nella direzione opposta agli scogli per poi ripartire a tutta velocità. Altre due volte evitò di essere macellato dai denti, grandi quanto pugnali, del megalodon, fino a che questo non smise di inseguire la sua preda e se ne ritornò tranquillamente verso le rocce.

‹Ma che...?›

Bene arrivato. E giusto in tempo aggiungerei.› disse la voce di Evendil.

Oh, bene! Sono salvo.

Avvicinati.

Siirist nuotò con calma, il cuore che batteva a mille per la nuotata folle, avvicinandosi sempre più al punto da cui, da un momento all’altro, aveva percepito la presenza dell’elfo.

Ti eri celato, vero?

Chiaro. Ti ho rivelato la mia presenza solo dopo che sei entrato nella zona protetta.

Che sarebbe? Immagino abbia a che vedere con il megalodon che se ne è tornato in pace a casina.

Esattamente. La distanza minima che ogni animale marino può tenere da me è di un chilometro. Ora sbrigati a venire, l’incantesimo della pergamena sta per esaurirsi, lo devo rinnovare.

A quelle parole, Siirist si accelerò fino ad arrivare finalmente faccia a faccia con il mezzo dunmer che, seduto su una roccia, i capelli che fluttuavano verso l’alto, stava seduto con le braccia conserte e gli occhi chiusi.

Che stai facendo?

Sto controllando le attività di tutte le creature del mare entro cento chilometri. È molto interessante, sai? E poi ho dovuto controllare tutto il tuo percorso, non volevamo certo che venissi mangiato da quel megalodon! Se solo fosse arrivato vicino a farlo, sarebbe morto all’istante.› e si alzò.

Ti faccio notare che mi ha quasi preso molte volte!

No, l’hai evitato. Intendo dire che se ti avesse attaccato senza che tu riuscissi a salvarti, lo avrei ucciso.

Da questa distanza?! E è incredibile che riesci a vedere cosa succede in un’area così grande!

La magia non è influenzata dalla distanza, dovresti averlo capito ormai. Tu sei un principiante che è bravo solo con attacchi a corta distanza, non paragonarmi a te. E le mie capacità mentali sono grandi, è vero, ma non fenomenali. Non sono nemmeno paragonabile a nessuno del Consiglio. O Adeo. Non per niente, per controllare un’area tanto grande, devo restare immobile e chiudere gli occhi.

Adeo?!

Certo. Ti ricordo che come abilità mentali è tra i migliori.

È vero.

In ogni caso, mancano trenta secondi prima della fine dell’effetto dell’incantesimo, è importante che lo rinnovi ora.

Sì, ecco.› e si avvicinò.

Evendil stava per pronunciare la formula, quando si bloccò a metà del richiamo di energia e sorrise.

Fammi provare una cosa.

Alzò il braccio ed appoggiò il palmo sul petto di Siirist.

Fatto.

Eh?› il biondo non capiva.

Non senti differenze nel tuo corpo perché non ce ne sono, sei esattamente come eri prima; l’effetto dell’incantesimo di Alea non era svanito, l’ho semplicemente prolungato. Ma è stato interessante farlo così.

Hai fatto... come Alea?› Siirist era incredulo.

È abbastanza imbarazzante aver chiesto ad una così giovane di insegnarmi qualcosa, ma ammetto che questo metodo di usare la magia organica è utile. E fatto da me è anche più efficace, dato il mio Flusso maggiore.

Alea ti ha insegnato il suo segreto più grande...?› Ryfon era senza parole.

Ammetto che è stata dura convincerla. Ma d’altronde anche io le ho insegnato il mio più grande segreto, per cui è stato uno scambio equivalente!

Non starai dicendo che... le hai insegnato...?

Le basi dell’Ataru, esattamente. È ancora ben lungi dal saperlo utilizzare, ma credo che in nemmeno dieci anni lo padroneggerà incredibilmente. È molto dotata, dal punto di vista di magia organica forse anche più di me, e visto che una delle basi dell’Ataru è proprio la magia organica, avrà meno difficoltà di me.

Non ci credo... non lo vuoi nemmeno insegnare a me...› si depresse il ragazzo.

Non saresti ancora nemmeno in grado di allenarti ad usarlo. E poi non ne hai bisogno! Il legame con Vulcano ti dona già abbastanza douriki fisici!

Il Cavaliere d’Inferno ci pensò su e si ritrovò a dover annuire. Quello che davvero voleva era imparare tutti gli altri segreti di Evendil, l’Ataru era l’unico che non gli importava.

Questo a parte, pensiamo alla caccia al tesoro ora. L’incantesimo di adattamento per il tuo corpo è ora senza limiti di tempo, in quanto hai tempo infinito per trovare gli alcolici. L’unico inconveniente è che non ti permetterò di farlo in pace.

Dovrò sconfiggerti, giusto?› domandò un po’ incerto.

Sì, forse tra mille anni. Un combattimento con Gilia era, eliminata la stregoneria, bene o male alla pari, ma con me sai bene che non lo sarebbe. Aggiungi anche il fatto che siamo sott’acqua e che i tuoi incantesimi più potenti sono inutili, non ci metterei nemmeno un secondo a sconfiggerti. I tuoi avversari saranno i predatori di questi mari.

Eh?!

Non crederai mica che il megalodon che hai incontrato poco fa fosse l’unico qui intorno? Ce ne sono a centinaia. E anche mostri anche peggiori.

Siirist incominciò a sorridere nervosamente, la tachicardia che aumentava.

Come ti ho già detto, un’area di un chilometro con me come centro, è una zona sicura contro questi animali, ma ogni cinque minuti ne farò entrare uno che ti attaccherà a vista. Perciò ti conviene trovare le tue bottiglie in fretta.› sorrise l’elfo.

Cazzo.

Ce aspetti? I tuoi primi cinque minuti iniziano... ora!

Siirist, disperato, urlò e partì alla ricerca di qualunque cosa che assomigliasse ad una bottiglia. Nuotava in lungo e in largo, facendo attenzione a non uscire dalla zona sicura, ma non trovava minimamente nulla.

‹Dannazione, un indizio almeno!›

Solo dopo che sotto la sabbia avrai guardato”. L’ultima frase della poesia ritornò alla mente del ladro, il quale incominciò a pensare a tutti i modi possibili per vedere sotto la sabbia.

‹Per sollevare un oggetto, uso la magia del vento, o in questo caso sarebbe efficace anche la terra, visto che si tratta di sabbia. Sicuramente sono più bravo con il vento, ma qui sotto è ridicolo anche solo pensare di usarlo. L’alternativa sarebbe sfruttare l’acqua per sollevare la sabbia. Ma se con la terra sono poco bravo, con l’acqua sono una frana.›

Effettivamente l’idea di sollevare il fondale di un’area di un chilometro, era un’idea ridicola, non ci sarebbe mai riuscito.

‹Perché non mi fanno usare il fuoco...?› e si intristì.

Ma poi pensò ad un uso più efficace della terra, e nuotò verso la sabbia, poggiandoci poi la mano e chiudendo gli occhi.

‹Attento a non concentrarti troppo, se no rischi di non accorgerti se arriva un megalodon. Non vorrei venissi mangiato. E tu non vorresti essere salvato da Evendil.› avvisò Rorix.

‹Se arriva, dovrò farmi avvisare dal mio fedele drago.› sorrise il Cavaliere.

‹Speravo di poter dormicchiare...› si lamentò l’Inferno.

‹Hehe!› ridacchiò.

Finito di conversare con il compagno, Siirist iniziò a concentrarsi nel sondare il fondale, per cercare di percepire dove vi fossero nascosti gli alcolici. La sua quasi completa ignoranza dell’elemento terra non gli permetteva di renderlo un procedimento veloce, per cui riusciva ad esaminare solo un metro quadrato al secondo.

Due minuti dopo, la voce ruggente di Rorix consigliò caldamente al suo Cavaliere di levarsi istantaneamente dal punto in cui si trovava e di scappare, in quanto lo squalo era a pochi metri.

‹Con questo alle calcagna, sarà anche meno facile sondare la sabbia!› si lamentò il giovane.

‹Pensa che tra cinque minuti ne arriverà un altro. Se non peggio.›

‹Non riesco a pensare a cosa possa essere di un megalodon. A parte un drago marino, ma quello è particolare.›

‹Tranquillo, quelli non ci sono, sanno che non è il caso stare nei pressi di Vroengard.›

Siirist colse l’occasione che il megalodon si era allontanato per preparare il prossimo attacco, così da poter cercare ancora le bottiglie. Ebbe però solo pochi secondi, che dovette nuovamente balzare verso l’alto. Batteva forte i piedi, ma sentiva che la bestia lo stava inseguendo, così cambiò improvvisamente direzione, cogliendo poi alla sprovvista l’animale con un calcio sulla testa, infliggendogli una crepa sul cranio. Il predatore non morì sul colpo, ma rimase intontito per un minuto intero, dando tutto il tempo a Siirist di sondare il fondale. Quando poi lo squalo si fu ripreso, tornò nuovamente alla carica, ma molto più lentamente di prima, e Siirist ne approfittò, trafiggendo l’occhio destro del mostro con indice e medio sinistri. Questo emise un ruggente verso di dolore e rabbia, mentre copioso sangue usciva dall’orbita riempita ormai solo per metà da quello che restava dell’occhio spappolato, salendo verso l’alto.

‹E ora muori, maledetto!›

Utilizzando il calore del suo fuoco, Siirist bollì l’acqua che circolava all’interno della cavità oculare, friggendo in poco l’intero cervello.

‹Ecco come usare il fuoco anche in acqua. Ottima trovata!› si complimentò il drago.

Ryfon subito si staccò dal cadavere che fu abbandonato alle varie correnti, per ritornare alla sua missione. Stava ritornando alla sabbia quando la sua attenzione fu colta da una conchiglia azzurra. Era difficile distinguerla per via del colore simili a quello di tutto ciò che vedeva attorno, ma era stato sufficientemente fortunato da trovarsela proprio davanti mentre si girava.

‹Non sarà che...?›

Velocemente ci si diresse per poi estrarla dalla sabbia: non era un’impressione, era decisamente di un colore insolito, esattamente come le tre che aveva incontrato precedentemente.

Sabbia rivelami cosa nascondi.

Lanciato l’incantesimo, la sabbia incominciò a spostarsi, creando un buco sempre più profondo, fino a che, finalmente, il ragazzo non intravide il familiare collo di una bottiglia.

‹Sì!›

Ma l’eccitazione gli fece perdere la concentrazione, per cui l’incantesimo si disperse, e la sabbia ritornò a dove era prima.

‹No, dannazione! Che la sabbia mi porti tutte le bottiglie.

Così come imposto dalla manipolazione del Flusso, tutti gli alcolici infine spuntarono dal fondale, spinti da sotto dalla sabbia stessa.

Evendil?

Sì, ho visto. Molto bravo. Ora torniamo a terra.

 

Siirist e l’elfo ritornarono alla spiaggia, il mezzo dunmer che trasportava tutte le bevande con un incantesimo d’acqua, per trovarvi Gilia e tutto il buffet.

«Grande! Ho proprio una fame da lupo!» e Ryfon si lanciò sul cibo.

«Non credi sia meglio finire la caccia al tesoro prima?» commentò Corvinus.

«Sì, ma ho troppa fame! Vai tu sott’acqua a fare tutto quello che ho fatto io in questa ultima ora!»

«Beh sì, effettivamente deve essere stato stancante. E complimenti per gli incantesimi di terra, sono venuti abbastanza bene!»

«Certo, sono un genio io!»

«Adesso non ti allargare. E finisci il gioco, così potremo stare tutti insieme.» lo riprese Evendil.

«Benissimo. Ora che mi sono rifocillato, e sono felice di vedere che ce ne è ancora in abbondanza, vado a cercare Alea.»

Unite le due metà del terzo indizio, la poesia recitava

 

E così hai finito, e così hai trionfato.

Ma non ti credere, il vero premio non hai ancora trovato.

Oltre gli alberi e oltre il mare

si trova un’isoletta su cui ti devi recare.

Lì mi troverai ad aspettarti,

lì con il mio dono che voglio regalarti.

 

e Siirist aveva una mezza idea di dove dover andare a cercare. Riprese il sentiero utilizzato per la prima caccia e dopo una cinquantina di metri svoltò a destra e si inoltrò nella fitta vegetazione. Una volta, seduto sopra le nere mura della Rocca, egli aveva visto un’isoletta poco distante da Vroengard, proprio in quella direzione. Sperava ardentemente di avere ragione perché non aveva più voglia di cercare, piuttosto di festeggiare, e di rivedere Alea. Il pensiero che lei avesse lavorato tanto per architettare tutta quella caccia al tesoro gli dava delle emozioni che non riusciva a spiegarsi. E finì con l’arrossire.

‹Alea, sei una stupida. E anche io non sono da meno.›

Passato un quarto d’ora di alberi e cespugli, arrivò finalmente al punto più a est dell’isola. Ad una ventina di metri di distanza ve ne era una più piccola, grande all’incirca dieci metri quadrati, con al centro una fitta vegetazione che bloccava la vista dell’altro lato, e le due erano collegate da un ponte di pietra che spuntava dall’acqua.

‹Questo non c’era l’ultima volta che ho guardato.›

E difatti notò che esso era un’estensione del fondale marino stesso, ulteriore prova che era stato creato con la magia. Ulteriore prova che Alea si trovava lì.

Allora con calma e passo sicuro, il giovane attraversò il ponte e raggiunse l’isoletta. Facendosi strada attraverso quattro metri di boscaglia, ritornò alla spiaggia sul lato opposto, trovandovi Alea seduta con le gambe rannicchiate, le braccia appoggiate alle ginocchia ed il mento sugli avambracci. Ella meravigliò il ragazzo in quanto era vestita diversamente da quando l’aveva vista prima della caccia; anziché uno dei suoi soliti abiti elfici, indossava una magliettina di cotone verde spento leggermente scollata, sotto alla quale era visibile il sopra di un costume da bagno a due pezzi verde scuro. Una minigonna bianca, leggermente bagnata dall’acqua marina, la copriva fino a poco oltre il ginocchio. alla sua destra, ad una decina di centimetri, vi era un paio di sandali.

«Sei arrivato finalmente.»

«Ti sei cambiata.»

«Dopo tutto quello che ti ho fatto passare, la prima cosa che mi dici è questa?» chiese lei voltandosi, un sorriso tra il divertito e l’incerto.

«Beh sì, la cosa più sorprendente di oggi è certamente vederti vestita così!» ridacchiò Ryfon.

«E come mi sta?» domandò lei, una lieve nota di nervosismo e imbarazzo nella voce.

«Non so come rispondere, mi sembra una domanda a trabocchetto. L’ultima volta che ho visto così tanto della tua pelle mi hai inseguito con lance di ghiaccio.»

«Quando mi vedesti in biancheria? Ora sono più coperta di allora.» ridacchiò.

«È vero, ma vedo che indossi un costume da bagno, perciò più tardi che la possibilità che veda esattamente la stessa quantità.»

«Tranquillo, niente lance di ghiaccio questa volta. Ti sto chiedendo solo se mi sta bene. È la prima volta che indosso abiti non elfici.»

«Niente lance?»

«No, nessuna.»

«Allora ti sta benissimo. Mi hai colpito soprattutto da quelle parti...» ed indicò una zona indefinita sotto all’ombelico.

«Sono contenta.» e sorrise soddisfatta.

«Ma quando ti sei cambiata, scusa?» chiese lui sedendosi accanto a lei.

«Tieni quell’affare lontano da me.» l’elfa lo squadrò nella zona pubica.

Siirist rise.

«Ho avuto abbastanza tempo mentre tu eri impegnato nella caccia.» spiegò poi.

«Bene, basta chiacchiere, è ora che ti dia il mio regalo.»

Si alzò in piedi e, nel farlo, prese una custodia verde smeraldo lunga venti centimetri e larga cinque che teneva sotto alle gambe, tra i piedi ed il sedere.

«Che cos’è?» domandò curioso il festeggiato, alzandosi anch’egli.

La fanciulla prese qualche bel respiro prima di rispondere, facendolo subito dopo averne mostrato il contenuto: una collana fatta di un laccio di cuoio, a metà del quale vi era un cilindro in argento intarsiato, con al centro incastonato uno smeraldo. Siirist immediatamente notò che il colore era identico agli occhi dell’elfa.

«Questa si chiama Collana del Giuramento ed è un dono molto importante all’interno della società elfica. Possiamo dire che scambiarsele è come sposarsi nella società umana.»

Siirist si pietrificò.

«Oramai sono passati più di sei mesi, ho avuto modo di pensare a come dirlo e di trovare il coraggio per farlo: scusami tanto per capodanno.»

«Eh?! Ti ricordi...?!»

«Sì...»

‹Rorix?!›

‹Non lo sapevo! Sono stato anche io ingannato da Eiliis!›

«Non mi sono comportata in modo molto elegante e fino ad oggi ho cercato di fare finta di niente. I miei sentimenti per te sono sinceri e mi vergogno un po’ di come mi sono dichiarata.»

«No, beh, ecco...» Siirist non sapeva che dire.

«E ti chiedo anche scusa se spesso ho fatto la gelosa. So perfettamente che non ho alcun diritto ad intromettermi nella tua vita personale, il nostro rapporto è semplicemente di compagni di addestramento e di amici. Niente di più. Per questo ho deciso di regalarti questa collana. Gli elfi aspettano all’incirca i mille anni prima di scegliere il loro compagno di vita, ma io sono sicura che tu sia il mio.»

Ripresosi, Siirist riuscì finalmente a rispondere.

«Non ha molto senso quello che dici. Prima affermi che siamo solo amici, poi arrivi a dire che io sono il tuo compagno di vita e per questo mi dai questa collana. Non voglio essere troppo cattivo perché ti voglio bene, ma tanti giri di parole non servono a niente: non hai considerato che magari io possa non ricambiare?»

«Ma infatti tu ora non ricambi.» rispose con un mezzo sorriso la altmer.

Ora Ryfon non ci capiva più nulla.

«Se mi lasciassi finire, magari. Mi sono comportata in maniera ridicola e imbarazzante in questi ultimi mesi, cercando allo stesso tempo di fare finta di niente, ma il tutto è stato inutile. Ti regalo questa Collana del Giuramento perché io ti ho scelto come compagno di vita, ma tranquillo, perché tu sia considerato tale, devi indossarla. Ora io ti faccio una promessa: non ti darò più fastidio. Se, o quando, che è meglio, andrai al villaggio a “divertiti”, non ti lancerò più occhiate furiose, quando farai commenti sessuali non mi arrabbierò più. Ti tratterò come chiunque altro. In attesa del giorno che indosserai la collana. Ma ti chiedo di farlo esclusivamente se sarai sicuro della tua decisione. Non voglio essere presa in giro, accettare una Collana del Giuramento è una faccenda molto seria tra gli elfi, non abbiamo niente come i vostri divorzi.»

«Cosa ti dice che quel giorno verrà mai? E anche se venisse, se tu non mi amassi più?»

«Non amare più? Ma voi umani che concezione avete dell’amore? Credete sia qualcosa che va e viene e può essere provato più volte per persone diverte? Per gli elfi l’amore è uno: quando ci si accorge di essere innamorati, si proverà in eterno quel sentimento per quella stessa persona, perdendo dunque qualunque desiderio o attrazione per qualunque altra persona. Guarda Evendil, ad esempio. Chiaramente hai una scadenza: il giorno del mio millesimo compleanno. Se entro allora non l’avrai indossata, cercherò un altro compagno di vita, magari un nobile altmer, così mio padre sarebbe felice. E sono abbastanza fiduciosa che la indosserai.»

«Perché lo saresti, scusa? Non mi piace essere legato, vedi come faccio ora?»

«Non puoi continuare così per tutta la vita, prima o poi è naturale voler cercare la persona con cui spendere il resto della propria vita. Inoltre a capodanno eri geloso. Non crederai che non me ne sia accorta, vero?» e ridacchiò.

Siirist divenne color pomodoro.

«Allora tieni. – e gli diede la custodia. – E ripeto, devi esserne sicuro quando la metti. Se poi invece risulta che mi prendi in giro, ti ammazzo.» il tono non ammetteva repliche.

«Va bene...» rispose esaminando la scatola del suo regalo.

«Ora torniamo dagli altri.» esclamò esaltata la fanciulla.

Il tono serio che aveva prima era sparito, sembrava volersi veramente divertire. Ma prima di andare, schioccò delicato bacio sulla guancia di Siirist, delicatamente vicino alla bocca. E si allontanò con il sorriso.

‹Oh?› chiamò Rorix.

‹Cosa è successo...?›

‹Alea ti ha gentilmente donato un peso equivalente ad una tonnellata di mattoni in testa. Se vuoi te li ordino per posta.›

‹Come fai a trovare questa situazione divertente?›

‹Perché voi bipedi siete semplicemente troppo interessanti. Amore? Non so nemmeno cosa sia. Accoppiarsi serve per riprodursi, per continuare la specie. Cosa sono questi sentimenti? E scegliere un “compagno di vita”? Lo trovo anche più ridicolo! Un essere deve cercare il miglior membro del sesso opposto possibile, così da generare una prole più forte possibile.›

‹Come funziona con voi?›

‹Una volta all’anno, tutti i draghi della stessa razza si ritrovano al loro nido per il rituale d’accoppiamento. Quello degli Inferno è nella Piana della Bonaccia, cioè dove Evendil stava portando il mio uovo. Chiaramente un Inferno può andare a vivere dove vuole, i draghi selvatici vivono in solitario, ma una volta all’anno tornerà lì. Stesso discorso vale per tutte le altre razze.

‹Triste!› commentò il Cavaliere.

‹Perché? Non è esattamente quello che fai tu?›

‹Eh?!›

‹Sì. Dal punto di vista sentimentale vivi solo, in maniera regolare ti rechi al villaggio a fare sesso, anche se non è una volta all’anno e non lo fai per riprodurti. E lo fai con più femmine possibile. Così come fanno i draghi. Perché mi sono dimenticato di aggiungere che i maschi si combattono per la quantità di femmine, perché naturalmente tutto vogliono fare in modo che ci siano più discendenti possibili.›

E allora, per la prima volta nella sua vita, Siirist rifletté sul suo modo di condurla: era triste; “prima o poi è naturale voler cercare la persona con cui spendere il resto della propria vita”. Ma Rorix non si curò dei pensieri del Cavaliere ed andò avanti.

‹Forse è per questo che il nostro legame è cresciuto così in fretta. Senza contare i due Cerchi argentati, abbiamo una grande affinità: è perché siamo simili, il tuo modo di pensare è simile a quello di un drago.›

Ryfon fu anche più colpito. Il drago stava nuovamente per parlare quando Siirist gli chiese di stare zitto, dopodiché si avviò verso la spiaggia di Vroengard.

 

«Ah, sei arrivato, finalmente!» commentò Evendil.

Siirist nemmeno gli rispose, la mente ancora assorta. Fu richiamato alla realtà dalla voce di Gilia, che non faceva che commentare il costume di Alea, facendole i complimenti su quanto fosse bella e sensuale, su come fosse completamente diversa da come era durante gli addestramenti, su come non riuscisse a toglierle gli occhi di dosso.

«E smettila!» sbraitò il biondo.

Una potente sfera di fuoco colpì il moro in piena pancia, ustionandolo gravemente e atterrandolo.

«Ma che diavolo...?! Si può sapere perché l’hai fatto?!» si arrabbiò Corvinus.

Alea si limitò a fare una faccia soddisfatta, scambiandosi poi un’occhiata con Evendil. Siirist se ne accorse.

‹Merda.›

 

 

 

 

 

 

 

~

 

 

 

E rieccoci qui! Dopo un mese di pausa, ecco il nuovo capitolo! Dovrete perdonarmi se non è perfetto, se ci sono errori o magari anche alcune contraddizioni (se ci sono, sarebbe gradito segnalarlo in una recensione), ma l’ho iniziato a scrivere appena pubblicato quello scorso, poi mi sono interrotto il 20 agosto che sono partito per Londra e vi ho rimesso mano (dalla caccia sott’acqua) questa notte... Non ho avuto mai tempo di scrivere questa settimana e per rispettare l’impegno preso di pubblicare quest’oggi, sono stato tutta la notte a scrivere... Ora sono le 09:50... Se di punto in bianco dovessero comparire parole come “ajhabdjadjfba”, tranquilli, sono solo io che sono crollato sulla tastiera...

Ma va beh, torniamo alla storia, ed in particolare alle risposte alle recensioni... (che poi è una...)

 

Banko/Zack. Come avevi supposto, qualcosa di importante è successo! Anche se dubito avessi anticipato niente del genere! Ad essere sinceri nemmeno io, fino a tre giorni fa avevo in mente un finale completamente diverso. Spero di aver scelto giusto, ma credo di sì, che più o meno ho già organizzato i prossimi capitoli. Mi scuserai per la risposta frettolosa, ma, come puoi immaginare, ho sonno...

 

Appuntamento a domenica 12 o giovedì 16 con PRIMO VOLO.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** LA FINE DELL'ANNO ***


LA FINE DELL’ANNO

 

Siirist ed Evendil erano seduti in una delle poltrone del piano terra del “Frutto della giovinezza”, Rorix raggomitolato sulle gambe del Cavaliere.

«Ecco a voi.» sorrise servizievole una delle lavoratrici, mentre versava il tè ai due ospiti.

«Con questo freddo, una bella bevanda calda è quello che ci vuole!» commentò il ragazzo.

«Lo scorso inverno non sentivi quasi per niente freddo. Che è successo?» chiese curioso l’elfo.

«Ho imparato a tenere sotto controllo il mio fuoco interiore, per cui non brucia più in continuazione. Ma non sono ancora abbastanza bravo da produrre lo stesso effetto con la magia volontaria.»

«Certo, è comprensibile. – annuì il mezzo dunmer. – Per riscaldarti dovresti combinare fuoco e magia organica. Sì, è decisamente un incantesimo fuori dalla tua portata, e non solo per via dell’organica. Con il fuoco sei diventato bravo, ma solo per usarlo come attacco, sai solo creare fiamme di distruzione. Se dovessi creare un fuoco simile all’interno del tuo corpo...»

«... mi brucerei da solo, lo so, grazie. Ma quanto ci sta mettendo Orrin?!»

«Mi sorprendi, non è da te essere così poco paziente! Hai appena superato un importante esame da ladro, mi aspettavo fossi più preparato a sopportare le attese!»

«Ho fretta di tornare a Vroengard! Già Althidon non era tanto contento del fatto che me ne andassi, siamo stati via già nove giorni ormai! E capodanno è dopodomani, non vorrei passarlo qui ad aspettare quel fabbro tenutario!»

«Sei cambiato. Un anno fa avresti dato un braccio per passare il capodanno qui dentro.» osservò Evendil.

‹Concordo.› si intromise Rorix.

«No, un braccio no, mi sarebbe servito. Ma sì, sarei felicemente morto dopo.» ammise ridendo l’interessato.

«E comunque non pensare ad Althidon, sono io qui con te, non puoi certo dire che non ti abbia fatto lavorare in sua vece!»

«Ah sicuro, brutto schiavista! Però ora so far crescere l’erba!»

«Non ti allargare. Ti avevo chiesto di tirare su un bel prato, invece hai infestato il terreno di erbacce.»

«Meglio di niente! Dammi il grimorio di Adamar, vedi cosa ti faccio con la magia di terra!»

«Quella spazio-temporale non la consideri? Sai bene che è più potente della magia elementale!»

«Certo, ma è davvero complicata. Non sono così arrogante da pensare di poterla apprendere con le poche conoscenze che ho di magia!»

«Mentre crederesti di poter ricreare i suoi incantesimi di terra? Abbassa la cresta, ragazzino!» e gli diede un pugno in testa.

Siirist si stava tenendo dolorosamente la nuca, mentre Evendil aveva ripreso in mano la sua tazza di tè, quando ritornò Orrin.

«Ecco, è così che vi ricordavo!» rise.

«Purtroppo non è cambiato molto da allora.» scosse la testa sconsolato l’elfo, sorseggiando la sua bevanda.

«Confermo, lui è sempre il solito orecchie a punta stronzo e asessuato.»

Thyristur interruppe il suo sorso a metà, tossendo leggermente, una grossa vena che sporgeva spaventosamente dal collo, una simile sulla tempia.

«Sembrerà a voi che non è cambiato molto, ma non è affatto vero. Senza contare quanto è cresciuto in altezza, trovo che Siirist sia maturato molto.»

«Sogni.» «Logico!» dissero contemporaneamente Evendil ed il ragazzo.

Subito dopo si guardarono in cagnesco.

«Si sente che è diventato più responsabile ed è stato perfettamente evidente durante la missione che ha imparato molto di magia, per quanto tu dica ancora che è un incompetente.»

Siirist fece una smorfia ed alzò il dito medio verso l’elfo.

«Direi che ora hai la prova definitiva per convincerti a ritirare quello che hai detto...» rispose il mezzo dunmer tirandosi su le maniche.

Balzò al collo del biondo, stringendo sempre più con le mani più simili a morse. Il ragazzo cadde a terra, facendo volare in aria il drago che, infastidito per il trattamento ricevuto, esalò una fiammata che colpì l’elfo sui capelli, dando loro fuoco. Infuriato, ma costringendosi a restare calmo, Evendil si staccò da Siirist e si spense i capelli, per poi guardare Rorix che volava fino al piano superiore.

‹Io torno a dormire. Non mi disturbate più.›

«Tu, d’altro canto, non sei cambiato di una virgola. Il tuo atteggiamento apparente è quello comune di un elfo, ma poi hai sempre modo di mostrare la tua vera natura.»

«Ci sono molti elfi così a Vroengard. Sarà il legame con il drago a renderli più “selvatici”.»

«Tu non hai questa scusa! Sei solo uno psicopatico!» gli urlò contro Siirist.

«Ripeti se hai il coraggio!»

«Depravato psico...!»

Ma Ryfon fu azzittito da un pugno, più simile ad una mazzata, in testa, che lo sbatté dolorosamente a terra.

«Tralasciando questa scenetta poco elegante, – Evendil si risistemò i capelli ed i vestiti. – i risultati della prova di questo delinquente?»

«Ha parlato il signor grazia...» mormorò da terra il biondo.

Evendil gli schiacciò la faccia con il piede.

‹Odio l’Ataru... e ora pure Alea...› pianse mentalmente.

«Sì, ecco qui. Hai preso un bel 7.»

«Cosa?!»

Siirist si alzò così di scatto da far cadere l’elfo.

«Solo 7?!»

«Suvvia, 7 su 10 non è male!» fece notare Orrin.

«Ma ho fatto quasi tutto io! C’erano due maghi e sette stregoni ed è toccato a me sconfiggerli, se non ci fossi stato io molto probabilmente la missione sarebbe fallita! Inoltre non sono io ad aver fatto scattare l’allarme, in quanto ero uno dei più furtivi di tutti, e questo dopo un anno che non mi alleno! Ho individuato trappole, sia comuni che magiche, ed ho pure riportato un bel bottino!» si lamentò il giovane.

«Siirist...» tentò di calmarlo il mezzo bosmer.

«No, ha ragione, è giusto che gli venga data la possibilità di rispondere. Il problema è che la missione è fallita a causa tua. Il nostro obiettivo era trovare informazioni riguardanti la Setta dello Scorpione, ma la maggior parte dei registri è stata distrutta durante il tuo combattimento con i mistici che hai menzionato prima. Dovevamo scoprire il numero esatto degli appartenenti alla Setta e le locazioni varie delle loro basi. Molti fratelli della Gilda sono morti per poterci comunicare che in quella grotta erano custodite queste informazioni, ma tutto è stato vanificato dalle tue fiamme fuori controllo.»

Siirist era ammutolito.

«Ma almeno, grazie a te, non abbiamo subito perdite questa volta. Ed è stato esattamente come hai detto tu, tutte le trappole sono state individuate da te e la copertura non è saltata per colpa tua, perciò senza di te la missione sarebbe probabilmente fallita lo stesso e con molte più perdite. Non contiamo che sei un Cavaliere, ma solo che sei un mago: questo significa che, quando ti sarà possibile, utilizzerai la magia durante le tue operazioni. Il voto sta a significare che devi stare più attento quando la usi nelle faccende della Gilda. Devi essere più discreto, è preferibile che usi incantesimi di terra, aria o, meglio di tutto, oscurità, piuttosto che fuoco e fulmine, che capisco essere i tuoi preferiti.»

«Stai contento, hai fatto fallire la missione, eppure hai preso un voto più che sufficiente.» commentò Evendil.

«Sì...»

Sconsolato, Siirist si diresse in camera sua. Si lasciò cadere sul letto accanto al drago, accarezzandolo.

‹Deluso? Evendil ha ragione.›

‹È vero. Ma come ha detto Orrin, molto probabilmente sarebbe fallita comunque senza di me, e con molte più perdite.›

‹Ma non puoi saperlo. Inoltre non sei stato punito per i tuoi incantesimi, ma per esserti lasciato andare. Gli elementi che ti ha consigliato Orrin sono perfetti per un ladro, ma dato che eravate già stati scoperti, non importava se usavi magie troppo evidenti, no? Però devi imparare a controllarti meglio: le tue fiamme diventano sempre più potenti, non per niente stai per scoprire il segreto del fuoco di drago, ma non puoi continuare a lasciarle bruciare ogni volta che le lanci.›

‹Di solito ci sei tu che mi aiuti a tenerle sotto controllo.›

‹Ma, come ieri, non sono sempre con te. Impara! Devi fare più esercizi mentali!›

‹Non farmi pensare ad Adeo.›

‹Da questo punto di vista, dovresti essere più come lui. Ha l’età di Evendil, eppure è millenni più avanti a lui, è al pari del Consiglio!›

‹Ma non ha alcuna altra dote di spicco. Io sono più forte.›

‹Non sei riesce a toccarti, ti ricordo. Ma pensa cosa potresti fare tu con quelle abilità! Hai un Flusso di 100000 e due Cerchi argentati! Potresti controllare tanti incantesimi potentissimi contemporaneamente!›

‹Va beh, ora basta pensarci. Voglio dormire.›

Prima di addormentarsi, lo sguardo gli cadde sulle sue due spade: la prima era quella che Gilia gli aveva prestato da quando, mesi prima, la sua di Vetro era diventata inutilizzabile e, per quanto grezza e poco decorata, rimaneva comunque un’ottima spada di cristallo rivestita d’argento; l’altra era la parte di bottino della missione del giorno precedente per cui aveva combattuto pur di tenere, in quanto era anche essa di cristallo e rivestita in argento, ma era ben più decorata, con l’elsa verde brillante, la guardia a croce con i bracci rivolti uno verso l’alto e l’altro verso il basso, con una protezione larga quattro centimetri nella parte più spessa, per coprire la mano che andava dalla croce al pomolo, l’impugnatura ricoperta di seta bianca ricamata, ed un pomolo costituito da un diamante. Era una bellissima spada ad una mano e mezzo, un tesoro per Siirist, inoltre essa era anche uno scettro, anche se di bassa lega, in quanto le iscrizioni sulla lama funzionavano come moltiplicatori x 3 per incantesimi di terra e acqua.

‹Non sono proprio i miei elementi preferiti, ma arriverà il momento che li saprò usare correttamente.›

‹Arriverà prima quello in cui riceverai la tua spada da Cavaliere, colorata come si deve, cioè come le mie scaglie, ed avrà dei moltiplicatori x 7 per gli elementi giusti per te! Ora smetti di pensare e dormi, tu stesso hai detto di volerlo fare, che domani a mezzogiorno si torna a casa.›

‹Sì... casa...›

 

«Fa... freddo... Perché... non potevamo... aspettare... al bordello?»

«Lo sai bene, dovevano ricevere degli importanti clienti e non sarebbe stato bello farci trovare un Cavaliere.»

«E chi se ne frega.»

Siirist ed Evendil erano sul molo ad aspettare di poter salire a bordo della nave, Rorix sulla spalla destra del Cavaliere. Il ragazzo era coperto solo da un cappotto poco pesante e si strofinava le braccia mentre batteva i denti

«Se accendessi un fuoco e mi ci scaldassi?»

«Non farlo, finiresti con il bruciare tutto il molo.»

«Allora fallo tu.»

«Perché dovrei, io sto bene!»

«Bastardo... – continuò a battere i denti. – Il mare non dovrebbe mitigare la costa?»

«Difatti lo fa: anziché essere -15, sono cinque gradi. Non puoi farci niente, è il clima del nord di Spira. Pensa a chi vive sul Gagazet, che è -30 tutto l’anno.»

«Infatti li trovo degli idioti. E non parlarmi del clima della mia terra natale, so benissimo com’è. Ma a Skingrad avevo degli abiti adatti. E poi perché anche Vroengard deve avere questo clima del cavolo?! È al centro di Tamriel ed è un’isola, eppure l’inverno è rigido e l’estate non si respira!»

«A questo non so rispondere. Però posso dirti come risolvere il tuo problema.»

«Sarebbe?»

«Comprati un cappotto.»

«Non ho più soldi.»

«Ah... – sospirò. – E va bene, ho capito. Vieni con me.»

«Eh?»

Siirist guardò Evendil andare verso uno dei responsabili del porto e parlare un poco, per poi ritornare da lui.

«Dove stiamo andando?»

«A comprarti un cappotto. Mi sono messo d’accordo con il signore laggiù perché carichino i nostri bagagli sulla nave appena arriva. Muoviti, abbiamo solo venti minuti.»

I due si incamminarono verso il negozio di vestiti, mentre Rorix si spostò sulla testa di Siirist, mettendosi più comodo. Arrivati, Siirist si lanciò verso il focolare, scaldandosi con piacere davanti al fuoco.

«Come posso servirvi, signori? Oh, ma voi siete... Un elfo e un Cavaliere! Quale onore! Prego, scegliete pure tutto ciò che volete, vi farò un ottimo sconto!» disse entusiasta la commessa.

«Molto gentile. Vorremmo un cappotto per lui, uno molto pesante, con cappuccio. Possibilmente rosso rubino.» rispose Evendil.

«Ah certo, del colore del drago, è naturale. Di che tipo?»

«Mi piace molto la moda di Zanarkand. Avete nulla del genere?»

«Sì, dovrei avere giusto qualcosa.» sorrise la signora.

Lasciò i due clienti soli quando andò nel retrobottega a prendere ciò che era stato richiesto. Nel frattempo, Siirist si mise a controllare i vestiti esposti. La sua attenzione fu colta da un’elegante sciarpa di cashmere, bianca, da donna.

‹Sicuro?› domandò il drago.

‹Le starebbe bene, non trovi?›

‹Ultimamente pensi un po’ troppo spesso a lei. Non sarà che quella collana ti ha condizionato?›

‹No, per chi mi hai preso? Non sarò Adeo, ma la mia mente non è certo così debole!›

‹Mah.›

‹Ascolta, penso solo che le starebbe bene. Guarda, cerco anche qualcosa per Gilia.›

E notò un paio di guanti neri imbottiti.

‹Ecco, contento?›

‹È facile regalare usando i soldi degli altri, eh?›

‹Che intendi? Ah giusto, è Evendil che paga.›

«Ehm, senti...»

«Tranquillo, mi ridarai i soldi quando li avrai. E già che ci sei, cerca dei guanti anche per te.»

«Grazie.»

«Ecco qui!»

La commessa era ritornata, accompagnata dal marito, portando numerosi cappotti ed altri abiti invernali.

«Tutti questi sono di Zanarkand. Siamo molto forniti al momento, poiché è la moda più in voga dell’Impero. Scegliete pure quello che volete. Oltre allo sconto per ogni capo, ogni due che comprate, uno in regalo.» esclamò il proprietario.

«Addirittura?» rise Siirist.

«Certo, a patto che ci permettete di fare una foto con voi e di usare il vostro nome per farci pubblicità.»

«Come?!» si sorprese il ragazzo.

Evendil storse il naso.

«Dire che il Cavaliere d’Inferno si è rifornito qui da noi, è un ottima pubblicità, no?»

«Va bene, che problema c’è? Vi firmo anche la foto, se volete!»

‹Questi umani, sempre pronti a trarre profitto da tutto. Il fatto che mi stiano sfruttando mi fa venire voglia di bruciarli vivi.› ringhiò Rorix.

Ed Evendil non era poi tanto in disaccordo.

‹Di che ti lamenti? Ci guadagniamo anche noi!›

‹Il mio commento comprendeva anche te, umano. Mah, per ora preferisco stare con Evendil.› e volò sulla spalla dell’elfo.

 

«Se Althidon lo sapesse, ti prenderebbe così tanto a pugni da mandarti in coma.»

«Sì, è probabile.»

‹Certo che tu potevi anche fare meno storie.›

‹Mi sono sentito usato. E non mi piace.›

Siirist ed Evendil uscirono dal negozio con numerosi capi di vestiario: due lunghi cappotti, due sciarpe, tre paia di guanti, un paio di pantaloni pesante, un paio di stivali, e tre maglioni di lana. I cappotti erano uno rosso rubino e l’altro blu scuro, dello stesso modello, imbottiti di piuma d’oca e rivestiti all’interno e sugli orli di lana bianca. Arrivavano fino alla caviglia e le maniche poco oltre il polso; il cappuccio, quando indossato, copriva la fronte e sui lati arrivava a circondare tutto il viso. I maglioni erano uno bianco, uno azzurro, uno rosso; gli stivali erano neri, di pelle, imbottiti anche essi di lana nera. I guanti erano un paio nero, per Gilia, gli altre due rosso e blu, da abbinare con i cappotti, mentre le sciarpe erano una rossa ed una bianca, per Alea. Arrivati al porto, i due furono condotti da uno dei marinai ai posti dove erano stati lasciati i loro bagagli.

«Mi hanno chiesto di scattare la foto... come si fa ad un bambino di passaggio...» mormorò tra l’imbarazzato, l’indignato ed il furioso Evendil.

«E basta! Ci è convenuto, no? Abbiamo comprato molto, vestiti di alta qualità, e spendendo solo cinque argenti! È pochissimo! Quello che rompe a me è perché a Vroengard non mi hanno mai fatto sconti simili! Che taccagni!»

 

«Bentornato.» sorrise Alea.

«Grazie.» ricambiò Siirist.

Era strano. Fino a qualche tempo prima, lo avrebbe abbracciato e gli avrebbe dato un bel bacio sulla guancia. Ma era ormai dal suo compleanno che si comportava come un’amica qualsiasi. Gli mancava com’era prima. Si sentì il suono dello scarico e poco dopo la porta del bagno si aprì e uscì Gilia.

«Ehilà!»

«Hai aperto la finestra?»

«Sì, sì! Che noia che sei! Se devi essere così, tornatene ad Anvil!»

«E io che ti ho pure preso un regalo!»

Siirist diede una rapida occhiata verso la fanciulla, per vedere se c’era nel suo sguardo anche solo il barlume di speranza che ce ne fosse uno anche per lei. E lo trovò. Ma durò pochi istanti, ella riassunse la sua solita espressione impassibile quando si accorse che Ryfon l’aveva notato.

‹Allora ancora le importa di me!›

‹Quanto sei stupido.›

«Tranquilla, bellissima, ce ne ho uno anche per te. Anzi, sei stata la prima a cui ho pensato!» e le si avvicinò, sedendosi sul letto di lei.

«Com’è che io sarei già impalato se mi sedessi sul tuo letto, a lui invece non fai niente?» chiese Gilia.

«Chi ha detto che non gli faccio niente, infatti?»

«Eh?»

Siirist fu sbattuto fino all’altra parte della stanza, con piccoli cristalli di ghiaccio infilati nel petto, il sangue che usciva lentamente. La ragazza si alzò, indossò il suo cappotto e uscì.

«Perché...?» piagnucolò dolorante Siirist.

«È quasi un anno e mezzo che la conosci. Pensavo avessi capito ormai che non le piace che ci si sieda sul suo letto o se siamo troppo invasivi con la sua intimità. Hai dimenticato come ti ha accolto quando l’hai vista in biancheria quando sei entrato nel bagno? Fortuna che io ero appena sulla porta d’ingresso, così non sono stato punito.»

«Però hai recuperato al mio compleanno.»

«Eh sì, vederla in costume è stato meraviglioso. Sembra una dea. Mi vergogno a dirlo, ma ho avuto un’erezione!» e rise.

La tenda del baldacchino sopra la sua testa prese fuoco.

«Ehi!» esclamò il moro, apprestandosi a spegnere l’incendio.

Siirist si alzò, diretto all’uscita.

«Ma che ti è preso?! Guarda come mi hai ridotto il letto! E ora do stai andando?»

«A trovare qualcuno che mi curi.» rispose rabbioso Ryfon.

«Ma che hai? Dai, vieni qui, faccio io.»

«Da quando sei un mago organico?»

«Non lo sono, ma sono uno stregone. Ora vieni.»

 

Stupida Alea. Tutte le volte che si era avvicinata lei, allora? Le volte che gli si era seduta sul letto e lo aveva abbracciato? Non aveva mica fatto storie quando le aveva dato quel bacio sulla fronte dopo che era finita in ospedale per il combattimento con il padre! Allora adesso perché? Era stata così seria quando, il 3 luglio, gli aveva detto che lo avrebbe trattato come chiunque altro? Quasi sei mesi e ancora non ci si era abituato. Trovava strano non abbracciare Alea, gli mancava, difatti cercava di compensare recandosi al villaggio più di prima. Però si aspettava che, dopo nove giorni che non si vedevano, ella avrebbe mostrato più interesse.

Si rotolò sul letto, fissando quello vuoto della fanciulla. Lei e Gilia erano a cena, ma lui era rimasto in camera, non aveva fame. Lo stomaco gli brontolò.

‹Ora mi è venuta. Ma non ho voglia di andare con loro. Vuoi venire con me al villaggio?›

‹Vai a trovare la tua amante preferita?›

‹?›

‹Fralvia.›

Siirist ebbe i brividi.

‹Hehe. Intendo se vai proprio a mangiare.›

‹Sì, certo.›

‹Allora sì. Dopo aver mangiato carne vera questi giorni, non ho particolarmente voglia di rimangiare quella sintetica che ci danno qui.›

‹Noi nemmeno quella.›

‹Ma noi non possiamo farne a meno. A proposito, non ti va di mangiarne un po’?›

‹No. Mi piaceva, certo, però... Evendil aveva ragione, con l’andare avanti dell’addestramento, mi sarebbe passata la voglia di mangiarla. Quei dannati esercizi mentali, durante i quali ho passato il tempo nella mente dei vari animali, mi ha fatto venire la nausea all’idea di mangiarli. Dobbiamo rispettare tutte le forme di vita.›

‹Questo è quello che dicono gli elfi. Io dico: “legge del più forte”. Chi è più grosso e forte, mangia chi è più piccolo e debole.›

‹Carnivoro.›

‹Logico. Hai visto i miei denti? Non sono fatti per l’insalata.›

‹No di certo. Se lo ricorda ancora la mia mano da quando me la addentasti.›

‹Che bei ricordi.› sorrise il drago.

‹Non proprio, no.›

Siirist intanto si era vestito ed aveva indossato il suo cappotto blu. Stava per uscire quando ripensò ai regali che non aveva ancora dato. Così prese i guanti e la sciarpa e lasciò ognuno di essi sul cuscino della persona a cui voleva darli. Passò qualche secondo a guardare le tende del letto di Alea.

‹In questi ultimi mesi le ha sempre richiuse.› sospirò tristemente.

Con Rorix sulla spalla, il Cavaliere andò fino al villaggio, dirigendosi poi verso la taverna.

«Siirist! Come va? È tanto che non ci si vede!» si avvicinò una ragazza.

Alta 1,80, dunque un centimetro più del ragazzo, era la sua amante preferita, in quanto gli ricordava Keira. Capelli corvini lunghi fino alle spalle, occhi nocciola e belle labbra rosee, oltre che un corpo da favola.

«Ciao, Nebia. Sono stato via e sono appena tornato. Stavo andando a cena.»

«Pure io! Vuoi venire da me?»

«Solo se c’è anche della carne. La vuole questo qui.» e indicò il drago appollaiato.

«Certamente. Tu? Vegetariano come sempre, suppongo.»

«Naturalmente.»

 

Intorno alle due di notte, Siirist ritornò in camera.

‹Com’è stato dopo dieci giorni?› ridacchiò Rorix.

Siirist si stava andando a lavare i denti, quando sorrise anche lui.

‹Bello, rinvigorente. Ora che ci penso, dovrei scrivere a Keira, sono due mesi che non la sento. Anzi, sarebbe bello se potesse venire qui.›

‹Effettivamente la vorrei conoscere di persona.›

‹È fantastica.›

Finito con il bagno, il ragazzo andò verso il suo letto e si sedette, fissando le tende chiuse di quello di Alea.

‹Chi sa cosa ha fatto con la sciarpa?›

‹Potresti aprire e vedere. Ma moriresti nel processo.›

‹Già. Mannaggia agli elfi e al loro sonno leggero.›

 

Il mattino dopo, a colazione, Alea arrivò indossando la sciarpa di Siirist e sedendoglisi di fronte. Questi, naturalmente, sorrise come un bambino che vede un giocattolo nuovo.

‹Ti dico un segreto.› ridacchiò Rorix.

‹Che segreto?›

‹Uno che mi ha rivelato Eiliis. Ma Alea non lo sa, per cui non dire una parola.›

‹Spara.›

‹L’ha tenuta con sé tutta la notte.›

‹L’ha indossata mentre dormiva?!›

‹No, idiota, l’ha abbracciata nel sonno!›

Il sorriso di Siirist si allargò quasi fino alle orecchie.

«Cos’è quella faccia?» domandò lei addentando un toast.

«Piaciuta la sciarpa?»

«Sì... grazie.» ed il suo viso si tinse lievemente del colore rosso.

«Dunque, questa sera è festa! È il secondo capodanno insieme, ragazzi, questa volta cerchiamo di non festeggiarlo in camera, va bene?» incitò Gilia.

«Almeno quest’anno non sei più un cadavere depresso.» commentò Ryfon.

«E tu un fuoco d’artificio difettoso.»

«Resta da vedere se Alea rimarrà sobria.»

«Tranquillo, nascondo tutta la mielassa.»

«La volete smettere voi due? È successo solo una volta! Vogliamo parlare di Siirist che si è ubriacato almeno dieci volte in quest’anno?!»

«Così poco?» domandò pensoso, leggermente deluso di sé.

«Hai intenzione di rivedere il tuo amato dal drago azzurro?» scherzò Corvinus.

Siirist sbatté un pugno infuocato sul tavolo.

«Ehi, volete stare calmi almeno di prima mattina, voi tre?!» li riprese un altro Cavaliere.

«Scusa!» disse in fretta Gilia.

Alea guardò interessata il biondo di fronte a sé. E sorrise soddisfatta. Arrabbiato, Siirist se ne andò.

«Bravo, Cavaliere d’Inferno, sarà il caso che esci, non vorremmo che facessi una delle tue solite scenate!» gli urlò un Cavaliere.

Altri risero e si unirono a lui. Siirist lo guardò con odio, concentrando poi il Flusso vitale nel suo palmo sinistro. Lo rivolse verso l’uomo, il Cerchio argentato che compariva, illuminandosi sempre di più.

«Alzati e sparisci.»

Il Cavaliere levitò dalla sua panca per poi volare verso la sua sinistra, andandosi a schiantare contro la parete. Alcuni amici si alzarono arrabbiati, chi le aveva con sé impugnò le armi.

‹Dovreste imparare a portarle dietro anche voi.› osservò Rorix.

Ma a Siirist non servivano. Li guardò male, rivolgendo tutta la sua rabbia verso di loro, aprendo la mano sinistra, dentro alla quale si formò una sfera fiammeggiante. Poi tutto il braccio ed il lato mancino del viso fu coperto da fiamme. La vista era abbastanza intimidente e gli altri Cavalieri si risedettero, riponendo le armi. Siirist riprese a camminare, le fiamme che si spensero in un attimo.

«Ma che ha? È da ieri che è così.» Gilia non capiva.

«Non lo so.» rispose allegramente Alea.

 

«Avanti.» rispose la voce di Evendil.

Siirist aprì la porta ed entrò nell’appartamento dell’amico.

«Cosa ti serve?»

«Un nuovo grimorio.»

«Hai già finito quello che ti ho dato l’anno scorso?»

«No, mancano ancora due pagine, ma non voglio rimanere senza.»

«Ti ho già comprato tutti quei vestiti, vuoi chiedermi anche questo?» scherzò l’elfo.

«Sai bene che ti ridarò i soldi. Ora rispondi, me ne prendi uno nuovo o no?»

«Cos’è questo tono?»

«Sono un po’ arrabbiato e ho un gran mal di testa.»

«Perché?»

«Perché in realtà sono furioso e non è affatto facile controllare la mia magia involontaria. Sento che sto per esplodere, per questo ho lasciato il cappotto in camera e sono uscito senza, sono già abbastanza caldo di mio.»

«Sì, certo che te ne prendo un altro. Anzi, altri due, così puoi iniziare il tuo grimorio vero.»

«Giusto.»

«Li avrai fra massimo tre giorni, scrivo subito all’Università Arcana. Ora vai a scaricarti, prima di dar fuoco a tutto l’edificio.»

Siirist seguì il consiglio dell’elfo e corse rapidamente verso il villaggio, fiamme che lo circondavano, sciogliendo la neve ad ogni passo.

 

«Avanti, hai finito?!»

Gilia era da dieci minuti a bussare sulla porta del bagno, aspettando che Alea uscisse.

«Ancora un momento!»

«Sei dentro da oltre un’ora! Quanto ancora ci metti ancora? Sono già le otto e mezzo e la festa inizia alle nove. Anche io ho bisogno di prepararmi, sai?»

«Che succede?» domandò Siirist appena rientrato.

«Oh, ben tornato. Mi dispiace, ma il bagno è mio dopo.»

«Prego, fai pure. Io mi sono già fatto un bel bagno caldo e sono già vestito.» rispose togliendosi il soprabito nero e la sciarpa di seta bianca.

In quel modo Gilia poté vedere che sotto l’amico indossava già un bellissimo smoking nuovo a doppiopetto.

«Quando avresti comprato tutto ciò?»

«Oggi.»

«E dove avresti pranzato?»

«Giù, da un’amica.»

«Immaginavo.»

«Ecco, ho fatto.» disse Alea uscendo dal bagno.

«Era ora! Dovresti mettere uno specchio vicino al tuo letto, così non ci privi del bagno per ore!» ed entrò sbattendo la porta.

Subito si sentì lo scorrere dell’acqua della doccia.

«“Ore”, adesso non esagerare!»

«A proposito, sei bellissima.» aggiunse Gilia sporgendosi, per poi rientrare.

Ed era vero. Il momento in cui Siirist posò gli occhi sulla fanciulla gli si spalancarono e la mandibola cadde. Ella era splendida di natura, non necessitava di alcun tipo di trucco, ma la leggera botta di ombretto scuro, la passata di matita sugli occhi, il lucida labbra che si era messa la rendevano ancora più irresistibile, per quanto fosse possibile. E i capelli. La bellissima acconciatura in cui tutti i capelli erano raccolti se non per due ciocche che scendevano lungo le tempie fino alle clavicole, da cui era emanato il suo delizioso aroma di rose e vaniglia...

«Di’ un po’ ci prova con te quello lì?» e indicò il bagno.

«Almeno uno dei due lo fa.»

«Cosa?!»

«Sto scherzando! No che non ci prova! Ma è un gentiluomo e mi fa dei complimenti perché sente di volermeli fare. Non sai che non gli piacciono le bionde?»

«Sì, lo so. Ma cavolo, anche io te li faccio!»

«Perché sei geloso e ti arrabbi se me li fanno gli altri, per cui ti senti in dovere di farlo anche tu.»

«Io non sono geloso!»

Alea lo fissò un momento, lo sguardo che la sapeva lunga.

«Ogni anno la stessa storia. Quel vestito mi piace, d’accordo? Vedi di non bruciarlo anche quest’anno.»

«Tu vedi di non ballare con qualche cazzone cascamorto, allora. Merda!»

E la ragazza mostrò gli incisivi superiori, bianchi splendenti, in un bellissimo sorriso. Che poi si trasformò in uno da presa in giro.

«Vedi?» e ridacchiò.

‹È solo questione di tempo...› disse Rorix alludendo alla Collana del Giuramento.

«Mi hai incastrato!»

«Non lo avresti detto se non lo pensassi davvero.»

«E si può sapere perché mi giri davanti svestita così?!» tentò di cambiare discorso.

Infatti negli ultimi cinque minuti Alea era stata solo in mutande e reggiseno, mentre prendeva i suoi vari abiti da sera dall’armadio e li disponeva sul letto, per sceglierli. Pure piegandosi in avanti un paio di volte, dando così a Siirist una vista completa del panorama.

«Allora? Mi hai vista in costume da bagno, è la stessa cosa.»

‹Magari tutte le ragazze la pensassero così.›

«Lo so, però... non era così sexy...»

«Lo trovi sexy? Questa biancheria umana è così strana, piena di pizzi e decorazioni. È anche trasparente in alcuni punti... – a Siirist colò del sangue dal naso. – L’ho comprata solo perché me l’ha suggerito Adeo.»

«Hai detto... “trasparente”...?»

«Sì, ma si vede solo se ti avvicini. E tu non lo farai.»

Tutto ad un tratto ella divenne minacciosa: alzò la mano e dal palmo aperto si erse una lama di ghiaccio. Siirist scosse la testa, nello stesso momento in cui si alzava qualcosa nei suoi pantaloni.

«Sì, credo indosserò questo.»

Era un lungo vestito di seta bianco con alcuni ricami neri nella parte della gonna, con un girocollo, un piccolo spacco sulla schiena e che lasciava le braccia completamente scoperte dalle spalle. Indossò anche un paio di lunghi guanti bianchi, un bracciale d’argento sul polso sinistro ed un anello sul medio destro. Al collo una collana anche essa d’argento. Prese uno scialle nero ricamato e se lo mise sulle spalle, per poi indossare il suo cappotto, anche esso nero. Ai piedi mise dei decoltè neri con il tacco da 3.

«Vogliamo andare?» propose lei.

«Non aspettiamo Gilia?»

«Conosce la strada.»

In quel momento l’acqua della doccia si spense.

«Noi intanto andiamo. Ci vediamo lì.» gli disse Siirist avvicinandosi alla porta.

«Va bene.»

I due Cavalieri ed i rispettivi draghi uscirono dalla stanza e si incamminarono verso la mensa, Siirist ed Alea vicini, lui alla destra di lei, i draghi ai lati opposti, grandi quanto mastini.

‹Ma quanto siete carini, camminate così vicini... Sembrate proprio una coppietta!› rise Rorix.

Il biondo lo calciò.

‹Non ti mordo perché poi ti rovino i vestiti nuovi. Ma ne riparliamo più tardi.›

‹Sì, sì.›

Però Siirist non poté evitare di lanciare un’occhiata fugace verso la fanciulla. Arrossì lievemente. Arrivati alla mensa, la trovarono decorata come l’anno prima e vi era la solita folla e la stessa musica. Si fecero strada in qualche modo attraverso la calca, fino a che non raggiunsero un tavolo con quattro coperti che era tenuto occupato da Adeo.

«Bene arrivati, vi aspettavo. Gilia?»

«Grazie mille. Si sta ancora preparando, arriverà tra poco.» rispose Siirist.

Sia lui che Alea si tolsero i loro soprabiti, per poi sedersi.

«Vado a prendere da mangiare. Volete niente di particolare?» offrì il Cavaliere “eccentrico”.

«Grazie. Io un piatto di lasagne con il contorno.» rispose Ryfon.

«Io una zuppa e un’insalata. Sei troppo gentile.» sorrise riconoscente Ilyrana.

Dopodichè caddero alcuni minuti di silenzio.

«Cosa pensi della festa?» disse il ragazzo per cercare di fare un po’ di conversazione.

«È come l’anno scorso.»

«No, quest’anno siamo arrivati insieme. E non ti ho trovata con alcun cazzone cascamorto.»

«Che carino.» sorrise ancora.

«Beh, è vero...» rispose leggermente imbarazzato.

«E rieccomi di ritorno!»

I due si girarono verso la fonte della voce irritante, sorpresi di ritrovare Adeo, con tanto di piatti levitanti attorno a lui.

«Come hai fatto? C’era una fila colossale!»

«L’utilità della magia organica: paralizzali tutti e evita la fila! Hohoho!» rise coprendosi la bocca con il dorso della mano.

‹Va beh...›

Siirist mise mano alla forchetta e in sette minuti divorò tutto quello che aveva nei suoi due piatti, oltre che due belle pagnottelle, mandando il tutto giù con qualche buon bicchiere di rosso.

«Avete visto della mielassa in giro?»

«Non vorrai replicare l’anno scorso, mia cara?» domandò Adeo.

«Tutti con questa storia? Voglio solo bere un bicchiere!»

«Davvero, io non so come fate voi elfi a bere quella roba. È troppo dolce!» disse Siirist.

«Concordo. Sono qui da un secolo, ormai, e ancora non l’ho capito. Il mio pooovero capitano fatica sempre tanto a trovare del buon vino nella mensa degli anziani!»

«Immagino. Tra i capitani, i Maestri e i membri del Consiglio ci sono che, quattro umani?» chiese Ryfon.

«Più o meno, sì.»

«Io la trovo deliziosa.» rispose quasi indignata Alea.

«Senza contare che è fortissima. Ha una gradazione alcolica dell’88%, dopotutto.» aggiunse Adeo.

«Che gusti strani che avete voi elfi.» commentò Siirist.

‹Occhio, questo, in un certo senso, si riferisce anche a te.›

‹Uh, è vero.›

«Alea, questa sera sei più incantevole che mai. Noto che hai già cenato, per cui suppongo di poterti invitare a ballare.»

Un Cavaliere umano si avvicinò e si inchinò.

«Certamente. E sarei molto lieta di accettare.»

Gli porse la mano e quello la baciò. Siirist era scioccato.

‹Calma, non ti arrabbiare troppo, lo smoking è costato parecchio. E te l’hanno pure venduto a credito. E pensare che li hai chiamati taccagni.›

Gilia arrivò giusto in tempo per vedere Siirist digrignare i denti, producendo numerose scintille, con gli occhi infiammati, che fissava Alea ballare, cambiando partner quasi ad ogni giro.

«Seriamente, perché non la inviti anche tu? Ne sarebbe anche molto felice, sai?» scosse la testa il moro.

«Eh, l’orgoglio, che brutta bestia, non trovi Gilia?»

«Decisamente sì, Adeo. Va beh, io vado a prendermi qualcosa da mangiare. Come sono le lasagne? Sembrano buone.»

«Ottime.» rispose con la voce morta Siirist.

«Ha ragione. Dovresti solo andare lì anche tu e chiederle di concederne uno anche a te.»

«Non sto certo a mettermi in fila io!» si atteggiò il biondo.

«Non farete mai molta strada se continui a pensarla a quel modo.»

«Ma tu che...?»

«... ne so? Mio caro, mi interesso a voi! È dall’anno scorso che non faccio altro che consigliarle i modi giusti per attirare la tua attenzione!»

A Siirist ritornarono a mente le parole di Alea sulla sua biancheria: era stato proprio Adeo a consigliargliela. In quel momento gli venne un’idea.

«Questo tuo incantesimo per paralizzare le persone... Non è che potresti insegnarmelo nel giro di un minuto?»

«Dipende se hai studiato bene il corpo umano.»

«Sì. Non conosco ogni singola fibra che c’è, ma so come funzionano i vari muscoli e nervi che permettono il movimento degli arti.»

«Qui non si tratta solo di paralisi degli arti, ma dell’intero sistema nervoso. La persona non si accorge di niente per cinque minuti, è come se morisse. Non sei ancora pronto.»

«Non mi interessa, anzi se ne accorgono è anche meglio. Mi basta riuscire a impedire loro di muoversi.»

«Allora va bene. Ascolta attentamente.»

Gilia ritornò a tavola con i suoi piatti e vide Siirist alzarsi e dirigersi verso Alea, che intanto danzava con un bosmer. Si separarono ed ella stava per stringersi ad un umano, quando Siirist appoggiò l’indice sulla sua colonna vertebrale, immobilizzandolo.

«Ma che... diavolo...?»

«Fuori dai piedi.» e il ragazzo lo toccò appena sulla spalla, facendolo cadere.

Si inchinò all’elfa, la quale dapprima rimase scioccata, per poi sorridere con gioia e inchinarsi a sua volta, accettando l’invito a danzare dell’amato.

«Tranquillo per l’altezza, ho ballato già con altri umani e molti erano più bassi.»

«Ti odio. Non sono io, sei tu che sei troppo alta!»

«Ma se ho pure messo i tacchi bassi!»

«Potevi non metterli proprio.»

Due volte dei Cavalieri adirati cercarono di interrompere il loro ballo, ma gli spiriti dell’aria di Gilia non lo permisero mai, e mentre egli sorseggiava il suo cocktail, notò una bella giovane, almeno all’apparenza, con corti capelli castani, assieme ad un drago grigio. Appoggiò il suo bicchiere e andò a presentarsi.

«Buonasera, signorina. Non credo ci siamo mai presentati, io sono...»

«So chi sei, non c’è bisogno che ti presenti, Gilia Corvinus. Oramai voi tre siete famosi, dopotutto.»

«Anche questo è vero.»

«Il mio nome è Selena, lui è Seryth.» ed indicò il drago accanto a lei.

«Vorreste concedermi questo ballo?»

«Sicuro di volermi invitare? Sei giovane, ancora in addestramento, mentre io ho quasi trecento anni.»

«Non li dimostrate, per cui non vedo il problema. A meno che non siate accompagnata.»

«No, non lo sono. D’accordo, un ballo, allora.»

Ed i quattro si ritrovarono a ballare vicini, Siirist e Gilia che si scambiarono un cinque, che Selena non mancò di notare, per cui alzò un sopracciglio, retoricamente chiedendo cosa significasse, per poi divertirsi a vedere come il moro si difendesse. Ma la persona più felice era certamente Alea.

 

La notte Gilia non tornò a dormire in camera, in quanto andò in quella di Selena, così Siirist e Alea ebbero del tempo da soli ed erano seduti sul letto di lui a chiacchierare.

«Quest’anno mi sono divertita. L’anno scorso a quest’ora stavo a letto a russare.»

«Non c’è bisogno di ricordarmelo, non me lo dimenticherò mai, tranquilla.»

Lei si finse arrabbiata e gli diede una piccola botta sulla spalla. Si guardarono entrambi negli occhi e sorrisero. Ma l’atmosfera fu interrotta da qualcuno che bussò alla porta.

‹Ma che diavolo...?!›

Irritato, Siirist andò a vedere chi fosse, ma, spalancata la porta, non trovò nessuno. Guardò allora a terra e trovò una bottiglia di spumante e due bicchieri. Raccolse il tutto e lo mostrò divertito alla fanciulla.

«Adeo?» domandò.

«Probabile.» rispose lei.

Dopo un’oretta, che passarono a chiacchierare e a prepararsi per andare a dormire, Alea fece ciò che Siirist più aspettava da mesi. Gli si lanciò incontro e lo abbracciò. Per quanto lo volesse, egli aveva mille pensieri turbinanti in mente, ma non ebbe il coraggio di dar loro voce perché aveva paura che lei si sarebbe pentita di ciò che aveva fatto. E a lui andava bene così.

«Non mi rimangio quello che ti ho detto il giorno del tuo compleanno, ma avevo proprio una gran voglia di abbracciarti, specialmente dopo che siamo stati tanto vicini durante il ballo. Sei anche un bravo ballerino, non me lo sarei immaginata.» sussurrò dolcemente lei.

«Sono un uomo pieno di sorprese io.» e si mise in posa da fico, la testa girata a tre quarti, il sopracciglio alzato, un mezzo sorriso.

«Senti...» lo ignorò completamente.

Ryfon riassunse un’espressione normale attese con ansia in silenzio per un continuo, ma non arrivò.

«Sì?»

«Insomma... io aspetto ancora che indossi la collana e che ne prendi una a me, però... ecco... non è che... cioè, solo per questa notte, beh... potremmo...» l’imbarazzo di Alea era così intenso che quasi era tangibile.

Siirist non credeva alle sue orecchie. La proposta era davvero ciò che sperava? Era troppo bello per essere vero.

«...dormire insieme...?» si sarebbe voluta sotterrare.

Sì! L’aveva detto!

«E con “dormire” intendo proprio dormire. Ma abbracciati...» precisò, inizialmente con un tono omicida nella voce, poi uno più carino.

Infatti, era troppo bello per essere vero. Ma rimaneva comunque bello. Non troppo, ma bello.

«Certamente.»

Entrambi erano nel letto di Siirist, Alea che dava la schiena al ragazzo, i loro corpi attaccati, le braccia di lui che la circondavano, lei che gliele accarezzava. Appena che si furono dati la buonanotte, il giovane le diede un bacio sulle guancia, per poi mettersi giù. Ma poco dopo ne diede un altro sul collo, ed un altro ancora, scendendo poi verso la schiena...

«Ho detto “dormire”.»

Il tono omicida era rinvigorito dall’improvviso gelo nel letto e la comparsa di numerose lame di ghiaccio che premevano contro la schiena del ragazzo.

«Scusa, l’abitudine.»

 

 

 

 

~

 

 

Ringrazio calorosamente Banko/Zack per la sua fedeltà infinita, che mi segue ormai da oltre un anno, cioè da quando pubblicai la prima versione di questa fanfic. Ci siamo già scambiati le risposte alla recensione per mail, e non le riscrivo perché contenevano spoiler micidiali. Come sempre, grazie. E ammetto che anche io spero sempre di trovare nuovi recensori.

 

Il prossimo capitolo si chiama PRIMO VOLO e verrà pubblicato il prossimo giovedì.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** PRIMO VOLO ***


PRIMO VOLO

 

Il mattino seguente Siirist si svegliò per trovarsi solo nel letto, mentre Alea già era vestita per andare a mangiare.

«Buongiorno. Ho fatto niente di strano nel sonno?»

«Ti è venuta due volte un’erezione.»

«Ah.»

«E io mi controllerei le mutande, fossi in te.»

Ci si guardò dentro.

«Mh.» effettivamente si sentiva un po’ appiccicoso.

«Fai schifo.»

«Ma che ti aspetti?! Ti dormivo vicino!»

«Quindi faccio questo effetto...?» chiese provocante.

«Non hai idea.»

«Buongiorno!» disse Gilia entrando.

«Toh, guarda un po’ chi si rivede! E noi che pensavamo che ti avremmo visto solo da Althidon! Lei diceva che ti saresti fatto vivo per colazione, ma io ero più dell’idea di colazione a letto. E altro sesso. È bello di prima mattina, fidati.»

«Esperienza personale?» ammiccò.

«Perché ti sorprendi?»

«Intendo, recente...?» e guardò da Siirist ad Alea.

«Eh? Ah, no. L’ho sognato, però, se vuoi ti racconto com’è andata. Ecco, come prima cosa Alea era una ninfomane, non una maniaca omicida come quella vera.»

Dodici lance di ghiaccio si erano formate attorno all’elfa ed avevano puntato verso i due ragazzi, che si difesero con i loro migliori incantesimi di fuoco e fulmine. Inviperita, ella uscì.

«Davvero non avete fatto niente?»

«Niente di interessante.»

«Però vi piacete a vicenda, vero?»

«Sei lento. Io non ho la minima idea di cosa provi, ma almeno ora sono sicuro di provare qualcosa. Lei, non so quanto il termine “piacere” sia adatto.» e mostrò all’amico la Collana dei Giuramento.

«Ma questa...!»

«Oh bene, sai che cos’è, quindi non te lo dovrò spiegare.»

«È roba seria.»

«Già. Dai, dimmi di te e Selena.» ed incominciò a prepararsi.

 

«Mi prendi in giro.»

«Giuro sulla Triade.»

«Lei ha... davvero l’ha fatto?!» Siirist non credeva alle sue orecchie.

«Come è vero che mi chiamo Gilia.»

«Panna montata?»

«Panna montata.»

«E cioccolato fuso?»

«Proprio così.»

«E fragole?»

«A bizzeffe.»

«Che donna fantasiosa. – scosse la testa con fare invidioso, sospirando. – E che porca!»

«Spero non stiate parlando di me.»

Siirist e Gilia incontrarono Selena proprio all’ingresso della mensa.

«No, perché dovremmo?»

«Non vedo nessuna ragione, Selena.»

«No, certo! Insomma, non è che gli hai messo del cioccolato fuso sul pene e glielo hai leccato via...»

«Siirist!» Gilia emise un verso strozzato, gli occhi strabuzzati ed il viso sbiancato.

«Uomini, tutti uguali.» e andò via scuotendo la testa.

«Bastardo!» Corvinus prese l’altro per la collottola.

«E dai! Al massimo ti punirà tirando fuori la frusta! Da quello che mi hai detto, non mi sorprenderebbe se ce l’avesse.»

«Buongiorno, ragazzi. Come è andata la festa ieri?» arrivò Evendil.

«Alla grande! E Gilia ha pure rimorchiato! Sapessi che cosacce fanno!»

«Tu sei l’ultimo che può parlare, maniaco pervertito.»

«Ah, fottiti!»

«Tu invece il primo, vero? Elfo asessuato.»

Fu così che la mattina del primo giorno dell’anno, Siirist la passò con la testa infilata nelle mura dell’edificio della mensa, dopo aver ricevuto un possente pugno in testa. Possibilità trauma cranico: 90%.

 

«Ragazzi, buon anno. Spero che ieri sera non sia stata troppo movimentata per voi, perché quest’oggi sarà una giornata molto impegnativa. Vedo che siete tutti vestiti pesanti, bene, e avete le vostre spade con voi. Ultima cosa, vi siete ricordati di mangiare poco questa mattina?» salutò Althidon.

«Sì.»

«Sì.»

«No...»

«Me lo immaginavo...» scosse la testa il Maestro.

«Il solito ingordo senza ritegno.» si schifò Evendil.

«L’importante è che non ci vomiti addosso. Oggi, insomma, come avrete capito, sarà la vostra prima lezione di volo sul drago. E avremo anche Evendil ad accompagnarci su Griever.»

I draghi raggiunsero una lunghezza complessiva di dodici metri, di cui quattro di coda, e l’apertura alare di cinque. Tutti e tre diedero ai Cavalieri le indicazioni necessarie per sellarli. Rorix aveva girato la testa verso Siirist per morderlo, dopo che gli aveva messo la sella in modo scomodo.

‹Scusami tanto, eh! E non mi guardare così, fai paura!›

‹Scusa?›

‹È la prima volta che ti vedo così grande. È un po’ impressionante.›

Per tutta risposta, il drago esalò una leggera fiammata che annerì tutto il viso del ragazzo e incenerì alcuni dei capelli.

‹Ah, la mia pettinatura perfetta! Rovinata! Bastardo!›

Fissò Rorix con rabbia, vedendolo sghignazzare. Il lungo muso, gli occhi rossi, le tre paia di corna, uno sopra la testa e una per lato tra essa ed il collo, rendevano la creatura terrificante. Eppure era così giocoso. Ma non di meno una completa testa di cazzo.

‹Stronzo!›

«Che la pietra potenzi il mio braccio!»

La terra sotto a drago e Cavaliere tremò un po’ per poi avere alcuni pezzi staccarsi ed andare ad ammassarsi attorno alla mano e all’avambraccio del biondo, prendendo poi la forma di un grosso pugno, che Ryfon abbatté sulla zampa del compagno.

‹Dannato, mi hai fatto male!› ringhiò.

‹Hai cominciato tu, guarda i miei capelli!›

«ORA BASTA!» tuonò Althidon.

Nello stesso istante, Siirist e Rorix si immobilizzarono nel vedere Zelphar ingrandirsi fino a diventare venti metri alto, mentre pure il braccio destro dell’elfo assumeva le dimensioni di quello di un gigante. Il drago viola schiacciò la testa dell’Inferno con la sua zampa contro la roccia, immobilizzandolo, quando pure l’arto ingrandito di Althidon si andò ad abbattere su quella di Siirist, sottomettendo pure lui.

«Voi due... ci avete... stufato...» disse l’altmer tra un rantolo rabbioso ed un altro.

«Scusate...» disse debolmente Ryfon.

La mole del braccio di Althidon lo soffocava. Quando esso finalmente riassunse la sua dimensione normale, il giovane trasse un profondo respiro di sollievo, massaggiandosi il capo, così come fece Rorix.

«Per tutto il resto della giornata non voglio problemi da voi due, intesi? E dovrete fare ogni cosa che dico, niente fare di testa vostra! Volare può essere pericoloso per gli incoscienti.»

«Sissignore...»

E Rorix rispose a Zelphar, che gli aveva fatto la stessa ramanzina. Il ragazzo riprese a risistemare la sella, questa volta aiutato anche da Evendil, mentre Althidon controllava gli altri due.

«Perché è così nervoso stamattina?»

«Non lo è, era perfettamente a posto mentre venivamo qui. Semplicemente avete esaurito il suo ultimo briciolo di pazienza. D’ora in poi, gli allenamenti saranno anche più pesanti.»

«Ah bene, finalmente una bella notizia!» diventò paonazzo.

«Quante corna spunteranno ancora a Vulcano? Le prime che ha avuto erano tre, poi gliene sono spuntate altre due, poi gli sono cadute e ecco queste.»

«Hai visto Skryrill e Moreus? Loro ne hanno otto, un paio sopra e tre per lato. Lui ce le avrà proprio in quel modo, con un’aggiunta di uno, proprio in mezzo, leggermente più arretrato rispetto al paio che ha ora sopra, cioè quello centrale che gli è spuntato quando era ancora piccolo ma che poi ha perso. Quello sarà il suo ultimo corno a nascere. Gli Inferno sono i draghi più forti, e le corna rappresentano proprio questo.»

‹Siamo i re, dobbiamo avere la corona!›

‹Che grande re, farti sottomettere così da Zelphar!›

‹È perché sono ancora giovane...!› si offese.

Tentò di mordere il Cavaliere, ma l’elfo lo fermò.

«Smettete di litigare, volete farli arrabbiare anche di più?»

Svelti scossero la testa.

«Dunque, siamo pronti?» domandò il Maestro.

«Sì!» risposero i tre allievi.

Montarono sui draghi, mentre Evendil ritornava alle stalle, i quali seguirono Zelphar che aprì le ali e calciò da terra.

«D’ora in poi parlare sarà difficile, per cui comunicheremo mentalmente.» disse Althidon.

Gli altri tre annuirono. Siirist notò a poca distanza da loro anche gli altri due ragazzi umani che avevano superato la Prova insieme a loro.

‹È la prima volta che li vedo che si allenano. A pensarci bene non ci ho mai nemmeno parlato... Però la ragazza è carina! Come si chiama?›

‹Viola.›

‹Oh sì, giusto. Ehi, piano!›

Reggetevi forte alle maniglie della sella!

Non sarebbe stato meglio legare anche i lacci per le gambe? Non credo che due semplici staffe e delle maniglie siano sufficienti!› protestò Siirist.

Questo è il vostro primo volo, per cui non faremo niente di complicato, come avvitamenti in aria o quant’altro. Per questo non vi ho fatto assicurare i lacci, voglio che proviate a volare senza. Ci saranno dei momenti in cui dovrete farlo.

Non posso dire di essere impaziente.

‹Zitto e aspetta. Vedrai che ti piacerà.› disse Rorix.

‹Lo dubito, ho già la nausea.›

‹Questo perché hai mangiato come un bue.›

L’ascesa dei draghi era stata velocissima. Dopo due possenti colpi d’ala iniziali, si erano alzati già di venti metri. Un’altro colpo. Tutto il corpo di Rorix vibrava, era in tensione.

‹Che succede?›

‹È la prima volta con un peso sopra. Ma Zelphar ci sta dando le giuste indicazioni, come Althidon con voi.›

Non state seduti come su una poltrona! I draghi sono forti, ma facilitare loro il compito è sempre un bene, per cui alleggerite il peso sporgendovi in avanti e alzando leggermente il sedere.

Eiliis era più in alto di Rorix, per cui Siirist poté godere della vista di Alea che si metteva in posizione.

‹Contento?› rise Rorix.

‹Sicuro! Sei un grande!›

‹Bene, è tempo di mostrare cosa sa fare veramente un Inferno!›

Un ulteriore colpo d’ala che scosse tutti i muscoli del possente corpo fece tremare Siirist e quasi lo fece cadere, ma si tenne più forte e resistette. L’ascensione del drago rosso era accelerata ed in un secondo superò la dragonessa bianca.

‹Indossa il cappuccio.›

‹Giusto.›

Siirist guardò giù e vide il rigonfiamento del cappotto di Alea all’altezza del seno.

‹Mannaggia, da qui godrei di una fantastica visuale se solo avesse un minimo di scollatura.›

‹Se ce l’avesse, morirebbe congelata. Se credi sia freddo a terra, aspetta qualche minuto. Althidon non esagerava quando ha detto come vestirvi. Fortuna che hai comprato quei vestiti ad Anvil.›

‹Nessun problema, aspetterò l’estate.›

Ehi, come va?

Evendil aveva appena raggiunto il gruppo, il grifone che ruggiva eccitato. Era grande quanto i draghi. Ma sicuramente se Zelphar avesse acquisito la sua vera grandezza, lo avrebbe oscurato come un gatto con una formica.

Bene. Credo.

Ora andremo in una virata verso destra. Accompagnate il movimento spostando il peso del vostro corpo con le gambe. Non è necessario appiattirsi contro la sella, poiché spesso farete questo movimento stando perfettamente eretti con le armi in pugno, perciò adesso fate come volete. E tenetevi bene alle maniglie, visto che non avete le gambe assicurate dai lacci. Al tre: uno, due, tre!

I quattro draghi ed il grifone virarono verso destra, ed i tre Cavalieri in addestramento seguirono bene le indicazioni del Maestro.

Molto bene, ora ne faremo una serie. Ancora al tre: uno, due, tre!

Destra, sinistra, destra, sinistra, destra e ancora sinistra.

Ottimo. Ora... Siirist!

Ma il ragazzo ed il drago ignorarono gli ordini dei loro maestri e continuarono spediti, Siirist appiattito contro la sella, il sedere sollevato. Altre virate, una picchiata, con una rapida ascesa subito dopo.

‹Sei pronto? Tieniti forte o cadi.›

‹Vai!› esclamò esaltato Siirist.

Staccò le mani dalle maniglie e le sollevò in aria, con fare esultante, ma non appena sentì Rorix muoversi perpendicolarmente verso l’alto, dunque la gravità lo stava facendo staccare dalla sella, le riafferrò saldamente. Il drago andò poi in un giro della morte ed un altro ancora, interrompendo il secondo a metà, trovandosi così a volare a pancia in su. Siirist strinse con tutte le sue forze le gambe attorno alla sella per non cadere. Rorix allora diede un colpo con l’ala sinistra e si ritrovò nuovamente a volare con Siirist verso l’alto.

‹Meglio, grazie.›

‹Te la senti ancora? Non è che mi vomiti addosso?›

‹No, tranquillo!›

Allora, appena un secondo dopo che si era rimesso in posizione normale, l’Inferno piegò l’ala sinistra, sbilanciandosi così da quel lato, per poi richiudere anche la destra e lanciarsi in una spericolata rotazione su se stesso per una cinquantina di metri, fino a che non aprì nuovamente le ali, ritrovandosi in posizione naturale.

‹Com’è stato?›

‹Bello, ma... Forse dovrei mangiare meno...›

‹Nah, solo le prime volte, poi ti ci abituerai.›

Rorix prese anche più quota, arrivando sopra le prime nuvole e fu allora che Siirist si riprese. La gelida aria che soffiava lo risvegliò e la luce, così accecante, gli fece apparire tutto più brillante. Guardò verso il basso e vide l’oceano che sembrava fatto di cristallo, pure le mura nere della Rocca sfavillavano. Era proprio una bellissima giornata. Una meravigliosa giornata invernale. Siirist godette nel sentire il vento glaciale soffiargli sul viso, incantato com’era da quella vista. E la sensazione. Tante volte Rorix aveva cercato di descrivergliela, dopo la prima volta che aveva volato non aveva fatto altro che parlarne per giorni. Sì, era meglio che fare sesso, aveva ragione! La sensazione di libertà che si provava a stare così lontano da tutto e tutti, nel silenzio più assoluto e nel... freddo.

«Atciù!»

‹Rorix, fa troppo freddo per me, è insopportabile! Ritorniamo giù!›

‹Io sto bene, potrei ancora salire.›

‹In estate, magari, non ora. In estate verremo tutti i giorni, ora no.› e starnutì ancora.

Ritornati a dove avevano lasciato gli altri, che intanto li avevano aspettati, Althidon con il pugno stretto da cui scaturivano fiamme violacee.

Divertiti...?› domandò con la bocca serrata e le labbra ritratte per la rabbia.

Sì, ma è stato un po’ freddo.› rispose Siirist, il viso sulle tonalità del blu.

E secondo te perché ho detto di restare massimo a questa altitudine?› le fiamme viola si fecero più intense.

Cos’è quello?› chiese curioso, ma anche timoroso, il ragazzo.

Con un profondo sospiro, Althidon si calmò.

Per questa mattina basta. Ora riposatevi e andate a mangiare. Oggi pomeriggio combatteremo disarmati.

Ritornati a terra, Siirist si avvicinò supplichevole a Evendil.

«Ti prego! Posso venire a farmi il bagno da te? Ho troppo freddo e la doccia non è abbastanza soddisfacente!»

«Colpa tua che sei un cretino.»

«E dai!»

«Dove te lo sei fatto ieri?» arrivò Gilia.

«Al villaggio, a casa di un’amica.»

«Allora va’ da lei, no?»

«No, ora sta lavorando. E poi vorrebbe farlo. E io non ho voglia.»

«Strano.» fece notare Alea, un sorriso furbetto.

Anche Gilia e Evendil lo notarono e ridacchiarono.

«Adesso mi attaccate in gruppo! Ora vado giù e mi faccio la prima che trovo!» si arrabbiò il biondo.

«Ti chiamo Fralvia, aspetta.» rispose calma la fanciulla.

«Ok, facciamo la seconda...»

 

Quaranta minuti dopo, Siirist era a letto, vestito pesantemente e con due piumoni in più.

«Ora ci manca solo una bella ragazza nel letto...» mormorò distrattamente.

Chiaramente l’aveva fatto apposta, così che lo sentisse Alea.

«Allora Fralvia non ti va bene?»

Egli scosse vigorosamente la testa, terrorizzato.

«Il grande Cavaliere d’Inferno che si fa spaventare da una ragazza!» lo prese in giro Gilia.

«Quella non è umana! È un mostro, un demone vi dico!»

«E che tipo di demone sarebbe?» chiese curiosa Ilyrana.

«No, no, è quella che vedete la sua forma reale! È il temibile demone bidone! Il cui potere è trasformare in pietra chi la vede.»

«È imparentata con le gorgoni? Allora è pericolosa, è una classe B!» alzò la voce in finta paura l’elfa.

«È esattamente quello che sto dicendo!»

«Va eliminata!» arrivò Gilia che si buttò su Siirist.

«Esatto!»

«E quindi vai!» e buttò l’amico giù dal letto.

«No, è freddo!» si lamentò Ryfon, rimettendosi sotto le coperte.

«Ah sì?» chiese minacciosa Alea, un sorriso da pazza.

La mano aperta, aria glaciale che vi si concentrava.

«Stammi lontana tu!»

«Pensavo volessi una bella ragazza nel tuo letto!» scherzò.

«Eh?»

«Va beh, vorrà dire che me ne andrò. Vieni Gilia?»

«Sì. Tanto avevo detto che sarei andato a trovare Selena.»

Ed uscirono insieme.

‹Fare provocazioni sessuali con lei non funziona, dovresti averlo capito ormai.›

‹Sì... Ah, che palle! Cosa sarà significato per lei ieri notte?›

‹No, la domanda è: “Cosa sarà significato per te?”!›

‹Io... non lo so...›

‹È esattamente quello il problema.›

‹Insomma, so che tengo a lei! Tengo molto a lei, le voglio bene! Ed è più di come sia mai stato con Keira! Di lei non avrei mai detto che... mi “piacesse”, mentre per Alea...›

‹Sì.›

‹Però quello che mi sta chiedendo non è un po’ troppo? Insomma, “compagni di vita”?! Un giuramento così a lungo termine? E si tratta di giuramenti qui, non promesse vuote. Non ho mai avuto una relazione fissa, e questa mi chiede di legarmi unicamente a lei a vita? Non sono ancora pronto!›

‹Per questo ti ha dato quasi mille anni di tempo per deciderti. Fino ad allora farai quello che vuoi. Semplice, no?›

‹Ma io la voglio ora!›

‹In che senso...?› domandò sospettoso il drago.

‹Ecco...› erezione.

‹Perché devo avere un porco pervertito come Cavaliere?!› e lo addentò.

‹Ahia!›

 

«Bene, cominciamo con l’allenamento con il corpo a corpo. Ci divideremo in due coppie: Alea con Gilia, Siirist con me.» disse Althidon.

Lo sguardo del Maestro, per qualche motivo, non convinceva Siirist. I tre allievi si disposero come istruito e lui si trovò a fronteggiare l’elfo.

«È permesso usare la le arti mistiche.» e colpì la sinistra aperta con il pugno destro, facendo scaturire scintille violacee.

‹Ancora quel fuoco viola? Ma che diavolo è?!›

«Questo, Siirist, è il mio incantesimo per eccellenza, la mia firma personale, si chiama Fuoco freddo. Bruciando leggermente, come ora, serve solo ad incrementare la forza dei miei colpi, proprio come se utilizzasi l’Ataru di Evendil. La differenza è che lui utilizza il Flusso per potenziare direttamente il corpo dall’interno, io lo faccio da fuori con un incantesimo.»

«E cosa succede se brucia più intensamente?» a Siirist non piaceva la piega che stava prendendo la situazione.

«Ottiene proprietà elementali, ma di tipo ghiaccio, per cui è come se Alea ti colpisse con i suoi attacchi di vento. Ma ti avverto, il mio ghiaccio viola brucia più di quello normale.»

‹Ghiaccio che brucia? Di che parla?›

«Immagino ti ricordi che ti ho detto che anche io sono affine al fuoco.»

«Sì...»

«Ma con il tempo, ho imparato a controllarmi. È abbastanza umiliante per me doverlo ammettere, ma tu sei riuscito a farmi completamente perdere la pazienza, a farmi sprecare oltre un millennio e mezzo di allenamenti mentali, ed è da questa mattina che brucio tutto ciò che tocco. È ora di scaricarmi.» e si colpì nuovamente il palmo.

‹Lo sapevo!› si spaventò.

Dall’altra parte, Alea e Gilia si erano messi sotto. La fanciulla attaccò con un diretto destro, la mano aperta con le dita rivolte in avanti, ed attorno al braccio vi era una lama di ghiaccio. Gilia la evitò abbassandosi, creando poi una lama elettrica attorno al suo braccio destro e ruotando verso sinistra, tagliando poi il ghiaccio fino a sfiorare le dita di lei. Completò il giro di 360° e, arrivato a 200° balzò sollevando la gamba sinistra ed attaccando con un calcio rotante dato con il tallone. L’elfa parò con il braccio sinistro, venendo poi spinta indietro di sei metri. Ritornato a terra, Gilia appoggiò la mano a terra e scaricò l’elettricità nel terreno, facendo poi scaturire scosse dalla roccia che andarono verso Alea. Ma ella elettrificò la sua mano e strinse, fino a disperderla, la scarica del moro.

«Mi hai battuto nel fulmine?! Pugno di Geb!» non credeva ai suoi occhi.

Adirato, toccò il terreno con entrambe le mani, facendo poi crescere una mano di roccia che mirò a colpire Ilyrana in faccia. Ma ella vi saltò sopra appoggiandovi la mano, per poi correre lungo il braccio magico, evitando altri due incantesimi simili che il ragazzo le lanciò contro. Con un avvitamento in aria lanciò contro il ragazzo una lama di luce, che egli neutralizzò con una elettrica e dovette poi difendersi dai rapidi calci di lei, ma in termini di forza bruta il Cavaliere d’Incubo era superiore, così la afferrò per una caviglia e la sbatté a terra.

«Martello di Thor!»

Pietre si accumularono attorno al braccio di Gilia, circondate da varie scariche elettriche, e lo abbatté sulla ragazza. Ma ella agilmente riuscì a rotolare via e rialzarsi, mentre il ragazzo creava una voragine nel terreno producendo un boato simile a un tuono. L’elfa si portò alle spalle dell’avversario e gli lanciò contro un proiettile di acqua pressurizzata che attraversò la barriera di pietra che Corvinus aveva innalzato, andandolo a perforare sul fianco destro.

«Argh... Non ho... ancora... perso...!» un rivolo di sangue che gli scendeva dalla bocca.

Si ricredette quando vide la barriera frantumarsi e la altmer corrergli in contro, il palmo destro, su cui era visibile il Cerchio argentato, carico di energia.

«Respiro degli angeli delle nevi!»

Rivolse la mano contro il ragazzo, liberando l’incantesimo ed emettendo una grande folata di vento gelante, incrementato dal rigore invernale, congelando completamente l’aria per tre metri e inesorabilmente intrappolando Gilia in un blocco di ghiaccio..

«Wow...»

«Quando si tratta di magia, Alea ha il vantaggio. Se fosse stato solo uno scontro di forza, avrebbe vinto facilmente Gilia. Se tu ti mettessi d’impegno, saresti superiore su entrambi i fronti.»

«Lo sono già fisicamente!»

«Non rispondere!»

Le mani avvolte in fiamme violacee, Althidon si lanciò contro Siirist, attaccando a ripetizione.

‹Se dovesse incrementare le fiamme, dovrei smettere di parare e solo schivare. Dannazione, già così è difficile evitare i suoi attacchi!›

Althidon attaccò con un calcio alto e Siirist, sorpreso dal vedere anche il piede infiammato, fu colpito in viso e lanciato con forza verso la sua destra, schiantandosi poi contro il terreno. Però era strano, il colpo sembrava meno forte dei pugni che aveva ricevuto fino a poco prima.

«Ti starai chiedendo perché questo calcio era così debole se confrontato con i pugni che ti ho dato finora. Semplice: se Evendil potenzia il suo corpo, il mio, come ho già spiegato, è un incantesimo, per cui se divido l’energia distribuita, la potenza cambia. Al momento sto utilizzando solo 1200 douriki del mio Flusso vitale per alimentare queste fiamme, perciò se moltiplichi il potere per dieci e per sette, scopri che la potenza complessiva delle fiamme è di 84000 douriki.»

«Perché anche per sette?»

«Il mio anello è un amplificatore x 7 per il mio fuoco freddo. Poiché ho avvolto entrambe le mie mani, ho diviso equamente la potenza distribuita, dunque entrambe le fiamme hanno una potenza di 42000 douriki. Ma infiammando anche il piede, ho diviso l’incantesimo per tre. Avrei potuto concentrarlo tutto il quel calcio, ma poi staresti probabilmente ancora a terra.»

«Non mi sottovalutate, Maestro!»

Allargò le braccia ed avvolse anche le sue mani in fiamme. Ma esse erano leggermente diverse dal suo solito fuoco, parevano bruciare con maggior vigore, nonostante la stessa energia.

«Non avrò un anello, ma ho due Cerchi. Inoltre questo non è fuoco comune.»

«Fuoco di drago?! I miei complimenti. Pare che dovrò far bruciare maggiormente le mia fiamme, allora!» e le fiamme viola presero a bruciare con più enfasi, assumendo dei riflessi azzurrini.

«Ora congelano?» domandò l’allievo.

«Precisamente.»

«Interessante.»

Si lanciarono l’uno verso l’altro, Althidon che attaccò con un diretto destro, Siirist che si spostò verso sinistra per evitarlo, deviandolo anche con il palmo sinistro, per poi abbassarsi e colpire con un poderoso colpo dato con il palmo della destra allo sterno dell’elfo. Questi volò indietro, il fuoco che rapidamente consumava pelle, carne e muscoli. Sofferente, Althidon dovette annullare il suo fuoco freddo per potersi poi guarire. Ma Siirist gli fu nuovamente addosso, lanciandogli sfere infuocate e poi tempestandolo di attacchi ravvicinati, i quali furono tutti schivati, anche se con difficoltà, poiché l’altmer era impegnato a guarirsi.

«Potente questo fuoco di drago, causa molti danno, è difficile da rigenerare!»

«Aspettate che riesca a controllare il fuoco d’Inferno!»

Ma il Maestro aveva già finito di curarsi, e poté concentrarsi interamente sul combattimento, evitando abilmente un sinistro, abbassandosi e ruotando in senso antiorario, concentrando tutti gli 84000 douriki nel piede sinistro, ed abbattendolo poi sullo zigomo dell’allievo, facendolo volare verso destra, il viso che lentamente andava in ipotermia.

«E ora: Fiamme della penitenza!»

Attorno a Siirist sorsero colonne di fuoco viola che delimitarono poi una barriera, dentro alla quale ci fu un’esplosione. Pochi secondi dopo, era rimasto solo del ghiaccio violaceo, dentro al quale vi era intrappolato Siirist, i cui occhi erano strabuzzati, sintomo del grande dolore che stava provando.

Althidon sorrise soddisfatto e annullò l’incantesimo, il ghiaccio che si dissolse nel nulla. Il giovane cadde a terra, rotolandosi dal dolore, ma con i movimenti irrigiditi.

«Ecco cosa intendevo dire con “il mio ghiaccio brucia”. Non ti è mai capitato di toccare qualcosa di così freddo da sentire che ti bruciava? Si chiama ustione da freddo. Ed il mio fuoco freddo ne provoca una così terribile da immobilizzarti per giorni, oltre che procurarti grandi sofferenze. Prossima volta seguirai le mie indicazioni e non mi farai arrabbiare. Alea, portalo subito in infermeria.»

 

La sera Siirist era ancora in ospedale a bere il brodo caldo che gli aveva portato Alea. Gli aveva anche rimboccato le coperte, lo aveva massaggiato e lavato bene con acqua bollente.

«Grazie... Non vorrei sembrarti irriconoscente, ma sono ancora un po’ irrigidito lì... e non intendo in senso buono.»

«Mi dispiace, quello non te lo tocco!»

«Ma è ancora in ipotermia! Non vorrei che mi si staccasse o cose simili!»

«Se vuoi ti chiamo Adeo.»

«No grazie. O sei te, o faccio da solo!»

Lei lo guardò negli occhi. Cadde un lieve silenzio imbarazzante e il ragazzo aveva bisogno di distogliere l’attenzione.

«Oppure chiami qualche bella infermiera...»

«Scordatelo.» si inacidì.

«Ah, hai rifatto la gelosa!»

«Fanculo.»

La fanciulla andò verso la porta e la chiuse a chiave, per poi ritornare accanto al ragazzo ed infilare la mano sotto le coperte.

«Solo per questa volta. E se lo dici a qualcuno ti ammazzo.»

 

«Ah, e quindi... Davvero te l’ha fatto?!» Gilia era meravigliato.

«No, non proprio, più che altro lo ha accarezzato, però certo, l’ha tenuto bene in mano!»

Alea aprì la porta e si diresse verso il suo lato della stanza. L’improvviso ammutolirsi dei due compagni le insospettì.

«Di cosa stavate parlando voi due...?» lo sguardo da assassina.

«Niente!»

«Esatto, niente. Niente che ti riguardi, almeno. Perché, è successo qualcosa tra voi piccioncini che non vuoi che io sappia?» disse Corvinus.

«Noi... cosa?!»

«E dai, si vede da un chilometro che c’è qualcosa tra voi! Finalmente avete concluso qualcosa? L’avete fatto? Siirist, brutto bastardo, pensavo fossimo amici! Non mi dici niente?»

«Non abbiamo fatto nulla di simile!» e corse fuori sbattendo la porta.

«Sei un genio.» Siirist non sapeva che altro dire.

«Lo so, io almeno so improvvisare senza lasciarmi sfuggire niente e far fare figure di merda! Vado anche io, va’. Tu dovrai stare a riposo, ma io purtroppo devo tornare da Althidon.»

«Puoi sempre chiedergli di congelare anche te.»

«Passo.»

Il moro si alzò dal letto dell’amico e, seguito da Asthar, si avviò verso l’uscita.

 

Arrivato il 6 febbraio, Gilia decise di sfruttare il fatto che il giorno dopo, grazie al suo compleanno, non ci sarebbero stati allenamenti per andare al villaggio con Siirist a bere. Ma in realtà aveva ben altri scopi.

«Ah ecco, quindi ora non ti bastano più Selena e quella nuova, come si chiama...?»

«Flaenia.»

«Sì, lei. Insomma, non ti bastano più e vuoi espandere i tuoi orizzonti anche alle mie amiche al villaggio?»

«Fai il geloso?»

«No, figurati! Anzi, potrebbe essere divertente! D’accordo, stasera cena alla taverna in compagnia di dodici belle ragazze! E che vuoi di più?»

Eccitati si alzarono dai rispettivi letti, andandosi a preparare per la giornata. Alea, che era già vestita, stava invece sdraiata sul suo letto a pancia sotto, intenta a leggere una tragedia, le gambe che sforbiciavano l’aria.

«Non sei stata invitata, perché dubito tu voglia venire, però se vuoi...»

«No, tranquillo, sto leggendo un’opera molto interessante, la finirò questa sera. Resterete giù anche a dormire?» disse senza nemmeno staccare gli occhi dal libro.

«Forse, perché?»

«Perché sarebbe bello, una volta tanto, avere la stanza tutta per me e potermi rilassare completamente, per cui rimanete giù, per favore.» il tono piatto.

Impassibile, girò pagina.

«Ok!» disse Siirist incoraggiato.

Fu così che alle sei biondo e moro, in groppa ai fedeli draghi, andarono verso il villaggio, alla cui taverna Siirist aveva già prenotato per quattordici.

«Ciao, tu devi essere Gilia! Piacere, Elira.»

«Ma sì, ti ho visto qualche volta da questa parti!»

«Più alto e muscoloso di Siirist! Sei proprio uno stallone!»

«E che belle mani... grandi e forti...»

Finite le presentazioni, tutti entrarono e presero posto, consumando poi un’abbondante cena.

«Anche tu vegetariano, vedo.» osservò una delle ragazze.

«Certo, tutti i Cavalieri lo sono.»

«Tranquilla, la carne giusta gli piace. Soprattutto da queste parti!» esclamò Siirist, accarezzando l’interno coscia delle due che gli sedevano accanto.

‹Che battuta squallida.›

«Ha ragione Rorix.» annuì Corvinus.

«Eh, l’hai sentito anche tu? Come può essere?»

«Me l’ha detto direttamente. E Asthar concorda.»

«Va beh, dettagli! E non era una battuta, bensì un dato di fatto! Almeno spero!»

«Certo, certo!»

La cena si concluse fra risate e vino, ma Siirist bevve poco, poiché non aveva molta voglia, così come se ne andò dalla casa di una della sue amanti intorno a mezzanotte, anziché rimanere a dormire, come invece fece Gilia da un’altra parte.

‹Non è da te.›

‹Non ne ho voglia, punto.›

‹La mano di Alea, effettivamente, non ha eguali.›

‹La bocca sarebbe meglio. Ehi no, aspetta, che dici?! E che dico io?! Non è di questo che si tratta! E smettetela di metterla sempre in mezzo! Questa sera non sono interessato a fare sesso, punto!›

Atterrarono nel cortile davanti al dormitorio e Siirist balzò giù, dopodichè Rorix assunse le dimensioni di un mastino e lo seguì fino alla camera. Entrò soprappensiero, per poi trovarsi davanti uno spettacolo come non se ne sarebbe mai aspettati. Alea stesa sul letto intenta a leggere sdraiata a pancia sotto, che indossava solo un paio di mutandine verdi mentre il seno nudo era compresso contro il materasso, la testa rivolta verso la porta, uno sguardo scioccato dipinto in volto, che subito dopo si trasformò in imbarazzo, mentre il viso si colorava di rosso. Un attimo più tardi, le tende del baldacchino si chiusero e la nascosero alla vista.

«Non dovevi rimanere a dormire al villaggio?!»

«Scusa, mi ero dimenticato che ti saresti goduta la solitudine! E potresti per favore rivestirti, così possiamo parlare in modo normale?»

«C’è una canottiera in bagno.»

Siirist la prese e la passò attraverso le tende.

«E non sbirciare!»

«No, non sbircio! Anche se tu me l’hai toccato, per cui anche io dovrei... – fu interrotto da una lama di ghiaccio che spuntò dalle tende. – Ma anche no.»

Alea finalmente le scansò, mostrandosi con quella canottierina che la copriva da metà della parte superiore del seno, lasciando quindi visibile una bella scollatura, mentre una spallina era abbassata, in quanto era un po’ grande.

«Perché sei tornato?»

«Non avevo voglia di stare con loro. Ci siamo divertiti per un paio di ore, adesso basta. Suppongo abbiano raggiunto Gilia e se lo stiano mangiando vivo, quelle cannibali. Dodici, poi! Nemmeno io resisterei a lungo! Già con quattro ho difficoltà!»

«Mi sorprendi.»

«Che posso farci? Preferisco stare qui con te a parlare.»

Lei sorrise, il sorriso più bello che Siirist avesse mai visto, per poi cambiare subito espressione in una finta ed esagerata meraviglia.

«Incredibile, anche tu sai essere dolce!»

«Capirai, non ho detto niente di speciale.» si imbarazzò.

«No, ma è già un miglioramento rispetto al tuo solito essere un maniaco sessuale.»

«Sinceramente, cos’è che ti ha fatto... insomma...»

«Innamorare di te?»

«Sì, quello.»

«Per come sei. Va bene, hai dei difetti, come girarti verso ogni sedere che passa, ma nessuno è perfetto, dopotutto! Meglio così che come Adeo, dopotutto!»

«Allora davvero che non avresti speranze!» rise.

«Appunto. Sei simpatico, divertente. Sei tu che mi hai fatto cambiare, è grazie a te che sono uscita dal mio guscio. Il modo in cui ti prendi cura di noi, come tieni a chi ti sta vicino, è questo che ti rende unico. Voglio dire, hai sfidato mio padre dopo che mi aveva ridotta in quel modo!»

«L’avrei fatto anche per Gilia. O Keira. Cavolo, persino per Miya o Hermeppo!»

«Precisamente! Non è per come ti comporti con me, ma per come fai con tutti: le persone a cui tieni e chi è in difficoltà. Sarai anche egoista e pensi troppo ai piaceri carnali, ma incarni il vero spirito del Cavaliere più della maggior parte di quelli che sono qui. Se vedessi un mostro attaccare il villaggio, non lo sconfiggeresti perché è il tuo dovere di Cavaliere, ma perché lo senti come dovere in quanto persona. Sai che puoi fare qualcosa, quindi lo fai. Certo, se arrivasse qualcuno o qualcosa in grado di battere Evendil, credo ci penseresti due volte prima di attaccare!»

«Perché se dovesse perdere Evendil, io verrei massacrato, giustamente! Però se servisse a dare a voi il tempo di scappare, lo farei.»

«Vedi di cosa parlo? Puoi atteggiarti quanto vuoi a fare l’egoista che cerca solo il piacere personale, ma hai un animo buono, puro. Hai un cuore d’oro, ed è questo che mi attrae di te. Ed è questa la persona che vorrei al mio fianco fino alla fine dei miei giorni, che vorrei proteggere e da cui vorrei farmi proteggere.»

Siirist era senza parole. Un po’ scioccato dalle parole dell’amica, non sapeva se essere onorato, felice, imbarazzato. Era un po’ tutto, sì. Ma la cosa sicura, era che odiava quell’aria seriosa che si era formata.

«Ma infondo sono anche gli occhi, no? Guarda un po’ che azzurro limpido! E pure questo!» e mise in mostra il bicipite.

«Per quanto mi sorprenda e non riesco a credere che stia per dirlo, sì, mi piace anche questo lato del tuo carattere. Perché sei comunque tu. E mi fai ridere.»

Ed il sorriso si allargò talmente tanto da illuminare completamente il ragazzo. Era abbagliato da tanta bellezza, non poteva credere che esistesse una persona del genere.

«E tu non smettere mai di sorridere.»

E lentamente i due si avvicinarono l’uno all’altra.

 

 

 

 

 

~

 

 

 

E rieccoci qui. Gli incantesimi predefiniti che usa Gilia nel suo duello con Alea sono naturalmente citazioni di divinità. Thor è conosciuto ai più, ed è il dio del tuono della mitologia nordica, mentre Geb (che si pronuncia “Gheb”) è meno rinomato, ma si tratta del dio della terra per gli Egizi. Naturalmente questi dei non esistono nel mondo in cui si svolge la storia e sono solo nomi che lui si è inventato. Nel caso dovessi utilizzare altre citazioni simili in futuro, il concetto è lo stesso. Un’altra cosa che voglio dire è che io nella mia vita ho visto tanti di quegli anime, giocato a molti videogiochi, ho letto libri e manga, conosco un po’ di mitologia egizia, nordica, giapponese e, naturalmente, greco-romana, che spesso e volentieri ci saranno citazioni nella fanfic. Quelle più evidenti sono segnalate nella descrizione, come naturalmente i luoghi di FF e TES, o il santouryu di One Piece, ma non starò a segnalare la citazione per ogni nome che uso.

 

Banko/Zack carissimo, immagino che la scena iniziale in camera ti sia piaciuta molto, con Siirist che dice di aver sognato una Alea ninfomane anziché la maniaca omicida che in realtà conoscono! Non è ancora pronto (o perlomeno era), ma vedrai il prossimo capitolo. Volevi rivedere Elisar? E io, nemmeno farlo apposta, ti accontenterò con il prossimo capitolo! Ma sarà una scena breve, niente di eccitante. Piuttosto sarà interessante un altro personaggio che verrà introdotto. Ma tanto sai già quando Siirist ed il “suocero” si dovranno rivedere per molto tempo, anche se, come ti ho già detto, quel momento sarà posposto rispetto a com’era nella prima versione. Cosa intendevi con “atmosfera non molto promettente”? Per finire, basta con questa Keira! Non ho mai detto che non sarebbe mai più ricomparsa, anzi a suo tempo risposi ad una recensione dicendo “ricomparirà solo in una scena tra tredici capitoli”. Chiaramente, dopo tutte le aggiunte che ho fatto, non sono più stati tredici, ma è comunque tra poco. Nella vita di Siirist è una persona importante, perché per sedici anni è stata la sua unica amica, l’unica persona che quel bastardo puttaniere non si divertiva a sfruttare e basta e che non prendeva in giro. Non per niente era a conoscenza del fatto che fosse un ladro e lo aveva spesso aiutato con la refurtiva. Ed è stata la sua prima volta, nota abbastanza importante, direi. Ma a livello di trama è un personaggio senza rilievo. Gli unici che contano veramente sono Siirist, Gilia, Alea (+ draghi), Evendil, e pochi altri che non sono ancora stati introdotti. Allargando leggermente la cerchia potrei inserire Althidon, Aulauthar, Syrius, Adamar, Eimir (è un altro del Consiglio, menzionato una volta da Evendil e che si rivedrà tra due capitoli), Adeo, Hans e qualche altro non ancora introdotto. Stringendo al nocciolo sono solo Siirist, Gilia e Alea (+ draghi). Punto. Ma qui voglio esplorare il mondo della storia il più possibile (per quanto ne abbia voglia) e Keira salterà sempre fuori. Vedrai nel prossimo capitolo quanto ci pensa Siirist! E anche in questo ci sono stati alcuni momenti. Keira ricomparirà tra qualche capitolo e nell’ultimo. Forse la inserirò ogni tanto anche in altre occasioni, ma finora non ci ho pensato.

 

Il prossimo capitolo si intitola AMORE? e sarà pubblicato domenica 19. Una nota: in questo capitolo, data l’importanza del momento, verrà descritto leggermente più nel dettaglio la scena di sesso. Niente di troppo esplicito, ma ben più di “si avvicinarono...” e fine capitolo.

PS: un commentino non fa mai male! Ciao!

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** AMORE? ***


AMORE?

 

Il mattino dopo, Siirist si svegliò pervaso da una sensazione di benessere e felicità come mai prima. Aprì gli occhi controvoglia, temendo che quel piacere che provava svanisse. Tutto il contrario. Come li ebbe anche solo sfessurati fu abbagliato dalla vista della creatura più bella del pianeta e fu portato a spalancarli completamente, così da poterla ammirare meglio, così da potersi beare completamente della sua presenza. Lì, a pochi centimetri da lui, vi era Alea, la testa dignitosamente appoggiata sul cuscino, il volto rivolto verso di lui, il respiro lento e regolare, come se fosse profondamente addormentata, come fosse umana. No, impossibile, era troppo bella. Siirist si avvicinò a lei e la odorò, inebriandosi del suo profumo naturale. Avvicinò il naso anche alla bocca, meravigliandosi di non sentire nessun odoraccio di alito mattutino.

‹Gli elfi sanno essere profumati e ordinati anche di prima mattina. Ma come fanno?›

In quel momento la fanciulla aprì gli occhi, rivelando il verde più bello che mai si fosse visto, sorridendo poi amorevolmente.

«Buongiorno.»

La voce, distorta dallo stiracchiamento, le diede un che di tenero. Si avvicinò poi al ragazzo e lo baciò delicatamente sulle labbra, spingendolo poi giù dal letto con disgusto.

«Ma che fai?! Sei impazzita?!»

«Fai schifo! Cos’è quell’alito?»

Siirist mise la mano davanti alla bocca, coprendo anche il naso, ed espirò, odorandosi poi l’alito. Effettivamente aveva ragione.

«Scusa tanto! Noi miseri umani abbiamo di questi problemi la mattina!» e andò offeso a lavarsi i denti.

«Come è stato ieri notte...?» chiese un po’ imbarazzata l’elfa.

«Eh? Un attimo, arrivo!» rispose con la voce impastata dal dentifricio.

Finito con il bagno, Siirist ritornò a sedersi sul letto di lei.

«Piacevole, molto. Dovremmo farlo più spesso.» sorrise.

«Mi sorprende che tu non abbia provato a fare di più.»

«Non volevo certo sprecare un’occasione del genere! Abbracci, carezze e baci sono stati più che sufficiente per me, grazie! E poi dormirti vicino è... Non so come spiegarlo, ma la sensazione di pace e tranquillità che avevo era senza precedenti, non ho mai dormito così bene!»

«Sono contenta. Io pure.» ed appoggiò la testa sulla spalla di lui, dandoglici anche due baci.

«Però certo, se vuoi che lo faccia...!»

Siirist si girò di scatto e bloccò l’elfa sul letto, montandole poi sopra.

«Buongiorno! Sono tornato!»

Gilia aprì di scatto la porta per trovarsi davanti quella scena. Ci furono alcuni momenti di silenzio, durante i quali Siirist e Alea guardavano verso la porta, Gilia verso il letto.

«Sì, va bene, ripasso più tardi.» e fece per chiudere la porta.

«Fermo lì!» urlò Ilyrana.

Corvinus fu risucchiato nella stanza da un vortice di vento, mentre Ryfon veniva schiacciato contro il soffitto. Mentre il moro era troppo dolorante e stanco per muoversi ed il biondo era bloccato magicamente, la fanciulla si rivestì ed uscì di corsa. Siirist cadde improvvisamente sul letto, annusando poi con piacere il cuscino della altmer.

«Cosa stavate facendo?» disse rialzandosi Gilia.

«Niente, stavo solo scherzando. Però abbiamo passato una notte meravigliosa.» e lo sguardo di Siirist si perse.

«L’avete fatto?!»

«No, abbiamo solo dormito insieme, ma è stato comunque bello. E poi ci siamo svegliati, tutti carini, mi ha abbracciato... Poi sei arrivato tu e guarda come si è comportata! Parla di sbalzi d’umore!»

«Avrà il ciclo?»

«No, non ce l’ha.»

«Le starà venendo?»

«Probabile.»

«Va beh, donne isteriche a parte, oggi è il mio compleanno! A mezzanotte mi hai fatto un regalo unico!»

«Quelle altre ninfomani? Immaginavo che sarebbero venute da te una volta che me ne fossi andato. I miei complimenti per essere riuscito a gestirle tutte!»

«Sai com’è, dopo tutto questo tempo che non l’ho fatto, ero bello carico. Con Selena e Flaenia non era niente di così... colossale. Loro sono più contenute, per quanto Selena abbia le sue perversioni, mentre le ragazze del villaggio...!»

«Lo so. L’ho già detto, sono delle ninfomani.»

«Ah, e un’altra cosa: – e si avvicinò a Siirist così da potergli sussurrare all’orecchio. – A quanto pare ce l’ho più grosso di te.»

«Ehi!» e lo spinse via.

«Almeno il doppio!»

«L’importante è saperlo usare!»

«Ma se lo sai usare ed è grosso è anche meglio!»

«Ma muori!» e gli diede un pugno, facendolo volare contro la parete.

Ryfon si vestì e corse verso la mensa, dove trovò Alea che mangiava ad una tavolata piena, così si avvicinò a quello che le stava accanto e lo sollevò di peso, depositandolo per terra e gettandogli addosso tutto il suo cibo.

«Ehi!»

«Sparisci.»

Si sedette accanto all’elfa e la fissò fino a quando non finì di ignorarlo e si voltò verso di lui.

«Tanto è inutile, non succederà più. Ieri sera, dopo tutti quei discorsi, mi sono sentita di farlo, ma togliti dalla testa l’idea che accada ancora.»

I Cavalieri intorno, sentendo le parole dell’elfa, si interessarono di più all’argomento e quello scacciato da Siirist annullò il suo incantesimo di fulmine. Ma il biondo si accorse di ciò e non ne fu contento, facendo prendere fuoco ai capelli di tutti.

«Non mi importa, me lo immaginavo. Voglio solo che tu non sia arrabbiata con me, stavo solamente scherzando prima. E con Gilia mi sono inventato una scusa, gli ho detto che ho fatto un sogno erotico per cui questa mattina ero eccitato e ti sono saltato sopra.»

«Ah... va bene... Ti ho fatto male?»

«Un po’, ma ora sto a posto. So che la faccenda della Collana del Giuramento è seria e ti prometto che non ci scherzerò più sopra.»

«Grazie. E scusa.» e gli diede un bacio sulla guancia, per poi alzarsi.

Andata via Alea, tutti i Cavalieri a cui Siirist aveva dato fuoco si prepararono ad assalirlo e dargli una lezione. Ma lui non si fece intimidire; saltò sul tavolo e si mise in posizione per il suo ultimo incantesimo predefinito: gamba destra più indietro rispetto alla sinistra, busto ruotato, braccia incrociate, le mani aperte, la sinistra verso l’alto, la destra verso il basso.

«Comandamento incendiario!»

I due Cerchi d’argento si illuminarono e l’aria attorno a lui prese fuoco, avvolgendolo in una barriera di fuoco. Flusso vitale richiamato: 1000; potere generato: 100000.

«Credi di poterci sconfiggere da solo?! Siamo in venti e tu sei ancora in addestramento! Abbassa la cresta, ragazzino!»

«Imparate qual è il vostro posto!»

Di scatto il Cavaliere d’Inferno allargò le braccia, puntandole ai suoi lati, ed il cerchio di fiamme si allargò, andando a colpire tutto quelli che gli stava intorno. Chi non era coinvolto nello scontro era stato abbastanza previdente dall’allontanarsi. Con gli avversari a terra che cercavano disperatamente di spegnere le fiamme dai loro corpi, Siirist si allontanò pulendosi le mani con aria soddisfatta.

 

Il dodici aprile vennero a fare visita ad Alea entrambi i suoi genitori. Elisar non ne aveva la minima intenzione, ma era stato convinto dalla compagna Elénaril, in quanto ella era curiosa di conoscere il discendente dei Ryfon.

«Ecco, sì, sono io. Qualche problema?»

«Interessante scelta, Alea cara. Sì, mi piace, approvo.»

«Approvi che cosa?» domandò furioso e sospettoso Ilyrana.

«Eh?» Siirist sperava di non aver capito.

«Vieni con me, ragazzo.»

Poco convinto, Siirist seguì Elénaril in una passeggiata.

«Io non ho con mia figlia lo stesso tipo di rapporto che ha con suo padre, difatti siamo molto vicine e mi ha scritto molte lettere in questi due anni, molte delle quali parlavano di te. So che ti ha donato una Collana del Giuramento.»

«Sì.»

«E che tu non le hai ancora risposto.»

«Mi è difficile pensare a qualcosa così a lungo termine.»

«Lo so, infatti non ti biasimo. Io ho scambiato il mio giuramento con Elisar quando avevo 940 anni e lui ne aveva 1022. Voi siete giovani, anzi siete poco più che neonati per noi, comprendo la difficoltà di pensare a qualcosa del genere a questa età. Rimasi molto sorpresa quando Alea mi comunicò la sua decisione e confesso che non ne ero felice. Non che avessi dei problemi con te, non sono come Elisar, ma trovavo ridicolo che, così giovane, potesse prendere un impegno così importante. Eppure ho visto la sicurezza nelle sue parole nelle lettere, nei suoi occhi oggi che l’ho vista. E tu non sei un cattivo ragazzo. Se dovessi seguire quello che mi ha detto Elisar, dovrei pensare che sei il male incarnato, ma non possiamo certo dire che lui si sia comportato bene con nostra figlia. Non ho mai approvato il modo in cui l’ha allenata, ma non si è mai spinto così tanto. Da quello che mi ha scritto Alea, l’ha ridotta veramente male e tu non hai fatto altro che difenderla. Inoltre Aulauthar ha grande stima di te ed egli è un amico di vecchia data, per cui mi fido ciecamente di lui. Lo stesso vale per Althidon. Purtroppo non conosco Evendil Thyristur, ma egli è ben considerato all’interno dell’Ordine, nonostante la sua giovane età, e so che ti considera come un figlio.»

«Siete troppo gentile. E vi chiedo umilmente scusa per il modo in cui mi sono presentato, ma vedere la faccia di vostro marito, no, il vostro compagno di vita mi ha fatto imbestialire.»

«Tranquillo, Alea mi ha parlato del tuo carattere. E per quanto riguarda mio “marito”, ti chiedo di non pensare troppo male di lui. Non ha un bel rapporto con nostra figlia, è vero, e l’ha spesso trattata male, ma lo fa solo per il suo bene, per renderla forte, perché la ama sopra ogni altra cosa al mondo. Mi sorprese molto sapere come si era comportato l’anno scorso, e anche il fatto che non me ne volesse parlare, quando solitamente parliamo di tutto, perciò credo che fosse così arrabbiato da essere andato fuori di testa. E a lui non piaci, questo è innegabile.»

«Non mi interessa.»

«Non ne dubitavo. Bene, mi è piaciuto molto chiacchierare con te. Vogliamo tornare?»

«Certamente.»

Tornati al resto del gruppo, furono accolti dallo sguardo inquisitore di Elisar.

Mia mamma è la migliore, non trovi?› Alea si intromise nella mente di Siirist.

Devi pur aver ripreso da qualcuno.

I due si sorrisero e a Siirist venne l’impulso di prenderla per mano. Ma poi si diede dell’idiota.

 

La mattina del 15 giugno, dopo che Gilia e Alea si erano già avviati a fare colazione, Siirist prese dal suo cassetto la Collana del Giuramento e la fissò sospirando, rigirandosela fra le mani.

‹Cosa hai intenzione di fare? Sono settimane che sei tormentato. Se davvero vuoi indossarla, devi esserne sicuro al 100%, nessuna indecisione. Non posso dire che sia il tuo attuale stato mentale.› disse Rorix.

‹Wow, hai scoperto la Materia!›

‹Stavo solo cercando di aiutarti a pensare! Hanryu, quanto sei scontroso ultimamente!›

‹L’hai detto tu stesso, sono tormentato. Voglio dire, mi piace, lo so, è appurato, ormai sono mesi che ci penso, però... passarci la vita insieme? Amore? No, è ridicolo! Non ne sono innamorato, eppure se dovessi pensare a qualcuno con cui passare tutta la vita, è lei l’unica che mi viene in mente. Ma cosa posso sapere di cosa penserò in futuro? Fino a due anni fa avrei potuto pensare a Keira nello stesso modo! Di sicuro se mi fossi voluto sposare, tra tutte le ragazze che conoscevo lei era l’unica candidata degna! Ma di sicuro non ne ero innamorato!›

‹Quindi Alea ha preso il posto di Keira? Ma è anche naturale, anche volendo, con Keira non avresti possibilità, vista la tua vita notevolmente più longeva. Basta guardare Gilia e Deria. Dimmi questo, se tu e Alea foste comuni umani, chi sceglieresti comunque tra lei e Keira?›

Siirist ci rifletté un momento.

‹Alea in ogni caso.›

‹Perfetto, sei sicuro della tua scelta. Però ci hai messo troppo per arrivarci.›

‹Dovevo immaginarmi la situazione!›

‹Non importa, avresti dovuto dire Alea in ogni caso. Non serve l’amore per accettare la Collana del Giuramento, serve sapere di volere quella persona e basta per tutta la vita. Con questa certezza, l’amore viene da sé. Che poi, cos’è questo amore? Mah, io ancora non l’ho capito. Ma lasciamo stare, qui si tratta di te.›

‹Il problema, amico mio, è che nemmeno io ho capito cosa sia.›

‹Il problema è che ancora non sei completamente certo di Alea. Quindi metti via quella collana e andiamo alla mensa, ho fame.›

‹Per quanto tu debba mangiare carne finta?›

‹In settimana vedi di portarmi a mangiare al villaggio.›

 

Dopo colazione, i tre Cavalieri in addestramento erano nel cortile con Althidon.

«Non trovate che sia troppo caldo per allenarsi oggi?»

«Io sì, ma dubito che voi direte lo stesso.» rispose Siirist.

«Però posso dire che ci alleneremo in un luogo più fresco.»

«Niente fuoco freddo, grazie.»

«No, tranquillo. Andiamo al mare.»

I tre ragazzi risero: Althidon non poteva essere serio.

«Mi trovate così bastardo?»

Gli allievi non risposero, consci delle conseguenze.

«Non te lo direbbero mai, Althidon. Ma la risposta è sì.» si intromise Evendil.

«D’accordo, mi dispiace che lo pensiate. Però lo hanno pensato tutti i miei ex allievi, per cui forse è vero. Ma non importa, mi ringrazierete in futuro. Quello che conta è che andiate a prendere i vostri costumi da bagno e che poi vi dirigiate alla spiaggia a sud dell’isola. La conoscete?»

«Sì, ci siamo stati una volta l’hanno scorso.» rispose Alea.

«Benissimo. Avete dieci minuti, muovetevi.»

I tre corsero verso la loro camera e subito entrarono a cambiarsi, i draghi che aspettavano fuori, per poi uscire di corsa e montare in groppa ai compagni e volare fino alla spiaggia. Siirist e Gilia indossavano lo stesso modello di costume, che avevano comprato insieme, un bermuda lungo oltre le ginocchia, rosso acceso con disegnate fiamme azzurre il biondo, nero con fiamme argentate il moro. Alea invece aveva messo un pezzo unico turchese, che però lasciava una parte della schiena scoperta. Arrivati alla spiaggia, trovarono Althidon vestito in modo strano. In pratica era nudo. Abitati sempre a vederlo elegantemente vestito, perennemente con il suo mantello viola, vederlo indossare quella sorta di panno di lino cachi era eccezionale.

«Che cosa sarebbe quello...?» domandò Siirist che a stento tratteneva le risate.

«Un costume da bagno.» rispose con tutta la naturalezza del mondo il Maestro.

Il ragazzo sgranò gli occhi.

«Sì, quello è un costume da bagno elfico.» spiegò Alea.

«Ed è molto più comodo di quello che indossate voi umani. Mi sorprendo che Alea ci si sia adattata.» arrivò Evendil.

Anche il mezzo bosmer indossava quel coso strano, che tutto sembrava anziché un costume da bagno. Era un pezzo di stoffa arrotolato attorno alle parti intime. Punto.

«Ma voi elfi fate tutto uguale? Sono esattamente come la biancheria di Alea! Fortuna che almeno a voi coprono di più il sedere. Non mi dispiace vedere le chiappe di Alea, ma le vostre mi farebbero schifo.»

E Siirist fu colpito in testa da un blocco di ghiaccio a forma di martello.

«Perversioni e feticismi a parte, scordatevelo se pensate che questa sarà una tranquilla giornata al mare. Sfrutteremo la bella e calda giornata per fare un bagno, ma ci alleneremo molto con il combattimento in acqua e a utilizzare in vari modi la magia elementale.»

«Tranquillo, l’idea non ci ha sfiorato nemmeno per un secondo.» rispose Ryfon ancora massaggiandosi la nuca.

«Assolutamente d’accordo.»

«Dovrei essere pazza per averlo creduto.»

«Visto, Althidon? Sei un bastardo!»

«Lasciamo stare. Tutti in acqua, forza.»

 

Tutta la mattina fu trascorsa alla tranquilla spiaggia, con i quattro draghi che si riposavano sotto le palme e guardavano i Cavalieri ed Evendil allenarsi. E con “riposo” Zelphar aveva inteso stare fermi all’ombra, ma ad allenare la mente e la magia facendo levitare cinque oggetti a testa e dovendoli tenere completamente immobili per vari minuti.

Althidon invece aveva insegnato a Siirist e Gilia il modo per cambiare la temperatura dall’acqua, quindi per trasformarla in ghiaccio o renderla bollente, oltre che riuscire a camminarvi sopra. Sorprendentemente, Siirist riuscì subito in tutto. D’altro canto Alea, che sapeva già fare tutto, era stata a duellare con Evendil, entrambi che utilizzavano esclusivamente incantesimi d’acqua.

Arrivato mezzogiorno, il Maestro dichiarò concluso l’allenamento mattutino.

«Siete stati tutti molto bravi, Mi complimento soprattutto con il nostro Cavaliere d’Inferno che, in un modo o nell’altro, è riuscito a capire tutto subito. Evendil, non dovrai dargli ripetizioni sulla lezione di oggi!»

«Ah, bene!»

«Il ghiaccio con l’acqua è molto più semplice che con l’aria.» osservò Siirist.

«Sì, è vero. Ma ricorda cosa ti dissi il primo giorno dei nostri allenamenti, per via della tua affinità con il fuoco, ti conviene specializzarti nel vento.»

Il ragazzo annuì.

«Dunque, come ultimo incarico per questa mattina, dovrete tornare alla Rocca volando dalla spiaggia. Niente draghi, chiaramente. Non mi interessa come lo facciate, basta che voliate. Utilizzando la magia, si intende, Gilia.»

Senza aggiungere altro, Althidon salì su Zelphar e se ne andò. Evendil lo seguì, utilizzando l’elemento vento per volare, e Alea pure si sollevò in aria, guardando poi verso gli altri due che erano rimasti a terra.

«Richiamando gli spiriti potrei farlo facilmente, ma con la magia non lo so fare.»

«Io sono messo peggio, non ho nemmeno spiriti da evocare!»

Alea incrociò le gambe a mezz’aria ed appoggiò il gomito destro sulla coscia, mettendo poi il viso sul pugno.

«Dovete creare delle correnti d’aria sotto di voi che vi sollevino. Non credo sia necessario essere in grado di volare liberamente, è sufficiente che riusciate a levitare fino oltre le mura.»

«Far levitare gli oggetti è semplice, anche le persone, ma questo perché vedo il mio bersaglio ed uso le mani per aiutarmi a muoverlo Farlo su me stesso non è la stessa cosa.» disse Siirist

«Infatti il procedimento è diverso. Davvero non riuscite a creare una corrente d’aria sotto di voi?»

«Io ci provo. Vento soffia e portami oltre le mura.» esclamò Gilia.

L’incantesimo, affatto raffinato come quello di Alea e Evendil, non consisteva semplicemente nell’alzarsi da terra, ma in una ventata perfettamente visibile che lo sollevò. Ma andava bene lo stesso. Però il moro perse la concentrazione e dopo pochi metri l’incantesimo di disperse.

«Che è successo?»

«Ha ragione Siirist, non vedere cosa si controlla lo rende difficile. Se potessi staccare un pezzo di roccia e saltarci sopra, non avrei problemi a controllarlo e farlo levitare fino alla Rocca. Ma Althidon ha detto di volare.»

Anche Ryfon provò a levitare, ma ebbe anche meno successo dell’amico.

«Alea, tu non preoccuparti per noi, vai pure. È già mezz’ora che stai qui, vatti a riposare.» disse dopo un po’ il biondo.

«No, figurati!»

«Ha ragione lui. E poi io ci sono quasi. Credo.»

«Fortunato te.»

Non tanto convinta ed augurandosi di vederli il prima possibile, Alea andò via, accompagnata da Eiliis.

‹Questo esercizio è stupido. Dovreste volare sopra di noi, non vicino.› sbuffò Rorix.

‹E se dovessi cadere?›

‹Ti verrei a riprendere.›

‹È utile. E poi ho sempre voluto volare.›

‹A proposito, è estate già da qualche tempo, inoltre oggi è particolarmente caldo. Ti andrebbe di fare un giretto sopra le nuvole?›

‹Volentieri, ma fammi arrivare alla Rocca prima.›

Entrambi i Cavalieri erano arrivati a quaranta metri di altezza, ma quello era il massimo per Siirist, che precipitò, mentre Gilia pure perse l’incantesimo arrivato a cinquantaquattro. Ma tutti e due furono presi al volo dai fedeli draghi.

‹Vedi? Ti ho detto che non ti farei cadere!›

‹Sei stato veloce!›

‹Pensa se fossi già in volo! Non esiste che faccia cadere il mio Cavaliere!›

Siirist gli diede una pacca sul collo, per poi ritentare l’incantesimo.

Passò all’incirca un’altra mezz’ora quando Gilia riuscì, dopo tanta fatica, a mettere piede oltre le mura nere.

‹Ma porca...! Aspetta un momento... Althidon ha detto di volare, ma non ha specificato di utilizzare il vento!›

‹Che intendi dire?›

Soddisfatto di sé, Siirist sorrise trionfante mentre dalle mani liberò delle fiamme che spingevano verso il basso, sollevando quindi il ragazzo. Arrivato ad un metro di altezza dal suolo, il giovane accese delle fiamme anche sotto i piedi e con quelle si diede la spinta necessaria per schizzare verso l’alto. Vide Gilia che camminava soddisfatto e gli passò accanto, veloce come una freccia, la testa in avanti e le mani verso il basso a generare delle fiamme che lo tenessero in aria, mentre quelle dei piedi lo spingevano in avanti. Vide Althidon camminare con Evendil e si diresse verso di loro, mostrando il frutto del suo ingegno.

«Come vi pare?» chiese gasato.

«Sì, ci può stare. D’altronde non ho specificato che lo faceste con il vento, bastava che volaste. Ottima idea.» si congratulò l’altmer.

Evendil si limitò ad un pollice in su. Soddisfatto, Siirist ripartì verso il dormitorio, entrando trionfante in camera.

«Ci sei riuscito?! E Gilia?»

«Gilia c’è riuscito e sta arrivando ora. Io no, ma ho trovato un trucchetto per volare lo stesso.» prese la sella di Rorix e uscì.

«Che vuoi dire?» e lo seguì.

L’Inferno era già lì che aspettava grande quanto un cavallo, così da facilitare l’allacciamento della sella, per poi ingrandirsi, la sella che magicamente si adattò.

«Guarda.»

Il giovane fece un saltino per poi riaccendere i fuochi sui piedi, facendosi quindi levitare, e con quelli delle mani si direzionò fino a mettersi seduto.

«Incredibile!»

«Lo so!» e Rorix decollò.

 

La sera, finito l’addestramento pomeridiano, Siirist ed Alea ritornarono in camera distrutti, i muscoli a pezzi, la ragazza soprattutto.

«Tu mi devi spiegare come fai a non essere stanco.» si lamentò Ryfon con Gilia.

«Perché sono più abituato con voi con la terra, semplice, e fra tutti gli elementi questo è quello che più affatica muscolarmente. Ringraziate la forza dei draghi, umani, o anche elfi, comuni soffrono come cani prima di imparare ad usarlo bene.»

«Preferisco il fuoco.»

«E io il vento.»

«Io invece non so dirvi se prediligo il fulmine o la terra.»

«Allora io amo anche l’acqua.» aggiunse Alea.

«Io... no, solo il fuoco. Ma anche il fulmine non è male.»

Rientrati in camera, Alea si buttò sul letto.

«Io mi metto subito a dormire, niente cena per me.» bofonchiò con la voce attutita dal cuscino.

A Siirist venne un’improvvisa idea. Comunicò mentalmente a Gilia di levarsi di torno fino a dopo cena, il quale acconsentì senza problemi dicendo che sarebbe andato al villaggio.

«Gli hai ceduto il posto o qualcosa del genere?» scherzò l’elfa.

«Più o meno. Seriamente, vuoi un massaggio?»

Lei si voltò lentamente verso di lui, guardandolo incuriosita.

«Dici sul serio?»

«Sì. Guarda che sono bravo. Un mio massaggio e ogni tuo muscolo tornerà ad essere rilassato. Mi è spesso capitato di far venire un orgasmo a Keira solo così.»

«No grazie. Mi basta riposarmi un po’ e poi mi rimetto in sesto con la magia organica.»

«Ma un massaggio è più soddisfacente.»

«È una scusa per vedermi nuda, vero?»

«Ma no! Per i massaggi ci si spoglia, è vero, ma il massaggiatore non vede mai le parti intime! E poi ti ho già visto la schiena nuda!»

Alea ci pensò su, probabilmente discutendone anche con Eiliis.

«Girati che mi tolgo la tunica.»

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Una goccia di sudore gli rigò il viso mentre sentiva il fruscio degli abiti che venivano tolti. E poi il suono del leggiadro corpo della fanciulla che si stendeva sul letto.

«Ti sei legata i capelli?» chiese rimanendo immobile.

«No, lo faccio subito. Fatto.»

Il ragazzo si voltò per vedere la dea stesa a pancia sotto, completamente nuda se non per le mutandine di lino.

‹Questo è un test per te per vedere quanto riesci a controllarti.›

‹Il fuoco già mi ribolle dentro.›

‹Non sputtanare questa occasione. L’altra volta che avete dormito insieme sei stato bravo a trattenerti, ora fai lo stesso. Sai che se provi a fare qualcosa che non devi, te la giochi per chi sa quanto tempo?›

‹Lo so! Però l’altra volta ci siamo sì abbracciati, però era vestita! Ora è totalmente nuda! Insomma guarda lì, il culo si vede quasi tutto! Io cerco di stare calmo, ma se si arrabbia perché sente l’erezione io non posso farci niente!›

‹Devi veramente imparare a usare la magia organica, potrebbe anche aiutarti a tenerlo buono.›

‹Hai ragione.›

«Che aspetti ancora? Credo tu mi abbia fissata abbastanza ora. Un altro minuto e non si fa più niente.»

«Sì, arrivo. E a essere sinceri nemmeno ti fissavo! Ero impegnato in una conversazione con Rorix.»

«Davvero? Sarei curiosa di sentirla.»

«No.»

Le si avvicinò e la toccò sulla schiena, sentendo tutto il sudore rappreso non fu contento. Come massaggiatore. Come uomo era estasiato, ma allo stesso tempo aveva paura che stesse tirando troppo la corda.

«Arrivo subito.»

Andò in bagno e cercò un asciugamano abbastanza grande da coprire completamente il seno della fanciulla senza però coprire altra pelle e, una volta trovato, glielo portò.

«Copriti con questo e vai in bagno. Sei sudata e non va bene, devo lavarti.»

«Tu devi cosa?!»

«Fidati di me. Sei indolenzita, giusto? Allora vedrai che questo ti darà piacere.»

Poco convinta, l’elfa fece come detto.

‹Questa è una sorpresa.› si stupì Rorix.

‹Dillo a me.›

Anche Siirist si spogliò, indossando poi il costume da bagno, giustificandosi dicendo che si sarebbe sicuramente bagnato anche lui, per cui tanto valeva stare in quel modo. Prese uno sgabello e lo posizionò accanto alla doccia, dicendo alla ragazza di mettercisi sopra, dopodichè staccò la bocchetta della doccia dal suo supporto e girò le manopole, sentendo il calore dell’acqua con la destra, allungando il tubo fino all’elfa quando fu soddisfatto della temperatura. Si sedette su uno sgabello dietro di lei e cominciò a sciacquarla con il getto debole, strofinando anche con la spugna intrisa di bagnoschiuma. Quando essa fu perfettamente lavata, appoggiò la mano al mento e tirò verso di sé, portandosi la testa della fanciulla al petto, così da lavarle il viso. Ma prima che l’acqua corrente le inondasse la faccia, i due si scambiarono uno sguardo carico di emozioni diverse, entrambi leggermente rossi in viso. Finito di pulire la faccia, che allo stesso tempo massaggiò anche, Siirist si occupò delle gambe, passando la destra sull’interno coscia, guadagnandosi così un’occhiataccia da Alea, ma poi, seguendo la pressione di lui, ella allargò le gambe di sua volontà, permettendogli di lavare accuratamente anche lì, ma ponendo un limite fino a quanto su potesse andare. Ed esso era così vicino all’orlo della stoffa da far quasi provare al ragazzo la sensazione di toccarla nella sua parte più intima. Il cuore gli accelerò, deglutì ed ebbe un sussulto sotto al costume.

‹Calmati, stai andando bene, finora non ti ha impalato. Continua a resistere un altro po’ ancora.› intervenì Rorix, conscio che il suo Cavaliere stava per lasciarsi andare ai suoi istinti animaleschi.

Siirist trasse qualche profondo respiro, per poi continuare a lavare la fanciulla, finendo con i piedi.

«I capelli e... quelle altre parti... te li farai da sola. Io ho finito, ora torniamo sul letto.» disse mentre la asciugava.

«Solo questo è stato piacevole, sarei tentata dal chiederti di rifarlo in futuro se ne avrò ancora bisogno!»

«Sempre a tua disposizione.»

Ritornarono sul letto di lei ed il giovane le si posizionò sopra, sedendosi sui lombari.

«L’ultima volta che ho visto un massaggio il massaggiatore stava in piedi a lato del lettino.»

«Appunto, “lettino”, è fatto apposta, è più alto. Questo non lo è e questa in cui sto io è la posizione più comoda. Ah già, ho dimenticato l’olio in bagno. Vento, soffia e portami la boccetta.»

Attratto dall’incantesimo, l’olio per i massaggi volò nella mano di Ryfon.

«Perché hai qualcosa del genere in bagno?»

«Mi è capitato di fare qualche massaggio alle mie amiche.»

«Ah, certo, mi pare chiaro.» un leggero tono di gelosia e irritazione nella voce.

«Ma non le ho mai lavate in quel modo.»

«Eppure mi sembravi molto bravo e preparato.»

«L’ho fatto con Keira, ma con nessun’altra.»

«C’è qualcosa che non hai mai fatto con Keira?»

E fu allora che Siirist trovò la sua occasione per confessare i suoi sentimenti. Lui era sicuro di quello che provava, ma come faceva a spiegare a lei, che gli aveva donato quella collana, che per lui era troppo e che avrebbe preferito semmai una relazione più tranquilla, monogama logicamente, dopodichè avrebbe capito se voleva davvero iniziare un rapporto a vita? Lei sicuramente si sarebbe arrabbiata, accusandolo di starla a prendere in giro, quando non vi era nulla di più falso. Ma ecco, lei gli aveva dato il modo di incominciare il discorso.

‹Buona fortuna. E per carità, non rispondere “sesso anale”. Anche se è vero che non l’avete mai fatto e che ti piace cominciare i discorsi con le battute, questo non è il momento.› si assicurò Rorix.

‹Tranquillo, questa è la mia opportunità d’oro, non me la farò sfuggire.›

«Non ci ho mai avuto una storia fissa, non l’ho mai voluta. Mi conosci, mi piace essere libero.»

«Già...» bofonchiò delusa.

Ma poco dopo emise un gemito di piacere, trattenuto a stento, nel sentirsi tutti i muscoli del collo e della parte superiore del dorso più sciolti.

«È quasi il mio compleanno e non ho potuto fare a meno di ripensare all’anno scorso. Mi hai organizzato proprio una bella festa, la più bella che abbia mai avuto.»

«Meglio di quelle che ti preparava Keira...? Ah!» un altro gemito dopo che il ragazzo aveva incominciato a liberare la tensione accumulata nella mano destra in seguito a tutti gli incantesimi.

«Senza dubbio. E insomma, ho naturalmente ripensato al nostro discorso sulla spiaggia.»

«E...? Mh!» si morse il labbro dopo che il ragazzo si era spostato più giù e si era dedicato ai polpacci.

«Io non ho mai avuto una storia seria, non so nemmeno cosa significherebbe vivere con una persona per tutta la vita!»

«Per questo hai... quasi mille anni di... tempo!» l’ultima parola fu quasi gridata dopo che Siirist aveva messo mano ai piedi.

«Però sono sicuro che prima di poterti dare una risposta, dovrei provare una storia seria.»

La voce del ragazzo si era fatta sempre più bassa e morbida e si apprestava ed occuparsi delle cosce.

«Allora fallo.» rispose Alea, per niente felice delle parole dette.

«Vorrei, ma ci sono due grandi problemi. No, non grandi, direi piuttosto insormontabili.»

Le mani passavano con forza e sicurezza sulle toniche gambe dell’elfa, risalendo sempre più, fino a passare appena sotto l’orlo della stoffa. E sorrise. Era sicuro fin dall’inizio che dopo che avesse provato quel piacere, non lo avrebbe fermato se le avesse anche solo sfiorato il sedere, ma vedere che aveva effettivamente ragione, era soddisfacente quanto lo poteva essere sconfiggere Evendil in duello.

«E quali sarebbero?» domandò Ilyrana, la voce un poco agitata.

Ryfon passò le mani sui fianchi di lei, portandole poi verso le spalle, ritornando dunque a sedere sopra i lombi come prima.

«Beh...»

E tra un massaggio e un altro, ci mise qualche carezza, in mezzo alle quali inserì anche un bacio a metà schiena.

«Il primo è che se iniziassi una storia fissa, ci sarebbe il rischio che mi innamori di questa persona e che quindi voglia rimanere con lei, per cui addio ogni possibilità con te.» un altro bacio, all’altezza della spalla, Alea era immobile.

«Il secondo è che per quanto mi sforzi, non trovo nessuna. Non esiste nessun’altra ragazza o donna con cui io vorrei stare oltre a te.» e le diede un bacio sul collo.

La fanciulla si girò di scatto, fissando l’altro negli occhi.

«Cosa hai detto?»

«Ho detto che non posso essere sicuro di volere passare tutta la mia vita con te. Insomma, se ora penso a qualcuno con cui farlo, la risposta naturalmente sei tu, ma come posso sapere cosa penserò tra un secolo? Inoltre ti conosco come amica, non come fidanzata, perciò non posso essere sicuro al 100% nemmeno adesso. Anche perché io non ne ho mai avuta una, ripeto! Ma so che non ho più voglia di andare con nessun’altra e so per certo che tu mi piaci. Sì, mi piaci. Non sarà la stessa cosa che mi hai detto tu, ma è sicuramente una novità per me. Non l’ho mai detto a nessuna, nemmeno a Keira, capito? Mi piaceva come amica e amica con dei “benefici”, ma di sicuro non sul piano sentimentale oltre quello della semplice, per quanto profonda, amicizia. Hai visto come sono con Gilia? Immagina lo stesso tipo di rapporto, solo che occasionalmente faremmo sesso. Ora mi sento male all’idea, ma non importa, sto facendo un discorso importante qui. Non mi è mai passato per la testa di pensare ad una ragazza in questo modo, eppure ora lo sto facendo. Quindi scusa se non ti basta, ma è tutto quello che ho da offrire ora. Non posso essere certo del futuro, ma so che ora voglio solo stare con te. E non andrei mai con nessun’altra. Hai la mia parola. Voglio solo te.»

«Ma quanto parli?» scosse la testa.

Gli mise le braccia intorno al collo e lo tirò verso di sé, appoggiandogli poi le lebbra sulle sue, gesto a cui Siirist rispose accarezzando quelle della fanciulla con le proprie e mettendo un poco di lingua, più che gradita a lei. I due si lasciarono cadere sul letto, continuando a baciarsi sempre più appassionatamente, stringendosi e accarezzandosi con sempre maggior vigore.

«Ne sei sicura? Ti faccio presente che non ho indossato la Collana del Giuramento e non ti ho dato la mia.»

«Lo so, ma hai ragione. Dimentica la collana per ora, ha ragione mia madre, effettivamente sono troppo giovane per una promessa simile.»

«Quindi...?»

«Quindi niente. Io resto convinta della mia decisione, ma lo dico solo per metterti a tuo agio. Se la perdi ti uccido, su questo non si discute.»

«Mi pare ragionevole.»

«Ma tu non devi andare con nessun’altra.»

«Monogamia, tranquilla.»

Ripresero a baciarsi animosamente, continuando a toccarsi, le mani di Siirist che scendevano sempre di più.

‹Dovreste comunicare mentalmente, così non dovreste staccarvi.›

‹È più difficile che farlo con voi senza Althidon a guidarci. E ora lasciami in pace, devo concentrarmi.›

Il ragazzo esitò un po’ prima di appoggiare la destra sul sedere, ma alle parole “Fai pure” dell’elfa, ogni timore svanì e lo afferrò con gusto, palpeggiandolo fino a che non gli faceva male la mano. Mai prima di allora aveva toccato niente di così sodo e perfetto. Dopo cinque minuti riportò su le mani, togliendo l’asciugamano che copriva il seno, fissandosi un momento ad ammirarne la forma perfetta, per poi accarezzarle, baciarle e succhiarle. Alea emise un leggero gemito, che si fece più forte più Siirist continuava a stuzzicarla, e quando mise la mano sotto alle mutandine e le toccò la carne più intima, ella strabuzzò gli occhi, soffocando un urlo.

‹Non hai mai fatto questo effetto.›

‹È tutta questione di preparare il momento, la doccia, il massaggio sono serviti a questo. Non mi sono mai dato tanto da fare con quelle puttanelle del villaggio, ma lei è speciale.›

‹Dovresti scrivere un libro.›

‹Se potessi scrivere grimori di quello che so sul sesso e sul corpo femminile, ne avrei più di Althidon.›

‹Ma poi Evendil ti darebbe fuoco.›

‹Probabile. Ora zitto, mi distrai!›

La mano di Ryfon continuava a muoversi, cambiando il senso del movimento, il ritmo, tutto di colpo, ma comunque delicatamente, facendo, ad ogni variazione, ansimare sempre di più la ragazza, fino a portarla quasi alla pazzia, poiché faticava sempre più a trattenere le urla che spingevano sempre più forte per uscire. Quando infine Siirist smise di giocare con il clitoride e la penetrò con due dita, Alea sobbalzò, tutta la sensazione di piacere che aveva accumulato fino a quel momento sparita, sostituita da una diversa, ma comunque incredibile. Ma Ryfon non si dilungò molto in quella operazione, invece ritrasse la mano, soddisfatto nel sentire il flebile “No...!” lasciare inavvertitamente le labbra della fanciulla, fradicia di umori, e sfilò le mutandine, abbassandosi poi a baciare e leccare tutta la gamba destra partendo dal polpaccio, fino ad arrivare all’anca.

«Sii delicato, per favore...» mormorò appena la ragazza.

Lui sorrise e chiuse gli occhi.

 

 

 

 

~

 

 

Benissimo, dunque rieccoci. Ho da poco incominciato a seguire Hitman Reborn. Ora, voglio precisare una cosa: non lo avevo mai visto. L’idea del fuoco freddo di Althidon che congela è mia, non avevo la minima idea che ci fosse già qualcosa di simile in un manga/anime. Devo dire che l’anime ha delle musiche meravigliose, e quella di Tsuna che si incazza (http://www.youtube.com/watch?v=oZSIGZX7Crk&feature=related) è veramente perfetta per certi momenti di Siirist. Quando verranno, lo segnalerò, così che possiate rileggere con la musica sotto, cosa che fa molto più effetto! Amo le colonne sonore, dovrebbero esserci anche nella vita reale. Jim Carrey non aveva tutti i torti ne “Il rompiscatole”.

Banko/Zack. È vero, i toni dei dialoghi erano piuttosto comici, ma ti assicuro che non era affatto quella l’intenzione di Althidon. Era imbufalito. Immagina avere un ragazzino che, comparato a te, è appena un neonato, che arriva e ti fa incazzare talmente tanto, per oltre un anno, che i tuoi allenamenti di secoli, secoli e secoli vanno tutti a farsi benedire. O a puttane, se preferisci. La sua pazienza ha raggiunto il limite. Ma vedrai che la situazione migliorerà. Selena è ovviamente solo una comparsa. Come ti ho detto per mail, è passato più di un anno da quando Gilia si è lasciato con Deria e un futuro con lei è impossibile, visto che lui vivrà oltre due millenni e lei giusto un po’ meno. È come il discorso che fanno Roran e Eragon all’inizio di Brisingr, quando Eragon dice che solo Arya può andare per lui perché lui vivrà molti più di tutte le umane che conosce. Come avrai visto in questo capitolo, nessun rigurgito di coscienza. Hans ritornerà e farà il culo! Ma lo troverai leggermente cambiato in quanto a conoscenze. Ricordi cosa dice prima della partenza di Siirist? E dici di Keira. Dici che è uno spreco non averla nella trama, ma dai prossimi capitoli inizierai a capire cosa sta per succedere a Tamriel (o meglio Gaya) e vedrai che una persona normale come Keira, non avrà modo di stare in mezzo a tutti gli eventi.

 

Il prossimo capitolo si intitola OBLIVION e sarà pubblicato giovedì 23.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** OBLIVION ***


 

OBLIVION

 

Il mattino dopo, Siirist si svegliò ancora abbracciato ad Alea, ella che respirava appena sul suo petto. Si girò e vide le tende del baldacchino chiuse.

‹Gilia deve essere rientrato.›

‹Sì. Ma non vi ha visti, sono stato io a richiuderle.›

‹Bravo, Rorix. Tu e Eiliis siete sul mio letto, vero?›

‹Come l’hai capito?›

‹L’ho percepito da te. Sto diventando bravo, eh?›

‹Era anche ora. Abbiamo un legame del 35%, dopotutto!›

«Possibile che la prima cosa che devi fare la mattina che ti svegli dopo la nostra prima volta, deve essere parlare con il tuo drago e non baciare me?»

«Come te ne sei accorta?»

«Ho avvertito nella tua mente che era in atto un dialogo telepatico e la frequenza che usavi era quella riservata a Vulcano. Devi imparare a chiudere più la tua mente.»

«Potrei provare a concentrarmi sul tuo corpo nudo, sono sicuro che l’immagine sarebbe più che chiara!»

«Io sto aspettando ancora il mio bacio.»

«E il mio alito? L’ultima volta mi hai buttato giù dal letto!»

«Te l’ho già detto ieri: parli troppo! Baciami!» e alzò la testa per incontrare la bocca di Ryfon con la propria.

«Se insisti.»

«Ora vatti a lavare i denti. Puzzi.» e ridacchiò.

«Spiritosa.»

«Ben svegliati, belli addormentati! Siate riconoscenti ad Althidon, visto la vostra “situazione particolare”, vi ha concesso di dormire e riposare oggi. Ma naturalmente questo significa che per il compleanno di Siirist non saremo liberi. Visto che è tra meno di tre settimane, ha pensato che poteva anche fare uno scambio di vacanze.» disse Gilia.

«Buongiorno anche a te! Come è andata con le ninfomani?»

«Benissimo, grazie! Suppongo che ora mi toccherà sopportarmele tutte da solo, vero?»

«Proprio così!» rispose euforico il biondo.

«Immagino siate poco vestiti lì sotto. Vi passo qualcosa da indossare?»

«Sì, grazie mille.» rispose Alea.

Corvinus prese gli accappatoi dei due amici e li passò tra le tende, voltandosi dalla parte opposta per non rischiare di vedere.

«Sei troppo gentile.» commentò la fanciulla.

«Tengo alla mia vita, tutto qui.»

«Ma sai che non ti farei mai niente! Attaccavo lui perché è un maniaco1»

«No, parlava di me. Se ti vedesse anche solo un millimetro di pelle di troppo, gli darei fuoco.»

«Esattamente. È uno geloso.»

«Eh?!» Alea non ci credeva.

«Solo delle cose a cui tengo molto.»

«Mi è bastato vedere come si è comportato con tutti quelli che ti corteggiavano ai due capodanni passati. Anche se non ho capito subito perché lo facesse; che stupido sono stato!»

«Sì, è vero!» e l’elfa rise.

 Una volta vestiti Siirist e Alea, i tre si apprestarono a lasciare la stanza per andare a fare colazione, trovandosi fuori però una piccola calca. I primi erano Adeo, Evendil, Althidon e Aulauthar.

«Finalmente!» disse il primo con la sua solita voce effeminata.

«Per quanto mi faccia schifo il pensiero, sono d’accordo con lui.» esclamò Thyristur.

«Spero tu non l’abbia messa incinta, sarebbe un problema per gli allenamenti.»

«Tranquillo, Althidon, tempo fa ho lanciato un incantesimo a Siirist per rendere i suoi spermatozoi infertili, così da evitare gravidanze indesiderate nelle sue avventure.» assicurò il Cavaliere omosessuale.

«Allora a posto.»

«Non vedo l’ora che lo sappia Elisar!» ridacchiò l’Anziano del Consiglio.

«Dite un po’, da quant’è che aspettate qui fuori per farci questa stupida scenetta?» chiese vistosamente alterato Siirist.

«Quarantadue minuti. Ma ne è valsa assolutamente la pena.» rispose il mezzo bosmer.

Ad un movimento della mano di Aulauthar, tutta la folla si disperse e lui e gli altri tre che avevano parlato si allontanarono ridendo. Alea era più simile ad una fragola che altro.

«Dovresti cambiare le lenzuola. Per quanto sia elfico, il sangue, specie proveniente da quelle parti, non ha un buon profumo. Si sente fin qui.» fece notare Gilia.

Ora la fanciulla era del colore di Rorix. Troppo imbarazzata per affrontare quella conversazione, ella corse fuori, seguita a ruota dalla dragonessa bianca che si ingrandì, la altmer le montò sopra e partirono. Lentamente Siirist si voltò verso l’amico, seriamente pensando se ucciderlo oppure no. No, meglio di no. Meglio torturarlo prima. Poi poteva ucciderlo. Sì, avrebbe fatto così.

«Ehi, non guardare me! È vero, potevo evitare questa battuta finale, anche se quello che ho detto è vero, ma quella folla non è stata colpa mia! Io l’ho solo detto ad Althidon per permettervi di dormire insieme fino a quando volevate voi senza dovervi svegliare, ma quella pettegola di Adeo ci ha sentiti parlare e ha chiamato tutti! Evendil per primo.»

«Chiaro. Ora però cosa le dico quando torna?»

«Hai voluto una storia seria?» prese in giro.

«Vuoi continuare a vivere?» infiammò la mano sinistra.

«D’accordo, pensiamo a qualcosa.»

Ma la fanciulla ritornò dopo poco, notevolmente più calma.

«Volare nella brezza estiva è rilassante, vero?» chiese rassicurato Siirist.

«Molto. Andiamo a mangiare? Sperando certo di non avere tutti gli occhi puntati addosso.»

«Ma che hai da vergognarti? Hai fatto sesso con un fico come me! Io so che entrerò a testa alta, visto che avrò al mio fianco la donna più bella di tutta Gaya!»

Alea sorrise piena di gioia e gli si avvicinò per baciarlo. Ma quella era la prima volta che accadeva con loro in piedi e Siirist non ci aveva mai riflettuto, ma lei era più alta. Che figura del cazzo.

«Io non ho fatto sesso.»

«Io me la ricordo diversamente.»

«Io ho fatto l’amore.» e gli si attaccò al braccio, appoggiando poi la testa sulla spalla.

“Fatto l’amore”? Ma non diciamo stupidaggini! Loro non avevano fatto “l’amore”! No, era stata una gran bella scopata per lui! No, un momento... Non lo era stata affatto. La notte precedente era stata più una questione di dolcezza e affetto che semplice piacere, non che esso fosse mancato. Ma “fare l’amore” non era esagerato? Lui dopotutto non provava quel tipo di sentimento. Eppure l’aveva sentita diversamente, non era niente come le sue avventure precedenti. Nemmeno come era mai stato con Keira. Che davvero avessero fatto “l’amore”?

«Tu pensi troppo.»

«E tu devi stare fuori dalla mia testa.»

Arrivarono alla mensa ed occuparono tre posti, due vicini e uno davanti, raggiunti poco dopo da Gilia.

«Allora, Siirist, com'è alzarsi in punta di piedi per baciare una ragazza?»

L'interessato, che stava bevendo il suo bicchiere di spremuta d'arancia rossa, tossì e sputò il suo sorso. Anche Alea ridacchiò sotto i baffi, cosa che fece imbestialire il biondo.

«Pure tu?! Allora sapete una cosa? – e si alzò, mostrando poi il dito medio di ciascuna mano ad entrambi gli amici. – Ridete su questi!»

«Eh...» rispose Alea con aria sognante.

«Dopo solo una notte, sei già una maniaca?!» Gilia non credeva alle sue orecchie.

«Questo perché è stata con me ed ha scoperto il vero significato di “piacere”!» si vantò Siirist.

«O perché il dito è più grosso del pisellino?»

«Come scusa?!»

«Alea, potremmo avere il tuo parere?»

La fanciulla arricciò il naso, scosse la testa e alzò la mano, accostando pollice ed indice per mimare la piccolezza del membro in questione. Gilia quasi cadde dalla panca per le risate.

«Eh?!» Siirist era indignato.

«Io gliel'ho visto, confermo che è piccolo.» esclamò l'appena giunto Evendil.

«Smettetela! Non ce l'ho piccolo!» sbraitò Ryfon.

Tutta la sala si zittì e si girò verso di lui. Gilia ed il mezzo dunmer stavano avendo le convulsioni nel tentativo di trattenere le risate, lacrime che scendevano copiose.

«Il... il Flusso... Parlavo del Flusso vitale, sì. Il Flusso vitale, non ce l'ho piccolo, ce l'ho potente, di 100000 douriki. È risaputo, no?!» balbettò con voce tremante Siirist, il viso in tinta con il drago.

‹Sai che questa entrerà negli annali dell'Ordine?› disse divertito Rorix.

‹Taci tu.›

 

Il 30 agosto Althidon aveva massacrato di lavoro di suoi allievi, avendoli fatto combattere in aria sui loro draghi, usando per un periodo solo la spada, poi incantesimi, successivamente evocazioni ed infine combinando il tutto. Siirist si era dimostrato uno stregone molto capace, anche se non ai livelli di Gilia, quasi più di Alea, e stranamente era più bravo con gli spiriti dell’aria che del fuoco. Per questa ragione, e anche perché il primo settembre avrebbero iniziato a studiare i daedra,  il Maestro concesse loro di riposarsi il 31.

Gilia aveva lasciato la camera alla coppietta per tutta la mattina, ed essi avevano felicemente approfittato. Dopo una intensa ora di amore, per quanto la parola suonasse strana a Siirist, i due si erano ritrovati a coccolarsi e baciarsi dolcemente, fino a quando il ragazzo ebbe una delle sue brillanti idee.

«Senti, ormai è da un po’ che lo facciamo...»

«Sì.» sorrise felice.

«Non è che ti andrebbe di...»

Gilia stava ritornando proprio in quel momento e vide il muro della stanza esplodere ed il biondo scaraventato fuori, avvolto solo dal lenzuolo, urtando poi rovinosamente contro il terreno. Subito dopo la parete si ricostituì magicamente.

«Oh, che è successo?!» si preoccupò Corvinus.

«Ahia! Quella lì deve sempre esagerare!» piagnucolò massaggiandosi.

«Ma che è successo?» chiese ancora,

«Ma niente, le ho solo proposto di provare a usare l’altro buco e se l’è presa così!»

«Lo chiami “niente”?» si sorprese dell’idiozia dell’amico, la bocca aperta, il tono piatto, quasi lugubre.

«Era solo una proposta! Bastava dire di no!»

«Non hai ancora capito che tipo è, vero?»

«Certo! Per questo mi diverto!» rise.

«Allora perché ti sorprendi tanto...?» non sapeva più che pensare.

Siirist non rispose e si alzò, sistemando il lenzuolo in modo che lo coprisse quasi completamente, legandolo poi sopra la spalla sinistra e reggendone una parte con il braccio destro.

«E adesso cosa stai facendo?»

«È una toga, non lo vedi?»

«Stai mimando l’abito di rappresentanza dei più grandi amministratori dell’Impero? Sai che molti lo potrebbero ritenere un insulto?»

«Allora? Sono un Cavaliere!»

«La volete smettere voi tre di fare sempre macello?! È mai possibile che ogni giorno ne dobbiate combinare una diversa?!» urlò un armadio dai capelli rossi, uscendo furiosamente dalla stanza accanto alla loro.

«Tu chi sei?» domandò sinceramente Ryfon.

«È Otius, del nostro stesso anno.» gli sussurrò il moro.

«Ah sì, il compagno di addestramento di Viola, giusto?»

«Come è possibile che ti ricordi solo delle ragazze?» Gilia era stupito, ma non più di tanto.

«Sono più interessanti, non trovi?» scherzò il biondo.

«In che senso...?» ringhiò Alea, appena giunta.

«Ehm... in nessuno, dolcezza!»

«Non dire cazzate!» e gli lanciò contro una lancia di ghiaccio.

«Ehi, voi! Stavo parlando io!» si fece valere Otius.

«Fai silenzio, tu!» e Alea lo congelò.

«La vedo nervosetta...» mormorò preoccupato Corvinus.

«Sì, le devono tornare a giorni. Lo sarò anche io, visto che mi tocca stare senza per cinque giorni!»

«Sta’ contento, a Deria durano una settimana, per cui io stavo anche peggio di te!»

«Otius!»

Una attraente umana sulla ventina uscì dal dormitorio e corse verso l’amico congelato. Occhi verde chiaro, capelli corvini fino alle spalle, bel sedere, seno non molto accentuato ma dalla forma impeccabile.

«Viola! Ma come stai? Oggi sei veramente bellissima.» le si avvicinò Siirist prendendole la mano.

«Oh, grazie...» arrossì quando il ragazzo gliela baciò.

«Sii-rist...!» ruggì Alea, l’aria attorno a lei che si faceva bollente.

Una lancia di ghiaccio infuocata partì nella sua direzione, ma egli la schivò facilmente, mettendosi poi in posizione da combattimento con le mani infiammate.

«Sei sexy anche quando ti arrabbi! Mi fai impazzire!»

I due si lanciarono in uno scontro senza esclusione di colpi, e dopo qualche minuto, si ritrovarono a venti metri di distanza l’una dall’altro. Siirist sorrideva eccitato, il fuoco che lo avvolgeva che generava una corrente così forte da sollevare la parte inferiore del lenzuolo. Allora Gilia alzò una parete rocciosa in modo da coprirlo.

«Stop! Fermi lì!»

Gli altri due lo guardarono con un misto di incomprensione e rabbia mentre correva in camera per poi ritornare fuori portandosi dietro un paio di pantaloni di Siirist.

«Indossa questi.»

«Oh giusto, se no mi si vede la quercia!» ridacchiò mentre li metteva.

«O piuttosto il ramoscello.»

«Cosa hai detto?!» ringhiò.

Ma Gilia si era già allontanato con un incantesimo di fulmine ed aveva fatto ritornare la roccia alla sua forma naturale. Allora Siirist, senza pensare più al moro, si lanciò contro la ragazza, evitando tutti i fasci di luce, i proiettili d’acqua e le lame di ghiaccio che l’altra gli lanciò contro, arrivandole poi a poca distanza, sufficiente per colpire con il suo pugno.

«Voi due...»

Arrivò Althidon che li afferrò entrambi per la testa, le mani avvolte nel fuoco freddo, schiacciandoli poi contro la roccia.

«... mi avete fatto venire il mal di testa anche oggi che vi ho lasciati liberi!» ringhiò a denti stretti.

«Spero che apprezziate il nostro impegno, Maestro!» ridacchiò Siirist alzando stentatamente il pollice.

La sua smorfia arrogante svanì quando l’elfo utilizzò la sua testa per scavare nel terreno mentre il lato toccato dalle fiamme viola incominciava a diventare insensibile, per poi bruciare lievemente. Gilia cercò di allontanarsi di nascosto.

«E tu dove pensi di andare?! Prigione di roccia! – Corvinus fu avvolto dalla terra che sorse attorno a lui. – Elettroesecuzione!» e poi fulminato talmente tanto da privarlo di ogni forza.

«Ora rimetterete a posto tutto questo macello.» e se ne andò furente, il mantello viola che svolazzava.

 

Il giorno dopo Althidon presentò ai tre Cavalieri in addestramento due libri, uno che mostrava tutti i dodici sigilli di cattura e le ventiquattro rune che li formavano, l’altro con riportati tutti i daedra di Oblivion e quale era il sigillo più adatto per catturarli.

«State dando per scontato che sappiamo di cosa stiate parlando, Maestro.» si lamentò Siirist.

«Noi infatti lo sappiamo.» rispose Gilia.

Alea annuì e Althidon sospirò.

«Vorrà dire che dovrò rispiegare tutto. Dunque, essere un invocatore significa essere stato in Oblivion ed aver messo sotto sigillo almeno un daedra, così da poterlo comandare a piacimento e chiamarlo in aiuto ogni qual volta si voglia. Con “mettere sotto sigillo” si intende creare un legame tra l’invocatore ed il daedra tramite il sangue ed uno di questi dodici simboli, chiamati appunto sigilli. Ogni sigillo è costituito da un cerchio al cui interno si trovano varie rune, le quali sono le ventiquattro essenze del nostro mondo. I sigilli sono, dal più debole al più forte: topo, cane, serpente, scimmia, aquila, tartaruga, cavallo, orso, toro, tigre, grifone, drago; le rune invece sono: fuoco, aria, terra, acqua, luce, oscurità, fulmine, nord, sud, est, ovest, sole, luna, maschio, femmina, sangue, carne, umano, demone, elfo, nano, orco, dio, drago. Ogni runa è associata ad una specifica posizione della mano, e per poter sia apporre il sigillo che per invocare la creatura sigillata, bisogna eseguirle tutte. Il procedimento per mettere sotto sigillo un daedra, quindi, è come prima cosa sporcare con il proprio sangue il palmo di una mano, eseguire i movimenti delle mani necessari per ricreare le rune richieste per il sigillo desiderato, e poi toccare con la mano sporca di sangue il corpo del daedra in qualunque punto. La macchia di sangue allora prenderà la forma del sigillo ed il daedra sarà sotto il controllo dell’invocatore, ma sarà necessario prima indebolirlo. I daedra naturalmente sono alcuni più deboli ed altri più forti, e per i più potenti è necessario utilizzare il sigillo del drago. Esso può essere usato su qualunque daedra, poiché è sicuro di avere effetto, ma essendo il più grande è composto dal maggior numero di rune, cioè 72, e ti assicuro che se ti trovi ad affrontare daedra veramente potenti, non avrai tutto il tempo di comporre ben settantadue rune, ecco perché è necessario imparare qual è il sigillo con la forza minima da applicare a ciascun daedra. Inoltre, come ho detto, anche per invocare bisogna ricreare con le mani lo stesso numero di rune che compone il sigillo applicato, e non sempre si ha il tempo necessario per farne settantadue durante un combattimento.»

«Immagino.» annuì Siirist.

«Il sigillo del topo è composto da sei rune, che sono terra, sud, oscurità, luna, carne, sangue. – e mostrò anche i movimenti delle mani – Quello del serpente ne ha dodici, quello della scimmia diciotto. Come vedi sono tutti multipli di sei. Alea, Gilia, voi sapevate già tutto questo, ma non vi siete mai dedicati all’invocazione, per cui presumo che non conosciate le posizioni delle mani per le rune.»

Gli interessati scossero la testa.

«Come immaginavo. Allora prestate bene attenzione.»

 

Capodanno e compleanni a parte, la prima giornata libera che i tre ragazzi ebbero dopo quella famosa di Siirist in toga, di cui ancora si parlava, fu il 28 aprile, quando Althidon volle premiare Alea per aver messo sotto sigillo il suo primo daedra. È vero che non lo aveva fatto interamente da sola, in quanto era stata accompagnata da Evendil che aveva tenuto a bada il mostro mentre ella componeva le rune, ma si trattava comunque di una creatura per cui era necessario il sigillo del toro, e era pur sempre la sua prima volta.

«Il prossimo sarò io!» si infiammò Siirist.

«Sogna! Sono ben più veloce di te a comporre le rune, inoltre non hai ancora imparato la sequenza per gli ultimi sei sigilli!» gli rispose elettrizzato Gilia.

I due si guardarono in cagnesco, scintille che scaturivano dallo scontrarsi delle fiamme e delle scariche.

«Sempre più vivaci.» scosse la testa Evendil, un mezzo sorriso in faccia.

I quattro erano a far un picnic in un’isoletta ad un paio di chilometri da Vroengard, con Griever ed i tre draghi a poca distanza che si riposavano all’ombra. Il progetto iniziale era di andare solo loro tre ed i draghi, ma Alea insistette ad invitare anche il mezzo bosmer in quanto era anche merito suo se era riuscita a mettere sotto sigillo il daedra, non che Siirist ne fosse dispiaciuto. Era sempre bello passare del tempo con lui e ultimamente lo facevano sempre più spesso. Il ragazzo stava finalmente recuperando il divario abissale di conoscenze che lo separavano dai due amici, soprattutto l’elfa, ed il mezzo dunmer sfruttava ogni occasione per festeggiare con lui. Da quando Althidon aveva iniziato a far studiare anche la stregoneria, Siirist ed Evendil avevano fatto molte passeggiate lungo la costa, durante le quali l’elfo lo aveva aiutato a percepire la presenza dei vari spiriti, quelli dei boschi, del mare, persino di ogni granello di sabbia su cui camminavano. Continuavano sempre a bisticciare, ma si volevano veramente bene.

‹Voglio che continui sempre a starmi vicino. Voglio che mi veda crescere e diventare forte, così che possa essere veramente fiero di me.›

 

Circa un mese dopo, Althidon ritenne pronti anche Siirist e Gilia per poter andare in Oblivion.

«Era anche ora!» si eccitò il biondo.

«Cosa ci dovremo aspettare, Alea?» domandò Corvinus.

«Non lo so, dubito che andremo nello stesso piano in cui sono stata io. In ogni caso è bene che ci prepariamo al meglio.»

«Giusto. Portare solo una spada sarebbe stupido.» concordò Gilia.

«Ah, davvero? Che altro portate?» chiese insicuro Siirist.

«Non ricordi come era Alea quando ci è andata lei?»

«No, ero andato a volare con Vulcano.»

«Ah, giusto.»

«Mi sono portata sia la mia solita spada che quella a doppio filo, il mio arco d’ebano e lo scudo. Purtroppo non ho nessuna armatura, dovrò farmene preparare qualche pezzo insieme alla mia spada da Cavaliere. Tu, d’altro canto, hai quei guanti in mithril, sarebbe bene che li portassi, come anche lo scudo e l’arco.»

«Nah, non sono molto bravo con l’arco. Ma porterò le altre cose.»

«Io pure sono senza alcuna armatura. E pensare che a casa ho una bellissima armatura completa di mithril, ma non me la portai dietro perché speravo di non rimanere. Non che la pensi ancora così! Devo scrivere a casa e dire di farmela portare. Tornando a oggi, non sono sicuro se portare l’ascia a due mani o il martello. Qualche consiglio?»

«Poiché non abbiamo ancora iniziato a studiare il Djem-so Jar’Kai, non credo sia una buona idea che porti armi a due mani. Ma se proprio devi, porta il martello. E direi anche lo spadone, tanto hai imparato ad usarlo come una spada ad una mano e mezza quando hai prestato la tua altra spada a Siirist. E lo scudo più grande.» suggerì Alea.

«Quindi scudo, due spade e martello. Perfetto.»

Qualcuno bussò alla porta, che pochi istanti dopo si aprì, mostrando Althidon.

«Siete pronti?»

«Sì, Maestro!» dissero tutti e tre.

Althidon accompagnò gli allievi ad un edificio posto nella zona centrale della Rocca, accanto alla Sala del Consiglio e alla biblioteca. Esso era più protetto di qualunque altro luogo e, oltrepassato il portone, Siirist vide che ad aspettarli vi erano Aulauthar, Syrius, Adamar e altri tre anziani. Quello che lo colpì maggiormente era quello più in disparte, con un drago dal colore tra il celeste ed il bianco ed una sciarpa di seta in tinta. Aveva capelli neri lunghi fino oltre le spalle, ordinati da dei preziosi ferma capelli d’argento, tre sopra e due sul lato destro. Essi raggruppavano i capelli in ordinate ciocche e le tre che scendevano sul volto coprivano l’occhio sinistro. Emanava un’aria altezzosa, nobiliare, oltre che una grande forza spirituale. Rimase in silenzio, gli occhi chiusi, ad assistere alla scena. A differenza sua, un altro dei due anziani sconosciuti a Siirist si presentò. Egli era un dunmer dall’aria allegra e con il drago grigio metallo. Ora che ci pensava meglio, Ryfon lo aveva già visto nella Sala del Consiglio.

«Non ci siamo mai presentati personalmente. Io sono Eimir, Anziano del Consiglio.»

Siirist si ricordò di quando Evendil glielo menzionò. Disse che come mago non valeva molto in termini di potenza, in quanto aveva un legame con il Flusso di soli 60 douriki, ma era uno degli stregoni più capaci in vita e l’invocatore più grande della storia. Oltre ad aver messo sotto sigillo oltre mille daedra, era diventato famoso per aver trovato il modo di unire l’invocazione alla magia organica, sostituendo così parti del suo corpo per ottenere poteri diversi. Ma la peculiarità più grande di Eimir era il suo stile di combattimento. Era un maestro di ogni sorta di lotta, a mani nude o con qualunque tipo di arma. Oltre ad Aulauthar era l’unico a saper maneggiare due spade contemporaneamente, ma il suo stile era leggermente diverso. Non si trattava di un vero e proprio Jar’Kai, piuttosto di un uso contemporaneo di entrambe le mani, che però si muovevano indipendentemente l’una dall’altra, senza utilizzare combinazioni proprie del Jar’Kai.

«Che le stelle vi proteggano.» dissero contemporaneamente i tre Cavalieri in addestramento.

«E che le vostre lame restino affilate. E così oggi è il giorno in cui il Cavaliere d’Inferno metterà sotto sigillo il suo primo daedra. Di che tipo lo vuoi?»

«Di fuoco, naturalmente! E non più debole del livello di tigre!»

«Siamo ambiziosi, vedo! Ma non sottovalutare i daedra più deboli, hanno anche loro la loro utilità. E dimmi, Cavaliere d’Incubo, il tuo compagno desidera andare al piano di Ifrit. Sei d’accordo?»

«Sì, per me va bene. O quello o Adrammelech, dove si trovano molti daedra di fulmine. Ma ce ne sono anche alcuni nel piano di Ifrit, quindi va bene così.»

«Scusatemi tanto per il ritardo! Stavo facendo ricontrollare Forza del vento all’armeria e ci hanno messo più tempo del previsto.» disse l’appena giunto Evendil.

«Non preoccuparti. Possiamo andare alla Sala del Portale adesso.» disse Althidon.

«Allora noi andiamo.» disse Aulauthar.

Tutte le persone in più si diressero verso l’uscita.

«Tieni alto il nome dei Cavalieri d’Incubo.» disse Syrius a Gilia.

Questi annuì. Il Maestro allora condusse gli allievi e Evendil nella stanza successiva, dove era custodito l’accesso per Oblivion, quattro altari posizionati a formare gli angoli di un quadrato circoscritto ad una circonferenza, dentro al quale, una volta attivato il tutto, si sarebbe formato uno squarcio spaziale che avrebbe collegato le due dimensioni.

Gli operatori del portale avevano finito i preparativi ed esso fu aperto, rivelando un mondo dall’aspetto terrificante. La terra era scura ed il cielo rosso, coperto da nubi, la vegetazione era scarsa ed i fiumi di lava. Un odore terrificante proveniva da quel varco dimensionale, come di carne putrefatta.

«Non è per niente come il piano di Mateus dove sono stata io! Lì era tutto mare con alcune isolette, questo è un inferno!» si spaventò Alea.

Ad Althidon ed Evendil fu data la chiave per riaprire il varco dall’altra parte e loro, seguiti dai tre ragazzi ed i quattro draghi, lo attraversarono, vedendolo poi richiudersi.

‹Sicuro di ricordarti bene il sigillo del tirannosauro e del drago?› si assicurò Rorix.

‹No, un po’ me li confondo. Ma tanto ci sei tu a suggerirmi, no?›

‹Non devi contare su di me per ogni cosa. Ce ne sono alcune che dovresti saper fare da solo.›

‹E non fare così! Dammi un altro paio di mesi e vedrai che li saprò fare perfettamente!›

«Mettiamoci in cammino. Ma fate esattamente come dico, questo posto può essere molto pericoloso. Non fatemi pentire di avervi ritenuti pronti. Soprattutto tu, Siirist.»

«Sì, Maestro!»

Rorix, Eiliis ed Asthar assunsero la grandezza di un cavallo e furono montati dai rispettivi Cavalieri, Zelphar il doppio più grande poiché doveva portare anche Evendil, e si mise in testa alla comitiva. Passarono qualche collina fino a che non trovarono un branco di lupi che ringhiò loro contro, per poi fuggire. Per almeno mezz’ora il viaggio rimase tranquillo, ma dopo poco furono attaccati da una talpa gigante di magma, grande quanto un orso, che era improvvisamente spuntata dal terreno, desiderosa di divorarli tutti.

«Questo daedra è misto, fuoco e terra. Non ti dispiace se me lo prendo io, vero, Siirist?» si preparò Gilia.

«Tutto tuo. Quel coso, oltre che brutto, è livello cavallo. Ho detto che non avrei preso niente sotto la tigre!»

«Se la pensi così, è capace che non sigilli nessun daedra oggi. Tu e Alea tenetelo occupato e indebolitelo.» disse Althidon.

«Sì!» esclamarono all’unisono i due.

«Fate in modo di attaccarlo dove è di carne, non dove è di magma, poiché si rigenererebbe e basta. E ricordate che il magma è diverso dal fuoco, il ghiaccio è inefficace, mentre diventa utile la terra, poiché vi basta far solidificare quella componente. L’acqua rimane sempre utile.» si raccomandò il Maestro.

«E così non potrò mettere in mostra i miei nuovi incantesimi, mannaggia!» si lamentò Siirist.

«Vuoi dirmi che non lo sapevi?!» si scandalizzò Alea.

«Me ne ero dimenticato!» si giustificò lui.

La talpa aveva il pelo rossiccio, con le zampe e la schiena magmatiche, ma tutto il resto del corpo era possibile colpire, ad eccezione della testa, poiché non la potevano uccidere. Qualunque ferita, però, era accettabile in quanto ogni daedra sotto sigillo poteva rigenerarsi completamente, a discapito però dell’energia dell’invocatore. Siirist, spada alla mano, attaccò, la lama avvolta da un rivestimento di acqua ad alta pressione, per la quale il ragazzo aveva sfruttato anche il moltiplicatore dell’arma, creando così, a partire dai 100 douriki che aveva inizialmente richiamato, un incantesimo da 3000. Contemporaneamente Alea aveva solidificato con un incantesimo di terra le zampe del mostro, immobilizzandolo, e Siirist poté facilmente colpirlo alla spalla destra. Ma il mostro non si diede per vinto e intensificò il proprio magma, sciogliendo la pietra che lo aveva avvolto sulle zampe e fuggendo dolorante sotto terra.

«Non sottovalutatelo! Nel lanciare incantesimi non letali come quello, usate pure tutta la vostra potenza! E non lasciartelo fuggire!»

«Chiedo scusa!» si stizzì Alea.

Ryfon la guardò preoccupato: non era bene. Non aveva bisogno di entrarle nella mente per sapere esattamente cosa stesse pensando: era furiosa perché una qualche bestia schifosa aveva vanificato il suo incantesimo.

«Torre della prigione.» pronunciò.

La terra tremò e pochi istanti dopo si innalzò una torre con al suo interno, intrappolata dietro delle sbarre di roccia, la talpa di magma.

«La voglio vedere scappare ancora! La roccia è così magicamente indurita che per scioglierla con del magma così debole ci vorrebbero ore!» si complimentò Siirist.

«Io sono pronto, ragazzi, però la dovete indebolire ancora un po’ perché la possa sigillare.» disse Gilia.

«Già fatte tutte e quarantadue rune?» si sorprese il biondo.

«Da prima che Alea tirasse su quella torre. Non sono lento come te, stupido!»

«Ripeti se hai il coraggio!» Siirist ripose la spada e afferrò il polso sinistro con la destra, infiammando la mano mancina.

«Stupido!»

«Vi pare questo il momento adatto per fare gli idioti?!» si imbestialì Althidon.

«Non vi preoccupate, Maestro, mi occupo io del daedra.» rispose Ilyrana.

La fanciulla incoccò una freccia, avvolgendola di energia gelante.

«Ma il ghiaccio non era inefficace contro il magma? Anche se non lo è esternamente, l’intero corpo ne è composto all’interno!» fece notare Ryfon.

«So quello che faccio.»

La freccia volò dritta al petto della talpa, colpendola però in un punto non vitale. Una decina di secondi dopo si inginocchiò tremante. Allora l’elfa rilasciò la sua Torre della prigione e Gilia si poté avvicinare al daedra, ponendovi il sigillo.

«Una spiegazione, prego?» chiese il ragazzo biondo.

«Congelare dall’esterno è molto più difficile e se fatto con troppa potenza, sarebbe risultato fatale per il daedra. Il magma, purtroppo, ha questa peculiarità, cioè non esiste la dose giusta di douriki per immobilizzarlo: o riesce a sciogliere il ghiaccio che lo blocca, o si estingue. Per questo è meglio utilizzare l’elemento terra. Ma congelandolo dall’interno, diventa possibile anche inibire, seppur temporaneamente, il magma anche con il ghiaccio. Dico bene, Alea?» disse Althidon.

«Certamente, Maestro. Purtroppo non sono ancora abbastanza brava da lanciare una scheggia di ghiaccio da cui far poi emanare energia congelante che colpisca l’interno del corpo, per cui ho dovuto sprecare una freccia.»

«Siirist, hai visto quanti problemi vi ha dato quel daedra? E tu vuoi catturarne di più forti?» lo guardò dubbioso il Maestro.

«Non mi tiro certo indietro!»

«Maestro, perché la talpa è svenuta?» chiese Corvinus mentre esaminava il suo nuovo daedra, notando anche che si era completamente rigenerato.

«È normale. Tra poche ore si riprenderà. D’ora in poi non può più morire, in quanto ogni volta che lo farà verrà riportata in vita, a scapito della tua energia magica. Per questo è pericoloso avere troppi daedra sotto sigillo, e per la stessa ragione d’ora in poi dovrai sempre avere con te una pietra preziosa in cui immagazzinare energia. Tra pochi mesi avrete la vostra spada da Cavaliere, il cui pomolo potrà contenere fino a 100000 douriki di energia. Al momento la tua energia magica è già abbastanza alta, 46000, se no non ti avrei nemmeno fatto venire. Quando la sentirai diminuire, non sorprenderti, vorrà dire che il tuo qui presente nuovo amico ha avuto dei problemi.» spiegò Althidon.

«Come fa Eimir?» si stupì Siirist

«La sua cintura. In essa nasconde innumerevoli gemme, tra le più pure che si siano mai viste, ognuna in grado di immagazzinare fino a 1000000 di douriki di energia.»

«E per combattere? So che è un maestro nell’arte del combattimento ravvicinato e con l’arco, ma il suo potere deriva prettamente dalle invocazioni, oltre che dalla stregoneria, e mi sembra ridicolo che debba ad ogni attacco dover comporre le rune! Inoltre ha con sé sempre e solo la spada.»

«È impossibile, infatti. Ma lui non ne ha bisogno. Egli ha dodici tatuaggi, tre per braccio e sei sul petto, fatti utilizzando il suo sangue come inchiostro, così da avere sempre il sacrificio richiesto per aprire il portale già pagato. Come avrete capito da soli, questi tatuaggi rappresentano i dodici sigilli e lui non deve fare altro che attivarli magicamente facendovi passare dell’energia, pensando al daedra che vuole invocare, ed il gioco è fatto. E se non fosse d’obbligo portare la spada per motivi di costume, visto che è uno dei simboli dei Cavalieri, non porterebbe appresso nemmeno quella, poiché dice che gli è d’impiccio. Egli ha posto un sigillo, per l’esattezza quello dell’aquila, su tutte le sue centinaia di armi. Esse sono custodite in un luogo sicuro da qualche parte in Oblivion e le può invocare quando vuole.»

«Un momento! L’atto di mettere sotto sigillo un daedra è creare un legame di sangue tra creatura e invocatore! Come può aver messo sotto sigillo degli oggetti?!» si stupì Alea.

«Per sapere la risposta, dovrai leggergli il grimorio.» disse semplicemente il Maestro.

La comitiva riprese il suo cammino e dopo una decina di minuti sentirono un forte odore di cadavere. Seguendo le indicazioni di Althidon, si diressero in quella direzione, trovandosi poi di fronte un grosso cane fiammeggiante a tre teste, almeno due volte un mastino, dal pelo nero e rosso scuro, magma che colava dalle bocche anziché saliva.

«Un cerbero! Questo è mio!» si eccitò Siirist.

«Daedra di fuoco e magma! Mannaggia a me che mi sono preso quello di prima!» si maledisse Gilia.

«Hehe!» ridacchiò il biondo mentre si mordeva il pollice destro, per poi passare il sangue sul palmo sinistro.

«Finalmente un daedra del livello della tigre. Contento, Siirist? Ora vedremo se ne sei veramente degno. Alea, Gilia, fate molta attenzione.» istruì il Maestro.

«Ora vedrete!» rispose sbruffone Ryfon.

«Ricevuto!» dissero gli altri due.

Siirist rimase su Rorix mentre gli altri due balzarono giù, pronti a combattere. Il biondo sbatté le mani una contro l’altra con forza, il gesto che rappresentava il cerchio che conteneva le rune, sorridendo emozionato.

‹Si comincia! Sole, nord, fuoco, luce, elfo, sangue, fuoco, fulmine, luna, drago...›

I movimenti che compiva lo portavano a intrecciare le mani in posizioni sempre diverse. Il cerbero si accorse di essere attaccato e reagì con una palla di fuoco misto a magma, bloccata da una barriera di terra eretta da Gilia, la quale però incominciò lentamente a sciogliersi. Ma sia lui che la fanciulla l’avevano già aggirata, gli incantesimi pronti al lancio.

«Respiro degli angeli delle nevi!» esclamò Alea.

«Ruggito della tigre!» disse Corvinus.

I palmi di entrambi si illuminarono con il Cerchio argentato, e da quello di Alea si liberò una folata di vento così forte da congelare tutto ciò che colpì, bloccando il cerbero nel ghiaccio, mentre il moro lanciò un grande fulmine a forma di testa di tigre che sfruttò l’acqua contenuta nel ghiaccio per amplificare il proprio potere, indebolendo notevolmente l’avversario.

«Così giovani, eppure già così abili nel controllare incantesimi di quel calibro, seppure si tratti del loro elemento affine.» sorrise soddisfatto Althidon.

«Però non possiamo dire che non siano bravi anche con gli altri! Ma il più sorprendente è Siirist. Per quanto l’oscurità sia ancora un completo mistero per lui, è diventato piuttosto abile con gli altri elementi. Ma con il fuoco è su tutto un altro livello. Credo finalmente che si possa affermare con tutta tranquillità che abbia superato gli altri due.»

«Dici sul serio?! Credo tu stia esagerando, Evendil. È vero, negli ultimi mesi è migliorato notevolmente, ma non mi ha mai dimostrato di essere così bravo!»

«Hai mai visto Alea o Gilia lanciare incantesimi concatenati? Temo che il giorno in cui Siirist sarà in grado di sconfiggermi sia più vicino di quanto avrei mai pensato.»

«Ha creato già delle combinazioni di incantesimi?!» Althidon non credeva alle due orecchie.

«Sì, l’ho supervisionato io mentre lo faceva. Il suo Comandamento incendiario è la base di tutto. Da esso può lanciare un altro incantesimo, inoltre lo sta migliorando per renderlo più potente, ed ha in mente altre due concatenazioni. Purtroppo siamo nel piano di Ifrit e tutte le creature o quasi sono immuni al fuoco e, anche se non lo fossero, non lo potresti comunque vedere dare il massimo perché non potrebbe ucciderle.»

«Mi hai detto qualcosa di molto interessante. In questo caso credo li porterò presto sul Gagazet.»

‹... sole, fuoco!›

Completate le sessanta rune, Siirist corse verso il cerbero che si stava rapidamente liberando dal ghiaccio, la sinistra pronta e sigillarlo, quando dovette però evitare uno sputo di magma. Era ridicolo quanto il mostro fosse forte per essere resistito, senza quasi aver accusato il colpo, agli incantesimi combinati di Alea e Gilia. E pensare che erano tra i loro più potenti.

‹Ricordami di iniziare a lavorare sul magma quando torniamo!›

‹Sicuro? Riconosco che sei diventato bravo, ma già utilizzare un incantesimo di fusione non è esagerato?› fece notare Rorix.

‹Lo saprò solo quando lo proverò! Maledizione, pensavo fosse già abbastanza indebolito dopo aver ricevuto delle botte come quelle. Dovrò ritirarmi.›

Siirist arretrò, superato da Gilia che aveva slegato lo scudo dalla sella e lo aveva imbracciato, la spada ad una mano e mezza già sguainata, la lama avvolta in una più grande di acqua ad alta pressione.

«Copione.» gli disse con fare poco impressionato Siirist.

Alea prese una freccia e la infilò a terra, per poi incoccarla e scagliarla. Colpito il bersaglio sulla fronte della testa più a sinistra, magicamente la polvere che la aveva avvolta si espanse, pietrificando tutta la testa e parte del busto. Allora Gilia menò uno sgualembrato dritto, frantumandola, proteggendosi poi con lo scudo da una possente zampata che lo buttò a terra. Fece però una rapida capovolta indietro, appoggiando solo la mano destra, con cui si spinse via, ritornando in piedi accanto a Siirist.

«Voi due, andateci piano! Di questo passo me lo uccidete!»

«Ha ancora due teste, no?» rispose tranquilla Alea.

«E temo dovremo distruggerne un’altra. È davvero forte, è riuscito a spazzarmi via con solo un colpo. Se non avessi avuto lo scudo, ora sarei gravemente ferito.» ansimò Corvinus.

«Questo perché sei una mammoletta.» lo prese in giro Siirist.

«Stupido. Il mio legame con Asthar è al 24%, che mi dona 14400 douriki. Sommando i miei naturali, ne ho in tutto 20600. Per quanto sia inferiore a te, sono più forte di Alea, nonostante sia al 42%. Un essere umano normale, o anche un elfo, sarebbe già morto contro questo mostro.»

Il cerbero dolorante stava in guardia. Dopo aver perso una delle teste era diventato più cauto, stando più sulla difensiva.

«Gilia ha ragione. Non metterci al tuo livello, Siirist, che hai un legame con Rorix del 35% e 42150 douriki fisici.» disse a malincuore Alea, arrabbiata per aver dovuto ammettere così apertamente la superiorità del Cavaliere d’Inferno.

«Già. Le tue capacità non lo sono nemmeno lontanamente, per quanto il tuo fuoco di drago sia eccezionale, ma la tua forza bruta è al livello, e anche superiore, di quella dei capitani. Alea, sta scappando!» esclamò Gilia.

La fanciulla se ne era già accorta e aveva già preparato il suo incantesimo, aspettando solo che il moro facesse lo stesso. Egli affondò la spada nel terreno e slegò lo scudo, portando poi in avanti entrambe le mani strette a pugno, le nocche a contatto.

«Quattro pilastri di contenimento!»

Quattro colonne di roccia si ersero attorno al cerbero, fulmini che scaturivano tra loro, generando una barriera.

«Ha combinato due elementi così facilmente?! Quando mai è diventato così bravo come mago?! Possibile che non mi sia accorto di nulla?!» si meravigliò Althidon.

«Anche Siirist ha imparato a farlo perfettamente, per quanto si tratti di fuoco e aria, i più semplici da unire. Althidon, questi ragazzi sono dei prodigi. Se io ero considerato un genio, credo che per loro dovremmo coniare un nuovo termine. Devi smetterla di considerarli come degli allievi comuni.» disse soddisfatto Evendil.

«Sono sempre più interessato a vedere come si comporteranno sul Gagazet.»

«Chiudete tutti gli occhi! Bianca luce della penitenza!» esclamò con forza Alea.

«Finalmente un incantesimo che conosco! Mi stavo preoccupando di non conoscere più i miei allievi!»

«Dall’energia che percepisco, mi sembra sia luce emanata così intensamente da riuscire a bruciare, dico bene? Glielo hai insegnato tu, vero? Questo trucchetto è di Aulauthar.»

«Proprio così. Gilia non mi sembra interessato alla luce, ma da quello che ho capito, Siirist la vuole prendere come specializzazione. Lo insegnerò anche a lui. Dopotutto è la nostra eredità come allievi di Aulauthar.»

«Hai perfettamente ragione.» ridacchiò il mezzo dunmer.

Quando Siirist riaprì gli occhi, vide il cerbero a terra indebolito, terribili bruciature su tutto il corpo. Come era possibile che una creatura di fuoco fosse bruciata? Però le percepiva diverse. Che fosse stata quella luce? Alea era proprio incredibile. Per quanto fosse inferiore a lui in termini di potenza, come maga era proprio fenomenale. Senza contare la sua preparazione mentale, anni luce più avanti rispetto a quella del ragazzo. Egli era convinto che la fanciulla avrebbe facilmente potuto controllare incantesimi lanciati utilizzando anche numerosi amplificatori.

«Che stai aspettando? Tra poco il cerbero si riprenderà!» urlò Evendil.

Siirist fu richiamato al presente e corse verso il daedra, che però riuscì a lanciargli contro una sfera di fuoco, facilmente schivata.

«Quel bastardo mi ha stufato. Alea!» ringhiò Corvinus.

La fanciulla annuì, concentrandosi e unendo il proprio Flusso a quello del moro.

«Funerale del deserto!»

Gilia puntò in avanti la mano aperta, il terreno sotto al daedra che cambiava composizione, trasformandosi eventualmente in sabbia, che avvolse il mostro, stritolandolo più la mano del moro si chiudeva. Siirist sentì le ossa della bestia scricchiolare, fino a che una della teste non spuntò fuori dal muro di sabbia.

«È in fin di vita. Sbrigati a metterlo sotto sigillo o tutti i nostri sforzi saranno stati vani.»

Ryfon annuì e appoggiò la mano sulla fronte del cerbero, la macchia di sangue che prese poi la forma del sigillo della tigre. Sospirando, Gilia rilasciò l’incantesimo e si accasciò a terra.

«Raijin, questo qui mi ha fatto usare tutti i miei incantesimi più potenti!»

«Gilia, una domanda: quell’incantesimo...» si avvicinò Althidon.

«Sì, Maestro, me lo ha insegnato Adamar. Ma non sono ancora molto bravo ad eseguirlo, per cui mi sono dovuto fare aiutare da Alea.»

«Ma non ho fatto altro che unire il mio Flusso al suo per velocizzare il processo, io non sono minimamente capace a creare la sabbia in quel modo, è Gilia che controllava la magia.»

«Bene, bene. Se siete così in nemmeno tre anni, voglio vedervi alla fine dell’addestramento!»

«Che palle, voglio poter dare di matto, voglio mostrare a tutti i miei poteri! Finito con la cattura dei daedra, ci portate in qualche posto pericoloso per un allenamento intensivo, Maestro?» si lamentò Siirist.

«Ne stavo giusto parlando con Evendil. Appena inizia il quarto anno vi porto al centro di addestramento del Gagazet.»

«Sembra interessante!» Siirist colpì il palmo destro con il pugno, un ghigno stampato in faccia.

«Il clima rigido e le bestie pericolose che ci vivono lo rendono un posto perfetto per allenarsi. Io solitamente ci porto i miei allievi alla fine del quinto anno ed è una meta prediletta per gli allenamenti anche dei Cavalieri che hanno finito l’addestramento. Ma con voi credo potrò accelerare il processo, non per niente siamo qui in Oblivion.»

«Possiamo fare una pausa? Per quanto la nostra riserva di energia sia ancora piena, è la prima volta che usiamo tutti questi incantesimi potenti consecutivamente. Ci sentiamo un po’ stanchi e a me fa anche un po’ male la testa.» propose Alea.

«D’accordo. Ma se volete tornare, va bene lo stesso. Avete già fatto abbastanza.»

«Neanche per sogno! Voglio altri daedra! E poi io sono in ottima forma ancora!» si lamentò Siirist.

«Perché non hai fatto niente! Rispetta i tuoi compagni, cretino!» e Evendil diede un pugno in testa a Siirist, atterrandolo.

«Dannato... Sono così vicino a superarti in douriki fisici! Maledetti tu e il tuo Ataru di merda!»

«A proposito di Ataru, Alea, come procede?»

«Piuttosto bene, grazie. Ma preferirei non utilizzarlo fino a che non è perfetto.»

«Che stupido che sono! In questo ultimo anno ho trascurato così tanto la stregoneria che non sono più abituato a farlo, però potrei usare gli spiriti del fulmine e della terra per rendermi più forte e veloce!»

«In un modo o nell’altro, sarete sempre dei validi rivali per Siirist. Questo è un bene.» sorrise Althidon.

«E pensare che quando abbiamo cominciato lo stracciavamo senza problemi.» scosse la testa Gilia.

«Di sicuro nessuno scorderà mai il loro primo incontro.» Evendil indicò Siirist e Alea.

«Questo è sicuro! Chi avrebbe immaginato che saremmo finiti così?» rise il biondo.

«Invece che fare l’idiota, vieni qui a farmi un massaggio. Tanto tu stai bene, no?» si imbarazzò l’elfa.

 

Finita la sosta, i quattro Cavalieri rimontarono sui rispettivi draghi,  Evendil sempre con Althidon sopra a Zelphar, il quale conduceva gli altri tre. Li guidò lungo un lungo fiume di lava fino a che non raggiunsero una collinetta da cui videro una grande vallata piena di daedra. Ed in fondo, verso l’orizzonte, si ergeva un gigantesco vulcano.

«Pare che i daedra più grossi e forti si trovino più in prossimità di quel vulcano.» osservò Gilia strizzando gli occhi.

«Ed è proprio come dici tu. Per nessun motivo dovete avvicinarvi lì, quella è la dimora di Ifrit. Ora valicheremo il fiume, andare nella vallata potrebbe essere troppo pericoloso.»

I draghi aprirono le ali e calciarono da terra, levandosi in volo, superando la lava fluente, arrivando ad una radura ricca di centauri. Alti quattro metri, il pelo della metà equina nero, il busto rossiccio, lunghi capelli neri che arrivavano fino al bacino. Il branco si accorse degli intrusi e li caricò, ed alcuni degli esemplari erano armati di grosse lance.

«I centauri sono daedra di fuoco, capaci di maneggiare qualunque tipo di arma di grande stazza. Se intendete catturarne uno, sappiate che sarà nel vostro interesse fornirli di armi di buona fattura, possibilmente resistenti al fuoco.» spiegò Althidon.

Zelphar prese il volo, osservando con i due elfi come gli allievi se la sarebbero cavata contro tutti quegli avversari.

«Questa volta ci conviene combattere in groppa ai draghi.» suggerì Alea.

«Evvai, niente magma questa volta! Il ghiaccio sarà efficace!» si eccitò Siirist.

«Finalmente potremo vedere i tuoi nuovi incantesimi di vento! Sei stato proprio uno stronzo a tenerci sulle spine e non volerceli far vedere!» ghignò Gilia impugnando il martello.

«Allora apri bene gli occhi.»

Rorix calciò da terra, salendo in cielo avvolto da fiamme rubine, riacquistando la sua vera grandezza, mentre Siirist aveva chiuso la mano sinistra a pugno e ci aveva soffiato dentro.

«Polvere di diamanti!»

Una grande folata si liberò dal palmo aperto, ghiacciando tutto quello che colpì.

«Ehi! Non hai fatto altro che copiare il mio Respiro degli angeli delle nevi!»

«Vorrai scherzare! Io non li ho bloccati nel ghiaccio, io li ho completamente congelati! Guarda bene!» e schioccò le dita.

Nel momento in cui lo fece, fu liberata una seconda ondata di energia che entrò in risonanza con il ghiaccio precedentemente generato, facendolo andare in pezzi. Tutti i centauri colpiti erano ora distrutti e sparsi per il terreno. Tutti i presenti ad eccezione di Rorix ed Evendil erano scioccati.

«E non ho finito! Pioggia di diamanti!»

Nuovamente Siirist aveva soffiato nel pugno, ma questa volta la ventata si trasformò in un centinaio di dardi dalla punta a cono che volarono verso i daedra, trapassandone la maggior parte. Ne era rimasta solamente una ventina che aveva evitato i due incantesimi, i due in testa che brandivano uno un’alabarda, l’altro un’ascia bipenne.

«Se non vi dispiace, io mi prendo quello con l’ascia.» disse Gilia.

«Va benissimo, a me piace quello laggiù con l’arco.» rispose Alea.

«Allora io mi prendo quello con l’alabarda. Pensiamo prima a quello di Alea, perché con quelle dannate frecce può colpirci anche mentre stiamo in volo.»

Asthar ed Eiliis spiccarono il volo, Alea che componeva le rune per il sigillo della tigre, mentre i due draghi maschi si lanciarono in picchiata, evitando i dardi con rapide virate.

‹Gilia, ce la fai da solo, vero? Io vado ad occuparmi degli altri due arcieri.› disse mentalmente Siirist.

‹Tranquillo, io e Asthar sappiamo badare a noi stessi! Dimmi un po’, da quanto tempo è esattamente che sei più forte di noi, eh?›

‹Più o meno da due mesi.›

‹Quando torniamo alla Rocca ti faccio abbassare la cresta, Cavaliere d’Inferno sbruffone!›

‹Tu pensa a migliorare, Cavaliere d’Incubo mezza sega!›

Rorix piegò verso sinistra, diretto verso altri due centauri armati di arco, sui quali esalò un respiro congelante, per poi colpirli con la coda, distruggendoli.

‹Sarà meno elaborato della tua Polvere di diamanti, ma il risultato non cambia!›

‹Come non cambia! Rorix, mi ritengo insultato!›

‹Tranquillo, so come funziona, ti prendevo per il culo!›

‹E ancora non è perfetta. Scendiamo a terra e ritorna alle dimensioni di un cavallo.›

L’Inferno fece come detto e partì al galoppo contro il resto dei centauri, il Cavaliere che colpiva a ripetizione, fino a che non vennero accerchiati e messi in difficoltà dai poderosi attacchi dei daedra.

‹Siirist, potrebbe servirmi una mano!› chiamò Gilia.

Il biondo si girò e vide l’Incubo a terra, due centauri che lo prendevano a calci e pugni.

‹Gli stanno facendo male! Li abbiamo sottovalutati, dobbiamo attaccare insieme!› ruggì Rorix.

Infuriato, richiamò abbastanza energia magica per respingere indietro gli assalitori con un’ondata di vento e riprendere il volo.

Alea, tu sei pronta?

Sì, ma se serve vengo ad aiutarvi!

Se dovessi lanciare qualunque incantesimo annulleresti il sigillo e dovresti rifare tutto!

Ma Gilia...!

Ci penso io, non preoccuparti. Pensa solo a mettere sotto sigillo questo centauro non appena te lo abbiamo indebolito un po’.

D’accordo, intanto ci avviciniamo a voi.

Sì, ma stai attenta.

Arrivati al centauro di Alea, Siirist si staccò da Rorix e, con un incantesimo del vento, volò rapidamente in soccorso di Gilia e Asthar, mentre il drago rubino pensava a rendere inoffensivo il daedra per la fanciulla. Spada alla mano, il biondo la puntò verso uno dei due centauri, energia che avvolgeva la lama.

«Proiettile fluviale!»

Da essa partì un getto di acqua da alta pressione che penetrò il bersaglio da parte a parte. L’altro mostro, distrattosi, diede a Gilia i due secondi necessari per formare una guglia di roccia che trapassò il centauro all’altezza del cuore.

«Fisicamente saranno anche forti, ma il loro corpo è perfettamente tangibile a differenza di quello di magma del cerbero!»

«Senza contare che tutto è molto più semplice quando non ci dobbiamo trattenere. Le cose si faranno più difficili quando dovremo pensare ai tre che vogliamo catturare.» rispose Siirist.

Rorix faticava sempre di più a tenere immobilizzata la sua preda, e quando questa era sul punto di riuscire a fuggire, il drago le morse via le due zampe posteriori. In preda al dolore più atroce, il centauro cadde a terra ed in quel momento arrivò Alea che gli appoggiò la mano sulla spalla, formando il sigillo.

«È incredibile quanto siano forti questi centauri per aver buttato a terra un Incubo con un solo pugno.» osservò Alea, preparandosi a continuare lo scontro.

«Già, dillo a me. Siirist, io mi sono stancato, tu che dici?»

«Pure io, questa battaglia si è protratta anche troppo. Andiamoci a prendere i nostri centauri.»

 

Quelli erano stati gli ultimi daedra per i ragazzi, in quanto Althidon li aveva giudicati troppo stanchi per continuare, e pure Siirist aveva dovuto dargli ragione, per cui ritornarono nella loro dimensione.

«Com’è andata?» chiese curioso Eimir.

«Abbiamo tutti preso un centauro a testa e io mi sono pure preso un cerbero!» disse trionfante Ryfon.

«E io una talpa di magma.» aggiunse Gilia.

«Complimenti! Il centauro ed il cerbero sono entrambi daedra da sigillo di tigre. Ma immagino che non vi siate avvicinati al vulcano di Ifrit.»

«No, siamo andati da tutt’altra parte.» scosse la testa Althidon.

«Lì si trovano i daedra da sigillo di drago. E naturalmente il grande Esper.»

«Sono curioso, come si fa a mettere sotto sigillo un Esper? Che sigillo serve?» chiese Siirist.

Tutti lo fissarono come se fosse l’essere più strano che avessero mai visto.

«Non si sa. L’unica cosa che sappiamo è che per ogni Esper vi è un sigillo diverso, ognuno composto da cento rune, ed una tavola contente il loro ordine era custodita a Ilirea. Ma da quando la città è caduta, la tavola è sparita.»

«E anche se fosse ancora conosciuto il segreto, non te lo diremmo, perché incosciente come sei, andresti ad affrontare gli Esper! O dovrei dire un Esper, perché moriresti al primo. Anzi, saresti fortunato solo ad avere abbastanza tempo per vederlo completamente prima di essere annientato. Ora smetti di dire idiozie e andate a riposarvi, ve lo siete meritato.» disse Althidon.

I ragazzi stavano ritornando verso il loro alloggio quando ad Alea venne un dubbio.

«I nomi dei due incantesimi di ghiaccio che hai lanciato, Siirist, mi ha fatto pensare che fossero collegati. Dico bene?»

«Sì.»

«Eppure non capisco. La Polvere di diamanti ha congelato i centauri e poi il ghiaccio si è frantumato con un semplice schiocco di dita, mentre la Pioggia di diamanti ha creato dei dardi così duri da trapassarli senza il minimo sforzo. In che modo sarebbero collegati? Sono completamente diversi!»

«È proprio qui che ti sbagli. Il tipo di ghiaccio è esattamente identico, della stessa durezza. La differenza sta nello schiocco di dita. Vedi, il mio soffio di diamanti forma un ghiaccio più duro del diamante stesso, resistente a qualunque colpo esterno e anche al fuoco. Purtroppo non è ancora perfezionato, perciò sarebbe stato inutile contro il cerbero. La Pioggia di diamanti è abbastanza semplice, una volta che impari a rendere il ghiaccio così forte, ma la Polvere è tutta un’altra cosa. Come ti ho detto, non intrappola nel ghiaccio, ma congela tutto il corpo, organi compresi. È un’eccellente incantesimo per bloccare, perché, come ho detto prima, il ghiaccio non può essere frantumato o sciolto. Però se io, e solo io, schiocco le dita, lancio un secondo incantesimo di vento, un incantesimo del suono, che entra in risonanza con il ghiaccio che va in pezzi. Quindi la Polvere di diamanti è strutturata per distruggersi solo al mio schiocco. Capito adesso?»

«È una magia veramente complessa. Non riesco a credere che tu l’abbia creata!»

«Non so perché, ma suona quasi come un insulto. Però non posso biasimarti, hai ragione. Me lo ha insegnato Evendil. Però anche solo impararlo è stato difficile!»

«Questo spiega tante cose! Più forte mi sta bene, ma che tu fossi anche più intelligente di noi era ridicolo!» rise Gilia.

«Ehi!»

 

 

 

~

 

 

Banko/Zack, come vedi già qui Siirist ha imparato a volare semplicemente con l’elemento vento (ovviamente per merito di Evendil), ma utilizzare il fuoco come propulsore è qualcosa che ritornerà anche in futuro. Sono felice che ti sia piaciuta la scena intima. È la prima volta che scrivo qualcosa di simile e non accadrà più in questa storia. Quando finalmente mi metterò a scrivere l’originale, invece, ce ne saranno di più e anche più dettagliate (rating rosso), ma non saranno mai piacevoli da leggere e da vedere, per quanto riguarda i personaggi. Ma non anticipo nulla, aspetto di avere il tempo di scriverla. Per scene comiche future (molto future) aspetta di rivedere Siirist e Elisar insieme!

 

Il prossimo capitolo si intitola BELEG RUNIA e sarà pubblicato domenica 26.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** BELEG RUNIA ***


BELEG RUNIA

 

Siirist ed Evendil erano su un’isoletta al largo di Vroengard e prendere il sole, godendosi una delle ultime giornate di caldo di fine settembre. Gilia era oramai diventato un assiduo frequentatore del villaggio e Alea era stata impegnata a cantarsi un nuovo arco dagli alberi del bosco sotto la Rocca, per cui Ryfon aveva colto l’occasione per passare del tempo in pace con il mezzo dunmer. Era strano, il suo Maestro era Althidon e da lui aveva imparato molto, ma sentiva che il suo vero insegnante era proprio Evendil. Da quando lo conosceva, non aveva fatto altro che prendersi dura di lui, a volte anche in modo duro, insegnandogli i modi degli elfi, aiutandolo con la magia e con la spada. Lo aveva sempre considerato un mentore e anche una sorta di obiettivo, in quanto ancora non era riuscito a batterlo nemmeno una volta, ma aveva recentemente incominciato a vederlo anche come un padre. Non per niente la madre di Alea gli aveva detto che lo stesso Evendil pensava a lui come ad un figlio. Non lo aveva più fatto arrabbiare da molto, per cui non lo aveva più colpito, piuttosto lo aveva visto sempre più orgoglioso di lui ad ogni nuova conquista del ragazzo.

«Tra poco comincerà il tuo quarto anno di addestramento. Che arma secondaria hai deciso di utilizzare?»

«Lo sai bene!»

«Ancora intenzionato a utilizzare il Jar’Kai a doppia spada?»

«Chiaro!»

«Che ne diresti invece di imparare ad usare la lancia?» propose guardando Lin dur.

«So che vuole farlo Alea. E di certo vorrò farlo, perché vorrò saper anche usare un’arma a due mani e la lancia è la mia scelta. Ma non come Alea, io voglio usarne una che abbia due lame.»

«Concordo pienamente. Non so usare due spade, ma con la lancia è un’altra questione. Se vuoi ti insegno.»

«Volentieri! Quindi nei prossimi due anni imparerò ad usare doppia spada e lancia, perfetto. Dopodichè mi dedicherò alle altre armi.»

«“Altre armi”? Vuoi imparare ad usare anche altre armi?»

«Si capisce!»

«Dunque tutti gli elementi e tutte le armi. Sei uno ambizioso!»

«Ancora non l’avevi capito? Ma questo è solo l’inizio. Mi riterrò soddisfatto solo quando sarò un mistico completo!»

«Quindi mago, stregone, invocatore e alchimista. L’unico alchimista davvero bravo che io conosca a Vroengard è Adeo, lui può insegnarti molto bene.»

«Sì, lo so. Ma al momento ciò che più mi interessa è diventare un mago completo.»

«Dunque esperto in tutti gli elementi, nella magia organica e in quella spazio-temporale? Sai che ci vorrà molto tempo, vero?»

«Non mi interessa. Vivrò per oltre duemila anni, no? Direi che ho tutto il tempo per studiare e allenarmi!»

«Anche questo è vero. È quasi ora di pranzo, è meglio andare. Ti va di mangiare da Fralvia? Offro io.»

«Volentieri!»

Si alzarono e Evendil scompigliò i capelli al ragazzo.

«Sei diventato alto! Tra un po’ mi raggiungi!»

«Ma magari! Sono ancora più basso di Alea di due centimetri...»

«Vi vedo felici insieme.»

«Molto.»

Rorix aveva assunto la sua dimensione naturale, alto sei metri e lungo complessivamente venti, di cui sei di coda, con un’apertura alare di diciotto metri. Entrambi i bipedi gli montarono sopra, l’elfo che si sedette dietro al Cavaliere.

«E non starmi così vicino, è imbarazzante! E intendo nel senso che fa schifo!»

Il mezzo bosmer rise.

«Parlando sempre di Alea, non hai ancora intenzione di darle una Collana del Giuramento, vero?»

«No. Però non lo so, sento qualcosa di diverso rispetto a quando ci siamo messi insieme. È strano. È bello.»

«È nostalgico.» sorrise amaramente.

«Ah, scusa...»

«Non preoccuparti, non è colpa tua.»

 

Finita la cena, passata felicemente per Siirist perché Fralvia era assente perché ammalata, questi e Evendil uscirono dalla taverna, Rorix sulla testa del Cavaliere.

«Aspettami qui.» disse l’elfo.

Andò in un bar e riuscì poco dopo con in mano un ghiacciolo alla fragola da spezzare in due, in quanto aveva due bastoncini.

«Vorrai scherzare, spero?! Non sono mica un bambino!»

«Zitto e mangia.» rise Thyristur, dando metà del ghiacciolo al ragazzo.

 

Arrivò dicembre e con esso il momento per i mastri fabbri dell’Ordine di forgiare le spade per i Cavalieri in addestramento che stavano per iniziare il quarto anno. La mattina del secondo del mese Siirist entrò nell’armeria e gli fu data una spranga di ferro e gli venne detto di impugnarla e maneggiarla come se fosse una spada, così che gli armaioli avrebbero potuto vedere che tipo di arma gli sarebbe stata adatta. In seguito gli chiesero di scegliere fino ad un massimo di dieci incantesimi predefiniti da applicare alla spada e per che genere di incantesimi avrebbe voluto gli amplificatori. Per finire dovette dire il nome da dare all’arma. Quando ebbe finito, il ragazzo tornò in camera per trovare gli amici discutere allegramente delle loro future spade.

«Allora? Come sarà la tua?» chiesero all’unisono.

«Simile a quella che ho usato fino ad oggi, ma leggermente più lunga, in quanto la lama sarà di un metro e dieci e l’elsa di quindici centimetri. Avrà sette incantesimi predefiniti, uno per elemento, che saranno anche combinabili per generare incantesimi combinati o di fusione. Come scettro ha la funzione di incrementare il calore di ogni incantesimo di fuoco, e per renderlo compatibile con il fuoco di drago abbiamo dovuto faticare un po’, infatti spero che il fuoco d’Inferno non sia troppo differente, se no l’amplificatore sarebbe inutile e sarebbe uno spreco. Inoltre mi amplifica tutti gli incantesimi di vento dall’effetto tagliente, potenzia le forme solide della luce e l’effetto elettrizzante del fulmine, oltre che renderlo più duro.»

«Grande! Oltre a quelli della tua specializzazione, hai messo anche il fulmine! Non per niente è il migliore!» esultò Gilia.

«Avrei voluto mettere anche oscurità, ma non c’entrava.»

«Ma se non la sai usare!» osservò il moro.

«No, ma imparerò. Non volevo mettere acqua e terra perché tanto sono già sulla mia altra spada e quando userò il Jar’Kai a doppia spada, potrò usare quelli.»

«Ancora convinto? Quindi non solo copi Aulauthar per quello che riguarda le specializzazioni elementali, ma anche per quel che concerne le armi!»

«È una tradizione millenaria, qualcuno doveva pur continuarla! Tu invece hai preso esattamente quelle opposte, come Syrius!»

«Eh sì, fulmine, acqua e oscurità. Ma anche terra.»

«Io invece sono più un misto di tutto.» ridacchiò Alea.

«Vero, vento, acqua, luce e magia organica. Ma possiamo dire che sei già un’esperta in quella. Che mi dici della tua pioggia curativa? Come procede?»

«Molto lentamente, non è affatto semplice.»

«Anche tu pretendi troppo. Sappiamo che sei brava, ma combinare acqua, vento e proprietà curative è ben oltre le tue attuali capacità, l’ha detto anche Althidon.» puntualizzò Corvinus.

«Non mi aspetto certo che riesca ad usarla domani! Dico solo che i progressi sono più lenti di quanto avessi immaginato.»

Si sentì bussare alla porta e Siirist andò ad aprire, rivelando Althidon.

«Vieni con me.»

«Che succede?»

«Seguimi e basta.»

Voltandosi a guardare i compagni, che lo seguivano con sguardo dubbioso, scrollò le spalle, per poi, Rorix sulla testa, obbedire al Maestro. Questi non aprì bocca e il ragazzo pensò bene di fare lo stesso, fino a che arrivarono alla Sala del Consiglio. Il Cavaliere viola aprì la porta con una leggera violenza, ma pur sempre mantenendo la sua aria altezzosa. Siirist lo fissò con sguardo indagatore, chiedendosi perché fosse tanto nervoso. Non era da lui, mancava poco che cominciasse a sprigionare le sue fiamme fredde. Percorso il corridoio che li condusse nell’aria circolare al cospetto dei dieci capi di Vroengard, i quali stavano nei loro soliti posti sugli spalti che circondavano l’area sottostante dove si trovavano Siirist e Althidon e Evendil, che, appoggiato ad una parete fino a quel momento, si avvicinò al maestro e al giovane, poggiandogli una mano sulla spalla.

«Che succede?» bisbigliò Ryfon.

«Pazienta.»

«Cavaliere d’Inferno, ti è stata affidata una missione.» esclamò un dunmer dal drago verde pallido.

‹Cosa?!›

Guardò dritto verso gli Anziani che conosceva, e vide che l’unico rimasto impassibile era Adamar, poiché Aulauthar, Eimir e persino Syrius parevano insicuri e poco contenti. Il Cavaliere d’argento parve accorgersene e sorrise lievemente. Poco falso, poco.

«Quale missione?»

«Dovrai fermare un manipolo della Setta dello Scorpione che si sta muovendo nel nord di Spira.» rispose lo stesso Cavaliere di prima.

«Sono stati riportati degli avvistamenti nei pressi di Macalania e si presume che siano diretti a Cheydinhal. Che essa sia la meta o solamente una tappa non ci è chiaro, ma è certo che ci si fermeranno, poiché è stato confermato che hanno dei legami con la città.»

‹Gilia!›

«Il vice-capitano della sesta brigata è stato assegnato a questa missione, assieme a due suoi sottoposti. Il Consiglio ha deciso di far partecipare anche te.»

A parlare questa volta fu l’unica donna del Consiglio, con a fianco un drago arancione, una bosmer con capelli castano scuro che arrivavano poco sotto le orecchie. Qualche ruga le segnava il viso attorno agli occhi e sulla fronte, ma erano quasi impercettibili e solo l’occhio attento del ladro le avrebbe notate da quella distanza.

«Ma ho l’impressione che non tutti siano d’accordo.»

«Difatti vi è stata una votazione ed è stato sei contro quattro.» disse l’unico umano, con corti capelli tra il biondo ed il rossiccio e dal drago bianco.

«Pensavo che seguiste sempre quello che dicono o Aulauthar o Syrius.»

I due interessati non si sorpresero più di tanto alla risposta maleducata del ragazzo, il primo che ridacchiò leggermente, il secondo che scosse la testa con fare disperato. Gli altri otto, invece, ad eccezione di Adamar che, come sempre, rimase impassibile ad osservare la scena, si stizzirono, persino Eimir guardò male il giovane.

«Oh, Bial, bene arrivato, abbiamo cominciato senza di te.»

Il nome non era nuovo a Siirist che si voltò di scatto e vide arrivare lo stesso uomo che aveva visto il giorno che era stato per la prima volta a Oblivion, quello con il drago e la sciarpa tra il celeste ed il bianco. Questa volta portava al fianco sinistro la sua spada, il fodero nero laccato, l’elsa nero opaco, la guardia a croce con i bracci più corti del normale, l’impugnatura rivestita di seta del colore del drago ed il pomolo costituito di una gemma dalla tonalità identica. Ma niente arma secondaria. Era strano non vederla: quando un Cavaliere portava con sé la spada, solitamente portava anche l’arma secondaria. E dalla posa, dal modo di camminare, da come spostava il peso del corpo, pareva essere abituato non averne una, proprio come Eimir.

‹Così è lui il capitano della sesta brigata.›

«Sono venuto soltanto a ribadire il mio dissenso rispetto alla vostra decisione. Qualunque altra cosa non mi interessa.»

«Il solito cuore freddo, eh?» commentò Eimir.

‹Ah beh, simpatico!›

«Sono d’accordo con lui. Siirist sarà anche forte, ma è altamente impreparato su molti altri fronti, quali le abilità mentali, numerose conoscenze teoriche sulla magia, ed è ancora un principiante della stregoneria.» disse Althidon.

«È un ragazzino inesperto e avventato, risulterà essere solo un peso per la squadra.» aggiunse Bial.

‹Mi piace sempre di più.› pensò con tono piatti Siirist.

‹Non ha tutti i torti.›

‹Fai silenzio, tu.›

«Ehm, scusate, capitano? Mi ritengo offeso! È vero che sono un inesperto, ma non sono certo avventato! Sono un ladro io, e pure abbastanza bravo! Conosco bene l’importanza della calma!»

«Sì, prima di uno scontro, mentre analizzi l’avversario e l’ambiente. Se si dovesse sorprendere il nemico, saresti certamente perfetto, ma nell’ipotesi di uno scontro frontale, saresti in netto svantaggio. Quando usi la magia ti lasci sempre trasportare, non ti dai mai un contegno. Grossi incantesimi che fanno un gran macello, ma contro uno spettro non avresti speranze.» disse Althidon.

«Avete detto “spettro”...?»

«Ho osservato bene i tuoi allenamenti, Ren non fa che elogiarti ed insiste perché ti prenda nella mia brigata, ma non capisco cosa trovi di tanto speciale in te. Hai grandi valori, punto. Manchi disciplina e umiltà.»

Era sconvolgente come le parole che uscivano dalla bocca di Bial avessero una tale aria di superiorità da suonare quasi sprezzanti, e forse lo erano, e davano l’impressione che l’uomo trovasse parlare al ragazzo un totale spreco di fiato e tempo. Che arrogante lurido pezzo di merda!

‹Dovrebbe lavorare un po’ sul tono, ma non ha poi tutti i torti.› osservò Rorix.

‹Ti ho già detto di fare silenzio.›

«Non importa, la decisione del Consiglio è assoluta, il Cavaliere d’Inferno parteciperà alla missione. Capitano Bial, non sei qui per protestare, ma per parlarci dello stato della sesta brigata. Sono stati selezionati i due membri che accompagneranno il vice-capitano?» disse l’Anziano umano.

«Non ne so niente, parlatene con lui. Io me ne vado.»

‹E poi accusano me di essere irrispettoso?›

Rivoltatosi verso il Consiglio, Ryfon vide l’umano in collera che veniva calmato dall’altmer accanto a lui, ed Eimir che scuoteva la testa.

‹Mi sta sorgendo un dubbio... Eimir e Bial sembrano avere un rapporto più stretto, non trovi?›

‹È quello che ho pensato anche io. A cosa vuoi arrivare?›

‹Beh, tutti i membri del Consiglio erano un tempo capitani o Maestri, no? Sto pensando che forse Eimir era il Maestro di Bial.›

‹I tempi tornano, questo è vero. E spiegherebbe anche perché Bial è senza arma secondaria, come Eimir, evidentemente ha uno stile simile.›

‹Ma Eimir usa armi secondarie, le invoca. È il suo segreto più grande, invocare senza segnare i sigilli, dubito lo abbia trasmesso a qualcun altro. Deve esserci qualcos’altro.›

«Bene, visto che il capitano Bial se ne è andato, non c’è nient’altro di cui parlare. Siirist è stato informato della missione, quindi possiamo chiudere qui la riunione.» concluse Aulauthar.

Gli altri Anziani annuirono e, con il sottofondo di passi e mormorii, tutti abbandonarono la sala. Siirist, sotto ordine di Althidon, lo seguì insieme ad Evendil fino ad incontrare il Cavaliere d’argento e Syrius.

«Perché sono così ostinati quei sei?» si infuriò il Maestro, sbraitando sottovoce.

«Perché questo delinquente ne ha combinate troppe ed è ora di fargli capire cosa significa davvero essere un Cavaliere. E hanno ragione, ma affidargli come sua prima missione, e prima che abbia pure completato l’addestramento, una così pericolosa è da pazzi.» rispose il Cavaliere nero.

«Già, appunto, “pericolosa”; Maestro, prima avete parlato di spettri: ci sono spettri?»

L’interessato sospirò ed abbassò la testa.

«Il manipolo di Scorpioni che la Gilda dei Ladri sta seguendo è formato da tre spettri, due elfi oscuri e due demoni corridori infuocati.» rispose Aulauthar.

Siirist sgranò gli occhi e la bocca si spalancò tanto che i muscoli facciali presero a fargli male.

«Questo non me lo avevi detto, Althidon! È una pazzia mandare anche Siirist!» obiettò Evendil.

«È esattamente quello che abbiamo detto noi, Adamar ed Eimir, ma gli altri non ci hanno dato retta.» sospirò Aulauthar.

‹Sono cazzi nostri.› disse con voce rassegnata Rorix.

‹Amico mio, non avrei potuto dirlo meglio.› rispose il Cavaliere con lo stesso tono.

«I corridori infuocati sono dei classe B, giusto? Niente di speciale, allora.» disse Siirist, cercando di trovare il lato positivo di quella faccenda orribile.

«No, ma il loro potere non è da sottovalutare, poiché possono muoversi a velocità così elevate da superare la velocità del suono.» rispose Althidon.

«E dimentichi gli spettri e gli elfi oscuri? Gli spettri usano stregonerie sicuramente di alto livello, gli elfi oscuri pure, oltre che magie. Ed entrambi sono degli esperti della mente. Proprio il tuo punto debole! È ridicolo! Lo stanno mandando al macello!» aggiunse indignato il mezzo bosmer.

«È inutile, non c’è storia. L’unico modo sarebbe di ribellarsi e lasciare Vroengard. Ma sapete tutti cosa significa per un Cavaliere tradire l’Ordine.» disse Syrius.

«Fa niente, in un modo o nell’altro me la caverò. Evendil, andiamo ad allenarci, non è il momento di stare a perdere tempo!»

 

Siirist era stato via oramai da quasi un’ora e sia Alea che Gilia avevano cominciato preoccuparsi. Lo sguardo serio di Althidon non era certo stato rassicurante, così come il suo tono di voce lugubre.

Che potrà mai essere?› la fanciulla si strinse nelle spalle.

Anche il moro era preoccupato, il viso corrugato e la mascella serrata erano chiari segni della sua ansia. Ma tutto d’un tratto i muscoli facciali di quello si rilassarono, balzò giù dal letto e prese il proprio cappotto, per poi lanciare quello della fanciulla alla proprietaria.

«Che stai facendo?»

«Stare qui a preoccuparci non risolverà nulla. Andiamo a scoprire cosa è successo.»

Alea sorrise ed annuì, indossò stivali e cappotto ed uscì dalla stanza assieme all’amico, tallonati dai draghi grandi quanto mastini. Ma trovarono Zelphar che veniva loro incontro e che disse loro di seguirlo. Il drago viola condusse agli appartamenti degli anziani fino alla stanza di Althidon. Il Maestro li fece accomodare su un divano davanti al focolare per poi arrivare al punto e raccontare tutto ciò che era avvenuto nella Sala del Consiglio. Se possibile, Alea e Gilia furono più scioccati del Cavaliere d’Inferno. E la sorpresa aumentò ancora quando furono informati che anche a loro era stata affidata una missione.

«Di cosa si tratta?» domandò ansiosa la fanciulla.

«Come vi ho detto, la Setta dello Scorpione si è infiltrata nella corte di Cheydinhal e abbiamo bisogno di scoprire chi sia. E chi meglio del figlio del conte?»

Corvinus rimase muto. Alea lo guardò sconsolata e gli prese la mano con fare rassicurante.

«Spero non ci siano sospetti su mio padre.»

«No, no, sia il conte, che il maestro d’armi, lo stregone di corte ed i suoi due allievi sono puliti. Purtroppo la Gilda dei Ladri non ha potuto continuare ad indagare approfonditamente perché stavano attirando troppa attenzione. Se non dovessi trovare una delle cuoche al tuo ritorno a casa, è per questo motivo.»

«Una delle cuoche è della Gilda?! Chi?!»

«Mi pare si chiamasse Marara, Mar- qualcosa...»

«Maria?! Maria è una ladra?»

La faccia allibita di Gilia era troppo divertente da vedere che Alea non poté resistere di invadergli il primo livello della mente, visualizzando così ciò a cui egli stava pensando, e si vide una signora sulla sessantina un po’ paffuta che sorrideva amabilmente. Quella era una ladra? Capiva bene perché l’amico lo trovasse sorprendente.

«Non lo avresti mai sospettato, vero?» rise il Maestro.

«Ma nemmeno tra mille anni!»

«Allora ha fatto bene il suo lavoro. Ah, un’altra cosa prima che ve ne andiate: non una parola a Siirist della vostra missione.»

«Perché?» domandò Alea.

«Come vi ho detto, la sua è molto pericolosa e se non sta attento, rischia di rimanerci. Sapete come è fatto, stupido com’è, se dovesse sapere che anche voi siete in missione, sarebbe capace di preoccuparsi e non concentrarsi sul suo compito.»

«Se dovessimo tornare dopo di lui?»

«Allora direi che non ci sarebbe più il rischio di lui che si preoccupa, non trovate? Ora andate, avete la giornata libera. Siirist è andato con Evendil ad allenarsi, dovreste farlo anche voi. Magari pensate a qualche combinazione tra voi due o persino tra tutti e quattro. E perché no, anche a qualcuna Alea/Asthar, Gilia/Eiliis. Non si sa mai cosa può succedere in battaglia, potreste ritrovarvi a collaborare anche a coppie sfalsate.»

«D’accordo. Buona giornata, a domani.» disse Gilia.

«Che le stelle vi proteggano.» si inchinò Ilyrana.

«E che le vostre lame restino affilate.»

Cavalieri e draghi uscirono dall’abitazione dei rispettivi Maestri, diretti con passo lento verso la mensa, poiché a Gilia era venuta voglia di un bicchiere di succo di pera.

«Che ne pensi?» chiese l’elfa.

«Sono preoccupato per mio padre. E per Adrian, Codus e, naturalmente, Deria.»

«Non per Thor?»

«Quello è così testardo che non morirebbe nemmeno ammazzato! Con il caratterino che si ritrova, dubito che verrebbe voglia a nessuno di cercare di farlo fuori!»

«Perché, Adrian, scusa? Da quello che mi hai detto, è molto bravo come stregone. Trovo che sia più pericoloso affrontare lui che un semplice guerriero come Thor, per quanto forte.»

«Mah, non so, è uno dall’ascia facile. Basta una parola fuori posto e tira fuori la bipenne! E non ti credere, anche contro la stregoneria, si saprebbe far valere se si mettesse davvero d’impegno.»

«E contro la magia?»

«Anche meglio. Le probabilità che un umano abbia un Flusso notevole sono minime, e poiché gli infiltrati a corte sono per forza umani, è sicuro al 95% affermare che un mago non sarebbe molto dotato. Ed è difficile trovare stregoni migliori di Adrian e Thor ci ha duellato spesso, sa come muoversi contro chi usa la stregoneria.»

«Ricorda che non serve necessariamente avere un Flusso notevole per lanciare incantesimi potenti, basta allenamento mentale per controllarli. Per lanciarli è sufficiente essere dotati di molti scettri e anche una persona con il Flusso di 50 potrebbe lanciarne della potenza di 50000!»

«Nessun umano ha la capacità mentale di controllare incantesimi così tanto amplificati! Ricorda che meno la potenza dell’incantesimo è frutto del Flusso, più è difficile da controllare. Solo perché noi siamo enormemente dotati e inoltre abbiamo il Cerchio d’argento che permette un’amplificazione naturale, non vuol dire che siano tutti così! Non mettere tutti al tuo livello! Tu sei un’elfa con una elevatissima capacità mentale e forse per te sarebbe facile raggiungere e superare il milione di douriki di potenza di un incantesimo, ma la maggior parte degli umani è tanto se arriva a mille!»

«Ah, hai ragione, a volta non penso quanto voi siate deboli.»

«Però ti ricordi di tirare fuori la tua arroganza da elfo.»

«Ero peggio quando ci siamo conosciuti, però!»

«Dovremmo chiederlo a Siirist!»

«Intanto, nonostante mi trovasse insopportabile, mi ha sbirciato nella scollatura durante il nostro duello! Porco...»

 

In una delle isolette che circondavano Vroengard, la neve era oramai quasi del tutto scomparsa, sciolta dalle fiamme di Siirist e Rorix che insieme attaccavano Evendil. I douriki fisici di Siirist, 43800, erano di poco inferiori a quelli dell’elfo, che, grazie all’Ataru, ne aveva 52500, poiché si era tenuto mille douriki per gli incantesimi. Solitamente non aveva poi molte difficoltà a tenere a bada il ragazzo, ma questa volta l’elfo era costretto ad impegnarsi quasi seriamente, tanto che usava pure la stregoneria ed i suoi amuleti, perché si trovava ad affrontare sia Cavaliere che drago. Rorix gli balzò contro dalla sua sinistra, ma grazie ad un incantesimo di vento amplificato da uno dei suoi anelli e dal suo guanto, riuscì a schiantarlo a terra. Ryfon seguì poco dopo l’Inferno, attaccando il mezzo dunmer con un tondo manco dritto, che questi parò con un montante, mandando la spada del giovane verso l’alto, per ruotare su se stesso e portarsi alle spalle di questi, calciandolo contro il drago che era balzato di nuovo all’attacco, bloccandolo. Ma quei due non si davano per vinti e parevano avere energia infinita mentre lui, per la prima volta in tutti i duelli che aveva disputato con Siirist, aveva il fiatone. Il biondo caricò il braccio sinistro e balzò in avanti in un affondo, bloccato da una parete di roccia elevata dall’elfo, mentre contemporaneamente il drago la aggirò ed esalò una fiammata, congelata dagli spiriti del vento, dopodichè gli spiriti della terra lo intrappolarono generando melma sotto alle sue zampe. Nello stesso momento, il ragazzo balzò verso l’alto riportando la spada sopra la testa, tagliando la roccia con il secondo filo della lama, e quando ebbe raggiunto i due metri dell’altezza del muro, vi poggiò il piede e lo usò come pedana, balzando verso l’avversario con una rotazione in avanti e menando un fendente potenziato dal movimento. Evendil unì anche i suoi ultimi mille douriki di Flusso alla sua energia fisica e bloccò, la lama perfettamente orizzontale al terreno. Egli non si mosse di un millimetro, ma l’impatto fece crepare il terreno sotto i suoi piedi. Rorix si era intanto liberato ed era partito a dare man forte al suo Cavaliere, ma l’elfo sia era ormai stufato: con un tondo dritto si liberò di Siirist per poi annullare completamente l’Ataru e unire tutto il suo Flusso alla sua energia magica, sprigionando una potente folata di vento che spinse indietro i due di una ventina di metri.

«Siete diventati forti. Per la prima volta, mi vedo costretto a fare veramente sul serio.»

Siirist alzò la testa di scatto, incuriosito, gli occhi attenti ad ogni minimo movimento del mezzo bosmer. Questi rigirò Lin dur nella mano, così che dallo spazio tra pollice ed indice uscisse l’impugnatura che terminava con il pomolo, la lama dalla parte opposta; distese il braccio in avanti ed avvicinò la sinistra al diamante, sfiorandolo con l’indice ed il medio congiunti. Lo sguardo serio, deciso a finire completamente drago e Cavaliere, così che capissero quale fosse il suo vero potere. Ma tutto d’un tratto il suo viso si rilassò, pareva aver cambiato idea, gli occhi che puntavano oltre la spalla sinistra di Ryfon. Rigirò nuovamente la spada e la ripose nel fodero.

«Ripensandoci, finiamola qui.»

Siirist si voltò e vide arrivare Alea.

‹No! Potevi aspettare altri venti secondi, cazzo!›

‹Proprio ora che stavamo per vedere Evendil fare davvero sul serio!›

‹Già! Sembrava stesse per fare qualcosa con la spada! Hans gli chiese se quella non era una spada normale, mi ricordo, forse stavamo per scoprire di cosa parlava! Merda!›

«Ho interrotto qualcosa...?» la fanciulla pareva aver interpretato bene lo sguardo dell’amato.

«Beh...»

«No, tranquilla, avevamo finito.» rispose invece Evendil.

La sinistra appoggiata all’elsa di Lin dur, l’elfo si avvicinò a Siirist e gli scompigliò affettuosamente i capelli con la destra.

«Ci rivediamo alla Rocca. Voi due invece ho saputo andata da Fralvia a cena, giusto?»

«Sì...»

«Dai, non fare quella faccia! Entro la fine dell’anno sarai certamente riuscito a costringermi a rivelare la vera forma della mia spada. E ci riuscirai in un duello uno contro uno, senza bisogno di Rorix.» sorrise e si diresse verso Griever.

Alea ormai era certa di essere arrivata in un momento inopportuna. Guardò l’elfo volare via con il grifone per poi posare gli occhi sul ragazzo, rimasto immobile con la testa abbassata. La sinistra stretta, le nocche diventate bianche, piccole fiamme che nascevano dalla pelle.

«Accidenti!»

Caricò il suo Pugno di fuoco con cui incendiò la poca vegetazione dell’isoletta, per incrociare le braccia, sedersi di botto con le gambe incrociate e mettere il broncio.

«Ehm... Siirist... scusa...»

Egli sospirò.

«No, tranquilla. Meglio così, voglio essere io da solo a forzarlo a fare sul serio, senza l’aiuto di nessuno. Però cavolo, mancava così poco!»

«Cosa intendeva con “vera forma della spada”?» si sedette accanto a lui.

«È proprio quello il problema! Voglio scoprirlo! Hans disse che non si tratta di una spada comune, per cui vorrei sapere di cosa si tratta! Trattandosi di una spada di Bhyrindaar, probabilmente può assumere un’altra forma, come il pugnale di Aulauthar che diventa una spada gemella a Giuramento di luce, o l’ascia di Syrius che si trasforma in un’alabarda.»

«Se ti do un bacio mi perdoni...» ella fece gli occhi dolci.

«Non sono mai stato arrabbiato con te. Ma se serve a farmi baciare, ti dico che ti odio!»

Entrambi sorrisero e si baciarono dolcemente, anche se Siirist trovava difficile trovare lo spirito romantico per via del drago che aveva continui conati di vomito mentali.

‹Sai, potresti anche smettere.›

‹Mi date la nausea, non posso farci niente.›

‹Anche Eiliis fa così?›

‹No, lei ormai se ne è fatta una ragione e riassume tutto il suo disgusto e la sua incomprensione in una parola.›

‹Sarebbe?›

‹“Bipedi”.›

‹Pare giusto.›

 

Erano ormai quasi le otto di sera quando Siirist e Alea scesero verso il villaggio per andare a cena. Il ragazzo aveva partecipato ad un’operazione della Gilda dei Ladri due settimane prima ed aveva guadagnato quattro ori, per cui aveva deciso di comportarsi come si deve e di portare fuori a cena la sua ragazza e offrire. Neanche a dirlo, lei ne era estasiata. Dopo essere stata con Gilia da Althidon e aver saputo che il biondo era andato ad allenarsi con Evendil, lo aveva atteso per ore, cominciando a preoccuparsi quando vide che erano ormai le sette passate e lui non era ancora di ritorno. Avesse saputo che la sua ansia avrebbe fatto sprecare all’amato uno dei momenti che aspettava più da più di tre anni si sarebbe forzatamente calmata. Per quanto la assicurasse che non era minimamente un problema, continuava a sentirsi in colpa.

Forse dovrei distaccarmi un po’ più... forse lo sto soffocando...› si morse il labbro.

Non essere ridicola! Possibile che ogni volta che si tratta di lui, ti devi sempre ridurre ad una sottomessa senza spina dorsale?!› si arrabbiò Eiliis.

Simpatica...

Allora dovresti sentire Vulcano con il tuo bellimbusto.

Perché lo devi trattare sempre così male? Dubito che sia Vulcano che Asthar parlino così male di me con i loro Cavalieri!

Ho mai detto niente contro Gilia?› domandò sinceramente sorpresa.

L’elfa sbuffò.

Te l’ho detto da sempre che non mi piace. È arrogante, fa il cascamorto con ogni bella ragazza... Quella Viola, poi!

È il suo modo di fare! Questo è niente! Dovevi vedere quando era davvero interessato a combinarci qualcosa! E non è lui che ci prova con Viola! È il contrario!

Se un altro uomo ci provasse con te, tu che faresti?

Rifiuterei, naturalmente!

Appunto, ma non mi sembra che lui lo faccia! Anzi, pare che inciti le ragazze a provare interesse per lui!

Non ci può fare niente se è bellissimo, affascinante, divertente...› e si perse nelle sue fantasie.

... menefreghista, sfruttatore, delinquente, casinista, strafottente, senza ritegno...

Oh, avanti, smettila!

«Non trovi? ... Alea? Ci sei?» Ryfon le passò la mano davanti agli occhi.

«Eh?»

«Dicevo, non trovi anche tu che il cielo sia splendido stanotte? Limpido, si vedono perfettamente tutte le stelle... Sono felice di passeggiare con te in questa bella serata. È un freddo cane, ma ci sei tu a scaldarmi, e le stelle, per quanto belle, paiono riflettere la tua di luce.»

Alla fanciulla stavano per cedere le ginocchia.

Dicevi?› chiese ancora beata.

Hmpf.› sbuffò la dragonessa.

Alea prese Siirist a braccetto e gli appoggiò la testa sulla spalla.

«Ormai ti devi piegare di poco...» disse lui, leggermente imbarazzato.

Lei ridacchiò.

Arrivarono all’ingresso del villaggio e furono salutati dalla guardia al cancello e, arrivati alla taverna, Ryfon aprì la porta e fece entrare Alea e Eiliis per poi seguirle, tallonato da Rorix. Fralvia li accolse con gioia e li condusse al tavolino più appartato, rotondo, grande abbastanza per stare comodi ma che li permettesse anche di baciarsi semplicemente avvicinandosi, senza doversi alzare, situato accanto alla scalinata che conduceva al piano superiore dove si trovavano le camere da letto.  Quando la proprietaria li ebbe fatti accomodare, portò immediatamente in tavola i bicchieri ed una caraffa d’acqua, oltre che una candela che fu accesa da Siirist da una fiamma a forma di cuore che continuò a bruciare in quel modo per tutto il tempo. Ilyrana si sentiva sciogliere sempre di più. Eiliis continuava a pensarla sempre più come Rorix, su quanto fossero effettivamente vomitevoli i bipedi e che per quanto provasse a comprenderli, non ci riusciva.

A metà della cena, però, Alea vide il ragazzo alzare lo sguardo casualmente verso la scalinata e bloccarsi, la bocca a aperta a metà che lentamente si spalancò completamente facendo poi, inevitabilmente, cadere il boccone mezzo masticato. Piuttosto disgustoso, senz’altro. Siirist rimase in quel modo pietrificato per un minuto abbondante, gli occhi spalancati, la bocca anche di più, le mani sul tavolo che reggevano le posate. L’unica cosa mutabile fu l’espressione che, pian piano, diventava sempre più scioccata e nauseata. Allora la fanciulla smise di cercare di capire cosa avesse guardandolo e si girò, nello stesso momento in cui sentì una voce più che conosciuta pronunciare, nel suo tipico modo effeminato, le parole: “Alla prossima caro.”, contemporaneamente ad una carezza data dal Cavaliere al braccio di un altro uomo che si era già incamminato ma che si girò per sorridergli. Una volta uscito questo, Adeo si avvicinò sorridendo compiaciuto alla coppietta.

«Vedo che Fralvia è stata gentile come sempre, vi ha addirittura messo sulla casa vino!»

«Adeo... Che sorpresa...» disse sconcertata Ilyrana.

Siirist non si mosse. La ragazza poteva immaginare a che scena avesse assistito.

«Beh, è lecito anche per me divertirmi ogni tanto, non trovi?»

«Ma certo...»

Tutto d’un tratto Siirist parve ritornato alla vita; lasciò cadere le posate sul tavolo e spinse il piatto lontano da sé.

«Ok, basta, mi è passata la fame. Scusa cara, vado a vomitare. – si alzò. – Grazie.» disse rivolto ad Adeo.

Rorix si alzò e, scuotendo la testa, seguì il Cavaliere verso l’uscita della locanda. E così Alea rimase lì, imbambolata.

«Esagerato.» bofonchiò l’uomo mettendosi al posto del ragazzo e finendo il suo cibo.

 

‹Sai che hai un problema serio tu?›

‹No, non ricominciare.›

‹Insomma, l’omosessualità è presente in molte varianti anche in natura!›

‹Silenzio. Adesso non mi dirai che è presente anche tra i draghi!›

‹Certo che no. Siamo creature solitarie, ci riuniamo solo per accoppiarci e per quello è necessario essere maschio e femmina. Ma in molte specie animali che vivono in gruppi è un fatto comune. Dovresti smettere di essere così chiuso mentalmente. Ehi, aspetta, hai paragonato i draghi a degli animali qualsiasi?!›

‹Non sono chiuso mentalmente! Chiunque può fare quello che vuole! Ma la libertà di un individuo finisce quando va ad intaccare quella di un altro! E io mi sento disturbato nel vedere certe cose. Conosco Adeo da più di tre anni, ormai, so che... preferenze... ha. Non è un problema, basta che non abbia nulla a che fare con me!›

‹Ci ha provato con te?›

‹Sì!›

‹Intendo ora...›

‹... No...›

‹E allora che ti frega? Scusa, non è la stessa cosa che vedere due donne che si baciano?›

‹Beh, no...›

‹Questo perché sei uno schifoso porco pervertito. Bah, è fiato sprecato con te. Per fortuna che comunichiamo mentalmente e non sto davvero sprecando fiato, se no le nostre conversazioni non sarebbero nemmeno lunghe la metà! Tornatene da solo.› e prese il volo.

‹Adoro avere un drago fedele.

 

Quando Alea tornò in camera e provò ad avvicinarsi al letto di Siirist, questi la rifiutò, avendo ancora in mente Adeo e il suo “amico” e non era proprio in vena per certe cose. Rorix non mancò di evidenziare quanto fosse un idiota malato.

 

La mattina dopo Gilia si ricongiunse agli altri due a colazione, avendo passato la notte da Selena.

«Siirist, ripensavo alla tua missione...» cominciò

«Sì, anche io! Tre spettri, due elfi oscuri e due corridori infuocati erano già abbastanza pericolosi, ora che si sono aggiunti anche altri Scorpioni di rango elevato lo è anche di più! Perché devono proprio mandare te?!» si preoccupò Alea.

«Per quanto io abbia poca esperienza, sono comunque più forte della maggior parte dei Cavalieri di tutto l’Ordine, ormai. La mia forza cresce esponenzialmente, in pochi mesi i miei douriki fisici sono aumentati di 650 e ora sono a 43800, mentre quelli energetici 32700. Con la magia sono diventato piuttosto bravo, e non faccio proprio schifo come stregone. E non dimentichiamo che ho a disposizione dodici daedra da invocare.»

«Ma come hai detto tu, non hai esperienza!»

«Ma deve pur guadagnarla, non credi? Non preoccuparti, penserò io al tuo Siirist, non gli torceranno nemmeno un capello! Anche se ormai si potrebbe dire che sei più forte di me, quindi forse sarai tu a dover proteggere me! Ah, ho saputo che ieri hai visto Adeo...» e rise.

«Ren! Ti prego, non mi ci far ripensare...»

«Haha! Hai ragione, scusa. Tornando alla nostra missione, è alquanto interessante, non trovi? Non vedo l’ora di partire e combattere al tuo fianco, sarà interessante. Questa Setta dello Scorpione mi pare di aver capito che non sia proprio un’allegra comitiva di gente simpatica, sbaglio? Non sono stato informato dei dettagli, ma ho saputo che sei stato tu a scoprirne l’esistenza. Spero che mi potrai raccontare meglio.»

«Lo farò durante il viaggio.»

«Volevo anche dirti che mi sto impegnando sempre di più per convincere il mio capitano a farti entrare nella nostra divisione una volta che avrai completato l’addestramento.»

«Evviva...»

«E noi?» chiese Gilia.

«Purtroppo devo informarvi che non sarete più insieme. Di solito i compagni di addestramento entrano nella stessa brigata, ma il vostro è un caso piuttosto straordinario, visto che siete tre Cavalieri fortissimi e che diventerete anche più forti nel corso del tempo. C’è chi scommette che diventerete tutti e tre capitani prima di compiere mille anni.»

«Quindi ci divideranno per rendere le brigate più equilibrate. È anche logico.» concluse Alea.

«Tu, ad esempio, entrerai probabilmente nella decima, poiché è la divisione che più si specializza in incantesimi elementali d’acqua, vento e terra; il capitano, Tathaln, è famoso per il suo elemento “natura”, che combina acqua e terra, ed il vide, Tidus, è un altro ragazzo prodigio. È il Cavaliere più giovane ad essere mai diventato luogotenente, ed i suoi incantesimi di ghiaccio sono formidabili. Ha brevettato il “ghiaccio misto”, che crea un tipo di ghiaccio molto particolare, poiché generato sia con il vento che con l’acqua. È molto più giovane di me, eppure mi batterebbe facilmente. Ed è un umano, nemmeno ho la scusa di dire che è un elfo! Hahaha! Inoltre nella decima compagnia ci sono pochi guaritori, quindi tu faresti proprio al caso loro. Noi per fortuna, o sfortuna, dipende dai punti di vista, abbiamo Adeo, quindi non è un nostro problema, e con lui molti altri esperti di magia organica. Gilia, so che ti vogliono nell’ottava.»

«È un peccato che non saremo più insieme.» disse Siirist.

«Potrete sempre vedervi, ma certamente non lavorerete insieme. Ma ora non voglio tediarvi oltre, senza contare che ho i miei doveri da ufficiale da sbrigare, e quella cagna in calore di Adeo è svignato via un’altra volta, mi toccherà andare a ripescarlo! Vi saluto! E noi due ci vediamo il primo gennaio.»

 

Il mattino del 31 dicembre, i tre ragazzi uscirono di buon’ora dalla loro stanza e corsero verso l’armeria, incontrando per strada anche Otius e Viola, questa che salutò Siirist facendo gli occhi dolci.

‹Qualcuno qui ha fatto colpo.› commentò Rorix.

‹Ora te ne accorgi? Qualcun’altra lo ha capito da un po’, ormai.›

Alea, infatti, aveva stretto il braccio del suo amato, fissando con aria da omicida l’altra ragazza. Ella si spaventò ed entrò in fretta nell’armeria.

«Brava, sparisci. Oca.»

«Alea!» si meravigliò Siirist.

Gilia rise di gusto. Il ragazzo rosso li fissò tutti e tre male per poi seguire l’amica.

«Quello lì vuole finire arrosto.»

«Con questo tempo gli fai solo un favore, sarebbe meglio congelarlo. Ma non la Polvere di diamanti, piuttosto l’incantesimo di Althidon... come si chiamava...?» disse Gilia.

«Fiamme della penitenza. E chi se lo scorda. Ma tanto arriverà il giorno che gliela farò pagare.» rispose lugubre il biondo.

«Certamente. Lo stesso giorno che sconfiggerai anche Evendil.» disse la voce del Maestro.

I tre ragazzi si voltarono di scatto, vedendolo accompagnato da un dunmer che non conoscevano.

«Questo è Daratrine, il Maestro degli altri due Cavalieri in addestramento.»

Siirist, Alea e Gilia contemporaneamente lo salutarono formalmente, ed egli rispose adeguatamente.

«Siamo venuti a vedere le vostre spade. Immagino che i miei allievi siano già dentro a prenderle.»

«Sì, Maestro Daratrine.» rispose Ilyrana.

«Molto bene. Ah, eccoli che arrivano. Se volete scusarmi, li raggiungerei.»

Il dunmer andò dai due Cavalieri in addestramento ed insieme si diressero ad allenarsi.

«Che state aspettando voi tre? Andate a prendere le vostre!»

I tre ragazzi fecero come detto ed entrarono nell’armeria, trovandola, come sempre, piena di armi di vario genere. E a parlare con uno dei fabbri vi era anche Eimir.

«Buongiorno, ragazzi! Ho bisogno di alcune armi nuove. Voi siete qui per le vostre spade, invece, ho poco fa visto gli allievi di Daratrine. Ricordo ancora quando anche io presi la mia prima spada.»

«Perché la vostra attuale è stata forgiata da Bhyrindaar, giusto?» disse Gilia.

«Precisamente. È stato molto triste quando ho cambiato spada, la mia precedente era quasi diventata parte di me. Ma Bhyrindaar è un grande fabbro ed ha la capacità di mantenere l’anima di un’arma, perciò è come se utilizzassi sempre la stessa.»

«L’anima?» Siirist non capiva.

«Lo capirete da soli, un giorno. Ora andate a prendere le vostre spade, vi stanno aspettando. Amatele e rispettatele, perché vi serviranno bene per i prossimi secoli.»

I ragazzi salutarono l’Anziano e si diressero verso uno degli armaioli che aveva già pronte le tre armi. La prima era ad una mano e mezza ed aveva l’elsa completamente bianca, un onice nero come pomolo, l’impugnatura rivestita di seta nera, la semplice guardia a croce con i bracci rivolti verso il basso. Il fodero era d’acciaio rivestito di pelle nera, con alcune decorazioni d’argento. Il fabbro la porse a Gilia ed egli la sguainò, scoprendo una luccicante lama nera con una scritta bianca nella parte forte, proprio sotto la coccia, recitante “Enedome ithil”, “Luna di mezzanotte”. Il moro la osservò attentamente, vedendo le varie iscrizioni su tutta la lama, quasi invisibili perché incise appena. Soddisfatto, prese in mano il fodero e la ripose. Toccò poi ad Alea, a cui venne data una spada ad una mano ad un filo, leggermente ricurva, della forma tradizionale elfica, come quella che aveva sempre usato, con l’elsa verde smeraldo ed il fodero uguale, un diamante come pomolo, la guardia quasi inesistente e l’impugnatura rivestita di seta bianca. La sguainò rivelando la lama d’argento magicamente reso bianco, piena di incantamenti incisi e la scritta verde sotto l’elsa che riportava “Raama tel’ arvandorea”, “Ala dei cieli”. Ma la fanciulla aveva anche richiesto che le venisse forgiata un’armatura leggera e l’armaiolo gliela diede. Si trattava di una tuta di pelle di drago verde con placche bianche di Cristallo a proteggere gambe e braccia, con l’allacciatura sul petto. La corazza era a parte e si indossava facendola passare da sopra la testa e poi stringendola sulla vita. L’elmo, privo di visiera, era bianco con decorazioni verdi. La caratteristica più importante riguardava le protezioni alle mani, poiché le placche di Cristallo coprivano la mano destra solo fino al dorso, così da permetterle di muovere agilmente le dita. La sinistra invece aveva placche separate per ogni falange, mentre il palmo era protetto solo dalla pelle di drago. La fanciulla la osservò e sorrise soddisfatta.

Il prossimo fu Siirist e, eccitato, si avvicinò al bancone quando il fabbro porse a lui la sua spada, dal fodero rosso con decorazioni d’argento, e dall’elsa d’argento, con seta rossa a rivestire l’impugnatura, una guardia a croce ed una che proteggeva anche la mano, un rubino come pomolo, Siirist la sguainò, rivelando una lama rossa, il nome sotto la coccia che diceva “Beleg runia”, “Fiamma potente” scritto in caratteri argentati. Gilia e Alea lo guardarono a bocca aperta.

«Che c’è?»

«“Fiamma potente”? È ridicolo!»

«Un nome più originale no?»

«Ma che volete? Si addice perfettamente a me! Allora Evendil, scusate? “Forza del vento”?!»

«Se solo conoscessi le vere capacità della mia spada, capiresti che il nome è più che adatto.»

«Come è possibile che sia tu che Althidon spuntiate fuori ogni volta che parlo male di voi?!»

«Questa è una bella domanda. Forse perché ci piace trovare ogni scusa per punirti, chi lo sa?»

«Bastardo.»

Ritornati fuori, i ragazzi trovarono che era cominciato a nevicare e Althidon aveva aspettato sotto al porticato. Questi chiese ai ragazzi di spiegargli le capacità delle armi e cominciò Gilia, dicendo che gli amplificatori erano in grado di potenziare la velocità dei suoi incantesimi di terra nel processo della modifica delle caratteristiche chimiche, incrementavano la potenza distruttiva dei suoi fulmini, come anche la loro forma solida, la forma solida dell’oscurità veniva ulteriormente indurita, così come quella dell’acqua e del ghiaccio, inoltre l’acqua aumentava di sette volte la sua capacità di conduttore elettrico. Per finire legavano automaticamente gli spiriti che egli evocava agli incantesimi adatti, così da renderli anche più potenti ed aveva alcuni incantesimi predefiniti di luce, dall’effetto accecante, fuoco e vento, dall’effetto tagliente. Alea spiegò che Raama tel’ arvandorea era in grado di potenziare gli incantesimi di luce, acqua, vento e organici di tutti i tipi, e che i suoi incantesimi predefiniti erano di vento, fuoco, fulmine e oscurità. Per finire toccò a Siirist, preso in giro anche dal Maestro per il nome poco originale che aveva dato alla sua arma.

«Molto bene. Per oggi siete liberi, fate ciò che volete, ma Siirist, vai a letto presto senza stancarti troppo. Non direi di saltare interamente la festa di questa sera, ma bevi poco e vai a letto, se proprio vuoi attendere il nuovo anno, subito dopo la mezzanotte. Partirai domani mattina alle quattro, quindi capisci da solo che faresti bene a dormire questa notte, ma fai come meglio credi. A proposito, Alea, grazie per avermici fatto pensare Ma Siirist, Gilia, non avete alcuna armatura? Alea se ne è intelligentemente fatta forgiare una, voi?»

«Io ho un’ottima armatura di mithril a casa e ho già scritto dicendo di farmela consegnare al più presto.» rispose Gilia.

«Io ho solo i guanti che ho indossato per andare in Oblivion e il mio scudo di Vetro.» abbassò il capo l’altro.

«È quello che temevo. La tua stupidità mi sorprende sempre di più. Come puoi pensare di partecipare ad una missione così pericolosa senza alcuna armatura?»

«Non l’ho mai indossata! Non ci sono abituato, mi impiccerebbe i movimenti!»

«La mia è fatta apposta per non farlo. Come vedi la corazza non ha spalline e questo lascia le mie braccia perfettamente mobili. E poi tanto sotto c’è la pelle di drago, che di per sé è già un’armatura.»

«Appunto. Perché non ti sei fatto forgiare nulla? Cretino, vieni dentro con me.»

 

Siirist ritornò in camera mezz’ora più tardi.

«Che armatura ti daranno?» chiese curiosa Alea.

«Niente di troppo elaborato come la tua. Mi hanno maledetto in dieci lingue diverse, credo, il che è strano, visto che a Tamriel ce ne sono solo cinque, perché dovranno lavorare sodo per farmi avere le mie protezioni entro domani alle quattro di mattina. Mi daranno dei guanti che mi copriranno fino al gomito, dei gambali che proteggeranno la gamba dal ginocchio fino alla punta del piede, una sorta di gonnellino ridicolo per proteggere i gioielli, una corazza senza spalline e un elmo che lascerà scoperti gli occhi. E uno scudo nuovo, rotondo di un metro di diametro. Povero Hans, le sue armi sono risultate essere inutili.»

«Niente pelle di drago, quindi. Peccato, è ottima.»

«Lo so, l’ho indossata per il mio esame per la Gilda dei Ladri, ricordi?»

«Oh, è vero.»

«Cosa facciamo adesso? Mi sembra assurdo che dobbiamo andare a letto presto a capodanno. Ma Siirist deve svegliarsi alle tre e mezzo.»

«Non importa, posso sempre dormire durante il viaggio.»

«E a Vulcano andrebbe bene? Conoscendolo, cercherebbe di disarcionarti per ripicca!» esclamò Corvinus.

«Credeteci o no, l’ha proposto lui.»

«No, non ci credo.»

«Anche se lo facessi, il freddo non ti farebbe dormire bene. E a quell’ora di mattina è particolarmente freddo.» puntualizzò Alea.

E non aveva tutti i torti.

«Quindi stasera alle sette andiamo a cena da Fralvia, per poi andare subito a letto. Perché domani mattina ci sveglieremo presto anche noi, vero, Gilia?»

«Logico! Domani il mio fratellino acquisito parte per la sua prima missione!»

«Ehi, “fratellone”, usa poco quell’aria da superiore, sono più forte di te!»

«Come hai detto?!»

E i due si scontrarono, scintille nate dal cozzare di fuoco e fulmine.

«Fortuna che saremmo dovuti rimanere calmi oggi...» si disperò Ilyrana.

 

La sera, come proposto da Alea, andarono tutti e tre al villaggio e furono accolti dalle ex amanti di Siirist e attuali compagne di avventura di Gilia. Alcune fissarono Alea con odio, ma fuggirono via terrorizzate quando ella lanciò loro contro dei dardi di ghiaccio. Nessuno dei tre era vestito in maniera particolare come i due anni precedenti, e ne erano sinceramente un po’ tristi. Il capodanno, da quando erano a Vroengard, aveva sempre assunto un significato particolare, soprattutto nella situazione tra Siirist e Alea, e quell’anno importante, che segnava la fine della prima parte di addestramento, non avevano modo di festeggiare propriamente. Finita la svelta ma comunque ottima cena, offerta da Fralvia come augurio ai ragazzi per la buona riuscita delle loro missioni, i tre amici ritornarono alla Rocca e andarono a letto nel giro di dieci minuti.

Erano quasi le otto e mezzo e Siirist non riusciva a prendere sonno. Dopo innumerevoli giri si era fermato sdraiato sulla schiena, a fissare il baldacchino sopra di sé.

Cos’hai, tesoro?

Eh?! Ah, Alea. Scusa, non sono abituato a sentire la tua voce nella mia testa. Ma devo dire che è più piacevole di quella ruggente di Vulcano.

Ehi!› ringhiò l’interessato.

Ancora non hai imparato a chiudere bene la mente. Dovresti dedicartici di più. Ma tralasciando questo, ti sto parlando così perché non voglio rischiare di svegliare Gilia.

Già, lui già dorme. È incredibile, pare che non ci sia nulla in grado di disturbare il suo sonno.

Sei preoccupato per la missione?

Certo, è molto rischiosa.

Non eri così un tempo.

Che vuoi dire?

Ricordi quando ti accompagnai al villaggio e mi mostrasti per la prima volta le cicatrici che ti lasciò il grem? Mi dicesti che in quel momento ti stavi divertendo e che l’unico motivo per cui non volevi morire era perché sarebbe stata una morte ridicola e che ambivi a più.

A cosa vuoi arrivare?

Che dovresti essere più come allora. Sei forte, non preoccuparti per niente, sarai accompagnato da altri Cavalieri forti. Una volta non avevi paura di morire. Non è così che sei riuscito a sopravvivere contro il grem?

Ma ora è diverso. Ora ho paura di morire.

Cos’è cambiato? Sei più forte, è diventato molto più difficile per te venire ucciso!

Ora ci sei tu. Se morissi ti perderei e non voglio che succeda. Ho paura di morire perché ora ho una ragione per vivere.

Alea rimase in silenzio per un po’, senza fiato, la bocca aperta e gli occhi lucidi.

Vuoi che ti tenga compagnia questa notte?

Sì, per favore.› la voce di Siirist era carica del bisogno per la fanciulla.

Ella si alzò dal proprio letto ed entrò in quello del ragazzo. Si abbracciarono e si diedero un lungo e tenero bacio. Niente lingua, solo dolci carezze con le labbra.

«Ti amo.» sussurrò lievemente lei nell’orecchio dell’altro, per poi rimettersi giù.

Siirist deglutì, fissando attentamente la sagoma della fanciulla che aveva di fronte a sé. Sorrise e la strinse più forte a sé, avvicinando la bocca all’orecchio.

«Anche io.»

 

 

 

~

 

 

 

Chiedo scusa per questa pausa, ma con la sparizione di Banko/Zack, non avevo più chi mi convertisse i capitoli in html. Per fortuna mi ha ricontattato qualche giorno fa e ho pensato bene di rimediare subito a questa pausa, anche perché mi dispiaceva lasciare la storia in sospeso, soprattutto ora che inizia a comparire la vera trama!

Questo a parte, ho commesso un errore madornale: ho scritto che l’anello di Althidon ha la capacità di amplificare sei dei suoi incantesimi. Gli incantamenti su armi e oggetti sarebbero scritte in elfico che recitano l’effetto dato dagli incantesimi e solitamente sono piuttosto lunghe. Sei scritte del genere su un anello è assurdo, e ci ho pensato dopo. Ho quindi modificato la parte in cui lo dice, mettendo che l’anello potenzia solo il fuoco freddo.

 

Dunque, Banko/Zack, che dire... Intanto dico che mi hai fatto preoccupare! E, a quanto pare, non avevo tutti i torti. Spero comunque che ora sia tutto a posto. Tutte queste improvvise dimostrazioni di poteri servono a dare un’idea delle abilità dei vari personaggi (ad esempio Althidon ha una tecnica di magia organica con cui ingrandisce le parti del corpo, come si è visto qualche capitolo addietro che la fa diventare la mano gigantesca, e tutto il resto), e perché sì, ormai ha perso la pazienza. Io penso che uno come Siirist lo avrei già ucciso al suo posto! Fortuna che è un elfo e che quindi è paziente! Più o meno. In questo capitolo Siirist dice di avere quindici daedra, quindi è sottinteso che sia ritornato in Oblivion, ma chiaramente non lo descriverò se non un’ultima lunga volta fra parecchi capitoli, ma proprio tanti! Vedrai che anche in futuro tutti gli incantesimi di Siirist nasceranno dall’aiuto di altre persone, l’unico incantesimo veramente suo, nato interamente dal suo studio della magia è il fuoco di drago e successive modifiche. E per quanto riguarda gli alleati di Siirist... Ora, non so esattamente di cosa tu stia parlando. La parola che hai usato è la più adeguata, ma non sei mai arrivato a quel punto, quindi non puoi sapere quella cosa (sono stato abbastanza vago?), ma pensando a dove ho interrotto la narrazione la prima volta... beh, sì, potremmo anche chiamarli “alleati”, se vogliamo. Ah, una cosa importante: ho mai detto come possono i daedra liberarsi dal sigillo? È una cosa fondamentale per far capire al nostro biondino una certa cosa. Ma tanto è fra davvero molto tempo, quindi se non l’ho detto, ho parecchi capitoli per rimediare. Come sempre, ti ringrazio per i complimenti. Alla prossima!

 

Il prossimo capitolo si intitola ZANARKAND e sarà pubblicato giovedì 2.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** ZANARKAND ***


ZANARKAND

 

Siirist aprì gli occhi di scatto. La stanza era flebilmente illuminata dalla luce dei lampioni che filtrava dalle finestre. Se non per quello, tutto era completamente buio. Si mosse leggermente e sentì un mugolio accanto a sé, Alea che si lamentava, e la guardò. La poca luce che c’era era sufficiente per farla risplendere come la stella che era. Anzi no, appunto perché era una stella, brillava di luce propria. Era lui che brillava di luce riflessa, era lui che negli ultimi tempi era stato sempre più solare, più felice e tranquillo grazie alla vicinanza di lei.

La fanciulla aprì lentamente gli occhi, sbadigliando, per poi fissarsi nello sguardo del ragazzo.

Che ore sono?

Egli guardò la sveglia e vide che era in netto anticipo per svegliarsi: solo le 03:04.

Allora un po’ di coccole si possono fare.› disse dolce e felice lei.

Siirist si girò verso di lei e la abbracciò, ricambiato, si accarezzarono a vicenda e si diedero qualche bacio. Ma per lo più stettero stretti l’uno all’altra. Quello era un momento di vera felicità. Siirist sarebbe voluto stare per sempre in quel modo.

E quindi ieri sera... L’ho sognato o l’hai detto davvero?

Pensavo che gli elfi non sognassero.

Era per dire.

L’ho detto davvero. Io...

No, zitto! Non osare continuare la frase!

Perché?

Perché ieri sera non l’hai propriamente detto, e mi va più che bene così. Non voglio ricordare il giorno in cui mi dici quelle parole come quello in cui sono stata in pensiero per chi sa quanto tempo, aspettando che ritornassi dopo la missione. Me lo dirai al tuo ritorno, d’accordo?

Come vuoi. A me basta solo starti accanto e baciarti.

Venti minuti dopo, i due si alzarono e Siirist andò in bagno a lavarsi, per poi accendere la luce e iniziare a preparare il suo bagaglio. Gilia, con uno sbadiglio che poteva essere benissimo scambiato con quello di un orso, si svegliò.

«È ancora buio...»

«Hai così tanto sonno da non poter parlare elfico?» si stupì Alea.

«Ho dei problemi di memoria al momento. È già tanto che mi ricordi la lingua umana e che non stia a biascicare in maniera incomprensibile. Mi è capitato più volte in passato. Siirist, non ti offendi se, dopo che sei partito, mi rimetto a letto, vero?»

«No, tranquillo. Anzi, lo davo per scontato!»

«Bene.»

«Qualche idea su quando tornerai?» chiese all’amico.

«Purtroppo no. L’ultima volta che è stato riportato l’avvistamento degli Scorpioni, si stavano dirigendo ancora verso nord, oltre Anvil.»

«Via terra?»

«Proprio così.»

«Ma oltre Anvil, tra la costa e la base del Gagazet, c’è solamente una striscia di terra che porta verso Zanarkand! Stanno andando a Zanarkand?!»

«Parrebbe di sì.»

«E di quanto tempo è la notizia dell’avvistamento?»

«Tre giorni.»

«Allora buona fortuna! Oramai saranno belli che arrivati a Zanarkand e allora trovarli sarebbe impossibile! Ci sono oltre venti milioni di abitanti lì e la città è così grande che potrebbe ospitarne tranquillamente altri dieci! O avete un’idea chiara di dove cercarli, o sarà veramente impossibile scovarli.»

«Lo so. Però sono eccitato, in un certo senso. Sebbene non sia una gita di piacere, finalmente potrò vedere la grande Zanarkand con i miei occhi!»

«Io ci sono stato due volte. È indescrivibile. Davvero, devi vederla, qualunque parola non renderebbe.»

«Come se cercassi di descrivere la bellezza di Alea?»

«Esattamente, sì.»

L’interessata sorrise, lanciando poi un cuscino a Siirist e levitandolo in faccia a Gilia.

«Stupidi.» ridacchiò.

«Ma è vero! Sei la donna più bella che si sia mai vista!» e Siirist le si lanciò sopra.

Quando ci rivediamo ti dico sì quella cosa. Ma subito dopo voglio anche metterla in atto.

Siirist Ryfon: l’uomo che riesce a trasformare qualunque azione romantica in sesso.

È nella mia natura.› ridacchiò.

«Almeno chiudete le tende.» si indignò Gilia.

Si sentì bussare alla porta ed il moro andò ad aprire, trovandosi davanti uno dei fabbri.

«La prossima volta, Cavaliere d’Inferno, diteci per tempo che avete bisogno di un’armatura.» e lasciò a terra la sacca che portava in mano.

Corvinus la prese e la lanciò all’amico, che la afferrò al volo. La aprì e dentro trovò i suoi pezzi di armatura. Siirist li prese e notò che i guanti erano neri con placche di Cristallo rosso, di pelle di drago.

«Che fortuna! Allora un po’ gliene era rimasta!»

«Dovresti indossare tutto ora, perché non sai se verrete attaccati anche durante il volo. Poi tanto è Cristallo, è così leggero che nemmeno si sente.» suggerì Alea.

Siirist fece come detto e assicurò i gambali agli stivali, notando che erano predisposti ad essere ristretti o allargati e che erano perfettamente adattabili ai suoi stivali , infilò la corazza e i guanti. Alla vita mise, con non poco imbarazzo, il ridicolo gonnellino di maglie di Cristallo che lo copriva fino a poco sopra le ginocchia, coprendo così quasi completamente le gambe. Prese una lunga veste di lana blu scuro e la indossò sopra alla corazza, ed essa gli arrivava a metà delle cosce e degli avambracci, sopra alla quale legò anche la cintura con Beleg runia e vi ci attaccò anche il pugnale di Vetro. Legò la spada del bottino alla sella di Rorix e fece lo stesso con lo scudo. Per finire prese il suo cappotto blu e l’elmo, indossando il primo e portando il secondo sotto braccio, e si diresse verso l’uscita, accompagnato dagli altri due. Ma come fu aperta la porta, Gilia si immobilizzò per il freddo che entrò.

«Non ti dispiace se ti saluto qui... vero? E buona fortuna con il... volo.» tremava e batteva i denti.

«Non preoccuparti. Ci rivediamo presto.»

Si diedero il cinque e il moro si fiondò nuovamente a letto.

«E chiudete quella porta, entra troppo freddo!»

«Aspetta che mi metto il mio cappotto e vengo a salutarti. Tu intanto vai a trovare gli altri.» disse Alea.

«Ma no, dai, è veramente troppo freddo. Resta pure qui.»

«No, insisto.»

«D’accordo, come vuoi.» le diede un bacio.

Siirist uscì, investito da una raffica di gelo come mai l’aveva sentito prima.

‹Mi dispiace per te. Io per fortuna sto bene, se no ti potevi scordare di andare a Zanarkand con me!›

‹Sei sempre troppo gentile, Rorix.›

Il drago assunse la dimensione di un cavallo e Siirist lo sellò, dopodichè diventò ancora più grande e il Cavaliere legò la borsa sul retro della sella. In quel momento uscì Alea che lo prese a braccetto e tutti e tre si diressero verso il punto di raccolta, Rorix che proteggeva come poteva dal freddo i due bipedi con la sua ala.

«Ah, bene arrivato!» esclamò felicemente Ren.

Oltre a lui vi erano Althidon Evendil e Bial. Il bagliore, seppure fioco, dei lampioni fu sufficiente perché Siirist potesse le iridi marrone scuro dei suoi occhi seri, impassibili, gelidi. Fissò il biondo e Alea, per poi andarsene senza dire una parola, il passo dignitoso come tutto il resto.

«Sempre simpatico...» commentò.

«Con questo freddo, però, è giustificato. Non vi invidio.» disse il mezzo dunmer.

«Peccato sia sempre così, però.» aggiunse Althidon.

«È solo il suo modo di fare. In realtà il capitano è un bonaccione!» disse Ren.

«Sarà...»

«Mancano ancora due. Non appena arrivano, partiamo. E Siirist, so che non ci sarebbe bisogno di ribadirlo, ma sono io il comandante di questa spedizione, dovrai obbedire ad ogni mio comando.» puntualizzò il luogotenente, il tono serio.

«Certo.»

«Povera Alea, in questo freddo pur di stare con lui fino all’ultimo. È bello che tu abbia trovato delle persone che ti siano sinceramente vicine come lei o Gilia, anche se immagino che lui sentisse troppo freddo per uscire! La tua vita è notevolmente cambiata rispetto a quando eri a Skingrad, vero? Lì la tua unica amica era Keira. A proposito, come sta? L’hai più sentita?»

«Certo! Ci scriviamo una volta al mese! Si è trasferita. Ha completato i suoi studi di medicina ed ora segue un apprendistato a Zanarkand, sarebbe divertente se ci incontrassimo. Ha scoperto di avere il Flusso vitale di 51, per cui ha iniziato anche a studiare la magia.»

«Le interessa essere una guaritrice?»

«Sì, ma non una maga. Studia quello che serve per poter creare le Materia, così da non dover pagare l’Università Arcana per farlo.»

«E al contempo può rivenderle lei stessa e farci dei soldi. Ottimo, brava ragazza.»

«Mi ha fatto ridere perché quando le dissi che ho un Flusso di 100000 non capì, mentre dopo che ebbe iniziato i suoi studi della magia mi scrisse tutta impressionata. Avrei proprio voglia di rivederla e di presentarle Alea.»

«Ah sì?» chiese l’interessata.

«E cosa pensa di lei?»

«Che deve essere pazza per essersi innamorata di me e che deve essere un angelo per avermi portato ad instaurarci una storia fissa. E ti vuole conoscere al più presto.» ridacchiò, girandosi poi verso la fanciulla.

«Non ha tutti i torti...» scherzò lei.

«Ehi!»

«Eccoli, e sono già in groppa ai draghi. Avanti, Siirist, monta su Vulcano. Althidon, Evendil, ci si vede non appena avremo eliminato il bersaglio. In caso di problemi... vi avviseremo al solito modo.»

Il Maestro annuì, per poi dare la sua benedizione all’allievo. Evendil gli diede una pacca sulla spalla, per poi dargli una pezzo di carta arrotolato.

«La pergamena che mi hai chiesto.» disse per poi avviarsi.

«Grazie.» e il ragazzo la mise al sicuro sotto la corazza.

L’aria gelida che gli penetrò sotto la veste lo fece rabbrividire. Si voltò verso Alea ed i due si fissarono per pochi secondi negli occhi, ma quegli istanti parevano millenni. Si diedero un lungo e sentito bacio, dopodichè il Cavaliere d’Inferno montò sul suo drago e tutti e quattro decollarono, Siirist che ancora guardava giù e vide il Maestro avvicinarsi ad Alea, rassicurarla con una carezza sulla spalla e poi riaccompagnarla verso gli alloggi degli allievi.

 

‹-22 gradi... No, è ridicolo...›

Siirist era così stanco che avrebbe voluto felicemente dormire, ma come aveva temuto, il freddo intenso non glielo permetteva, nonostante stesse indossando una tunica di lana e il suo cappotto e si fosse avvolto in una coperta.

‹Dovresti imparare a riscaldarti interiormente.›

‹Magia organica, maledetta. Sarà anche bravo con quella elementale, ma l’organica è sempre una gran bastarda. Non voglio nemmeno pensare alla magia spazio-temporale!›

‹Non fai che ripeterlo. Ma se davvero vuoi diventare un mago completo, prima o poi dovrai studiarla.›

‹Il problema è la corazza. Se messa sopra al maglione è troppo stretta, per cui ho dovuto indossare una semplice maglietta. Almeno le gambe, bene o male, stanno bene.›

‹Ringrazia che non mi devi guidare, così che puoi startene steso e completamente avvolto in quella coperta. Pensa se dovessi tenere gli occhi aperti in questo vento.›

‹No, se ci penso sento anche più freddo!›

‹Ho un’idea: visto che hai creato una sorta di ambiente a parte sotto alla coperta, potresti provare a riscaldare l’aria lì dentro.›

‹È già abbastanza impegnativo mantenere il ricambio di ossigeno sempre attivo. Se dovessi aggiungere un altro incantesimo sarebbe anche più complicato.›

‹Si tratta pur sempre di un allenamento mentale. Fallo.›

‹Hai ragione.›

Siirist allora si concentrò e pian piano riscaldò l’aria sotto la coperta, facendola diventare di venti gradi dopo un quarto d’ora.

‹Beh, già meglio. Ora devo pensare a mantenere sempre questa concentrazione.›

Erano le sei e mezzo quando i draghi si trovavano a sorvolare la Via Mihem. Il sole era sul punto di sorgere e Siirist continuava a tenere attivo il suo incantesimo. Era fortunato rispetto agli altri tre Cavalieri perché quelli non si sarebbero potuti permettere di consumare tutta quella energia, mentre a lui bastava 1 douriki per richiamare il Flusso vitale. Era bello avere un legame potente.

‹Dovremmo essere a metà strada.› suppose il ragazzo.

‹Presumo di sì. Chiedi a Ren.›

‹No, cercare la sua frequenza mentale sarebbe troppo complicato mentre mantengo attivi i miei due incantesimi.›

‹Adeo lo saprebbe fare.›

‹Non paragonarmi a lui.›

‹In questo caso dovresti assomigliargli di più.›

‹Imparerò.›

‹Capacità mentali, magia spazio-temporale... Posponi un po’ troppe cose, non trovi? Di questo passo non ti basteranno duemila anni per imparare!›

‹Zitto, tu.›

Alle otto Rorix cominciò a scendere di quota e alla domanda di Siirist di perché lo facesse, aveva risposto che era stata un’indicazione di Zabi. Scesi dai draghi, i Cavalieri si ritrovarono nei boschi di Cyrodiil nei pressi di Skingrad.

‹Conosco questo posto.›

«Bene arrivati.» disse una voce.

Siirist si voltò di scatto, la mano sulla spada. Vide avvicinarsi sei uomini, tutti vestiti di nero. Essi mostrarono un anello, lo stesso che portava anche il ragazzo.

«Siirist, avvicinati a loro e metti a contatto il tuo anello, dobbiamo verificare che siano davvero della Gilda dei Ladri.»

Il giovane fece come detto e sfilò il guanto destro, accostando poi le due gemme azzurre, le quali incominciarono a brillare.

«Perfetto. Cosa mi dite degli Scorpioni? Sono a Zanarkand?»

«Sì, e si sono incontrati con un altro gruppo, ora sono in tutto trenta. Tre spettri, tre elfi oscuri, due corridori di fuoco, due berserker nani e venti umani mistici molto abili che indossano molti amuleti. Sono dieci maghi elementali, otto maghi organici, uno dei quali conosce un po’ di magia temporale e due  invocatori dotati anche di Materia. E siamo riusciti a scoprire il loro obiettivo.»

Tutti i Cavalieri sgranarono gli occhi. Ren si avvicinò al ladro che aveva parlato, evidentemente il capo della squadra di ricognizione.

«Attaccheranno il palazzo del granduca; vogliono la Lama.»

Ren si irrigidì. Siirist lo guardò curioso, per poi volgere lo sguardo verso gli altri due Cavalieri, notando che anche loro non avevano capito di cosa si stesse parlando. Di che lama parlava il ladro?

«D’accordo, andremo subito. Avete fatto un ottimo lavoro.»

«Un’altra cosa: sappiamo che hanno già i Gambali, ma per ora si stanno concentrando solo sulle parti della Spada.»

«È peggio di quanto avessimo mai potuto immaginare. Fate subito rapporto a Vroengard, il Consiglio deve essere avvisato. Voi tre, rimontate, partiamo subito per il palazzo di Zanarkand.»

I ladri annuirono e si dileguarono in un momento, diretti verso Anvil.

Ren, di cosa stavate parlando? Lama, gambali, spada? Cosa sono?› chiese incuriosito Siirist.

Ha ragione lui, è giusto che sappiamo anche noi di cosa si tratti.› annuì un altro.

Questo non è il momento per discuterne. Ora andiamo a Zanarkand, lì vi spiegherò tutto.

Ryfon si avvolse nuovamente nella coperta e si distese in avanti con il busto, ben saldo sulle maniglie, con Rorix che volava al doppio della velocità di prima.

‹Se fossimo da soli potrei andare anche più veloce.›

‹Sei già diventato più veloce di Zabi?›

‹No, non ancora. Ma quel drago arancione, è lui che è veramente lento. La dragonessa verde, invece, è al mio stesso livello.›

‹Considerando che tu hai tre anni e mezzo e lei ne ha oltre ottocento, direi che sei messo meglio tu.›

‹Decisamente. Zabi è più giovane, ne ha 690, eppure è molto più veloce. Ma dammi solo altri cinquant’anni e nessun drago dell’Ordine potrà competere con me.›

‹Stesso vale per me. Ma dal punto di vista della magia, abbiamo ancora troppa strada da percorrere. Non per niente Althidon, Aulauthar, Syrius, Adamar, Eimir, Bial, chiunque di questi potrebbe massacrarmi facilmente nel giro di pochi secondi. E i loro draghi farebbero lo stesso a te.›

‹Già, la forza bruta conta quasi niente quando si sanno usare le arti mistiche. Ah, e hai dimenticato Evendil nel tuo piccolo elenco.›

‹Perché menzionavo solo Cavalieri, per fare il confronto anche con te e i draghi. So che Evendil mi straccia, grazie, non c’è bisogno di ripeterlo. Però abbiamo visto che insieme siamo una bella coppia. Se finiamo con il combattere, vediamo di stare insieme ed usare combinazioni.›

‹Concordo.›

 

Erano le otto e quaranta quando Rorix disse a Siirist di uscire dalla coperta e guardare bene ciò che avevano davanti.

‹Non voglio, fa freddo!›

‹Ti conviene. Gilia non esagerava.›

Allora la testa del ragazzo capitolò fuori e rimase a bocca aperta davanti al panorama che gli si parò davanti. Sotto di loro vi era la striscia di terra che si affacciava sul mare e che girava attorno alla base del Gagazet e davanti la più grande meraviglia che Siirist avesse mai visto. Dopo Alea, si intende. Dal monte scendeva un sentiero tortuoso che si collegava con la striscia di terra sotto di loro e da essa partiva un lungo ponte che arrivava fino alla metropoli sull’acqua. La magia utilizzata per reggere la città era impressionante, poiché il mare stesso era sollevato e formava vari livelli. Gli edifici di pietra e metallo poggiavano direttamente sulla superficie dell’acqua. Essi erano per lo più tondeggianti, alti, e cascate d’acqua scendevano dalle cupole di molti di essi. Il cielo era attraversato da grandi arcate d’acqua, ferme immobili, e vi erano edifici anche sotto alla superficie marina. Il sole, appena sorto, illuminava le costruzioni, facendole risplendere e la sua luce si mischiava con quelle artificiali, dai colori più svariati, che ancora non erano state spente. Più Siirist si sforzava di vedere la fine della città, più essa gli pareva illimitata, sia verso nord che verso est. Zanarkand, l’ultima costruita delle Città delle Macchine in tutto l’Impero, era veramente il simbolo per eccellenza della magnificenza delle Materia. Più il ragazzo cercava di trovare parole per descrivere quello che vedeva, più gli sfuggivano. Semplicemente non ce ne erano, essa uno spettacolo da ammirare e basta, non da raccontare. Allora il ragazzo pensò a quanto fosse pericoloso vivere in quel luogo, perché se le Materia si fossero dovute esaurire, tutta la metropoli sarebbe sprofondata.

‹Non preoccuparti, ricorda che qui si trova la più grande sede dell’Università Arcana. Sono sicuro che monitorizzino costantemente le Materia.›

Ma la spiegazione di Rorix non gli pareva sufficiente.

Ren, credo potrebbe esserci un problema grave.

Dimmi.

La struttura di Zanarkand è supportata da grandi piloni alimentati da Materia che permettono di tenere il mare sollevato su diversi piani e lo rende denso e lo fa assomigliare ad una gelatina indurita, così da poterci costruire direttamente sopra, giusto?

Esatto.

Quindi basterebbe danneggiare i piloni e tutta la città crollerebbe.

Tremo solo all’idea.

E se gli Scorpioni progettassero di farlo? Intendo dopo che hanno preso quella lama di cui parlavi prima. Il caos creato dal crollo della città sarebbe perfetto per fuggire indisturbati, soprattutto se sono mistici potenti come hanno detto i ladri, per i quali volare non sarebbe un problema.

Da quello che sappiamo, la Setta dello Scorpione intende rovesciare l’Impero, per cui perdere Zanarkand sarebbe un duro colpo economico. Però il fatto che stiano riunendo le Reliquie mi fa pensare altrimenti. Lo trovo improbabile, ma è certamente una possibilità da tenere in considerazione. Lo faremo presente al granduca.

Ecco un’altra parola nuova: “reliquie”. Immagino che i gambali, la lama e la spada di cui parlavi prima siano queste “reliquie”, dico bene?

Sì. Ne parleremo con il granduca, dopotutto è lui che custodisce la Lama.

I quattro draghi volarono sempre più verso il centro della città, sorvolando isolette, piazze, abitazioni, centri commerciali. Era così presto la mattina eppure era già tutto movimento. O forse era meglio dire “ancora”; Zanarkand, la città che non dorme mai. Dopo mezz’ora, raggiunsero la montagna d’acqua più alta di tutte, su cui era costruita una torre imponente che attraversava la superficie gelatinosa del mare fino a scendere di diversi livelli, probabilmente addirittura fino al fondale. Più o meno a tre quarti dell’altezza della torre a partire dal livello della montagna d’acqua vi era una grande terrazza atterrarono i draghi, diventando grandi quanto cavalli prima di mettervi piede, dove erano presenti già altri quattro Cavalieri con i loro draghi ed un uomo sulla quarantina, vestito con una pelliccia scura che lo copriva fino a poco sotto il ginocchio, lasciando visibili alti stivali neri contornati d’oro. Ren smontò da Zabi e fu avvicinato da un oggetto metallico volante, con delle specie di braccia ai lati, che prese la sella del drago rosso scuro. Un altro fece lo stesso con quella di Rorix, portandola con una “mano” e la sella con l’altra.

‹Che siano... bot?!›

«Granduca.» Ren lo salutò con un leggero inchino.

«Vice-capitano Ren. È un onore avere un Cavaliere del vostro calibro qui. E chi abbiamo qui? Non sarà... il Cavaliere d’Inferno?» rispose sorpreso Yevon.

«Molto piacere.» disse semplicemente Siirist.

Intanto tutti gli altri Cavalieri si erano salutati con strette di mano e pacche.

«Il piacere è mio, Siirist Ryfon. Io sono Carius Yevon, granduca di Zanarkand. È un onore avervi qui. Ma non rimaniamo troppo in questa aria fredda. Sono sicuro che avete qualcosa di molto importante da dirmi, se siete venuti qui, ed è certamente più piacevole discutere davanti ad un bel fuoco che qui fuori.»

«Avete assolutamente ragione.» rispose Ren.

Yevon condusse gli ospiti oltre la grande porta alle sue spalle ed essi si ritrovarono in un elegante corridoio dalla forma circolare. La porta si richiuse da sola ed un altro oggetto volante prese la pelliccia che il granduca si era tolto, portandola via.

‹Sì, questi devono essere i famosi bot di cui ho sentito parlare.›

Tutti seguirono il granduca lungo il corridoio, le pareti di marmo dorato decorate con dipinti vari, vi erano diversi tavolini accostati ad esse che reggevano vasi preziosi e il pavimento, di marmo bianco con striature nere e grigie, era coperto da un tappeto rosso, lungo quanto il corridoio stesso. Arrivarono ad una porta di legno prezioso che dava su una grande sala, la parete di destra completamente di vetro. Era una sala da ricevimento, con molti divani e poltrone, un focolare nell’angolo a sinistra.

«Accomodatevi, prego.» disse il granduca.

Egli prese posto in una poltrona accanto al camino, Ren e gli altri due su un divano e Siirist su una poltrona perfettamente di fronte al signore della città. I quattro Cavalieri di guardia rimasero in piedi dietro al divano.

«È strano che dei Cavalieri vengano qui senza preavviso, soprattutto se si tratta di uno del vostro rango, vice-capitano. Deve essere un’emergenza.» incominciò Yevon, il suo tono gentile sparito, ora molto più serio.

«Siamo partiti da Vroengard questa mattina alle quattro per un’importante missione. Il gruppo chiamato Sette dello Scorpione di cui sono sicuro avete sentito parlare, ha incominciato a muoversi in questa regione per la prima volta dopo l’incidente di Anvil ed alcune spie della Gilda dei Ladri hanno seguito sette membri della Setta fino a Zanarkand, dove sono arrivati tre giorni fa. Arrivati in città, si sono uniti ad altri membri e al momento sono in trenta, tutti estremamente pericolosi.»

«Quindi la vostra missione era di fermare gli Scorpioni, ma erano già entrati in città quando siete arrivati, perciò siete venuti da me. È chiaro. Ma se dite che sono stati in Cyrodiil per un po’ ormai, perché non li avete attaccati prima che arrivassero qui?»

«Perché volevamo sapere il loro obiettivo prima e perché aspettavamo questo giorno per partire. Vedete, oggi è il primo giorno del quarto anno di addestramento di Siirist, e il Consiglio ha deciso di mandarlo in missione per fargli fare un po’ di pratica.»

«Certo. E avete scoperto il loro obiettivo?»

«Sì, e non si tratta di buone notizie. – prese una pausa e sospirò. – Vogliono prendere la Lama.»

Yevon sgranò gli occhi orripilato, la bocca asciutta. Deglutì un paio di volte, per poi ritrovare la forza di parlare.

«Il loro obiettivo è... rubare... la Lama, avete detto...?» tremava.

«Sì. La Gilda ce lo ha comunicato poco prima che arrivassimo in città.»

«Questo è un male, non potevate dirmi nulla di peggio, vice-capitano. Dobbiamo impedirglielo a qualunque costo!»

«Purtroppo, granduca, vi posso dare una notizia anche peggiore, cioè che i Gambali sono già in mano loro.»

«Come può essere? Erano custoditi a Hellgrind! I demoni sono in combutta con la Setta?!»

«Beh, sì, ci sono molti demoni fra gli Scorpioni, ma Hellgrind non c’entra nulla. I Gambali sono stati rubati.»

«Erano custoditi dall’Imperatore! Come può essere che Raizen abbia permesso a qualcuno di rubare i Gambali?!»

Yevon aveva perso tutta la compostezza che aveva dimostrato all’arrivo dei quattro Cavalieri. Era pallido in viso e boccheggiava. Che queste “reliquie” fossero così importanti?

«Non so di cosa stiate parlando, però se questi “gambali” erano protetti dall’Imperatore dei demoni, presumo fossero nella sua corte, per cui qualunque nobile ci si sarebbe potuto avvicinare senza destare sospetti, non credete?» si intromise Siirist.

«Teoricamente è come dici, ma a cosa vorresti arrivare?» domandò Ren.

«Tra gli Scorpioni vi è un demone alato, quindi un demone nobile. Probabilmente egli era nella corte di Raizen e rubò i gambali, per poi fuggire.»

«Quello che dici è plausibile.» annuì il Cavaliere dai capelli vermigli.

«Ora potremmo per favore sapere anche noi cosa sono queste “reliquie”?» chiese il Cavaliere dal drago arancione.

«Considerando che sarà la vostra missione proteggere la Lama, sarà meglio che vi spieghi di cosa si tratti. Venite con me.» disse il granduca.

Tutti e cinque si alzarono quando lo stomaco di Siirist brontolò.

«Ehm, scusate... Dopotutto non ho fatto colazione...»

«Capisco. Vi siete anche svegliati presto. Allora, se siete d’accordo, andatevi a riposare ora, vi ho già fatto assegnare una stanza a testa, dove sono stati portati i vostri effetti personali. Tra mezz’ora avrete un abbondante banchetto in camera, è necessario che siate al massimo della forma per affrontare un gruppo di Scorpioni così forte, dopotutto. E non fate quella faccia vice-capitano, i sistemi di difesa di questo palazzo sono di ultima generazione, le guardie sono bene armate e ci sono altri quattro Cavalieri oltre a voi. Riposatevi pure, parleremo delle Reliquie più tardi.»

«Se insistete. Grazie mille, allora. Andiamo.»

Quattro bot fecero la loro comparsa e accompagnarono i Cavalieri ospiti alle loro stanza. Siirist entrò nella propria e rimase colpito dal lusso, considerando che si trattava solo di una camera per gli ospiti. Essa era a tre stanze, un salottino, il bagno e la camera da letto, queste due sul lato destro, il bagno che si collegava ad entrambe le stanze. Il ragazzo vide la sua borsa e la sella di Rorix su un tavolino e svelto corse nel bagno, completamente di marmo, e riempì la vasca, dalla forma circolare.

‹Ha anche un idromassaggio! Ora mi faccio un bel bagno caldo e quando sento che portano da mangiare, vado a riempirmi fino a scoppiare. E poi una bella dormitina fino a che Ren non ci viene a chiamare!›

‹Mi pare un ottimo piano.›

 

Erano le dieci e mezzo quando Gilia e Alea montarono sui rispettivi draghi, pronti a partire per Cheydinhal. Il ragazzo aveva preparato la borsa con i vestiti necessari per tre giorni, e aveva legato alla sella la sua ascia bipenne a due mani ed il martello da guerra, mentre Alea aveva con sé la sua vecchia spada e l’arco recentemente cantato dagli alberi del bosco sotto la Rocca.

«Fate attenzione. La Gilda dei Ladri è già stata avvisata dei vostro arrivo, ma prendete comunque questa lettera di raccomandazione. E fate pure presente che siete amici di Siirist, sarete accolti più calorosamente. Non dovreste avere problemi, poiché sembrerà a tutti gli effetti una visita di cortesia, ma ciononostante state attenti.» li salutò Althidon.

Asthar e Eiliis calciarono da terra e presero il volo, diretti verso nord. I Cavalieri chiusero al meglio i loro cappotti, non volendo nemmeno immaginare cosa avesse provato il loro amico alle quattro di mattina.

 

Siirist fu svegliato da Rorix che gli mordicchiava la mano. Ancora assonnato, guardò con un misto di odio e dubbio il drago. Ma poi, sentendo bussare alla porta, capì perché l’Inferno lo avesse svegliato. Il giovane andò ad aprire e si trovò davanti Ren, che, inaspettatamente, non era venuto per chiamarlo, ma gli chiese di entrare. Allora si accomodò ad una sedia accanto al tavolino su cui era stato lasciato il cibo per il ragazzo, quasi del tutto finito, e prese una pera ed un coltello, incominciando a tagliarla.

«Prima che andiamo da Yevon, ho una cosa di cui devo assicurarmi con te.»

«Spara.»

«Tu non hai masi ucciso nessun bipede, vero? A parte quella volta che affrontasti un grem. So che durante la tua missione per la Gilda hai affrontato sei mistici, sconfiggendoli abbastanza facilmente, ma senza ucciderli, nonostante loro fossero il nemico e non avrebbero mostrato la tua stessa pietà.»

«Sì, è così.» abbassò la testa.

Sapeva sarebbe arrivato il momento di affrontare quella questione, ma si aspettava che sarebbe stato con Althidon. L’Ordine insegnava a rispettare ogni creatura, che ogni vita è importante, non per niente non si mangiava carne, questo derivato dalla vicinanza degli elfi con la natura. Quando si uccideva, bisognava sempre farlo con rispetto verso la vita che si toglieva, e solo se strettamente necessario. Eppure non era un problema andare in Oblivion e massacrare daedra, o andare sul Gagazet e allenarsi con i mostri. Dopotutto Evendil gli aveva una volta detto che la vita dei mostri non era degna di considerazione. Ma uccidere un bipede? Non aveva ancora fatto l’abitudine a quel pensiero. Il solo ricordare cosa aveva provato i giorni dopo lo scontro con il grem gli faceva ancora venire la nausea.

«Sai che potrebbe essere necessario farlo durante questa missione, vero?»

«Se potrò evitarlo, non lo farò.»

«Immaginavo questa risposta. Ma ricorda che non sei ancora abbastanza forte da poterti permettere di andarci piano con il tuo avversario, e si tratta pur sempre di nemici di alto livello. Dovresti aver imparato in Oblivion che combattere senza trattenersi è più semplice che farlo senza cercare di uccidere. Voglio solo che non causi problemi per te stesso e per noi: affronta gli Scorpioni con tutta la tua forza, senza trattenerti. Ricorda che loro non si faranno problemi ad ucciderti, data la possibilità.»

«Va bene...»

«Adesso andiamo da Yevon, sono sicuro che sei curioso di sapere cosa siano le Reliquie.»

«Assolutamente.»

 

 

~

 

 

Ora, ciò che dicono sia Gilia che Rorix è la pura verità: Zanarkand è indescrivibile, qualunque parola non le renderebbe giustizia, per cui ecco qui un video tratto da FFX in cui si vede, più o meno, Zanarkand. E il biondo (Tidus) è come dovrebbe essere Siirist! Sono consapevole di non essere bravo nelle descrizioni fisiche, ma spero che almeno un’idea ve la siate fatta.

http://www.youtube.com/watch?v=_cQoLSeoP2s

 

Banko/Zack: eh già! Era anche ora che la trama cominciasse a venire fuori e adesso si sa che la Setta vuole riunire le Reliquie. Per sapere cosa esse siano, però ci sarà da aspettare due capitoli. E nel prossimo vedrai se la missione di Gilia e Alea è o no pericolosa. Anche se, chiaramente, non è niente a confronto di quella di Siirist! Dici che Bial è apparso anche più glaciale di Byakuya? Hm... allora il commento di Siirist è piuttosto azzeccato, direi! Beh, Kenpachi di certo mi verrà uguale, che renderlo più pazzo di come lo abbia fatto Kubo è impossibile! Ora, per l’ultima volta: Gilia è Deria? Vedrai nel prossimo. E come leggerai sarà per i prossimi cinquantadue anni (l’arco temporale che percorre la storia), almeno così non tirerai più fuori l’argomento! E per quanto riguarda il nome della spada di Siirist... beh, non ci ho perso molto tempo a sceglierlo, e se ti ricordi il “fattaccio” della prima versione, sai anche il perché. E ricorda anche perché Siirist inizia la sua ricerca nel deserto (stesso motivo). Siamo a gennaio e il capitolo “famoso” si svolge verso metà gennaio. Ci sono i capitoli delle missioni, l’allenamento sul Gagazet, un paio di capitoli “filler” e poi la piega nella monotona vita alla Rocca. E comincerò finalmente a divertirmi veramente a scrivere i capitoli!

 

 

Il prossimo capitolo si intitola ALBECIUS CORVINUS e sarà pubblicato domenica 5

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** ALBECIUS CORVINUS ***


ALBECIUS CORVINUS

 

Era oltre le due di pomeriggio quando Asthar e Eiliis atterrarono di fronte al cancello nord di Cheydinhal. Le guardie subito si misero sull’attenti e fissarono a bocca aperta i due Cavalieri smontare ed i draghi assumere la grandezza di cavalli.

‹Con tutte le armi che hai legato alla sella, ora che sono così piccolo mi sono di impiccio. Dovresti farti spiegare da Eimir il modo di mettere sotto sigillo le armi, oppure decidere una volta per tutte che armi usare.› si lamentò l’Incubo.

‹Scusami tanto, amico mio, ma dobbiamo essere pronti per ogni evenienza. E sai che le mie armi preferite sono quelle a due mani.›

Quando i soldati si accorsero che uno dei due nuovi venuti era Gilia, gli corsero incontro entusiasti.

«Nobile Gilia!»

«Bentornato!»

«Troppo gentili. Sono venuto a far visita a mio padre.»

«Ma certo! Sentitevi pure libero di entrare in città, rimane sempre casa vostra, dopotutto!»

Draghi e Cavalieri attraversarono il cancello, ritrovandosi nella zona del mercato, e seguirono la strada fino a che non curvò verso sinistra, dove iniziava ad andare in salita verso il castello. Le persone che incontravano cominciavano a bisbigliare, altri si inchinavano, altri esultavano per il ritorno del loro amato Gilia.

«Sei molto ben voluto. È quasi un peccato che tu sia diventato un Cavaliere, saresti stato un ottimo conte.»

«Oh, non mi avresti voluto?!» si offese per finta.

«Stupido, sai bene cosa intendo!» e gli diede una botta sul braccio.

«Spero tu sia consapevole del fatto che fino al momento in cui spiegheremo la nostra situazione, ci prenderanno per più che amici, vero?»

«Eh?!»

«Insomma, dopo più di tre anni torno a casa accompagnato da una bellissima ragazza... Può essere frainteso.»

«Deria che direbbe?» domandò incuriosita Alea.

«Conosco quello sguardo! Hai in mente qualcosa! Non ti azzardare a coinvolgere Deria!»

«Si è trovata uno nuovo, sbaglio?»

«Sì, è così.» sospirò il ragazzo.

«Allora dovremo farla diventare un po’ gelosa!» ridacchiò.

«Ma sei matta?!»

L’elfa lo prese a braccetto e lui la spinse via.

‹Se solo Siirist ci avesse visti, io sarei carbone adesso!›

L’immagine del biondo che si infiammava tutto, che urlava furibondo e che lanciava sfere di fuoco di drago a raffica non era molto invitante.

‹Non fare sempre il serioso! È una grande amica, capisci il suo sforzo.›

‹Che vuoi dire?›

‹È da quando sai che la Setta è infiltrata a corte che sei preoccupato, sta solamente cercando di farti divertire.›

‹Perché succede sempre che vedi come ovvie cose di cui nemmeno io mi accorgo?›

‹Perché sono un drago, è anche normale che la mia mente sia superiore a quella di un bipede come te. E come tuo compagno, è mio dovere aiutarti a crescere, mio Cavaliere.›

‹Almeno non mi prendi a morsi come fa Rorix con Siirist!›

Continuarono fino al portone del castello e le guardie lo aprirono felicissime, così come fu il conte nel vedere il suo figlio di ritorno. Da quando il moro era stato riconosciuto al cancello nord della città, un messaggio era stato mandato al castello avvisando del suo arrivo, così che tutte le persone che avrebbe voluto vedere erano già lì che aspettavano. Seduto sul suo trono vi era suo padre, in piedi, dietro di lui a destra, Adrian. Deria e Codus erano in disparte, e Thor, la rossiccia barba che oscillava ad ogni passo, gli andò incontro, stringendolo forte.

«È un piacere rivedervi, nobile Gilia.»

«Anche per me. Ti informo che ho dato il tuo nome ad un mio incantesimo.»

«Ne sono onorato!»

«Spero tu non abbia lasciato nel dimenticatoio le nozioni di stregoneria che ho difficilmente inculcato in quella tua testa dura.» disse con tono piatto lo stregone.

«Un guerriero deve avere la testa dura per subire meno danno dai colpi che riceve!»

«E di chi credi sia la colpa se era così ottuso?» mormorò distrattamente Adrian.

Il guerriero, adirato, mise mano alla sua ascia, ma gli spiriti dell’aria del mistico lo avevano già sollevato e buttato dall’altra parte della stanza.

«Quanto aspetterai ancora prima di venire ad abbracciare tuo padre?» domandò indispettito il conte.

Gilia non se lo fece ripetere e corse da lui. Non lo avrebbe mai pensato, ma infondo gli mancava. Gli insegnamenti che gli aveva sempre dato, i consigli, erano tre anni che non li aveva ricevuti.

«Tu devi essere Deria. Molto piacere, io sono Alea, un’amica e compagna di addestramento di Gilia.»

Il giovane si voltò di scatto, non riuscendo a credere a quello che aveva sentito: Alea si era effettivamente avvicinata a Deria?!

«E questa bella signorina? Da quello che ho sentito capisco sia Alea Ilyrana. E il Cavaliere d’Inferno, non è con voi? O la vostra è una gita romantica...?» alluse il conte.

«Visto, Alea, te lo avevo detto! No, padre, è come ha detto lei, siamo solo amici.»

«Ma tesoro! Perché dici così...?.» l’elfa mise il broncio.

‹Ah! L’ha fatto davvero!› la voce mentale aveva un suono strozzato e acuto.

Deria sorrise. Ma il ragazzo la conosceva troppo bene, quel sorriso era sì felice, ma nascondeva anche una velata tristezza.

«No! Alea, non fare la stupida!»

«Ah, non sei divertente!» si indispettì.

«Senti chi parla! Non ti sei vista tre anni fa!»

«Ancora?! Davvero, quanto ancora continuerete a rinfacciarmi quella storia?!»

«Circa duemila anni.» ridacchiò divertito il moro.

La fanciulla, per tutta risposta, gli fece una linguaccia. Tutti i presenti erano ammutoliti.

«Perdonami, Deria, doveva essere solo uno scherzo innocente, volevo vedere se ancora tenessi a Gilia nonostante ti sia trovata un nuovo fidanzato. Non c’è niente tra noi.»

«Ah, capisco...» disse la ragazza un po’ incerta, per poi sorridere.

Gilia si era intanto avvicinato ai due apprendisti di Adrian e la aveva abbracciata.

«È bello rivederti. Ti trovo bene.» sussurrò all’orecchio il Cavaliere.

«Anche tu.» ricambiò lei, gli occhi lucidi.

Era rimasta esattamente uguale, giusto aveva cambiato taglio di capelli. Chi invece era cambiato drasticamente era Codus. Era diventato più alto, aveva messo su un po’ di muscoli e lo sguardo si era fatto più sicuro. Non era più quel nanerottolo timoroso e piagnucoloso che aveva lasciato.

«Sei cresciuto, finalmente. Sono curioso di sapere quanto sei diventato bravo con la stregoneria. Se vuoi dopo duelliamo.»

«Ho diciassette anni ora, dopotutto. Ma non credo che un duello con voi sarebbe molto equo.»

«Solo stregoneria, tranquillo. Così Adrian potrà vedere i miei miglioramenti. A proposito, ti stanno bene i capelli così.» disse indicando la corta coda di cavallo.

«Grazie.»

«Trovo che sia un’ottima idea. Ma prima immagino vogliate mangiare.» rispose lo stregone.

«Effettivamente avremmo un po’ fame. Volevamo arrivare qui per pranzo, ma alla fine ce la siamo presa un po’ comoda.»

«Non importa, noi non abbiamo ancora mangiato. Ho avuto una riunione importante, per cui tutto è stato ritardato. Gilia, lascia pure la tua roba nella tua stanza e accompagna la tua amica a quella vicina, dopodichè scendete nella sala da pranzo.» disse suo padre.

Il ragazzo allora condusse l’amica nei quartieri privati del castello, attraverso una porta situata dietro al trono. Percorsero un lungo corridoio, con quattro porte per lato, fino a che non arrivarono ad un’ampia sala. Il giovane spiegò che le stanze superate erano gli alloggi dei servitori, mentre la grande porta che si vedeva a sinistra si apriva sulla sala da pranzo, quella a destra si collegava alla caserma, quella davanti dava sugli appartamenti del conte. Le camere da letto degli altri abitanti del castello, invece, si trovavano al piano superiore, accessibile dalle due rampe di scale che incorniciavano la porta delle stanze del conte. I due ed i draghi presero quelle di destra, superarono la porta e si incamminarono lungo la base di un corridoio a forma di T, svoltando poi a sinistra. Gilia si fermò alla penultima porta sulla destra, indicandola ad Alea, per poi continuare verso l’ultima ed entrarvi con Asthar. Richiuse la porta alle sue spalle e slegò le armi dalla sella, togliendo pure quella.

‹Ah, molto meglio!›

Asthar si stiracchiò e cambiò dimensioni, diventando grande quanto un gatto e lanciandosi sul letto.

‹Effettivamente averti grande quanto un cavallo non era conveniente qui dentro.›

‹Colpa tua che hai messo tutte quelle armi sulla mia sella. Se fossi stato più piccolo, mi avrebbero impicciato troppo.›

‹Ho capito, ho capito! Mi hai già fatto questo discorso!›

Anche lui si sedette sul letto e si guardò intorno. La sua vecchia stanza, quanti ricordi. Si distese un momento quando sentì bussare alla porta. Non aveva voglia di alzarsi o strillare, per cui cercò di vedere con la mente chi fosse. Sentì la presenza e cercò di avvicinarla, ma fu fermato.

‹Che ottima barriera mentale!›

«Sono io. Posso entrare?» disse la voce di Deria.

Ella aprì ed entrò, avvicinandosi al moro e sedendosi accanto a lui. Si fissarono negli occhi per un momento, poi entrambi abbassarono lo sguardo.

«Quanto resterai?»

«Più o meno tre giorni. Quando mi presenterai il tuo nuovo fidanzato?»

«Sei sicuro?»

«Certo! Devo assicurarmi che ti tratti bene!»

«Questa sera dopo cena?» sorrise ella.

«Va benissimo, tanto io e Alea dobbiamo venire in città.»

«Allora a posto. Tu, novità sentimentali da aggiungere? Non ne parli mai nelle tue lettere.»

«Perché non c’è niente da dire. Dai, andiamo a pranzo ora.»

Entrambi uscirono, Asthar che li tallonava, e nello stesso momento si aprì la porta di Alea.

«Stavo giusto per chiamarti.»

«Asthar ha avvisato Eiliis il momento che vi siete alzati dal letto.»

«Capisco.»

Insieme scesero al piano terra e si diressero alla sala da pranzo, dove trovarono tutti già seduti ed il cibo che veniva già portato in tavola. Quando i servitori misero i piatti davanti ai Cavalieri, essi esitarono.

«Padre, ci sarebbe un problemino.»

«Dimmi.»

«Potremmo avere piatti vegetariani?»

«Come?»

«Ma certo, elfi e Cavalieri non mangiano carne, non ci avevo pensato. Chiedo scusa, conte, avrei dovuto avvisarvi prima.» disse Adrian, colpendosi la fronte.

«Come?! Nobile Gilia, voi dovete nutrirvi di carne! La carne è importante per un forte guerriero!» urlò Thor.

«È sempre così rumoroso quello lì?» disse stancamente Alea, appoggiando il gomito sul tavolo e la fronte sulla mano.

«Purtroppo sì, nobile Alea.» rispose lo stregone, sorseggiando la sua zuppa.

Deria e Codus ridacchiarono.

«Eh?!» si girò Thor.

«Alea, sembra arrabbiato con te.» rise pure Gilia.

«Non mi tange minimamente.» rispose calma mentre si versava dell’acqua nel bicchiere.

Arrivò un servitore con due piatti abbondanti di insalata.

«Stanno cucinando i piatti principali, per ora temo dovrete accontentarvi di questa. Sono desolato.»

«Non preoccuparti, fate pure con comodo.»

«Se Thor e la nobile Alea dovessero affrontarsi, dovremmo preparare un’altra fossa nel cimitero.» commentò euforico Adrian.

«Ehi, mezz’uomo, cosa stai dicendo?» grugnì il guerriero.

«Naturalmente anche io non avrei alcuna possibilità. Ma almeno riuscirei a colpirla una volta.»

«Non mi hai risposto!» e batté il pugno sul tavolo.

«Fai silenzio.» mormorò spazientita l’elfa.

Thor si voltò verso di lei, una vena ingrossata, e prese ad urlarle in faccia. Ma nessun suono uscì dalla sua bocca. Tutta la tavolata lo fissò con stupore nel vederlo sbraitare come un matto senza emettere una sillaba per almeno un minuto, dopo il quale anche il guerriero si accorse della sua situazione. Allora, convinto che bastasse urlare più forte per annullare l’incantesimo, si avvicinò alla fanciulla invadendo il tavolo, arrivandole a pochi centimetri di distanza dal viso. E la colpì con qualche sputo.

Gilia inorridì nel vedere lo sguardo impassibile, gelido dell’amica, mentre l’aria di fronte a lei si solidificava, intrappolando l’uomo nel ghiaccio.

«Beh, un pranzo più vivace del solito, questo qui!» esclamò vivacemente il conte.

«Stupido barbaro.» borbottò Adrian, la forchetta con il pezzo di pollo arrosto che si avvicinava alla bocca.

«C’era da aspettarselo...» sospirò Gilia.

Ma Thor non si era dato per vinto, e da dentro il ghiaccio lo si vedeva dimenarsi.

«È inutile, non lo puoi rompere.» gli disse il ragazzo,

Alea tranquillamente mangiava la sua insalata, ignorando completamente la sua vittima. Ma quando avvicinò la mano al pane, notò che il guerriero era effettivamente troppo vicino, così lo fece levitare e scontrare contro il muro, mandando il ghiaccio in pezzi. L’uomo si alzò, scosso da alcuni brividi, visibilmente irritato.

«Datti una calmata, Thor, non ti conviene disturbarla ulteriormente!» si preoccupò Gilia.

«No, fai pure! Voglio vedere fino a che punto arriva la tua stupidità.» rise Adrian.

«Maestro Adrian, per favore!»

«Nobile Gilia, volete farmi perdere un momento unico come questo?»

«Thor, siediti.» ordinò Corvinus padre.

L’uomo si irrigidì per poi inchinarsi e obbedire silenziosamente.

«Peccato. Braccia strappate all’agricoltura a parte, chi di voi due è più forte, Gilia?» domandò lo stregone.

«Lei.» sospirò il moro senza rifletterci nemmeno un istante.

«Nonostante tu sia un Cavaliere d’Incubo?»

«Già. Uno scontro di mistici non è solo questione di combattimento fisico, se no vincerei facilmente. Ma la sua potenza magica è troppo grande rispetto alla mia, così come pure quella mentale.»

«Non essere così duro con te stesso, Gilia. Con gli incantesimi di terra, fulmine e oscurità sei molto più bravo di me.»

«Sto parlando del quadro generale. Dovessimo affrontarci, mi batteresti. Come hai fatto in tutti i nostri allenamenti in cui potevamo usare tutte le nostre abilità.»

«A livello di stregoneria?» si interessò Adrian.

«Non sono nemmeno lontanamente al suo livello. Anzi, persino Siirist è più dotato di me, seppure di poco.» sorrise l’elfa.

«Nonostante la vostra immensa capacità mentale? Strano. Questo Cavaliere d’Inferno deve avere una forte affinità con gli spiriti, allora. Oppure anche lui è estremamente forte mentalmente.»

«Vada per l’affinità con gli spiriti.» scosse la testa Gilia.

«Decisamente.» si unì Ilyrana.

«Dalla vostra risposta sembra non essere molto bravo in materia. State già imparando a creare illusioni mentali?»

«No, fa parte del programma dell’ultimo anno. Ma il nostro Maestro mi ha detto che forse io inizierò a giugno.»

«Capisco. Tornando a chi è più forte tra voi due, Gilia, in un duello con Alea, avete mai utilizzato la stregoneria?»

«No, perché utilizzare contemporaneamente magia e stregoneria è risultato più difficile di quanto potessi pensare. Però negli ultimi mesi mi ci sono allenato molto.»

«Bene. Vedrete che forse la potrete battere quando avrete imparato. Per quanto riguarda voi, nobile Alea, c’è un motivo particolare se non riuscite bene nella stregoneria? Se l’abilità del Cavaliere d’Inferno, nonostante la sua bassa capacità mentale, può essere giustificata dalla sua affinità con gli spiriti, non capisco come voi possiate avere difficoltà. Forse non vi siete mai allenata adeguatamente. Il vostro Maestro è Althidon, uno dei maghi migliori di Vroengard, questo significa che non è significativamente interessato alla stregoneria. Gilia è cresciuto per quindici anni con me che lo addestravo, quindi è diventato un mago con il passato da stregone, per questo è abile in entrambe le arti. Voi invece siete sempre stata educata alla magia e ora nel vostro addestramento non studiate molto la stregoneria. Non è che non siete dotata, con la vostra capacità mentale potreste controllare centinaia di spiriti di alto livello, semplicemente non siete molto motivata.» spiegò Adrian.

«Non mi trovo d’accordo. Prendo sempre tutto sul serio, mi sono sempre impegnata in ogni allenamento.»

«Non vi credo. È naturale, forte come siete con la magia, magari pensate che la stregoneria non sia necessaria, visti anche i rischi che comporta. Ma dovreste studiarla con più dedizione.»

«Sentitemi bene...!» incominciò l’elfa.

Ma Gilia le posò una mano sulla spalla. Ella si voltò e lo guardò negli occhi.

«Se lo dice lui, devi credergli. Ha sempre avuto molto intuito per certe cose.»

«Finito il vostro addestramento con Althidon, dovreste chiedere all’anziano Eimir di allenarvi nella stregoneria. E se rifiuta, sarei ben contento di insegnarvi io, per quanto non sia nemmeno lontanamente vicino al suo livello.» concluse lo stregone.

Alea ci pensò su.

«Vi ringrazio, seguirò il vostro suggerimento.» disse infine.

In quel momento entrò la persona che più di tutti Gilia non avrebbe voluto vedere: un giovane uomo dai capelli neri come i suoi, vestito con una elegante giacca nera con ricami d’oro, pantaloni abbinati e stivali neri. Indossava due collane e un anello per dito, oltre che tre bracciali per polso. Tutti si voltarono verso di lui, nessuno con uno sguardo gentile.

«Non sapevo che il mio adorato cuginetto sarebbe ritornato! È un piacere rivederti!»

Si avvicinò a Gilia e gli strizzò le guance. Quando ebbe finito, si massaggiò le mani.

«Cos’è? I tuoi muscoli sono molto duri! È il tuo legame con il drago? Avere così tanti douriki fisici rende il tuo corpo più resistente? Cosa succederebbe se provassi a metterti questo coltello nel cuore, allora?» e prese una delle posate di Gilia.

Le ultime parole erano state dette con un tono freddo, serio, ma con un leggero tono scherzoso. Per quanto finto.

«Albecius, è un piacere anche per me.» il tono piatto.

‹Non mi piace. Se ti tocca gli stacco il braccio.› ringhiò Asthar.

«Perché il tuo drago mi guarda così?» si finse sorpreso Albecius.

«Pensavo fossi abituato a questo sguardo, è quello che hanno tutti quando ti guardano.» replicò Gilia.

«Cuginetto, hai già abbandonato le buone maniere? Ma non mi interessa, tanto sarò io il prossimo conte di Cheydinhal.» nuovamente le due frasi erano state dette con toni diversi: spensierata, quasi dispiaciuta la prima, quasi sadica la seconda.

Alea si era limitata ad osservare il cugino dell’amico, lo sguardo inquisitore.

«Ma chi abbiamo qui? Una bellissima elfa! Non mi stupisce che l’aria in questa stanza profumasse meglio del solito! Ma mi dispiace per voi, è inutile che cerchiate di insinuarvi nella mia testa, la mia protezione è assoluta grazie ai miei anelli.» sorrise e la fissò negli occhi, alzando la mano sinistra e agitando le dita sotto al naso della fanciulla.

Un sorrise cattivo, affatto piacevole. Girò la mano e toccò lievemente la punta del naso di lei con l’indice, in una sorta di carezza. Ella si stizzì. Si alzò dal tavolo e se ne andò senza dire una parola.

Tutti guardarono la scena ammutoliti, Gilia soprattutto, si scusò con e la seguì poco dopo, ma non senza lanciare prima un’ultima occhiata al cugino. Corse su per le scale ed entrò nella stanza di Alea, la porta che si aprì da sola per poi richiudersi.

«Non mi piace.»

Gilia rimase di stucco nel vedere l’amica in quel modo; camminava avanti e indietro senza sosta, la bocca stretta, gli occhi iniettati di sangue.

«Ehi, calmati! Non ti ho mai vista così, non è da te comportarti così! Che hai?»

«È tuo cugino! Non lo so, non so come descrivertelo. È Eiliis, è lei che mi fa stare così. Il suo istinto le dice che tuo cugino ha qualcosa che non va e lo sento pure io. Hai visto come è armato?! Sembra debba affrontare una legione intera! Quanti amplificatori indossa?!»

La voce era tremante, la ragazza era sconvolta da brividi.

«Siediti, su. Sì, fa una brutta impressione anche a me.»

«Non si tratta di brutte impressioni! Hai presente quando Siirist ci ha descritto la sensazione che provò appena il grem gli si mostrò per quello che era? Non si tratta certo di Intimidazione, tuo cugino non è un demone, ma emana un’aura negativa. E non mi piace.»

‹Ha esattamente ragione, lo sento anche io. Non abbiamo un legame alto come ce l’hanno Alea e Eiliis, per cui non sei così condizionato da quello che provo io, se no anche tu staresti come lei. Tuo cugino ha qualcosa che non va, su questo non si discute.›

‹Sarà lui la talpa della Setta?› chiese perplesso il moro.

‹Può darsi.›

‹Se fosse, non sarei poi molto sorpreso.›

«Questa sera andremo in città ad incontrare la Gilda dei Ladri. Sono stati molto cauti con i messaggi che inviavano alla Rocca, non hanno mai menzionato i nomi dei loro sospettati, per cui verificheremo se si tratta di Albecius.»

«Sì. Fino ad allora non voglio vederlo e nemmeno sentirlo nominare. Ora voglio riposare, non mi sento bene.»

«Va bene. Per qualunque cosa, chiamami pure.»

E il ragazzo ritornò in camera sua.

 

Verso metà pomeriggio, Gilia andò a visitare Alea, trovandola ancora a letto. La vide agitarsi nel sonno e sudare, così si avvicinò preoccupato e le toccò la fronte. Impallidì nel sentire che ella aveva la febbre alta.

‹Non va bene.›

‹Eiliis non sta meglio.›

‹Maledizione!›

Strinse i denti e serrò i pugni. Che diavolo stava succedendo?! Suo cugino, sì, lui c’entrava sicuramente.

‹Resta qui e non permettere a nessuno di entrare, io vado a parlare con mio padre e Adrian.›

‹D’accordo.›

Gilia corse nervosamente giù per le scale, ma quando svoltò per dirigersi verso gli appartamenti del conte, si imbatté proprio in Albecius. Lo scontro lo mandò a terra, mentre il cugino rimase fermo in piedi. E sorridendo divertito, continuò per la sua strada.

‹Impossibile... Non ho minimamente percepito la sua presenza! E come diavolo ha fatto...? È un normale essere umano! Come può essere rimasto in piedi mentre io sono caduto a terra?!›

Inorridito continuò a fissarlo fino a che non sparì dalla sua vista. Irritato, Gilia corse nelle stanze del padre, trovandolo a parlare con lo stregone.

«Bene, siete entrambi qui. Dobbiamo parlare.»

I due si girarono verso di lui e lo guardarono seriamente.

«Sicuramente.» rispose il conte, sguainando la spada.

«Ma certo, nobile Gilia. Spiriti della luce, intrappolatelo nella vostra prigione splendente.»

‹Cosa?!›

Punti luminosi comparvero accanto al ragazzo, circondandolo, e raggi ne scaturirono, immobilizzandolo e drenandolo delle sue forze. Egli guardò con orrore il padre alzarsi, spada alla mano, e avvicinarsi a lui, levando l’arma sopra la testa. Camminava lentamente e con difficoltà, come se stesse cercando di trattenere i suoi stessi passi. Gilia non capiva, cosa stava succedendo?! Non solo lo attaccavano, ma lo facevano anche esitando? Qualcosa non quadrava. Disperato, alzò lo sguardo per incontrare quello del padre. La bocca gli si spalancò, gli occhi gli si dilatarono nel vedere quelli del genitore, bagnati di lacrime che scendevano copiose lungo le guance. Il Cavaliere, a quella vista, si infuriò, emanando scariche elettriche da tutto il corpo.

«Albecius, maledetto!»

Ma più energia magica richiamava, più essa veniva consumata dagli spiriti della luce. Anche la sua concentrazione venne meno e si sentì mancare, l’ultima cosa che vide fu la lama argentata che si dirigeva verso la sua fronte.

Ma fu richiamato ai suoi sensi da una forte esplosione che fece saltare la porta e l’urlo furente di Thor echeggiò nella stanza. Spadone a due mani nella destra, ascia nella sinistra, corse verso il conte e scontrò la propria lama con la sua, gettandolo a terra.

«Non ti intromettere, barbaro! Spiriti dell’oscurità, trattenetelo.»

«Stai buono, femminuccia!»

Gilia notò con la coda dell’occhio la piccola sfera che il suo maestro d’armi teneva nella sinistra, tra l’anulare ed il mignolo. Brillava di una sfavillante luce azzurra.

‹Non sarà... una Materia?!›

Il guerriero la scagliò verso lo stregone e delle scariche furono liberate, intrappolandolo in una gabbia elettrica e fulminandolo allo stesso tempo. Le urla di dolore che l’uomo lanciò erano tra le più forti che il ragazzo avesse mai sentito.

«Padron Gilia, non abbiamo molto tempo, correte!»

«Che sta succedendo?!»

«Vi spiegherò tutto una volta che saremo al sicuro!»

Con l’indebolimento di Adrian, la stretta degli spiriti della luce sul moro si fece meno forte. Ma c’era il rischio che ne perdesse completamente il controllo e che quindi ne venisse trasformato in spettro, per cui Gilia impose il suo dominio su di essi e li disperse. Aiutato da Thor si rialzò e corse verso la sua stanza, dove prese le sue armi e la sella di Asthar. Ma qualcosa era strano, non riusciva a comunicare con il drago ed egli non si trovava nemmeno nella stanza di Alea, così come pure la fanciulla e la dragonessa.

«Nobile Gilia, dobbiamo andare!»

«Alea e i draghi! Dove sono?!»

«Sono con Deria e Codus, venite con me!»

Non aveva scelta, doveva andare con il guerriero, sperando solo che stessero tutti bene. Quel maledetto Albecius, cosa poteva aver fatto?

Gilia e Thor corsero verso l’ingresso del castello, ma furono intercettati dalle guardie, che però furono intrappolate nella roccia del pavimento, senza che i due fuggitivi si fossero nemmeno fermati. Uscirono di corsa all’aperto e corsero verso la città con nessuno che li inseguisse. Ma Corvinus non era sicuro, aveva la brutta impressione di essere osservato, nonostante non percepisse la presenza di nessuno. Si girò di scatto quando sentì il sibilo di una freccia e la vide andare a fermarsi a mezz’aria, in un punto sopra al tetto dell’edificio di fronte a lui. Vide allora gli spiriti della luce disperdersi e comparire suo cugino, ferito alla spalla. Adirato, la bocca stretta, volò via verso il castello sostenuto dagli spiriti dell’aria.

«Gilia, Thor, da questa parte!»

I due si girarono e videro Deria chiamarli da una finestra di un edificio a venti metri da loro. Sollevati le corsero incontro, entrando dalla porta aperta da Codus.

«Per fortuna state bene!» esclamò sollevato questi.

«Che paura!» Deria era corsa giù per le scale e si era gettata su Gilia, abbracciandolo.

«Ehi, non fare così, se no mi ingelosisco!»

Il Cavaliere guardò nella direzione da cui era giunta la voce e vide arrivare un giovane uomo probabilmente sulla trentina, con corti capelli neri e occhi ambrati. Era alto un metro e ottantacinque e indossava una cintura con una spada a destra ed un pugnale a sinistra, da dietro la schiena, sul lato sinistro, si intravedeva l’impennaggio di alcune frecce e nella mano destra teneva un arco.

«Chi sei?»

«Dyus, il fidanzato di Deria. Ho sentito molto parlare di voi, Gilia. Mi perdonerete se non onoro una persona della vostra importanza con i giusti convenevoli, ma la situazione è piuttosto grave. Venite su, immagino vogliate vedere la vostra amica.»

Corvinus non se lo fece ripetere due volte e seguì l’altro su per le scale, fino ad una camera da letto dove trovò Alea ed i due draghi. Asthar gli si avvicinò ansioso, e il Cavaliere lo accarezzò sollevato.

‹Cos’è successo?›

‹Poco dopo che sei sceso, è arrivato Codus che mi ha detto di fuggire qui con loro. Non mi hanno spiegato nient’altro, ma mi sono fidato.›

‹Anche io vorrei sapere cosa sta accadendo. Perché non riuscivo a comunicare con te prima?›

‹Deria e Codus hanno eretto una barriera particolare attorno a questa casa che impedisce a chiunque di entrarvi mentalmente. È una stregoneria molto complessa, hanno utilizzato uno dei libri di Adrian e molti dei suoi amuleti.

‹Sono stati azzardati. Per quanto siano gli amuleti a legare gli spiriti grazie agli incantamenti scritti da Adrian, anche loro corrono qualche rischio di sottomissione mentale. Non vorrei certo che diventassero spettri.›

‹Era necessario.›

Dyus si sedette di peso ed appoggiò il suo arco.

«Dove siamo?» chiese Gilia.

«Casa mia. Nemmeno mezz’ora fa è venuta Deria che mi ha detto di essere in pericolo e mi ha chiesto di ospitarvi tutti. Presumo sia successo qualcosa al castello.»

«Sì, ma nemmeno io so cosa. Spiegami come hai fatto a colpire mio cugino, quando nemmeno io ne percepivo la presenza.»

«Ah, era vostro cugino quello? Immagino che le riunioni di famiglia non siano molto piacevoli per voi, eh?»

«Puoi dirlo forte.»

«Il problema di voi mistici è che per percepire la presenza di qualcuno, vi affidate solo alla mente. Io sono un cacciatore, e sono abituato a seguire l’istinto e a notare ogni dettaglio dell’ambiente che mi circonda per scovare la mia preda. Ho notato una irregolarità sopra a quel tetto, gli uccelli che ci hanno fatto il nido erano fuggiti, evidentemente spaventati da qualcosa. Inoltre mi era parso di vedere una distorsione nell’aria, come se la luce fosse stata riflessa. Così ho scoccato la freccia e sono stato fortunato.» spiegò semplicemente, sorridendo come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Gilia era impressionato. Entrarono anche gli altri tre e Deria si avvicinò ad Alea ed Eiliis.

«La dragonessa sta benissimo, il problema è la tua amica, è da lei che ha origine questo malessere. Hanno un legame molto forte, vero?»

«Sì, è per questo che anche Eiliis sta male, giusto?»

«Esatto.»

«Ma cosa le è successo?»

«Immagino sia stato Albecius.» si grattò il mento Codus, lo sguardo basso, pensoso.

«Maledetto. Cosa può aver fatto?!» ringhiò Thor stringendo il pugno.

«Non lo so, ma immagino sia stato a tavola. È stato via per due settimane, proprio oggi doveva ritornare?!» si disperò ancora Codus.

«Meglio, almeno ci siamo noi qui. Non so cosa stia succedendo, ma penso di sapere il perché.» esclamò Corvinus.

«Vorreste informarci, padron Gilia?» disse Thor.

«Come prima cosa, spogliatevi tutti, anche la biancheria. Devo vedere i vostri corpi, devo essere sicuro di potermi fidare di voi. È brutto chiederlo anche a chi conosco da anni, ma è necessario.»

«Cosa...?!» esclamò Deria.

«No, ha ragione. Non so il perché di questa richiesta, ma sono sicuro che se lo sapessi lo chiederei anche io. Poi tanto siamo tutti uomini e una donna che Gilia ha già visto nuda, quindi non ci sono problemi, dico bene? Magari però potremmo andare a spogliarci in una stanza separata.» disse Dyus.

«Hm, va bene.» rispose Codus.

«Non capisco, ma in qualità di guerriero, non ho paura di mostrare le mie nudità!»

«È un po’ imbarazzante, ma se è davvero importante...»

«Immagino che io dovrò essere il primo, visto che non ci conosciamo e quindi sono quello di cui vi fidate di meno, giusto?» domandò il padrone di casa.

«Sei sveglio. Sto cominciando a pensare che tu lo sia anche troppo.» lo fissò attentamente.

«Andiamo di là, allora.» ridacchiò allegramente, ignorando le accuse nemmeno tanto velate.

Condusse il Cavaliere in un’altra stanza ed iniziò a togliersi i vestiti. Quando fu nudo aprì le braccia e si voltò mostrando tutto il corpo.

«Trovato quello che stavate cercando?»

«No, ed è meglio così. Ma con le arti mistiche non è difficile nascondere un tatuaggio. Dovrò ispezionarti più accuratamente.»

Avvicinò la mano, il Cerchio d’argento che si illuminò.

«Tatuaggio? Che tipo di tatuaggio?»

La voce era genuinamente curiosa, interessata, sospettosa.

«Sembri sincero, e nei tuoi ricordi non vedo niente di male. Ma anche nascondere dei ricordi può essere semplice, per chi lo sa fare.»

«Da quello che ho capito, mi siete entrato nella testa. Avrei gradito un avvertimento prima, magari. Ma complimenti, non mi sono accorto di niente. Quando lo fa Deria, invece, sento sempre una sensazione spiacevole. Tanto per essere chiari, comunque, non ho tatuaggi. Ma so di alcune persone in città che ce li hanno. Se volete dirmi che forma dovrebbe avere quello che state cercando, forse posso aiutarvi.»

«Sei pulito, puoi rivestirti.» disse alla fine Gilia.

«Che sollievo!»

Lo osservò rimettersi gli abiti e quando si fu rimesso la cintura, gli rispose, osservandolo attentamente per notare ogni minima reazione.

«Uno scorpione.»

E la vide. Un guizzo rapido negli occhi come se avesse avuto un’improvvisa illuminazione. Li fissò in quelli del Cavaliere.

«Per caso visto a tre quarti, con la testa rivolta verso sinistra, le chele alzate e la coda pronta a colpire?»

«Sì, come lo sai?!» si scioccò Corvinus.

«Non avete detto di avere visto i miei ricordi?»

«Certo, ma ovviamente non tutti! Cercavo spazi vuoti, come se fossero stati bloccati, cercavo dettagli che potessero farmi pensare che tu sei uno di loro. Ora dimmi come sai della forma del tatuaggio.»

«“Loro”? Che sono, una qualche organizzazione? Ce l’ha uno che conosco, sulla spalla sinistra.»

«Sì, si tratta di un’organizzazione molto pericolosa e l’Ordine sta cercando di sistemarla al momento. Ora esamino gli altri, poi ne parliamo.»

 

«D’accordo, ora parlate di questi scorpioni.» disse Dyus.

Si trovavano tutti nella stanza di Alea, Deria che le stava vicino e le sistemava un panno bagnato sulla fronte.

«Di che stai parlando, Dyus?»

«Chiedilo a lui.»

«Sì, ora vi spiegherò tutto. Si tratta della Setta dello Scorpione, un’organizzazione nata da circa venti anni che, da quello che sappiamo, mira a rovesciare l’Impero, anche se siamo sicuri che abbia anche altri scopi. Tra le sue fila ci sono molti individui pericolosi, come mistici potenti, spettri, elfi oscuri, demoni maggiori, un demone alato e innumerevoli subordinati, semplici umani, demoni inferiori e probabilmente anche qualche nano. Il capo di tutta la Setta si presume sia un individuo che viene chiamato “Architetto”, ma non si sa che cosa sia ancora.»

«Volete dirmi che c’è qualcuno superiore ad un demone alato? Non mi suona bene.» commentò Dyus.

«Già. Una delle poche cose che sappiamo per certi è che ogni affiliato della Setta è marchiato da un tatuaggio raffigurante uno scorpione. Esso è importante perché permette un legame mentale tra gli Scorpioni vicini e permette all’Architetto di conoscere l’ubicazione di tutti e di dare i suoi ordini. Ma essi non vengono ricevuti come telepatia, piuttosto come sensazione: essi sanno cosa devono fare. Nessuno se non il demone alato ha mai visto o sentito l’Architetto.»

«Ecco perché bastava controllare che non avessimo un tatuaggio per assicurarvi che nessuno di noi è uno Scorpione.» disse Codus.

«L’Ordine è bene informato, vedo. Vi credevo più guerrieri che spie.» osservò Thor, leggermente deluso.

«L’Ordine non è formato solo da Cavalieri, ma c’è anche un reparto di intelligence che collabora con la Gilda dei Ladri.»

«La Gilda dei Ladri?!»

«Ma non era una leggenda?»

«Interessante.» sorrise incuriosito Dyus.

«Siirist, il Cavaliere d’Inferno, è colui che ha scoperto dell’esistenza della Setta. Egli è anche un ladro e durante il suo esame d’ammissione per la Gilda ha assistito ad una riunione ed è saltato fuori che Umbranox complottava con la Setta, per quanto non fosse lui stesso uno Scorpione.»

«Ecco di cosa si è trattato, allora!» si sorprese Codus.

«E dov’è ora il Cavaliere d’Inferno? Il suo aiuto sarebbe utile.» chiese il padrone di casa.

«A Zanarkand. È stato mandato in missione per fermare un gruppo di Scorpioni che ci si è diretto, mentre noi siamo venuti qui.»

«Quindi non si è trattato di una visita di cortesia.» concluse Deria.

«No, mi dispiace. Siamo ancora in addestramento, non possiamo andarcene da Vroengard.»

«Quindi l’Ordine ha saputo che ci sono degli Scorpioni qui a Cheydinhal e vi ha mandati. Questo spiega le azioni di vostro cugino, chiaramente lui è uno Scorpione.» ipotizzò Dyus.

«Non per forza, per quanto sia una possibilità valida. È sempre stato un affamato di potere, per quello che ne sappiamo sta agendo di testa sua.» rispose Gilia.

«Non capisco, ora che non ci sei tu è lui l’erede al trono! Perché attaccare ora?» puntualizzò Deria.

«Quella sporca vipera vuole diventare conte ora! Sul mio onore di guerriero, giuro che non gliela farò passare liscia!»

Cadde un leggero silenzio, interrotto poi dalla voce tranquilla di Dyus.

«Non mi sembra poi così forte.»

«Stai scherzando?! È riuscito ad impedire ad Alea di entrargli nella mente, ha sottomesso mio padre, Adrian e tutte le guardie del castello al suo volere. È un ottimo stregone con grandi capacità mentali! Nemmeno lo riconosco più.»

«Non so quanto tutto sia frutto delle sue sole abilità.» disse Codus, strofinandosi il mento mentre pensava.

«È vero, ad Alea ha detto che la sua protezione mentale è assoluta grazie agli anelli.» aggiunse Deria.

«E i suoi riflessi sono penosi. Quando ho scagliato la mia freccia, voi, Gilia, vi siete girato perché vi siete accorto del sibilo, mentre vostro cugino l’ha notata solo dopo che lo aveva già ferito. In uno scontro ravvicinato sarebbe facilmente sconfitto, inoltre ci basta togliergli gli anelli e sarà privato di ogni potere, giusto?»

«Quindi ci basta mozzargli le mani!» esclamò Thor, accarezzando la sua ascia.

Gilia osservò sempre più interessato il nuovo fidanzato della sua vecchia amata. Era sicuro di sé, dal pensiero rapido e arguto, ma comunque semplice. Era bravo ad analizzare la situazione e non aveva alcuna paura di affrontarla, per quanto l’avversario avesse poteri tali da poterlo annientare in un colpo. Posò lo sguardo poi sul suo avambraccio destro, che vedeva protetto da un bracciale d’acciaio ed indossava un guanto di pelle nera che copriva la mano sinistra. Effettivamente lo aveva visto impugnare l’arco con la destra.

«Sei mancino, vero?»

«Come? Ah, sì.»

«Mi ricordi il Cavaliere d’Inferno.»

«Davvero? Ma che onore!»

«Deria, per quanto avrei voluto conoscerlo in una situazione più calma e piacevole, sono felice di averlo visto in questa, perché si vede il suo vero carattere. Mi piace e approvo pienamente.»

La ragazza sorrise piena di gioia.

«Ti avevo detto che è fantastico!»

«Questo vostro giudizio mi rende anche più onore, nobile Gilia.» sorrise soddisfatto.

 

 

~

 

 

Banko/Zack. Non ti piace Tidus? E tranquillo, tra qualche capitolo ci sarà l’incontro tra le due donne! Hai visto da solo come sono messi Gilia e Alea e com’è la situazione con Deria! Scusa la risposta sbrigativa, ma hai detto di mandartelo oggi e io ho da fare al momento, ho visto la mail solo per caso! Alla prossima!

 

Il prossimo capitolo si intitola LE RELIQUIE DELLA LUCE e sarà pubblicato domenica 12. Ricordo che qualche commentino non mi fa dispiacere.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** LE RELIQUIE DELLA LUCE ***


 

LE RELIQUIE DELLA LUCE

 

I Cavalieri ed i loro draghi furono condotti da un bot fino alla biblioteca del palazzo. Siirist rimase sorpreso nel vedere quanto fosse fornita, era grande quanto l’intero dormitorio dei Cavalieri in addestramento. Ma non poteva minimamente essere paragonata alla biblioteca della Rocca, almeno dieci volte più grande. Andarono nella parte centrale dove trovarono un caminetto ed il granduca sedutovi davanti che leggeva un libro.

«Eccoci.»

«Molto bene. Suppongo siate più che curiosi e che quindi vogliate che arrivi direttamente al punto, dico bene?»

«Benissimo.»

Yevon sospirò.

«Da dove comincio? Suppongo che tanto valga cominciare dalla comparsa delle Reliquie. Durante la battaglia tra l’alleanza di elfi e umani contro gli angeli, nonostante il grande numero della prima fazione e la capacità degli elfi di usare la magia, gli angeli erano ancora in vantaggio. Il loro potere, dopotutto, derivava direttamente da Soho ed uno dei generali aveva persino messo sotto sigillo Siiryll, il decimo Esper. Quando Soho si accorse che i suoi figli avevano troppo del suo potere, decise di donarlo anche agli elfi, ma allo stesso tempo temeva che, una volta ottenutolo, anche essi potessero assoggettare gli umani, per cui fece forgiare a Tenma una spada ed un’armatura che poi infuse con il suo potere, e le donò al condottiero degli elfi, Adorellan, divenuto poi il primo re degli elfi. Grazie ad esse, che erano l’essenza stessa della forza di Soho e non una semplice emanazione come lo erano gli angeli, Adorellan riuscì a sconfiggere Siiryll e a rimandarlo in Oblivion, per poi sconfiggere gli angeli.»

«Da solo, solo un elfo ha sconfitto tutto l’esercito degli angeli?!» esclamò Siirist, gli occhi sgranati.

«Gli angeli non erano nemmeno un migliaio, e la loro forza può essere paragonata a quella di un demone alato di classe S. Il potere di un dio, invece, si dice sia oltre cento bilioni di douriki. E Adorellan, con indosso l’Armatura, aveva quel tipo di forza fisica, mentre la Spada racchiudeva lo stesso livello di potere distruttivo.»

Siirist e gli altri due Cavalieri deglutirono. Ryfon dovette farlo più volte, poiché la gola gli era diventata improvvisamente secca. Persino Rorix era agitato, il solo pensare ad una potenza simile dava i brividi.

«Senza stare a spiegare tutti i dettagli su come l’Armatura e la Spada sono state tramandate nel tempo, dopo la fine della guerra tra Cavalieri e demoni, si decise di spartire in maniera più o meno equa le due Reliquie, dividendo la Spada in tre parti e l’Armatura in quattro. Si ottennero così il Pomolo che fu preso in custodia dai Cavalieri, l’Elsa e l’Elmo vennero presi dalla famiglia reale di Rivendell, la Lama e la Corazza diventarono i tesori della famiglia imperiale degli umani, i Septim, i Guanti furono donati ai nani di Tronjheim e i gambali all’Imperatore Raizen. Con l’ascesa al potere dei Kelvhan di Ellesmera, solo l’Elmo rimase a Rivendell, mentre l’Elsa fu portata alla nuova capitale, così come accadde alla Lama, portata qui a Zanarkand quando fu fondata e la famiglia imperiale fu divisa in due rami, mentre la corazza è rimasta ad Arcadia.»

«Arcadia non è moderna come città, essendo una Città delle Macchine?» domandò Siirist.

«Arcadia è sempre stata la capitale dell’Impero degli uomini, ed è nata come città antica, per poi svilupparsi come Città delle Macchine. Inizialmente infatti era una cittadella sopra da un monte, al centro di una vallata, mentre ora vi è costruita l’intera città nuova e la cittadella è diventata parte del palazzo imperiale.»

«Deve essere immenso!»

«Circa cento volte questo. È impressionante da pensare, lo so.»

«Siirist, non distrarre il granduca, lasciagli finire il discorso, è importante.» si intromise Ren.

«Ah sì, chiedo scusa.»

«Non vi preoccupate, Cavaliere d’Inferno. In ogni caso, è chiaro ormai che la Setta dello Scorpione stia mirando a riunire tutte le Reliquie, e se ci dovessero riuscire, sarebbe impossibile fermarli.»

‹E chi fermerebbe una potenza di oltre cento bilioni di douriki?!›

«Sappiamo che possiedono già i gambali, e se dovessimo seguire l’ipotesi del Cavaliere d’Inferno, potremmo considerare che sono un dono del demone alato all’ “Architetto”. Ora mirano a recuperare le parti della Spada, per cui dovrebbero venire qui, come già hanno fatto, andare ad Ellesmera e a Vroengard.»

«Prendere il Pomolo credo sia impossibile, se si trova a Vroengard. È proprio necessario recuperare tutte le Reliquie per usarne il potere?» chiese il Cavaliere con la dragonessa verde.

«Sì. Per ottenere la forza fisica di un dio, è necessario equipaggiare le quattro parti dell’Armatura, mentre per usare i poteri distruttivi della Spada, sono necessarie le tre Reliquie. Senza il Pomolo sarebbe una spada indistruttibile e perfettamente affilata, logicamente, ma il vero potere divino si trova nel Pomolo. Dovreste sapere come funziona anche solo pensando alle vostre spade, la cui energia è contenuta nelle gemme.»

I tre Cavalieri annuirono. Ren li guardò seriamente, per poi battere le mani sulle cosce e alzarsi.

«Ora che avete compreso la situazione, avete capito che gli Scorpioni non devono prendere la Lama per nessun motivo. Maledizione, se solo avessimo saputo in anticipo quale fosse il loro obiettivo, saremmo venuti più numerosi.»

«In tutti siamo otto, e io non ho nemmeno finito l’addestramento. Considerando quanto è seria la questione, non possiamo permetterci di perdere per nessuna ragione. Ren, non c’è modo di far arrivare rinforzi?»

«Da Vroengard no sicuro, ma forse da Bevelle sì. Dopotutto è solo un’ora e mezza di volo da lì, inoltre è una Città delle Macchine, per cui hanno quei sistemi di comunicazione istantanea a lunga distanza, come si chiamano ancora, granduca?»

«Schermi di conversazione. Seriamente, so che i Cavalieri sono molto legati alle tradizioni ed è anche vero che la maggior parte di voi è ben oltre il secolo di vita, ma forse dovreste aggiornarvi tecnologicamente.»

«È già tanto che ci siano i lampioni, e sono pure pochi.» fece notare Siirist.

«Ma non vanno a Materia, bensì a gemme ricaricate magicamente.» corresse Ren.

«Davvero? Non lo sapevo! Ostinati fino alla fine, siamo, eh?»

«Le vecchie abitudini sono dure a morire, e i membri del Consiglio hanno tutti sui duemila anni, alcuni anche più. E ammetto che persino io, che sono molto più giovane, ho difficoltà ad abituarmi a certi nuovi oggetti. Tu sei giovane, hai la mente più aperta.»

«Pure Evendil, che ha solo cento ventitré anni, è ostinato. Vedessi come mi ha trattato quando mi ha visto usare un fucile una volta!»

«E aveva ragione. Ma ora non perdiamo altro tempo. Granduca, dobbiamo metterci in contatto con il palazzo del governatore.»

«Certamente.»

 

Siirist si trovava a letto, steso con la mani sotto la testa, Rorix sulla pancia che si sollevava ad ogni respiro del Cavaliere. I pezzi dell’armatura di Siirist volteggiavano sopra di loro, mentre il ragazzo si concentrava per far rimanere l’incantesimo stabile, mentre faceva levitare alcuni pezzi di arredamento, e fiamme comparivano improvvisamente in aria.

‹Stai facendo bene.›

‹Gli allenamenti di concentrazione sono i migliori per non pensare. Ora zitto, mi distrai.›

Corrugò la fronte quando fece comparire dei blocchi di ghiaccio e delle luci ad intermittenza, ma quando generò delle scariche elettriche, tutto quello che aveva fatto fino a quel momento fu annullato, e l’armatura cadde su di lui ed il drago, mentre i mobili ritornarono sul pavimento con un tonfo.

‹Maledizione, ho esagerato.›

‹Piano, piano stai migliorando, va bene così. Fino ad un mese fa dovevi rimanere concentrato solo sugli oggetti volteggianti! Dai, che forse c’è ancora qualche speranza con te!›

Il ragazzo scansò le protezioni e si mise a sedere, il drago che si spostò sul letto, e si massaggiò gli occhi ed il ponte del naso.

‹Mal di testa?›

‹Un pochino.›

‹Prenditi una pausa, vai a fare una passeggiata o qualcosa.›

‹Ottima idea. Questo posto è così grande che la voglia di esplorarlo è certamente enorme!›

‹E ci sono in giro molte cose preziose.›

‹Verissimo.›

‹Ma non le devi rubare.›

‹Ma certo!›

‹Eh, non si sa mai con te. Nemmeno alla Rocca si può rubare, eppure qualche furterello all’inizio l’hai commesso.›

‹Ma dai, quasi niente! Giusto se mi servivano dei soldi per mangiare li prendevo qua e là!›

‹Per mangiar bene, vorrai dire! Non puoi certo dire che senza soldi non campi! La Rocca ti offre tutto!›

‹Ma all’inizio dovevo ancora abituarmi a non mangiare carne e mi andava molto!›

‹Appunto. Ingordo.›

‹Ma se pure tu la mangiavi di gusto!›

‹E ci credo! Io sono un carnivoro! Mangiare carne vera è sempre una meraviglia! E una volta tanto era piacevole, anche se poi si tornava a quella della mensa. Quando hai fatto l’esame della Gilda, invece, che per più di una settimana ho mangiato carne vera, dopo essere tornato alla mensa ho sofferto.›

‹Come se potessi dimenticarmelo... Avevo la testa piena della tua voglia di carne e sangue! Avevo la nausea.›

‹E io che dovrei dire, che non fai che pensare ad Alea e a cose pervertite? Stai contento che non ho detto ad Eiliis che fai ancora pensierini ogni volta che vedi una bella ragazza!›

‹Ma non lo farei mai davvero!›

‹Non credo che Alea sarebbe soddisfatta da questa giustificazione.›

‹No, hai ragione...›

Drago e Cavaliere erano intanto ritornati nel salotto dove il granduca li aveva fatti accomodare al loro arrivo e da lì avevano ripreso il corridoio circolare proseguendo oltre la porta che dava sul grande terrazzo fino ad arrivare ad una porta sulla destra. Come il ragazzo si fu avvicinato, essa si aprì, rivelando un salottino senza finestre, con un grosso lampadario di cristallo che illuminava la stanza grazie a delle Materia, un focolare sulla destra e un’elegante scalinata di legno intarsiato sulla sinistra. Scesero quattro rampe di scale fino a che non raggiunsero un’ampia sala decorata con quadri di grandi artisti, drappi e tappeti, molti di questi di fattura elfica, e altri mobili reggenti vasi pregiati contenenti fiori che profumavano l’intera stanza, al centro della quale vi era una fontana con petali di rosa che galleggiavano nell’acqua dal colore leggermente rosato.

‹Mi spieghi che senso avrebbe questa sala? Questo posto è pieno di stanze inutili.›

‹Vero, ma è una gran ficata!›

‹Non dirmi che ti piacerebbe vivere in un posto simile?!›

‹Altroché!›

‹Non capirò mai voi bipedi. Noi viviamo in grotte.›

‹Allora non dormirai più sul mio letto, se vuoi mantenere alto l’onore dei draghi.›

L’Inferno affondò le sue zanne nel cranio del Cavaliere. Spazientito, questi alzò gli occhi per incontrare quelli del compagno, due rivoli di sangue che colavano lungo la fronte. Quando Rorix si fu staccato, il biondo si guarì.

‹Bell’incantesimo.›

‹Rigenerare ossa, carne, muscoli o pelle è semplice. Il problema si ha quando si arriva agli organi.›

‹Solo un anno fa impazzivi nel rigenerare i muscoli. Altri tre anni e saprai guarire perfettamente anche gli organi!›

‹Poi mi tocca pensare a come far ricrescere arti mancanti!›

‹E tanto altro.›

‹Appunto. Tu invece proprio niente organica, eh?›

‹Lo farei anche se ne avessi il tempo. Ma sai bene che ho ridotto al minimo i miei studi di magia per  allenarmi il più possibile con la mente così da poter aiutare te! Frana!›

‹Fai silenzio.›

La parete opposta della sala rispetto alla scalinata era divisa in quattro parti, in ognuna delle quali vi era una porta, da tre mezze colonne. Siirist si diresse verso quella più a sinistra e la aprì, ritrovandosi in un lungo corridoio. Lo percorse tutto fino a che non arrivò ad un pianerottolo delimitato da una ringhiera, con a sinistra una scalinata che portava alla palestra al piano di sotto, dentro alla quale trovò vari soldati da una parte e solo uno con un bambino dall’altra. Questi aveva all’incirca sei, sette anni, morbidi capelli biondo scuro, pelle chiara. Nella destra brandiva una spada corta che, però, per la sua statura era quasi una spada lunga, e duellava con il soldato. Siirist, interessato, si appoggiò alla ringhiera e Rorix gli si appollaiò sul capo. Il maestro ci andava piano, naturalmente, ma c’era da ammettere che il bambino ci sapeva fare; era più bravo di com’era Siirist quando Evendil lo aveva cominciato ad allenare! Ryfon lo osservava attentamente mentre, in contemporanea al duello, il bambino faceva levitare anche quattro frecce con il mago di corte che lo controllava.

‹Deve essere il figlio del granduca.› suppose il drago.

‹Chi sa se anche Gilia ha ricevuto un addestramento simile? Se mentre si allenava con Thor, Adrian gli faceva utilizzare anche le evocazioni. Sono contento di non essere di famiglia nobile, non avrei avuto la libertà che ho invece avuto!›

‹Non saresti un ladro, questo è certo.›

‹E nemmeno sarei stato l’apprendista di Hans, per cui non avrei incontrato Evendil e non avrei toccato il tuo uovo!›

‹Su questo ti sbagli. Eri destinato a me, per cui, in un modo o nell’altro, mi avresti toccato. Probabilmente, se tu fossi stato nobile, le suppliche di Evendil al Consiglio per far rimanere ancora un anno il mio uovo nella Prova sarebbero state accolte e quindi tu l’avresti affrontata normalmente e mi avresti toccato. Ma non saresti la persona che sei, saresti un noioso nobile, quindi meglio così.›

‹Trovi Gilia noioso?›

‹Non noioso, scusa, volevo dire banale.›

‹Quindi Gilia sarebbe banale?›

‹Beh, sì. Non parlo di carattere, abilità o simili, parlo della sua vita. Che ha fatto di eccitante Gilia nella vita? Come l’hai vissuta tu, le cose che hai fatto tu, non c’è nessun altro Cavaliere simile a te.›

‹Ti ringrazio! Che è, il terzo complimento che mi fai in tre anni?›

‹Una media di uno all’anno. Mah, mi sto rammollendo.›

‹Sì, sei proprio un amore!› e lo accarezzò.

‹Vuoi che ti stacchi il dito? Così ti alleni nella rigenerazione degli arti!›

Siirist rise. Intanto il duello del bambino si era concluso ed il mago aveva guardato verso la ringhiera al piano superiore.

«Cavaliere d’Inferno, volete unirvi a noi?»

Ryfon ci pensò su. Ora che non c’era Evendil aveva la possibilità di riprendere da dove aveva lasciato a Kvatch.

«Molto volentieri, ma vorrei provare anche alcune delle vostre armi a Materia, se non vi dispiace.»

«Certamente, nessun problema!» rispose il maestro d’armi.

Il bambino si era girato e, con immensa meraviglia, aveva osservato il ragazzo saltare oltre la ringhiera ed atterrare tranquillamente dieci metri sotto.

«Voi siete... un Cavaliere?» chiese quasi in estasi, gli occhi lucidi.

E lì Siirist si sorprese veramente. Vedere quel bambino allenarsi, come combatteva, come riusciva a tenere ben quattro frecce quasi immobili a mezz’aria allo stesso tempo, gli aveva fatto credere che fosse chi sa quanto maturo, quanto avesse perso la sua fanciullezza, quanto fosse abituato a cose come Cavalieri e draghi. Eppure, nonostante ce ne fossero quattro che vivevano in quel palazzo, il vedere un altro Cavaliere lo meravigliava. A Ryfon non poté che venire in mente com’era lui nemmeno tre anni prima, come amasse e si divertisse ad andare alla biblioteca di Skingrad e leggere volumi su volumi sulle antiche leggende, sui Cavalieri e sugli eroi. Ed aveva sedici anni. Quasi si imbarazzò a pensarci. A sei, sette o otto, ora che lo vedeva più da vicino, come poteva averne il bambino andava bene, ma forse a sedici diventava un po’ ridicolo.

‹Non proprio, visto che alla fine sei diventato proprio un Cavaliere. E non hai fatto questa faccia quando hai visto il tuo primo Cavaliere! Questo ragazzino è un idiota.›

‹E tu sei il solito insensibile.›

«Sì, sono Siirist Ryfon, il Cavaliere d’Inferno. E lui è Rorix.»

«Piacere! Io sono Glallian Yevon!» rispose estasiato.

«Combatti sorprendentemente bene! Quanti anni hai?»

«Cinque!»

‹Che cosa?!›

‹Idiota, ma formidabile.›

‹La smetti?! Ha solo cinque anni! È normale che si comporti da bambino! Lo è!›

‹Allora? Io ne ho tre e mezzo e sono più maturo di voi due messi insieme.›

‹Non sei sempre tu che dici che voi draghi siete superiori, bla bla e cazzate simili?›

‹Sì, è vero, mi dimentico sempre di quanto siate insignificanti come creature voi bipedi.› rispose con voce vanitosa.

Siirist sospirò mentalmente.

«Sono davvero impressionato. Se non vi dispiace, tra qualche anno gradirei tornare qui e sfidarvi a duello.»

«Cavaliere d’Inferno, non gli dite così, altrimenti si monta la testa e non si allena più!» si preoccupò il maestro d’armi.

«Ma dovete essere molto più forte di così, capito, Glallian?» aggiunse Ryfon.

«Va bene!» rispose felice.

«Se volete, intanto potete duellare con noi.» propose il mistico, uno sguardo di sfida.

Siirist lo guardò interessato. Sorrise compiaciuto e sguainò Beleg runia. Rorix volò via dalla testa del Cavaliere, minacciando di torturalo per i prossimi dieci anni se avesse perso, ed il ragazzo si mise in posizione, la spada stretta saldamente nella sinistra, il braccio disteso che segnava un angolo di quarantacinque gradi con il pavimento, la punta rossa che lo sfiorava. Il soldato sguainò spada e ascia, mentre il mago impugnò l’asta metallica che portava sulla schiena, ricoperta completamente da incantamenti. Prima che gli avversari si muovessero, l’occhio rapido del ladro li aveva completamente analizzati e aveva visto che il mago portava anche due pugnali alla vita, uno per fianco, mentre il soldato aveva numerosi oggetti attaccati alla cintura. Parevano cilindri metallici, ma la piccola escrescenza che ognuno di essi aveva sulla cima lo mise in guardia.

‹Che siano interruttori?›

‹Può essere. Stai in guardia. Non sottovalutarli solo perché sono umani. E ripeto, se perdi te la faccio pagare.›

Per primo partì il guerriero che attaccò con l’ascia bipenne ad una mano, le lame dalla forma a mezzaluna, con uno sgualembro roverso dritto. Siirist alzò la mano destra, il palmo aperto e la frappose all’ascia.

«Specchio.»

Si formò un cerchio di luce contro cui l’arma del soldato rimbalzò, mandandolo indietro e facendogli perdere l’equilibrio. Ryfon avrebbe subito attaccato, mettendolo definitivamente fuori gioco, se non avesse dovuto evitare l’incantesimo dell’altro avversario che alle parole “Nube velenosa” aveva fatto comparire del fumo violaceo attorno al ragazzo. Ma prima che questo fu completamente comparso, il biondo era già saltato indietro, osservando attentamente la magia. Non aveva la minima idea di che cosa fosse, ma il nome “velenosa” di certo non ispirava niente di buono. Inoltre l’energia che percepiva gli faceva capire che l’incantesimo era di elemento vento, quindi il ragazzo non ci mise molto a pensare a come neutralizzarlo. Puntò la spada in avanti, richiamando 100 douriki che vennero amplificati dal Cerchio d’argento e dagli incantamenti dell’arma.

«Diventa ghiaccio.» e la nube si congelò.

Il guerriero era già ripartito alla carica con uno sgualembro dritto che Siirist evitò ruotando su se stesso in senso antiorario e allo stesso tempo muovendosi verso sinistra. Parò il successivo fendente con un tondo dritto roverso ed il successivo tondo roverso dritto dell’ascia bloccando con indice e medio destri l’avambraccio dell’avversario, il tutto in rapida successione. Ma non ebbe nemmeno mezzo secondo di sosta che dovette balzare di lato per evitare delle frecce di luce, e contemporaneamente a lui lo fece il soldato. Quella mossa fu decisiva per far capire a Siirist come si stava effettivamente svolgendo lo scontro. Gli attacchi dei due erano perfettamente sincronizzati, vedere come i dardi splendenti si erano volatilizzati pochi centimetri oltre il punto in cui si era trovato poco prima lui gli fece capire che avrebbero preso in pieno lui ma non avrebbero nemmeno sfiorato il soldato. Vedere come questi si fosse spostato solamente nel preciso istante in cui lo aveva fatto lui, non un attimo prima e non uno dopo, gli fece intuire che era una loro tipica mossa combinata e che il guerriero era abituato a non far capire all’avversario che stava per abbattersi su di lui un forte incantesimo. Quei due erano una squadra formidabile, solo grazie ai suoi incredibili riflessi Siirist aveva potuto evitare di essere sconfitto, tanto che il mistico aveva lanciato il suo incantesimo in silenzio, così da renderlo completamente furtivo.

‹Stai prendendo nota?›

‹Certo! Tu invece pensa a combattere!›

A mezz’aria durante il balzo Ryfon compì un mezzo giro, così da ritrovarsi il mago a destra ed il guerriero a sinistra. Questi, che aveva sfruttato il suo salto nella direzione opposta a quella di Siirist per preparare il suo attacco successivo, aveva afferrato uno dei cilindri con la mano sinistra, reggendolo tra il mignolo e l’anulare, l’ascia tra indice e medio, ed il pollice sull’escrescenza metallica, oramai rientrata.

‹Lo sapevo, è un interruttore!›

Il cilindro fu lanciato ad un metro di distanza e cominciò a brillare di rosso/arancione. Nello stesso momento, il mago mosse il suo scettro esclamando “Cobra reale” e liberò un serpente di vento che inghiottì l’oggetto del guerriero nel momento esatto in cui esplose, trasformando l’incantesimo d’aria in uno amplificato di fuoco, che volò verso il ragazzo ed aprì la bocca, mostrando le zanne, dilatando il collo poco prima di colpire. Ma Siirist non ci pensò nemmeno e sorrise.

«Banchetto di fiamme.» portò in avanti la mano destra che entrò in contatto con le fauci del serpente infuocato.

Esso soffiò prima di essere estinto, e l’energia che lo componeva, sotto forma di fumo, andò verso la bocca ghignante del Cavaliere, che la inghiottì.

‹Ora sì che mi sento rinvigorito! Ma non aveva tanto un buon sapore, deve essere la Materia a non essere molto buona.›

‹Dimmi, se non fosse stato per Evendil che aveva notato la tua abilità di assorbire il fuoco durante il tuo scontro con Gilia nella caccia al tesoro del tuo diciassettesimo compleanno, tu l’avresti mai notata? E se sì, saresti mai riuscito a controllarla così bene?›

‹Sai già la risposta.›

‹Giusto, che lo chiedo a fare?

«Complimenti, Cavaliere d’Inferno.» batté le mani il mago.

«Ma non abbiamo ancora finito.» disse il guerriero levando la spada sopra la testa ed impugnandola con entrambe le mani.

Attorno alla base della lama si concentrò un fascio di luce bianca che poi la percorse completamente, irradiandola di una forte luce azzurra.

‹Sa usare anche lui la magia?!›

‹Di che stai parlando?› Rorix non capiva.

Il soldato menò un fendente spaventoso da cui partì una una lama verticale di luce che tagliò pure il pavimento. Siirist la evitò per un soffio, muovendo un passo verso sinistra. Sospirò sollevato per aver evitato un incantesimo simile, ancora con lo sguardo rivolto verso destra.

‹Cosa diavolo stai combinando?!›

L’urlo del drago lo richiamò alla realtà e guardò di fronte a sé, sgranando gli occhi con orrore. Il guerriero era ad un passo da lui, alla sua destra, leggermente piegato in avanti e verso sinistra. La spada, impugnata al rovescio e con una mano, sfiorava la gola del biondo.

‹Ma come...?›

‹Come puoi aver perso così stupidamente?!›

‹Ma no...! Io l’ho evitato, il fendente magico...!›

‹Quale fendente magico?!›

‹Quello che ha tagliato il pavimento...!›

Siirist guardò verso dove l’incantesimo era passato e, con immenso stupore, notò che non vi era traccia del solco che aveva lasciato l’incantesimo del soldato.

«Viranus non ha mai lanciato un incantesimo, non sa usare la magia.» spiegò semplicemente il mago.

«Ma io l’ho visto... e l’ho evitato!» Siirist non capiva.

«E io non mi sono mai complimentato. Tutto il contrario, mi aspettavo che il Cavaliere d’Inferno sapesse fare di meglio. Perché non avete mai attaccato? Vi credevate così superiore da potervi permettere di andarci piano? La vostra difesa mentale è penosa, non sapete nemmeno difendervi da un’illusione.»

Siirist chiuse gli occhi per la rabbia e l’imbarazzo. Ecco di cosa si trattava. Ma lui non aveva nemmeno cominciato a studiare le illusioni mentali! No, non era una scusa valida, certamente non l’avrebbe potuta usare in uno scontro vero, contro uno spettro! Era proprio per questo motivo che Althidon ed Evendil erano tanto contrari alla sua partecipazione alla missione! A differenza degli altri, non mettevano in dubbio le sue possibilità di combattere contro uno spettro, ma si preoccupavano solo del fatto che bastava un’illusione per batterlo. Per ucciderlo. Sentiva ancora la lama del guerriero che gli accarezzava la gola. Incominciò a tremare.

«Per il resto non siete male, ma cadere così facilmente in un’illusione di così basso livello è imperdonabile.»

Che umiliazione. Battuto così semplicemente da due semplici umani. Quel mago era molto abile, ma non era una giustificazione, restava solo un umano. E lui era stato così stupido da non prendere lo scontro seriamente. Rorix gli si avvicinò con passo incerto. Sentiva così bene le emozioni del Cavaliere da sapere che non era il caso di infierire.

‹Dai, non prendertela. Hanno sfruttato il tuo unico punto debole. Quando tornerai alla Rocca ti allenerai molto sulla mente e...›

‹Lasciami solo.›

Siirist rinfoderò Beleg runia e si incamminò, saltando sul pianerottolo superiore e continuando lungo il corridoio. Si muoveva lentamente, lo sguardo perso, la testa china. Quando ritornò in camera sua si buttò sul letto e finalmente esplose. Pianse, pianse come non aveva mai fatto in vita sua. Lacrime di rabbia, disperazione. Si sentiva stupido, ridicolo. Non gli era mai capitato di sfidare un mistico che non fosse un Cavaliere. Tutte le volte che era stato sconfitto si era detto che i Cavalieri non sono tali per niente, si era detto che gli sarebbero bastati pochi anni per superarli, che non era solo questione di douriki fisici ma che contavano le conoscenze e l’esperienza e che persone di oltre un secolo di vita ne avevano parecchia. Ma un misero umano. Un semplice umano di nemmeno trent’anni, che lo aveva fregato così facilmente. Batté un pugno infuocato sul letto, sfondando il materasso e dando fuoco a tutto ciò che toccava. E più piangeva, più le fiamme si rafforzavano e viceversa. Gli uscì un latrato dalla bocca che nemmeno pareva umano, un grido di sofferenza e rabbia.

Per la prima volta in tutta la sua vita si sentiva veramente inutile.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

Bene, rieccoci! In questo capitolo si può facilmente vedere come Siirist non sia affatto onnipotente! E sono felice di poter, finalmente, ringraziare più di una persona!

1)  Akita. Non si è mai troppo tardi, carissima! Anzi, sono più che felice che tu ti sia finalmente decisa! Quali riferimenti conosci e quali no? Se mi dici qualche tuo amore, posso vedere se inserirlo o no! Intanto nel futuro ci saranno due personaggi di Inu Yasha, poi non so se anche di qualche altro manga. Ma di certo i personaggi più utilizzati sono quelli di Bleach. Sono veramente contento che ti piaccia la storia, comunque, e non hai idea (o forse sì, essendo autrice) della fatica per rendere il tutto naturale. Per fortuna posso sfruttare l’ignoranza di alcuni personaggi per giustificare la spiegazione di qualcosa da parte di qualcun altro, ma non sempre di sta bene. Ora, una cosa che non mi piace... Trovi che Siirist sia stereotipato? Hm... tenevo ad avere un personaggio che apparisse come uno che si fa gli affaracci suoi ma che, quando proprio obbligato, sa anche prendersi le sue responsabilità. Dimmi cosa trovi di stereotipato, ti prego, almeno vedrò se sarà possibile cambiarlo! È l’ultima cosa che voglio! Anche tu mi dici che il tuo personaggio preferito è Evendil... beh, pare abbia fatto un buon lavoro con il personaggio, allora! Se pensi che ora sia potente, aspetta qualche capitolo, ci sarà una qualche idea della sua vera potenza! Era anche ora che cominciassero le missioni, la storia doveva pur prendere una piega, no? E sono felice che le trovi interessanti. Di certo lo è di più quella di Gilia e Alea, perché riconosco che quella di Siirist può non essere molto originale, difatti i capitoli di Cheydinhal sono tra i miei preferiti al momento e mi ci sto impegnando al massimo! È ovvio che Albecius risulti una vipera! Anche nel primo capitolo di Gilia (“Il doloroso addio”) viene detto che è una serpe! E Dyus... Onestamente, la mia prima idea è stata di introdurlo come il nuovo fidanzato di Deria, ma poi, mentre scrivevo, ho pensato di renderlo un traditore, per rendere gli sviluppi più interessanti e inaspettati. Ora non ti dico quale delle due ipotesi ho deciso, però! Siirist non è messo bene, ma ciò che lo contraddistingue maggiormente è la sua testa dura e il non saper perdere. Questo duello con il mago di corte gli è servito molto! Più di così, non ti dico!

2)  franky 94. Ma non preoccuparti minimamente! Anzi, sono contento tu sia tornato! Come vedi da qui, Siirist sarà anche potenzialmente potente (che cacofonia!), ma ancora ha molto da imparare! “La potenza è nulla senza controllo!” XD

3)  Banko/Zack. Eh già. La questione Deria è risolta (o no? Vedi la risposta ad Akita!). E non ti so dire di Albecius... Molto probabilmente creerò qualcuno di anche più fastidioso e odioso! Non so ancora che tipo di personalità dare all’Architetto... Ho paura che l’ “amico” di maggio possa avere troppo carisma e sovrastarlo, quindi devo vedere. Ma di certo non sarà la persona che vorresti invitare ad uscire per una birra! Ricordo che Alea si è aperta ed è diventata socievole con le poche persone di Vroengard con cui ha un rapporto stretto: Thor non è di certo fra questi! Dyus è un personaggio che mi piace molto, e per quanto possibile lo voglio sfruttare al massimo. Non dico ancora da che parte sta veramente, visto che sono sorti dei sospetti su di lui, ma è un buon personaggio. Il prossimo capitolo sarà di nuovo ambientato a Cheydinhal, e tutti i dubbi che hai espresso su Albecius saranno chiariti. Per finire, oltre ad introdurre un personaggio assai fondamentale, come dice il titolo stesso, ci sarà il ritorno di uno dei primi che ricordo aveva colto la tua attenzione.

 

Il prossimo capitolo si intitola LA VOLPE GRIGIA e sarà pubblicato domenica 19.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** LA VOLPE GRIGIA ***


LA VOLPE GRIGIA

 

Gilia era alla finestra e osservava l’esterno. Non vedeva nulla di sospetto, ma non si poteva mai sapere. Dunque, come minimo vi erano due Scorpioni a Cheydinhal, quello a corte e quello che conosceva Dyus. C’era solo da scoprire se suo cugino era uno dei due e se ce ne fossero degli altri. Il moro sperava che suo cugino fosse veramente coinvolto, perché in caso contrario, significava che nel castello vi era un’ulteriore minaccia. E ancora, Albecius era a conoscenza dell’esistenza della setta e vi collaborava, come aveva fatto in passato Umbranox, oppure ne era totalmente ignaro? Tutti questi dubbi tormentavano la mente del Cavaliere mentre allora stesso tempo si preoccupava per Alea.

«Calmatevi.» si avvicinò il padrone di casa.

«Come?»

«Si vede chiaramente che siete teso, avete tutti i muscoli facciali corrugati.»

«Hm, hai ragione.»

«Allora, qual è il piano?»

«Eh?»

«Ci riprendiamo il castello e liberiamo vostro padre e Adrian, giusto? Come facciamo? Non conosco il castello, mi dispiace ma per questo non potrò aiutare a preparare un piano d’attacco.»

«Sì, hai ragione. Ma prima di prepararne uno è meglio che facciamo una lista delle nostre armi, e sarà meglio che mi metta in contatto con i ladri.»

«Mi sembra sensato. Vado a prendere tutte le mie armi e le porto all’ingresso.» e si allontanò.

Il moro si voltò verso l’amica, stesa sul letto e ancora priva di sensi, ma almeno aveva smesso di agitarsi e sudare, così come Eiliis. Le evocazioni di Deria erano state efficaci.

‹Per fortuna che sono riusciti a prendere tutte quelle cose di Adrian!›

‹Già. Per quanto Deria sia specializzata in evocazioni curative, non ha l’abilità necessaria per evocare spiriti abbastanza potenti da guarire Alea, invece, grazie alle evocazioni prescritte da Adrian, le basta saperli controllare. Ma purtroppo non sono comunque abbastanza forti per rimetterla completamente in sesto.›

‹Perché non ci provi tu?›

‹Sai che non so quasi niente di stregoneria curativa, ci vorrebbe Evendil! E non sapendo minimamente cos’ha che non va, la magia sarebbe inefficace. E ancora, non sono un guaritore nemmeno con la magia. Se la situazione fosse inversa, sarebbe meglio, lei saprebbe come curarmi.›

‹L’importante è che ora sia fuori pericolo, si è stabilizzata. Ora ha solo bisogno di riposo e si riprenderà. Intanto noi pensiamo a completare la missione, così che non dovrà affaticarsi appena svegliata.›

‹Sì. Ho proprio voglia di prendere a mazzate la faccia di mio cugino, gliela farò rientrare. Tra Alea, mio padre e Adrian sono piuttosto adirato.›

‹Fortuna che sai calmarti. Quel pazzo di Siirist sarebbe già andato a dare fuoco al castello.›

‹Vero. Di certo lui non avrebbe problemi. Sicuro di sé andrebbe lì e farebbe un macello.›

‹Già, anche troppo sicuro di sé. È avventato. Ultimamente è diventato un po’ troppo sbruffone, crede di essere già invincibile.›

‹Hai ragione. Vorrà dire che, tornati alla Rocca, lo dovrò rimettere in riga!›

‹Hai un’occasione rara, hai qui il grimorio di Adrian, puoi scoprire come funzionano tutte le sue evocazioni.›

‹Lo farò senz’altro.›

Appoggiò una mano sulla fronte della fanciulla per assicurarsi che davvero non avesse più la febbre, per poi accarezzarle la mano con fare preoccupato.

«Tranquilla, lo ridurrò a una poltiglia. Tu intanto rimettiti.»

Si alzò e si diresse al piano di sotto, dove trovò tutti gli altri che avevano già disposto tutto l’equipaggiamento disponibile. Le armi di Dyus erano tre spade e tre pugnali, cento sessantatré frecce, quattro archi, due scudi e delle protezioni di cuoio. Poi vi erano spada corta e l’anello di Codus, i tre bracciali e due anelli di Deria, ventiquattro anelli, otto collane e nove bracciali di Adrian, oltre che il suo grimorio, lo spadone, l’ascia bipenne ad una mano di Thor e tre sue Materia, una rossa, una verde spento ed una giallo luminoso. Infine vi erano l’ascia bipenne a due mani ed il martello da guerra di Gilia.

«Siamo ben forniti. Dyus, hai delle armi di ottima fattura, complimenti.»

«Vi ringrazio.»

In quel momento Asthar prese a ringhiare, rivolto verso la porta della cantina.

‹C’è qualcuno.›

Gilia non ci pensò su e sguainò Enedome ithil, impugnandola con entrambe le mani, le dita della mano sinistra che si chiudevano e aprivano rapidamente uno dopo l’altro a saggiare la presa perfetta sulla mezza impugnatura.

«Che succede?» si preoccupò Dyus impugnando un arco e incoccando una freccia.

Pure Thor non perse tempo in domande ed impugnò il martello da guerra a due mani di Gilia, reggendo anche la Materia rossa tra il mignolo e l’anulare sinistri.

«Asthar ha sentito qualcuno nella cantina. Dyus, hai un ingresso secondario da lì?»

«Ehm... sì, cavolo.» rispose spiazzato il padrone di casa.

Allarmati, anche Codus e Deria si armarono con vari scettri, aspettandosi di vedere spuntare da un momento all’altro Albecius o qualche soldato sotto il suo controllo. Invece fece tranquillamente capolino un uomo vestito con una tunica turchese stretta alla vita da una cintura reggente un pugnale a sinistra ed un amuleto a destra che riportava lo stemma dell’Università Arcana. La mano destra portava un anello sull’indice ed uno sul mignolo, la sinistra sull’indice, il medio e l’anulare, oltre che una catenella al polso. L’orecchino al lobo sinistro, un diamante purissimo, rifletté la luce che entrava dalle finestre.

«Chi sei?» domandò il cacciatore puntando l’arco.

«Visto che sei tu a chiederlo, ti rispondo che mi chiamo Cassius Berich, mago, stregone e alchimista  del ramo della Gilda dei Mistici di Cheydinhal, nonché incantatore. Sono nato a Imperia e ho studiato le arti mistiche all’Università Arcana, per poi unirmi alla Gilda. Se fosse il Cavaliere d’Incubo a chiedermi chi sono, invece, potrei fornire una risposta diversa.» sorrise furbo.

«Sei della Gilda del ladri?» domandò Gilia.

«Al vostro servizio.» si inchinò.

«Come ci hai trovato?»

«Per favore, state insultando la nostra organizzazione. Vi abbiamo osservati da quando l’elfa e la sua dragonessa sono state portate qui insieme all’Incubo dai due apprendisti di Adrian. E abbiamo assistito a tutta la scena di Albecius Corvinus che veniva colpito dalla freccia. Complimenti, Dyus, nessuno di noi era riuscito ad individuarlo. Saresti interessato ad unirti alla Gilda?»

«No grazie, non sono interessato a rubare.» rispose quasi disgustato.

«E dai, non è che il nostro dovere sia solo quello di rubare! Principalmente, sì, ma ci occupiamo anche di infiltrazione e spionaggio. Siamo un alleato fondamentale per l’Ordine dei Cavalieri!»

«Ho detto di no.»

«Ti interesserebbe entrare nella Confraternita Oscura, allora?»

«No.» rispose con tono cupo, tendendo la corda e puntando la freccia.

«Ah, peccato. Tralasciando questo discorso, questa casa non è sicura, è meglio che mi seguiate al Santuario.»

«E dove si trova?» chiese Codus.

«Sotto tutta la città e anche oltre le mura.» sorrise il ladro.

«L’ingresso più vicino?» disse Gilia.

«La casa accanto.»

«Benissimo. Ma come facciamo ad andarci senza che nessuno se ne accorga. Abbiamo Alea da trasportare, non potremo essere poi molto furtivi. E tutte le nostre armi...»

«Portate solo il necessario, noi siamo ben forniti, possiamo benissimo equipaggiarvi noi. Il problema è l’elfa, questo è vero. Potremmo mascherarla con un incantesimo, ma Albecius ha evocato i suoi spiriti perché lo avvisino nel caso vengano utilizzate le arti mistiche in un’area di dieci chilometri. Siete stati fortunati ad aver smesso di guarirla.»

«Si chiama Alea.» disse Corvinus leggermente irritato.

«Irrilevante. Andate a prenderla e portatela giù. Preparate anche tutto il necessario, perché non appena sentiremo il segnale, dovremo uscire. Gli Scorpioni e vostro cugino non potranno essere distratti troppo a lungo.»

Il nuovo arrivato aveva detto due cose importanti, ma quella che venne più naturale a Gilia di approfondire per prima era quella riguardante suo cugino.

«Quindi Albecius non è uno Scorpione?»

«Purtroppo sta agendo individualmente. Non abbiamo nemmeno motivo di credere che sappia dell’esistenza della Setta.»

«Capisco... E cosa sarebbe il segnale di cui hai parlato?»

«Ve lo dirò quando arriverà. Ora muovetevi e preparatevi.»

Dyus e Thor annuirono e salirono al piano superiore, mentre Deria e Codus indossavano i loro amuleti e mettevano quelli del maestro in una borsa assieme al grimorio. Cinque minuti dopo i due uomini scesero, il guerriero che portava in braccio l’elfa, il cacciatore con la dragonessa tra il braccio destro ed il petto e la cintura con Raama tel’ arvandorea legata alla vita; prese con sé anche una faretra con venti frecce ed il suo arco migliore, lavorato con legno di cedro. Cassius guardò l’orologio appeso alla parete e sorrise.

«Ci siamo, altri trenta secondi.»

«Cosa succede esattamente tra trenta secondi?» chiese nervosamente Gilia, mano alla spada, che ancora non si fidava completamente del mago.

«Vedrete tra dieci, nove, otto...»

Come quello ebbe detto “zero”, si sentì un’esplosione che proveniva dal castello e tutti guardarono con sorpresa il ladro.

«Ora che è cominciata la distrazione, possiamo muoverci.»

Di corsa tutti andarono nella cantina, dirigendosi verso la parete opposta alle scale da dove erano scesi per trovare un’altra rampa che dava su una porta per l’esterno; essa era una porta per cantina come se ne vedevano molte in giro, non verticale ma inclinata di trenta gradi dal terreno. Aperta muovendo il battente verso l’alto e usciti all’esterno, Thor che faceva attenzione perché Alea non battesse la testa, camminarono furtivi verso la casa alla sinistra di quella di Dyus. Altri rumori di battaglia si erano aggiunti e Gilia era sempre più curioso di sapere cosa stesse succedendo. Non osava guardare con l’occhio mentale perché c’era il rischio che venisse scoperto e non voleva nemmeno chiederlo al ladro perché non potevano permettersi di perdere tempo. Raggiunsero la porta posteriore della casa e la aprirono, entrandoci poi uno per volta, Cassius per ultimo così da assicurarsi che nessuno li avesse visti.

«E ora?» domandò il Cavaliere.

Il ladro non rispose, ma fece cenno di seguirlo. Condusse tutti ad una porta che dava su delle scale discendenti e, raggiunta la cantina, si diresse ad una parete e spinse un mattone, rivelando così un passaggio segreto. Quando furono tutti passati, esso si richiuse, e si ritrovarono in un corridoio che conduceva ad una porta chiusa a chiave dall’interno. Il ladro bussò tre volte in un modo specifico ed essa si aprì. Gilia rimase stupefatto nel vedere la stanza davanti a sé; pensare che un luogo simile esistesse nelle profondità di Cheydinhal e che lui non ne sapesse niente era quasi imbarazzante. Si trattava di un rettangolo dai lati di cento e quaranta metri, la porta che avevano appena varcato che si trovava su uno di quelli corti. Al centro di entrambi quelli lunghi, vi era un portone di legno massiccio, mentre dall’altra parte della sala, vicino ad entrambi gli angoli, vi erano delle scalinate. Al centro della stanza vi era un quadrato dal lato di dieci metri delimitato agli angoli da quattro colonne squadrate, dove il pavimento non era di nuda roccia ma era ricoperto da tappeti eleganti di velluto rosso, sovrastati da poltrone e divanetti a due posti dello stesso colore e materiali, disposti apparentemente in maniera casuale. Il soffitto ad arcate era alto venti metri, i mattoni sul giallo, luci di Materia che illuminavano tutto l’ambiente, rastrelliere reggenti varie armi che tappezzavano le pareti alternandosi a due varianti di drappi, uno che era un rettangolo nero con dentro rappresentato un occhio grigio, l’altro, sempre un rettangolo nero, con al centro un teschio rosso.

‹Proprio come ci ha raccontato Siirist... Gilda dei Ladri e Confraternita Oscura.›

‹E anche il Santuario è simile a come ce l’ha descritto lui. Evidentemente li fanno tutti uguali.› commentò Asthar.

«Adagiala pure su quel divano, per il momento.» istruì Cassius.

Thor fece come detto e depositò delicatamente, per quanto fosse possibile ad un essere privo di grazia come lo era il guerriero, Alea sul divano di velluto rosso, e Dyus le mise vicino Eiliis, slacciando pure la cintura che reggeva la spada da Cavaliere e lasciandola tra la fanciulla e lo schienale. In quel momento si aprì una porta ed entrarono due uomini ed una donna. Questa aveva capelli biondo scuro tenuti in una coda da cavallo e la carnagione scura al punto giusto da sembrare abbronzata, gli occhi nocciola ed era vestita con una lunga tunica grigia di lana, stretta alla vita da una cintura con legato a sinistra un pugnale; sull’indice destro aveva un anello d’argento con uno zaffiro. L’uomo a sinistra indossava un’elegante veste nera di cachemire, alla vita portava una cintura con una daga per fianco ed al medio sinistro indossava un anello nero con un rubino. Infine, quello al centro, era vestito elegantemente, i pantaloni grigio chiaro, gli stivaletti neri, le camicia giallo spento ed il gilet di cuoio decorato grigio scuro. Al fianco sinistro portava una spada, al medio destro un anello d’argento con un topazio e in testa una maschera di cuoio grigio che lasciava scoperta la bocca. Gli occhi, invece, erano coperti, ma doveva esserci un qualche incantesimo sulla maschera, poiché l’uomo si muoveva perfettamente e da come muoveva la testa, era evidente che stesse vedendo. Gilia aveva una mezza idea di chi potesse essere, e quasi sudava per l’emozione.

‹Siirist mi invidierà a vita.›

«Bene arrivati, io sono la Volpe Grigia.»

Il Cavaliere esordì in un sospiro strozzato, ridacchiando leggermente.

«Cosa avete da ridere, Cavaliere d’Incubo?» domandò gentilmente.

«Come? No, niente. Sto solo pensando alla faccia di Siirist quando gli dirò che vi ho incontrato!» rise.

«Ah, certo, il Cavaliere d’Inferno. Sarei molto curioso di conoscerlo di persona. Mi dicono che ha molto potenziale, sia come ladro che come Cavaliere, ma si lascia sempre un po’ andare e per questo combina un po’ di macelli in entrambi i suoi doveri.» disse leggermente divertito

«Già. Ha un po’ esagerato nella sua missione con voi l’ultima volta.»

«Infatti gli è stato detto di imparare a controllare meglio la magia prima che ritorni a lavorare per noi. Ma non siamo qui per parlare del Cavaliere d’Inferno.»

«No. La vostra presenza qui significa che la questione è importante.»

«Molto. Dopo Zanarkand, dove si trova ora il Cavaliere d’Inferno, Cheydinhal è la città di cui la Gilda dei Ladri si sta occupando di più al momento. Ignoriamo il motivo, ma la Setta dello Scorpione pare essere particolarmente interessata ad essa. Al momento, infiltrati al castello, ci sono tre Scorpioni ed il nostro timore è che possano collaborare con Albecius. Che essi gli propongano un’alleanza è scontato, ciò che non possiamo sapere è se accetterà e quali saranno le conseguenze di ciascuna possibilità. La nostra priorità è di liberare Adrian Talmen dal controllo di vostro cugino, poiché si rivelerà un grande aiuto nella nostra battaglia. Mi dispiace, ma vostro padre viene dopo in ordine di importanza, Cavaliere d’Incubo.»

«Certo, capisco.» abbassò la testa.

«Ma occupiamoci prima dell’altra Cavaliere, poi parleremo di strategie. Helsa vi accompagnerà ad una stanza in cui potrete riposarvi. Riparleremo a cena.»

A Gilia pareva ridicolo aspettare tanto tempo quando l’intera città era in pericolo, ma pensò bene di affidarsi al giudizio della Volpe Grigia; non per niente era il capo della Gilda dei Ladri, sapeva fare il suo lavoro. Thor riprese sulle spalle Alea, mentre Gilia si occupò di Raama tel’ arvandorea e di Eiliis, seguendo la donna che aveva accompagnato la Volpe giù per le scale di destra della parete di fondo fino ad un corridoio su cui si affacciavano molte porte, una delle quali fu aperta dalla ladra, rivelando una stanza con due letti, su uno dei quali fu adagiata la fanciulla assieme alla sua compagna, mentre il moro si sedette sull’altro, con Asthar delle dimensioni di un mastino che si accucciò accanto a lui. Il ragazzo, salutati tutti gli altri, rimase a fissare l’amica, rammaricato, innervosito per il fatto che ancora non si fosse svegliata.

‹Stai tranquillo, non puoi fare niente al momento comunque.› disse il drago nero.

Il ragazzo sospirò ed appoggiò la schiena alla parete dietro al letto. Pensò all’uomo che aveva accompagnato la Volpe, come non pareva essere un ladro. Molto probabilmente era un assassino. Uomini della setta di Sithis, votati a punire con la morte chiunque si rivelasse malvagio e ingiusto e trasgredisse le regole del creatore Soho. Oppure ad uccidere su commissione.

‹Dio della morte, della giustizia e della pecunia. Siirist non ha tutti i torti quando dice che la religione fa schifo per la sua ipocrisia. Ora ci manca che venga fulminato.›

Ma non accadde nulla e tirò un sospiro di sollievo.

‹Cosa vorranno gli Scorpioni da Cheydinhal? Cosa c’è qui di particolare rispetto alle altre città? O ne è stata scelta una a caso?› i dubbi che turbinavano nella mente del giovane erano innumerevoli.

Resosi conto che non riusciva a rilassarsi e riposarsi fino a cena, Gilia decise di farsi una passeggiata per il Santuario. Uscì dalla stanza e si ritrovò nel corridoio, fermandosi per decidere se andare verso destra o sinistra. Lo percorse verso destra raggiungendo i bagni, allora andò dalla parte opposta e si trovò, dopo cento metri, le scale che aveva preso quando era venuto dal salone, che ignorò e continuò dritto fino ad arrivare ad una stanza di allenamento. Fu impressionato nel vedere quanti ladri e assassini ci fossero, come combattessero e quanto fosse grande la sala. Era un quadrato di oltre duecento metri per lato, con colonne dalla forma squadrata che delimitavano gli angoli di ogni quadrato dal lato di dieci metri, bersagli sul lato sinistro dove si allenavano gli arcieri, sul lato destro c’era chi duellava; su quello opposto alla porta da dove era entrato lui, vi erano dei balconi che arrivavano fino in cima e vari appigli, che gli adepti di entrambi gli ordini si allenavano a scalare, e gli assassini si lanciavano spesso da essi attaccando i manichini a terra, trafiggendoli con delle lame che uscivano dai bracciali che tenevano sugli avambracci.

‹Lame celate... ottime per un assassinio rapido e discreto.›

‹Guarda bene come stanno combattendo quelli a destra. Non ti ricordano Siirist all’inizio? Chiaramente con molta più abilità.› indicò Asthar.

Il Cavaliere ci fece caso, e dopo qualche momento di osservazione dovette dare ragione al drago. Per quanto non avesse mai seguito un vero addestramento, Siirist aveva affinato naturalmente il suo stile di combattimento in modo da sfruttare la sua agilità sviluppata dai suoi allenamenti da ladro. Questa era una dimostrazione di quanto fosse dotato il ragazzo, e Gilia sorrise impressionato. Era un peccato che il biondo avesse adottato uno stile completamente diverso quasi dimenticandosi di quello vecchio. In un modo diventare Cavaliere lo aveva rovinato. Corvinus si appuntò mentalmente di fare notare questa cosa all’amico prima di voltarsi e riprendere il corridoio. Ma non ebbe fatto nemmeno tre passi che fu richiamato.

«Cavaliere d’Incubo, volete unirvi a noi?» propose un assassino.

Questi era vestito con un abito unico di pelle di drago, con i gomiti, le ginocchia e le spalle rinforzate ed una corazza, sempre di pelle di drago, che copriva l’intero busto. Agli avambracci teneva i bracciali con le lame celate, alla vita una cintura reggente una daga per lato e sulla schiena il fodero della sua spada, impugnata al momento nella destra. Gilia notò come l’armatura fosse identica, se non per qualche leggera differenza, per tutti i presenti, assassini e ladri, ma i primi si distinguevano dai secondi per le lame celate. Dopotutto i ladri portavano armi solo nel caso di emergenze, il loro obiettivo non era mai quello di uccidere, a differenza degli assassini. Il Cavaliere guardò l’uomo che lo aveva chiamato e sorrise interessato.

«Accetto. Mi attaccherete tutti insieme?»

«No di certo! Se lo facessimo sareste costretto ad usare la magia e immagino che abbiate degli incantesimi piuttosto distruttivi, e non vogliamo certo che ci demoliate il Santuario. Che dite, ce la fate contro dieci di noi?»

«Considerando che ho 23000 douriki fisici, direi proprio di sì!»

«Cavaliere d’Incubo, un combattimento, soprattutto quando si è uno contro molti, non è solo questione di forza bruta e velocità, ma anche molta abilità e tecnica. Sono sicuro che oramai siate abituato ad unire la magia ai vostri attacchi fisici, perciò sarei interessato a vedere come ve la caviate senza.»

‹Occhio, questo qui mi sembra sicuro di sé. E non come Siirist lo sbruffone, credo abbia ragione.›

«Avete ragione. In tal caso sono anche più interessato a partecipare, poiché, anche dovessi perdere, sarebbe un’ottima lezione da imparare.»

«Ragionamento impeccabile, direi. Allora in guardia. Cercheremo di non uccidervi.» rise.

«Eh sì, sarebbe gradito!» rise pure lui, ma un po’ meno convinto.

Il moro si portò al centro della sala e gli si avvicinarono dieci assassini che si inchinarono e si prepararono poi a combattere, i tre che impugnavano un arco che si allontanarono, uno di essi che si arrampicò su per una colonna.

‹Ma questi qui riescono a scalare ogni cosa?! Mi sento quasi un cretino a non saper fare nulla di ciò senza magia.›

‹E sono anche molto forti. Guarda come si issano su facilmente, come se non pesassero niente. Avranno tra i duecento ed i trecento douriki fisici.› osservò Asthar.

‹È quello che pensavo anche io. Siirist non era affatto così abile. Sarà interessante, sarà come combattere contro il vecchio Siirist potenziato. Vediamo se gli conviene riprendere questo stile di combattimento.›

Corsero incontro a Gilia due assassini, quello che gli aveva parlato che brandiva la spada ad una mano, ed un altro con una daga ad un filo e dalla forma leggermente ricurva con la lama larga sei centimetri, impugnata nella sinistra al rovescio, con il pomolo che usciva tra lo spazio tra pollice e indice, quindi. Fu questo il primo ad attaccare, balzando in avanti e avvitandosi su se stesso in senso orario, attaccando Gilia con un colpo che lo andava ad attaccare sul trapezio destro, per poi scendere in diagonale verso il fianco sinistro. Ma il ragazzo parò l’attacco portando la mano destra verso il fianco sinistro ed inclinando la lama di quarantacinque gradi verso sinistra, per poi inclinarla ulteriormente e portarla parallela al terreno e menare un tondo dritto con entrambe le mani che andò a bloccare il fendente dell’altro avversario. Per quanto fossero rapidi e forti per dei comuni umani, la forza fisica derivante dagli elevati douriki fisici del Cavaliere gli permetteva di bloccare gli attacchi con lo stesso sforzo che sarebbe richiesto a Thor per fermare quello di un bambino. Non erano quindi gli attacchi diretti il pericolo, quanto quelli a sorpresa. C’erano altri otto  nemici pronti a colpirlo e probabilmente non si erano ancora mossi perché lo stavano mettendo alla prova. I vari attacchi concatenati che i due assassini di fronte a lui stavano portando si facevano sempre più pericolosi perché erano sempre più imprevedibili. Utilizzavano una particolare variante del Makashi, sviluppata per essere la più rapida ed efficace possibile, con molti colpi bassi e di punta seguita direttamente dal taglio, e quello con la spada corta era il più fastidioso, perché il Cavaliere era più abituato ad affrontare una spada lunga. Questa era la dimostrazione che, per quanto forte, Gilia avesse ancora poca esperienza. Improvvisamente si preoccupò per Siirist, che si trovava ad affrontare elfi oscuri e spettri.

«Un’apertura!» gli urlò l’assassino con la spada.

Gilia si preparò a deviare il suo attacco ma poi ebbe la spiacevole sensazione di una freccia che, da dietro, volava verso il suo collo, così saltò verso sinistra, vedendo il dado rimbalzare a terra.

«Non vi distraete, Cavaliere d’Incubo!»

«Chiedo scusa, continuiamo.»

«Non abbiamo mai smesso.»

Gilia era fortunato ad avere i muscoli così forti da potersi muovere talmente veloce da schivare e bloccare tutti gli attacchi degli assassini e le ossa così resistenti da non rompersi anche quando parava nelle posizioni più strane, soprattutto quando la metà dei colpi erano dati propri con l’intento di debilitarlo. Ma i suoi riflessi non erano al livello del suo corpo, quindi faticava mentalmente a stare dietro a tutti i colpi in rapida successione, soprattutto dopo che si furono aggiunti altri due assassini, uno che utilizzava due pugnali, uno che brandiva una lancia, arma pericolosa in particolare per la sua lunga portata. E due arcieri occasionalmente gli scoccavano qualche freccia.

‹Se stessero facendo sul serio, saresti morto già.›

‹Lo so.›

‹Non ce ne rendiamo conto stando a Vroengard, dove tutti ne fanno uso, ma senza arti mistiche siamo fregati.›

‹Neanche a dire che se potessi usarle vincerei facilmente, perché le loro armi sono tutte incantate e sicuramente hanno anche parecchie Materia.›

‹Devi allenare più la mente.›

‹Hai ragione.›

Quella era precisamente la sua più grande debolezza. La sua mente non era al livello del corpo, quindi non era così veloce a collegare i pensieri ai movimenti, perciò, più colpi parava, più faticava a farlo. Era proprio così che Alea riusciva a batterlo anche negli scontri a breve distanza, lo tempestava di incantesimi che non riusciva a parare; era inutile avere un corpo così forte da muoversi ad una velocità quasi invisibile all’occhio umano se la sua mente, e quindi proprio i suoi di occhi, non riuscivano a stargli dietro.

‹Se continui così, rischi di perdere. Devi smettere di stare sulla difensiva, comincia anche ad attaccare. Tanto ti è sufficiente un colpo a testa per metterli fuori gioco!›

‹Hai ragione, ora basta.›

La lancia lo stava per raggiungere con un affondo dal lato sinistro, così Gilia fece un leggero passo indietro, e la punta lo sfiorò all’altezza dell’ombelico, dove il ragazzo afferrò l’asta e strattonò lanciando l’assassino verso destra, colpendo poi in testa altri due avversari con una rotazione dell’arma, tramortendoli. Restava solo quello con la spada, i tre arcieri e altri tre che erano rimasti in disparte, che, finalmente, avevano deciso di partecipare. Ma il Cavaliere decise prima di sbarazzarsi dell’uomo che lo aveva sfidato, attaccando con un affondo, evitato dall’altro con un balzo indietro durante il quale ritrasse la pancia. Allora il moro eseguì un rapido tondo manco, non molto caricato perché portato quasi da dove la spada si trovava dopo l’affondo. Il nemico evitò l’attacco muovendosi verso la propria destra, spostandosi poi verso la propria sinistra quando Gilia partì con un tondo dritto, dandone poi un’altro, ben caricato grazie ad una rotazione di trecentosessanta gradi su se stesso, che fu nuovamente evitato.

‹Ma come è possibile che riesce ad evitare ogni mio attacco?! Dovrei essere quasi ottanta volte più veloce di lui!›

‹Sono i riflessi e l’abilità di osservazione. Questa ce l’ha anche Siirist, ricorda, anche se non così bene sviluppata. Gli basta il minimo movimento del tuo corpo per capire come attaccherai e allora reagisce prima ancora che tu faccia la tua mossa. Questi assassini sono ci sanno fare.›

Ma, stufatosi, Gilia fece un movimento così fulmineo muovendo in avanti il piede destro e portando avanti il busto in uno sgualembrato manco che urtò il filo falso della spada dell’assassino, spingendola in basso insieme alla mano del proprietario, costretto a lasciarla per evitare la rottura del polso. Allora Corvinus gli prese la nuca con la mano sinistra e lo spinse violentemente contro il suo ginocchio destro, devastandogli naso e bocca. Il ragazzo però non perse la sua concentrazione e si girò di scatto, tagliando a metà una freccia che si trovava a mezzo metro da lui con uno sgualembro dritto dato impugnando Enedome ithil con entrambe le mani. Allora gli assassini rimasti si fermarono e rimisero a posto le loro armi, inchinandosi e complimentandosi. Anche quello colpito dalla sua possente ginocchiata si rialzò ridacchiando, facendo aprire la bocca in muta meraviglia al moro, stringendogli poi la mano.

«I miei più vivi complimenti. Anche se avessimo fatto sul serio, non avremmo vinto, ma non per come avete combattuto all’inizio. Non credetevi tanto superiore solo perché siete un Cavaliere, non dovete mai sottovalutare l’avversario. Se voi aveste combattuto seriamente, avreste vinto facilmente, ma se noi vi avessimo voluto uccidere, avremmo approfittato del momento iniziale in cui ancora ve la prendevate comoda. Avete capito?» disse, le nasali che gli riuscivano difficilmente.

‹E riesce ancora a parlare? Questi non sono normali.›

«Sì, ho capito. Lo terrò a mente quando assalteremo il castello.»

«Bene. Ora, se volete scusarmi, andrei a pulirmi.»

‹Tutto il mio rispetto alla Confraternita Oscura.›

‹È la prima volta che ti vedo tanto positivamente colpito da dei bipedi.›

‹Ti hanno messo a dura prova e quello lì è riuscito a parlare tranquillamente nonostante la faccia sfondata dalla tua ginocchiata. È semplicemente incredibile.›

‹Sono già stanco. Torniamo in camera.›

Gilia riprese il corridoio e ritornò nella sua stanza, trovando Eiliis che si era appena svegliata.

Dove siamo?› chiese ad Asthar, che aprì la conversazione al suo Cavaliere.

Nel Santuario della Gilda dei Ladri e della Confraternita Oscura.› rispose l’Incubo.

Perché? Che è successo?› domandò preoccupata.

Non ti ricordi? Tu e Alea vi siete sentite male e vi siete addormentate, finendo poi in coma.

Sì, è vero... Ma come siamo finiti qui?

Siamo scappati dal castello fino a casa di Dyus, il fidanzato di Deria. Da lì ci è venuto a prendere un ladro e ci ha condotti qui. Abbiamo incontrato la Volpe Grigia e stasera a cena ci dirà il piano per sconfiggere gli Scorpioni qui a Cheydinhal e il cugino di Gilia.

Quel maledetto!› ringhiò.

Alea come sta? C’è qualche possibilità che si riprenda entro stasera? Sarebbe bene che partecipasse all’incontro con la Volpe.› si intromise il ragazzo.

Non ti so dire, la sua mente è sbarrata. Però il fatto che io mi sia ripresa è un buon segno,

Sì, giusto.› Gilia sospirò e si buttò a faccia in giù sul suo letto.

Per quanto stanco, però, non riuscì ad addormentarsi, e si rigirò sulla schiena, contemplando il soffitto. Fu allora che sentì bussare, quindi si alzò ed andò ad aprire, trovandosi davanti Dyus.

«Vorrei parlarvi.»

«Entra pure.»

Il cacciatore, al gesto del Cavaliere, si sedette su una sedia a lato del letto di Gilia, sul quale si sedette questi.

«Che succede?»

«Vorrei sapere un po’ più sulla stregoneria. Deria mi ha spiegato qualcosa, ma sono ben lontano dal poter dire di saper affrontare uno stregone. Non sono un codardo, non ho problemi ad andare ad affrontare vostro cugino per il bene di Cheydinhal, dovessi anche morire, ma trovo lanciarsi in una missine suicida una cosa piuttosto stupida.»

«Non hai tutti i torti. Che vuoi sapere?»

«Come funzionano gli amuleti. So che gli scettri magici servono a potenziare di un certo grado gli incantesimi, ma la stregoneria è diversa, si evocano gli spiriti, allora a cosa servono gli amplificatori? È da prima che me lo chiedo, ma di fronte a Deria non volevo mostrarmi titubante, ha molta paura, è bene che mi mostri forte.»

«E fai bene. Anzi, se venissi a sapere qualcosa di diverso, ti farei a pezzi con le mie mani.»

«Di questo, non dovete preoccuparvi!»

«Bene, chiarito questo, ora ti rispondo alla domanda. Hai detto bene per quanto riguarda gli amuleti magici: grazie agli incantamenti scritti, moltiplicano di un certo numero di volte la potenza degli incantesimi. Il miglior materiale da incantare è il Cristallo, perché è abbastanza potente da poterci scrivere incantamenti fino a x 7. Il secondo migliore è il mithril, su cui si possono scrivere solo fino a x 5, poiché se fosse di più, l’oggetto si romperebbe perché non potrebbe sopportare tutta l’energia incanalata. Ma gli scettri di uno stregone sono diversi. Vedi, come un mago crea i suoi incantesimi predefiniti, che servono per un’esecuzione rapida della magia, dopo che il mago ha deciso l’effetto ed i douriki da inserire nell’incantesimo, uno stregone crea evocazioni predefinite, dopo essersi messo d’accordo con gli spiriti con cui ha stretto un legame, così che essi si manifestino e compiano l’azione desiderata dallo stregone senza che questi debba spendere troppe parole.»

«Ah, questo non lo sapevo!»

«Però suppongo tu sappia che, teoricamente, uno stregone potrebbe evocare un numero infinito di spiriti.»

«Sì, ma più ce ne sono, e più potenti sono, più è difficile controllarli, e se se ne dovesse perdere il controllo, ci si trasformerebbe in uno spettro.»

«Esatto. Ed è a questo che servono gli amuleti stregati. Su di essi è scritta un’evocazione predefinita ed in essi è inserita la volontà dello stregone. Questo rende controllare gli spiriti molto più semplice, perché non sono legati solo alla mente dello stregone, ma anche all’oggetto, quindi si può evocare anche il doppio degli spiriti che si potrebbero richiamare normalmente. Inoltre si possono utilizzare gli amuleti di un altro stregone per richiamare spiriti con cui non si è entrati in contatto e con cui non si ha un legame, come hanno fatto Deria e Codus per erigere la barriera a casa tua e poi Deria per guarire Alea. Ma utilizzare gli amuleti di un altro stregone è più difficile, e anziché dimezzare lo sforzo mentale, esso è solo ridotto del 25%, se vogliamo utilizzare i numeri per darti un’idea più chiara.»

«È un po’ confuso, ma più o meno ho capito. E qui si pone un problema.»

«Sarebbe?»

«Se uno stregone richiama più spiriti di quanto potrebbe normalmente grazie all’ausilio dei suoi scettri, se poi li dovesse perdere, gli spiriti scomparirebbero oppure attaccherebbero l’evocatore?»

Gilia fissò orripilato l’uomo di fronte a sé, sgranando gli occhi e deglutendo. Aveva capito perfettamente cosa egli stesse insinuando.

«Mi basta la vostra reazione per avere la mia risposta. Pare che non sarà così semplice affrontare vostro cugino, “mozzargli le mani”, come ha detto Thor, non sarebbe proprio la tattica migliore.»

«No.» rispose secco e lugubre.

Merda! Come aveva potuto non pensarci! Lo avrebbe dovuto far presente alla cena.

«È possibile per uno stregone controllare gli spiriti evocati da un altro?» chiese il cacciatore dopo qualche momento di silenzio.

«Certamente. Ma ho già capito cosa vuoi dire, e ti rispondo che non è così semplice. A meno che i due stregoni che si affrontano non siano uno enormemente più potente dell’altro, è necessario che uno dei due sia indebolito o distratto perché si possano sottomettere gli spiriti. Inoltre c’è da vedere il tipo di spirito. Se mio cugino utilizzasse gli spiriti del fulmine, mi basterebbe una minima distrazione sua, e magari un amuleto, per impadronirmene. Quando sono fuggito dal castello, ho controllato gli spiriti della luce di Adrian, ma lui era già fuori gioco grazie alla Materia fulminante di Thor ed aveva già praticamente perso il controllo dei suoi spiriti.»

«Quindi non avete affinità con gli spiriti della luce?»

«Non molta, no. Non è nemmeno un elemento in cui eccello nella magia.»

«Vostro cugino li usa, invece, come ho potuto vedere quando l’ho colpito con la freccia.»

«Sì, hai ragione. Ci sono tre modi per diventare invisibili, con il vento, la luce e l’oscurità, e logicamente gli ultimi due sono i più comuni. E con la luce si deflette quella che colpisce il proprio corpo, cioè esattamente come ha fatto lui prima. Merda, e di nuovo si pone il problema di come neutralizzare Albecius. Bisogna vedere se gli altri stregoni qui sono affini con la luce e se sono in grado di sottrarre gli spiriti da un altro evocatore.»

«Ho visto in giro, gli altri sono solo Cassius, Codus e Deria. Codus mi sembra sia affine con gli spiriti della luce, ma non credo sia a quel livello. C’è da vedere quanto è forte Cassius.» disse pensoso.

«Ne parleremo stasera. Intanto mi studio un po’ il grimorio di Adrian. È da qualche anno che non mi alleno seriamente con la stregoneria, e pare che stavolta mi sarà fondamentale.»

«Alea com’è?»

«Che vuoi dire?»

«È forte?»

«Molto. Anzi, è formidabile, non si riesce a credere quando sia potente.»

«Allora speriamo si riprenda presto, il suo aiuto sarà importante.»

«Puoi dirlo forte.»

 

Venne l’ora di cena e Gilia tristemente guardò l’amica ancora dormiente prima di uscire insieme ad Asthar per andare a mangiare. Ritornò al salone d’ingresso dove trovò, seduti sui divanetti al centro, gli altri ad aspettarlo.

«Alea come sta?» chiese preoccupata Deria.

«Sempre uguale, ma almeno Eiliis si è svegliata.»

«Oh, che sollievo!»

«Già.»

«Padron Gilia, mi parete stanco. Non avete riposato?» osservò Thor.

«No. Sono troppo agitato, non riesco a prendere sonno.»

«Fate male, in questo modo non sarete in forze quando ce ne sarà bisogno!» scosse la testa Dyus.

‹Ha ragione.›

‹Lo so bene, grazie! Ma non è colpa mia se sono agitato! Mi sento tutto il peso di questa missione sulle spalle!›

‹Ma non è così! C’è la Volpe Grigia qui, penserà lui a dirigere tutto.›

‹Ma è la mia città! Sono coinvolti mio padre ed il mio maestro! Senza contare Alea! Come dovrei affrontare Siirist se non dovesse riprendersi?! Senza contare il mio dolore personale!›

‹Stai facendo castelli in aria. Non è detta, potrebbe benissimo riprendersi, e lo sai. Eiliis si è risvegliata e questa è una garanzia che anche Alea si risveglierà quasi certamente!›

‹Il problema è quel “quasi”.›

‹A volte penso che tu e Siirist dovreste fondervi, sareste il Cavaliere perfetto! Unisci uno che si preoccupa troppo, uno che non ha voglia di fare un cazzo, hai l’essere perfettamente bilanciato!›

‹È sempre bello avere il sostegno del proprio drago.›

‹Dovresti sentire Rorix con Siirist.›

‹Oh, avanti! Dici sempre così, ma non riesco a credere che non collaborino mai! Da fuori li vedo molto affiatati!›

‹Sì, ma ciò non significa che Rorix non lo ricopra di insulti! Gli avrà fatto quattro o cinque complimenti sinceri da quando è nato!›

‹Ma che carino...›

«Bene, siete arrivati. Volete seguirmi per andare a cena? Dopodichè cominceremo subito con la spiegazione dettagliata del nostro piano d’attacco.»

«Giusto! È sempre bene essere a pancia piena e ben rifocillati prima di parlare di strategie!» commentò Thor.

«Felice che la pensiate così, Campione Thor Vodonius!» rispose il capo dei ladri.

Gilia guardò con sorpresa la Volpe, meravigliato che fosse tanto bene a conoscenza delle persone che aveva intorno; dopotutto erano quasi vent’anni che il suo maestro d’armi aveva lasciato la Gilda dei Guerrieri!

«È da tanto tempo che nessuno mi chiama più così.» ridacchiò imbarazzato l’omone, grattandosi la folta barba.

«Thor! Mi sorprendi!» quasi urlò Corvinus.

Tutti i presenti risero. Scesero le scale dalla parte opposta del lato rispetto a quelle che portavano al dormitorio e arrivarono ad un salone con un lungo tavolo di legno. La Volpe prese posto ad una sedia rivestita con un cuscino anziché alla panca che percorreva il resto della tavolata, e Gilia notò che vi era solo un’altra sedia come quella, evidentemente per il capo della Confraternita Oscura. Vi erano poi altre quattro sedie, ma meno eleganti delle prime due, ma Gilia ignorava a chi potessero appartenere.

Terminata l’abbondante cena, la Volpe si alzò in piedi e prese a camminare con le braccia dietro la schiena ed il capo chino.

«Sarà sincero, la situazione è più grave di quanto avessimo mai potuto anticipare ed è peggiorata ulteriormente. Fortunatamente i nostri ladri sono abilissime spie ed abbiamo dalla nostra anche un alchimista estremamente talentuoso, che ci ha fornito delle pozioni molto efficaci per l’infiltrazione.»

E fece un cenno con la testa a Cassius che rispose felicemente onorato.

«Che genere di pozioni?» chiese Gilia.

«Pozioni di invisibilità.»

«Non sarebbero bastati degli incantesimi? Magari degli amuleti incantati che potessero attivare un’invisibilità di oscurità?»

«Certo, ma come vi abbiamo detto, vostro cugino ha disseminato vari spiriti dell’aria per tutta la città che lo avvisano se vengono utilizzate arti mistiche. Per quanto l’alchimia sia considerata la quarta arte, essa è diversa dalla magia e dalla stregoneria. Non tanto per le Materia, che funzionano in modo quasi uguale alla magia, ma le pozioni non emanano energia, dunque non sono individuabili. Inoltre le pozioni che ho creato abbassano anche la temperatura corporea, dunque l’invisibilità è totale anche se si guarda con un occhio termico.» spiegò Cassius.

«Ah, capisco.»

«Albecius si è alleato con la Setta che ha inviato uno spettro ed un elfo oscuro. E abbiamo scoperto cosa vogliono da Cheydinhal.» cominciò la Volpe.

«Volete dire che sono qui per un motivo per specifico?!» lo interruppe Gilia.

Cosa poteva mai essere? Cosa volevano da Cheydinhal? Era una piccola cittadina, nemmeno tanto ricca! Perché non attaccare Kvatch o Imperia?! Perché la sua Cheydinhal?! Rabbia, ansia e agitazione lo intossicavano; strinse i pugni, fulmini che si generavano. Deria, che sedeva accanto a  lui, se ne accorse, e gli prese la destra fra le mani, accarezzandola. Con la coda dell’occhio Dyus lo vide, ma lasciò perdere.

«Gilia, voi non sapete chi è in realtà Adrian, vero? Anzi, chi era il suo maestro?» chiese retorico la Volpe.

«No.»

«Adrian, come saprete tutti, è uno dei migliori stregoni mai diplomatisi all’Università Arcana, indubbiamente il più giovane, tanto che aveva solo nove anni, che sa controllare spiriti di varia natura e di grande potere con facilità. Ma non è questa la cosa importante, quanto lo è l’identità del suo maestro all’Università. Se vi dicessi il nome “Amantus Helvo”, vi verrebbe in mente niente?» domandò quasi casualmente.

Codus sussultò, sgranando gli occhi.

«Ah, vedo che abbiamo una reazione. Vorresti dirci che cosa sai, giovane apprendista di Adrian?»

«Amantus Helvo è ricordato dalla storia come lo stregone che ha domato la morte.» disse quasi sottovoce, deglutendo.

Gilia lo osservava attentamente e rivide in lui il bambino pauroso e piagnucoloso che aveva lasciato quasi quattro anni prima. Ma stranamente, sentiva anche lui un brivido lungo la schiena, per quanto non sapesse esattamente di cosa si stesse parlando.

«Esattamente, Helvo è l’unico stregone mai esistito ad essere riuscito ad evocare e stringere un patto con gli spiriti della morte. Ma non ha mai usato tale evocazione in battaglia poiché, logicamente, essi sono estremamente difficili, direi impossibili, da controllare. E dopo la sua morte, il suo grimorio è naturalmente passato al suo allievo più meritevole, vale a dire l’allora bambino prodigio Adrian.»

«Ed il grimorio è stato portato qui da Adrian.» concluse Gilia orripilato.

«Ma è ben nascosto e sigillato. Anzi, dovrei dire “era” ben nascosto. Ma Adrian non solo ha protetto il libro, ma anche il luogo in cui l’ha custodito, quindi, nonostante la Setta abbia individuato la sua ubicazione, non riesce a raggiungerlo. E siamo fortunati perché, anche lo potessero raggiungere, dovrebbero perdere ulteriore tempo a liberarlo dai sigilli che lo tengono chiuso.»

«Non capisco, Albecius era d’accordo con la Setta fin dall’inizio, oppure no?»

«No. Ha pianificato il tradimento nei confronti di vostro padre indipendentemente. La Setta ha solo approfittato della confusione creatasi per avvicinarsi a lui quest’oggi.»

«E quindi che faremo?» chiese serio Dyus.

«Detta semplicemente, entreremo nel castello, elimineremo tutti i nemici, salveremo Adrian ed il conte. Detta nel dettaglio, ascoltate l’organizzatore del piano. Navare?»

«Sì, Volpe.»

Gilia si voltò, riconoscendo la voce: si trattava proprio dell’assassino che lo aveva sfidato nel pomeriggio, quello con la spada. Il suo viso pareva a posto, se non per il naso leggermente arrossato  ed una cicatrice verticale di un centimetro sul lato destro del labbro superiore. Sorrise nel guardare il Cavaliere.

«Attaccheremo contemporaneamente su tre lati: dal portone principale, dal lato sud e da quello ovest. Dal nord, dal portone, entreranno venti membri della Gilda dei Guerrieri con cui ci siamo già organizzati, assieme a un mago e quattro stregoni della Gilda dei Mistici. A guidare l’assalto frontale saranno il Cavaliere d’Incubo e, sperando che si riprenda, l’elfa, e con loro anche Dyus. Dal lato sud entreremo io e altri nove assassini, resi invisibili dalle pozioni di Cassius, con l’obiettivo di portare in salvo lo stregone di corte ed il conte. Per finire, Cassius, Thor, apprendisti di Adrian, voi sarete accompagnati da tre assassini e dovrete cercare di impossessarvi del grimorio di Helvo. Anche voi vi renderete invisibili grazie alle pozioni.»

«Come? Io rendermi invisibile e non combattere frontalmente il nemico? Rifiuto questo piano, io starò al fianco di padron Gilia nell’assalto al portone principale!» si oppose il guerriero.

«No, voi siete fondamentale nel gruppo di recupero del grimorio perché siete l’unico che potrebbe proteggere i due apprendisti e Cassius da attacchi ravvicinati. O meglio, solo loro due, Cassius è abbastanza abile anche nell’usare incantesimi ed evocazioni a distanza ravvicinata. Inoltre, completato il proprio obiettivo, ogni gruppo si dovrà dirigere ad aiutare gli altri. L’ordine è: la squadra d’assalto, eliminata la resistenza all’ingresso, dovrà dirigersi verso i sotterranei ad aiutare la squadra di recupero del grimorio; questa, trovato il libro, andrà ad assistere nel salvataggio di Adrian e del conte; la squadra di salvataggio, invece, dovrà fare come quella di assalto, cioè recuperare il grimorio. Una volta completato il vostro compito, lanciate nel cielo il segnale che vi sarà affidato, così che possiate comunicare alle altre squadre il successo della vostra missione. Ricordate, ogni comunicazione telepatica è severamente proibita, ad eccezione dei Cavalieri con i draghi, naturalmente. Se doveste concludere il vostro compito e vedere sparato il segnale di missione compiuta da parte della squadra che dovete andare ad assistere, dovrete chiaramente dirigervi alla terza locazione. I colori dei segnali sono i seguenti: rosso per la squadra d’assalto, giallo per la squadra di recupero, verde per la squadra si salvataggio. I comandanti delle squadre siamo io, per quella di salvataggio, Gilia per quella di assalto, Trenus, un mio fratello assassino, per quella di recupero. È tutto chiaro?»

«Quando si svolgerà l’attacco?» chiese Gilia.

«Domani, dopodomani al massimo. Stiamo aspettando l’arrivo di alcuni guerrieri scelti apposta per la missione, che dovrebbero arrivare domani nel tardo pomeriggio, ed il risveglio della vostra amica. So che è un’ottima maga, il suo aiuto sarà fondamentale.»

«È parecchio tempo, però, potrebbero riuscire ad aprire il grimorio.»

«No. I sigilli di cui hanno sentito parlare le nostre spie sono molto potenti, ci vorrebbe una settimana solo per romperli. Sono disposti a strati, dieci in tutto, e ad ognuno che viene rotto, si libera un incantesimo offensivo molto potente, sempre diverso per ogni strato.» spiegò Cassius.

«Incantesimi? Adrian non sa usare la magia!» fece notare Codus.

«Non è stato lui ad apporli, infatti, ma li ha fatti scrivere a Rivendell. Se fosse stato lui a sigillare il grimorio, l’avrebbe potuto aver aperto non appena fosse finito sotto il controllo di Albecius.»

«Ah, ecco.»

«Quindi tutto ciò che resta ora è aspettare che Alea si riprenda.» disse Gilia.

«Sì. Se non dovesse svegliarsi entro le undici di sera di dopodomani, attaccheremo senza di lei. L’operazione inizia mezz’ora prima dell’alba, fra due o tre giorni.» concluse la Volpe Grigia.

 

 

 

~

 

 

 

Ringraziamenti:

1)  Banko/Zack. Proprio così. Nella prima versione, gli eventi di maggio non erano stati giustificati, e solo dopo ho pensato a tutta la storia delle Reliquie e ho pensato di introdurle mettendo che erano state tenute segrete. Ma poi si poneva il problema degli dei, poiché non ne avevo mai parlato, inoltre non mi piaceva la semplicità con cui Siirist aveva accettato il suo “ospite”, e questi due sono i motivi principali per cui ho riscritto tutto. Sì, sì, vedrai il Gagazet come sarà per gli allenamenti! Per quanto riguarda i personaggi di Inu Yasha, ti ho già dato alcuni indizi per mail e sei riuscito abilmente a capire chi fossero. Non vedo l’ora di arrivarci! Quella parte sarà una figata!

2)  franky94. Bravo, hai colto un punto cruciale: perché la Setta non ha cercato prima le Reliquie? Intanto i luoghi dove sono custodite sono noti a pochi e poi non tutti sanno della loro esistenza, persino all’interno dell’Ordine solo quelli di grado più elevato ne sono a conoscenza. Il punto è che non era possibile alla Setta cercarle prima. Vedrai perché andando avanti, come il perché si dedicano prima alla ricerca della Spada anziché dell’Armatura.

3)  Akita. Ah, vedrai che nel prossimo si è già ripreso e si prenderà la sua vendetta! Veramente no, è la fine! È solo alla fine che si porrà il problema della potenza di un dio in mano alla Setta! XD Perché ora ti fideresti meno di Dyus? Io ho solo detto che mi sono passate per la testa entrambe le idee e che vedrai quale delle due ho poi scelto! Ma va beh, dovrai solo continuare a leggere! Io sono ormai convinto che Oda si faccia di coca, perché da quando ho visto il potere di Scratchmen Apoo, ho capito che abbiamo toccato il fondo. One Piece è una delle cose più geniali mai create e ogni settimana soffro per aspettare l’uscita del capitolo, e continuo ancora a seguire l’anime per la sua buona qualità, così come faccio con Bleach e Fairy Tail. Di Naruto, invece, non ho guardato le ultime puntate perché le ho trovate una vergogna (dove diavolo hanno visto i disegnatori tutta quell’acqua nello scontro con Pain???? Naruto passa da quattro a sei a otto code nel giro di tre vignette!!), e ora non potrei comunque seguirlo perché lo Shippuden è finito. Un vero peccato, perché le puntate più vecchie erano perfette, fedelissime al manga (Jiraiya vs Pain o, anche meglio, Sasuke vs Itachi). Per i personaggi di Inu Yasha, dovrai aspettare un po’, temo! Arrivati al Gagazet, avrai un assaggio degli effetti di una delle due tecniche finali di Evendil, e allora capirai davvero quanto è potente. Siirist in passato gli ha detto che sarebbe certamente diventato un capitano se fosse stato un Cavaliere, ma non ne sono tanto sicuro, dopotutto non si sarebbe impegnato nella creazione dell’Ataru e, di conseguenza, di questa tecnica finale di cui ho appena parlato. Evendil è più forte così che se fosse stato Cavaliere.

 

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola DRAGHI E SCORPIONI e sarà pubblicato il 30 gennaio. Mi scuso per questo lungo lasso di tempo, ma i prossimi saranno capitoli impegnativi dal punto di vista della storia, perché ancora non ho deciso l’organizzazione della battaglia a Zanarkand e sono molto impegnato in questi giorni.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** DRAGHI E SCORPIONI ***


DRAGHI E SCORPIONI

 

Erano le nove di sera e Siirist era ancora a letto. O su quello che ne era rimasto, almeno. Era stato immobile a pancia sotto, la testa di lato, a fissare per ore la parete senza nemmeno vederla. Tutte le volte che Rorix lo aveva chiamato, lui nemmeno gli aveva risposto; ma non perché lo stesse ignorando, semplicemente non lo sentiva. Alla fine arrivò Ren che, seguito da Zabi e dall’Inferno, era entrato nella camera del biondo.

«Si può sapere cosa stai facendo? Alzati!» e lo fulminò.

«Ehi!» si riprese di colpo il ragazzo, infiammando le mani.

«Ecco, è questo che volevo vedere! Non mi aspettavo ti facessi abbattere così facilmente! Mi hai deluso.» disse secco.

«Perché ho perso in modo vergognoso contro due semplici umani...» disse abbassando la testa.

«E allora? Impara dai tuoi errori, non ti piangere addosso. Rorix mi ha raccontato tutto: devi essere serio il momento che ti si para davanti il nemico e non avere troppa confidenza nella tua forza, e stare in guardia contro le illusioni. Ora, è impossibile che impari a difenderti perfettamente da esse nel giro di un giorno o due, ma spero che quando vedremo gli Scorpioni, non ti tirerai indietro e li combatterai con tutto il tuo impegno.»

«Certo.»

«Niente più remore sull’uccidere?»

«Sì, ma si tratta di loro o me, giusto?»

«Proprio così.»

«Allora direi che non ho il minimo dubbio.»

«Bene. Adesso allora pensiamo a come affrontare le illusioni.»

«Eh?»

«Il segreto basilare per uscire da un’illusione è rendersi conto che non è la realtà. Logicamente non basta capirlo, ma anche interiorizzarlo. Questo perché ci sono illusioni così potenti che coinvolgono tutti i tuoi sensi, che ti separano dalla realtà, è come se ti portassero in un’altra dimensione, e in quel caso, anche se sei consapevole di trovarti in un’illusione, devi riuscire a sovrastare la mente del tuo avversario per liberartene, riottenendo la coscienza di te. Non è semplice come discorso, ne sono consapevole, lo affronterai meglio con Althidon alla Rocca. Ora, il secondo modo per uscire da un’illusione, di qualsiasi tipo essa sia, è avere un compagno che ti riporti forzatamente alla realtà. In questo noi Cavalieri siamo fortunati, perché non giriamo mai da soli e siamo sempre con i nostri draghi. Ho già spiegato a Rorix come deve fare se si accorge che sei sotto l’influsso di un’illusione, l’unica cosa che voglio da te è che mi assicuri che non ti tirerai indietro per paura di essere di nuovo illuso.»

«Va bene, te lo prometto.»

«Perfetto, mi fido di te. Ora alzati e vieni a cena.»

Siirist seguì il luogotenente lungo il corridoio circolare, superando la stanza senza finestre da dove era passato prima nel pomeriggio per raggiungere la palestra, arrivando alla fine di esso, trovandosi di fronte un elegante portone. Lo attraversarono e si ritrovarono in una sala da pranzo, il lungo tavolo di legno laccato che la riempiva a metà in lunghezza. A tavola vi erano il granduca con la sposa ed il figlio, il mistico di corte, i quattro Cavalieri di servizio a Zanarkand ed i due con cui era venuto lui. Al suo ingresso, il mago lo guardò di sfuggita, sogghignando. Siirist se ne accorse e si imbestialì, ma dopotutto aveva perso e non aveva il diritto di prendersela. Però certo, bruciarlo vivo non era un’idea poi tanto malvagia. Ma no, si trattenne. Incredibilmente, parve che anche Glallian si fosse reso conto della situazione e saltò giù dalla sua sedia, correndo incontro a Ryfon e prendendolo per le ginocchia.

«Non ve la prendete, Cavaliere d’Inferno! Non è colpa vostra! È Reberio che ha barato!»

Il bambino quasi piangeva, come se si fosse sentito offeso lui. Considerava così tanto i Cavalieri? Siirist non riuscì a trattenere il suo sorriso, uno dei più sinceri e sentiti di tutta la sua vita, e accarezzò la testa al piccolo Yevon, scompigliandogli i capelli, nello stesso modo in cui faceva sempre Evendil con lui.

«No, una sconfitta è una sconfitta, non ci sono scuse. L’unica cosa da fare è chiedere a Reberio se è disposto a concedermi la rivincita. Ma poi non deve pentirsi una volta che l’ho carbonizzato.» alzò lo sguardo verso l’uomo, un sorriso sicuro in volto.

«Oh? Allora mi costringete ad illudervi fin dall’inizio.» rispose interessato.

«Non credete che cadrei nuovamente in un trucchetto come quello.»

«Quella illusione era una sciocchezza, ne posso creare anche di più forti. Tornate da me quando avrete imparato a difendervi mentalmente, poi potremo duellare.» disse con aria superiore.

«No, in quel caso sareste troppo svantaggiato.» rispose secco Siirist.

«Ah, davvero?! Chi vi credete di essere?! Sarete anche il Cavaliere d’Inferno, ma al momento siete solo un ragazzino inesperto!» scattò in piedi furioso il mago di corte.

«Sì, un ragazzino con centomila douriki di Flusso vitale e due Cerchi d’argento.» rispose tranquillamente.

L’altro si azzittì immediatamente, tremando leggermente. Allora Siirist prese sulle spalle Glallian e lo riportò al suo posto, salutando poi formalmente la contessa.

«Non ci siamo presentati, signora, il mio nome è Siirist Ryfon e sono il Cavaliere d’Inferno. Lui è Rorix, mio compagno e amico.» si inchinò leggermente.

«Molto piacere, Cavaliere d’Inferno. Ho saputo del vostro duello con il nostro mago ed il nostro capitano delle guardie.»

«Sì, un’imbarazzante e stupida sconfitta, lo ammetto! E chiedo scusa per la scenata a cui io ed il qui presente abbiamo dato atto.» e toccò la spalla di Reberio con il palmo della sinistra.

Il mago, con un urlo, saltò via dalla sedia, il punto toccato dal ragazzo ustionato.

«Maledetto...» disse a denti stretti.

‹Scusa? “Dopotutto hai perso e non hai il diritto di prendertela”...?›

‹Oh avanti, non venirmi a fare la predica proprio tu!›

‹No, no, ma che? Anzi, dico che hai aspettato anche troppo a fargli qualcosa!›

‹Stavo cercando di trattenermi. Ma poi ho cominciato a sentire troppo caldo interiormente e mi sono dovuto sfogare un po’.›

‹Oltre che sul letto.›

‹Su di lui è stato più soddisfacente.›

«Ops, chiedo scusa, mi è scappato! State bene? Volete che vi guarisca?» disse Siirist con tono preoccupato, palesemente falso e sarcastico.

Glallian scoppiò a ridere, sebbene gli altri presenti non furono molto felici della scena.

«Siirist...» cominciò Ren.

«Scusate, dovevo farlo!» disse schiettamente Ryfon, andandosi quindi a sedere.

Si voltò sorridente verso l’erede al trono e gli fece l’occhiolino, il bambino che lo guardò con la bocca al massimo dell’ampiezza.

‹Ti piace proprio, eh?›

‹Sì. Credo che sarà un ottimo governante.›

‹Sempre che non diventi un Cavaliere.›

‹Giusto, sempre che non diventi un Cavaliere.›

 

Erano le due di notte quando Siirist si ritrovava nel suo nuovo letto. Dopo che il granduca aveva saputo del letto distrutto, aveva subito affidato al ragazzo una nuova stanza, e nemmeno si era arrabbiato o lamentato, nonostante le infinite scuse di Ren che, intanto, urlava contro Ryfon perché pareva fregarsene, ed era proprio così, e lo obbligava, a suon di pugni sulla nuca, a tenere la testa abbassata in segno di pentimento.

‹Se ci fosse stato Evendil, avresti già i connotati diversi.›

‹Hai ragione. Oggi ho un po’ esagerato.›

‹Yevon è stato molto gentile con te, non trovi? Sua moglie, invece, non mi pare ti abbia guardato bene dopo che hai ustionato il mago. Anche se continuo a dire che hai fatto bene.›

‹Credo che il fatto che piaccia a suo figlio sia un incentivo per il granduca. Conosco quegli occhi, nonostante si comporti sempre allegramente, è in realtà molto solo.›

‹Tu eri uguale, vero?›

‹Sì.›

‹Solo che a Skingrad non ti comportavi allegramente, ma da stronzo.›

‹E puttaniere.›

‹Quello hai continuato a farlo anche a Vroengard!›

‹Sì, ma non più.›

‹Keira ha ragione a definire Alea una santa per averti fatto cambiare così.›

‹È vero.› ridacchiò.

‹Ma non ti viene mai voglia di andare con altre ragazze?›

‹E perché? Dopo che sono stato con Alea, che è la più bella di tutte, perché dovrei accontentarmi degli scarti?›

‹E su questo hai ragione, ma diciamo che ti si presentano tre elfe belle quanto lei, non ci staresti?›

‹Alea è di una bellezza unica, tra le più belle di tutta la Yaara Taure, non ce ne sono come lei.›

‹Ma non è la più bella in assoluto! Diciamo che in tutto il regno elfico ci siano in tutto dieci ragazze splendide, così belle che sarebbe difficile sceglierne la più bella, e chiaramente lei è fra queste: non ti verrebbe voglia di andare con una, due o anche tre di queste altre?›

‹No, lo sai. Io amo solo lei.›

‹Hanryu! “Amore”, che cosa ridicola! Ho la nausea, ora! Meglio che dormi, va’!›

‹Se ci riuscissi non sarei stato a fare questa stupida conversazione con te.›

‹Ti pare questo il modo di rivolgerti al tuo adorabile e fedele drago?!›

‹Ma senti tu! Sta’ zitto, va’!› e lo calciò.

Ringhiando, Rorix stava per addentare il tallone del Cavaliere quando poi cambiò idea e si raggomitolò infondo al letto.

 

La mattina Siirist camminava che pareva un non-morto, data la notte in bianco. Le occhiaie erano spesse e gli occhi a malapena aperti. Si trovava davanti allo specchio del bagno a guardarsi da ormai dieci minuti, pensando a cosa avrebbero detto le sue vecchie amanti di Skingrad se lo avessero visto in quel modo.

‹Faccio schifo.›

‹Ti stai preoccupando di questo? Siirist caro, non hai chiuso occhio tutta la notte e al momento la tua forza è quella di una mia scoreggia, ti preoccupi del tuo aspetto anziché di come faresti nel caso gli Scorpioni attaccassero ora?!› chiese Rorix con costretta e falsissima dolcezza, trattenendo molto stentatamente la rabbia.

‹Considerando che le tue scoregge sono una delle cose più letali che abbia mai sentito, direi che non sono messo troppo male, allora.› rispose con pure la voce mentale impastata dal sonno.

Il drago lo fissò con odio, ma decise che, per una volta, data la situazione importante, avrebbe fatto il superiore anziché abbrustolire il suo Cavaliere.

‹Perché non hai dormito?› chiese adottando un nuovo tono, che però non riusciva a mascherare completamente l’odio che provava per l’umano.

‹Lo sai bene, abbiamo la mente parzialmente condivisa! Sono nervoso per la missione.›

‹Hai dormito benissimo quando siamo arrivati.›

‹Ma non avevo ancora perso un duello contro due miseri umani comuni e avevo ancora fiducia in me stesso.›

Le fauci dell’Inferno stavano seriamente per scattare. Lo avrebbe morso e poi avrebbe esalato il suo respiro fiammante. Sì, avrebbe fatto proprio così. Ma dove? Probabilmente sui genitali, sì, pareva una scelta adatta.

‹Non ci provare, o dovrai rispondere ad Alea.›

Giusto. L’elfa gli stava simpatica, non poteva fare qualcosa che danneggiasse anche lei. Avrebbe dovuto scegliere un altro punto.

‹Indecisioni su cosa staccarti a morsi a parte, mi stai dicendo che sei venuto qui davvero sicuro di te e di potercela fare? E tutte le preoccupazioni di Althidon e Evendil? Perché pensi che fossero tanto contrari alla tua missione?!›

‹Ci ho pensato dopo che ho perso ieri, infatti.›

‹Sei uno sbruffone, lo sai, vero?›

‹Ho iniziato a rendermene conto.›

‹Ah beh, ben svegliato!›

‹Non ho dormito.›

Rorix ringhiò, per poi prendere un respiro profondo e continuare una conversazione civile, per quanto fosse tra un essere di immensa superiorità mentale e un babbuino spelacchiato.

‹Ehi!› si offese il ragazzo.

‹Il discorso di Ren di ieri, allora? Già dimenticato?›

‹No, certo che no. Ho intenzione di fare sul serio e dare il massimo, ma non mi sento più tanto sicuro del mio potere, tutto qui. Non vedo l’ora che finisca questa missione, e che, possibilmente, non venga ammazzato, così posso tornare ad allenarmi. Ne ho proprio bisogno.›

‹Caspita! Quindi hai pensato in modo serio ieri! Incredibile! Allora non ti mordo per ora, però devi cercare di recuperare un po’ di energie. Prendi un po’ dell’energia dal pomolo di Beleg runia, ti conviene.›

Siirist guardò verso la sua spada e rifletté sulle parole del compagno. Effettivamente aveva costantemente immagazzinato la sua energia nel rubino ed usarla lo avrebbe completamente ricaricato, facendogli passare il sonno. Ma se poi gli fosse servita quella energia durante lo scontro? No, meglio utilizzarla subito, dopotutto era meglio entrare in battaglia completamente carico che fiacco, e dover poi attingere all’energia del pomolo al momento. Fece quindi come suggeritogli dall’Inferno e dopo una decina di secondi era completamente rinvigorito.

‹Ah! Come una sana scopata dopo un mese di astinenza!›

‹Che poeta.›

‹Ha parlato il signor finezza!›

‹È colpa tua! Ricorda che la base della mia personalità è la tua!›

‹Quindi mi stai dicendo che fatichi a sopportare me quanto io fatico con te?›

‹Esattamente.›

‹Pensa agli altri che devono sopportarci entrambi, allora!›

‹Haha!›

Ed uscirono ridendo dalla stanza, Rorix appollaiato sulla testa bionda, il ragazzo che camminava con le mani incrociate dietro la nuca. Siirist aggiunse il solito salottino con la grande vetrata e trovò i suoi compagni, percependo un’aria incredibilmente tesa. Essa era accentuata anche dall’aspetto di tutti i Cavalieri, armati completamente, con gli scudi legati dietro la schiena. Siirist allora finalmente vide le armi secondarie degli altri: il Cavaliere della dragonessa verde aveva un’ascia con la lama molto semplice, un rettangolo con un lato affilato; l’altro portava sulla schiena, tra la corazza e lo scudo, una lancia alata, cioè con una punta lunga venti centimetri e, sotto ad essa, nel punto in cui si univa all’asta, altre due lame corte che formavano due angoli retti con la punta. Infine, Ren teneva legata alla coscia sinistra una custodia da cui usciva ciò che pareva essere una protezione per la mano, ma non si riusciva bene a capire che arma fosse. La sua armatura vermiglia rifletté la luce del lampadario quando si girò verso il ragazzo appena arrivato.

«Che succede?» chiese questi.

«Niente di particolare, ma è il caso che stiamo pronti. È già un giorno che stiamo qui, gli Scorpioni potrebbero anche attaccare. Vai anche tu ad indossare la tua armatura.»

«D’accordo.»

«Fai in fretta, perché appena torni, andremo al tempio della Lama.»

«Dove?»

«Sbrigati e basta!»

Siirist corse verso la sua stanza e indossò la sua armatura, mettendo una sottile camicia turchese sotto alla corazza, per poi tornare dagli altri.

‹Cosa sarà questo “tempio”?›

‹Probabilmente il luogo dove è custodita la Lama.› suppose Rorix.

‹Sì, sicuramente, ma mi chiedo che posto sia.›

‹Lo vedremo presto.›

Dal salotto di ricevimento, la comitiva ritornò al corridoio che portava alla piattaforma di atterraggio, per superarla ed entrare nella stanza senza finestre dove Siirist era andato il giorno prima. Ma, arrivati alla stanza con la fontana, non presero la porta più a sinistra, ma quella più a destra, procedendo lungo un corridoio per un centinaio di metri per poi arrivare ad una grande scalinata di pietra, le varie rampe dalla forma rettangolare che procedevano in senso antiorario. Arrivati in fondo, dopo aver sceso quello che pareva essere almeno un centinaio di piani, si ritrovarono all’ingresso del palazzo, una sala così grande da poter ospitare comodamente tutti i Cavalieri di Vroengard, decorata con sontuosi drappi che pendevano dalle colonne e pareti, alternandosi su queste ad una ricca collezione di quadri, eleganti tappeti che coprivano il pavimento di marmo bianco, una fontana di marmo nero con raffigurato un grifone al centro, ed un portone d’ebano alto trenta metri e largo dieci, contornato da finestre dai vetri colorati. Siirist notò diciotto soldati di guardia e osservò attentamente il loro equipaggiamento, un’uniforme nera con sopra un’armatura color oro, corazza, gambali, guanti ed elmo. L’elmo lasciava il viso perfettamente visibile e tutti i pezzi d’armatura avevano la forma squadrata. Alla vita indossavano tutti una cintura con una spada ed un pugnale, ma le impugnature delle armi colsero l’attenzione del biondo. Le fissò interessato, non potendo evitare di ripensare alle pistole che provò a Kvatch. Ed effettivamente notò che esse avevano un grilletto, cosa che lo sorprese molto. Il granduca li condusse verso destra, il lato sinistro della sala se visto dal portone principale, fino ad un corridoio con il soffitto ad archi, e seguendo il quale raggiunsero un bivio, in mezzo al quale vi era una piccola fontana, una statua d’oro raffigurante uno strano uccello dal piumaggio abbondante, con tre lunghe terminazioni che si estendevano dalle penne timoniere, dalla cui bocca usciva un getto d’acqua che si raccoglieva ai suoi piedi.

«Questa è una statua di Siiryll la fenice.» spiegò Yevon.

«Trattandosi di un tempio dedicato a Soho, ha senso.» commentò Ren.

Il granduca spinse il becco della statua interrompendo la produzione di acqua, ed il sotto della vasca si aprì, facendo precipitare il suo contenuto lungo le scale che si trovavano sotto.

«Se volete seguirmi.»

Il governante di Zanarkand fece strada in questa galleria discendente, i gradini molto corti e vicini fra loro ed il soffitto molto basso. Tutti i draghi assunsero le dimensioni di un gatto e si adagiarono sui Cavalieri, a parte Rorix che era già appollaiato sulla testa di Siirist. Dovette però spostarsi sulla spalla perché altrimenti rischiava di sbattere sul soffitto.

«Non sarebbe più semplice volare?» chiese stanco Ryfon.

Non aveva mangiato e ora gli toccava scendere lentamente e scomodamente, con il busto inclinato indietro, quelle ripide scale. Sarebbe stato tanto facile lanciarsi a capofitto in avanti, levitando ad un’altezza intermedia tra pavimento e soffitto.

«Smetti di lamentarti.» sussurrò minaccioso il comandante.

‹Avresti mai detto che ‘sto Ren qui poteva essere così comandino?› sbuffò il biondo.

‹No. A volte è peggio di Althidon!›

Dopo oltre un’ora e mezza che avevano continuato a camminare, finalmente raggiunsero un pavimento in orizzontale ed un soffitto di tre metri, e Siirist sciolse i muscoli sollevato. Ma la strada non era ancora finita, e seguirono ancora il granduca lungo il corridoio fino ad una grande porta metallica a due battenti con una fenice raffigurata su ciascuno. Yevon ne spinse uno, per poi richiuderlo una volta che tutti furono entrati. Come Siirist ebbe messo piede nella sala, rimase a bocca aperta dalla meraviglia. Si trattava di una stanza circolare dal diametro di cento metri, il soffitto, alto una trentina di metri, affrescato con immagini che raffiguravano umani ed elfi contro esseri dall’aspetto regale e altezzoso, con grandi ali piumate, candide come lo erano i capelli; era la prima volta che il ragazzo vedeva una rappresentazione di un angelo. Al centro vi era una sorta di altare, una pedana dorata circondata da una recinzione di metallo che si apriva solo nel punto direttamente davanti a loro. Ma da nessuna parte vi era qualcosa che potesse assomigliare ad una lama. Che fosse solo un nome metaforico? No, dal racconto di Yevon della fine della guerra, doveva trattarsi di una vera e propria lama. Allora dove poteva essere? Espresse i suoi dubbi al granduca che gli rispose semplicemente che non si trovavano ancora nel tempio della Lama e che doveva continuarlo a seguirlo. Raggiunsero la piattaforma dorata e l’uomo tolse il proprio anello, inserendolo in un buco della recinzione. Allora le scritte sulla piattaforma si illuminarono e tutti furono circondati da un’accecante luce, che svanì nel giro di tre secondi. Siirist allora si stropicciò gli occhi, guardandosi intorno e sgranando gli occhi. A prima vista poteva sembrare che si trovassero nello stesso posto di prima, ma gli occhi attenti di un ladro notarono immediatamente che esso era diverso. Davanti a loro non vi era la porta da cui erano entrati, e dietro vi era un vero e proprio altare su cui era appoggiato un qualcosa di lungo due metri avvolto in un panno di seta. Ma ciò che colpì più Ryfon non era tanto il trovarsi di fronte alla sacra Reliquia, quanto il modo in cui avevano raggiunto il tempio.

‹Dislocazione? Un incantamento di magia spaziale?›

‹Questa è magia di alto livello! Oltre ad Adamar non so di nessuno in grado di eseguirla.› aggiunse Rorix.

Ren e gli altri, invece, avevano gli occhi lucidi e lo sguardo fisso sull’altare.

‹Come si può essere così malati per la religione? Insomma, quello è un oggetto pericoloso, non c’è niente da venerare!›

‹Solo perché tu sei un eretico, non vuol dire che lo siano anche gli altri. Ma ti do ragione. Voglio dire, non è certo una reliquia di Hanryu!›

‹Rorix, tu e tutti gli Inferno potete essere considerati reliquie di Hanryu.›

‹No. Solamente l’Inferno dal fuoco nero può essere chiamato tale.› rispose con un vago tono di disappunto.

Il Cavaliere lo accarezzò, ed il drago alzò la testa per strusciarla contro la mano.

«Granduca, dove siamo esattamente?» chiese Siirist.

«Sotto il fondale marino.»

«Bene. Quindi questo tempio non è esattamente il punto più semplice da raggiungere. E il vostro anello è l’unica chiave per attivare la dislocazione?»

«Esatto.»

«Quanti altri sanno di questo?»

«Nessuno, se non persone all’interno dell’Ordine. Coloro che sanno del passaggio segreto oltre la statua di Siiryll, credono che da lì si arrivi direttamente al tempio.»

«Capisco, quindi non c’è da preoccuparsi per la vostra incolumità. Nel caso in cui, invece, la Setta sapesse della vera ubicazione del tempio, sarebbe possibile raggiungerlo dall’acqua?»

«Assolutamente no. Potenti barriere magiche circondano le mura e sopra di noi si trova il territorio di un branco di draghi marini.»

‹Puah, stupidi essere inferiori che vivono in branco.› commentò disgustato Rorix.

«Quindi non siamo sotto Zanarkand?»

«No, ci troviamo a cento chilometri a nord ovest dalla fine della città.»

«Capisco, uno dei punti più a nord di Tamriel. Dovremmo essere vicino al regno elfico, se non sbaglio.»

«È come dite voi, Cavaliere d’Inferno. Precisamente nella regione degli altmer.»

«Beh, per quanto forti siano gli Scorpioni, affrontare un intero branco di draghi marini sott’acqua è un’impresa quasi impossibile. E non ci troviamo nemmeno più a Zanarkand, anche questa è una sicurezza. E di quelli che sanno del passaggio segreto sotto alla statua, sono tutti puliti?»

«Sì. Nessuno è della Setta, né ha contatti con essa. Dite un po’, da quando siete voi il comandante della squadra?» rise.

«Da quando quello ufficiale è rincoglionito da un oggetto sacro. Sinceramente, non lo capisco.»

«Non siete una persona molto amante del divino, immagino.»

«Non mi piace Soho. L’ho sempre visto come il fratello maggiore prepotente ed egoista nei confronti di Obras, come un inetto che crea un popolo e poi non sa prendersi le sue responsabilità per fermarlo quando si rende conto che questo ha ripreso troppo dal suo carattere e lascia fare tutto agli altri.»

«Quindi tra i due Gemelli, preferite Obras?»

«Sì. È più il tipo tranquillo che si fa gli affari suoi senza volere troppi problemi. Senza contare il suo rapporto stretto con Hanryu. In un certo senso, potrebbe essere considerato un Cavaliere!»

«Eppure la vostra magia è più di luce che di oscurità. Avete un animo di luce e la mente oscura. O forse il contrario.» sorrise intrigato.

«Hehe. No, è solo perché non sono capace di utilizzare l’oscurità ancora. Fra tutti gli elementi, trovo che sia il più complesso. Ma il mio obiettivo è essere un maestro di tutti gli elementi, quindi tra un secolo o due non ci saranno differenze per me tra luce e oscurità!» disse con tono sicuro.

«Siete ambizioso!»

«Granduca, l’ambizione è una delle mie caratteristiche principali!»

Gli altri Cavalieri erano intanto ritornati alla piattaforma.

«Immagino che non si possa scoprire la Lama, vero?» domandò il Cavaliere dal drago arancione.

«Temo di no. Ora torniamo a Zanarkand.»

«Perché, dove siamo?»

«Haha!» rise Siirist.

‹Ecco che succede a venerare come scimmie gli idoli: si rimane ignoranti!›

 

Il resto della giornata fu passato da Siirist in compagnia di Glallian, che volò assieme al Cavaliere su Rorix che, alla fine, aveva acconsentito a farsi montare anche dal bambino, per quanto si fosse rifiutato categoricamente di lasciarglielo fare senza Ryfon. Il ragazzo aveva mostrato al futuro granduca i suoi incantesimi più potenti, come il suo Pugno di fuoco, le sue magie concatenate, cioè il Comandamento incendiario e la Colonna fiammante, o il Comandamento incendiario e il Cerchio di fuoco. Aveva assistito alla scena anche il mago di corte che, per quanto riluttante, aveva dovuto ammettere che la velocità con cui il Cavaliere riusciva a far seguire una magia all’altra era notevole. Senza contare come era rimasto impressionato dal fuoco di drago. Siirist si era pure divertito ad usare alcune armi a materia e aveva scoperto che le armi peculiari delle guardie si chiamavano gunblade ed erano delle armi bianche con incorporati fucili o pistole. La maggior parte dei soldati equipaggiava una coppia di gunblade modelli spada e pugnale, mentre vi erano squadre speciali che avevano due pugnali, le guardie ai cancelli avevano anche una lancia/doppietta, un’altra variante di unità speciale aveva invece in dotazione un fucile di precisione oltre alla coppia spada/pugnale.   Arrivato alla sera, Siirist sapeva tanto di armi a Materia che se Evendil lo avesse scoperto, lo avrebbe ucciso. Sorpresi di vedere un Cavaliere così interessato alle nuove tecnologie, i soldati gli regalarono dieci granate da vari effetti e una coppia di pistole con il cambio tra colpo singolo, raffica da tre colpi e modalità automatica. I caricatori contenevano Materia da fuoco con sufficiente energia da sparare cento colpi a testa.

‹Non farle vedere a Evendil o Althidon, altrimenti è la fine.›

Siirist era sul suo letto ad ammirare la pistola argentata che reggeva nella sinistra, la canna lunga venti centimetri. L’altra, nera, si trovava accanto al fianco destro. Rorix, a pancia sotto con le zampe piegate su se stesse e la coda che frustava il vento, pareva veramente un gatto.

‹È vero, ma credo che mi potranno tornare utili in futuro.›

‹Basta che le tieni nascoste.›

‹Anche tu le trovi inutili?›

‹Dipende. Le Materia che hanno equipaggiato sì, però in futuro potresti imparare a fabbricarle e allora potresti cambiarle. Il modo più efficace di utilizzarle sarebbe integrarle nel tuo stile di combattimento, magari in uno alternativo a quello tuo solito, e sappiamo tutti e due che la prima magia che usi in qualunque ambito è quella di fuoco. Ma è anche vero che ci sono casi in cui la magia non è utilizzabile, quindi avere anche Materia di fuoco risulterebbe utile. La cosa migliore sarebbe scoprire il segreto di Eimir e mettere sotto sigillo molte armi a Materia e poterle richiamare da Oblivion.›

In quel momento a Siirist venne in mente un’altra questione e abbandonò per il momento il discorso sulle armi a Materia.

‹Mi chiedo proprio quale sia il segreto di Eimir.›

‹È quello che si chiedono tutti. Si chiama “segreto” proprio per questo!›

‹Non parlo del mettere sotto sigillo gli oggetti, ma di come riesce ad invocare senza tracciare i sigilli con le mani.›

‹Ce lo ha spiegato Althidon, grazie ai suoi dodici tatuaggi...› Rorix non capiva a cosa volesse arrivare il Cavaliere.

‹Non mi convince. Ci sono molti invocatori che sfruttano uno o anche due daedra in battaglia e per richiamarli rapidamente hanno tatuati i sigilli. Anche Ren ne ha due, uno del toro ed uno dell’orso. E ho visto persone con anche tre tatuaggi raffiguranti lo stesso sigillo. Che senso avrebbe averne tre uguali se basta averne uno per invocare tutti i daedra di quel livello?›

‹Hai ragione, non ci avevo pensato.›

‹Il punto quindi è: come ha fatto Eimir a legare svariati daedra ad un solo sigillo tatuato? È questo il suo vero segreto. Perché Althidon ci avrebbe detto che è grazie ai tatuaggi? È impossibile che sia così.›

‹Ho sentito che è Eimir stesso ad aver detto che sono i suoi tatuaggi. Però hai ragione, deve esserci qualcos’altro.›

‹Sono sicuro che anche Althidon si chieda quali siano in verità i suoi segreti, ma ci è in grado di dire solo ciò che Eimir stesso ammette.›

‹E se quello che dice fossero solo cazzate per sviare altre persone dallo scoprire il suo segreto? Dopotutto l’invocazione istantanea è la sua caratteristica principale, se diventasse di dominio pubblico, perderebbe molto potere.›

‹Quindi i suoi dodici tatuaggi sono in realtà inutili e per invocare ha un altro sistema? È questo che dici?›

‹Precisamente.›

‹È un’ipotesi, sì. Dovresti parlarne con Althidon.›

‹Come hai detto tu, sicuramente ci ha già pensato lui. E poi, anche se non fosse, non mi aiuterebbe certo a scoprire i segreti di Eimir, ma lo farebbe da solo e, se ci riuscisse, si terrebbe i frutti solo per sé. Al limite ne parlo con Evendil.›

‹Sei sorprendentemente riflessivo questa sera.›

‹Ho avuto molto a cui pensare. Queste armi a Materia mi intrigano, sono più che sicuro che averne qualcuna non potrà che fare comodo. Sto decidendo il mio futuro, dopotutto!›

‹Sì, decidere il tuo stile di combattimento è fondamentale. Di certo sei il tipo che preferisce la corta/media distanza e che va più sull’attacco che sulla difesa. Sei perfettamente complementare a Gilia, che invece è molto difensivo. Unisci Alea che attacca dalla distanza, voi tre sareste una squadra perfetta, è un peccato che non sarete nella stessa brigata. Anche io non riesco a pensare a nessun altro drago con cui vorrei collaborare se non Asthar.›

‹Eiliis?›

‹Per piacere! È un drago inferiore! Riconosco la sua propensione alla magia, ereditata da Alea, ma fisicamente non vale niente. Quando siamo entrati a Oblivion per la prima volta, che abbiamo affrontato i centauri e Asthar è stato atterrato con un colpo, è una fortuna che non si trattasse di Eiliis, perché probabilmente sarebbe morta lì.›

‹Ma è proprio come Alea, si specializza in attacchi dalla lunga distanza. La formazione perfetta sarebbe noi due che attacchiamo direttamente i nemici con Alea e Eiliis che ci coprono e Gilia e Asthar che le proteggono nel caso di attacchi ravvicinati.›

‹Sogna, non succederà mai.›

‹Lo so. Proprio un vero peccato. Almeno sarò con Ren! Non posso dire che mi dispiacerebbe lavorare con lui.›

‹E Adeo?›

Siirist rabbrividì.

‹Ma no... quando fa il serio, è anche accettabile.› disse poi incerto.

Rorix rise.

 

Siirist aprì gli occhi di colpo. Si guardò intorno, le luci della “città che non dorme mai” che filtravano dalla finestra. Tutto pareva tranquillo. Si rigirò sul letto, passandosi la mano sulla fronte. Che sogno stupido che aveva fatto! Lo aveva fatto preoccupare per niente. Eppure gli sembrava così vero... Poteva giurare di aver sentito esplosioni, urla... Che si trovasse in un’illusione?

‹No, tranquillo, sei nella realtà.› lo rassicurò pigramente il drago.

Il ragazzo espirò sollevato. Però c’era un’altra cosa che lo preoccupava.

‹D’accordo, su questo potresti avere ragione.›

‹Sarebbero dovuti arrivare ieri sera, perché ci mettono così tanto? L’ha detto pure Ren, Bevelle è solo ad un’ora di volo da qui.›

‹Che siano stati intercettati?›

‹Anche più preoccupante. Se questi Scorpioni fossero in grado di intercettare cinquanta Cavalieri, credo sia più che lecito dire che siamo nella merda. Perché ancora non attaccano, mi chiedo? Questa attesa mi sta facendo innervosire.›

‹Avranno saputo che il mitico Inferno è arrivato in città, quindi avranno cambiato idea.› si vantò.

‹Certo, come no. Come se un cuccioletto possa intimorire gente che riesce ad eliminare cinquanta draghi ben più vecchi!›

‹Stai balzando alle conclusioni, come sempre. Non puoi sapere che li hanno uccisi!›

‹No, però di certo li hanno bloccati o hanno fatto qualcosa. Mi spiegheresti perché, se no, non sono ancora arrivati?! Sono due giorni che siamo qui a Zanarkand! Ho saputo che prima ancora del mio duello dell’altro giorno con quel Reberio il granduca era stato avvisato della partenza della squadra di Cavalieri da Bevelle. Non ti sembra strano?›

‹Certo che mi sembra strano! Ma voglio che dormi e che ti riposi senza troppi pensieri per la testa, per cui non te lo dico! E smetti di cercare di entrare nella mia testa! Non voglio condividere tutti i miei pensieri con te! Vedi questa barriera? La vedi? Bene, guardala e basta! Guardare ma non toccare! E, anche peggio, non valicare! Stai lontano, capito? Questi sono i pensieri condivisi, questi sono i pensieri privati: condivisi, privati, condivisi, privati, condivisi...›

‹Sì, va bene, ho capito!› lo interruppe Siirist.

‹Sarà meglio.›

La testa bionda si alzò dal cuscino per poi ricaderci sopra un paio di volte, mentre il ragazzo cercava di svuotare la mente. Ma più ci provava, più rivedeva il suo sogno: una grande frusta elettrica che, stridente, si abbatteva sul palazzo, due piani più in alto, su un punto perfettamente visibile dalla finestra, frantumando la pietra. Subito dopo delle fiamme apparivano dal nulla per poi esplodere, distruggendo completamente quella facciata dell’edificio. Allora dal piano d’acqua che reggeva il palazzo si ergeva una colonna d’acqua dalle fattezze di un drago marino che, ruggendo, congelava i due draghi e Cavalieri che erano appena usciti dalla stanza distrutta, che poi cadevano verso il basso e si frantumavano a terra.

‹Era solo un sogno, te l’ho detto. Ora dormi.› si spazientì Rorix.

‹Sì, hai ragione.›

‹Voglio dire, non è che sei un veggente, adesso!›

Siirist, ridacchiando, aveva finalmente chiuso gli occhi e ammorbidito il cuscino con la nuca, trovando poi la posizione comoda, quando sentì il suono crepitante di una scarica elettrica seguito subito dopo dal rumore di pietra distrutta. Immediatamente drago e Cavaliere alzarono la testa, vedendo formarsi nel cielo sfere infuocate che, esplodendo, rovinarono ancora di più il palazzo.

‹Ora non mi dire che sto ancora sognando!›

‹No, questo è vero!› l’Inferno non credeva ai suoi occhi.

Ma prima che potesse rendersene conto, Siirist era già volato fuori dalla finestra, proprio in tempo per vedere, ad una ventina di metri da lui, ergersi la figura del drago marino.

‹Ora che ce l’ho davanti, sento quanto è potente. Per aver creato un incantesimo vivente di questo livello, devono aver impiegato almeno 200mila douriki! Forse non è così irrealistico pensare che abbiano eliminato cinquanta Cavalieri e draghi. Dopotutto basta tendere un’imboscata ed il gioco è semplificato di dieci volte.›

Ma, diversamente dal suo sogno, il drago si voltò verso di lui, pronto a ruggirgli in faccia e congelarlo.

«Non credo proprio! Naur paur!»

Caricò indietro il braccio sinistro, l’avambraccio e la mano completamente avvolti da una fiamma arancione scuro con riflessi giallastri, così ardente da riscaldare l’aria intorno. Ventimila douriki richiamati, che, moltiplicati dal Cerchio d’argento, erano diventati duecentomila. Considerando che erano necessari cinque douriki per trasformare il normale fuoco in fuoco di drago, il potere complessivo di quel pugno di fuoco era di quarantamila douriki, ma il fuoco di drago bruciava con una potenza dieci volte superiore a quello comune ed era molto più efficace contro l’acqua, per cui, alla fine, l’effettivo potere distruttivo di quel pugno di fuoco era di 400mila douriki, 320mila se si contava l’ampiezza e la portata dell’incantesimo. Il respiro congelante del drago fu completamente avvolto dalle fiamme e la metà superiore del drago fu vaporizzata dall’ondata ardente, mentre quella inferiore si scompose, ricadendo verso il basso riacquistando la sua sostanza gelatinosa.

‹Quell’incosciente!› ringhiò Rorix.

Afferrò con la zampa anteriore destra il fodero di Beleg runia e con la sinistra la sguainò, e volò fuori dalla stanza, proprio mentre un uomo dai lunghi capelli rosso fuoco si lanciò contro il biondo, una spada lunga nella mano, il fendente caricato. Ma sopraggiunsero i due Cavalieri che nel sogno erano stati congelati dal drago d’acqua ed intercettarono l’avversario.

«Cavaliere d’Inferno, vatti ad armare!»

Il drago rubino lanciò la spada al compagno che la afferrò sicuro nella sinistra, caricando poi un sottano roverso dritto, mentre la lama si circondava di fiamme arancione scuro.

«Artiglio di drago!»

Portò a compimento il colpo, liberando una fiammata dalla forma di una falce che volò verso un elfo dalla pelle molto pallida, grigiastra, con lunghi capelli grigio cenere, che mosse la sua spada e tagliò l’incantesimo del biondo.

‹Cosa?! Così facilmente?!›

‹Non perdere tempo e vai ad indossare la tua armatura!›

L’elfo oscuro non si fece attendere e puntò avanti la mano sinistra aperta, da cui fu emesso del fumo nero e partì un raggio a forma di testa di lupo che addentò Siirist per il busto, immobilizzandolo e ferendolo.

«Ah!» urlò di dolore, sentendo un qualcosa di estraneo invadergli il sistema.

«Purificazione delle tenebre!»

Dal corpo di Siirist fu emanata un’onda di luce che racchiuse tutta l’area circostante in una sfera accecante dal diametro di cento metri. L’incantesimo di oscurità del nemico si dissolse, ma aveva sortito il suo effetto, e Siirist precipitò verso il suolo, preso al volo da Rorix che lo riportò in camera.

‹Sarebbe comodo se riuscissi ad invocare qualche daedra, perché io da solo non potrei proteggerti.›

‹Mi ha...avvelenato, il bastardo!›

‹Allora invoca lo sciamano goblin. È un sigillo di scimmia, quindi non richiede molta energia, e potrebbe curarti. Però anche qualche daedra da battaglia sarebbe gradito qui.›

‹Non posso permettermi di sprecare troppa energia; ti faccio presente che l’energia rimasta nel pomolo è sufficiente solo per ricaricarmi completamente altre due volte, e devo conservarla anche per utilizzare gli incantesimi incantati. Però hai ragione per quanto riguarda lo sciamano, nonostante so già che me ne pentirò.›

Si morse il labbro e, seppur a fatica, poiché i muscoli gli facevano male dopo essere stato azzannato dal lupo d’ombra, Siirist riuscì a portare il palmo destro alla bocca e segnarselo con il sangue e comporre le ventiquattro rune della scimmia; ad un metro da lui si creò sul pavimento un cerchio  giallo luminoso, da cui si erse una creatura alta appena un metro, con una pelliccia che la copriva all’altezza della vita, la pelle verde, una collana di ossa al collo, la testa schiacciata, i denti gialli, il naso a patata e gli occhi neri. Indossava un teschio come copricapo e vi era una decorazione simile sul pomolo del suo scettro. Fissò il giovane per qualche secondo per poi mettersi a saltellare e strillare, vomitando versi incomprensibili su versi incomprensibili. Siirist lo fissò con sguardo piatto. I goblin erano abitanti del piano di Fenrir ed erano tra i daedra più evoluti in assoluto, poiché vivevano in comunità ed avevano scoperto l’artigianato. In questo erano come i centauri, ma a differenza di questi ultimi, i goblin erano veramente stupidi. E rumorosi. E Siirist non li sopportava minimamente.

«Vuoi stare zitto, brutto imbecille? Sai che non mi piace invocarti, quindi se l’ho fatto, vuol dire che è un’emergenza! C’è un elfo oscuro, almeno credo che lo sia, lì fuori che mi ha lanciato una qualche sorta di magia di oscurità che credo mi abbia avvelenato. Puoi fare qualcosa a riguardo? Se no puoi anche andartene.»

Il goblin si calmò e si avvicinò al padrone, scrutandolo attentamente.

‹Sta arrivando.› ringhiò Rorix.

‹Vallo a trattenere, ma stai attento. Mi servono solo venti secondi, poi ti mando degli aiuti.›

Il drago volò fuori dalla finestra, trovandosi di fronte un altro uomo dai capelli rossi che, a mezz’aria, assieme al primo che aveva visto, scambiava colpi con i quattro Cavalieri di Zanarkand, mentre l’elfo oscuro si avvicinava lento e minaccioso, un sorriso sadico in faccia.

‹Quelli con i capelli rossi devono essere spettri. Corrispondono alle descrizioni.›

Rorix percepì attorno a sé la presenza degli spiriti e, con un violento colpo d’ala, si scansò, evitando per un soffio un tornado di oscurità e fulmine. Ma questo fu seguito da una ventina di saette di ghiaccio nero, che egli evitò. Esalò la sua fiammata su alcune per vedere se aveva effetto, ma, come temeva, non ce lo aveva. Quell’elfo era forte. In un istante svanì e ricomparve a mezzo metro da lui, attaccandolo con un affondo in pieno stomaco. Poiché le scaglie draconiche erano il materiale più duro esistente, non si graffiarono neppure, sebbene egli venne spinto contro il palazzo. Rintontito, guardò verso il suo avversario, notando come non si curasse più di lui ma avesse rivolto la sua attenzione alla camera da letto con dentro Ryfon, che ancora stava componendo le rune. Sessanta rune erano lunghe da tracciare e per quanto fosse diventato veloce, almeno una ventina di secondi gli servivano, cioè altri tredici.

«Muori.» disse l’elfo oscuro.

Tutto d’un tratto arrivò dall’alto ciò che inizialmente poteva sembrare una frusta, ma, guardando più attentamente, si vedeva che erano dei segmenti di metallo uncinati, uno più grosso dell’altro, tenuti insieme da delle fiamme, che andarono ad attaccare l’elfo, ferendolo al viso. Adirato, questi si spostò indietro, sangue che gli copriva tutta la parte sinistra della faccia, e guardò in alto, vedendo saltargli in faccia un grosso babbuino bianco con la coda da serpente e striature viola sul pelo che lo prese a pugni, sputando anche veleno dalla seconda bocca. Rorix guardò da dove era arrivava la “frusta” e vide scendere in picchiata Ren in sella a Zabi, una spada dalla forma strana appoggiata alla spalla.

Il babbuino bianco, dopo aver tempestato furiosamente di colpi l’elfo oscuro, stava cadendo verso il pavimento di pietra sessanta metri più in basso, così il vice-capitano alzò la mano e lo avvolse in un turbine di vento che lo fece levitare. Nello stesso istante comparve un sigillo della tigre, che illuminò l’aria circostante di una brillante luce arancio/rossa, da cui uscì una sottospecie di drago, dalle scaglie rosso fiammante, le zampe posteriori artigliate, quelle anteriori un tutt’uno con le ali, la testa allungata e la coda, in fondo alla quale vi era una tagliente lama, lunga sette metri, il resto del corpo almeno il doppio. Volò rapidamente verso l’elfo oscuro e aprì le fauci, sparando varie sfere incendiarie, per poi caricare un fulmine attorno al corno del muso e liberarlo sull’avversario.

‹Il wivern! Ottima scelta! Come stai?› chiese ansioso Rorix.

‹Era anche l’unica, è l’unico daedra volante di alto livello che ho! Dovrei riprendermi tra poco. Questo inutile goblin si è mostrato, per una volta, un non completo incapace ed ha capito il mio problema e mi sta curando. Vorrei solo che riuscisse a lanciare incantesimi senza cantarli, non è che sia la voce più aggraziata del mondo.›

Siirist guardò verso la sua destra con la faccia rassegnata mentre l’essere verde saltellava e grugniva, raggiungendo acuti che il ragazzo non credeva fossero possibili. Cercando di mantenere la calma, si massaggiò le tempie.

Ren spostò il suo daedra su quello di Ryfon, così che attaccassero insieme, e portò la sua spada dentellata oltre la testa, menando un potente fendente che fece allungare la lama, spezzandola in sei parti, e ricreando quella sorta di frusta che l’Inferno aveva visto precedentemente.

‹Quella lama è strana, non era così prima la sua spada!›

‹Sarà qualche incantesimo. Dammi un minuto e sono fuori anche io! Spero che non facciano fuori quell’elfo, perché lo voglio ammazzare io, il maledetto!›

‹Credevo volessi evitare di uccidere il più possibile.›

‹Mi ha avvelenato, il bastardo!›

Rorix era soddisfatto nel sentire l’istinto animalesco e omicida crescere nel suo Cavaliere. Abar, aiutato dai due daedra e dai draghi, affrontò ferocemente l’elfo oscuro. Attaccava continuamente il nemico con la frusta, incalzandolo e obbligandolo a stare sulla difensiva, mentre il wivern gli volava attorno e lo tempestava di sfere di fuoco. Lo attaccò frontalmente, per poi buttarsi in picchiata per evitare un contrattacco, mentre il babbuino saltò e gli scaricò contro una raffica di pugni, usandolo in seguito come un piedistallo e saltare via, ripreso al volo dal daedra di fuoco.

‹Quei due daedra stanno collaborando incredibilmente bene!›

‹Ho ordinato al wivern di farlo, evidentemente deve averlo fatto anche Ren con la sua scimmia.›

Vedendo l’elfo oscuro distratto dagli attacchi delle due invocazioni e dalle fiammate dell’Inferno, Ren menò un tondo dritto seguito immediatamente da uno roverso, e questo fece compiere un movimento particolare alla lama/frusta che si attorcigliò attorno all’avversario. Allora l’uomo non dovette fare altro che tirare indietro il braccio, ricostituendo la lama, per tranciarlo in due.

‹Mi dispiace, lo ha fatto fuori. Ma senza tutto il nostro gioco di squadra non ce l’avrebbe fatta. Questi qui sono forti, non c’è da scherzarci. Uno dei Cavalieri di Zanarkand è morto ed il drago lo ha seguito, mentre un altro drago ha avuto metà ala tranciata. Spettri e elfi oscuri, non avrei mai pensato potessero essere così terrificanti.›

‹Non restare lì fuori impalato, allora, vieni qui! Ma prima, se non è troppo pericoloso, recupera la spada dell’elfo morto. Io ora sto a posto. Adesso rimando il goblin a Oblivion e indosso l’armatura, ci vediamo tra trenta secondi.›

‹Va bene.›

Rorix si lanciò in picchiata alla volta dell’arma desiderata dal suo Cavaliere e la trovò a terra, sul limitare della pavimentazione di pietra, a pochi metri dal ripiano di acqua gelatinosa. La afferrò con la zampa anteriore sinistra e, quando stava per riprendere il volo, vide arrivare davanti a lui dieci uomini e due nani. Questi due erano alti al massimo un metro e mezzo, entrambi indossavano una pesante armatura di mithril che li ricopriva completamente, ed uno brandiva un’ascia bipenne a due mani, mentre l’altro si portava sulla spalla un martello da guerra a due mani. Come lo videro, emisero una sorta di grugnito e furono circondati da una sorta di aura rossa, e lo caricarono.

‹Ehm, Siirist...!›

‹Eccomi!›

Ma prima del ragazzo giunse il wivern, che lanciò un fulmine infiammato contro il manipolo di Scorpioni. Uno degli umani alzò il suo scettro e comandò l’acqua del piano, formando una barriera che neutralizzò completamente l’attacco del daedra, mentre un altro alzò la mano, attorno alla quale si concentrò dell’energia di vento, e lanciò un giavellotto di ghiaccio che trafisse il wivern come fosse stato burro. Ren, prevedendo l’attacco, rimandò il suo babbuino a Oblivion un attimo prima che il daedra di fuoco venisse impalato; in un istante esso scomparve, e Siirist si sentì mancare, data la notevole quantità di energia persa in un attimo.

‹Merda, sono rimasto con soli 13698 douriki energetici... Non posso permettermi altre invocazioni a meno che non mi ricarichi!›

Siirist balzò dalla finestra in direzione del drago, Beleg runia nella sinistra e la sella della destra, e gliela appoggiò sul dorso, legandola magicamente e sedendosi in fretta.

‹E ora sei già a 13697. Ringrazia che hai un Flusso elevato, che ti basta 1 douriki per incantesimo!›

‹Vero, vero. Intanto Alea ha quasi 110000 douriki energetici! Devo allenarmi di più, sono il più scarso da questo punto di vista! Pure Gilia ce ne ha cinquantamila e rotti!›

‹Non è questo il momento di pensarci, adesso mi interessa di più vivere!›

‹Sono d’accordo. Direi che una ritirata strategica sia d’obbligo, a questo punto!›

Rorix si diresse verso il primo tetto del palazzo, sopra al quale si appoggiò su tutte e quattro le zampe, dopo aver dato la spada dell’elfo al giovane.

‹Bene, il pomolo è ben carico, ci sono quasi centomila douriki. Ora mi rubo questa energia e poi metto via la spada. Non è niente male, sarebbe un bel bottino.› commentò osservando l’arma.

Ad una mano, con l’impugnatura d’argento, il resto dell’elsa completamente nera, la guardia a croce con i bracci rivolti verso il basso, il pomolo costituito da un piccolo rubino rosso splendente, la lama scura, incantata, lunga un metro e larga due centimetri nel forte e sempre più sottile man mano che si avvicinava alla punta. Siirist sarebbe stato curioso di leggere gli incantamenti, ma era consapevole che non ce ne era il tempo, per cui la legò alla sella e prese a tracciare altre sessanta rune dopo essersi nuovamente bucato il labbro inferiore con il canino, ma questa volta dalla parte opposta.

‹Chi chiami?›

‹Avranno anche fatto fuori il wivern, ma voglio vedere come se la cavano nel combattimento ravvicinato contro un centauro ed un cerbero!›

‹Ma sei scemo? Non essere avventato, anche quegli umani sono forti! Per non parlare dei nani. Non so cosa abbiano fatto, ma pare abbiano una qualche abilità. Non andare a sprecare trentamila douriki, che poi rimani quasi a secco e ti tocca usare ancora l’energia del pomolo! Solo perché ora hai questi centomila in più, non vuol dire che devi usare irrazionalmente l’energia! L’hai detto anche tu, devi conservarla per gli incantesimi incantati.›

Vedendosi costretto a dare ragione al compagno, Siirist interruppe la formazione del sigillo. Invece l’Inferno si lanciò dal tetto, volando rapidamente verso i due spettri che erano rimasti contro solo un Cavaliere di Zanarkand e Ren, cogliendone uno di sorpresa così che il biondo riuscì a decapitarlo.

«Bel colpo, Siirist!» esclamò il luogotenente.

Ma un improvviso rumore fece girare il ragazzo, che si vide sorgere davanti altri tre draghi acqua, avvolti, oltretutto, da potenti scariche elettriche.

‹Quei fulmini, oltre ad essere pericolosi per il danno che possono arrecare, li proteggono. Il Pugno di fuoco non ti basterà, questa volta.›

‹Non è ancora pronto al 100 %, ma credo di non avere scelta a questo punto.›

‹Non vorrai mica utilizzare il Comandamento incendiario livello due?!›

‹Ma che nome stupido è?›

‹E che ne so io? Non mi hai mai voluto dire il nome!›

‹Allora stai a vedere! Però il cerbero, a questo punto, è fondamentale. Ce la farai ad evitare tutti gli attacchi di questi qua mentre compongo le rune?›

‹Lascia fare a me!›

Siirist, che non aveva ancora utilizzato il sacrificio di sangue fatto precedentemente, batté le mani, in faccia un sorriso eccitato, mentre, con virate, ascensioni e picchiate varie, Rorix evitava i vari attacchi lanciati dai tre incantesimi viventi e dai dieci mistici a terra. In alcuni casi aveva dovuto contrattaccare con alcuni incantesimi, ma altrimenti non aveva avuto quasi per niente problemi, se non per una freccia di luce che lo colpì all’ala, bucandogli la membrana e facendogli perdere per un attimo l’equilibrio.

‹Hai finito? Non so per quanto riuscirò a continuare!›

‹Quasi... sole, terra! Fatto! Ora portami giù.›

Arrivati ad un metro dalla pavimentazione di pietra, Siirist saltò dalla sella e puntò in avanti la mano, aprendo il portale e facendo uscire il cerbero da un cerchio rosso scuro. Assieme al drago, il daedra si occupò di proteggere il padrone mentre questi si concentrava nel lanciare il suo nuovo incantesimo. Distese le braccia ai lati, i palmi aperti, il viso serio e tutti i muscoli tirati. Richiamò tutto il suo Flusso vitale e lo incanalò attraverso entrambi i palmi, 50000 douriki per parte.

‹Ti serve una mano? Stiamo parlando di livelli alti, qui.›

‹Tranquillo, ce la faccio.›

Espirò e chiuse gli occhi, per poi aprirli di scatto:

«Comandamento imperiale!»

Come per il Comandamento incendiario, attorno ai piedi del ragazzo si creò un cerchio di fuoco che si espanse, coprendo un’area di dieci metri di diametro. Le fiamme arancione scuro avrebbero, alla lunga, sciolto anche le pietre, ma l’incantesimo era progettato perché il sotto non emanasse alcun calore. Sforzandosi, le tempie che pareva stessero per scoppiare, Siirist cominciò a controllare le fiamme perché si avviasse la prima fase del primo concatenamento; alzò la mano sinistra verso l’alto, i muscoli di tutto il braccio gonfi, le vene ingrossate.

«Imperatore del sole!»

Tutto il fuoco che aveva ricoperto il pavimento fu portato, in un movimento turbinante, sopra al palmo aperto, formando una sfera fiammeggiante che pareva un sole in miniatura.

‹Incredibile! Siirist, è veramente incredibile!›

Rorix ed il cerbero stavano avendo dei problemi a contenere i loro avversari, poiché i nani avevano una potenza fisica di molto superiore alla norma. Il drago ripensò alle parole della spia dei ladri che avevano incontrato qualche giorno prima nei boschi attorno a Skingrad, che aveva detto che tra gli Scorpioni vi erano due nani berserker; “berserker”: che fosse questa strana abilità? Sarebbe stato utile sapere esattamente di cosa si trattasse! E non è che i dieci umani rimanessero in disparte, ma lanciavano magie su magie che le barriere di Rorix riuscivano a respingere sempre di meno. E purtroppo non si poteva contare sul supporto di Ren perché si trovava ora ad affrontare da solo uno spettro armato di lancia.

‹Che aspetti a lanciare quella sfera di fuoco?›

‹Non posso.›

‹Di che parli?!›

‹È un colpo singolo che potrà solo colpire un drago. Sto cercando di trovare il modo di farli fuori tutti e tre.›

‹Ma ti sta pesando parecchio! Se non ti sbrighi a lanciarla dovrai annullare l’incantesimo e lo avrai sprecato! Solo perché puoi lanciare un numero quasi infinito di incantesimi, non vuol dire che la tua mente ed il tuo corpo possono sopportare livelli così alti, non hai l’abilità necessaria ancora! Potrai creare al massimo un altro imperatore del sole, dopodichè crollerai a terra!›

‹Credo che crollerò già da ora, dopotutto è la prima volta che l’Imperatore del sole mi sia venuto bene, utilizzando il fuoco di drago, perlopiù! E quello che sto per fare, lo faccio senza averlo mai provato.›

‹Di cosa stai parlando? Ehi, non fare cose azzardate! Ehi!›

Stringendo i denti e sudando, i muscoli del braccio sinistro che stavano per strapparsi, Ryfon compresse lentamente la sfera di fuoco, riducendola attorno all’avambraccio sinistro.

‹Un potere simile così compresso? Sei pazzo! Non riuscirai mai a controllarlo bene!›

‹Fai silenzio! Pensa ai tuoi nemici!›

Strinse il pugno, il braccio che tremava e balzò in avanti, uscendo dalla barriera protettiva che gli aveva eretto il compagno e volando verso i draghi acquatici, evitando i loro soffi congelanti misti a fulmini.

«Fottetevi! Emperheal paur!» e unì nuovamente il suo Flusso all’incantesimo, aggiungendo ulteriori centomila douriki.

Portò in avanti il pugno e liberò l’incantesimo, che da solo era grande abbastanza da bloccare tutti e tre i respiri dei draghi, superandoli come se non fossero neppure stati esalati ed investendo l’incantesimo vivente più vicino, muovendosi poi seguendo il braccio del ragazzo, ed andando a colpire gli altri due. I draghi acquatici furono vaporizzati il momento che furono raggiunti dalle fiamme e, consumato l’incantesimo, Siirist cadde verso la superficie dell’acqua, il braccio sinistro del tutto inutilizzabile.

Ruggendo, Rorix esalò un respiro infuocato in mezzo al quale aveva nascosto delle stalattiti che trafissero due maghi, per poi abbandonare il cerbero al suo destino ed andare in soccorso del Cavaliere, recuperandolo a due metri dall’acqua.

‹Per come sei ridotto, non importa quanto sia resistente il tuo corpo, anche tu ti saresti potuto far male se fossi caduto su quell’acqua solida.›

‹Ren?›

Entrambi si girarono verso il luogotenente, vedendolo in seria difficoltà contro il suo avversario. Era chiaro dalle proprietà dell’arma/incantesimo dell’uomo che preferisse la media/lunga distanza, ma la portata della lancia dello spettro gli permetteva di incalzare continuamente il vice-capitano. Ma in quel momento arrivarono i due Cavalieri che erano venuti con loro da Vroengard e si unirono alla lotta. Il drago arancione ed il suo Cavaliere, però, furono immediatamente liquidati da una falce di vento che tranciò entrambe le ali al grande rettile e da una raffica di frecce di luce che trafissero l’uomo.

‹Ma è un massacro! Di otto Cavalieri siamo rimasti in tre! E da quello che sappiamo, ci dovrebbero essere un altro spettro, altri due elfi oscuri, altri otto umani e due corridori infuocati! Ma stiamo scherzando?!› si disperò Siirist.

Fu allora che apparvero le guardie del granduca, che chiusero in una tenaglia il manipolo di Scorpioni a terra, mentre cecchini apparvero da tutti i lati del palazzo, e presero a bersagliare gli Scorpioni. Ma le barriere dei maghi erano fortissime e tutto ciò che i soldati potevano fare era tenerli bloccati per permettere ai Cavalieri di sfruttare il vantaggio numerico contro lo spettro. Ma il secondo Cavaliere era già quasi fuori gioco, per cui riusciva ad aiutare il suo superiore di poco.

‹È appena arrivato ed è già ridotto così?!›

‹No, era già ferito quando è arrivato, così come lo era l’altro. Forse hanno affrontato qualcuno che era entrato nel palazzo. Dopotutto mancano due demoni, otto umani, uno spettro e due elfi oscuri all’appello. E si spiegherebbe perché i soldati hanno tardato tanto ad arrivare.› rispose Rorix.

‹Non me ne ero accorto.›

‹Ci credo, sei a pezzi. Ora ti porto dal mago di corte, magari può rimetterti in sesto.›

‹Intanto il cerbero è andato, e quelli sono altri cinquemila douriki. Ho bisogno di ricaricarmi.› e attinse ad altra energia nel pomolo, recuperando tutti i suoi 32700 douriki magici.

Rorix volò verso la parete del palazzo attaccata all’arrivo degli Scorpioni, capendo così che si trattava degli appartamenti del granduca, dove il mago era già presente, e Yevon indicò il proprio letto al drago perché appoggiasse il ragazzo.

«Ci penso io, non vi preoccupate, nobile Inferno. Ragazzo, siete meglio di quanto pensassi inizialmente. Quell’ultimo incantesimo era qualcosa di superbo.» disse Reberio.

«Hehe. Ora rimettimi in sesto, ho tutti i muscoli del braccio sinistro strappati. E pure il gran pettorale ed il gran dorsale.»

«Capisco. Il vostro corpo non è ancora abituato a sopportare simili livelli.»

«No.»

Il mago appoggiò la mano sulla fronte del biondo e chiuse gli occhi. Siirist gli aprì la mente e sentì la presenza di un altro pensiero nella sua testa. Era fastidioso. Non affatto come la sensazione di calore che gli trasmetteva Alea, o l’affinità che provava con Gilia o Evendil. Avere un estraneo penetrare la mente ed andare al di là della comunicazione telepatica era veramente qualcosa che avrebbe preferito non ripetere. Si sentiva violato, spiato. Avrebbe decisamente dovuto studiare meglio la magia organica. Dopo due minuti, durante i quali il giovane sentì tutti i muscoli tirare e riallacciarsi, ma ormai si era abituato a certi dolori fisici, Ryfon balzò in piedi, sciogliendo collo e spalle.

«Ecco qui anche il mio anello. Ci ho solo messo 5000 douriki, ma prendeteli.» disse ancora Reberio, porgendo l’oggetto.

Siirist lo prese in mano e trasferì l’energia contenuta nel diamante nel pomolo, ringraziando l’uomo, per poi restituirglielo. Dopodichè balzò in groppa a Rorix, spada alla mano, e caricarono lo spettro nel momento in cui alla dragonessa verde veniva perforato il cuore da una lama di luce, e lei ed il Cavaliere rovinarono al suolo. L’Inferno si girò in modo da rivolgere il fianco sinistro verso l’avversario, mentre Ryfon attivava un altro incantesimo predefinito di Beleg runia, quello di vento: distese in avanti il braccio, la lama parallela al terreno, la punta rivolta verso destra e lasciò andare. Ma l’arma restò dov’era e prese a girare su se stessa, usando il pomolo come perno, in senso antiorario, sempre più veloce, fino a generare uno spostamento dell’aria.

«Turbine della lince!»

Dal cerchio d’aria creato da Beleg runia si generò un vortice di vento al cui interno si distinguevano le figure di innumerevoli linci, che, colpito lo spettro sulla schiena, lo lacerarono una dopo l’altra, finché, nel giro di tre secondi, egli non fu graffiato da cento felini d’aria. Liberato l’attacco, la spada rallentò la sua rotazione e prima che si fermasse del tutto, il ragazzo l’aveva già impugnata. Lo spettro, furioso, calciò via Ren e si lanciò contro Siirist, preparando un altro incantesimo, ma il luogotenente, che non aspettava altro, menò un fendente e la lama si distese, raggiungendo il nemico, che bloccò l’attacco erigendo una barriera di luce senza nemmeno voltarsi.

‹Merda, questo usa incantesimi di luce. Avrei preferito che usasse l’oscurità come l’elfo oscuro, così averi potuto lanciare la Purificazione delle tenebre.›

‹Niente “se”! Pensa a combattere!›

‹E tu stai attento alle sue lame di luce, perché sono in grado di tagliare anche le tue scaglie.›

‹Le scaglie di un Inferno sono più dure rispetto a quelle di altri draghi, ma ammetto che riuscirebbe a penetrare anche le mie. Sono sempre più impressionato da quanto siano forti.›

La lancia avvolta da un’aura di luce, lo spettro attaccò con un affondo, da cui si estese un raggio che avrebbe portato via la testa dell’Inferno e tutto il Cavaliere se il drago non avesse schivato con una virata verso destra. Intervenne Ren che, con un fendente, frustò l’avversario, che parò con una rotazione della lancia, mentre Zabi continuava la sua avanzata ed il Cavaliere richiamò la lama ed il suo secondo attacco in successione fu portato con la spada unita, bloccata dall’asta metallica tenuta orizzontalmente ed impugnata con entrambe le mani dal nemico.

Notato l’attacco alle spalle di Siirist, che era volato via dalla sella, lo spettro compì una rapida rotazione in senso orario che generò un piccolo vortice che spinse via Abar, e la lancia cozzò con Beleg runia.

‹Come ha fatto ad accorgersi di me?! Sono volato via da te apposta per essere meno visibile e l’ho attaccato nel suo punto cieco! Gli spettri hanno lo stesso angolo visivo di un umano, è impossibile che mi abbia visto!›

‹Evidentemente ha aperto un occhio mentale da qualche parte così da vedere anche nei suoi punti ciechi. Sai, è quello che fanno tutti i combattenti capaci di utilizzare la mente. Lo fa persino Alea.›

‹Ah già, dimentico sempre che questi qui sono bravi con la mente. Per fortuna che non hanno usato alcuna illusione finora.›

‹Evidentemente non credono di averne bisogno.›

‹Abbiamo già ammazzato un altro spettro ed un elfo oscuro.›

‹Ma questo qui è molto più forte di quei due.›

‹Non sembrano avere molto spirito di squadra.›

‹Affatto.›

Stringendo entrambe le mani attorno all’impugnatura di Beleg runia, Siirist mosse le braccia verso sinistra, avendo la meglio sullo scontro fisico e spostando la lancia verso la destra dello spettro. Cogliendo l’apertura nella difesa del nemico, il biondo affondò, ma quegli recuperò a velocità sorprendente e a sua volta affondò, muovendo l’asta a fianco della lama rossa, deviandola ed andando a trafiggere la spalla destra del ragazzo.

«Ingenuo.» gli disse mentre ritraeva l’arma, nello stesso istante in cui preparava il colpo mortale.

Il braccio dello spettro era ancora caricato indietro quando il giovane avvertì uno strano, familiare impulso che gli fece ignorare il dolore alla spalla e vedere la traiettoria della lancia, diretta alla sua gola. Allora con un’energia sorprendente diede un colpo con i lombari e compì un quarto di giro in senso antiorario usando come perno la gamba destra. La lama lo sfiorò, graffiandolo appena, ma egli continuò la sua rotazione ed abbatté il suo tondo dritto rovescio sul fianco dello spettro, bloccato però dalla barriera di luce di questi che si materializzò nel punto colpito. Ciononostante l’impatto era stato tanto potente che lo spettro venne spinto via.

‹Cosa diavolo è stato?! I riflessi di Siirist sono ottimi, ma non così sviluppati! Nemmeno io mi sono accorto del movimento della lancia, per quanto era veloce! Come diavolo ha fatto? No, non l’ha evitata... l’ha anticipata! L’ha prevista! Come è possibile? E quella forza! Non è riuscito a infrangere la barriera, ma l’ha schiacciata!› si chiese sconvolto Rorix, bene attento a tenere questi pensieri per sé.

Sopraggiunse Ren che approfittò del momento di debolezza dello spettro per avvicinarsi abbastanza e superare l’area d’effetto della lancia. Con la spada ruppe la guardia avversaria, mentre la mano sinistra andò alla coscia, e la infilò sotto alla protezione, stringendola attorno all’impugnatura della sua arma secondaria. La estrasse, rivelando tre lame di cristallo rivestito di argento magicamente reso rosso come le scaglie di Zabi, lunghe trenta centimetri e leggermente ricurve in fondo. Erano attaccate alla placca metallica nera che ricopriva il dorso della mano, all’altezza degli spazi fra le nocche. Con un rapido movimento dal basso, Ren mosse i suoi artigli verso la gola dello spettro, lacerandola, ed andando a tagliare in tre punti la mandibola, squarciando l’interno della bocca. Ferito mortalmente, lo spettro sputò sangue, ma non si arrese e ed evocò mentalmente degli spiriti di fuoco perché incenerissero il suo uccisore. Zabi non gli diede il tempo di richiamare tutti gli spiriti e, con un possente colpo d’ala, si spinse indietro, dando al suo Cavaliere tutto lo spazio necessario per lanciare la frusta; essa colpì all’altezza dell’ombelico, tranciando in due il nemico.

Ora mancavano gli Scorpioni a terra, ancora intrappolati dal fuoco continuo di tutte le guardie. Ma tutto d’un tratto esso si interruppe ed i maghi smisero di concentrarsi sulla difesa e lanciarono tutti gli incantesimi a lunga distanza di cui disponevano.

‹Che diavolo è successo?!› Siirist, i nervi a fior di pelli, si guardò di scatto a destra e a sinistra.

La risposta venne assieme ad una figura dai lunghi e fluenti capelli grigio cenere e la pelle pallida che, la sinistra sollevata verso l’alto, stava accumulando energia.

«Cavalieri, vi trovate al cospetto della potente Setta dello Scorpione! Noi non facciamo distinzioni tra razze, accogliamo chiunque vuole unirsi alla nostra causa, la quale è molto più forte della vostra. La vostra era è terminata! Ora inizia la quinta era, l’era dello Scorpione!»

Quando portò la mano verso il basso sia Siirist che Rorix si sentirono schiacciati e caddero verso la pavimentazione, così come Ren, che fu appiattito contro la sella ed il collo del suo drago, e Zabi che perse la forza nelle sue ali e precipitò. Siirist, a pancia a terra, accanto al suo compagno, riuscì a malapena ad alzare la testa e vedere i due nani, circondati dalla densa aura vermiglia, che si lanciarono verso i due draghi caduti. Siirist era immobile e non riusciva a muovere neppure un muscolo, tutta la sua forza concentrata nel collo per riuscire a tenere la testa alzata ed avere una visione, per quanto scarsa, della situazione. Inerme, vide il nano balzare e roteare l’ascia sopra alla testa, per poi ricadere verso di lui e menare il suo fendente.

 

 

 

 

~

 

 

 

E rieccoci qui dopo più di un mese di pausa! Nient’altro da aggiungere, passiamo subito alle risposte alle recensioni.

 

  1. franky94: Navare non è ispirato ad Ezio, però, nel fare gli assassini, non ho potuto che ispirarmi a quelli di AC. Dopotutto Oblivion non dà una bella idea di assassini furtivi, in particolare l’orco che indossa un’armatura pesante e usa un’ascia bipenne a due mani! Insomma, viva la furtività! La Confraternita avrà modo di rendersi ancora utile in futuro. Per sapere cosa è successo ad Alea, dovrai aspettare il prossimo capitolo.
  2. Akita: ho il dubbio che tu non conosca TES IV: Oblivion, se no non staresti a chiedere chi sia la Volpe Grigia! Chi sia veramente sotto la maschera, non verrà mai rivelato. E se sì, vorrà dire che avrò avuto un’illuminazione entro i prossimi quattordici/quindici capitoli. Ho messo la scena del combattimento di Gilia contro gli assassini apposta per creare il parallelismo con il capitolo precedente. Inizialmente non l’avevo pensata, ma poi ho deciso che poteva aiutare a ridimensionare il potere di Siirist, che se no poteva veramente sembrare troppo forte. Ancora dici che i fatti di Cheydinhal ti interessano più di Zanarkand? Mi sono impegnato per rendere il tutto piuttosto avvincente (anche se non è niente se paragonato alle tre grandi battaglie del futuro, una delle quali è molto vicina in termini di trama, otto/nove capitoli, per l’esattezza) e dare un assaggio di come funzionino le battaglie in questo mondo. Per quanto riguarda il grimorio di Adrian, credi di aver capito cosa stai pensando... e ti sbagli, sì. Non ho ancora pensato che fine far fare ad Albecius, infatti ho paura di dover prendere un’ulteriore pausa dopo il prossimo capitolo. Sono stato a scrivere tutta la vicenda di Zanarkand ed gli eventi successivi, ma non ho ancora finito con Cheydinhal. I prossimi due capitoli saranno di Cheydinhal, dopodichè di nuovo Zanarkand; spero di finirli in tempo! Sì, i nomi degli stili di combattimento sono presi da Star Wars, ma non è l’unica cosa, infatti il Flusso a volte funziona come la Forza. Il fatto che Siirist abbia avuto quella visione del futuro è perché ha un grandissimo legame con il Flusso: molto stile Yoda! Ma non è solo per quello, ma c’è ancora un po’ da aspettare! Lasciando stare la mia storia, ti rispondo a proposito di One Piece: Ace è il mio personaggio preferito, ma nonostante ciò, non posso che essere d’accordo con Oda. D’altronde aveva detto che dopo Marineford ci sarebbe stato uno sconvolgimento, e che morisse Barbabianca era scontato. E ha fatto bene anche a togliere di mezzo Ace perché è ciò che ha dato più determinazione a Luffy (come Naruto dopo la morte di Jiraiya). Purtroppo può sempre succedere che dei grandi personaggi muoiano, è questo che dà un tocco di realismo!
  3. Bako/Zack: non c’è molto da rispondere! Se tu hai scritto la recensione alle 03:13, io sto scrivendo la risposta alle 03:40! Vedrai nel prossimo capitolo se non è incasinata la missione! Mi sono odiato per aver avuto quell’idea, perché l’ho riscritto tre volte prima di essere soddisfatto. Non è stato per niente facile! Ora devo finire le ultime pagine e poi dedicarmi a quello successivo. E lì non so dove mettere le mani. BENE! Blocchi dello scrittore a parte, non vedo l’ora di arrivare alla prima grande battaglia! Sono mesi ormai che ce l’ho in mente! E non sarà affatto come nella prima versione! Certo, l’esito sarà quello, ma stavolta le dedico tre capitoli. Pensa solo che si vedranno prima Althidon, poi Aulauthar, Syrius, Adamar, Eimir ed Evendil dare il massimo. Sarà un casino!
  4. Dk86: poiché dici che probabilmente non continuerai a leggere, è quasi sicuro che tu non veda questa mia risposta, ma la scrivo comunque per correttezza. Se vuoi vedere i personaggi di Bleach, dovrai aspettare un bel po’, tempo! Byakuya e Renji li trovi già a Vroengard, così come Toushiro (anche se non sarà presentato se non dopo parecchio tempo), mentre Kenpachi è un demone, quindi anche lui è parecchio in là. Dicendomi dell’ “infodump” mi tocchi proprio su un tasto dolente, perché non so mai come comunicare al lettore le notizie in modo non noioso. Ci sono tante cose da raccontare in un mondo fantasy che ci si rischia di perdere, e per i personaggi il tutto è ovvio, per cui sfrutto ogni occasione in cui un personaggio ignora una qualche cosa per poterla spiegare. Nel capitolo precedente a questo, ho creato una situazione di queste apposta perché sapevo che c’era una cosa che poteva essere risultata difficile da comprendere, perché non era mai stata spiegata! L’unica cosa che non accetto della tua recensione è la critica alla presenza della sveglia: per capire questo, basta continuare a leggere. Dopotutto non ho mai detto che la storia è ambientata in un periodo che può corrispondere al nostro Medioevo! Per quanto riguarda lo stile, spero di essere migliorato!

 

Il prossimo capitolo si intitola IL REAME DEI SOGNI e sarà pubblicato domenica 6 febbraio.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** IL REAME DEI SOGNI ***


IL REAME DEI SOGNI

 

Gilia ritornò in camera e si buttò sul letto. Era esausto. Quella era stata una delle giornate più lunghe della sua vita. Era incredibile quante cose fossero successe. Si chiese come stesse Siirist, se avesse già incontrato gli Scorpioni. Guardò l’orologio e vide che segnava le undici e un quarto. Guardò ancora Alea per poi mettere giù la testa e chiudere gli occhi, benché sapesse che era inutile. Infatti, per quanto stanco, non riusciva a prendere sonno.

‹In un giorno sono successe così tante cose... Non oso immaginare cosa potrà accadere domani!›

‹Non credo molto, dopotutto resteremo qui tutto il giorno. Fino a che non arrivano i guerrieri da Imperia, non ci si muove. E speriamo davvero di avere anche Alea, il suo aiuto ci sarà fondamentale. Credi che verrà a difendere il castello anche tuo cugino?›

‹No, conoscendo quella vipera, se ne starà sicuro, sicuro nella sala del trono. Mi preoccupo per la squadra di salvataggio, perché quasi sicuramente Adrian e mio padre staranno con lui.›

‹Oppure potrebbe stare a tentare di prendere il grimorio di Helvo.›

‹Sì, anche questo è possibile. Almeno c’è Thor con loro. Ma di certo non si troverà al cancello principale, dove si troverà la nostra forza maggiore. Dovremo sbarazzarci degli ostacoli il prima possibile per poi muoverci verso l’interno del castello.›

‹Quindi vorrai falciare i tuoi fedeli soldati?›

‹No. Per quanto possibile, vorrei evitare di uccidere uomini fedeli al trono di Cheydinhal che sono solo sotto l’influsso di quel cane. Ma se si rivelano insistenti, dovremo anche ucciderli. Andrò personalmente a offrire le mie condoglianze alle famiglie dopo.›

‹Va bene, cercherò anche io di non ucciderli. Ora cerca di dormire.›

 

Alle una e mezza Gilia era ancora immobile, gli occhi rivolti verso il soffitto. Sospirò e si girò verso destra, guardando il letto dell’amica, sperando di vederla muoversi o di sentirla parlare. Ma niente da fare. Si mise a sedere e continuò a scrutarla, il viso corrugato.

‹Lo ammazzo. Se non ti riprendi, giuro che lo ammazzo, fosse l’ultima cosa che faccio. E probabilmente lo sarà, dopo che Siirist lo verrà a sapere. Ma non importa, mi merito solo di morire se non ti risvegli, ma giuro sul mio nome di Corvinus e sul mio onore di Cavaliere che ammazzerò quel bastardo strisciante di Albecius!›

Abbassò lo sguardo e chiuse gli occhi, trattenendo a stento alcune lacrime di tristezza e rabbia. Represse, prese la mano dell’elfa e si concentrò. Non era proprio la cosa a cui era più portato, ma ci avrebbe provato. Soho, cosa avrebbe dato perché la situazione potesse essere capovolta! Lei era certamente quella più adatta ai lavori mentali, non lui.

Quando riaprì gli occhi si trovava in un prato fiorito in cui scorreva un ruscello. Come era prevedibile, la barriera mentale di un’elfa era qualcosa avente a che fare con la natura. Era sorprendente come fosse perfetta; il giovane si avvicinò al poco profondo corso d’acqua e fu colpito dalla sua immagine riflessa nell’acqua limpida. Nonostante fosse in coma, la barriera mentale era ancora così forte; le abilità di Alea lo meravigliavano sempre di più. In una condiziona normale, non sarebbe mai riuscito a penetrarla, ma la situazione in cui si trovava l’amica l’aveva certamente indebolita, e lui non era un ottimo stregone per niente, la sua mente non era esattamente quella del primo venuto. Così si concentrò più intensamente e vide alcune farfalle volare e gli giunse il cinguettio di uccelli in lontananza. Si girò in quella direzione e, dove fino ad un momento prima vi era solo lo sconfinato prato, si trovò davanti un boschetto di alberi ricoperti da fiori, in mezzo ai quali vi era un sentiero. Quel posto doveva essere l’interno della mente di Alea. Continuò ad avanzare lungo il sentiero, vari animali che lo accompagnavano. Vide alcuni cerbiatti che, timidi, sbirciavano da dietro gli alberi, per poi correre via il momento che si accorgevano di essere stati individuati. Quel luogo era meraviglioso. Il mondo interiore rispecchiava lo stato d’animo di quella persona e da lì si vedeva che Alea era una persona incredibilmente calma. Come facesse Siirist a farla arrabbiare così tanto, era un mistero. Ma vedere quella calma insospettì Gilia, perché pareva che non stesse nemmeno male, piuttosto che stesse semplicemente dormendo. Continuò lungo il sentiero fino a che non vide in lontananza comparire le sagome di alte montagne verdi e dopo quella che pareva essere stata un’ora di cammino, arrivò ai loro piedi, alla fine della strada. Di fronte a lui vi era una cascata, la cui acqua fluiva via verso sinistra, disperdendosi nel boschetto.

‹E ora? La strada finisce qui? Come può essere?›

Indeciso, Gilia si sedette ed incrociò le gambe, ragionando meglio sulla situazione.

‹Dunque, le ho superato la barriera mentale e sono entrato nel suo mondo interiore. Se fosse sveglia, ora vedrei o sentirei i suoi pensieri del momento ed è qui che ci ritroveremmo a parlare. Queste montagne devono invece essere la barriera alla sua parte privata, quindi quella cascata potrebbe essere l’ingresso.›

Solitamente ci troveresti volare per questi cieli, e per me questa cascata sarebbe inesistente, così che possa entrare a mio piacimento nella sua parte più interna. Ma ora la vedo come la vedi tu, un violento e impetuoso muro d’acqua.

Gilia si girò di scatto e vide Eiliis, grande quanto un cavallo, dietro di lui.

Alea ti fa tranquillamente entrare nella sua parte privata?

Certo, e lei entra nella mia. È così che il legame mentale si rafforza di più, aprendosi completamente con il proprio compagno.

E ora non riesci ad entrare? Nemmeno dal cielo?

E come? Non siamo nel mondo reale, quelle non sono vere montagne, non hanno un limite. La zona oltre la cascata è l’area più privata di Alea, per entrarvi bisogna passare dalla porta.

Quindi la cascata deve sparire?

Proprio così.

Ma non è strano che non si riesca ad entrare? Per quanto Alea sia mentalmente forte, unendo i nostri sforzi dovremmo riuscire a rompere la sua barriera, eppure non ci riusciamo.

Infatti è molto strano. La mia ipotesi è che non è Alea ad aver messo su questa barriera. Credo che il motivo per cui non si sia ancora risvegliata è che sia intrappolata nella sua stessa mente. Almeno questo è ciò che sento io.

Allora deve essere così per forza.

Lascia che pensi io a lei. Tu dovresti riposare adesso. Non mi importa se non ci riesci, devi farlo. Usa la magia, la stregoneria, una pozione, qualunque cosa, basta che ti riesci a fare dieci ore di sonno. Ne hai bisogno, non spingerti troppo.

Lo farò. Ti prego, prenditi cura di Alea.

Non c’è bisogno che me lo dica tu.

Gilia chiuse gli occhi e li riaprì, ritrovandosi nella sua stanza buia. Si voltò verso la sveglia e vide che erano le cinque; era stato nella mente di Alea tutto quel tempo?! Ma non importava: ciò che contava era che si sentisse meglio. Si distese e chiuse gli occhi, un sorriso in faccia.

‹Era ora. Ti senti meglio adesso?› domandò la ruggente voce dell’Incubo.

‹Sì. Ora so cosa fare.›

‹Bene, ma aspetterà domani. Buonanotte.›

‹Buonanotte.›

 

Alle undici di mattina, Gilia, dopo una rapida colazione, andò da Cassius. Lo trovò seduto nella propria stanza, intento a leggere un libro e sorseggiare una tazza di tè. Era ovvio da come lo avesse chiuso in fretta il momento che era entrato il moro, che quel libro non fosse uno qualsiasi, ma il suo grimorio.

«Cosa posso fare per voi?»

«Sei in grado di accedere al Reame dei sogni?»

«Oh, cielo! Questa non è una domanda che senti tutti i giorni! Vediamo, il Reame dei sogni... Non l’ho mai fatto prima e non posso assicurarvelo, ma ho letto qualcosa a riguardo. Ma purtroppo è stato molto tempo fa, non mi ricordo.»

«Fa niente, so io come si fa, e presumo anche Deria e Codus. Solo che non possiedono abbastanza abilità mentale, quindi serve che tu guidi gli spiriti da loro evocati.»

«C’entra per caso con la vostra amica elfa?»

«Sì.»

«Perfetto, ditemi cosa devo fare.»

«Seguimi.»

Seguito da Cassius, Gilia si diresse verso la stanza di Deria, bussando prima di entrare. Sorpresa dalla fretta e dal nervosismo dei due, ella li guardò con aria interrogativa, così come Dyus, che si trovava sul letto insieme a lei e le era stato ad accarezzare la testa fino a che erano arrivati loro. La ragazza capì subito che stava succedendo qualcosa di importante, così non chiese spiegazioni quando il vecchio amore le disse di seguirla ed insieme andarono a trovare Codus, che intanto si stava esercitando con gli spiriti dell’acqua. Dalla stanza del ragazzo, andarono tutti verso quella di Corvinus dove questi prese il grimorio di Adrian e si sedette sul suo letto.

«Che succede?» chiese infine Dyus.

«Devo entrare nel Reame dei sogni.»

«Che cosa?!» quasi urlò la ragazza.

«State scherzando, spero!» disse Codus con la bocca aperta.

«Che cos’è?» chiese il cacciatore, trovandosi del tutto estraneo al discorso.

«Noi conosciamo solo la teoria, non l’abbiamo mai fatto in pratica! Inoltre non siamo in grado di controllare per troppo tempo gli spiriti necessari.» obiettò ancora Codus.

«Infatti avrete Cassius che li controllerà per voi. E qui c’è il grimorio di Adrian, potete benissimo leggere qui come fare. Di certo è spiegato meglio che nei libri.»

«Dimentichi che non possiamo aprirlo.» fece notare Deria.

«Io posso. Prima che partissi per Vroengard, Adrian mi ha detto che, se fossi diventato Cavaliere, sarei stato il suo successore, perciò ho il diritto di aprirlo. Anche se non è morto, è in pericolo e sto cercando di salvarlo; questo dovrebbe bastare a soddisfare il prerequisito per aprirlo.»

«State parlando come se il libro avesse una coscienza.» si stupì Dyus.

«In un certo senso è così. È un oggetto magico, è vincolato da una legge imposta in elfico, e questo la rende ferrea, ma ci sono modi per aggirare certe leggi anche senza romperle, come sto facendo io ora.»

«Quanto è complicata la magia.»

«Non hai idea.»

«Meglio la stregoneria.» aggiunse Codus.

«Dipende. Ora vediamo se davvero riesco ad aprirlo.»

Appoggiò l’indice alla copertina superiore e, senza nemmeno sforzarsi, la sollevò. Tutti rimasero colpiti, ad eccezione del cacciatore.

«Mi state dicendo che se ci avessi provato io, non si sarebbe aperto?»

«Proprio così.» gli rispose la fidanzata.

«È come un diario segreto che davvero resta segreto! Il sogno di ogni ragazza in fase pre-adolescenziale!»

«Sì, con la famiglia ricca, però, visto che costano un oro.»

«L’università arcana si fa pagare, eh!»

«Puoi dirlo forte.»

Gilia sfogliò le pagine fino a che non trovò le istruzioni per entrare nel Reame dei Sogni, che non comprendevano unicamente la teoria riportata anche dai libri, ma piccoli trucchetti a cui aveva pensato Adrian nel corso dei suoi studi.

«Bene, ecco qui. Credete di riuscirci?» domandò Gilia.

«Non credo ci sia altra scelta. Sapete che rischiate anche voi di rimanere intrappolato nel sogno di Alea se non si sveglia, vero?»

«Teoricamente, voi dovreste assicurarmi un passaggio per ritornare. Stai già dando per scontato che fallirete, Codus?» chiese dubbioso e poco rassicurato.

«Beh...»

«Oh, avanti, non siate così pessimisti! Gilia, vi serve una mano? Sarei più che lieto di accompagnarvi, questo Reame dei sogni mi incuriosisce.»

«No grazie, Dyus, solo qualcuno in contatto con gli spiriti può entrarvi. Saranno loro, dopotutto, a guidarmi nel mondo interiore di Alea.»

«Inizio a capirci sempre meno, per cui mi tiro fuori completamente.» scosse la testa il cacciatore.

«È proprio necessario farlo?» domandò preoccupata Deria.

«Sì. Alea è bloccata nella sua stessa mente, Eiliis è convinta che non sia stata nemmeno lei ad erigere la barriera, e se non si fa qualcosa, non si sveglierà mai. Sai bene che l’unico modo per superare ogni barriera mentale è entrare nel sogno di una persona e l’unico modo per fare questo è passare per il Reame dei sogni.»

«Potrei almeno sapere cosa sia questo Reame dei sogni?» domandò Dyus nuovamente incuriosito.

«Una specie di mondo a parte che collega tutte le menti degli esseri viventi, governato dagli spiriti. Coloro che sono sviluppati abbastanza da poter sognare, quando dormono aprono un passaggio con questo mondo da cui si può entrare.»

«Vediamo se ho capito bene: sognando si può entrare nel sogno di qualcun altro?»

«Precisamente, ma si può andare anche oltre. Se tu stessi sognando, diciamo, una mattina di caccia, ed io entrassi nel suo sogno, ti vedrei cacciare. Potrei anche provare ad interferire, o potrei aiutarti, insomma potrei comportarmi come nel mondo reale. E quello che più conta è che potrei ferirti, o ucciderti, in quanto il sogno diventa molto più realistico nel momento in cui viene invaso da un’altra persona.»

«Non mi piace l’idea.»

«Non ne dubitavo. Quello che volevo farti capire, è che invadendo il sogno di qualcuno, si trasforma il sogno di una seconda vita, ma non si penetra la mente. Però si è all’interno dell’inconscio della persona e da lì ci si può concentrare per uscirne, per ritrovarsi nella zona privata della mente, dove voglio andare.»

«Mi viene un dubbio.»

«Quale?»

«Dite che è come una vita alternativa e che potete uccidere la persona il cui sogno invadete. Quindi potete essere ucciso anche voi?»

«Ovvio.»

«Ma Alea non ti attaccherebbe mai!» protestò Deria.

«No di certo, ma non credo di dovermi preoccupare di lei. Non è lei che ha eretto la barriera, probabilmente è stato Albecius, e non credo che farebbe qualcosa del genere senza prendere precauzioni. Alea è forte, non importa quanti talismani usa Albecius, non può creare una barriera all’interno della sua mente così resistente da tenerla intrappolata all’infinito, se fosse libera.»

«Quindi dite che non solo è intrappolata all’interno della sua stessa mente, è anche bloccata in qualche modo?» chiese incuriosito Cassius.

«Sì.»

«È un’idea. Non perdiamo altro tempo, cominciamo con le preparazioni.»

Annuendo, Gilia si arrotolò le maniche e si distese sul letto, il ladro gli si avvicinò e con un incantesimo di vento lo tagliò a metà dei due avambracci.

«Che sta facendo?!» Dyus sgranò gli occhi poco convinto.

«Il Reame dei sogni è molto pericoloso. Nonostante ci siano gli spiriti che lo guideranno al sogno di Alea, c’è il rischio che non si ricordi cosa fare e che finisca con il non seguirli, perciò si potrebbe perdere e restarci intrappolato.» spiegò preoccupata Deria.

«Bene, sono contento di non andarci, allora. Ma non mi hai spiegato perché lo ha tagliato. E cosa sta scrivendo?»

Osservò Cassius mentre tracciava, usando il sangue del Cavaliere, delle scritte elfiche sugli avambracci di questo.

«Alcune note per ricordargli cosa deve cercare. Sta usando il sangue perché è l’unico modo per farle restare anche in forma mentale.»

«Giusto, dopotutto non andrà con il suo corpo, se scrivesse qualcosa con dell’inchiostro normale, non rimarrebbe. Capisco invece che il sangue ha un qualche significato magico, giusto?»

«Esatto.»

«Sembra più un arte demoniaca, questa di usare il sangue.»

«In effetti la magia del sangue, una branca della magia organica, è stata proibita dall’Università Arcana fino a tre secoli fa e solo recentemente è stata riabilitata, anche se con molta moderazione. Questo è uno dei pochi usi consentiti.» spiegò Codus.

«Quali sarebbero quelli proibiti?»

«Il controllare i corpi di altre persone attraverso patti di sangue e la necromanzia, per citarne alcuni.»

«La necromanzia non è l’arte di resuscitare i morti?! Credevo fosse un mito!»

«No, esiste, ma non è proprio un riportare in vita. Più che altro è un creare dei non-morti sotto il controllo del mago. Una persona non può ritornare in vita, è impossibile. Al di là del corpo, tutto ciò che siamo, la nostra mente, è tutto legato al Flusso vitale.»

«E dopo che si muore, il Flusso esce dal nostro corpo e ritorna al pianeta, giusto?»

«Proprio così.»

«Avete finito con le spiegazioni, voi due?» chiese Cassius.

«Sì!» risposero all’unisono Codus e Deria.

Presero il grimorio di Adrian e richiamarono gli spiriti della vita, della notte, della luce e del silenzio utilizzando la formula d’evocazione scritta dal maestro, per poi passarne il controllo al ladro che li reindirizzò verso Gilia, già addormentato grazie ad un incantesimo.

 

Corvinus aprì gli occhi e si ritrovò in uno spazio completamente nero. Non vedeva nulla, non ricordava nulla, non pensava nulla. L’unica cosa che sapeva era che era lì, poiché solo il suo corpo era certo in quel luogo vuoto, perfettamente visibile e delineato come se fosse stato alla luce del sole. Era nudo e si guardò con interesse, in quanto era tutto ciò che c’era da fare. Osservò il suo forte petto scolpito, i peli neri che lo ricoprivano all’altezza dello sterno e su metà dei pettorali, per poi scendere lungo la linea centrale degli addominali fino all’ombelico, circondato da una fitta massa. Notò le braccia, i peli sugli avambracci lunghi ma non fitti, l’esatto contrario di quelli attorno all’ombelico, e nella parte interna vide delle scritte. Non sapeva cosa fossero, parevano degli scarabocchi, ma risvegliarono qualcosa nei suoi ricordi, e fu sicuro di saperle leggere. Osservò prima quelle del braccio destro, che recitavano: “Gilia Corvinus, Cavaliere dell’Incubo Asthar”. Tutto ciò che riguardava quel nome gli ritornò alla mente: lui era il figlio del Conte di Cheydinhal ed un Cavaliere dei draghi, compagno di addestramento e amico del Cavaliere d’Inferno. Ma questo non gli bastava per capire dove fosse. Prima che leggesse le scritte sul braccio sinistro, attorno a lui comparvero delle luci multicolore che lo avvolsero, per poi proiettarsi in avanti e creare un tunnel da cui si diramavano vari sentieri. E lungo quella galleria vi era un continuo flusso di luci che proseguivano dritte. Quasi preoccupato, poiché molto sconcertato, il ragazzo guardò l’avambraccio sinistro e lesse: “Reame dei sogni, trova il sogno di Alea”. Certo, Alea! La sua seconda compagna di addestramento e amica! Era finita in coma ed era intrappolata nella sua stessa mente, per quello si trovava lì, nel Reame dei sogni, per andarla a liberare. Ora che ricordava tutto, si incamminò deciso. Come ebbe messo il primo piede sul sentiero luminoso, fu avvolto da numerosi spiriti che, una volta dissipati, lo lasciarono vestito ed armato. Indossava la sua armatura di mithril argentata, massiccia come la ricordava, con le parti che coprivano le spalle, i gomiti, le anche e le ginocchia ben rinforzate, come anche i guanti e gli stivali. Alla vita vi era un gonnellino di maglia molto stretto e lungo fino alle ginocchia, rivestito da placche di mithril, sopra alla quale vi era la cinta che reggeva Enedome ithil, e legato al braccio sinistro il suo scudo grande.

‹Gentile concessione di Deria e Codus. Sono riusciti a far ricreare agli spiriti le mie armi; sono veramente diventati bravi, sono impressionato.› sorrise.

Inspirando profondamente, trattenne il fiato ed espirò dopo aver percorso qualche passo, seguendo sempre il flusso di spiriti. Camminò per quello che parevano tre ore, e ad ogni passo faticava sempre di più. Varie correnti cercavano di spingerlo indietro e ogni volta che passava una deviazione, veniva risucchiato verso di essa, dovendosi quindi puntare con i piedi e sforzarsi con tutto se stesso di rimanere sulla sua strada. Quando finalmente giunse alla deviazione in cui defluivano gli spiriti che aveva seguito fino a quel momento, ebbe un momento di rilassamento e la corrente lo spinse nuovamente via, ma si riprese in poco e, con il busto inclinato in avanti e le braccia distese a spingere contro il vento impetuoso, ritornò dopo dieci minuti alla deviazione per la mente di Alea. Vi si tuffò dentro e si sentì precipitare nel vuoto nero, fino a che non si schiantò contro il terreno e nello stesso istante tutto attorno a lui acquistò colore e si ritrovò nel Santuario di Cheydinhal. Si guardò intorno e meravigliato osservò le facce tese di tutti. Che fosse stato un fallimento? Deria alzò lo sguardo verso di lui e lo guardò incuriosita. Fu presto imitata da Dyus e Codus; al contrario, Thor parve apprezzare.

‹Che sta succedendo?›

«Non ti sembra un po’ presto per armarti in quel modo? Dopotutto i guerrieri non sono ancora arrivati da Imperia.»

Gilia sobbalzò nel sentire quella voce: una voce soave e delicata come l’acqua che sgorga da un ruscello, come una leggera brezza estiva, dolce come il miele, così bella che arrivava dritta al cuore. Ma allo stesso tempo divertente per il suo accento leggermente stentato, ma comunque migliore di come era quattro anni prima.

«Alea!» si voltò pieno di gioia Corvinus.

L’elfa si limitò a fissarlo senza capire, alzando un sopracciglio. Era una fortuna che il moro stesse indossando il suo elmo e che il suo viso fosse interamente coperto, altrimenti lo avrebbe visto con gli occhi lucidi e lo avrebbe preso anche più per scemo.

«Stai bene?!»

«Certo, perché non dovrei?»

«Ma eri in coma fino a poco fa!»

«No. Ero in coma?»

«Non mi è sembrato, anzi, siete stata molto attiva in questi due giorni!» rispose Dyus.

«Gilia, che ti prende?» lo guardò preoccupata Deria.

«Padron Gilia, è bene per un guerriero essere sempre pronto all’azione e apprezzo vedervi già armato, ma temo che lo siate per il motivo sbagliato: siete per caso troppo in ansia? State persino farneticando, adesso! Non è questa la chiarezza di mente che deve avere un guerriero prima di scendere in battaglia!»

‹Cosa diavolo sta succedendo qui? Ma certo, questo deve essere il sogno di Alea. Non mi stupisce che non abbia cercato di liberarsi, è convinta di essere sveglia e di stare ad aspettare i guerrieri di Imperia. Dovrei dire qualcosa? No, forse è meglio che stia al gioco. Questo sogno è inspiegabilmente realistico, c’è qualcosa che non va. Sarà meglio investigare prima di poter dire niente.›

«Sì, hai ragione.» e, sospirando, si tolse l’elmo.

«Sei sudato.» puntualizzò l’elfa.

«Sì, e ho anche parecchia sete. Vado a togliermi l’armatura e poi a prendermi un bicchiere d’acqua.»

Il ragazzo andò verso la sua camera dove trovò i draghi sui letti dei rispettivi Cavalieri.

‹Mi sembri strano, che hai?› si preoccupò Asthar.

‹Tranquillo, non è niente.›

‹Perché mi stai escludendo dalla tua mente?.›

‹Davvero? Scusa, non lo sto facendo apposta, sono solo così stressato che il risultato è questo.›

‹Sarà. Io vado a farmi una passeggiata, è meglio che tu rimanga a riposarti.›

‹Hai ragione.›

Tolta l’armatura, Gilia si stese sul suo letto e chiuse gli occhi, senza mai, però, abbassare la guardia e con Enedome ithil sempre a portata di mano. Senza che Eiliis potesse vederlo, si guardò gli avambracci e vi trovò ancora le scritte in sangue.

‹Come immaginavo, questo è un sogno. Eppure è così realistico. Anzi no, è opprimente, l’aria qui intorno non dà la stessa sensazione di come è nel vero Santuario. Devo ipotizzare che l’unica persona reale sia Alea e che tutti gli altri siano illusioni all’interno del sogno. Devo trovare il modo di tirarla fuori da qui.›

Voltò la testa verso il letto dell’amica e vide la dragonessa bianca che lo fissava intensamente.

‹Inquietante.› e si girò dalla parte opposta.

Dopo una mezz’ora che stava sdraiato e che continuava a sentire lo sguardo perforante di Eiliis, rientrò Alea che si sedette sul proprio letto ed accarezzò la dragonessa.

«Sei strano.» commentò.

Gilia si mise sulla schiena con il viso rivolto verso il soffitto, ma spostò gli occhi il più possibile verso destra per guardare l’amica.

«Che intendi dire?»

«È da prima che sei accigliato: c’è qualcosa che non va?»

Con la coda dell’occhio, Corvinus continuò ad osservare l’elfa. Sì, era proprio lei, non c’erano dubbi.

«Sono preoccupato per mio padre e Adrian, oltre che per tutto il resto di Cheydinhal.»

«Beh giusto, mi sembra anche ragionevole.»

‹Ha senso continuare a fingere così? Dopotutto, se c’è qualcosa che, per tenerla intrappolata, ha creato questo sogno come imitazione della realtà, deve essere perfettamente consapevole del fatto che io sia un intruso. Solo non capisco perché non mi sia successo ancora niente. Ma non ha senso continuare questa farsa.›

«Alea, puoi venire con me, un momento?»

«Certo, che succede?»

«Intendo da sola.» e fissò Eiliis con sguardo deciso.

La dragonessa ricambiò.

«D’accordo...» rispose la fanciulla poco convinta.

Uscirono nel corridoio e, una volta che Gilia si fu assicurato che non c’era nessuno nei paraggi, per quanto era consapevole che quella precauzione fosse inutile, afferrò l’amica per le spalle e la fissò intensamente negli occhi.

«Svegliati.»

«Eh?» disse completamente spiazzata.

«Questo è un sogno, un’illusione. Non è la realtà, sei intrappolata nella tua stessa mente! Sono entrato nel Reame dei sogni per poterti raggiungere, perché nella realtà sei in coma dopo che mio cugino ti ha fatto qualcosa.»

«Sei impazzito?»

Si avvicinò Eiliis, gli occhi due fessure, il passo lento ma deciso.

«Non dargli retta.»

‹Eh? Ho sentito la voce di Eiliis dalle orecchie e non nella mente? Questo dovrebbe bastare ad Alea per essere convinta!›

«Sì, Alea, non dargli retta.» disse una familiare voce alle spalle del moro.

Si girò di scatto e vide avvicinarsi Siirist, il suo solito sorriso beffardo stampato in volto.

«E tu che diavolo stai facendo qui?!» sbottò Gilia.

«Come? Ho terminato la mia missione a Zanarkand e sono venuto qui ieri, non ti ricordi? Si vede che non stai bene e che stai farneticando.»

«Sì, è vero, è come dice. Gilia, è meglio se vai a dormire.» confermò l’elfa.

«No, basta dormire! Questo è un sogno! Svegliati!»

«Smetti di dire idiozie!» rise Siirist.

«Non dargli retta.» pronunciò la dragonessa bianca.

«Gilia non sta bene, non badare a ciò che dice.» si unì l’Incubo.

«Padron Gilia, la vostra mente vi sta giocando brutti scherzi; un guerriero deve essere più lucido.»

«Non dargli retta.»

«Non badare a lui.»

«Resta con noi.»

«Farnetica.»

«Pazientate ed aspettate con noi l’arrivo dei guerrieri da Imperia.»

«Alea, ti amo, fidati di me.»

«Siamo una sola mente, sai che puoi fidarti di me.»

«E io sono tutt’uno con Gilia, so che farnetica. Fidati di me.»

Ancora, ancora, ancora e ancora. Quelle voci si ripetevano sempre di più, soffocando Gilia, rendendogli ogni parola sempre più pesante, ed ebbe l’impressione che Alea si stesse allontanando sempre di più, lo sguardo che si faceva più spento ad ogni secondo che passava.

«E allora spiegami dove cazzo sta Vulcano!»

Alea si riprese.

«Ha ragione!»

«Tsk.» piegò le labbra in disappunto Siirist.

«Cosa sta succedendo qui?» chiese decisa l’elfa.

All’unisono tutti i presenti attaccarono lei ed Corvinus. La fanciulla tentò di erigere una barriera magica di luce, ma scioccata si accorse di non poterla creare e con orrore osservò la sua fedele dragonessa balzare contro di lei con le fauci spalancate. Ma tra le due comparve una barriera di spiriti del fulmine, che diede la scossa al rettile.

Gilia vide lanciarsi verso di lui Siirist ed Asthar, così richiamò gli spiriti che lo circondarono di una forte luce bianca, scomparendo poco dopo e rivelando un Gilia completamente armato.

«Come hai fatto ad indossare l’armatura in quel modo?!» domandò stupita Ilyrana.

«Te l’ho detto, non siamo nella realtà, ma nel Reame dei sogni, governato dagli spiriti. La magia qui sarà inutile, puoi solo usare la stregoneria, che risulterà molto più potente del normale, in quanto, al momento, ho il favore degli spiriti.»

«Spiriti del ghiaccio, ascoltate la mia supplica e proteggetemi con un’armatura forte quanto il diamante.»

«Ti adatti in fretta!»

L’elfa ridacchiò.

«Spiriti del fulmine, incrementate la mia velocità; spiriti della terra, rafforzate i miei muscoli.» evocò Gilia.

«Spiriti dell’aria, rispondete alla mia richiesta e danzate come lame di vento!»

Corvinus e Ilyrana erano schiena contro schiena e mentre il ragazzo, potenziato dagli spiriti, parava un tondo manco dritto di Siirist con un sottano dritto, portando immediatamente il peso sulla gamba sinistra e calciando con la destra sul muso di Asthar, Alea utilizzava la stregoneria per tenere il suo lato della battaglia come uno scontro a distanza.

«Mi manca la magia. E perché Cassius sarebbe capace di usarla, scusa?!»

«Perché è un mago nella realtà, quindi è stato “programmato” come tale qui dentro, ed è capace di usarla perché è parte di questa illusione. Stai contenta che almeno Codus e Deria non possono evocare alcuno spirito. Ma fai attenzione a Thor.»

Il barbaro portò la sua ascia bipenne a due mani verso la testa dell’elfa, ma venne bloccata dalla lama di Enedome ithil, dopo che la fanciulla e Gilia si furono scambiati di posto, ed ella utilizzò un’asta creata dagli spiriti del ghiaccio per bloccare il fendente di Ryfon, allora gli rivolse contro una delle estremità e generò da essa una folata di vento che gli congelò il braccio sinistro.

«Si può sapere cosa stai facendo?!» si adirò il Cavaliere d’Incubo.

Con la coda dell’occhio aveva visto l’amica bloccare il colpo del biondo e sbilanciarlo con una rotazione del busto verso sinistra, dopodichè aveva subito portato l’estremità destra dell’asta a colpirlo sulla bocca dello stomaco e da lì la rivolse al viso, da cui liberò la folata congelante. Ma un secondo prima che colpisse, l’elfa aveva spostato la traiettoria dell’arma ed aveva attaccato la spalla sinistra, sigillando tutto il braccio e la spada in un blocco di ghiaccio.

«Scusa, io... non ci riesco...» mormorò appena.

Gilia sentì dalla voce che la ragazza stava piangendo e, furioso, strinse i pugni.

«Niente qui è reale, non ti devi preoccupare. Non è il vero Siirist, quindi non esitare.»

«Sì, ma...»

«Patetici.» disse Ryfon senza emozioni nella voce.

Tutto il suo lato sinistro esplose in una dirompente fiammata che sciolse il ghiaccio in pochi istanti ed andò ad avvolgere la lama di Beleg runia.

«Ti prego, smettila, non voglio doverti combattere, nemmeno se non sei reale!»

«Alea, datti una calmata!» ruggì Gilia.

Balzò verso Siirist con la lama avvolta dagli spiriti del fulmine ed affondò dall’alto la spada verso il cuore del biondo, che abilmente roteò il busto in senso orario usando il piede sinistro come perno, e la lama di argento nero lo sfiorò di pochi millimetri.

‹Merda!›

Il biondo alzò il braccio sinistro e Corvinus si ritrovò il rubino del pomolo che gli premeva contro la bocca dello stomaco, e subito dopo venne colpito dal gomito alzato di scatto e successivamente dal piede sinistro che gli affondò nello stomaco. La mano destra di Siirist fu avvolta dalle fiamme e rigirò la spada nella sinistra e piegò il polso in modo che la lama fiammeggiante gli sfiorasse il braccio. Mettendo tutto il peso del corpo sul piede sinistro, caricò il suo Pugno di fuoco che andò ad investire un muro di pietra generato dagli spiriti della roccia evocati da Gilia. Questi sfruttò la spinta data dal calcio di Siirist per precipitarsi verso Alea che stava affrontando i due draghi e Thor, mentre Cassius da lontano scagliava incantesimi di luce e di fuoco. Rinforzata la lama elettrica attorno a quella di argento nero con ulteriori spiriti, Gilia impugnò saldamente la sua spada con entrambe le mani e raggiunse il suo maestro d’armi, cogliendolo alla sprovvista e decapitandolo. Siirist, insoddisfatto dell’inefficacia del suo incantesimo, corse verso il moro e menò un fendente subito dopo aver nuovamente rigirato la spada ed averla impugnata con la lama rivolta verso l’alto. Corvinus parò il colpo con la lama posizionata orizzontalmente e la sinistra sulla lama, e dallo scontro di fiamme e scariche si generarono numerose scintille. Asthar balzò verso il suo Cavaliere, ma fu ostacolato da Alea che lo colpì al ventre con l’asta e lo spinse via e con l’altra estremità attaccò Eiliis sul muso con un colpo dato di taglio dal basso verso l’alto. Cassius stava preparando un incantesimo più potente dei precedenti e si fermò per raccogliere l’energia. Gilia lo notò e mentre duellava con Siirist, recitò la sua evocazione.

«Spiriti del fulmine e dell’oscurità, unitevi ed insieme generate una lama che si abbatta sul mio nemico.»

A tre metri di distanza dal ladro si formò una spada di quattro metri fatta da una sorta di fumo nero circondato da scariche dello stesso colore, che aumentarono sempre di numero fino a circondarla completamente e formare un’ulteriore lama. Con un poderoso fendente, l’uomo fu tagliato in due e, come Thor, il corpo scomparve.

‹Il mio controllo sugli spiriti del fulmine è ottimo, riesco a far loro ottenere la qualità perforante che hanno i miei incantesimi, ma non sono ancora bravo con quelli dell’oscurità, visto che non sono riuscito a fonderli completamente. Devo dedicarmici molto di più, ma intanto devo pensare a sbarazzarmi di Siirist.›

«Spiriti del fulmine, abbattetevi sul mio nemico.»

Dalla mano sinistra di Gilia, che aveva appoggiato al petto dell’altro, si liberò una scarica che lo mandò a sbattere con la schiena contro la parete. Nello stesso istante, Alea riuscì a bloccare nel ghiaccio i due draghi.

«Spiriti della roccia, immobilizzate il mio avversario. Spiriti dell’oscurità, privatelo delle sue forze.»

«Sbrigati, ho bisogno di una mano, non ce la farò ancora per molto!»

«Non è colpa mia se il tuo fidanzato è così forte! E mi sembra che lo sia anche più del solito! Non è che ti sei fatta di lui un’immagine idealizzata?»

«Ricorda che stai combattendo senza magia. E lui in questo momento sta dando il massimo.»

Siirist cominciò ad emanare una forte luce arancione scuro che infine esplose in una prorompente fiammata che distrusse la roccia che lo aveva bloccato e fece scomparire gli spiriti dell’oscurità. Si lanciò in un istante contro Gilia, attaccandolo con un fendente dato con la nuda lama rossa, parato da un tondo dritto di Enedome ithil. Ryfon non continuò lo scontro di forza, ritirandosi subito indietro e, così, sbilanciando Corvinus; piantò la spada a terra e si mise in posizione per il Comandamento incendiario, generandolo nell’arco di un secondo ed incanalandolo in Beleg runia.

«Ehi, non l’ho mai visto fare nulla di simile!» si preoccupò il moro.

«Nemmeno io! Se tutto questo è basato sui miei ricordi, perché è capace di fare una cosa del genere?!»

Il biondo impugnò la spada rubina e la estrasse dal terreno, guardando quasi divertito i due avversari.

«Ingenui; Colonna fiammante!»

Dalla lama infiammata puntata contro i due Cavalieri, si generò l’incantesimo che, amplificato dagli incantamenti dell’arma, era così potente da distruggere tutto il Santuario. Ci fu una forte esplosione e tutto, da arancione e rosso, divenne bianco, fino a che Gilia non si ritrovò steso a faccia in giù su un prato verde.

«Cosa diavolo è successo...?» disse con fatica.

Si massaggiò la testa, notando di aver perso la sua armatura, e si guardò intorno, vedendo Alea nella sua stessa condizione, se non messa leggermente peggio.

«Siete fortunati, questo mondo è governato dagli spiriti ed essi vi hanno protetti. Se vi foste trovati nel mondo reale, quell’incantesimo vi avrebbe annientati, non sarebbe rimasto nulla di voi. Il vostro amico è potente, più di quanto voi immaginiate.» disse Siirist.

Camminava lentamente verso il Cavaliere d’Incubo, Beleg runia che strisciava a terra creando un piccolo solco.

«Dove siamo?»

«Nella parte interna della mente di Alea. Pare abbia esagerato, con quell’incantesimo ho distrutto la rappresentazione del Santuario di Cheydinhal. Sono stato creato bene, ho la stessa avventatezza del vero Siirist Ryfon.»

«Puoi dirlo forte, hehe.» ridacchiò Gilia mentre cercava di rialzarsi.

Si trovava in una vallata bellissima, piena di alberi da frutto. Notò in particolare un melo accanto ad un laghetto. Sotto all’albero vi era l’unico oggetto non naturale: un treppiede reggente una tela su cui era ritratto Siirist.

«Sì, i ricordi di Alea sono i frutti di tutti questi alberi; le mele che vedi lì sono i ricordi amorosi. Mi pare gli piacciano le mele, giusto?»

«Cos’è, tutto d’un tratto hai voglia di parlare?»

«Mi sto godendo i miei ultimi momenti.»

«Di cosa parli?»

«Il sogno che intrappolava Alea è stato distrutto, non ho più motivo di esistere.»

«Quindi Alea è ora libera?!»

«Hahaha! Ti piacerebbe! Alea è ancora intrappolata nella sua mente, inoltre non ti credere che mi accontenti di finire così!»

«Mi pare giusto.» rispose Gilia sorridendo eccitato e raccogliendo la sua spada.

I due si lanciarono uno contro l’altro, riprendendo il loro duello, scambiandosi colpi su colpi, sempre più veloci e potenti. Corvinus era impressionato nel vedere la vera potenza dell’amico, quasi spaventato. In tutti i loro allenamenti, allora, si era sempre trattenuto! Non c’erano dubbi, oramai lo aveva superato in tutto. Ma non si sarebbe certo dato per vinto! Sorridendo sempre più esaltato, mise anche più cuore nello scontro, riuscendo anche a spingere indietro l’avversario. Con un’ultimo sottano manco aprì la guardia del biondo e lo calciò con un calcio sinistro frontale, lanciandolo via. Ryfon si riprese a mezz’aria girando su se stesso e ritornando a terra, ripartendo subito all’attacco; la spinta fu tale da affondare nel terreno e volò come una freccia verso il moro, caricando il suo affondo.

«Addio.»

La guardia di Gilia superata, la lama rubina raggiunse la fronte del ragazzo per poi volatilizzarsi un istante prima di toccarla, assieme a tutto il corpo di Siirist. Gli occhi sgranati per lo shock, Corvinus perse la presa di Enedome ithil e cadde sulle ginocchia, sedendosi poi sulle caviglie. Aveva perso. Contro un avversario che nemmeno stava combattendo seriamente, che si stava solo divertendo, era riuscito a perdere. La superiorità del Cavaliere d’Inferno era schiacciante. Scosse la testa incredulo: non gliel’avrebbe certo fatta passare liscia! Si sarebbe allenato duramente, non gli importava del bonus di douriki fisici di Rorix, tutto ciò che doveva fare era aumentare i suoi ben oltre il limite del bonus! Al momento Siirist aveva 7800 douriki fisici, senza contare il legame con il drago, mentre Gilia ne aveva 8600. Era in vantaggio, ma, grazie ai legami, tra i due c’era una differenza di 20800 a svantaggio del Cavaliere d’Incubo. Il doppio Cerchio d’argento del biondo lo aiutava enormemente, era anche per quello che Siirist era così più forte, ma doveva solo aspettare il giorno che entrambi avessero avuto il 100% di legame, e allora sarebbe solo contata la forza loro personale. Essere un Cavaliere permetteva una crescita fisica ben oltre il normale, dando modo a dei semplici umani di aumentare la forza fisica fino a dei livelli inimmaginabili. No, non si sarebbe dato per vinto. Anche se, raggiunto il 100%, Siirist avrebbe avuto un vantaggio di 40000 douriki, si sarebbe impegnato per colmarlo. Senza contare l’aiuto che potevano dargli gli spiriti del fulmine e della terra. Sì, nel giro di dieci anni lo avrebbe raggiunto, se non superato.

Ritrovata la sua forza d’animo, Gilia sorrise e si alzò, girandosi verso il punto in cui prima aveva visto Alea stesa a terra, ma non la trovò. Preoccupato, si guardò intorno ma non la vide. Si mise a chiamarla, sempre più forte, ma non gli giunse alcuna risposta.

‹Dannazione, dove accidenti è finita?!›

Prese a correre superando ciliegi, peschi, albicocchi, peri. Si sorprese nel vedere che non c’erano meli se non quello accanto al laghetto. Alea amava veramente molto Siirist, gli ricordava come erano lui e Deria. Sarebbe stato curioso di vedere la parte interna della mente dell’amico; se non avesse visto che Alea era tenuta così in considerazione come faceva lei con lui, si sarebbe assicurato di pestarlo a dovere! Dopo tutto quello che aveva passato, Gilia sentiva che il suo legame con l’elfa era diventato molto più intimo e si sarebbe aspettato di vedere solo il meglio da quel pigro bastardo!

‹Però ammetto che non è più stato con un’altra ragazza. Considerando che si tratta di lui, è già molto! Ora però sarà meglio trovare Alea.›

Continuò a correre fino a che non ebbe i brividi nel sentire una voce che richiamò la sua attenzione.

«Yo.»

Gilia si fermò di colpo, stringendo saldamente Enedome ithil. Si girò lentamente e vide Siirist seduto su una roccia che aveva appena superato, la gamba sinistra che arrivava normalmente a terra, ed accanto ad essa, conficcata nel terreno, Beleg runia, la destra incrociata ed il gomito corrispondente appoggiato al ginocchio. Teneva lo zigomo destro appoggiato al pugno, mentre la mano mancina accarezzava il rubino della spada. Lo guardava con un ghigno divertito, gli occhi azzurri che brillavano di eccitamento.

«Credevo fossi sparito.» cominciò a sudare il moro.

Aveva perso ogni atteggiamento superiore nei confronti di Ryfon ed era ormai perfettamente consapevole che, se avessero combattuto nuovamente, avrebbe perso miseramente.

«Non fare così! Se perdi le speranze, è quando perdi veramente! Se giochi bene le tue carte, puoi battermi. Stesso discorso vale per il vero Siirist Ryfon.»

Corvinus si limitò a guardarlo senza distogliere lo sguardo, ma allo stesso tempo analizzando l’ambiente circostante.

«Tranquillo, non sono qui per fermarti. A quanto pare, sono stato assorbito dalla mente di Alea e non dipendo più dall’insetto di tuo cugino, per cui sono rinato.»

«Di che insetto parli?»

«Di quello che ha dato inizio a tutto questo casino. Un tipo di parassita molto particolare che è in grado di mandare in coma gli esseri viventi a cui si attacca e di succhiare loro la vita.»

«Le ispezioni di Deria e Cassius non hanno rivelato nulla di simile! E hanno detto che la vita di Alea non era in pericolo, oltre al fatto che sia in questo sonno infinito.»

«Sì, beh, questo insetto è parecchio bastardo. Non bastano i controlli magici di base per individuarlo, bisogna sapere cosa si sta cercando. A proposito, Alea è da quella parte, oltre quel vigneto.»

«Perché mi stai aiutando?»

«Te l’ho detto, non sono più il frutto del sogno indotto dall’insetto, ora sono fuso alla mente di Alea. Sono dalla parte dei buoni adesso.» il ghigno si fece più accentuato.

«Come no.»

«Non mi credi?»

Abbassò la sinistra verso l’impugnatura della spada e la estrasse dal terreno nello stesso momento in cui portò il piede destro a terra; scattò in avanti e menò un montante con il filo falso che fu prontamente parato da Gilia.

«Che cattivo che sei.» mise il broncio, che subito si ritrasformò in un sadico ghigno divertito.

Tolse la forza dal braccio ed abbassò la spada, imitato dall’altro che comunque lo osservava attento.

«Te lo ripeto, devi ringraziare gli dei di avere Siirist come alleato. Cosa darei per essere nella sua di mente! Lo renderei tanto più forte! Sì, gli insegnerei molte cose sulle sue capacità che lui ancora ignora!»

«E tu come fai a saperle? Sei solo il prodotto della mente di Alea; in sostanza sei come Alea vede Siirist.»

«No, sono ciò che l’insetto da capito da Siirist guardando i ricordi di Alea.»

«Ancora non mi hai spiegato di che insetto si tratti.»

«È un semplice parassita demoniaco, non c’è niente da spiegare. Tuo cugino l’ha trovato e l’ha catturato. Quando si è presentato ad Alea glielo ha trasmesso.»

«Nessuno si accorto di niente.»

«Ovvio, è microscopico, invisibile ad occhio nudo, persino per gli elfi. Per caso l’ha toccata in un qualche momento?»

Gilia si concentrò nel ricordare il momento dell’arrivo di Albecius nella sala da pranzo e gli ritornò in mente che, dopo averle mostrato i suoi anelli, le aveva sfiorato il naso. Siirist notò compiaciuto che l’altro se ne era ricordato.

«Bingo. – con tutte le dita piegate ad eccezione del pollice e dell’indice che formavano un angolo retto, puntò la mano destra a forma di pistola verso il moro e mimò uno sparo. – Ora vai a salvare la donzella in pericolo, il suo aiuto sarà prezioso nella battaglia al castello. E vedi di non morire nel mentre, o tutto questo sarà stato inutile.»

Sogghignando, Siirist portò la lama oltre la spalla sinistra e si dissolse in una nuvola di fumo. Corvinus restò a guardare per un po’ nel punto in cui prima si era trovato il corpo del biondo, per poi decidersi e correre verso il vigneto. Quanto avrebbe voluto il supporto di Asthar in quel momento, consultarsi con il suo drago lo avrebbe certamente aiutato; poteva davvero fidarsi di quel finto Siirist? Ma non vedeva altre opzioni, l’unica alternativa sarebbe stata continuare a correre nervosamente senza una meta: almeno in quel modo aveva una direzione da prendere. Ma non poteva mandare giù il modo in cui era stato umiliato una seconda volta! Quel bastardo, quando lo avesse rivisto, lo avrebbe riempito di botte!

Dopo qualche buon minuto di corsa, Gilia raggiunse la fine del vigneto, oltre il quale vi era solo una prateria; e lì, a cento metri da lui, vide una sorta di mosca gigante con, attaccata sotto al torace, una gabbia in cui era rinchiusa Alea.

«Gilia! Finalmente sei qui! Liberami, questo... coso!... è orripilante! Mi fa schifo!»

«Pf...!» tentò di soffocarsi Corvinus.

«Cosa stai ridendo?! Maledetto, tirami fuori di qui subito!»

Era vero, Alea detestava le mosche, o piuttosto le facevano impressione, quasi paura. Negli esercizi mentali che avevano fatto il primo ed il secondo anno, e che Siirist ancora continuava a fare, in cui avevano unito le loro menti a vari animali per poi aprire il loro occhio mentale, Alea si era sempre rifiutata di farlo con qualsiasi tipo di dittero. Gilia ricordava perfettamente Alea che, quasi piangente, si rifiutava categoricamente di completare l’incarico assegnato dal Maestro: “Voglio dire... Si nutrono di organismi in decomposizione! Di escrementi! Che schifo!”. Vederla così stressata e ansiosa era uno spettacolo per cui Siirist lo avrebbe certamente pagato profumatamente pur di guardare nei suoi ricordi.

«Smetti di usarmi come tuo intrattenimento personale, e portami via da qui!»

«Agli ordini! Spiriti del fulmine, caricatevi e... eh?»

Scioccato, Gilia si fermò nel tentativo di percepire gli spiriti, ma non ve ne era traccia.

«Stupido, è ovvio che la stregoneria non funzioni, questo non è il mondo reale, non ci sono spiriti qui! E siamo usciti dalla loro dimensione, quindi puoi anche smettere di sperare di poterne evocare qualcuno.»

«E allora come dovrei fare...? Nemmeno la magia funziona, visto che non posso attingere al Flusso vitale.»

«Sei in un mondo mentale, quindi tutto dipende dalla tua forza di volontà. Puoi usare la magia, ma non sarà come fai di solito, non devi attingere al Flusso; piuttosto devi rafforzare la tua mente ed immaginare il tuo incantesimo: allora succederà. Se sei abbastanza forte, potrai lanciarne anche di più potenti di quanto potresti in realtà.»

«Hm, sembra interessante!» si eccitò Gilia, sorridendo e stringendo la presa sulla spada.

«Mi sembri Siirist!»

«Fra qualche anno, forse.»

«Facciamo anche millennio. Pivello.»

Gilia guardò verso la propria destra e vide nuovamente il falso Ryfon con il suo sorriso eccitato stampato in volto e Beleg runia appoggiata sulla spalla sinistra.

«E lui cosa fa qui?!» si spaventò Alea.

«Ancora tu?! Te ne vuoi andare una volta per tutte?!»

«Non mi va. Piuttosto, che stai aspettando? Vai a prendere quel mangia cacca.»

«Ah! Non dirlo!» cadde in ginocchio l’elfa, tremante, più preoccupata delle abitudini alimentari dell’insetto che del fatto che ci fosse un Siirist che voleva ucciderli.

Questi scoppiò a ridere sonoramente, portando indietro la testa.

«Non mi aiuterai, vero?»

«Se continui a cercare l’aiuto di Siirist, non lo supererai mai.» guardò seriamente verso Corvinus.

«Bene. È proprio quello che volevo sentire.»

Gilia alzò la mano sinistra e la portò di fronte al viso, concentrandosi perché emanasse scariche elettriche. Dapprima non accadeva nulla, ma dopo un po’ che si sforzava, se ne generarono alcune, che diventavano sempre più potenti ogni secondo che passava. Infine, il ragazzo mise tutto la sua determinazione e la sua frustrazione nell’incantesimo, e l’avambraccio sinistro fu avvolto da una massa esplosiva di fulmine.

«Ci siamo.» disse soddisfatto.

Annullato l’incantesimo, Corvinus corse verso la mosca gigante, che scappò verso l’alto.

‹Ora capisco perché non mi ha attaccato finora, non ha alcun potere combattivo.›

Gilia si concentrò e prese il volo, inseguendola. Dopo alcuni metri perse un po’ l’equilibrio, ma si riprese subito e diede la caccia all’insetto.

«Che i miei fulmini risultino essere una carezza per Alea: Ruggito della tigre!»

Caricata l’energia attorno alla lama nera, il moro la puntò verso l’avversario e liberò la magia; il raggio azzurro elettrico andò a colpire in pieno la mosca, con la testa di tigre che ruggì potente. Leggermente abbrustolita, la mosca fu spinta via e perse quota, e fu subito raggiunta da Gilia che la colpì con un fendente sopra al capo, aprendo uno squarcio orribile da cui schizzò sangue verdastro. Rovinò verso il basso, aiutata dal Pugno di Geb che Gilia innalzò e guidò con il braccio sinistro, che colpì il mostro sul lato destro e ne schiacciò il sinistro a terra.

«Stai bene?» si preoccupò Corvinus.

«Una meraviglia! Basta che mi tiri fuori da qui!» rispose nervosa l’elfa.

«Che i miei fulmini risultino una carezza per Alea: Giudizio di Ramuh!»

Gilia puntò Enedome ithil verso l’alto e da essa partì un fulmine che, arrivato ad un’altezza di cinquanta metri dal suolo, si trasformò in un cerchio elettrico che si spostò direttamente sopra alla mosca: da esso partì una potente scarica che investì in pieno il nemico.

«Hoho, impressionante!» ridacchiò Siirist.

Osservava la scena con la mano destra sopra agli occhi, facendo finta di stare a guardare qualcosa in lontananza, la spada sempre appoggiata sopra la spalla. Sorrideva soddisfatto, deridendo Gilia.

«Se sei tanto forte, vieni tu a combattere, no?» si alterò il moro, la tempia ingrossata.

«Non ci penso nemmeno! È troppo divertente stare a guardare!»

‹Bastardo... peggio di quello vero...›

Osservò bene il nemico che con fatica si riprendeva, il sangue che continuava a colare e cadere a terra. Se solo non ci fosse stata Alea, avrebbe potuto lanciare uno dei suoi incantesimi preferiti, ma l’avrebbe colpita e la terra non era un elemento che si poteva rendere inconsistente, non quell’incantesimo, almeno.

«Ah giusto, non te l’ho detto prima, me ne ero dimenticato. Hai presente come è stata quella mosca a crearmi?» disse Siirist con un tono che nascondeva un forte senso di ilarità.

Ciò non piacque minimamente a Corvinus, che già si aspettava brutte notizie.

«Sì, insomma, ogni sua goccia di sangue può generare delle creature. Non saranno mai al mio livello perché ha lavorato parecchio per rendermi perfetto come sono, ma potranno comunque essere pericolose. Soprattutto se tieni conto del loro numero: hai la minima idea di quante gocce di sangue siano cadute a terra?»

«Bastardo...!»

«Te l’ho detto, me ne ero dimenticato! ... Colpa mia! Hehe.»

«Lama perforante.»

Caricando i fulmini attorno alla lama, Corvinus ne generò una larga venti centimetri e lunga cinque metri, con cui attaccò il punto in cui la gabbia di Alea ed il torace della mosca erano uniti. La sua rapida discesa fu però interrotta da un essere liquido e verdognolo dalle fattezze di Siirist che lo attaccò con la spada.

«Ehi, stupida mosca! Io non sono così brutto!»

Corvinus evitò per un soffio, ritornando a terra ed annullando la lama elettrica. Pian, piano, altre creature di sangue stavano prendendo forma e lentamente avanzavano verso il Cavaliere d’Incubo.

«Se vuoi un mio consiglio, occupati di quelle brutte copie di me in ordine cronologico! La loro forza aumenta con il tempo, perché la mosca li rende sempre più forti.»

«Hai una bella faccia tosta a dire che sono copie di te! Non sei nemmeno il vero Siirist!»

«No, ma sono meglio!»

«Cosa?!»

«Si è rammollito! Ho visto come era a Skingrad dai ricordi di Alea... Era meglio. È sempre strafottente, ma ora è diventato il tipo che pensa troppo.»

«“Pensa”?! Sicuro di sapere bene di chi stai parlando?!»

«Oh sì, più di te di sicuro. Intendo dire che non si fa più guidare dai suoi istinti come faceva un tempo. Sebbene sia sempre una testa calda che agisce prima di pensare, una volta dava retta ai suoi istinti e sapeva naturalmente cosa fosse meglio fare. Ora non è più così, ora i suoi istinti sono soffocati dalla ragione. E per uno come lui, questo è devastante. Mi chiedo come se la stia cavando a Zanarkand.»

Gilia scivolava tra gli attacchi delle creature di sangue che diventavano più veloci ad ogni secondo. Ma notò che la loro intelligenza non era affatto sviluppata e abilmente riuscì a condurne una trentina in un punto, per poi lanciare il suo incantesimo Corona di pietraferro, che generò centocinque guglie di pietra durissima che spuntarono dal terreno e perforarono i nemici. Il nome era dato dalla forma che assumevano le punte di roccia, suddivise in dodici cerchi concentrici con una guglia in meno più ci si avvicinava al centro, e da lontano quella formazione di terra poteva rassomigliare ad una corona.

«Ma immagino che questo non sia il momento di preoccuparsi di lui, vero? E io eviterei attacchi come questo, d’ora in poi, perché se li fai a pezzi, non fai altro che creare nuove gocce di sangue.»

«Tch!»

Le labbra serrate e lo sguardo duro, Gilia osservò i suoi avversari moltiplicarsi ulteriormente mentre il sudore gli colava lungo la fronte.

«Le tattiche migliori sarebbero usare il fuoco per bruciare ogni molecola di quel sangue oppure congelare ogni clone. In alternativa potresti usare la terra per metterli in dei blocchi e anche il fulmine dovrebbe funzionare, ma non ci giurerei.»

«Non sono molto bravo con il fuoco da solo, ma ho un’idea migliore.»

Gilia eresse di fronte a sé un muro di pietra su cui appoggiò la mano, e da esso, dalla parte rivolta verso i cloni di sangue, incominciò ad uscire della lava ribollente che colò verso il terreno e lentamente si diresse verso i mostri. Il rivolo magmatico prese velocità e si ampliò, fino a raggiungere i nemici che ci marciarono direttamente dentro, sciogliendoli in poco tempo.

‹Di questo passo non finirà mai, e sto cominciando ad affaticarmi. Devo sbrigarmi a liberare Alea.›

Stringendo la presa sull’impugnatura della spada nera, Gilia la elettrizzò nuovamente come prima e volò oltre il muro, portandosi dietro della lava con cui colpì tutti i cloni attorno alla mosca e con un affondo deciso, recise la gabbia dal torace.

«Sì!» esultò Alea.

Gilia afferrò una delle sbarre e volò via, allontanandosi di un centinaio di metri e poi distruggendo la prigione dell’amica.

«Oh, finalmente! Non ce la facevo più a stare vicino a quell’orrore!»

Corvinus ridacchiò.

«E adesso è ora di finirla.» concluse decisa lei.

Distese il braccio destro e nella mano apparve Raama tel’ arvandorea, e si mise subito in guardia, la sinistra lungo il fianco. Venti cloni di sangue si erano diretti verso i due Cavalieri e Gilia eresse un muro di pietra a difesa dell’amica ed andò incontro ai nemici, mentre l’elfa preparava un incantesimo con cui finire definitivamente la mosca.

«Zanna di tigre!»

La lama nera di Enedome ithil si ricoprì di sfolgoranti scariche azzurre e ad ogni colpo essa si allungava a seconda di quanto fosse distante il bersaglio, per poi ritornare alla sua misura normale il momento che lasciava il corpo verde sanguinolento dei mostri.

«Ora basta! Uscite subito dalla mia testa! Danza del drago dei cieli!»

Attorno alla fanciulla si creò l’esile sagoma di un drago alato, delineata da correnti d’aria, che volò delimitando una circonferenza di dieci metri di diametro, sempre più forte, fino a che non generò un tornado che si innalzò fino alle nuvole. E in questo muro di vento, compariva a tratti l’immagine del drago, talvolta verso la base, altre volte più in alto.

«Qui non si possono percepire le energie, quindi non posso saperlo, ma è un incantesimo vivente o solo uno che ha preso le sembianze di una creatura con il mio Ruggito della tigre?» domandò stupito Corvinus.

«Vivente.»

Il tornado si dissolse e tutto il vento si concentrò attorno al drago, rendendo il suo corpo ben più definito, e permettendo al moro di vedere che fosse fisicamente identico ad Eiliis, ed esso volò verso la mosca, lanciandosi in picchiata a terra accanto ad essa e ridando vita al ciclone, intrappolando l’insetto nell’occhio.

«Non vorrei mettere in dubbio le tue abilità con il vento, ma... quello non è il punto più sicuro in assoluto per quella mosca?» disse un po’ insicuro Gilia.

Si piegò verso sinistra per evitare un fendente di un clone e nello stesso tempo menò un tondo dritto  con il filo falso che lo divise perfettamente in due. Un altro gli si avvicinò sul fianco sinistro, ed il ragazzo portò indietro il braccio, ruotando il bacino.

«Martello di Thor!»

Pietre e fulmini si concentrarono attorno all’avambraccio e alla mano ed egli abbatté il possente pungo sulla faccia della creatura, facendole esplodere la testa.

«Uh...! Vedere la mia faccia, seppur replicata male, ridotta in quel modo non è piacevole. – si massaggiò la guancia destra. – E vorrei ricordarti che non stai facendo altro che creare più e più gocce di sangue! Hehe!»

«Tu fai silenzio, anche tu non sei che una copia!»

«Ah, acidella, la bambina! Perché non pensi, piuttosto, a completare il secondo stadio della concatenazione?»

«Un incantesimo combinato?! Alea, da quando?»

«Non può certo competere con il Comandamento incendiario, però!»

«Rosa dei venti!»

Il vortice attorno alla mosca cominciò tutto ad un tratto a congelarsi, formando sculture di ghiaccio che raffiguravano varie rose, fino a che non divenne una colonna di qualche centinaio di metri completamente decorata con fiori sbocciati dal colore cristallino.

«Sei ancora un po’ lenta, devi velocizzarti, altrimenti hai i miei più grandi complimenti.» ammise Siirist impressionato e non.

Gilia, che combatteva ancora i cloni, si accorse che piano, piano si facevano più deboli, fino a che, dopo circa un minuto che Alea aveva completato i suoi incantesimi concatenati, non caddero a terra in una pozza verdastra.

«Bene, è finita.» esclamò entusiasta il biondo.

«Basta, non ce la faccio più!» crollo esaurito Gilia a quattro di spade sulla soffice erba.

«Scusa, è colpa mia se hai dovuto fare tutto questo.» disse Alea arrossendo lievemente e sedendosi, anche lei esausta.

«Ehi, vuoi che mi ingelosisca?!»

La risposta fu una lancia di ghiaccio che finì nel vuoto, in quanto Ryfon sparì nel nulla per poi ricomparire dietro alla fanciulla.

«Ora manca solo che ti svegli e che Gilia lasci la tua mente. Ma prima che andiate via, voglio finire il discorso sul vero Siirist.»

«Che vuoi dire?» alzò la testa il moro.

Alea si limitò a rimanere in ascolto, la testa leggermente china.

«Avete capito cos’è che sta annebbiando i suoi istinti e non gli sta permettendo di essere ciò che è di natura? Perché al momento è un leone in gabbia, incapace di cacciare e di liberare la sua vera natura.»

Silenzio.

«È l’amore. In poche parole... – nuovamente scomparve, per rimaterializzarsi a pochi millimetri da Alea, la bocca sull’orecchio di lei. – è colpa tua.» le sussurrò.

Ella, all’apparenza impassibile, se non per il guizzo momentaneo degli occhi e per la mascella serrata, in realtà interiormente si sentì morire, pugnalata da mille lame di ghiaccio.

«E ora sveglia.»

 

Alea e Gilia aprirono gli occhi nello stesso istante. Tutti i presenti si lasciarono sfuggire un commento di gioia, più o meno marcato, come l’urlo strozzato di Deria o il grugnito soddisfatto, accompagnato da una testa annuente, di Thor.

«Deduco sia andata bene.» disse Cassius.

«Sì. È stata dura, ma ce l’abbiamo fatta.» rispose Corvinus.

«Padron Gilia, vi aiuto ad alzarvi.» porse la mano il guerriero.

L’elfa si alzò da sola e rimase in silenzio, l’espressione indecifrabile, gli occhi bassi e spenti, non carichi della loro solita luce altezzosa. Asthar se ne avvide e domandò al Cavaliere cosa fosse successo.

‹Ne parliamo dopo.›

«Senti, Alea...»

«Vado a dormire. Scusatemi, sono un po’ stanca.»

Tutti la guardarono un po’ insicuri.

«Tranquilli, mi sveglierò tra un paio di ore. L’insetto è stato eliminato e già espulso dal mio corpo.» sorrise.

«Quale insetto?» chiese Deria, ma non ebbe risposta.

Gilia osservò l’amica che si dirigeva verso la loro stanza, lo sguardo preoccupato. Non gli era piaciuto quel sorriso, nemmeno un po’; vedeva perfettamente che era finto, che era una maschera per coprire la tristezza che la affliggeva. Le parole del falso Siirist l’avevano colpita duramente.

 

La sera giunsero in segreto a Cheydinhal trentasei guerrieri dalla Gilda di Imperia e si pianificò l’attacco al castello all’alba dell’indomani.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

Scusatemi tanto per il ritardo, ma in questi giorni ho avuto molto da fare e non sono riuscito a finire il capitolo in tempo per la pubblicazione di domenica. Vorrei far notare un cambiamento sul capitolo OBLIVION, in cui ho cambiato l’undicesimo sigillo. Inizialmente l’ho chiamato Tirannosauro, perché in giro per Tamriel ci saranno mostri stile dinosauri che saranno decisamente forti, ma effettivamente suona male e non mi è mai piaciuto. Non so per quale ragione non mi sia venuto in mente prima, ora ho messo Grifone. Quindi, ricapitolando, i dodici sigilli sono: topo, cane, serpente, scimmia, aquila, tartaruga, cavallo, orso, toro, tigre, grifone, drago.

 

franky94, non hai idea di quante volte abbia rivisto quel capitolo! Ma di sicuro non quanto questo, perché ho riscritto la prima metà quattro volte prima di essere convinto su come presentare questo Reame dei sogni! E nel capitolo di presentazione del simpatico cugino di Gilia, non avevo minimamente pensato a questa mosca, infatti sono stato con le dita incrociate nell’andare a rivedere se avevo scritto che toccava Alea in qualche momento, e per fortuna lo fa! Quanto sono stato in pena a pensare a cosa potesse aver tenuto Alea in coma, non ne avevo la minima idea fino a tre giorni fa! Sono felice ti piaccia il rapporto tra Siirist e Glallian, e vedrai in futuro come si svilupperà. In futuro Siirist avrà un bel numero di stili di combattimento, e per ora ne ho pensati solo una decina, ma voglio metterne tanti altri. E trovo che la parte più interessante della storia sarà proprio il periodo in cui li svilupperà, e non vedo l’ora di arrivarci. L’uso di armi a materia è parte di un paio di essi, ma sicuramente le integrerò anche in altri nuovi. Per vedere il primo dei tre grandi combattimenti della storia, dovrai aspettare otto capitoli, e sono mesi che aspetto di scriverlo. A volte ho messo fretta ai capitoli solo per arrivare a quel punto, perché è da lì che la storia si fa proprio bella e interessante. Il problema è riuscire a scrivere in modo da rendere giustizia alle idee che ho in mente, ma ci proverò! Ancora Ren non ha sfoggiato tutta la sua abilità, ma nel prossimo capitolo di Zanarkand farà in modo di mostrare le abilità di un vice! Per quanto riguarda l’ultimo punto della tua recensione... ok, me ne ero dimenticato. Il personaggio di Navare è nato all’inizio della storia e non era affatto ispirato a Desmond o antenati, solo gli assassini, in stile e tutto, lo erano a quelli di AC. Però, nel momento che ho scritto LA VOLPE GRIGIA, avevo da poco fatto Brotherhood e devo dire che ho avuto voglia di mettere un qualcosa di Ezio sull’assassino più centrale della mia fanfic, per cui gli ho messo la cicatrice. Ammetto che non ricordavo di averlo fatto, sei tu che me l’hai fatto tornare in mente! Anche perché inizialmente non lo avevo descritto con essa; ma è anche vero che da quando lo ha incontrato Siirist sono passati quasi quattro anni, e direi che è realistico procurarsi una cicatrice facendo l’assassino!

 

Il prossimo capitolo si intitola L’ALBA DI CHEYDINHAL. Non ho scritto nemmeno una parola, quindi avrò bisogno di due settimane, ergo sarà pubblicato il 20 febbraio. In compenso i due capitoli successivi sono già pronti, quindi ne pubblicherò uno di giovedì. E ricordo che lasciare un commentino non fa mai male e non fa perdere poi tutto questo tempo!

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** L'ALBA DI CHEYDINHAL ***


L’ALBA DI CHEYDINHAL

 

La mattina del 3 gennaio, alle cinque meno un quarto, approssimativamente quaranta minuti prima dell’alba, cinquantotto uomini, due donne e due draghi uscirono, con il favore delle tenebre, dal Santuario di Cheydinhal. Erano divisi in tre gruppi ed usarono tre uscite differenti: il primo, il più piccolo, composto da Thor, Codus, Deria, Cassius e tre assassini, utilizzò una porta segreta accanto al cancello sud, e rimase in attesa; il secondo, composto da dieci assassini con Navare al comando, utilizzò il pozzo nel cortile della Gilda dei Mistici; il terzo, composto da trentasei guerrieri di Imperia, Dyus, un mago ed uno stregone della Gilda di Bravil, due stregoni della Gilda di Cheydinhal e i due Cavalieri con i draghi, uscì dall’isoletta in mezzo al fiume che attraversava la città, così da doverla percorrere tutta per arrivare al castello. L’idea era farsi individuare il più possibile per attirare l’attenzione, così che le altre due squadre potessero agire indisturbate. Gilia era equipaggiato con la sua pesante armatura di mithril, che sentiva leggera quanto una tunica di lana grazie alla sua forza notevolmente incrementata rispetto all’ultima volta che l’aveva indossata, uno scudo rettangolare di Cristallo incantato legato all’avambraccio sinistro, con il lato corto quanto l’avambraccio stesso e quello lungo di un metro, e alla vita la cintura che reggeva Enedome ithil. Dopo attenta considerazione, aveva deciso di non indossare l’elmo, poiché gli impediva di vedere ai lati, e sarebbe stato in svantaggio contro nemici che puntavano sulla velocità. Asthar, grande quanto un gatto, era appoggiato alla sua spalla sinistra. Il ragazzo lo guardò, venendo poi attratto dalla figura di Alea, che stava proprio da quella parte. Con indosso la sua nuova armatura, all’avambraccio sinistro aveva assicurato un piccolo scudo rotondo di acciaio, il diametro di venti centimetri. Alla vita portava la cintura con Raama tel’ arvandorea, mentre alla sella di Eiliis, grande quanto un cavallo, era legato l’arco dell’elfa assieme alla faretra. Corvinus guardò l’amica con un senso di inquietudine: per tutta la sera precedente, ella non aveva aperto bocca, se non per dire una o due parole. Per quanto fosse onestamente preoccupato per il suo benessere, in quel momento temeva solo che il suo stato d’animo non fosse dei migliori per una battaglia così importante, poiché c’era il rischio che non fosse ben concentrata e che potesse mettere in pericolo tutta l’operazione. L’aggiunta di sedici guerrieri rispetto al piano originale non era sufficiente a calmare il Cavaliere d’Incubo, che cominciò sudare freddo, istintivamente stringendo l’impugnatura della sua spada e fissando il terreno.

Cos’hai?

Dopo aver sentito la voce di lei nella mente, Gilia si voltò verso l’elfa, vedendo il suo sguardo impensierito. Quasi si mise a ridere: era lei che si angosciava per lui?

Tu, piuttosto? È da ieri che non dici niente; non dirmi che stai dando peso alle parole di quel finto Siirist?!

‹...›

Oh, avanti! Non è da te! Senti, sono sicuro che se la stia cavando egregiamente a Zanarkand. Insomma, sono preoccupato anche io, ma lo sono come lo ero ieri o l’altro ieri, dopotutto è una missione pericolosa. Ma le parole di quel bastardo non mi hanno certo messo più ansia di prima. Dovresti sapere che il suo amore per te non lo ha reso più debole, anzi! Grazie a te ha un motivo in più per cui tornare a casa vivo, quindi non si farà ammazzare tanto facilmente!

Ilyrana abbassò lo sguardo e, grazie al legame telepatico, il ragazzo sentì che stava soppesando le sue parole, ma non le aveva superato la barriera mentale al punto di poter sentire tutti i ragionamenti che stava compiendo.

Potresti avere ragione.rispose infine.

Quindi per oggi stai concentrata e finiamo in fretta e per bene questa missione, così possiamo tornarcene subito a Vroengard. Sicuramente è già lì che ci aspetta, arrabbiato perché gli abbiamo tenuto la nostra missione nascosta.› sorrise leggermente.

Alea rispose nello stesso modo, ma aprendo la bocca e mostrando la bellezza fatta a persona, con tutto il viso che si illuminò da quel sorriso, gli occhi che brillavano. Gilia si sentì travolto da tanto splendore ed arrossì un po’ quando l’amica gli diede un lieve bacio sulla guancia. Le diede un buffetto sulla spalla, per poi riconcentrarsi sulla missione.

Arrivati a cento metri dal castello, Gilia si fermò, imitato immediatamente da Alea e Dyus, poi da tutti gli altri. Inspirò leggermente e portò la destra alla sua spada, sguainandola e rivolgendola verso l’alto. Si voltò verso le sue truppe, rivolgendo le spalle al castello, l’armatura argentata che risplendeva grazie ai lampioni della città, la lama, invece, quasi invisibile poiché dello stesso colore del cielo alle sue spalle.

«Ricordate, i soldati del castello sono uomini fedeli al conte di Cheydinhal, uomini resi schiavi dall’usurpatore Albecius Corvinus. Se vi sarà possibile, non uccideteli; nel caso in cui lo faceste, vorrei che vi prendiate il momento in cui spezzate le loro vite per riflettere sul grande sacrificio che quei soldati hanno fatto per la loro terra e che li onoriate. E ora, andiamo e fermiamo la Setta dello Scorpione, andiamo per l’Impero!»

Asthar balzò a terra e assunse le dimensioni di un cavallo, mentre Gilia compì un mezzo giro e puntò la sua arma in avanti. I guerrieri, lanciando i loro gridi di battaglia, corsero, armi in pugno, verso il cancello del castello. I Cavalieri montarono in sella, Eiliis prese il volo e, giunta ad un’altezza di cinquanta metri, assunse le sue dimensioni naturali, mentre Asthar rimase fermo nelle retrovie: Gilia, in quanto comandante dell’operazione, doveva assicurarsi che andasse tutto bene e doveva analizzare la situazione. D’altronde non ci sarebbero dovuti essere problemi contro i soldati del castello, ed i guerrieri se la sarebbero cavata egregiamente anche da soli. Oltre a loro due, erano rimasti indietro anche Dyus, il mago ed i tre stregoni e sei guerrieri. I mistici avevano incominciato a preparare i loro attacchi per abbattere la barriera attorno alle mura; era un bene che sapessero come era stata eretta, perché altrimenti superare una difesa di Adrian sarebbe stato quasi impossibile. Il mago stava concatenando il suo sesto incantesimo di fuoco, a cui aveva unito il vento ed il fulmine, rispettivamente nel secondo e nel terzo passaggio, mentre gli stregoni stavano evocando una grande massa di spiriti dell’oscurità di terza categoria: singolarmente non erano minimamente paragonabile al mistico di corte di Cheydinhal, ma insieme erano in grado di richiamare spiriti potenti quanto quelli dello stesso Adrian, e questo era impressionante. Persino Gilia era capace di evocare solo spiriti di quinta categoria, quarta se si trattava di spiriti del fulmine.

«Gli unici pericoli veri sono lo spettro, l’elfo oscuro, Adrian e vostro cugino, giusto?» domandò Dyus.

«Proprio così.»

«Niente da dire su spettri e elfi oscuri? Si uccidono come si fa con un essere umano?»

«Sì, nella struttura fisica e nei punti deboli non cambiano da come erano da umani o elfi, quindi tutto ciò che era letale prima, lo è ancora.»

«Lancia incendiaria dei tre elementi!» disse il mago.

Sopra di lui, a quattro metri di altezza, si concentrò tutta l’energia fino a quel momento sommata, assumendo la forma di una lunga lancia dalla lama seghettata a due fili; le fiamme erano visibilmente forti, amplificate dal vento, percorse da occasionali scariche elettriche gialle. Gli stregoni ordinarono agli spiriti di scontrarsi con quelli che avevano eretto la barriera, annullandosi a vicenda, e l’incantesimo del mago fu lanciato contro il cancello, distruggendolo pochi secondi prima che venisse raggiunto dai guerrieri, permettendo loro di entrare nel cortile senza arrestare la loro carica. Uno degli stregoni riprese subito a pronunciare un’evocazione.

«Spiriti della luce, avvolgete i nostri nemici e mostrateci cosa è nascosto nel loro cuore.»

«Bene, così sapremo se ci sono Scorpioni nascosti tra i soldati.» disse soddisfatto Corvinus.

«Sì, coloro che brilleranno di rosso saranno Scorpioni. Sono stato tutto ieri a preparare questa evocazione predefinita con gli spiriti.»

«Hai fatto un ottimo lavoro.»

Eiliis si trovava a quattrocento metri sopra al castello, che sorvolava l’area del castello a pochi metri di distanza dalla barriera invisibile che lo proteggeva. Il momento che la sentì dissolversi, si lanciò in picchiata, per la felicità di Alea. Nonostante il cappotto pesante e la magia organica a riscaldarla, a quell’ora e in quel giorno dell’anno, stare a quell’altitudine era piuttosto freddo. Come la dragonessa si dirigeva verso terra, l’elfa vide il cancello delle mura demolito da una lancia di fuoco e tutti i guerrieri entrare nel cortile, nello stesso momento in cui si radunavano tutti i soldati. Non era ancora il momento di attaccare, doveva aspettare di vedere quali fossero Scorpioni, se ce ne fossero stati, e nel momento in cui vide dodici uomini brillare di rosso e così risaltare nel buio della notte, ella incoccò due frecce e le scagliò contro due di essi che si trovavano vicini. Si trovava a cento metri dal suolo e con Eiliis che continuava a scendere, doveva prendere bene la mira. Dopo qualche secondo, con la dragonessa a ottantacinque metri, scoccò i dardi che colpirono i due uomini al collo, abbattendoli istantaneamente.

Ottimo.› si complimentò Gilia.

Oh, stavi guardando?

Naturalmente. Sono il comandante, devo avere sotto controllo tutta la zona!

Strano, non avverto la tua presenza mentale qui intorno. Ah sì, eccoti lì.

Ci credo, eri concentrata sul prendere bene la mira! Però mi sorprendi sempre di più, riuscire addirittura ad individuare un occhio mentale...

Perché non nascondi bene la tua presenza. Sempre meglio di Siirist, però!

Ci vuole poco. Ancora nessun segno dello spettro e dell’elfo oscuro?

Niente, non sono nemmeno riuscita a individuare la loro presenza mentale, si staranno nascondendo.

Allora stai bene attenta, siete un bersaglio facile lassù, potrebbero facilmente lanciare un attacco a sorpresa.

Tranquillo, sia io che Eiliis stiamo bene in guardia. Inoltre ho eretto una barriera di luce e vento a quattro strati attorno a noi, un attacco a sorpresa non ci potrà colpire.

Ecco perché hai attaccato solo con le frecce fino ad ora, il tuo Flusso è già completamente impegnato.

I guerrieri ed i soldati si stavano brutalmente scontrando, i secondi che attaccavano senza il minimo riguardo per le loro vite, e questo rendeva il compito molto difficile per i primi, che cercavano di tenere il numero di morti al minimo. Per questo andavano soprattutto all’amputazione di arti, il più delle volte parando e subito dopo mozzando il braccio che reggeva l’arma e poi entrambe le gambe.

Quei guerrieri sanno il fatto loro.constatò Gilia impressionato.

Sì, ma di questo passo moriranno comunque dissanguati, e quindi soffrendo molto di più. Sarebbe più clemente decapitarli e basta.

Gli stregoni stanno evocando degli spiriti della natura per rimarginare le ferite, così che non perdano troppo sangue. Poi, finita la battaglia, potranno essere trattati magicamente per rigenerare gli arti persi.

Sì, hai ragione, è la cosa migliore da fare. Io intanto mi occupo degli arcieri.

E mentre lo diceva, Alea scagliò sei frecce in rapida successione che colpirono i soldati appostati sulle mura tra la spalla ed il pettorale sinistri, in un punto in cui avrebbero sofferto oltre ogni limite se avessero mosso il braccio che reggeva l’arco. Ma non calcolò la loro assenza di istinto di sopravvivenza e, incredula, li vide spezzare la parte della freccia che li avrebbe ostacolati nei movimenti e poi scoccarne di loro contro di lei. Rimbalzarono sul primo strato della barriera, senza danneggiarla minimamente, ma quell’azione diede da pensare all’elfa.

Al momento non posso usare la magia, dovrò per forza usare un’evocazione.

Non mi piace la piega che sta prendendo questa battaglia: anche se privati di un braccio, o anche entrambi, e delle gambe, le guardie continuano a cercare di lottare, i guerrieri stanno perdendo il loro morale.

Ci credo, non sono dei mostri, non si divertono certo a torturare così degli uomini innocenti. Fino ad ora si sono sfogati sugli Scorpioni, infatti ne è rimasto solo uno, ma di questo passo perderanno la testa. Aspetta, ne arrivano altri!

I due Cavalieri osservarono, Alea con i propri occhi, Gilia con quello mentale, preoccupati altri uomini uscire dal portone del castello, tutti bene armati, che si diressero verso l’area dello scontro. Tre alzarono le loro armi, una spada e due aste, verso Eiliis, e lanciarono degli incantesimi di luce, neutralizzati dalla barriera.

Altri Scorpioni?!

«Ehi, sono arrivati altri uomini che non sono guardie, sono altri Scorpioni?!» esclamò Gilia agitato.

«Lo so, i miei spiriti sono già al lavoro.» rispose lo stregone.

Inorridito, Corvinus vide quella massa di gente illuminarsi di rosso, e strinse nervoso l’impugnatura della sua spada con la sinistra, la destra si sfogò sulla sella.

«Come è possibile? I ladri avevano saputo che la Setta aveva mandato solo uno spettro ed un elfo oscuro! Era prevedibile che ci fosse anche qualche Scorpione di basso rango, infatti ci aspettavamo quelli visti prima, ma... tutti questi...! È ridicolo, è impossibile che siano entrati a Cheydinhal tutti questi Scorpioni senza che la Gilda potesse scoprirlo! Pare dovremo avvicinare la retroguardia.»

«Ehm... Gilia...» lo richiamò Dyus.

Il moro lo guardò, per poi voltarsi nella direzione in cui quello puntava. Gli occhi sgranati e la bocca spalancata, guardò con orrore come tutti i cittadini si dirigessero verso di loro, armi in pugno; gli occhi spenti, camminavano come non-morti.

«No, questo è troppo!»

Alzò di colpo il braccio destro verso l’alto, il palmo rivolto al cielo, ed in contemporanea il terreno si alzò, formando un muro spesso tre metri che si univa alle mura della città, alto quanto esse.

«Spero vivamente che non ci siano mistici tra quelle persone. Ma cosa cazzo sta succedendo, non eravamo stati informati che tutta la città era stata presa in ostaggio!»

‹Dobbiamo prendere tuo cugino il prima possibile, la situazione qui sta degenerando.› disse preoccupato Asthar.

‹Lo so, ma è più facile a dirsi.›

Dall’altra parte del muro di terra si sentirono i suoni di urti, con i cittadini che incessantemente tentavano di andare avanti lungo il loro cammino, come se non ci fosse stato niente ad ostacolarli. Incuriosito, più che altro perché aveva una brutta sensazione, aprì un occhio mentale da quel lato, e li vide spingere sempre più forte, arrivando anche a farsi male. Mordendosi il labbro, il ragazzo chiuse gli occhi e si concentrò mentre richiamava il Flusso nel suo palmo destro, che appoggiò alla parete. L’incantesimo che stava per lanciare non era semplice, poiché tutte le volte che aveva modificato le caratteristiche della terra, l’aveva sempre indurita, mai resa più morbida, e allo stesso tempo doveva mantenerne la resistenza, altrimenti gli abitanti di Cheydinhal sarebbero potuti passare attraverso il suo muro.

«Che la terra assuma una consistenza più morbida, come un cuscino.»

In qualche modo, riuscì a lanciarlo bene, e tirò un sospiro di sollievo, soddisfatto.

«Hm... Così mi togli tutto il divertimento, però.»

Come colpiti da un fulmine, Asthar balzò via e Gilia guardò verso l’alto, da dove era provenuta la voce, imitati dai loro alleati. Dyus preparò una freccia. Sopra al muro di terra, era appollaiato un uomo con corti capelli rosso acceso all’insù, che indossava dei calzoni neri con degli stivali di cuoio dello stesso colore, coperti da dei gambali neri, una camicia bianca ed un lungo cappotto nero aperto, le maniche, che arrivavano alla metà degli avambracci, permettevano di vedere dei guanti d’armatura particolari, come lo erano i gambali, in cui tutte le placche erano rivolte verso l’esterno ed erano visibilmente affilate; sulle nocche vi erano degli spunzoni acuminati, e le dita erano  protette solo fino alla seconda falange, lasciando quindi la terza scoperta.

«È lui, è lo spettro...» mormorò il mago.

«Vediamo... Potrei fare in modo che si uccidano tra loro... Sì, potrebbe essere una buona idea...»

‹Cosa?!›

Lo spettro ridacchiò contento e schioccò le dita. Senza nemmeno pensarci, Gilia balzò via dalla sella e attraversò il muro di terra, che si aprì al suo passaggio, e fulminò tutti i cittadini nel momento in cui si stavano girando l’uno verso l’altro.

«E ancora mi interrompi il divertimento... Dovrò insegnarti le buone maniere.»

In una frazione di secondo, Dyus alzò il braccio destro, la punta della freccia e l’indice che si sovrapponevano alla figura dello spettro; aprì la mano sinistra ed il legno perse la sua flessione, il dardo schizzò verso il cuore del bersaglio, ma fu incenerito a tre centimetri di distanza dallo sterno.

‹Quella non era una magia di alcun genere, né un incantesimo lanciato al momento, né una barriera.›

‹Spiriti del fuoco.› concordò Asthar.

‹Quando uno stregone perde il controllo degli spiriti che ha evocato, viene posseduto da essi e diventa uno spettro o un elfo oscuro, a seconda se fosse inizialmente un umano o un elfo. I suoi douriki variano a seconda del livello degli spiriti e diventa in grado di usare gli spiriti che lo hanno formato senza alcuna evocazione. Quello spettro è stato originato da spiriti di fuoco.› si ripeté Gilia nel tentativo di analizzare le capacità ed i punti deboli del nemico.

‹Stai bene attento ad un’eventuale illusione, ricorda che sono molto abili con la mente.›

Il mago lanciò una freccia di luce, mentre gli stregoni evocarono spiriti dell’aria per far levitare i guerrieri che corsero a mezz’aria contro l’avversario con le armi levate. Ma, nello stupore generale, i sei compagni abbassarono le loro armi tra di loro, sangue che esplose dal collo di uno a cui fu staccata la testa, ad un altro fu strappato il cuore dal petto da una spada con la lama a forma di uncino.

‹Cosa diavolo sta succedendo?!› si chiese Gilia orripilato.

‹Li deve avere illusi in qualche modo, evidentemente pensavano di stare uccidendo lo spettro.›

‹E la freccia? Come l’ha neutralizzata?! Ero concentrato sui guerrieri, non ci ho fatto caso. Dannazione, non ho percepito alcuna evocazione e nessun uso di magia; avrà nuovamente usato i propri spiriti?›

‹Mi sembra improbabile, il fuoco è inefficace contro un incantesimo di luce del genere, se non modificato propriamente, e gli spiriti di quello spettro sono di semplice fuoco distruttivo.›

Gilia si voltò verso il mago per scoprire cosa fosse successo, ma prima che potesse dire niente, lo vide morire con una lancia di pietra eretta dal terreno che lo trapassò dai testicoli per poi uscire dal cranio con uno schizzò di sangue e pezzi di cervello; la stessa sorte toccò agli stregoni.

‹Merda!›

Asthar aprì le ali e con essa diede più forza al suo salto, e si lanciò verso Dyus, permettendo al Cavaliere di afferrarlo.

«Che state facendo?!»

«Dobbiamo allontanarci! Sarebbe imprudente affrontare un nemico così forte senza una giusta strategia. Inoltre se tu fossi rimasto lì, avresti fatto la stessa fine.»

‹Stesso discorso che per il fuoco, quell’attacco di terra non ha emanato alcuna energia particolare, è per questo che ha colto di sorpresa mistici così preparati.› commentò nervoso l’Incubo.

‹Stai dicendo che quello spettro è formato da spiriti di fuoco e di terra?›

‹E anche piuttosto potenti. Cosa aveva in mente quello stregone quando li ha evocati?! Era ovvio che avrebbe perso il controllo e che sarebbe stato posseduto! Vedi di non fare niente di azzardato e stupido con la stregoneria, chiaro?!›

«Ma Gilia, se ce ne andiamo, quello spettro ucciderà tutti i cittadini! Volete una cosa del genere?!» si arrabbiò il cacciatore.

Aveva ragione. Corvinus strinse la mascella.

«Sto elaborando una strategia, ma devo portarti lontano, se resti morirai sicuramente. E ancora devo capire come ha fatto a bloccare quella freccia di luce.»

«Io lo so, l’ho visto.»

«Cosa?!»

«Sì, aveva la mano avvolta da una qualche aura nera e ha preso l’incantesimo al volo, dissipandolo.»

‹Oscurità!›

‹Parrebbe di sì.›

‹D’accordo. Io torno ad affrontarlo, tu proteggi Dyus.›

‹Non fare l’idiota, hai bisogno del mio aiuto. E so che vuoi proteggere il fidanzato di Deria, ma non credo gli stia piacendo troppo il tuo comportamento. È un ottimo arciere, potrebbe darti una mano dalla distanza.›

Gilia valutò tutte le sue possibilità, per poi comunicare al drago di fermarsi dopo che si erano messi d’accordo con il piano. Asthar non era molto favorevole all’idea, ma capiva che era la tattica più efficace.

«Ascolta, tu ora ti sederai sulla sella e Asthar ti terrò lontano dal pericolo mentre io affronto quello spettro da vicino. Allo stesso tempo, mi sosterrai con le tue frecce. Quando le finirai, Asthar te ne creerà di nuove con una magia di terra, d’accordo?»

«Va bene, spero di esservi utile.»

Il Cavaliere balzò giù dalla sella ed il cacciatore ci si accomodò, legandosi i lacci attorno alle gambe.

‹Purtroppo non potrò fornirti molto supporto direttamente.› si preoccupò l’Incubo.

‹Tranquillo, il tuo compito più che fondamentale: la nostra priorità è proteggere le nostre menti per evitare di essere illusi in qualche modo, e riuscire a difenderci da attacchi mentali è già qualcosa.›

Corvinus ritornò al suo muro di pietra e trovò lo spettro che lo aspettava reggendo una donna per la nuca, ai suoi piedi tre cadaveri carbonizzati.»

«Cosa diavolo hai fatto, bastardo?!»

«Te se sei andato, quindi ho cominciato ad annoiarmi, per cui ho deciso di uccidere una persona ogni minuto, fino a che non fossi tornato. Nel caso in cui non l’avessi fatto, avrei ucciso tutti per poi inseguirti. E in quel caso avresti avuto un ottimo vantaggio, quindi la caccia sarebbe stata più divertente.» ghignò sadico.

«Maledetto...» disse furioso Gilia, fulmini attorno ai suoi pugni serrati.

«Oh, è passato ora il quarto minuto!»

In un’esplosione di fiamme, la donna arse viva senza però emettere alcun suono, carbonizzandosi in pochi secondi.

«Fottuto psicopatico!»

Sguainando la spada e urlando selvaggiamente, il ragazzo corse verso l’avversario, evocando gli spiriti del fulmine che incrementassero la sua velocità.

‹Vedi di non evocare spiriti di terra, perché altrimenti li potrà facilmente assimilare.›

Ma il moro nemmeno sentì le parole del suo drago per quanto era arrabbiato, e caricò il nemico con Enedome ithil rivolta all’indietro e pronta per essere istantaneamente portata in avanti con un tondo dritto quando fosse arrivato a portata di attacco. Lo menò portando in avanti la spalla e mettendoci tutta la sua forza, ma il nemico parò senza problemi alzando l’avambraccio sinistro; l’argento nero della spada del Cavaliere cozzò con le scaglie nere lucide della protezione dello spettro, generando qualche scintilla per l’impatto.

‹È forte. Molto forte! Sia dannato, mi impedisce pure di utilizzare gli spiriti della terra!›

Balzò indietro per evitare il gancio destro ed il rapido calcio destro rotante dato un secondo più tardi, la lama della punta del piede che gli sfiorò gli occhio.

‹Fai attenzione, se ti avesse colpito con quel calcio, ti avrebbe diviso la testa a metà come un cocomero.›

‹Che bella immagine.›

Portò indietro il braccio sinistro e strinse la mano.

«Pugno di Geb!»

Lo spettro alzò la mano destra con cui intercettò il pugno di pietra, che andò in frantumi, per poi subito balzare verso il ragazzo con un diretto destro.

«Muro di pietraferro!»

In contemporanea all’incantesimo, Gilia balzò indietro, evitando così il calcio destro dal basso dato dallo spettro il momento che aveva superato la barriera di pietra indurita con il pugno iniziale. Senza fermare il proprio movimento, lo spettro roteò il proprio corpo in senso antiorario, chiudendosi su se stesso nel primo mezzo giro e riaprendosi nel secondo, quando estese la gamba sinistra in un attacco che arrivò al volto di Gilia da sinistra e che andava in diagonale verso destra. Nella frazione d’istante prima che venisse colpito, il Cavaliere riuscì a muoversi verso destra per evitare l’attacco, notando con la coda dell’occhio come ci fosse una lama tipo sperone sul tallone del nemico.

‹Se mi avesse preso, non avrei più il mio occhio sinistro!›

Per un attimo si trovò allo spalle dell’avversario, ritrovandoselo sul fianco destro, e sollevò la spada sopra la sua testa, mettendo tutto il suo peso in quel fendente laterale. Lo spettro si sbilanciò verso destra ed appoggiò il piede, riprendendo la sua rotazione con la gamba sinistra, e la pianta del piede mancino intercettò la lama nera del Cavaliere. Usandola come piedistallo, questi balzò sbilanciando il ragazzo ed alzando la gamba destra in un calcio a spazzata verso sinistra, lasciando una evidente riga sull’armatura di mithril di Corvinus con lo spunzone acuminato della punta.

«Hai una bella armatura: di mithril e rinforzata da vari incantamenti. Deve essere bello avere i soldi per poterti permettere qualcosa di simile, nobile Corvinus.»

Buttato indietro, Gilia recuperò il suo equilibrio e si rimise in guardia, impugnando la spada con entrambe le mani. Aveva il fiatone, ma riuscì in poco a riprendere una respirazione normale e a calmare il proprio cuore.

 

Gli uomini appena usciti dal castello incominciarono ad illuminare la notte con la loro fosforescenza rossa, dando prova di essere Scorpioni. Nello stesso istante, Alea sentì che l’attenzione di Gilia fu rivolta verso qualcos’altro di preoccupante, ma non ebbe il lusso di assicurarsi di cosa si trattasse, perché vide una lama d’acqua pressurizzata avvolta da un vortice d’aria venirle addosso. Anche Eiliis percepì il pericolo di quell’attacco, e si spostò di lato in modo da evitarlo per un soffio, la barriera eretta dalla fanciulla fu tagliata come burro.

Una barriera a quattro strati con il potere complessivo di 320mila douriki superata così semplicemente?!ringhiò la dragonessa.

Alea guardò verso terra e vide un elfo oscuro con i capelli grigio cenere lunghi fino al sedere e raccolti in una treccia. Indossava abiti verde scuro, con un mantello beige, ed impugnava una lancia di due metri nella sinistra.

Come ha fatto a sorprenderci con un attacco magico? Non è da noi non riuscire a percepirne uno!continuò Eiliis.

Perché non era un incantesimo, e nemmeno un’evocazione. Quell’elfo oscuro ha utilizzato le caratteristiche elementali dei suoi stessi spiriti. Questa abilità è più simile ad un potere demoniaco che a qualsiasi arte mistica.

Quindi è formato da spiriti di acqua e vento? Quell’attacco era devastante, i suoi spiriti sono di alto livello!

Sì, di seconda o anche di prima categoria.

L’elfo oscuro portò indietro il braccio sinistro, preparandosi a lanciare la sua arma. La avvolse con una luce giallo oro e fulmini giallo pallido, e la scagliò; in volo, la lancia assunse più l’aspetto di una saetta e solo i riflessi istantanei di Alea, che aveva eretto una barriera prima che l’altro completasse il suo attacco, la salvarono da morte certa. Ma la lancia non cadde a terra dopo essere stata fermata dal muro di ghiaccio creato a mezz’aria, piuttosto lo stava perforando con sempre più forza. Allora Alea tenne in uso solo il Flusso necessario per far rimanere in aria la massa di ghiaccio, ed investì il resto, 35500 douriki, in un quadrato di luce di un metro di lato nel del muro da cui sarebbe spuntata la lancia.

Tutta quella energia in qualcosa di così piccolo... Questa barriera sarà certamente più potente di quella di prima!

Ma anche il suo attacco è più potente! Non è solo il potere della luce e il fulmine, è anche frutto dell’impatto dato dal lancio! La velocità che ha assunto la sua lancia, le ha dato molta più forza di quanta ne avrebbe se ci avesse attaccato fisicamente.

Aria, acqua, luce e fulmine, oltre che ottime capacità combattive: questo elfo oscuro è pericoloso.concordò la dragonessa.

Si spostò verso l’alto, uscendo dalla traiettoria della lancia, ed Alea annullò il suo incantesimo, spedendo la massa di ghiaccio contro il nemico, che la tagliò in due con la stessa lama di acqua e vento, generata dalla sua mano sinistra, che avevano visto prima. Le due metà del muro glaciale caddero con un sonoro tonfo ai lati dell’elfo, che prese il volo un secondo dopo. Per la durata di un battito di palpebre, Alea lo vide avvolto da un alone di luce dorata, per poi ritrovarselo a mezzo metro di distanza al battito successivo.

Super velocità?!

Abbatté il palmo destro sul petto della giovane, liberando una spinta di vento fulminante che disarcionò la altmer, per poi rivolgere la sua lama di acqua e vento contro il collo di Eiliis. Stava per colpire quando dovette muoversi improvvisamente indietro per evitare una raffica di proiettili di fuoco di Ilyrana, che annullò con un movimento della mano quando la ragazza glieli rimandò contro.

Questa volta ha usato la magia, significa che non ha poteri di fuoco.

Sì, ma non è uno degli elementi che ti viene meglio da usare.

Non ho molta altra scelta! Questo elfo oscuro è fatto degli spiriti dei miei elementi preferiti!

Allora usiamo delle combinazioni. Lancia tutti i tuoi attacchi di vento più forti, penserò io a trasformarli in incantesimi di fuoco con il mio respiro.

Va bene.

«Danza del drago dei cieli!»

Apparve attorno ad Alea la figura del drago d’aria, che prese a volarle attorno e formò un vortice, che poi assimilò, rendendosi più delineato. Volò verso l’elfo oscuro, e prima che questi potesse fare niente per neutralizzarlo, Eiliis esalò la sua più potente fiammata, rinforzata da magia di fuoco, che incendiò il drago d’aria. Esso investì lo Scorpione e lo bloccò in un secondo ciclone, incominciando la fase successiva della concatenazione.

Si tratta di fuoco, quindi non potrai usare la solita Rosa dei venti. Cosa pensi di fare?

Alea si concentrò e richiamò l’energia, trasferendola al tornado di fuoco e incominciando a variarne le caratteristiche.

Non dirmi che vuoi provare quello?! Non ti è ancora venuto bene una volta negli allenamenti! Althidon ti ha proibito di usarlo fino a che non fosse perfetto, ha detto che può essere molto pericoloso se non usato a dovere!

Non ho il lusso di potermi preoccupare di cose simili, è la mia unica possibilità!

Lentamente il fuoco, da sfavillante arancione scuro con riflessi gialli, cominciò a tingersi di verde spento con riverberi verde smeraldo.

«Fiamme della penitenza!»

Con un’esplosione, il tornado scomparve, lasciando il posto ad una colonna di ghiaccio verde, dentro al quale era intrappolato l’elfo oscuro, evidentemente in agonia.

Devi trovare un nome tuo, non credo che Althidon sarebbe contento che glielo hai copiato.

Non avevo mai preparato un incantesimo predefinito come questo! Non sapevo cosa fare, ed il modo migliore per immaginarmi l’effetto dell’incantesimo, era di pensare a quando Althidon l’ha fatto a Siirist.

Sì, però è stato rischioso farlo così, la situazione era diversa, usare l’idea di un altro incantesimo può far venire il tuo male. Nonostante questo, complimenti, sei stata brava.

Ma, nonostante l’elfo oscuro fosse stato intrappolato nel ghiaccio verde, la battaglia per Alea non era terminata, in quanto erano presenti ancora molti Scorpioni a terra, e tra essi anche dei mistici, ed i guerrieri stavano avendo alcune difficoltà. Si morse il labbro e passò il palmo sul sangue, per poi comporre le sessanta rune della tigre e far apparire, da un sigillo nero, il suo centauro, la faretra a tracolla e l’arco saldo nella mano sinistra. Fu subito attaccato da uno Scorpione che brandiva uno spadone a due mani di mithril, che uccise con un calcio sul cranio e ne reclamò l’arma. Impugnandola solo nella destra, partì di corsa tra le file nemiche, falciandone uno dopo l’altro.

Ora non dovrebbero avere problemi. In più è una buona occasione per fargli prendere delle nuove armi, infatti vedo che non si è messo a fare complimenti.

Solo il centauro? La tua riserva energetica è ancora quasi al massimo, puoi permetterti un’altra invocazione, e chiama tranquillamente la valchiria. Anche a lei farebbe bene rifornirsi di qualche arma.

Non sono molto adeguate quelle presenti qui.

Non fa differenza.

L’elfa sospirò: Eiliis poteva essere veramente testarda; se non avesse fatto come diceva, l’avrebbe continuata a tormentare. Forse era proprio per quella sua caratteristica che non andava d’accordo con Siirist, poiché erano tutti e due con la testa dura quanto il marmo nero. Un momento, se Eiliis era in quel modo, voleva dire che anche lei lo era? Insomma, sapeva di essere ostinata e orgogliosa, ma fino a quel punto...?

Vuoi deciderti a invocare la valchiria una volta per tutte?!

Sì, sì, ecco!

Una volta che la fanciulla ebbe completato le sessantasei rune necessarie all’apertura del portale, si formò a terra il simbolo dorato del sigillo e sopra ad esso si materializzò, in un alone di luce, il daedra più forte fra tutti quelli sigillati dai tre allievi di Althidon, l’unico per cui era necessario il sigillo del grifone. Era simile alla guardia di ferro di Gilia, in quanto rassomigliava un essere umano indossante un’armatura, se non per il fatto che quel durissimo metallo era proprio la sua “pelle”. Ma, a differenza della guardia di ferro, la valchiria pareva essere una donna, con persino il rigonfiamento all’altezza del seno, la vita più stretta e lunghi e lisci capelli biondi che spuntavano dall’ “elmo”. E oltre agli occhi, due fessure colorate sul viso, che erano verdi per quanto riguardava la valchiria e azzurri per quanto riguardava la guardia di ferro, l’unica differenza tra i due daedra stava nel fatto che dalla schiena di quello di Alea spuntavano due grandi ali piumate dal colore candido. In quanto a pura forza bruta, la guardia di ferro era superiore, ma la valchiria era tre volte più rapida ed agile, inoltre aveva l’abilità di volare, e questo giustificava la differenza di sigillo. Il momento che fu invocata, la valchiria portò la destra al fianco sinistro e sguainò la sua spada, menando istantaneamente uno sgualembro manco, senza nemmeno muovere un passo, contro un soldato del castello, mozzandogli un braccio prima che potesse uccidere uno dei guerrieri.

Gelida come sempre.› ebbe i brividi l’elfa.

Ma la sua attenzione fu richiamata dalla torre di ghiaccio verde che aveva creato con il fuoco freddo, che aveva incominciato ad emanare una forte energia elettrica, e stava tremando sempre più forte.

Pare sia ancora in forma. E ora è pure arrabbiato.commentò la dragonessa.

È molto più resistente di quanto credessi. Non sarà semplice.

In un forte bagliore dorato, che illuminò per due secondi mezza Cheydinhal come fosse giorno, l’elfo oscuro si liberò, e, avvolto da forti scariche elettriche, rimase immobile, sospeso a mezz’aria.

La vedo brutta.› disse nervosa Eiliis.

Alea si morse il labbro mentre incominciava a sudare freddo.

Siirist è stato mandato ad affrontare tre di questi insieme a tre spettri?!

Ti sembra il momento di pensare a quel cretino?! Non preoccuparti per lui, c’è Ren con lui, concentrati sulla tua situazione!

Lentamente e con decisione, mantenendo la sua posizione eretta e senza muovere un muscolo, l’elfo oscuro si avvicinò ad Ilyrana, le scariche elettriche che lo circondavano che diventavano sempre più forti.

 

Gilia balzò indietro per evitare il diretto destro dello spettro, innalzando contemporaneamente un muro di terra, infranto facilmente dal pugno nemico che non si fermò e continuò dritto come se nulla fosse. Ma era anche ovvio, dopotutto era riuscito a rompere il Muro di pietraferro, un innalzamento di terra incredibilmente indurita da poter essere confusa con il mithril, un incantesimo che lo stesso Adamar, il maestro della terra, gli aveva insegnato. Rompere la normale roccia di Cheydinhal doveva essere uno scherzo per quel mostro, che ora nemmeno gli lasciava il tempo necessario di lanciare incantesimi più complessi.

‹La mia unica possibilità sarebbe bloccare uno dei suoi colpi e poi contrattaccare subito. Ma ho paura che se prendessi in pieno uno dei suoi attacchi, come minimo mi romperebbe il braccio con l’impatto. Non mi resta che stare sulla difensiva fino a che non mi si presenta un’occasione favorevole. E voi due che state facendo?› domandò agitato al compagno.

‹Per tre volte Dyus ha teso il suo arco, per poi subito lasciar perdere. Dice che non trova nessuna apertura nei movimenti dello spettro; se non fai qualcosa per permettere a Dyus di lanciare una freccia, non avrà modo di aiutarti.›

‹Tsk.›

Lo spettro si lanciò in un salto carpiato in avanti che concluse con la gamba sinistra raggruppata e solo la destra distesa, diretta al cranio del Cavaliere, che riuscì per un pelo a salvarsi buttandosi verso sinistra. Ma il terreno, colpito dal tallone dello spettro, fu scosso e si creò una voragine di un metro nel punto più profondo, e larga due metri di circonferenza.

‹Ma cosa diavolo è questa potenza?! Avanti, non scherziamo! Questo non è normale! Io, per fare una cosa simile, devo usare un incantesimo, non potrei mai con la mia sola forza!›

Il moro perse l’equilibrio quando la terra sotto i suoi piedi si frantumò, e cadde leggermente in avanti, ma si riprese usando la sua spada come appoggio e si spinse via. Non fece però in tempo perché vide con la coda dell’occhio che gli stava arrivando un possente gancio destro dritto in faccia. In quel momento Dyus scoccò la sua freccia che colpì lo spettro tra il bicipite ed il tricipite, bloccandogli l’attacco e dando modo a Gilia di riprendersi.

«Maledetto umano...!» ringhiò lo spettro.

Si voltò rapidamente verso Asthar e Dyus e scagliò dalla sinistra una sfera infuocata, bloccata però da un Muro di pietraferro di Gilia.

«Mi hai stancato! Muori anche tu!»

Si voltò nuovamente verso Corvinus e scagliò una lancia di fuoco simile nell’aspetto a quella usata dal mago per distruggere il cancello delle mura del cortile.

«Muro di pietraferro!...»

Ma l’attacco dello spettro superò la barriera di Gilia, che però aveva già tenuto in conto quell’evenienza.

«... a catena!»

Altri nove ammassi rettangolari di pietra indurita si ersero, eventualmente bloccando l’attacco nemico.

«Non ti montare la testa! Grandi spiriti del fulmine, assistetemi e fornitemi il vostro potere perforante!»

Mentre recitava l’evocazione, lo spettro aveva eretto un muro di pietra di fronte a sé, da cui partì una lancia di pietra avvolta dalle fiamme e rinforzata dagli spiriti del fulmine evocati.

‹Questa è la nostra occasione, ora o mai più! Ascoltate bene il piano.› ed aprì la comunicazione telepatica anche a Dyus.

«Muro di pietraferro a catena!»

Molto più velocemente, l’attacco dello spettro trapassò le dieci barriere di Gilia e si diresse verso di lui, che si trovava più indietro di trenta metri.

‹Pronti?›

‹Aspettiamo solo il tuo segnale.› rispose l’Incubo.

«Muro di pietraferro!»

Un ennesimo muro fu eretto, e nel momento in cui la lancia lo colpì, in quella frazione di secondo prima che lo superasse completamente, Gilia fece ruotare la sua barriera di centottanta gradi, rimandando la lancia di pietra, fuoco e fulmine direttamente al mittente. Lo spettro, seppur colto di sorpresa, ebbe la prontezza di riflessi di reagire in tempo e direzionare la lancia verso il drago ed il cacciatore nel cielo dietro di lui. In questo modo, non ebbe modo di reagire a tutte le pietre, create dalla distruzione di tutti i Muri di pietraferro, scagliate magicamente contro di lui.

‹Anche se il suo corpo è composto da spiriti di terra, la terra non è un elemento assimilabile, quindi se non ferma queste pietre, ne verrà danneggiato anche lui.› si disse Gilia, soddisfatto del suo piano.

Ma dopo essere stato colpito da alcune pietre, lo spettro vi impose il suo controllo e stava per restituire il piacere al Cavaliere quando Asthar, che aveva evitato senza problemi la lancia, esalò un respiro infuocato abbastanza grande da coprire tutto il corpo suo e di Dyus dalla prospettiva dello spettro. Ma questi non se ne curò, poiché avrebbe semplicemente assimilato il fuoco, e scagliò le pietre contro Gilia quando si sentì perforare da dietro il collo da una freccia. Sputando sangue, cadde in ginocchio, ed il suo controllo sui sassi fu perso. Stavano per cadere, quando furono fatti nuovamente levitare da Corvinus, che li indirizzò nuovamente verso l’avversario, intrappolandolo in un cumulo di pietre.

«Mani di Geb!»

Dal terreno, ai lati del cumulo, spuntarono due mani di roccia con i palmi rivolti verso la prigione dello spettro. Nel momento in cui il Cavaliere unì nel proprie mani, anche quelle di pietra si scontrarono, schiacciando tutti i sassi e lo spettro. Il corpo inerme di questi era a terra, irriconoscibile per come era stato ridotto dalla pressione delle due mani magiche, immerso in una pozza di sangue, ogni parte del corpo ridotta ad una poltiglia. Gilia, boccheggiando pesantemente,  si pulì la fronte con il dorso della mano.

«È... morto...?» chiese Dyus un po’ intimorito, smontando da Asthar.

Gilia lasciò slegò lo scudo dal braccio e si avvicinò al nemico, i nervi a fior di pelle, e strinse saldamente Enedome ithil con entrambe le mani. La sollevò sopra la testa, scariche elettriche che cominciavano a circondarla.

«Zanna di tigre.»

La lama si tinse di azzurro ed il giovane menò il suo fendente: per un istante essa si allungò, raggiungendo il corpo immobile, per poi ritornare della lunghezza originale subito dopo averlo tagliato, senza nemmeno sfiorare il terreno. Diviso perfettamente in due, il cadavere non perse ulteriore sangue, in quanto già da prima affogava in un mare rosso. Gilia tirò un sospiro di sollievo e rinfoderò la sua spada mentre si voltava verso Dyus.

«Sì. E adesso andiamo al castello, Alea sta avendo dei problemi.» rispose sollevato.

 

I guerrieri, che dopo l’arrivo della seconda ondata di Scorpioni si erano trovati in svantaggio, soprattutto contro i mistici, si erano ripresi grazie al supporto delle invocazioni di Alea. Entrambi i daedra avevano dato inizio ad una strage, e, al massimo della felicità, il cerbero aveva raccolto anche un’ascia bipenne a due mani, brandendola con la sinistra dopo aver messo l’arco a tracolla ed affiancandola allo spadone nella destra. La valchiria, invece, non aveva trovato nessuna arma di suo gradimento, perciò continuava ad usare la sottile spada con cui era equipaggiata dal momento in cui era stata invocata. Non si poteva dire lo stesso per Ilyrana, che, trovandosi ad affrontare un elfo oscuro furioso, stava sempre più venendo messa sotto, soprattutto da quando lo scontro era diventato uno fisico, ed era stata costretta ad abbandonare l’arco in favore della spada. La superiorità schiacciante della forza fisica dell’elfo oscuro aveva obbligato la fanciulla ad utilizzare l’Ataru, che però non aveva ancora perfezionato, e riusciva solo ad unire 20000 douriki di Flusso a quelli fisici. E nonostante avesse ora un totale di 32160 douriki fisici, l’elfo oscuro continuava a spingerla indietro.

Non puoi stare sempre sulla difensiva, devi cercare di reagire! Di questo passo ci sconfiggerà!si lamentò Eiliis.

Non è... facile, sai...? Da quando si è liberato dal ghiaccio verde, ha incrementato di almeno dieci volte i suoi sforzi di penetrarmi la mente. Se dovesse riuscirci... sarebbe la fine... Non riesco a lanciare alcun incantesimo, già sto... faticando abbastanza a tenere attivo... l’Ataru...ansimò.

Fortuna almeno che ci sono io per gli spostamenti. Però purtroppo la mia magia è tutta dedicata alla barriera di vento, e continuare a tenerla su sotto tutti i suoi colpi non è semplice.

La altmer non rispose, in quanto si stava concentrando al massimo, e cominciò a tremare per l’eccessivo sforzo muscolare. Non aveva mai mantenuto un Ataru così elevato per tutto quel tempo, e sentiva che i muscoli le si stavano per strappare. L’elfo oscuro roteò la sua lancia attorno al corpo e sopra al capo, caricandola con dell’energia di luce, per poi attaccare con un fendente. Esso, però, non raggiunse la fanciulla perché egli fu colpito da un pugno di pietra, giunto assieme ad una voce che l’elfa conosceva anche troppo bene.

«Pugno di Geb!»

L’elfo oscuro fu spinto via, ma si riprese subito, e lanciò una lama di vento contro Gilia, che la bloccò con un Muro di pietraferro. Alea vide correre a terra la guardia di ferro dell’amico che roteava la sua alabarda e che, usando i piedistalli di roccia eretti dal suo invocatore, raggiunse il nemico ed attaccò con un fendente, parato dalla lancia posizionata orizzontalmente.

Da che spiriti è composto questo elfo oscuro?

Vento, acqua, luce, fulmine.

Tutti e tre i tuoi elementi preferiti! Ci credo che stavi avendo tutte queste difficoltà! Se fossi stato io in una situazione così svantaggiosa, sicuramente sarei già morto! Non posso usare il fulmine, purtroppo, ma almeno posso andare con la terra in un modo molto più vario di come potessi fare prima!

Corvinus affondò la sua lama nel terreno e si concentrò, trasformandolo lentamente in sabbia.

«Pugno di Geb!»

La variante sabbiosa del solito incantesimo del giovane esplose dall’appena formata area desertica, proprio sotto a dove si trovava il nemico, colpendolo in pieno. Subito dopo aver colpito, la sabbia perse la sua consistenza indurita ed intrappolò l’elfo oscuro in una colonna arenosa.

«Funerale del deserto.»

Essa fu concentrata in una sfera che racchiuse l’avversario e che si stringeva in base alla chiusura della mano del Cavaliere d’Incubo. Ma l’elfo oscuro se ne liberò con una potente folata di vento, e generò un tornado che sollevò tutta la terra essiccata dal moro, causando una tempesta di sabbia.

«Quella sabbia è mia! Non ti permetterò di farci i comodi tuoi! Pugno di Geb!»

Corvinus assunse il controllo della sabbia e dopo qualche rotazione la trasformò in una variante gigante del Pugno di Geb, che si abbatté completamente sul nemico, spedendolo a terra.

«Colpo d’ala dell’aquila reale!»

Alea, annullato l’Ataru, generò un incantesimo di vento tagliente che assunse la forma di un’aquila che volò verso l’elfo oscuro, incendiato da una fiammata della dragonessa. Il nemico venne ferito gravemente, con due profondi tagli infuocati che gli percorrevano il petto, e le fiamme che lentamente lo consumavano.

«Argh!– magicamente spostò tutte le fiamme verso la propria mano sinistra, che puntò contro la fanciulla, sostenendo il suo incantesimo anche con l’altra mano. – Raffica di fiamme!»

Dal suo palmo sinistro partì una miriade di frecce di fuoco che volò in direzione di Alea, ma Gilia innalzò un muro di sabbia che le assorbì tutte. Poi, improvvisamente, ci fu un’eruzione sotto ai piedi dell’elfo oscuro, che gli ricoprì le gambe di gravi ustioni, prima che riuscisse a volare via.

Sai, siamo stati molto sfortunati con i nostri avversari: quel dannato spettro era formato da spiriti di terra, fuoco e oscurità, mentre questo elfo oscuro da spiriti di luce, acqua, fulmine e vento. Nessuno dei due ha potuto usare il massimo delle proprie abilità, un vero peccato. Ma ora posso divertirmi come un matto ad usare tutti gli incantesimi che mi ha insegnato Adamar!

Hai ragione.› ridacchiò Alea.

«Tigre del deserto!»

Dalla sabbia si erse la figura gigantesca di una tigre che inghiottì l’elfo oscuro.

«Funerale del deserto!»

Il corpo della tigre si dissolse e ritornò a terra, ad eccezione di una parte che divenne nuovamente la sfera che imprigionava l’elfo oscuro.

«Non ti credere che faccia lo stesso errore di prima! Aculei d’istrice!»

Coperto dai suoni della battaglia che continuava feroce, il suono della carne trapassata da sedici spunzoni di sabbia indurita non fu udibile al di fuori della sfera arenosa. Sfinito oltre ogni limite, Gilia cadde in ginocchio, la prigione dell’elfo oscuro si dissolse ed il cadavere mutilato di questi cadde a terra con un tonfo sordo, creando, nell’impatto, una fontana di sangue. Eiliis ritornò a terra e si avvicinò all’amico.

«Grazie, mi hai proprio salvato. Un altro po’ e non sarei qui a parlarti.»

«Te l’ho detto, è stata pura sfortuna. Eri contro un avversario generato da tutti i tuoi elementi preferiti, dire che eri in svantaggio sarebbe un eufemismo!» si accasciò a terra.

La fanciulla sorrise. E solo in quel momento realizzò che mancava qualcuno di fondamentale.

«Dov’è Asthar?»

Corvinus ridacchiò ed alzò a fatica il braccio, puntando verso il cielo.

«Sei così stanca che nemmeno riesci a cercare la sua presenza mentale? È lassù, con Dyus che si sta occupando dell’abbattimento degli Scorpioni rimanenti.»

Ilyrana arrossì lievemente.

«Scusa se sono stata a faticare per tenere quell’elfo oscuro fuori dalla mia testa! Per tutto il tempo non ha fatto altro che cercare di illudermi! E poi sei arrivato tu, per cui ho dovuto proteggere anche te!» disse leggermente stizzita.

«Ah ecco, quindi saresti tu che hai salvato me?» rise di gusto.

«Logico!» incrociò le braccia offesa.

Gilia si mise faticosamente a sedere e guardò il cortile di casa sua trasformato in un campo di battaglia, con morti e mutilati ovunque, il terreno ricoperto di sangue.

«Che orrore, ma almeno possiamo dire che la nostra operazione è stata un successo: sia lo spettro che l’elfo oscuro sono stati eliminati, e lo stesso discorso vale per quasi tutti gli altri Scorpioni. E vedo pochi morti tra i soldati. Mi chiedo come stiano procedendo le altre due squadre.»

In quel momento si sentì il suono sibilante di un fuoco d’artificio che veniva sparato, ed esplose in una grande luce gialla.

«È la squadra di recupero! Hanno preso il grimorio!»

Asthar piombò su una guardia che stava per attaccare Gilia e Alea alle spalle, schiacciandola a terra e immobilizzandola.

«È Deria... Ce l’hanno fatta!» esultò Dyus smontando.

Alea guardò verso Gilia e lo vide con gli occhi lucidi, evidentemente anche lui felicissimo per quella notizia. Si girò per nascondere il proprio viso ansioso: possibile che fossero così ingenui? L’aver preso il grimorio non significava per forza che non ci erano state delle perdite. Ma decise di tenere per sé quei pensieri, non voleva rischiare di farli preoccupare per niente, e Eiliis concordò.

«Resta solo da aspettare l’arrivo di Navare e gli altri con tuo padre e Adrian.» disse invece rivolta verso Corvinus, sorridendo in modo incoraggiante.

«Sì...»

 

«Dannazione... è forte...!»

Dei dieci assassini della squadra di salvataggio erano rimasti unicamente Navare e altri tre, uno dei quali in pessime condizioni.

«Fareste bene ad arrendervi. È il mio maestro, dopotutto. Peccato non sia riuscito a mettere sotto il mio controllo anche quel bruto di Thor, sarebbe stato utile avere la sua forza a disposizione. Hahaha!»

Albecius, seduto comodamente sul trono del conte, usava lo zio messo a quattro zampe e pietrificato come poggiapiedi, mentre sorseggiava il suo cocktail gustandosi al contempo la bevanda e la scena che aveva davanti: dieci patetici assassini che venivano massacrati da Adrian. Ne erano rimasti ancora quattro, il che era sorprendente, considerando che stavano combattendo da circa un quarto d’ora ed erano riusciti a sopravvivere tutto quel tempo. Uno, però, stava per tirare le cuoia, così egli decise di divertirsi un po’ almeno con quello.

«Spiriti dell’aria, sollevatelo e tiratelo per i quattro arti.»

Come ordinato dal loro evocatore, gli spiriti dell’aria fecero levitare l’assassino moribondo e e tirarono così forte da squartarlo. Con orrore, Navare osservò il suo confratello, diviso ormai in cinque parti, cadere a terra in un’orribile pozza di sangue. Furente osservò l’usurpatore ridere come uno psicopatico. Afferrò un pugnale da lancio e lo scagliò contro quel bastardo, ma l’arma venne bloccata a mezz’aria.

«Ch-ch-ch-ch-ch.» disse Albecius mentre scuoteva l’indice destro.

Sorrise sadico, per poi comandare allo stregone di finire in fretta quegli uomini perché si era stancato. In quel momento, giunse uno dei pochi soldati che non erano andati al cortile, trafelato.

«Conte Corvinus, il grimorio... il grimorio di Helvo è stato rubato! Un gruppo di assassini assieme a Thor e... ah, ah... e ai due allievi di Adrian... sono fuggiti!» riuscì a dire dopo qualche secondo, boccheggiando.

Gli occhi di Albecius si iniettarono di sangue, serrò furioso la mascella e strinse così forte la mano sinistra da rompere il bicchiere.

«ADRIAN, COSA STAI ASPETTANDO?! VALLO SUBITO A RIPRENDERE! E UCCIDI TUTTI QUELLI CHE TI SI OPPONGONO, NON AVERE ALCUNA PIETÀ!» sbraitò calciando via e frantumando lo zio e balzando in piedi, le vene del collo sul punto di esplodere.

Lo stregone obbedì, avviandosi verso il portone del castello. Albecius si risedette, e guardò imbestialito gli assassini rimasti in vita. Quello che pareva essere il capo che sorrideva soddisfatto.

«Cosa ridi tu?! Spiriti del fuoco, circondatelo e fatevi fiamma di distruzione!»

Navare, che non aspettava altro, attese fino all’istante in cui gli spiriti evocati non si furono manifestati come fiamme per bruciarlo vivo, per scivolare fuori dalla loro presa e lanciare un secondo pugnale contro lo stregone, e poi corrergli incontro a spada tratta. Evitò altre due evocazioni, ma alla terza fu colpito dagli spiriti della luce che crearono una lama con cui tagliarono il braccio destro di Navare all’altezza del gomito. Egli non si diede per vinto, e, stringendo i denti,  nel momento in cui il suo avambraccio cadde a terra con la spada ancora stretta in pungo, spiccò un balzo per coprire gli ultimi due metri mancanti al suo nemico. Portò indietro il braccio sinistro ed attivò il meccanismo che fece scattare la lama segreta. Con la rotazione del busto, schizzò sangue da tutte le parti dal suo braccio mutilato, ma tutto ciò che vedeva era il punto di collegamento tra il trapezio destro ed il collo di Albecius Corvinus. Era troppo vicino, non avrebbe fatto in tempo a recitare un’altra evocazione... Ancora un metro... Corvinus alzò la mano destra e puntò l’indice ed il medio uniti contro l’assassino, e dalle due dita partì una lama di luce larga venti centimetri che colpì verticalmente il viso del seguace di Sithis nell’esatto centro.

«Giusto, non te l’avevo detto... Sono anche un mago.» disse sadico.

Navare, gli occhi spenti, cadde con un tonfo, ben presto ritrovandosi in una pozza rossastra, il capo diviso in due, con il cervello che usciva appena dallo spacco.

«E ora voi due...» mormorò minaccioso Albecius, alzandosi dal suo trono.

 

«Sì, li vedo, si stanno dirigendo verso il fiume! Sono tutti salvi!» disse felice Gilia.

Con molta fatica, era riuscito ad aprire il suo occhio mentale e cercare la squadra di recupero per la città, e finalmente li aveva trovati mentre erano nei pressi del fiume.

«Questo significa che dobbiamo andare ad aiutare la squadra di salvataggio.» esclamò Alea.

«Affrontare Adrian e Albecius nelle nostre condizioni? Eh, non posso dire di esserne felice, ma hai ragione, non c’è altro modo.»

«Non siate avventati! Nessuno dei due è più in grado di combattere! Affrontare due stregoni simili, significherebbe andare a suicidarvi!» protestò Dyus.

‹Ha ragione.› concordò Asthar.

«Lo so, ma non posso lasciare mio padre nelle mani di quel bastardo.»

«E io ho un favore da restituirgli.» disse gelida Alea.

Gilia ebbe i brividi a guardare l’amica, non l’aveva mai vista così arrabbiata. I suoi occhi erano irremovibili, la bocca serrata. Era sicuro che si stesse già immaginando le torture che avrebbe inflitto a suo cugino. Per un momento, Corvinus provò un po’ di pietà per lui, ma cambiò subito idea.

‹Gilia, guarda lì.›

Seguendo lo sguardo del drago, il moro vide la figura di Adrian uscire dal portone del castello e, con passo lento e deciso, incamminarsi verso di loro.

«Si sarà liberato dal controllo di vostro cugino?» chiese speranzoso Dyus.

«No...»

Lo stregone di corte, sostenuto dagli spiriti dell’aria, prese il volo e, con gli spiriti della luce, si mosse a velocità supersonica oltre le mura.

«Merda...!»

Facendo appello a tutte le sue forze, Gilia si rialzò, anche grazie all’aiuto del compagno. Gli montò in sella e quegli prese il volo, inseguendo lo stregone, seguiti da Eiliis e Alea. Raggiunsero il luogo dove la squadra di recupero era stata fermata e trovarono Adrian impegnato a combattere Thor.

«Idiota di uno stregone, vorresti forse uccidere i tuoi allievi?! Torna in te!»

Il guerriero scagliò un’ascia da lancio, subito seguita da una Materia rosso/arancio che generò una sfera infuocata che risucchiò verso di sé la forma vivente più vicina, cioè Adrian stesso.

«Spiriti del fuoco, circondatemi con la vostra ardente armatura.»

Attratto alla Materia esplosa dell’avversario, lo stregone vi marciò tranquillamente dentro, risbucando dall’altra parte.

«Tzè! Un altro dei tuoi giochetti da quattro soldi? Quando ti deciderai a combattere come un uomo?!» tuonò Thor, correndo verso il nemico brandendo lo spadone con due mani.

«Spiriti della terra, datemi la vostra forza e fornitemi un’arma.»

Assieme all’energia che, dai piedi, entrò in tutto il corpo dello stregone, indurendone i muscoli, spuntò dal terreno un’asta d’acciaio che egli afferrò prontamente con due mani e la usò per parare il fendente del guerriero. Assorbì l’impatto senza muovere un muscolo, rispedendolo al mittente e provocando un forte tremito a Thor. Adrian gli aprì la guardia con un movimento verso l’esterno della sua asta e la fece rapidamente roteare attorno a sé per dare più forza nel colpo che abbatté sulla tempia sinistra del barbaro, buttandolo a terra.

«Thor!» urlò Gilia, correndo verso il maestro d’armi.

«Spiriti della luce, attaccatelo incessantemente come frecce.»

Si formarono davanti a Gilia delle frecce di luce che volarono verso di lui, ricreandosi continuamente e all’infinito e tempestandolo continuamente.

«Muro di pietraferro a catena!»

Innalzate le barriere, Corvinus ebbe un mancamento e cadde sul ginocchio, ma si riprese e, seppur barcollando, si rimise in piedi.

‹Fai attenzione, ti sei stancato troppo con i due avversari di prima. È assurdo, nonostante tu potenzialmente possa lanciare un numero inimmaginabile di incantesimi poiché usi solo 1 douriki per volta, non hai ancora la capacità fisica e mentale di sostenerne così tanti! E prima hai usato la sabbia, il più complesso che possiedi, ormai sei al limite!›

‹Lo so, ma è necessario! Devo fermare Adrian ad ogni costo!›

Alea scoccò una freccia avvolta da magia di luce e di ghiaccio, che perforò la barriera di spiriti della luce dello stregone e lo ferì alla spalla destra.

«Sigillo magico!»

Alle parole dell’elfa, il ghiaccio si espanse fino a congelare tutto il braccio, il pettorale ed il gran dorsale destri dell’uomo.

«E così non potrà usare quel braccio per il momento. Peccato non sia un mago, perché, nel caso, gli avrebbe sigillato anche l’uso della magia da quel lato.»

«Come sempre, i tuoi incantesimi sono ad un livello superiore rispetto ai miei.» si complimentò Corvinus.

«Ti stai sottovalutando! Sai creare la sabbia, quella è una magia di altissimo livello!»

«Ma non è mia, mi è stata insegnata!»

«Ehi, femminuccia... Credevi davvero di avermi ucciso con quel colpo...? Anzi, piuttosto la chiamerei una carezza...!»

Adrian si girò sorpreso e l’ultima cosa che vide fu la rossiccia barba oscillante, prima di venire atterrato da un gancio destro che gli distrusse ogni osso in faccia. Sanguinando abbondantemente, perse i sensi.

«Quanta fatica per una mammoletta. Voi lì, che state aspettando? Portate il grimorio al Santuario!»

Deria e Codus, ancora a bocca aperta per come il guerriero aveva messo fine allo scontro, si ripresero e ripartirono di corsa.

«Padron Gilia, sono felice di vedere che stiate bene...» e crollò faccia in avanti.

La vista del possente Thor collassare preoccupò il Cavaliere d’Incubo, ma fu rassicurato dal sentire il suo pesante russare.

«Devono avere avuto anche loro una bella battaglia per impossessarsi di quel grimorio.» osservò Corvinus.

«Cassius?»

«È da prima che non l’ho visto, quando ho guardato con l’occhio mentale. Ho paura che non ce l’abbia fatta.»

«Molto probabile. Ora manca solo una persona, e poi tutta questa ridicola battaglia sarà finita. La prima cosa che mi farò sarà un bel bagno caldo.»

«Ottima idea, credo farò lo stesso. Ma prima, andiamo a trovare Albecius.»

I due draghi decollarono e ritornarono al cortile, dove videro i sedici guerrieri rimasti, la guardia di ferro, il centauro e la valchiria combattere contro Albecius. Egli non si muoveva nemmeno di un millimetro, ma i suoi spiriti impedivano che fosse raggiunto da qualunque attacco e al contempo mietevano vittime.

‹Dobbiamo riuscire a portare il combattimento a distanza ravvicinata, in quel modo non avrà modo di proteggersi.› disse Asthar.

Gilia vide Alea incoccare una freccia e tendere l’arco, lo sguardo furioso, ma la fermò.

«Ti darò modo di vendicarti, ma prima devo parlare con mio cugino.»

L’incubo atterrò ed il Cavaliere si morse il labbro, passandosi il sangue sul palmo destro; batté le mani e compose le sessanta rune della tigre, ma non aprì il portale. Invece smontò, per poi incamminarsi verso la massa di gente impegnata nel combattimento. Il suo daedra smise subito di lottare e si allontanò, e pure lo stesso Albecius fissò il suo sguardo sul cugino che si avvicinava.

«Albecius, dobbiamo parlare! Uomini, interrompete il combattimento! Ma se lanci un attacco a tradimento, la mia amica laggiù non ti darà modo di vedere l’alba. Ti ricordi di Alea, vero?»

«Certo, come potrei dimenticarti di cotanta bellezza? Come sta la mia mosca adorata?»

Ilyrana, i cui muscoli facciali erano scossi da tic nervosi, fu tentata dallo scoccare il suo dardo.

«È morta, ovviamente.» rispose Gilia.

«Fa niente, ne ho un altro centinaio, haha!»

«Perché?»

«Cosa?»

«Tutto questo. Sono diventato un Cavaliere, eri tu l’erede legittimo! Le spie della Gilda dei Ladri hanno saputo che non eri in combutta con gli Scorpioni fin dall’inizio, quindi il tuo obiettivo non era prenderti il grimorio di Helvo.»

«No, neanche sapevo della sua esistenza, proprio come te. Diciamo che non avevo più voglia di aspettare e mi sono preso il potere subito. Colui che è più forte sta in cima! E in questi giorni ho dimostrato chi è la persona più forte in questa città.»

«Bastardo, in un duello, ti farei a pezzi senza nemmeno versare una goccia di sudore.»

«Mio caro cuginetto, tu non conti! Ormai non sei più un abitante di Cheydinhal! Inoltre mi pare di vedere che ne hai versate ben più di una! Guardati, a stento ti reggi in piedi, ti tremano le gambe!»

«Non certo per colpa tua.»

«No? E chi è che ha dato inizio a tutto questo? Dimmi, come avete fatto a salvare la tua amica elfa?»

«Sono entrato nel Reame dei sogni.»

«Ah! E vorresti dirmi che farlo non ti ha stancato! E poi subito questa battaglia! Certo, ammetto che non è tutto merito mio, ma un bravo condottiero, governante o quello che sia deve saper anche sfruttare a proprio vantaggio ciò che non è in suo potere di controllare! Diciamo che bisogna essere un po’ volpe e un po’ leone.» ridacchiò.

«Sai a cosa mira la Setta?»

«No, e tu? Mi hanno detto che vogliono rovesciare l’Impero, ma non credo si stiano limitando a solo quello. In ogni caso, mi hanno promesso di lasciarmi il governo di Cheydinhal, e tanto mi basta. Non ho manie di grandezza come ce le aveva Umbranox, non mi interessa Spira! Mi basta la mia città. Dopotutto ci sono affezionato.»

«Affezionato?! Non farmi ridere, verme! Hai messo in pericolo tutti i cittadini senza nemmeno curartene! Quel dannato spettro con cui hai collaborato li ha messi tutti sotto il proprio controllo e ha tentato di ucciderli! Anzi, con quattro ci è riuscito pure! E guarda cosa hai fatto tu con i soldati! Uomini fedeli alla loro causa, a Cheydinhal! Guarda cosa li hai obbligati a fare!»

«Beh, bisogna pur rompere qualche uovo per fare una frittata, no?»

Gilia incominciò a tremare dalla rabbia. Non riusciva a credere alle sue orecchie, quella serpe arrivista aveva superato ogni limite!

«Basta! Albecius Corvinus, con gli spiriti come testimoni, io qui ti sfido a duello! Le condizioni per la vittoria sono se l’avversario è morto, non più in grado di continuare o si arrende. Che gli spiriti del fuoco possano ardere fino a che non diventiamo cenere se trasgrediamo le norme del duello.»

«Quindi mi stai dicendo che mi stai sfidando uno contro uno? Nelle tue condizioni? Questa sarà bella.»

«Silenzio! Il vincitore sarà il conte di Cheydinhal, accetti?!» disse deciso.

«Conte? Avanti, tu non puoi essere conte!»

«Accetti?!» tuonò, la voce che riecheggiò nel cortile silenzioso.

Tutti i presenti avevano lo sguardo fisso sui due Corvinus.

«Accetto. Sarà un piacere ucciderti, farò in modo di gustarmi ogni momento, come ho fatto con tuo padre.»

«Kh...! Quindi lo hai ucciso...?» disse furente Gilia, reprimendo le lacrime.

«Sì, ma non preoccuparti, con lui sono stato clemente, è stato rapido.»

«Perché...?»

«Non possono esserci due conti, e lui non voleva abdicare, quindi...! Hehe.»

«Bastardo!»

«Si dia inizio alle danze! Spiriti della luce, formate cento spade e abbattetevi su di lui!»

«Vieni avanti, centauro! Fallo a pezzi! Muro di pietraferro!» urlò aprendo il portale, innalzando subito dopo la barriera per proteggerlo dagli spiriti della luce.

Il sigillo nero della tigre apparve in aria, proprio davanti a Gilia, ed il daedra ne uscì al galoppo, roteando la sua ascia bipenne con solo una mano, passandosela dalla destra alla sinistra e viceversa.

«Avevi detto uno contro uno! Hai infranto le norme di un duello!»

«Stupido, sono un invocatore, è solo normale che usi i miei daedra! Purtroppo non sono in grado di affrontarti da solo, avrei tanto voluto squartarti con le mie mani!»

La guardia di ferro corse rapida verso il centauro e gli saltò in groppa, rimanendo in piedi sul forte dorso equino.

«E come hai fatto ad invocarlo così in fretta! Non dirmi che avevi già preparato le rune!»

Albecius, irato per essere stato preso in giro, evocò altri spiriti di luce insieme a spiriti del vento.

«Spiriti della terra e del fulmine, prestatemi forza e velocità.» recitò Gilia.

‹Cosa stai facendo, stupido?! La tua mente è già esausta! Vuoi diventare uno spettro?!›

‹Fai silenzio!›

Mise forza sul piede destro e calciò via, rompendo il terreno nell’impatto. Corse rapido compiendo movimenti a zig zag, evitando tutti gli attacchi degli spiriti nemici. Ma i suoi muscoli non riuscivano più a sostenerlo, e stava per crollare da un momento all’altro.

«Spiriti della natura, offro il mio sangue come compenso, sostenetemi per quindici minuti e rinfrescate il mio corpo e la mia mente.»

Tutto d’un tratto, Gilia si sentì riposato come se avesse dormito una settimana intera; la mente calma, i muscoli rilassati. Si voltò in direzione dell’avversario e vide i due daedra combattere furiosamente, ma essere fermati continuamente da spiriti di varia natura.

«Ruggito della tigre!»

Il grande incantesimo di fulmine a forma di tigre inghiottì il bersaglio e generò una violenta esplosione, che generò una voragine di trenta metri di diametro e profonda cinquanta. Dopo che la polvere si fu dissipata, Gilia vide il cugino ancora in piedi.

«Ancora vivo? Il Ruggito della tigre amplificato da Enedome ithil ha un potere complessivo di 350000 douriki. Devi aver eretto una bella barriera per esserti difeso così bene ed essere scampato con così pochi danni.»

«Spiriti della natura...» bofonchiò.

«Che fai, vuoi copiarmi?»

Gilia sollevò la sabbia dall’area seccata durante il combattimento con l’elfo oscuro e la avvolse attorno al cugino con il Funerale del deserto. Il rumore delle ossa compresse e schiacciate fu udibile anche dall’esterno, e quando la sfera di sabbia si aprì, uscì una cascata di sangue assieme al moribondo ed ormai deforme Albecius.

«Non puoi più combattere, il duello è concluso.»

Lo sconfitto cercò di dire qualcosa, ma tutto quello che riuscì a fare fu sputare sangue.

«Alea, non l’ho finito per permetterti di vendicarti un po’, ma non lo uccidere.»

«Grazie, ma non ha più senso, ormai. Ridotto com’è, non potrebbe sentire più dolore, tanto vale che lo uccidi. Mi ritengo soddisfatta solo a vederlo così.»

«Come vuoi.»

Il Cavaliere d’Incubo si avvicinò con passo deciso al cugino.

«Non sono come te, non mi diverto a vedere la gente soffrire. Ma per questa volta farò un’eccezione e mi godrò ancora un po’ il momento.»

Ma Gilia non ebbe mai modo di uccidere Albecius, perché egli fu avvolto da un alone di luce e vento che spinse via tutto ciò che gli stava vicino per la grande energia sprigionata. Gilia, rialzandosi a fatica, vide alzarsi la figura del cugino perfettamente ristabilito e diverso solo nel colore dei capelli e degli occhi, divenuti rosso vermiglio.

‹Oh merda...›

Lo spettro appena nato si sgranchì collo e braccia e si guardò intorno.

«Uhm, vediamo... Stavo facendo qualcosa... Tu, lì. Il mio corpo ospite ha espresso un solo desiderio prima di venire posseduto, cioè di farti soffrire atrocemente e poi di ucciderti. Chi sa perché... Ah, che noia! Non mi piace uccidere se non so il motivo! Voglio dire, adoro massacrare, però questo è diverso, non è puro divertimento... Uhm, vediamo... No, niente, non riesco a ricordare. Fa niente, con il tempo mi torneranno tutti i ricordi della vecchia personalità di questo corpo. Allora ci rivedremo. Sei un Cavaliere dei draghi, no? Saprò dove trovarti, allora. Ora voglio divertirmi e provare il piacere di possedere un corpo fisico! Alla prossima, Cavaliere!» e prese il volo.

Tutti guardarono increduli lo spettro volare via. Gilia era sconvolto: non riusciva a credere che, per colpa della sua fame di vendetta, aveva permesso ad uno spettro di nascere.

Alea gli si avvicinò e cercò di dire qualcosa, ma fu interrotta. Corvinus si alzò in piedi e si tolse l’armatura, nel momento in cui il sole incominciava a comparire da oltre le montagne ad est. Il Cavaliere d’Incubo levò in alto la sua spada e la rivolse contro l’avambraccio sinistro.

«Spiriti della natura, ecco il mio pagamento.» disse con voce spenta.

Affondò la lama nella carne e nell’osso, spingendo fino a che la guardia non raggiunse la pelle. Strinse i denti per il dolore, ma non si arrese e, soffrendo come mai prima, portò la lama lungo il braccio, tagliando il polso e la mano, estraendola dallo spazio tra il medio e l’anulare. Poi scosse il braccio, le due parti divise che oscillavano, e il sangue volava ovunque.

«Gilia, basta, fermo!»

Infine, il Cavaliere d’Incubo collassò, investito in pieno dai raggi del sole nascente. Cheydinhal si affacciava ad un nuovo giorno, con il suo conte morto, l’usurpatore, divenuto uno spettro, fuggito, ed il morale di tutti coloro che aveva combattuto per salvare la città distrutto.

 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

Incredibile, ce l’ho fatta per tempo! Dico la verità, non sono tanto sicuro sul finale. Il titolo, inizialmente, doveva dare l’idea di una rinascita positiva per la città, invece il capitolo si è concluso in tutt’altro modo. Ma trovo che il dare una nemesi a Gilia sia un’idea interessante.

 

Ringrazio ancora franky94 per la recensione. Questa volta fai bene ad essere sospettoso, e rivedremo e come quel Siirist mentale! Vedrai, vedrai come si evolverà! La Danza del drago dei cieli è forte, sì, ma ancora lenta. In futuro Alea la migliorerà notevolmente.

 

Il prossimo capitolo si intitola SCELTE DI TESTA, SCELTE DI CUORE e sarà pubblicato giovedì 24 in tarda serata, perché sono fuori tutto il giorno. Nuovamente, ricordo che recensire non causa dolore/fratture/caduta delle dita, la tastiera NON è vostra nemica!

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** SCELTE DI TESTA, SCELTE DI CUORE ***


SCELTE DI TESTA, SCELTE DI CUORE

 

Rorix cercava con tutte le sue forze di muovere i muscoli, fossero quelli delle zampe per balzare via, quelli delle ali per volare o proteggere il suo Cavaliere, fossero quelli del collo per spostare la testa e arrostire quel maledetto nano. Ma non ci riusciva. L’incantesimo lanciato dall’elfo oscuro emanava un’energia sconosciuta, ma, analizzando gli effetti, poteva intuire che fosse della branca della magia spaziale, magia gravitazionale. Persino a Vroengard vi erano solo due Cavalieri abbastanza abili da utilizzare incantesimi simili di quella potenza, cioè Adamar e Syrius, e questi solo in maniera rudimentale. Come poteva quell’elfo disporre di un simile potere? Il drago incominciò a muovere nervosamente gli occhi da una parte e dall’altra, cercando qualcosa, qualunque cosa, che lo potesse aiutare. Il nano era ormai solamente ad una decina di metri, e continuava ad avanzare rapidamente lasciandosi dietro una scia rossa. L’altro, che brandiva il martello, si stava dirigendo verso Ren. Anche lui era in pericolo, ma poteva benissimo pensarci Zabi: a Rorix interessava solamente Siirist. Il nano, arrivato a tre metri di distanza, spiccò un balzo altissimo che, se paragonato alla bassa statura, risultava ancora più incredibile. Roteò in aria la sua ascia e la portò oltre la testa, impugnandola con entrambe le mani. Stava finalmente ritornando verso terra e abbassando l’arma quando il drago sentì provenire dal Cavaliere un’ondata di rabbia, incredulità, ostinazione e grande forza.

«Non mi prendere per il culo!» scandì con decisione.

La lama ricurva dell’ascia aveva quasi raggiunto la fronte del bersaglio quando da questi si emanò un’ondata di energia invisibile che la bloccò a pochi centimetri di distanza e rispedì indietro il nano. Incredulo, Rorix guardò come gli effetti dell’emanazione del ragazzo facessero quasi tremare l’ambiente, andando ad intaccare leggermente le pietre in un punto delle mura del palazzo. Anche il secondo berserker fu colpito, seppur di striscio, dall’attacco involontario del biondo e colpì appena il lato sinistro della faccia di Ren, che fu solo spinto di lato. Ma la cosa più assurda fu che Siirist parve non essersi nemmeno accorto di ciò che aveva fatto. Con la sua sola forza di volontà aveva alzato una barriera così forte da annullare completamente l’attacco del nano e addirittura rispedirlo indietro. Che fosse quello il misterioso potere di cui parlava sempre Evendil? Come aveva fatto riguardo alla presunta preveggenza, decise di tenere per sé quel pensiero e non condividerlo con Ryfon, e poi discuterne con il mezzo dunmer una volta tornati alla Rocca.

Ma nemmeno tra mille anni si sarebbe fatto ammazzare in un modo così ridicolo! E soprattutto dopo aver sentito un discorso così banale e ridicolo! “La vostra era è terminata, ora inizia la nostra”?! Ma per favore! Andasse a dare via il culo! Lui doveva tornare alla Rocca, c’era Alea ad aspettarlo! Mica poteva morire così stupidamente! Quel dannato orecchie a punta, lo avrebbe fatto allo spiedo! Lo avrebbe infilzato così tante volte, che lo avrebbe riempito di buchi così da facilitargli il lavoro da puttana! Quel grandissimo stronzo!

‹Hai finito?› chiese quasi impaziente Rorix, ma con un tono di divertimento nella voce.

‹Sì. Andiamolo ad ammazzare.›

‹Ce la faremo da soli? Ren è vivo, ma si è preso una bella botta, e Zabi è ancora bloccato.›

‹Ma certo che ce la faremo! Mi sento pieno di energie!›

‹Allora andiamo.›

Siirist rimontò in sella e Rorix calciò da terra e sbatté violentemente le ali, portandosi all’altezza dell’elfo oscuro. Questi era immobile, paralizzato. Fissava terrorizzato drago e Cavaliere che si avvicinavano. L’Inferno notò questo particolare e pensò che forse questo potere di Siirist fosse abbastanza conosciuto e temuto, considerato quasi una leggenda. Dopotutto era lecito pensarlo, visto come ne parlavano, sempre bisbigliando, tutti gli anziani a Vroengard. Ma l’elfo parve riprendersi e, infuriato, sguainò la spada e portò indietro il braccio sinistro, caricando un affondo. Ma Rorix, percependo le intenzioni del Cavaliere, si bloccò e sbatté le ali in senso contrario, perdendo di colpo quota, mentre Siirist balzava via dalla sella.

«Non può essere che tu abbia quel potere!»

Portò di scatto in avanti la spada, ad una velocità che persino Rorix faticò a seguire, ma Ryfon la evitò facilmente, portando verso l’alto il corpo e facendo passare la lama a pochi millimetri dal viso e dal busto. La rapidità con cui aveva reagito non era normale, più come se avesse previsto l’attacco.

‹Di nuovo! Eppure non ho sentito nulla di strano da lui!› il drago faticava sempre di più a capire.

«Non so di cosa tu stia parlando, – portò in avanti la mano destra aperta con cui afferrò la nuca dell’elfo oscuro. – e, sinceramente, – abbassò di colpo il corpo, avvicinando il ginocchio sinistro al volto dell’avversario spinto in basso dalla mano. – non mi interessa.» in contemporanea alla ginocchiata, piegò il gomito sinistro e puntò le dita verso il trapezio destro del nemico, perforandolo con una lama di luce emanata dalla mano.

Nemmeno curandosi del nemico sconfitto che precipitava al suolo, Siirist guardò in direzione di Ren e degli altri Scorpioni, notando come fossero rimasti solo i nani e due uomini, mentre tutti gli altri erano scomparsi.

‹Dove diavolo sono finiti?!›

‹Si sono diretti al portone del palazzo.›

‹Merda!›

«Siirist! Tu e Rorix andate dietro a quelli che sono scappati, non preoccupatevi per me! Ce la posso fare da solo!»

«Non dire stupidaggini! La tua barriera sta per crollare e sei stanco e ferito! Non potrai mai farcela fa solo...!»

«La nostra missione è proteggere la Lama e, possibilmente, la famiglia del granduca! Noi siamo dispensabili! Ora inseguili, è un ordine!» urlò serio.

«Ma...!»

«Non sono diventato vice-capitano per niente! Adesso muoviti!»

Siirist lo fissò un momento.

«Sissignore.»

Ritornò in sella a Rorix e volarono agli appartamenti del granduca. Reberio aveva innalzato una barriera utilizzando quattro amuleti posizionati in modo da segnare un quadrato, al cui interno vi erano lui ed un’ulteriore barriera, un pentagono, che proteggeva granduca e famiglia.

«Le guardie sono tutte morte, le ha uccise quell’elfo oscuro. Non so che altro sia successo perché ho concentrato tutta la mia attenzione su questa barriera.»

«Alcuni Scorpioni sono entrati nel palazzo.» spiegò Siirist.

La granduchessa sobbalzò terrorizzata, il labbro inferiore tormentato nervosamente dai denti. Incredulo, Ryfon vide Glallian accarezzare la mano alla madre, come per infonderle coraggio.

‹Siirist, non dobbiamo permettere per nessuno motivo che a questo bambino accada nulla di male. Sarà un grande governante, non può morire per mano di quelle merde.›

‹Mai stato più d’accordo, caro mio.›

Siirist stava per erigere un’ulteriore barriera, quando ebbe un mancamento e cadde in ginocchio.

‹Che succede?! È quella ferita?› si agitò l’Inferno.

Il Cavaliere si guardò la spalla destra, dove la ferita procurata dallo spettro perdeva abbondantemente sangue.

‹Forse sarebbe stato meglio avere una corazza con spalline.›

‹Come è possibile che ne abbia sentito solo ora gli effetti?!›

‹Adrenalina?›

No, non era solo quella. Rorix analizzò attentamente il suo compagno, ma non vi era più traccia dell’energia di prima.

‹Che stai facendo?› Ryfon alzò un sopracciglio.

‹No, niente. Sicuro di farcela? Pare brutta.›

‹Nah, è un graffietto. Ora pensiamo alla barriera.›

«Si formi un invalicabile muro di ghiaccio.»

La barriera, spessa un metro, congiungeva due pareti, chiudendo il mago di corte e la famiglia del granduca in un triangolo rettangolo. Il biondo la osservò, ma non fu poi molto soddisfatto.

‹Ci vorrebbe Gilia qui, è lui l’esperto in questo genere di cose.›

‹Intendi stare qui sulla difensiva? Non ci conviene, non è il nostro stile, ci ritroveremo con le spalle al muro. Per entrambi è meglio andare all’attacco.›

‹Hai ragione, ma all’interno non potrai dare il massimo, perché per muoverti agilmente ti tocca assumere una dimensione ridotta. Stavo pensando di lasciare qui te a proteggerli, mentre io andavo avanti. Ma dubito di potere riuscire ad affrontare tutti quegli Scorpioni senza di te. L’unico daedra abbastanza forte per lo scontro ravvicinato è il centauro, ma è troppo grande per gli interni. Dannazione, avrei dovuto chiamare lui prima e cerbero ora. Però chiamare il cerbero prima era la scelta più adatta, non ci sono dubbi. Merda, pare dovrò ricorrere al varano.›

‹Sigillo del cavallo. Sono altri 7000 douriki per aprire il portale e ulteriori 3500 se viene ucciso. E non è molto potente, le probabilità che muoia sono alte.›

‹Lo so, ma, escluso il centauro, è il daedra più potente che ho rimasto. Non ho molte scelte, sai? Se non avessi lasciato la guardia di ferro a Gilia sarebbe un’altra faccenda!›

‹Eh sì, un daedra molto utile, quello. Ma hai ragione, il varano è la tua unica possibilità al momento.›

Così Siirist, per la terza volta, si bucò il labbro e passò sul sangue il palmo della destra, batté le mani e tracciò le quarantadue rune del cavallo, facendo apparire il sigillo rosso/marroncino a terra che aprì il passaggio tra le due dimensioni, permettendo al daedra di apparire in una vampata di fuoco. Ripensandoci, Siirist sacrificò ulteriore sangue e compose altre sessanta rune, facendo apparire il sigillo nero della tigre, da cui emerse l’imponente centauro. Alabarda alla mano, impennò e nitrì.

‹Ma sei scemo?!›

‹Con lui qui, proteggere il granduca e la sua famiglia sarà molto più semplice.›

‹Hai appena sprecato altri diecimila douriki, complimenti.›

‹Il rubino di Beleg runia è pieno, tanto. Va bene non esagerare con l’usare l’energia, ma non ha nemmeno senso essere troppo parsimoniosi e morire solo perché ho voluto risparmiare su un’invocazione.›

‹D’accordo, mi fido del tuo giudizio.›

Raccomandatosi con Reberio di proteggere i signori della città, Siirist gli restituì l’energia che gli aveva precedentemente preso più altri cinquemila douriki, e, seguito dal varano, corse fuori dalla stanza entrando in un corridoio.

‹Ci sono un altro elfo oscuro ed uno spettro, oltre a molti altri umani. E chi sa come se la starà cavando Ren. Sono troppo stanco persino per mettermi in contatto con lui, non so quanto resisterò ancora.›

‹Resisti più che puoi. Pensa alla dormita colossale che ci faremo quando torniamo alla Rocca.›

‹Come no! Come minimo, quei bastardi di Althidon e Zelphar ci metteranno sotto torchio il momento stesso che entriamo nello spazio aereo di Vroengard!›

‹Sì, è probabile...!›

E ridacchiarono.

 

«Ma cosa diavolo... è...?» ansimò uno Scorpione proprio prima di collassare a terra morto.

Zabi stava in disparte, accovacciato sulle zampe e con la coda appoggiata al pavimento di pietra. Lo sguardo annoiato osservava la scena; Ren era in piedi, la sua presenza pesante e terrificante, con in mano l’elsa di ciò che una volta era una spada, mentre ora la lama aveva assunto l’aspetto di un lunghissimo serpente scheletrico, le varie vertebre metalliche collegate tra loro da fiamme amplificate dall’elemento vento. A coronare il teschio vi era una criniera fiammeggiante, rosso scuro, e due fiamme gialle illuminavano gli occhi.

«Un... daedra...?» chiese un altro, intrappolato tra le mortali spire dell’incantesimo di Ren.

Questi sorrise, muovendo in basso la destra che reggeva la sua spada, il lungo corpo metallico del gigantesco serpente si mosse in sincronia.

«No, non è un daedra. Questo che vedete è semplicemente un incanto della mia Loki aran, un incantesimo vivente di terra, fuoco e vento.»

Il teschio del serpente aprì le fauci ed emise una sorta di ruggito strozzato in faccia all’avversario, mentre la sua criniera fiammeggiante danzava nel vento.

«Trasformare la propria spada in un incantesimo vivente non è semplice, ma come vedete, è efficace. Devo dire che quegli spettri e quell’elfo oscuro erano forti. Mi hanno ridotto così male che ci ho messo tutto questo tempo a sbarazzarmi di voi pesci piccoli.»

Il serpente, sibilando, si ritrasse, ritornando eventualmente ad assumere la forma di una normale spada a due fili. Il luogotenente la ripose nel fodero e si appoggiò stancamente a Zabi, utilizzando il corpo esanime di uno dei nani come poggiapiedi.

‹Ti sembra questo il momento di riposare? Quel novellino non sopravviverà un secondo da solo.› lo rimproverò il drago.

‹Sono esausto, usare il Loki aran è sempre una fatica immensa. Inoltre hai visto anche tu il suo potere.›

‹Ma non si è reso conto di averlo utilizzato, non lo ha ancora padroneggiato. Adesso ricaricati, curati e vagli a dare una mano. Ha lasciato indietro Rorix perché ha portato il combattimento all’interno, il tuo aiuto gli sarà indispensabile.›

‹Ho capito, ho capito. Vorrà dire che anche tu dovrai rimanere indietro.›

‹Proprio così.›

‹Capisco. Portami su.›

‹E non potrai nemmeno utilizzare il Loki aran.›

‹Lo so, che seccatura.›

 

‹Ehi, Siirist.›

Ryfon stava correndo lungo il corridoio assieme al suo varano quando fu contattato da Ren.

‹Sì, eccomi! Stai bene?›

‹Sono vivo. Aspetta cinque minuti, che ti raggiungo.›

‹D’accordo.›

Così il ragazzo si fermò e si sedette a terra, il rettile che lo guardava con i suoi occhi fiammeggianti, la lingua biforcuta che usciva ritmicamente dalla bocca. Siirist ebbe un improvviso senso di ribrezzo a guardarlo. Gli mise la mano sulla testa e gliela schiacciò contro il pavimento, avvicinandosi con il volto.

«Dopo quello stupido goblin, sei quello che sopporto di meno. Sei inquietante.»

Per tutta risposta, il daedra tirò fuori la lingua e solleticò la punta del naso del padrone. E questi avrebbe giurato che stesse pure ridendo.

«Dannato...» disse a denti stretti, stringendo la presa sul cranio.

Stava per prenderlo a pugni quando percepì una presenza ostile e l’avvicinarsi rapido di un qualcosa, così che balzò di lato spostando anche il daedra. Si girò di scatto e vide arrivare sei uomini. I due più indietro si muovevano molto circospetti, annusando l’aria.

‹Ho il sospetto che non siano umani. Tu che dici?›

Rorix, che stava osservando la scena tramite gli occhi del suo Cavaliere, si trovò a concordare. Per tutta risposta, i due si trasformarono, scaglie rubine che si sostituivano alla pelle, gli occhi che diventavano gialli, le unghie delle mani che si allungavano e diventavano bianchissime, una coda di un metro e mezzo che si estendeva dalla colonna vertebrale e le gambe ed i piedi che cambiavano forma, portando le ginocchia in avanti e facendo sì che appoggiassero tutto il peso unicamente sulla parte anteriore, il tallone completamente sollevato. L’unica cosa che rimase del loro aspetto umano erano la dimensione, il fatto che mantenessero una forma umanoide ed i capelli; lunghi fino alle spalle e castani quelli di uno, corti, biondi e all’insù quelli del secondo.

‹Ricorda quello che hai studiato sui corridori infuocati: i loro artigli possono tagliare il diamante, possono raggiungere la velocità del suono e sono immuni al...›

«Naur paur!» urlò Siirist.

L’ondata di fuoco riempì tutto il corridoio, investendo i sei nemici. Si dissolse dopo appena un secondo rivelando un cadavere carbonizzato, due umani in ginocchio, affaticati per aver eretto una barriera così potente da lasciarli quasi senza energie, un altro in perfette condizioni e i due demoni che assaporavano l’aria con le loro lingue biforcute.

‹... fuoco...› finì l’Inferno con tono piatto, senza nemmeno stupirsi più di tanto.

‹Hai detto niente?›

‹Sì, cretino! Sono immuni al fuoco! Anzi, se ne cibano! Li hai appena rinforzati!›

‹Ah, giusto. Contro il ghiaccio, invece? Deboli?›

‹Estremamente.›

‹Bene, allora...›

Chiuse la mano a pugno e soffiò.

«Polvere di diamanti!» caricò il colpo ed estese il braccio, aprendola.

Ma in quella frazione impercettibile di secondo che ci volle per liberare l’energia, uno dei demoni scattò in avanti, lasciando dietro di sé una scia di fuoco, ed arrivando faccia a faccia con il ragazzo, sorridendo. Gli artigli colpirono all’addome e lo lacerarono. Siirist, strabuzzando gli occhi e, sputando sangue, cadde a terra, tranci di intestino che spuntavano dalle ferite.

‹Siirist!›

Rorix ruggì, allarmando Yevon, moglie e figlio, oltre che l’appena giunto Zabi. Il centauro scalpitò agitato, furioso ed ansioso, desideroso di andare ad aiutare il suo padrone ma comprendendo l’impossibilità per lui di muoversi all’interno del corridoio. Nitrì contrariato, stringendo forte la sua alabarda.

«Denti del serpente!»

Loki aran attrasse a sé parti del pavimento e del muro, modificandone la composizione chimica e mutando il marmo in una sorta di acciaio più duro del diamante, assumendo la forma uncinata. Ren caricò il suo fendente e lo menò, la lama che si divise in sei parti, allungandosi. Il demone schivò l’attacco ma non sufficientemente in tempo, ritrovandosi il braccio sinistro amputato. Soffiò dal dolore, un verso che pareva un misto tra un serpente ed un coccodrillo. Il vice-capitano balzò verso il giovane, colpendo con un tondo dritto il secondo demone che gli si era lanciato contro e deviando un fulmine dell’umano ancora in forze. Intanto anche gli altri due si erano quasi ripresi del tutto, e stavano preparando un incantesimo combinato.

«Non ti azzardare a morire! È un ordine!» si disperò, osservando Ryfon.

«Ciclone difensivo.»

Attorno ai due Cavalieri si formò una barriera circolare di vento che impedì a qualunque attacco di penetrare, dando così a Ren il tempo di guarire Siirist. Gli appoggiò una mano sulla fronte, calda e sudata, e dopo dieci secondi le ferite erano richiuse. Ma la perdita di sangue era stata notevole e il biondo non riacquistò i sensi, benché fosse momentaneamente fuori pericolo.

‹Zabi, di’ al granduca che mi dispiace tanto, ma non posso evitare di distruggergli il palazzo.›

‹E pensare che persino Siirist si era trattenuto con quel suo Naur paur.›

 «Re serpente!» pronunciò alzando la spada verso l’alto.

Blocchi interi di marmo si staccarono dalle pareti e dal soffitto, penetrando la barriera di vento e andandosi ad unire alla lama che, pian piano, assumeva l’aspetto del gigantesco serpente scheletrico. Formatasi la testa, gli occhi e la criniera si accesero contemporaneamente e, aperte le fauci, soffiò potente. Gli Scorpioni rimasero scioccati dal vedere una cosa simile uscire dal vortice d’aria ed estendersi, demolendo quel lato del palazzo. Ma i due demoni non ci pensarono un secondo e corsero via, diretti verso gli appartamenti del granduca. I tre umani rimasti lanciarono un incantesimo combinato tra fulmine e vento, dalla forma di una grande freccia, diretto ai due Cavalieri. Ma il corpo metallico del Re serpente li protesse, per poi rivolgersi verso i nemici.

«Cannone scheletrico!»

Il serpente aprì le fauci, dentro alle quali si formò una sfera di fuoco amplificata da vento, da cui si liberò un raggio che li ustionò gravemente uccidendoli all’istante dopo aver causato lo scioglimento degli organi interni. Loki aran riassunse il suo aspetto normale e Ren la rinfoderò, chinandosi poi per sollevare Siirist ed appoggiarlo sul varano. Si passò una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore e sospirò, il cuore che batteva all’impazzata ed il respiro pesante. Non era dotato nel Flusso come lo erano Siirist o i suoi compagni, solo 200 douriki, e sia nel creare il Re serpente che il Cannone scheletrico aveva dovuto aggiungere un po’ della sua energia magica. Un altro po’ e sarebbe crollato esausto; si ricaricò con l’energia nel pomolo della sua spada, e si preoccupò nel notare che era quasi terminata. Ma non vi era il tempo per quello, invece ritornò di fretta dal granduca, il varano con sopra il padrone che seguiva subito dietro.

Rorix e Zabi esalarono un respiro congelante contro i due demoni, che evitarono gli incantesimi. Il centauro era prontamente partito alla carica, attaccando con un affondo della sua alabarda, che il corridore infuocato evitò balzando indietro. Il daedra sollevò la sua arma e la roteò sopra la testa, menando poi uno sgualembrato manco dritto e successivamente un tondo dritto rovescio. Come il braccio fu esteso completamente verso sinistra, roteò in senso antiorario e calciò con le zampe posteriori contro l’avversario, che evitò l’attacco spostandosi verso la propria sinistra. Portò rapidamente in avanti la mano con le dita unite e le unghie rivolte in avanti contro il fianco scoperto del centauro, che si spostò verso destra e si lanciò in un mulinello in senso antiorario con la lama dell’alabarda che sfiorò ripetutamente la faccia del demone. L’altro invece si trovava in maggiore difficoltà poiché si trovava contro due draghi inferociti che si erano lanciati in uno spietato corpo a corpo. Rorix attaccò con una zampata sinistra, facendola seguire da uno scatto in avanti del collo, riuscendo solo ad azzannare l’aria, poiché il nemico si era spostato indietro. Allora rapidamente roteò in senso orario ed attaccò con una falciata della coda, evitata con un salto. Zabi balzò in avanti ed atterrò il demone con una zampata, tenendolo schiacciato contro il pavimento. Stava per staccargli la testa con un morso quando fu fermato da una voce che proveniva dal lato distrutto della stanza.

«Silenzio mortale.»

Il drago alzò lo sguardo appena in tempo per vedere un elfo oscuro liberare una folata di vento che congelò ogni oggetto e creatura nella stanza. Il muro eretto da Siirist fu totalmente ignorato e l’aria dell’elfo oscuro lo superò; la barriera attorno al granduca e alla famiglia resse, ma la prima che proteggeva Reberio fu infranta ed egli fu intrappolato in un blocco di ghiaccio, perdendo la vita in pochi secondi. L’elfo atterrò delicatamente sul pavimento e si avvicinò al granduca, liberando i due demoni dall’incantesimo. Rorix e Zabi ringhiarono ferocemente mentre seguivano con lo sguardo la scena, cercando con tutte le loro forze di liberarsi dalla loro prigione glaciale.

«Mi complimento con voi per essere ancora vivi. Gli Inferno sono proprio degli esemplari magnifici: ancora un cucciolo, ma già così forte. D’altro canto, per quanto tu sia un drago inferiore, resti sempre il drago di un vice-capitano, c’è anche da aspettarsi che tu sia forte.»

Dette quelle parole non si curò più dei draghi e nemmeno del centauro che stava perdendo sempre più le forze, e si avvicinò a Yevon, sciogliendo il muro di Ryfon con un incantesimo di vento che riscaldava l’aria al suo solo passaggio e infrangendo la barriera pentagonale con un semplice movimento della mano.

«Se mi darai la chiave per raggiungere il tempio della Lama senza fare storie, lascerò vivere te e la tua famiglia.»

«Non so di cosa tu stia parlando...» rispose sudando e deglutendo.

«Mentimi un’altra volta e ucciderò tuo figlio. Siamo già stati nel tempio sotto al palazzo e abbiamo trovato il piedistallo trasportatore. Sappiamo che serve una chiave e immaginiamo ce l’abbia tu. Ora dammela, o di’ pure addio a tuo figlio.» e puntò in avanti la sua spada, sfiorando la gola di Glallian.

La granduchessa non riusciva a trattenere le lacrime e prese pure a singhiozzare, mentre il marito era pietrificato, non riuscendo a decidere se comportarsi da governante o da padre. Il bambino, invece, era calmo, o almeno faceva finta di esserlo. Infine, Yevon decise di optare per la seconda possibilità e si sfilò il suo anello, porgendolo all’elfo oscuro.

«Saggia scelta.»

Questi rinfoderò la spada e prese l’anello, voltandosi e dirigendosi verso la parete mancante da dove era arrivato.

«Ehi, quel bambino ha l’aria gustosa. Lo possiamo portare via?» chiese il demone biondo, leccandosi le labbra.

«Fate come volete.» rispose l’elfo.

Sorridendo avidamente, il corridore infuocato si avvicinò a Glallian e lo sollevò. Il granduca stava per opporsi quando fu preceduto dalla moglie che, con un urlo disumano, si lanciò verso il figlio. L’elfo si voltò a tre quarti ed alzò la sinistra, da cui partì una lancia di ghiaccio che la trapassò nel cuore e la impalò contro il muro, lasciando su di esso una grande chiazza di sangue e sporcando, con alcuni schizzi, il viso del marito che la fissò con la bocca aperta e lo sguardo immobile. Piano, piano che gli occhi si bagnavano di lacrime, l’uomo si riprese e, furioso, si voltò verso gli Scorpioni.

«No!» urlò, portando la mano alla spada.

«Ti consiglierei vivamente di non muoverti, se non vuoi fare la stessa fine. Muovetevi voi due, i due Cavalieri stanno arrivando.»

«Allora aspettiamoli e uccidiamoli!»

«Non siete all’altezza del vice-capitano, per quanto sia esausto, e i due draghi stanno per liberarsi. Io non ho intenzione di rimanere qui un secondo di più, quindi venite o fatevi ammazzare. A me non interessa, voglio solo la Lama.»

I demoni si guardarono per poi decidere di dar retta all’elfo e lo seguirono. Yevon ed il figlio si guardarono, il granduca che piangeva silenziosamente, pronto a scoppiare da un momento all’altro.

«Non piangere, papà.» sorrise dolcemente, causando nel padre un singhiozzo soffocato, mentre gli occhi brillavano sempre di più.

I tre Scorpioni balzarono fuori dalla stanza, l’elfo volando con la magia e sostenendo anche i due demoni, e si diressero verso l’ingresso del palazzo. Finalmente Zabi riuscì a spaccare il blocco di ghiaccio e ruggendo terribilmente si lanciò al loro inseguimento, solo per venire schiantato contro la parete del palazzo da un blocco di ghiaccio. L’ala destra rotta, rovinò al suolo e si ruppe pure il ginocchio della zampa anteriore destra.

Ren, nervoso, raggiunse la stanza del granduca, trovandolo disperato. Si rivolse verso Rorix e lo liberò dal ghiaccio, affidandogli poi Siirist, e si lanciò all’inseguimento degli Scorpioni, montando in sella al suo drago che si era prontamente guarito ed aveva ripreso quota.

L’Inferno era stato a fissare per una decina di secondi il suo Cavaliere, pensando che solitamente lo avrebbe lasciato riposare, comprendendo che la ferita che aveva subito era stata molto grave, ma quello non era il tempo di dormire, così entrò nella mente.

Si ritrovò in una fitta ed intricata foresta e dopo un po’ che camminava, giunse ad uno spiazzo dentro al quale sorgeva una torre. Lentamente si avvicinò al portone e cercò di aprirlo, ma non ci riusciva. Allora spazientito, si mise a bussare incessantemente.

All’interno della torre, al piano terra, in una stanza circolare con nessun mobile se non un trono in cima ad una piattaforma esattamente al centro, stava seduto Siirist, dormicchiando. Il suo riposo era allietato dal suono di una familiare musica, il pianoforte di Keira, che lo aveva incantato e deliziato innumerevoli volte. Era così stanco, voleva solamente risposare, cullato da quella soave melodia. Ma quell’incessante bussare, cos’era? Cos’era quell’insopportabile rumore che disturbava la sua musica? Spazientito, aprì gli occhi e sbadigliò, e si mise in piedi. La musica scomparve. Con passo deciso, si diresse alla porta e la aprì, fissando Rorix che lo guardava storto.

‹Cosa stai facendo?›

Siirist aprì gli occhi e si mise subito seduto, guardandosi intorno. Orripilato, vide la granduchessa brutalmente impalata contro la parete ed il consorte che le piangeva addosso. Ma il ragazzo si preoccupò anche di più dell’assenza di Glallian.

‹L’ha preso uno dei demoni.›

Il biondo si avvicinò al blocco di ghiaccio dentro al quale ancora percepiva la presenza del centauro, per quanto aveva avvertito la sua morte dalla perdita improvvisa di cinquemila douriki.

‹E con questo i miei tre daedra più forti sono andati. Mi è rimasto solo questo qui, che invocare qualunque altro sarebbe solo mandarlo al macello.›

Siirist montò su Rorix con il varano che si accomodò sul retro della sella, ed il drago volò verso l’ingresso del palazzo. Lo raggiunse e trovò Zabi e Ren assieme al suo babbuino bianco e ad un serpente alato che combattevano contro altri otto daedra ed i loro due invocatori, oltre che contro l’elfo oscuro di prima. Il luogotenente era in netto svantaggio e l’arrivo di Siirist e del suo Pugno di fuoco era stato certamente d’aiuto. Ma l’elfo facilmente deviò l’incantesimo, dando però a Ren l’opportunità di attaccare con la sua spada modificata dai suoi Denti di serpente. Colpì con uno sgualembro dritto, parato, per poi andare subito con un tondo dritto che menò ruotando di 360° per assestarne subito dopo un altro. Allora si unì allo scontro anche Ryfon, mentre Rorix ed il varano andavano a combattere assieme a Zabi e ai daedra di Ren. Il biondo attaccò con il suo Artiglio di drago, ma l’elfo oscuro evitò la fiammata della spada con maestria, per poi lanciare una stalattite contro il giovane, che la vanificò colpendola con il palmo aperto della destra avvolta dalle fiamme. Allora impugnò Beleg runia con entrambe le mani e la portò oltre la testa, menando un fendente che liberò un secondo Artiglio di drago, congelato completamente dal nemico che gli sorrise con tono di sfida. Incredibile! Per quanto fosse tempestato di colpi da due avversari, quel bastardo aveva comunque il sangue freddo, la faccia tosta ed il tempo per permettersi di provocarli!

«Adesso basta! Loki aran!» pronunciò Ren con il respiro pesante.

Ren levò la spada verso l’alto che attrasse blocchi di pietra ed assunse l’aspetto del serpente scheletrico, che poi si abbatté contro l’elfo.

«Non perdere tempo qui, vai dietro al resto degli Scorpioni! Ricorda che non devono prendere la Lama per nessun motivo!» e portò nuovamente il serpente metallico a colpire il nemico.

«Va bene, ma vedi di seguirmi subito dopo! E già che ci sono... Affondo di fuoco!» e portò avanti la spada, incanalando il Pugno di fuoco attraverso di essa.

Dopodichè si girò di scatto e prese il corridoio che portava alla fontana con Siiryll.

‹Ti lascio a questi. Vedi di liberartene in fretta, perché Ren ha bisogno di aiuto, è già al limite.›

‹E pensare che fino a qualche ora fa eri titubante sull’ucciderli.›

‹L’adrenalina fa miracoli.›

A metà del corridoio, Siirist incontrò l’ultimo spettro che lo stava aspettando. Subito si fermò e si mise in guardia. L’avversario lo fissava sorridendo; alzò il braccio e gli fece cenno con la mano di farsi avanti. Indispettito, il Cavaliere roteò l’arma e si lanciò contro l’avversario, ma fu superato dal Re serpente che andò ad abbattersi sul punto in cui si era trovato fino ad istante prima lo spettro che aveva schivato l’attacco.

«Ren! E l’elfo oscuro?»

«Già eliminato. Ora occupiamoci di questo qui, altrimenti non potremo passare.» disse alzando la spada e menando un fendente, generando nel corpo metallico dell’incantesimo vivente una sorta di onda, e la testa si alzò per andare ad attaccare a fauci spalancate.

«Affondo di fuoco! Eruzione vulcanica!» ripetutamente, Siirist attaccò con un affondo e poi conficcò la lama nel pavimento, generando un’esplosione magmatica sotto al nemico.

Ma questi evitò tutti e tre gli attacchi, con un’abilità che non pareva reale. Ren continuò ad attaccare con il Re serpente, ma l’avversario schivava e parava tutto. Allora Ryfon gli diede manforte con un Comandamento incendiario, dopodichè richiamò tutte le fiamme attorno alla mano sinistra caricata indietro, e lanciò la Colonna fiammante in avanti. Ancora Ren utilizzava solamente attacchi fisici, senza usare nessun altro incantesimo, ma Siirist pensò che fosse solo stanco, perché, effettivamente, aveva usato magie su magie nell’ultima ora, oltre che tre invocazioni e la sua riversa energetica era sicuramente quasi esaurita. Dopo l’ennesimo colpo schivato, lo spettro puntò in avanti la spada e scomparve, riapparendo un istante dopo a mezzo metro da Abar, trafiggendogli il cuore. Il luogotenente cadde come un sasso come la spada fu estratta dal suo petto e Siirist, incredulo, assistette all’arrivo inferocito di Zabi che si lanciò contro lo spettro, ma venne colpito nel suo unico punto debole, l’occhio, non protetto dalle indistruttibili scaglie, e, con la lama che gli perforò il cervello, cadde come il Cavaliere. Furioso, Ryfon affondò la spada a terra e caricò un Comandamento incendiario, per poi scagliare una Colonna fiammante, ma il nemico la congelò, utilizzando lo stesso incantesimo anche per congelare Rorix che lo stava assalendo. L’Inferno cadde a terra e si frantumò, solo la testa ed una parte del corpo rimasero intatti. Il biondo, incredulo, con la bocca spalancata, cadde in ginocchio, gli occhi spenti.

Soddisfatto, lo spettro osservò il Cavaliere crollargli davanti, mentre in lontananza vedeva ancora l’elfo oscuro combattere contro Ren, i draghi ed i daedra del vice-capitano che affrontavano gli invocatori e le loro creature. Si diresse verso di loro, pronto ad annientare in un colpo tutti i nemici degli Scorpioni, anche perché aveva ancora tutte le energie, poiché non aveva mai combattuto e contro il Cavaliere d’Inferno era bastata una semplice illusione. Gli passò oltre quando si sentì afferrato per la gamba. Meravigliato si voltò e vide il ragazzo che lo fissava furibondo, gli occhi iniettati di sangue, le iridi rosso scuro che brillavano di fuoco, le pupille leggermente allungate.

«Brucia.» disse con tono cupo e ringhiante, mentre stringeva forte poco sopra la caviglia.

Assieme al respiro pesante del ragazzo, uscì dalla bocca una piccola lingua di fuoco.

«Ma come...?!» la gamba che cominciava ad ustionarsi mentre le fiamme lentamente salivano.

«Ho visto illusioni più credibili!»

Ed il fuoco, di un forte colore rosso intenso con i riflessi arancione scuro, esplose, avvolgendolo completamente e riducendolo ad un cadavere carbonizzato in poco tempo, che subito dopo crollò e divenne un cumulo di cenere. La rabbia che aveva provato Siirist nel vedere, nel sentire Rorix morire era stata immensa. Non era vero che aveva visto illusioni più realistiche, quella di Reberio non era stata minimamente paragonabile, in questa aveva persino sentito l’odore del calore emanato dalle sue fiamme. Ma non poteva, non voleva credere che il suo drago, il suo compagno fosse morto. La sua incredulità, la sua ostinazione lo avevano tirato fuori dall’illusione e allora aveva provato una furia animalesca nei confronti di quello spettro, che gli aveva mostrato una scena così raccapricciante. Ma da quella rabbia, il giovane aveva sentito un qualcosa di strano, di diverso nel suo fuoco.

‹Quello non era il solito fuoco di drago.› e si guardò incredulo la mano.

Tremava, e quello unito al sudore che gli colava negli occhi e alla stanchezza che gli annebbiava la mente gli impedì di metterla per bene a fuoco.

In quel momento vide arrivare dalla fine del corridoio tredici umani ed i due corridori infuocati, il biondo che portava in spalla Glallian, il castano, con solo il braccio destro rimasto, con l’involucro della Lama sottobraccio.

‹Figli di puttana!›

Siirist si rimise in piedi e soffiò nel suo pugno chiuso, pronto a liberare la Polvere di diamanti. Avrebbe colpito anche il bambino, ma lo avrebbe solamente congelato, perciò poteva sempre scongelarlo successivamente. Ma nuovamente i demoni furono più veloci di lui e scattarono, lasciandosi dietro una scia di fuoco a testa, prima che potesse aprire la mano, superandolo e lasciando che si occupassero gli altri di lui. Ma Ryfon non perse tempo con i pesci piccoli e liberò comunque la Polvere di diamanti, trasformando tutte le persone in statue di ghiaccio. Allora si voltò, pronto ad inseguire i demoni, quando sentì il ghiaccio infrangersi e vide due dei maghi sgranchirsi le braccia.

«Come avete fatto?» Siirist era allibito.

«Ci siamo protetti con una barriera prima di essere colpiti. Bell’incantesimo, è un ghiaccio molto particolare.»

«Proteggetevi da questo! Pioggia di diamanti!»

Ma i due facilmente bloccarono i dardi che vennero fermati da una barriera a doppio strato, uno di luce ed uno di fulmine, e caddero a terra.

«Comandamento incendiario! Colonna fiammante!» nel giro di due secondi lanciò i due incantesimi concatenati, ed il secondo investì con forza gli Scorpioni.

Ma nuovamente erano illesi e finalmente decisero di passare anche loro all’attacco, uno che lanciò venti frecce di luce, l’altro che partì all’attacco impugnando la sua spada. Siirist deviò utilizzando l’elemento luce gli incantesimo del nemico, perdendo per un momento l’equilibrio e recuperandolo in tempo per parare lo sgualembro dritto di quello che gli si era avvicinato, deviandolo con forza e subito attaccandolo con un affondo al petto. Estrasse la spada con la stessa pietà che aveva provato lo spettro con Ren nell’illusione, per poi correre rapidamente in avanti, evitando altre frecce da parte del secondo Scorpione e balzare, compiendo un avvitamento a mezz’aria in senso antiorario, che finì con uno sgualembro dritto rovescio che decapitò il nemico. Finito con quello, rinfoderò Beleg runia e si lanciò all’inseguimento dei due demoni, inciampando nel momento in cui scattò e cadendo a terra verso metà corridoio. Con i muscoli di tutto il corpo che gli facevano male, un mal di testa allucinante che non era paragonabile nemmeno a cento sbornie ed il fiato pesante, si rialzò con la mera forza di volontà, stringendo i denti e le mani, gli occhi infiammati. Si rimise in piedi e riprese a correre con decisione. Ritornato all’ingresso, lanciò un Pugno di fuoco contro uno degli invocatori, carbonizzandolo. Allora i due daedra sotto il controllo, liberati dal sigillo, furono forzatamente rimandati a Oblivion.

‹Andiamo!›

‹Sì!›

Rorix partì al galoppo fino al portone del palazzo, ormai demolito, e subito dopo che Siirist gli fu montato in sella, prese il volo.

‹Non riesco a percepire la loro presenza. Tu li vedi?›

‹Sì, si sono diretti a ovest. Per fortuna sono demoni di fuoco, e la mia vista termica li rileva facilmente. Sono molto veloci, non so se riuscirò a raggiungerli. Non sei l’unico stanco.›

‹Smetti di lamentarti e mostrami di cosa è capace un Inferno!›

‹Sì, mio Cavaliere!›

Aiutandosi anche con la magia del vento e del fuoco, il vento per diminuire l’attrito con l’aria e il fuoco usato come propulsore, Rorix scattò in avanti, battendo le ali ogni secondo e percorrendo cento metri ad ogni battito. Era più del doppio della sua velocità normale, la sua abilità con la magia sorprendeva persino Siirist.

‹Tu sarai diventato bravo con la magia d’attacco, ma io mi sono specializzato in quella di velocità.›

‹Vedo, vedo!›

‹Reggiti forte, perché adesso andremo anche più veloci. E ti conviene abbassarti.›

‹Certo. Fammi vedere cosa sai fare!›

Come il Cavaliere si fu disteso in avanti, appiattito contro la sella e con il viso a fianco del collo del drago, questi incrementò la spinta del fuoco e batté un’ultima volta le ali, per poi richiuderle e volare solo con l’ausilio della magia.

‹Li stiamo raggiungendo?›

‹Sì. Fra una trentina di secondi saremo loro addosso.›

‹Bene.› e portò la destra a reggere l’impugnatura di Beleg runia.

Ma l’inseguimento non poteva logicamente andare tranquillamente, e i due furono raggiunti da tre Scorpioni che usavano magie di vento e di luce per volare e riuscire a star loro dietro.

‹Se solo non fossi così stanco e fossi riuscito a schioccare le dita!›

La seconda fase della Polvere di diamanti, l’incantesimo del suono liberato dallo schiocco di dita, per quanto venisse automatico perché mentalmente associato allo schiocco, era molto complesso e richiedeva uno sforzo mentale non indifferente, impossibile in quella situazione di sfinimento. La rabbia nei confronti della sua incapacità fece ribollire il fuoco interiore del biondo.

‹Come avranno fatto a liberarsi?›

‹Evidentemente sono riusciti a mantenersi coscienti anche dentro al ghiaccio e piano, piano lo hanno sciolto. Pare che la Polvere di diamanti non sia così perfetta come credevo, dovrò rivederla con Evendil.

Rorix annullò di colpo le sue magie ed aprì le ali, fermandosi sul posto e lasciando avanzare i tre uomini, così da avere il vantaggio di inseguire anziché averceli sulla coda. Il ragazzo imbracciò il suo scudo e sguainò la spada, pronto ad affrontarli. Come gli Scorpioni si furono accorti di aver superato gli inseguiti, il drago era già scattato in avanti, volando proprio sotto ad uno e permettendo al Cavaliere di ferirlo a morte semplicemente tenendo la spada rivolta verso l’alto. Il nemico più vicino a quello eliminato, che distava di un metro da lui, verso sinistra e poco più in alto, scaricò un fulmine, ma il biondo lo intercettò con la lama.

«Parafulmine!» ed attivò uno degli incantesimi predefiniti di Beleg runia.

Assorbita l’energia, gliela rispedì, fulminando l’uomo che, morto, precipitò verso il tetto di un edificio. Il terzo, che aveva avuto più tempo per preparare un incantesimo, fu più ostico, in quanto lanciò un incantesimo vivente, un’aquila d’aria, che volteggiò incessantemente attorno all’Inferno, sempre più velocemente, fino a che non creò un ciclone. Allora il mago scagliò una potente sfera di fuoco che lo incendiò, avvolgendo drago e Cavaliere in un tornado infuocato.

‹Finalmente un incantesimo di fuoco!›

Siirist slacciò con un incantesimo i lacci delle gambe e saltò dalla sella.

«Banchetto di fiamme!»

Roteando rapidamente su se stesso in senso orario, il senso opposto al vortice, ne cambiò la direzione e lo rimpicciolì, fino a che non circondava solamente il suo corpo; poi il fuoco si trasformò in fumo e fu inspirato dal ragazzo attraverso la bocca. Pulendosi la bocca con fare soddisfatto, Siirist guardò con aria di sfida il nemico.

«Grazie per lo spuntino.»

Questi, sconvolto, guardava a bocca aperta come la sua più potente combinazione era stata vanificata. Come una scarica di freschezza, Siirist sentì tutta l’energia del fuoco assorbito attraversargli il corpo ed inondargli la mente. Mai come in quel momento il ragazzo aveva apprezzato quella sua abilità peculiare derivante dal suo enorme legame con il Flusso vitale, il poter assorbire e trasformare in pura energia qualunque fiamma ad eccezione di quelle generate dalla sua stessa magia o da Rorix. Non era più solo il vantaggio di essere immune a qualunque incantesimo di fuoco, ma anche la possibilità di rinvigorirsi completamente che, fino a quel momento, non gli era importata più di tanto. Non era mai stato così stanco, non aveva mai faticato fino al punto di collassare da un momento all’altro, e proprio in quel momento si sentì rigenerato. Non si trattava solo di riempire la sua riserva energetica, ma di eliminare ogni stanchezza, a seconda di quanto fosse potente il fuoco.

Con il corpo e la mente riposati, anche se non proprio al 100% delle forze, Siirist interruppe la sua rotazione e la riprese in senso antiorario.

«Comandamento incendiario!»

Attorno al busto del ragazzo si creò il cerchio di fiamme vorticanti che si condensò attorno alla sua mano quando disse “Colonna di fiamme!”, per poi essere sparata obliquamente verso l’alto, creando un angolo di ottanta gradi. Investito, lo Scorpione fu carbonizzato. Lanciato l’incantesimo, Siirist arrestò la sua caduta libera e ritornò in volo su Rorix, si legò nuovamente i lacci ed il drago ripartì all’inseguimento dei due corridori infuocati. Il Cavaliere trasmise un po’ del suo riposo al compagno che, per ringraziarlo, incrementò ancora di più la velocità di propulsione.

Rorix volava il più basso possibile, a poca distanza dai tetti degli edifici, quando vide finalmente i due demoni che correvano. Avvolto da fiamme rubine, il drago assunse le dimensioni di un cavallo e si buttò in picchiata, diretto verso i corridori infuocati. Essi correvano lungo le strade, evitando e travolgendo persone e cose, bruscamente interrompendo la loro carica per svoltare continuamente, cercando disperatamente di far perdere le tracce agli inseguitori. Rorix più volte dovette evitare vari oggetti lanciati contro di lui, e altrettante fu costretto a darsi una spinta con i propulsori di fuoco quando i demoni si trovavano davanti una strada dritta che permettesse loro di utilizzare il loro potere. Arrivarono ad un ponte che collegava due quartieri situati sullo stesso piano d’acqua ed i demoni scattarono in avanti, lasciandosi dietro le solite piste di fuoco, ed il drago incrementò magicamente la sua velocità, ma comunque non riuscendo a star loro dietro. Raggiunto il secondo quartiere, che si trovava sul bordo del piano, non ancora scosso dal tumulto dell’inseguimento, il demone che portava Glallian afferrò con la sinistra una donna che passeggiava con il fidanzato e la scaraventò giù dal piano. Furioso, Siirist la guardò precipitare mentre lui ed il drago si avvicinavano sempre di più.

‹Tu continua ad inseguirli, faccio io.›

‹Sicuro di riuscirci?›

‹Sono veloci anche senza usare il loro potere. Non riesco a trasmetterti la stessa lucidità che ho recuperato io, se li perdiamo ancora non sarai in grado di recuperare come hai fatto adesso. È l’unica possibilità.›

L’Inferno sfrecciò oltre l’uomo che gridava per aiuto, sorvolando i passanti che, con incredulità, osservarono un Cavaliere ignorare una donna che stava per morire, mentre Siirist, concentrandosi al massimo e chiudendo gli occhi, aprì il suo occhio mentale e visualizzò, come se stesse guardando da lontano, quella zona della città, che gli apparve completamente nera, in cui riconosceva le sagome dei vari piani d’acqua e dei palazzi. Vide che infondo a quel ripiano ve ne era uno su cui sorgeva un’isola, che distingueva dalle costruzioni di pietra e metallo perché non aveva una forma precisa; si trovavano nella zona più bassa di Zanarkand. Ed in mezzo a tutto quel nero, migliaia, milioni di luci tra il bianco ed il giallo di muovevano freneticamente: erano le persone. Sforzandosi maggiormente, il ragazzo avvicinò il suo occhio fino a vedere una luce cadere rapidamente dal piano dove si trovava lui, che aveva quasi raggiunto quello sottostante. Stringendo ancora di più i denti, mise a fuoco e la visualizzò non come un punto luminoso su sfondo nero, ma come una donna dai lunghi capelli ricci biondo scuro, la pelle chiara, un paio di pantaloni lunghi blu, una cinta marrone scuro con la fibbia in ottone, stivali marrone scuro con il tacco, un cappotto bianco.  Urlava come una pazza, o almeno lo intuiva, in quanto la vedeva con la bocca spalancata, i muscoli facciali e della gola tirati e gli occhi che esprimevano un terrore mai provato prima, ma il ragazzo non era ancora così abile da creare anche un orecchio mentale, ed ormai era già troppo lontano per sentirla con le due che aveva in testa. Evocò attorno a lei gli spiriti dell’aria che rallentarono la sua caduta fino ad arrestarla completamente, sollevandola poi fino in cima al piano da cui era precipitata. Sospirando, Siirist aprì gli occhi.

‹Come avresti fatto se fossi stato senza di me? Non sei in grado di fare qualcosa del genere con gli occhi aperti, figuriamoci muovendoti!›

‹Sarebbe morta.› rispose sicuro.

‹Avresti preferito inseguire la Lama piuttosto che salvare una persona?› domandò sorpreso.

‹Non stiamo solo inseguendo la Lama.›

‹Hai ragione. Ho notato che hai usato un’evocazione.›

‹Un incantesimo da questa distanza è ancora impossibile per me. E pensa più a volare veloce che a notare.›

‹Sì, mio Cavaliere!›

‹Però questa città è proprio un casino. È notte fonda, eppure le strade brulicano di persone. Se se ne stessero a dormire, questo problema non ci sarebbe nemmeno stato.›

‹Non a caso si chiama la “città che non dorme mai”.›

‹Capisco l’estate, ma, oltretutto, è anche un freddo che si gela!›

I corridori infuocati avevano lasciato anche quel quartiere, scattando a tutta velocità lungo un ponte che lo collegava ad un quartiere su un altro piano. Con un possente battito d’ali, Rorix si piede una grande spinta, riacquistando anche la sua grandezza naturale nel tragitto tra i due piani, ritornando grande quanto un cavallo quando arrivò al terzo quartiere. Arrivato alla sua piazza centrale, accadde ciò che più Siirist e Rorix temevano: i due demoni si divisero. Da quel quartiere partivano due ponti che lo collegavano ad altri due del piano ed il demone con Glallian prese quello a sinistra, quello con la Lama andò a destra.

‹Che facciamo?!› Rorix era seriamente indeciso.

Gli occhi sgranati, la bocca serrata, le mani che stringevano nervosamente la sella, Ryfon osservò, quasi al rallentatore per quanto l’immagine lo colpì nel cuore e gli rimase impressa nella mente, i due demoni separarsi. Il battito gli accelerò mentre mille pensieri gli turbinavano in testa. All’interno della sua mente, seduto sul suo trono al piano terra della sua torre, vedeva passargli davanti i suoi pensieri in forma di scritta: “Cosa devo fare?”, “Il mio compito è recuperare la Lama!”, “Non posso abbandonare Glallian!”, “Sono un Cavaliere!”, “È solo un bambino!”, “La Setta non deve prendere le Reliquie!”, “...”, mentre, incessantemente, sentiva la voce del suo drago venire da fuori la porta della torre, mentre, con forza, bussava e la scuoteva. “Cosa facciamo?!”, chiedeva. “Cosa facciamo?”, “Cosa facciamo?”, “Cosa facciamo?”...! Si alzò, camminò intorno al suo trono, immerso nel turbinio di pensieri che lo attraversavano come fossero delle proiezioni sul muro, le mani nei capelli, gli occhi dilatati, il respiro pesante. Cosa fare, cosa fare, cosa fare, cosa fare, cosa fare, cosa fare...? Più pensava, più si agitava, più si agitava, più non riusciva a concentrarsi. Il suo compito, il suo dovere... o quell’innocente, dolce, gentile, premuroso, coraggioso e promettente bambino? Cadendo in ginocchio, Siirist si strappò i capelli, urlando come un pazzo furioso, un urlo che scosse l’intera torre assieme a tutta la foresta. Il ragazzo era così sconvolto che persino la sua barriera mentale vacillò, e vi si creò qualche falla.

Aprì gli occhi, lo sguardo duro e rabbioso, le labbra assottigliate, e vide che i due demoni avevano ormai raggiunto la fine della piazza, in due punti diversi, la Lama a destra, Glallian a sinistra.

‹SINISTRA!›

Il corridore infuocato, per evitare le persone, saltò e corse lungo il muro di un edificio, lasciandosi dietro una scia di fuoco, per poi ritornare a terra quando vide che c’era meno gente lungo la strada. Rorix lo tallonò, spingendo al massimo, sentendo il suo collo irrigidirsi, le ali che si stavano per strappare e le zampe che si stavano per rompere. Ma serrò la mandibola e spinse anche più forte, il mal di testa martellante che non lo lasciava andare mentre il vortice d’aria attorno a lui riduceva l’attrito e la grande fiamma sprigionata dalle zampe posteriori lo spingeva a tutta velocità.

‹Ha quasi raggiunto il ponte! Questo è molto lungo, gli permetterà di prendersi un bel vantaggio, non riuscirò a raggiungerlo. Mi dispiace, ma sto per crollare.›

‹Resisti qualche altro secondo.›

La mano sinistra puntata in avanti, Siirist si concentrò e richiamò il Flusso vitale, unendolo alla sua energia magica, incanalandolo attraverso il palmo e dirigendolo alla fine del ponte.

«Che l’aria si solidifichi e crei un muro di spesso ghiaccio diamantino contro il demone. Che esso risulti un morbido cuscino di neve per il bambino.»

Il demone aveva appena messo piede sul ponte, ed era subito scattato in avanti, percorrendo tutto il ponte in meno di un secondo, lasciando lungo esso una ardente striscia di fuoco. Non riuscì, per questo motivo, a fermarsi in tempo e finì con lo scontrarsi con la spessa barriera eretta in una frazione d’istante da Siirist, incrinandola leggermente per la brutalità della botta e rompendosi tutte le ossa in corpo. Il colpo fece naturalmente schizzare in avanti, dalla spalla su cui era appoggiato,  Glallian, che all’impatto con il muro di ghiaccio vi affondò e fu accolto in esso, divenuto neve. Sprofondò nel monumento di ghiaccio per venti metri, quasi lo spessore di tutto il muro, per poi bloccarsi grazie alla resistenza della neve, appena prima di venire scaraventato fuori. Siirist slegò i lacci della sella e volò via da Rorix mentre questi, stremato oltre ogni limite, rovinò a terra, senza nemmeno la forza di rimpicciolirsi, travolgendo tutto ciò che colpì. Per fortuna le persone presenti ebbero il buon senso di spostarsi prima. Il Cavaliere volò a tutta velocità, usando anche lui il fuoco come propulsore, verso il muro di ghiaccio, da cui tirò fuori, facendo sì che la neve scorresse fuori dal buco, Glallian. Assicuratosi che stesse bene, nonostante avesse perduto conoscenza, lo adagiò a terra e creò una calda fiamma accanto a lui. Accarezzatagli la fronte, si alzò, stringendo i pugni, il suo intero corpo avvolto dalle fiamme. Lentamente e minacciosamente si voltò verso il demone a terra che, intanto, lo guardava, la faccia distorta in un sorriso reso macabro dal sangue che gli imbrattava il viso.

«Cosa si prova a finire a quella velocità contro un muro di diamante? Non deve far bene, vero?» disse retoricamente il giovane, passando la mano destra lungo la crepa creata dall’impatto del nemico.

Gli si avvicinò e strinse i pugni, incrementando la forza delle fiamme attorno alle mani e riducendo, fino ad estinguerle, quelle attorno al resto del corpo; quando ebbe spento anche i fuochi sulle mani, si accovacciò per guardare meglio il nemico. Gli passò un dito sulla gola, sentendo come pure la trachea fosse schiacciata; questo spiegava il rantolio e la difficoltà a respirare del corridore infuocato. Ma Siirist non provò per lui nessuna pietà. Anzi, lo guardava con piacere, deliziandosi della sua sofferenza. Dopotutto aveva sacrificato la Lama per fermarlo, era giusto godersi al massimo quella mezza vittoria. Piegò la testa a destra e a sinistra per guardarlo da tutti gli angoli possibili, un’espressione piatta, disinteressata in viso. Il demone sputò sangue, evidentemente cercava di parlare, ma, data la condizione della trachea, gli era impossibile emettere suoni, senza contare che la mandibola era sbriciolata, come anche la mascella, il setto nasale, gli zigomi, la scatola cranica era incrinata in vari punti. Non restava ancora molto da vivere a quel bastardo. Un vero peccato. Se avesse saputo il necessario di magia organica, Siirist lo avrebbe guarito quello che bastava per tenerlo immobilizzato e massacrarlo di pugni. Più lo osservava, più era sicuro che volesse dirgli qualcosa. Gli entrò nella mente fino a che non sentì la sua voce.

‹Finalmente sei entrato, sono due minuti che ti aspetto.›

‹Scusa, mi stavo divertendo a guardarti soffrire. Ma d’altronde anche una merda come te merita che le sue ultime parole vengano ascoltate.›

‹Hm, non sapevo ci fossero Cavalieri così sadici.› sorrise beffardo.

‹Solo quando sono veramente incazzato.›

‹Giusto, tieni molto a questo bambino, altrimenti saresti andato dietro a mio fratello. Speravamo che facessi così.›

‹Non ne dubitavo.›

‹È un peccato, però, ha l’aria saporita, sarebbe stato un piacere divorarlo. Ma prima il dovere, giusto? Ah no, scusa, dimentico che tu non hai seguito il dovere, hai abbandonato la Lama.› sibilò le ultime parole

Quasi, quasi lo avrebbe comunque pestato.

‹Sei stato uno stupido! Ora che la Lama è nelle nostre mani, siamo sempre più vicini alla realizzazione del nostro piano! Tra poco il nostro grande Maestro verrà liberato grazie al potere della Spada!›

‹Dici sul serio? Dimentichi che mancano altri due pezzi.›

‹Non sarà difficile procurarceli.›

‹Il Pomolo è a Vroengard. Credi sarà una passeggiata entrare nella sede principale dei Cavalieri dei draghi?›

‹Non mi siete sembrati poi tanto forti qui. Abbiamo ucciso facilmente cinquantasei di voi. E anche il tuo vice-capitano, ormai, sarà morto.›

Seriamente, quel bastardo sapeva proprio dove andare a pizzicare la pazienza di Siirist. Sorrise amabilmente, mentre guardava l’altro dritto negli occhi.

‹L’era dell’Ordine è conclusa: inizia l’era dello Scorpione!› disse infine, spalancando anche gli occhi con fare maniacale.

Sorridendo sempre più amabilmente, mostrando pure parte della dentatura superiore, Siirist si adagiò a cavalcioni sopra al demone, all’altezza del petto. Aprì appena la bocca e sospirò appena.

«Voi Scorpioni... – si sfilò i guanti mentre scuoteva la testa lentamente. – Non so che cosa sia, ma mi trasmettete un senso di fastidio ed un’irrefrenabile voglia di prendervi a pugni. Mi dispiace solo che non sono bravo con la magia organica e che quindi non sono in grado di curarti; durerà poco.»

Stringendo il pugno mancino così tanto da far diventare le nocche bianche, Siirist lo abbatté violentemente sul viso del demone, facendolo seguire subito dopo dal destro. Poi una serie di tre, l’ultimo dato con maggiore foga, con il sinistro, e ancora il destro, sinistro, destro e, per finire, un altro sinistro. Ma il demone era già morto. Forse anche l’ultimo destro era stato inutile, ma non aveva importanza, Siirist aveva provato gusto in dargli tutti quei ganci. Con un ultimo diretto sinistro, fece rientrare tutta la faccia del corridore infernale, schizzando sangue ovunque ed andando a spappolare il cervello. Sospirando soddisfatto, Siirist si rialzò, tutto il corpo, in particolare le mani, ricoperto di sangue. Diede fuoco al cadavere e fece volatilizzare il muro di ghiaccio. Tutte le persone che si trovavano dall’altra parte che guardavano curiosi.

«Avanti, non c’è nulla da guardare! Affari da Cavaliere!»

Prese in braccio Glallian e si incamminò lungo il ponte, fino a che non raggiunse Rorix. Anche attorno a lui si era creata una calca, che si aprì in due al passaggio del ragazzo.

‹Come stai?›

‹Esausto. Non riesco a muovermi.›

‹Riesci almeno a rimpicciolirti?›

‹Aspetta... no.›

‹Pretendi che ti porti in questo stato?!›

‹Non ce la fai? Non ti eri rigenerato con quell’ultimo Banchetto di fiamme?›

‹Sì, ma quel muro di ghiaccio è stato impegnativo da tirare su.›

«Fate largo, fate largo!»

Siirist si voltò e vide arrivare un gruppo di quattro guardie di Zanarkand che, come videro un drago a terra con il suo Cavaliere accanto che teneva in braccio il figlio del granduca, gli corsero incontro preoccupati.

«Cosa è successo?!»

«Eh? Ah, era stato rapito da un demone. Avete per caso visto un altro demone correre verso di là?» disse stanco, indicando la direzione.

«Sì, ci è stata riportata la notizia di un demone in corsa che teneva un lungo oggetto avvolto in un panno bianco.»

«Già. E è norma di Zanarkand permettere ad un demone di farsi gli affari propri in questo modo?»

«Chiaramente no. Al momento, stiamo cercando di catturarlo.»

«Bene, allora aumentate gli sforzi. Quell’oggetto è un tesoro molto importante del granduca ed il suo recupero è priorità assoluta. Radunate tutte le guardie, se lascia la città è la fine. Io ed il mio drago non riusciamo più a muoverci, quindi non c’è niente che possiamo fare.»

«Cosa è successo al palazzo?»

«Un po’ di problemi. Se mi faceste arrivare un mezzo di trasporto abbastanza grande per portare anche il mio drago, sarebbe una bella cosa. E posso sapere perché non avete ancora comunicato l’ordine di priorità assoluta per la cattura del demone?»

«Perché...»

«Non mi rispondere! Fallo e basta, imbecille! Questo è un ordine del Cavaliere d’Inferno, in missione sotto il comando diretto del vice-capitano della sesta brigata dell’Ordine dei Cavalieri dei draghi, Ren Abar. Ora muoviti e trasmetti l’ordine a tutte le guardie della città! Quel demone va fermato ad ogni costo!» disse Siirist con ritrovata foga, afferrando il soldato più vicino a lui per l’armatura.

La gente vicina si intimorì nel vedere quell’esplosione di rabbia.

«Stavo per dire, Cavaliere d’Inferno, che non ho ancora impartito il vostro ordine perché noi...»

Inorridito, Siirist vide gli altri cinque soldati impugnare i loro gunblade e prepararsi a sguainarli.

«... siamo Scorpioni.»

Subito il ragazzo portò la mano all’elsa di Beleg runia, facendo un passo indietro per prepararsi a combattere, ma ebbe un improvviso mancamento e crollò in ginocchio, reggendo stentatamente pure quella posizione.

‹Maledizione! Quella fiammata era abbastanza potente solo da ristabilirmi per così poco tempo?!›

‹No, è perché non sei riuscito ad assimilarla completamente, non hai ancora perfezionato quell’abilità.›

‹Che faccio ora?! A malapena riesco a stare così! Non ho la forza nemmeno per alzare un braccio, i palmi mi fanno troppo male, non riesco a richiamare il Flusso vitale!›

«Lunga vita alla Setta dello Scorpione!» disse uno dei soldati prima di portare la lama verso la testa del Cavaliere, seguito da altri due.

«Muori, Cavaliere d’Inferno!» urlò un altro mentre si apprestava a premere il grilletto, imitato dagli ultimi due.

Con la forza della disperazione, Siirist si buttò di lato, rotolando e rialzandosi. Ma ebbe un mancamento e perse per un momento l’equilibrio, vedendo tutto nero. Infuriandosi, si riprese e mise avanti il piede sinistro per non cadere, riacquistando la vista, seppur offuscata. Ma era tutto inutile, non aveva la forza di reagire. I suoi muscoli erano così indolenziti che non riusciva nemmeno ad alzare le braccia per sguainare la spada, men che meno affrontarli corpo a corpo. La sua mente non era più in grado nemmeno di richiamare il Flusso vitale, ed un’evocazione in quello stato era un biglietto di sola andata per Spettrolandia. Ma era tutto inutile, l’unica cosa che riusciva a fare era rimanere in piedi. Se solo avesse almeno un altro po’ di forza, gli sarebbe bastato così poco per sbarazzarsi di quei bastardi. Quello che bastava per un Pugno di fuoco, sarebbe stato sufficiente. Dannazione! La sua riserva energetica era ancora carica, perché il suo corpo e la sua mente dovevano abbandonarlo in quel modo! Le urla delle persone della folla dietro di lui lo allarmarono, e, giratosi, vide che tre persone erano a terra, una delle quali era morta. Una giovane ragazza, molto carina, con capelli a caschetto castano scuro, ed il petto prosperoso perforato, i bordi della ferita che fumavano.

‹Per colpa mia...! Perché ho evitato quei colpi...!› si sentiva male.

Strinse i pugni con forza, gli occhi iniettati di sangue. Le altre due persone colpite erano un uomo ed una bambina. Quest’ultima solo di striscio al braccio, ma comunque piangeva dolorante, il primo, invece, era grave. Se non fosse stato curato in fretta, sarebbe morto anche lui. Ryfon osservò mentre le persone vicine gli tamponavano il fianco sinistro, ma il sangue continuava a defluire. Anche Rorix, come il Cavaliere, cercava in tutti i modi di reagire, ma per lui era completamente impossibile muoversi anche solo di un millimetro.

«Presto, chiamate un dottore!»

«No, non faranno in tempo. Contattate la Gilda dei Mistici!»

«C’è un mistico o un dottore qui?!»

«Qualcuno aiuti quest’uomo!»

«No, non piangere piccola, è solo un graffio!»

«Povera ragazza... così giovane...»

«Amore mio...» piangeva il fidanzato sul corpo senza vita della vittima.

‹È colpa mia... è colpa mia...› si afflisse sempre di più il biondo, tremante, le lacrime agli occhi, lo sguardo furioso.

‹Ehi, ehi, Siirist! Calmati! Stai attirando troppa negatività! Anche se non evochi nessuno spirito, non vuol dire che non puoi diventare uno spettro!›

«Abbiamo causato troppa confusione. Cosa facciamo?» domandò uno degli Scorpioni.

«Sbarazziamoci del Cavaliere d’Inferno, del suo drago, del piccolo Yevon e di tutti i testimoni.»

«Sì!»

Due puntarono i gunblade a Siirist, un altro si avvicinò a Rorix per trafiggerlo nell’occhio, gli altri tre presero di mira la folla.

«Che volete fare?!»

«No, abbassate quelle armi!»

«No, vi prego!»

Siirist, all’interno della sua torre, tremava furioso, a terra con i pugni serrati.

 

Quella musica era così bella, così passionale, così potente. Stava sdraiato sul divano del salotto di Keira a godere della meravigliosa esecuzione dell’amica, le mani sotto la testa, gli occhi chiusi ed un sorriso di piacere stampato sul viso.

«Ehi, ma stai dormendo?!»

«Ma ovvio che no, stupida! Riprendi a suonare! Era così bello che mi ha preso molto, tutto qui!» rispose leggermente imbarazzato.

La ragazza sgranò gli occhi con immensa meraviglia.

«Non ci credo! Il più grande teppista e maiale della città, sa apprezzare così a fondo l’arte!»

«Ehi, che c’è da stupirsi tanto?!» si offese lui, balzando in piedi.

«Se ti piace tanto questo pezzo, dovresti venire con me il mese prossimo a Imperia.»

«Perché?»

«C’è un grande concerto in cui lo suoneranno con tutta l’orchestra, cioè come dovrebbe essere. Questo è solo un adattamento per pianoforte. Però, a pensarci bene, i biglietti saranno già esauriti.»

«Nessun problema, troverò il modo di intrufolarmi nella sala! Non sono un ladro per niente!»

«Giusto.» rise.

«Come si chiama?»

«Il brano? Requiem.»

«Ah, una messa funebre. Quando morirò, vorrò che venga suonato questo Requiem al mio funerale!»

«Dovrai diventare qualcuno di importante, se vuoi qualcosa di simile!»

«Oh, lo sarò, mia cara, lo sarò.»

 

Siirist aprì mentalmente gli occhi, ritrovandosi nel primo piano della sua torre, all’interno di un salotto solitamente bene illuminato, ma in quel momento completamente buio se non per il fuoco nel caminetto ed una lampada sopra al pianoforte gran coda al centro della stanza. Ci si avvicinò e aprì la prima parte, senza però alzare la coda, e scoprì la tastiera. Si sedette sul banchetto e fissò gli ottantotto tasti bianchi e neri, prima di appoggiarci le mani. Quel pianoforte era sempre stato lì, in quella stanza all’interno del suo mondo interiore, ma non lo aveva mai toccato; dopotutto non lo sapeva suonare veramente. Ma era ciò che più gli ricordava Keira, ed ogni sua esperienza negli ultimi anni era stata accompagnata dalla musica dell’amica, sempre viva nella sua testa. Quando gli era venuto per la prima volta un incantesimo, quando aveva sconfitto Gilia per la prima volta, quando aveva dato fuoco all’appartamento di Evendil ed era riuscito a scampare alla sua furia, quando aveva fatto l’amore con Alea per la prima volta. Ma in quel momento solo un brano gli risuonava in mente, solo uno aveva completamente eliminato ogni suono proveniente dal mondo reale. E lo voleva suonare. Nel suo mondo gli era possibile, dopotutto lo aveva creato lui. Poteva benissimo decidere di saper suonare. Con la melodia vivissima nei suoi ricordi, Siirist si apprestò a suonare le prime note. La musica, inizialmente lenta, si diffuse per tutta la stanza, il suono malinconico, passionale, carico di nostalgia. Tutta la mente del giovane fu inondata da quelle diverse emozioni, gli alberi della foresta presero a frusciare leggermente. Dopo circa un minuto che suonava, spalancò gli occhi con un’espressione da pazzo e attaccò la tastiera con un accordo potente, e deciso, aumentando il tempo dell’esecuzione. Dalla torre si liberò un’onda di energia che colpì l’intera foresta, piegando gli alberi. Davanti a lui passarono le immagini del concerto di musica sinfonica in cui si intrufolò cinque anni prima, dove si sedette accanto a Keira. Rivide l’amica suonare, rivide i duelli con Evendil, le risate con Gilia, il sorriso di Alea.

‹Che ne dici, amico mio?› sorrise, lo sguardo deciso.

‹Con te fino alla fine.› rispose con la stessa arroganza Rorix.

I cinque Scorpioni spararono, mentre quello accanto all’Inferno si preparò ad affondare la sua lama. Il drago, ringhiando, alzò la testa verso l’alto e liberò un ruggito spaventoso, per poi rivolgere le fauci verso il nemico e tranciargli in due il corpo. I due proiettili di luce colpirono Siirist alla milza e sul polmone destro quando, urlando e sputando sangue, si alzò in piedi, liberando un’aura di fuoco, nello stesso momento in cui comparve un muro di fiamme che protesse i passanti.

«Fosse anche l’ultima cosa che faccio, non vi permetterò di far del male a questa gente!» esclamò irremovibile.

Rorix impennò e abbassò il collo, liberando una fiammata contro due dei nemici, incenerendoli, mentre il Cavaliere afferrò con la sinistra il volto di un altro. Lo strinse con tutta la sua forza, schiacciandogli il cranio. Ma prima di morire, lo Scorpione lo trafisse nello stomaco con il pugnale. Urlando con tutta la sua forza, Ryfon liberò una grande fiammata che portò via la testa del nemico ed andò a colpire gli ultimi due rimasti, avvolgendoli in fiamme rosso scuro e carbonizzandoli.

Espirando un denso fumo nero, Siirist collassò all’indietro, gli occhi spenti, come pure Rorix che cadde in avanti. La luce che si affievoliva sempre di più, Siirist sorrise soddisfatto, il sangue che usciva copioso dalle tre ferite sul busto, riempiendo completamente lo spazio tra il corpo e la corazza, eventualmente trovando una via d’uscita dalle giunture.

‹È stato bello, mio drago.›

‹È stato un’onore, mio Cavaliere.›

Non respiravano più.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

Alla fine l’ho pubblicato prima perché, al contrario di quanto mi aspettassi, l’ho finito di ricontrollare da qualche giorno, per cui è già pronto.

 

franky 94: eh beh, ci stava. inizialmente credo avessi pensato di dare a Navare un ruolo importate, ma poi per ovvie ragioni (ovvie a me, non stare a scervellarti! XD) sarebbe stato inutile, per cui almeno gli ho dato una morte da eroe. Più o meno. Mi dispiace solo per la sua bambina di quattro anni... Ripeto che per il finale ero indeciso. Da quando ho pensato al capitolo e dato il nome, non avevo assolutamente in mente un’evoluzione degli eventi del genere. Solo mentre scrivevo ho pensato che quel lurido pezzente di Albecius, pur di non darla vinta al cugino, già che tanto sarebbe morto, si sarebbe sacrificato agli spiriti per diventare uno spettro. Et voilà! Il titolo doveva rappresentare un nuovo inizio per Cheydinhal, con tutti felici e contenti, invece poi ho pensato di far fuori il conte, e quindi di metterne un altro (cosa a cui avevo già pensato, ho solo anticipato i tempi), e concludere il tutto con la nascita di uno spettro. Il titolo però è rimasto, e questo significa che è comunque un nuovo inizio per Cheydinhal, ma anziché esserne uno piacevole, è più un risorgere dalle ceneri. Gilia ora è conte, ma un Cavaliere non può avere potere politico diretto (non che non siano influenti, sia chiaro!); dimmi un po’, secondo te a chi passerà il potere? La storia è più lunga di quanto io stesso vorrei! È per questo che pubblico ogni volta che posso, perché voglio finirla il prima possibile! O meglio, il meno tardi possibile! Per quanto riguarda i recensori... Non potrei essere più d’accordo! Banko/Zack non mi risponde nemmeno alle mail, per cui credo abbia un momentaccio in cui non ha tempo di stare a leggere fanfic, e mi dispiace molto, spero passi presto. Non ti so dire di Akita o tutti gli altri recensori che ho avuto per un po’, ma che poi sono spariti. E va beh. Ovviamente preferirei che si rifacessero vivi, ma suppongo ci siano delle ragioni per cui non possono più seguire la storia.

 

Il prossimo capitolo si intitola VITTORIA E SCONFITTA e sarà pubblicato domenica 27. Ripeto ancora una volta, che lasciare un commentino non fa che portare un po’ di felicità a questo scrittore a tempo perso! Grazie.

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** VITTORIA E SCONFITTA ***


VITTORIA E SCONFITTA

 

Ren era steso a terra a quattro di spade, l’impugnatura di Loki aran che sfiorava le dita della sua mano destra. Respirava affannosamente e non riusciva a muoversi. Zabi, dal canto suo, era un po’ meno stanco, ma volare non era certamente qualcosa che sarebbe accaduto a breve. Il Cavaliere guardò verso sinistra e vide il braccio mancino dell’elfo oscuro che gli aveva mozzato durante lo scontro. Aveva trovato quel salone d’ingresso così bello quando lo aveva visto prima. Era quasi irriconoscibile ora, la fontana al centro demolita, acqua e sangue che ricoprivano tutto il pavimento, schizzi di sangue sui muri.

‹Non credi sia ora di alzarsi? I due novellini sono andati da un po’, mi preoccupa che non siano ancora tornati.›

Il drago aveva ragione. Era quasi mezz’ora che Siirist e Rorix erano volati via, dopotutto, e lui aveva avuto oltre dieci minuti di riposo da quando aveva sconfitto l’elfo oscuro, per cui poteva anche ritenersi riposato. Si alzò lentamente, raccogliendo la sua spada da terra e riponendola nel fodero. Si avvicinò al cadavere dello Scorpione, nella cui gola si trovavano ancora gli artigli dell’uomo. Avvicinò la sinistra e la infilò sotto la protezione per la mano, stringendola attorno all’impugnatura, e tirò fuori. Le tre lame uscirono dalla carne del nemico con un leggero suono frusciante.

‹Non riesci a volare, vero?›

‹Assolutamente no, mi dispiace. Riesco a camminare, ma le ali sono proprio troppo stanche.›

‹Andrò da solo, non preoccuparti.›

Rimessi gli artigli nella custodia sulla coscia sinistra, Ren volò fuori dal palazzo, cercando con la mente un punto in cui si trovava molta confusione e lo trovò. Era parecchio distante, in direzione sud. Ci si diresse al massimo della velocità che gli era possibile, raggiungendo uno dei piani d’acqua più bassi, un quartiere in cui vi erano evidenti segni di battaglia.

‹Oh, no.›

Stringendo i denti incrementò la velocità e in una decina di secondi raggiunse i corpi esanimi di Siirist e Rorix.

‹Per fortuna non sono morti, ma la loro energia vitale è molto flebile.›

Notò che vi era anche Glallian Yevon, ancora privo di sensi.

«Siete anche voi un Cavaliere?» si avvicinò un uomo.

«Sì, cosa è successo?»

«Alcune guardie li hanno attaccati e hanno minacciato il resto dei presenti. Sono riusciti ad eliminarli, ma poi sono crollati.»

«Quanto tempo fa è successo?»

«Circa cinque minuti. Ma vi prego, c’è un uomo ferito molto gravemente, potete aiutarlo?»

«Fatemi vedere. Ah, è una ferita grave. Sono desolato, ma sono quasi del tutto privo di energie, potrò guarirlo molto approssimativamente, va portato subito in ospedale.»

«Certo.»

«Spero abbiate già chiamato aiuto. Anche loro due sono messi male.»

 

Lentamente i suoni ricominciarono ad arrivargli alle orecchie e ricominciava a sentire la presenza di varie persone attorno a lui, cinque o sei, non ne era sicuro. Ma non riusciva ad aprire gli occhi, sentiva le palpebre pesanti una tonnellata. E pure aprire l’occhio mentale era impossibile, la sua mente era ancora troppo stanca. Sforzandosi di aprire gli occhi, emise una sorta di grugnito.

«Oh, sei sveglio finalmente.» disse una giovane donna.

Quella voce... la conosceva...

«Dottoressa Vala! Vi pare questo il modo di rivolgervi al Cavaliere d’Inferno?!» disse un uomo.

Quel nome... “Vala”... sì, gli diceva qualcosa, lo conosceva... Ma dov’era? Cosa era successo? La testa gli faceva troppo male, non riusciva a ricordare.

«Stupido!» disse ancora la donna, ignorando completamente l’uomo, e dando un pugno in testa al biondo.

Aggiungendosi all’emicrania che già aveva, il giovane sentì il cranio spaccarsi in due.

«Dottoressa Vala, cosa state facendo?!» si scioccò ancora l’uomo.

«Non riesco a credere che la prima volta che ci vediamo dopo quattro anni, deve essere con te mezzo morto su un letto d’ospedale. Cretino!»

«Adesso basta! Qualcuno chiami le guardie! Dottoressa, vi farò arrestare! Colpire un Cavaliere, questo può costarvi la vita!»

«Colpa sua se ha il vizio di farsi sempre quasi ammazzare. Prima il veleno di quel demone, ora questo. Seriamente, si può essere più stupidi?»

Le ultime parole furono dette con un tono più triste e preoccupato di prima, e la donna passò delicatamente la sua mano sulla fronte di Ryfon. Ma certo! Come poteva non essersene ricordato prima! Era messo davvero così male? Ma non c’erano scuse per non ricordarsi, anche se solo momentaneamente, di lei.

«E vedo che tu hai ancora il vizio di picchiare i tuoi pazienti, Keira.»

«Sveglio del tutto, era ora.» commentò con poco interesse nella voce, allontanandosi.

«Voi due... vi conoscete...?» chiese l’uomo.

«Primario, siamo amici d’infanzia.» spiegò Keira.

Piano, piano Siirist cominciava a capire la situazione.

«Quale onore! Persino il primario è venuto ad assicurarsi della mia situazione! Mi dispiace tanto per voi, signore, che avete a che fare con questa qui. Immagino sia una piantagrane.»

«Ehi! È questa la riconoscenza verso la persona che ti ha salvato la vita? Stupido ingrato!» e lo colpì ancora.

«La volete smettere, dottoressa?! Non importa se siete amici d’infanzia, state commettendo un gravissimo reato!»

«Non importa. Anzi, mi preoccuperei se non mi colpisse, in effetti sono stato un po’ avventato.»

«“Un po’”?! Aspetta che ti dica come eri messo!»

«Sì, ma prima dimmi di Rorix.»

«Sta bene. Tre giorni fa si è risvegliato ed ha trovato la forza di rimpicciolirsi, dopodichè si è riaddormentato.»

«Quanto tempo è passato?»

«Una settimana. Siamo alla mattina del 10.»

«Così tanto?»

«Hai la minima idea di che cosa hai fatto?»

«Sentiamo.»

«Sei andato ad intaccare la tua stessa forza vitale! Il tuo legame con il Flusso era quasi del tutto scisso!»

«Ah.»

«“Ah”?! È tutto quello che hai da dire?!»

«Sì, cioè no, cioè... Che significa?»

«Sai bene che la parte di Flusso in noi è ciò che ci dà la vita; se dovesse venire a mancare, moriremmo. Nel tuo caso ci sei andato vicino. E ora il tuo Flusso è ancora spezzato, è molto instabile, ci vorrà del tempo prima che si rigeneri. Questo significa che non potrai usare la magia fino ad allora, altrimenti lo andresti ad agitare e ne potresti causare la rottura.»

«Stai scherzando, spero?!»

«Per niente. E il vice-capitano Ren mi ha detto quanti problemi hai causato in passato con la tua magia involontaria. Onestamente non mi sorprende, sapendo che razza di testa calda sei. Ma per favore, vedi di mantenere la calma perché anche la magia involontaria nasce dal Flusso.»

«No, non è possibile, non posso non usare più la magia!»

«E chi ha detto che non la devi usare più? Ti ho detto che non devi usarla fino a che il Flusso non si è ristabilito. Non dovrebbe metterci più di un anno.»

«Un anno senza magia?!»

«O quello o muori! E non prendertela con me, sei tu il deficiente che è andato ad intaccare il Flusso! E lo stesso Rorix! Vedo con dispiacere che il tuo drago è un cretino irresponsabile come te!»

«Tutto il suo Cavaliere!» ridacchiò orgoglioso.

«Non era un complimento.» e lo colpì nuovamente.

«Non ho mai visto nessuno rivolgersi in questo modo ad un Cavaliere.» ridacchiò l’appena giunto Ren.

«Non ditemi che non se lo merita.»

«No, no! Tutto il contrario! Ma è anche vero che sia lui che Rorix si sono trovati costretti ad usare la loro forza vitale per quell’ultimo attacco. Dai ricordi dei testimoni, ho visto che erano già esausti e non avevano più la forza nemmeno per stare in piedi. Sarebbero stati uccisi, così come tutti i presenti, se non si fossero rialzati. Hanno rischiato di morire con quella mossa, è vero, ma l’alternativa era morte certa per loro e per tutte le persone innocenti lì presenti.»

«Ecco, visto!»

«Non mi interessa! Basta che non usi la magia fino a che il Flusso non si sia stabilizzato! – disse con lo stesso tono spazientito di prima. – Promettimelo...» sussurrò stringendo la mano dell’amico.

«D’accordo.»

«È ora di cambiarti le bende, adesso.»

«Me ne occupo io, dottoressa.» disse una ragazza, probabilmente un’infermiera.

«No, faccio io. Tu vai a prendere i risultati del campione di sangue, voglio vedere di quanto si è ricostituito il legame con il Flusso.»

«Sì, dottoressa.»

«Allora noi andiamo.» disse il primario.

«Appena tu e Rorix vi sarete rimessi, ritorniamo a Vroengard.» disse Ren.

«Certo.» rispose Siirist.

Il giovane sentì che tutti nella stanza erano usciti, se non per Keira. L’amica spostò le lenzuola e incominciò a slacciare le garze attorno al busto del ragazzo. Le ferite erano state ricucite e si stavano lentamente rimarginando, grazie sia alla forte costituzione del Cavaliere, sia alle varie pozioni che gli erano state somministrate. Ma sentiva che non erano state toccate magicamente.

«Di’ un po’, non me le puoi curare magicamente e basta?»

«Non essere ridicolo, non posso sforzare ulteriormente il tuo corpo.»

«Vuoi sapere quale è stato uno dei miei ultimi ricordi prima di perdere i sensi? Dopotutto pensavo di morire.»

«Non voglio sentirti parlare di certe stupidaggini.» rispose alterata.

«La tua musica.» la ignorò completamente, sorridendo.

Le mani di Keira si fermarono di colpo, evidentemente era rimasta colpita da quelle parole.

«Stupido.» disse dopo qualche secondo.

Ma Siirist non si fece ingannare, la conosceva troppo bene, e quella voce voleva dire che stava cercando di nascondere un sorriso ed un tono felice.

«Devo ammettere che, quando non mi stai prendendo a pugni, sai essere delicata nel tuo lavoro. E so per esperienza che non lo sei solo come medico.» ridacchiò.

«Visto che hai parlato di lavoro, devo intendere che mi stai dando della prostituta?» e gli premette sul polmone perforato.

«Ahi!» disse stentatamente e dolorante.

«Ti sta bene.»

Quando ebbe finito, Keira controllò la temperatura corporea del paziente per poi prendere una sedia e sedersi accanto al letto.

«Che stai facendo?»

«Niente. Ho finito di sistemarti e non ho nient’altro da fare. Sono quattro anni che non ci vediamo, voglio parlare!»

«Sì, ma non troppo, il polmone fa male.»

«Ti sei lamentato senza problemi finora. Avanti, parlami di Alea: quando me la presenti?»

«Sai che non possiamo lasciare Vroengard per altri due anni.»

«Oh avanti! Dopo una missione del genere, il vostro Maestro dovrà pur lasciarvi riposare un po’!»

Siirist combatté con tutto se stesso per reprimere la colossale risata che gli stava venendo su, ma sapeva che avrebbe riaperto tutte e tre le sue ferite se lo avesse fatto.

«Ti senti bene?» chiese preoccupata la dottoressa.

«Sì, tranquilla. È solo che se conoscessi Althidon, non diresti così.»

«Sì, mi hai detto che è un bastardo schiavista, ma non può essere così male!»

«Fidati. Appena torno, andremo tutti per un allenamento intensivo sul Gagazet. E ammetto che non vedo l’ora.Voglio rimettermi in sesto, ma non ho intenzione di stare a poltrire. Questa missione mi è servita molto per capire quanto ancora devo migliorare.»

«Sì, ma niente magia.»

«Te l’ho promesso già, no? Ma stregoneria e invocazioni vanno bene, spero.»

«Certo, non vanno ad intaccare il Flusso vitale. E comunque il Gagazet è proprio qui vicino, potreste anche venire a fare un saluto, già che ci siete.»

«Glielo chiederò quando torno. A proposito, quando credi che potrò ripartire?»

«Domani o dopodomani. C’è anche da tenere conto delle condizioni di Rorix. Non credo potrà volare ancora per qualche tempo, quindi andrete con un’aeronave.»

«Quanto ancora?» chiese preoccupato il Cavaliere.

«Non lo so, non sono un’esperta di draghi. Ipotizzo un mese. Ma ripeto, non ne so niente, potrei benissimo sbagliarmi. In ogni caso, tu sarai pronto per tornare tra due giorni al massimo ed è meglio che lo faccia il prima possibile, visto che a Vroengard ci sono guaritori migliori che qui e sapranno anche cosa fare con Rorix. Fammi sapere appena tornate come sta, sono molto preoccupata.»

«Va bene. Dal nostro legame sento che sta bene, anche se ha la mente completamente chiusa. È in un sonno molto profondo.»

«È già qualcosa. Comunque scrivimi appena torni e quando si riprende. E anche ogni mese! Ultimamente non ti sei fatto sentire molto! Due lettere in sei mesi! Vergognati!»

«Avanti, ho avuto da fare! Gli allenamenti sono pesanti!»

«Sì, sì, tutte scuse. Ora riposa, ci rivediamo stasera.»

Si alzò e diede un bacio sulla guancia all’amico, per poi uscire dalla stanza. Siirist ne ascoltò i passi mentre si allontanavano dal suo letto, e sentì la porta aprirsi e subito richiudersi. Sorrise: era proprio bello essere di nuovo con lei.

 

La sera Siirist aveva finalmente trovato la forza di aprire gli occhi ed era rimasto colpito dal nuovo look dell’amica, che aveva tagliato i capelli che ora le arrivavano poco sotto le spalle, la matita ed il mascara mettevano in risalto i suo grandi occhi nocciola ed all’anulare sinistro portava un anello d’oro con un diamante.

«Giusto, sei fidanzata. Poverino, cosa gli passava per la testa? Non sa proprio cosa si aspetta!»

Quel commento gli procurò una botta in testa con il pappagallo appena pulito e due giorni dopo si alzò dal letto. Preso in braccio un Rorix ancora dormiente, salutò affettuosamente l’amica e si diresse verso l’uscita dell’ospedale. Lì, sul piazzale davanti, era parcheggiata un’aeronave dentro alla quale si trovava Yevon che era venuto a salutare i due Cavalieri. Spiegò che Glallian, purtroppo, era finito in stato di shock e che era rimasto chiuso in camera sua da quando aveva ripreso i sensi, ma il granduca era grato che fosse vivo. I funerali della granduchessa c’erano già stati e Siirist offrì le sue condoglianze, ma il signore della città scosse la testa e disse che non ce ne era bisogno, affermando che il giovane Cavaliere aveva fatto abbastanza e lo ringraziò per aver salvato il figlio. Lo salutò dicendo che sarebbe stato sempre accolto con onore a Zanarkand e scese dall’aeronave, che poco dopo decollò per dirigersi verso Vroengard.

«Come sta Rorix?» domandò Ren.

«Sempre uguale. Sento che sta bene, ma mi preoccupa che non si sia ancora svegliato.»

«È anche comprensibile, doveva essere molto stanco.»

«Anche io lo ero, eppure ora sono sveglio e cammino.»

«Tu non avevi recuperato molte energie grazie a quel tuo Banchetto di fiamme?»

«Sì, è vero.»

«Deve essere bello avere un legame alto con il Flusso, eh?»

«Direi piuttosto che è utile, non bello. Bello sarebbe se lo potessi sfruttare come si deve. Se solo fossi più forte, la granduchessa, gli altri Cavalieri e tutti i soldati non sarebbero morti. Così neppure quella ragazza nella piazza. E non avremmo perso la Lama.»

«Non prendertela con te stesso, non è colpa tua. Hai fatto tutto ciò che era in tuo potere, di più era impossibile. Quegli Scorpioni erano molto forti, non per niente ci hanno decimato. E poi sono io che mi sorbetterò una bella ramanzina dal Consiglio per il fallimento della missione!»

«Ma sono io che ho deciso di abbandonare la Lama per salvare Glallian!»

«E hai fatto benissimo così. Tralasciando cosa avrebbero pensato Alea, Gilia, Evendil, Althidon e Aulauthar, tu saresti riuscito a convivere con te stesso se avessi scelto la Lama?»

«No.»

«Appunto. Io avrei fatto lo stesso. Ora riposati, tra tre ore saremo a Vroengard.»

 

Il 5 gennaio Gilia finalmente riaprì gli occhi e si ritrovò nel suo letto nel castello. Si guardò il braccio sinistro e lo vide ben fasciato. Aprì e chiuse ripetutamente la mano, avvertendo un leggero dolore.

‹Buongiorno.› disse Asthar.

‹Ehi. Da quanto sto così?›

‹Due giorni.›

‹Com’è la situazione?›

‹Adrian è stato ad amministrare la città, mentre Thor si è occupato di dirigere le riparazioni. Sono stati tenuti i funerali per tutti quelli che sono morti, tranne che per tuo padre; Adrian ha pensato che sarebbe stato meglio farlo con te presente. Inoltre vogliono sfruttarlo per permetterti di parlare ai cittadini.›

‹Perché io?›

‹Perché sei il conte. Non solo perché tuo padre è morto, ma perché il titolo era il premio per il duello.›

‹Cavolo. Cosa avevo in mente? Non posso essere conte, sono un Cavaliere!›

‹Già. Adesso cosa ti inventi?›

«Ben svegliato.»

Il ragazzo alzò la testa verso la porta e vide entrare la splendida figura di Alea. Era vestita con un pesante abito elfico verde scuro sopra ad una tunica bianca, e portava stivali beige. I lunghi capelli biondi erano bene acconciati in una treccia elaborata.

«Questo braccio deve essere stato un lavoraccio per te.»

«Puoi dirlo forte. Ma il problema era la tua condizione generale. Se fosse stato solo il braccio, te lo avrei curato completamente, ma non potevo affaticarti il corpo ulteriormente.»

«Infatti sento ancora un po’ di dolore.»

«Domani te lo rimetto completamente a posto. Per il resto, come ti senti?»

«Meglio di due giorni fa. Notizie da Vroengard? Siirist è già tornato?»

«Ho mandato una lettera ieri dicendo che rimarremo qui fino al 7, ma ovviamente non ho ancora ricevuto risposta. Cosa vuoi fare per il titolo di conte?»

«Non lo so, ci sto pensando.»

«E sarà meglio che decidiate in fretta, nobile Gilia, perché dovrete annunciarlo al funerale di domani.» disse l’appena giunto Adrian.

«Sì...» abbassò la testa.

Non riusciva ancora a credere che suo padre fosse morto. E in un modo così stupido, oltre tutto! Strinse i pugni per la rabbia, il solo pensiero di suo cugino ancora vivo gli faceva ribollire il sangue nelle venne. Attorno alle mani serrate apparvero scariche elettriche azzurre.

«Non pensarci.» cercò di calmarlo Alea.

«Adrian, quando una persona viene posseduta dagli spiriti, perde la sua coscienza, vero? Quindi, anche se incontrassi nuovamente quello spettro, non sarebbe comunque Albecius?»

«Sì e no, nobile Gilia. Ci sono dei casi in cui uno spettro riacquisti i suoi ricordi precedenti alla possessione, ma che si fermi lì. Altri invece, ben più rari, in cui la coscienza precedente riesca addirittura a riprendere il controllo del corpo.»

«Spero vivamente che Albecius ci riesca: voglio uccidere lui, non un qualche spettro.»

«Adesso vedete di non vivere divorato dalla voglia di vendetta; è un veleno, finirà con il corrompervi, e possibilmente attirerà anche degli spiriti che vi potranno possedere.»

«Ha ragione, non darti troppa pena per quel bastardo.»

«Nobile Alea, non mi sarei mai aspettato un linguaggio sì colorito da un’elfa della vostra stirpe!» ridacchiò lo stregone.

«Non lo dite in giro.» rispose anche lei divertita.

 

Per tutto il resto della giornata, Gilia se ne era stato a riposo, pensando a come risolvere la questione del conte. Infine trovò la soluzione e la mattina successiva, nel cortile del castello di fronte a tutti i cittadini lì radunati, tenne il suo discorso.

«Cittadini di Cheydinhal. Come già vi è stato detto, tre giorni fa si sono svolti degli avvenimenti orribili, i peggiori in tutta la nostra storia. Mio cugino, assieme ad un’organizzazione che negli ultimi anni è sempre divenuta più potente, ha mirato a rovesciare il governo della città, riuscendo nell’intento. Purtroppo, nel tentativo di riconquistare il trono, alcuni di voi sono stati uccisi e lo stesso sedici soldati del castello, uomini fedeli a mio padre e alla loro città, controllati mentalmente da quel mostro che era mio cugino. Alle famiglie e agli amici di tutte le persone che hanno in quella battaglia perso la vita, io ora chiedo umilmente scusa.»

Si mise in ginocchio e portò in avanti la testa in segno di sottomissione. Tutti i presenti restarono colpiti nel vedere un Cavaliere dei draghi comportarsi in modo tanto semplice.

«Ora la città è priva del suo governante e succedere a mio padre non sarà semplice. La sua saggia guida negli ultimi ventinove anni ha permesso a Cheydinhal di prosperare. Di governanti, uomini come lui non se ne trovano molti in giro, ma ciononostante ora ci serve qualcuno in grado di risollevare una città distrutta nelle mura, nell’orgoglio e nello spirito. Io non posso essere questa persona non solo perché sono un Cavaliere, ma anche perché non riuscirei a reggere il peso di una responsabilità simile. Al momento il mio unico pensiero è trovare lo spettro in cui mio cugino si è trasformato ed ucciderlo, ed una mente carica di rancore e desiderio di vendetta non è una mente atta a guidare una città. Ma per fortuna fra di voi è presente una persona con le caratteristiche giuste per farlo. È una persona dalla mente fredda, non in senso negativo, ma nel senso che non perde la calma facilmente. È coraggiosa e forte, ed ama molto Cheydinhal, come mi ha dimostrato nella battaglia di due giorni fa. Ho avuto l’onore di combatterle a fianco, e devo confessare che mi ha salvato la vita in più di un’occasione. Con la speranza che sposi Deria, poiché so che sarebbe una contessa eccezionale e che averla vicino aiuterebbe molto nell’amministrare la città, fatti avanti, Dyus Zeno.»

Con la mandibola che pareva stesse per staccarsi, il cacciatore fu spinto in avanti da Codus che esultava, e, ammutolito, si fece largo attraverso la folla. Con passo incerto, si diresse verso Corvinus, voltandosi più volte verso Deria che, incapace di parlare come lui, comunque lo incoraggiava ad andare avanti.

«Avanti, Dyus, non fare così adesso! Ho appena detto che sei una persona decisa e calma, non mi puoi far fare una brutta figura adesso!» lo prese in giro il Cavaliere.

«Gilia, se questo è uno scherzo, non siete divertente...!»

«Nessuno scherzo.»

Dyus salì sul palco assieme al moro e fissò tutti le persone che lo osservavano interessate.

«Beh, ecco, insomma... Ehm... Non è certo così che intendevo farlo, magari in un posto più intimo, ma se è il desiderio di Gilia... Deria, vuoi sposarmi? Se vuoi un anello, vanne a scegliere uno tra i tesori del castello... tanto ora sono il conte!» e rise.

«È proprio di questo che stavo parlando!» rise anche Gilia, dandogli una pacca sulla spalla.

«E dopo diciannove generazioni, si estingue la stirpe dei Corvinus di Cheydinhal.» commentò Adrian in disparte.

«Ma non posso dire di avere problemi ad avere uno come lui sul trono. Tu, piuttosto, hai come allieva la contessa, adesso!» rispose Thor.

«Dovrò educare anche lui a qualche nozione di stregoneria: non si è mai sentito di un governante che ignorasse completamente le arti mistiche!»

«Infatti è un vero uomo.»

«Vorresti dirmi che Gilia non lo è? Stupido barbaro.»

«Vuoi un altro pugno come quello di due giorni fa, mammoletta?!»

Così, mentre Gilia commemorava il padre, Thor ed Adrian incominciarono a dare spettacolo, distruggendo tutto ciò che toccavano, vanificando gli sforzi di tutti i mistici della Gilda che avevano lavorato a rimettere a posto il castello. Ma il ragazzo non se ne dispiacque. Non trovò quel comportamento minimamente irrispettoso nei confronti di suo padre, anzi, lo considerava il modo più appropriato di porgergli i loro ultimi saluti. Come si erano sempre comportati a corte, ora si comportavano in quel momento. Gilia era sicuro che erano quelle le intenzioni dei suoi due maestri.

‹Spero tu stia vedendo tutto questo. Non preoccuparti, Cheydinhal è in buone mani e si riprenderà presto e la corte sarà vivace come sempre. Addio... papà.›

E con le lacrime silenziose che gli rigavano il viso, Corvinus guardò verso il terreno, immaginandosi il Flusso vitale che scorreva in profondità, domandandosi se suo padre potesse vederlo da lì.

 

Il 12 mattina, Gilia e Alea erano nella loro stanza a Vroengard ad aspettare preoccupati il ritorno di Siirist. Appena tornati cinque giorni prima, furono informati della condizione dell’amico e caddero nel panico, ma furono incoraggiati da Althidon e Evendil, anche se potevano vedere benissimo che pure loro erano in ansia. Così, quando finalmente atterrò la piccola aeronave proveniente da Zanarkand, erano già allo spiazzo davanti al cancello delle Mura nere. Siirist scese dal veicolo con Rorix appollaiato sulla testa, la sua borsa in spalla. Gli amici gli corsero incontro emozionati, felici soprattutto nel vedere che l’Inferno era sveglio, anche se con gli occhi appena socchiusi.

«Come state?!» chiese nervoso Gilia.

Ma prima che potesse rispondere, la bocca di Siirist fu tappata dalle labbra di Alea, che lo strinse a sé con tutta la sua forza. Corvinus li guardò preoccupato, immaginando cosa sarebbe successo ad un essere umano normale se avesse subito lo stesso trattamento. La prima immagine che gli venne in mente era quella di un’anaconda che stritolava un topo.

‹Puoi dirle di non fare certe cose quando sono troppo vicino? Non sto proprio bene, mi sono appena risvegliato, e già devo assistere a queste scenate. Vuoi farmi vomitare, bastardo di un Cavaliere?› commentò Rorix nauseato.

‹Non mi importa di quello che dici, fetente di un drago! Sono troppo felice di rivederla, nemmeno sento le tue parole velenose!› rispose Ryfon al massimo della gioia.

‹Bah, bipedi.› alzò gli occhi al cielo.

Quando però Siirist sentì di stare per soffocare per la carenza di ossigeno, allontanò l’amata.

«Non vale! Se mi fai attacchi simili a sorpresa, tu hai tutto il tempo di prendere un bel respiro profondo, io invece sono colto alla sprovvista! Prossima volta avvisami!»

«Vuoi dirmi che non pensavi l’avrei fatto appena ti avessi visto...? E io che non aspettavo altro...» rispose delusa l’elfa.

Vederla mettere il broncio, abbassare leggermente la testa e toccarsi gli indici con fare nervoso era troppo. Era semplicemente troppo adorabile! Spinto da un impulso d’amore, Siirist la strinse a sé.

‹Oh, Hanryu! Basta, per piacere! Risparmiami!›

‹Non ti sento!› rispose felice, in una sorta di cantilena.

Ma la gioia non poteva rimanere in eterno, e ben presto giunse Althidon che chiese all’appena disceso Ren e al suo allievo di accompagnarlo dal Consiglio per il loro rapporto.

«Un momento, perché deve venire anche Siirist? Ero io al comando, la responsabilità dovrebbe essere solo mia.»

«L’hanno richiesto specificatamente gli Anziani.»

«Lasciatemi indovinare, Maestro, sono stati i sei simpaticoni che mi hanno fatto andare, o sbaglio?»

Althidon rimase in silenzio. Da un lato era suo dovere punire il ragazzo per la mancanza di rispetto mostrata nei confronti del Consiglio, dall’altro voleva dargli ragione e insultarli insieme a lui.

«Andassero a quel paese, sono distrutto. Me ne vado a dormire.»

Ancora Althidon non sapeva come reagire. Ma giunse Evendil che, con un pugno sulla nuca a Ryfon, lo riportò a comportarsi come si deve.

«Non fare l’idiota e vieni dal Consiglio.»

«Sì... Vulcano deve necessariamente venire? Perché se no vorrei che andasse in ospedale.»

«Certo, ci può pensare uno di loro.» ed indicò Alea e Gilia.

«Ci penso io. Alea, tu vai pure...» e terminò la frase sussurrando qualcosa all’orecchio dell’elfa.

«Hm, d’accordo. Vulcano, vedi di riprenderti presto! Siirist, ci rivediamo dopo in camera.»

Così Siirist assieme a Ren e Zabi seguirono Althidon e Zelphar. Andò con loro anche Evendil, che però attese fuori dalla Sala del Consiglio, poiché tecnicamente non aveva il permesso di entrarvi. Per la terza volta in soli quattro anni, Siirist si ritrovò nella sala circolare, circondato dagli spalti su cui stavano i dieci Anziani, sempre negli stessi posti: Aulauthar il terzo da destra, Adamar il quarto, Syrius il terzo da sinistra, Eimir il quinto, in una delle due posizioni più centrali.

«Cosa posso fare per voi?» disse Siirist con falsissima voce accondiscendente.

«He, impertinente come sempre.» ridacchiò il Cavaliere nero.

«Faccio del mio meglio.» si inchinò il Cavaliere d’Inferno.

Quegli mise su un mezzo sorriso, mentre Aulauthar e Eimir ridacchiarono. Adamar invece restò impassibile, le braccia incrociate, la testa bassa e gli occhi chiusi. Non si poteva dire lo stesso dei rimanenti sei.

«Cavaliere d’Inferno, non sei qui per fare il buffone, ma per spiegarci il motivo del fallimento della tua missione.» disse seccato il dunmer dal drago verde pallido.

«Siamo appena arrivati e già ci state con il fiato sul collo?»

«Saggi Anziani, il rapporto che vi ho spedito quando eravamo ancora a Zanarkand non era esauriente, vi ho detto che vi avrei spiegato meglio a voce. Approvo completamente il comportamento di Siirist, perciò vi prego di ascoltarmi prima di accusarlo...»

«Vice-capitano Ren, non sei stato interpellato. Cavaliere d’Inferno, rispondi alla domanda: perché hai fatto fallire la missione?»

Siirist trasse un profondo respiro. Aveva una voglia di dare fuoco a quell’elfo insopportabile che gli prudevano le mani. Era da quando gli era stata affidata la missione che provava un senso di fastidio solo a immaginarsi quella faccia arrogante. Lo avrebbe preso a pugni così volentieri, che lo avrebbe preferito a fare sesso per un anno! Sì, avrebbe felicemente sacrificato il sesso di un anno pur di poter cambiare i connotati a quel bastardo! Ma si trattenne. Inspirò ancora prima di rispondere.

«Non so cosa Ren abbia scritto nel suo rapporto, ma vi farò una breve sintesi di quello che è successo. Comprendendo il pericolo, abbiamo richiamato cinquanta Cavalieri da Bevelle, che però non sono mai arrivati perché caduti in un’imboscata degli Scorpioni. Di otto Cavalieri a Zanarkand, siamo rimasti solo io e lui: questo dovrebbe bastarvi per capire la forza dei nostri nemici. Dopo aver ucciso ogni soldato presente al palazzo, e pure aver impalato la granduchessa, i due corridori infuocati, gli ultimi Scorpioni rimasti hanno rubato la Lama e rapito Glallian Yevon, il figlio del granduca. Io e Vulcano li abbiamo inseguiti e, quando si sono divisi, mi sono ritrovato a dover scegliere se recuperare la Lama o salvare Glallian. Ammetto che sono stato una buona manciata di secondi a pensarci, ma a rifletterci ora mi sento un idiota. Insomma, la risposta doveva essere ovvia, non so perché ho pure preso in considerazione di recuperare la Lama.»

«Quindi stai dicendo che ti sei ritrovato a dover scegliere e hai preferito salvare il figlio del granduca piuttosto che prendere la Lama? E non te ne penti nemmeno?»

«Sì, mi pento di averci pensato e di non essermi fiondato subito su Glallian.»

«Capisco... In questo caso, direi che non c’è altro da aggiungere. Il Cavaliere d’Inferno ha vanificato tutti gli sforzi ed i sacrifici degli altri Cavalieri, rinunciando di sua spontanea volontà alla Lama. Solitamente la punizione dovrebbe essere la morte, ma si tratta pur sempre della tua prima missione e c’è anche quella ridicola leggenda che il Cavaliere d’Inferno sia qualcuno di fondamentale per l’Ordine. Colleghi miei, avete qualche suggerimento su quale punizione sia più adatta al Cavaliere d’Inferno?»

Siirist era allibito. Quello era uno scherzo, vero? Insomma, doveva essere uno scherzo! Non poteva essere serio, era ridicolo!

«Un momento, Delmuth, non potete punire Siirist! Come ho detto, approvo la sua decisione e io avrei fatto lo stesso!»

«Vice-capitano, non hai diritto di parola in questa questione. La missione è fallita per colpa sua e la vita di cinquantasei Cavalieri è stata sprecata per una sua decisione azzardata di cui nemmeno si pente. Non c’è altro da aggiungere.»

«Beh, se voi siete uno schifoso insensibile che lascerebbe morire un povero bambino innocente, non è colpa mia.» disse secco Ryfon.

«Siirist!» lo guardò arrabbiato Althidon.

«Avanti, Maestro! Nemmeno ho detto “maiale”!»

«Eccoci...» disse a bassa voce Aulauthar, portando la destra alla sua spada.

Lo stesso fece Syrius; Eimir ruotò semplicemente il polso destro, rivolgendo il palmo in avanti, mentre Adamar aprì gli occhi. Delmuth saltò oltre il parapetto dello spalto, la spada in pugno, pronto a colpire a morte il ragazzino impertinente. Il più veloce a reagire fu Adamar, che eresse una barriera di sabbia indurita che parò il fendente della lama verde pallido; il secondo fu Eimir, che fece comparire sei sigilli dorati dell’aquila, da cui furono invocate sei spade dalla diversa forma che circondarono il dunmer. Syrius sguainò la sua spada ed estese il braccio verso destra, sfiorando con la lama nera la gola di un altro Anziano che stava per lanciarci in aiuto di Delmuth. Aulauthar fece lo stesso, ma circondò la sua spada con della luce dorata ed essa si trasformò, diventando uno spadone a due mani con la lama di due metri, ma mantenne la forma originale, con la lama d’argento, l’elsa d’oro, la guardia costituita da dei bracci arrotolati su se stessi, seta bianca a rivestire l’impugnatura e una gemma d’argento come pomolo. Gli altri furono tutti intrappolati dalla sabbia di Adamar.

«Cosa significa questo?!» si arrabbiò Delmuth.

«Significa che siamo d’accordo con le azioni di Siirist. I Cavalieri esistono per proteggere l’Impero degli uomini ed il regno degli elfi. Siirist ha fatto proprio ciò.» spiegò tranquillo Aulauthar.

«No, questo plebeo ha condannato Tamriel, anzi tutta Gaya! Avrà pure salvato una vita, ma permettere alla Setta dello Scorpione di impossessarsi delle Reliquie della Luce è distruggerne milioni!»

«Plebeo?» disse incredulo Siirist.

«Sì, plebeo! C’è una ragione se tra gli umani solo i nobili sostengono la Prova. Tranne che le poche eccezioni che sono scelte tra persone meritevoli, ma tu non sei nemmeno in questa categoria!»

Con gli occhi sgranati per la meraviglia e la bocca aperta, Siirist si avvicinò a quell’insopportabile Anziano e fece per spaccargli la faccia con un pugno, quando il drago verde spento lo attaccò, ma fu fermato da Skryrill e bloccato a terra. Quel breve avvenimento fece riflettere Ryfon che ci ripensò e si allontanò dal dunmer.

«Aulauthar, Syrius, Adamar, Eimir... Vi ringrazio, ma credo sia meglio che li lasciate andare. Insomma, non è che potete tenerli così per sempre! E per quanto siate i quattro più forti, le leggi dell’Ordine sono sempre state decretate in democrazia, ed in termini numerici siete inferiori, perciò se Delmuth e gli altri vogliono punirmi, e sia, accetterò qualunque punizione. Ma lasciate che vi avvisi: io diventerò potente, più di quanto possiate immaginare. Vi ringrazio di avermi mandato in missione perché mi ha fatto riflettere su quanto sia effettivamente debole. Da ora in poi incrementerò i miei sforzi nei miei allenamenti di dieci volte e in breve sarò così potente da far tremare persino questo Consiglio. E allora sarà tempo di regolare i conti.» e sorrise soddisfatto.

«Coloro a favore dell’innocenza di Siirist?» propose Aulauthar ridacchiando.

Ci fu un attimo di silenzio, ma la sabbia di Adamar, che si strinse attorno a due Anziani indecisi, li convinse a votare in favore del ragazzo, così che fu raggiunta la maggioranza. Soddisfatto, Althidon accompagnò Siirist fuori dalla Sala e Evendil orgoglioso gli mise un braccio sulle spalle.

«Dai, vieni, ti offro una cioccolata calda.»

«Attento, Siirist, ti prendo in parola per quello che riguarda gli allenamenti.» disse felice il Maestro.

«Sì, ma non per quanto riguarda la magia.»

«Perché?»

«Ho avuto un problemino con il Flusso vitale e non posso usarla per un annetto altrimenti muoio.» rispose tranquillamente.

«Cosa diavolo hai combinato questa volta, imbecille?!» cambiò atteggiamento Evendil, stringendo il braccio attorno al collo del ragazzo.

Evendil portò Siirist alla taverna del villaggio, dove questi fu accolto da una grande festa. Al centro della sala vi erano Gilia e Alea con la sua torta di mele sul tavolo, in più erano presenti tutte le vecchie amiche del donnaiolo, oltre che Otius e Viola. Persino Daratrine alzò il suo boccale in onore del biondo, e con immenso stupore di questi, entrarono subito dopo di lui ed Evendil anche Althidon, che aveva solo fatto finta di tornare nel suo alloggio, accompagnato da Aulauthar, Syrius, Eimir e Adamar.

‹Ma cosa...?›

‹Tu guarda un po’ che festicciola che ti hanno preparato! Pensa se avessi portato a termine la missione!› commentò Rorix.

‹Mi dispiace che te la puoi godere solo tramite me. Cosa ti hanno detto i medici?›

‹Che non ho niente di che, devo solo riposarmi molto. Per fortuna la magia draconica non ha origine dal Flusso ma è più come parte di noi, perciò posso continuare ad usarla. Piuttosto, tu dovresti farti visitare al più presto per sapere esattamente quanto tempo devi aspettare prima che il Flusso ti si ristabilisca.›

‹Lo farò appena torno su. Ora risposa.›

«È qui la festa?» disse con aria gioiosa Ren.

Entrò nella taverna seguito da Adeo e insieme trascinavano un riluttante Bial.

«C-capitano...!» disse scioccato Siirist.

«Non sei nemmeno un suo subordinato e già gli porgi tutto questo rispetto? Bial, sono geloso!» commentò ridendo Althidon.

«Scusate, ma cosa sta succedendo? Non trovo ci sia nulla da festeggiare, ho fatto fallire la missione...»

«Stupido! Non importa cosa dica il Consiglio, sei stato formidabile! Hai dato tutto te stesso per proteggere Glallian e le persone coinvolte nell’ultimo incontro con gli Scorpioni prima del tuo collasso! Sei stato esemplare!» gli diede una spintarella Abar.

«Senza contare che sei tornato vivo! Al tuo attuale livello, è già tanto che tu non sia morto!» aggiunse Evendil.

Siirist non riusciva a crederci.

«Forza, capitano! Adesso tocca a voi!» lo spinse Adeo.

Il Cavaliere d’Inferno si ritrovò faccia a faccia con Bial che, come al solito, lo guardò con aria gelida e superiore.

«Ti devo le mie scuse...»

«Eh?!»

«Ren mi ha descritto nei dettagli come è andata a Zanarkand e... hai fatto un ottimo lavoro. Non me lo aspettavo...» disse riluttante, la voce che pareva tirata fuori a forza dal Cavaliere dal drago fucsia.

Siirist lo fissò allibito.

«E ora me ne vado.»

Girandosi, la sua sciarpa turchese svolazzò, ed il capitano della sesta brigata uscì dalla taverna.

«Dei complimenti da Bial. Siirist, ritieniti onorato.» osservò Eimir mentre beveva una tazza di tè versata da Alea.

«Dove avete visto i complimenti, scusate?» rispose incerto, non trovando le parole del capitano esattamente sincere o sentite.

«Non aspettarti di più da lui. Mai. Dette da una persona normale, quelle parole sarebbero suonate più come: “Per Soho, sei stato splendido, non mi sarei mai aspettato una prestazione così meravigliosa!”, quindi sta' contento.» disse Adeo con la sua voce effemminata.

Per qualche motivo, Siirist ebbe un rigurgito nel sentire quella persona pronunciare certe parole.

«Se vuoi, noi te lo diremo quando e quanto vuoi, maschione!» ridacchiò una delle ex amanti.

Ryfon rabbrividì quando vide Ilyrana immobilizzarsi per un istante, immaginando solo quali atroci sofferenze stesse pensando di infliggere a quella povera incosciente, ma si tranquillizzò quando la rivide sorridere e versare la calda bevanda nel bicchiere di Adamar, che ringraziò pacatamente.

«Dai, su! Vai!» disse sottovoce Otius, incoraggiando la sua compagna di addestramento.

«Ehm, ecco... Siirist...» si fece avanti Viola.

Il festeggiato la vide avvicinarsi imbarazzata, il capo chino e la voce imbarazzata, il viso rosso, le mani dietro la schiena.

‹Non dirmi che finalmente si fa avanti! Poverina, non ha speranze!›

‹Non stavi dormendo, insensibile bastardo di un drago?!›

‹Dai, lo vedo anche io, e ricordo che per me anche Fralvia è paragonabile a qualsiasi altra femmina, anche se dici di no, che tra questa umana e Alea non c’è confronto! Senza contare i tuoi... hmpf... sentimenti...› e scoppiò a ridere sull’ultima parola.

Nervoso, il biondo guardò verso l’amata e la vide comportarsi normalmente, seppure egli era sicuro che l’elfa stesse osservando la scena con almeno dieci occhi mentali. Non li riusciva a percepire, ma avrebbe scommesso i suoi testicoli che c’erano. Viola gli porse una pacchetto con la carta viola chiaro ed il fiocco di una tonalità più scura, lungo dieci centimetri e largo cinque. Viola gli stava dando un regalo, e Alea non reagiva? Come era possibile?!

«Ehm... grazie...?»

«Che razza di risposta è ad una ragazza che ti sta porgendo un regalo, pezzo di merda?!» scoppiò Otius.

‹Eh?!›

«Basta, mi sono stufato di te! Non mi sei mai andato già, con il tuo modo di fare noncurante, prendi tutto come fosse un gioco, ti permetti persino di trattare il Consiglio come tuoi pari! Anzi no, come persone inferiori! Ma chi ti credi di essere?! E ora, solo perché ti sei salvato per miracolo da una missione pericolosa, ti monti la testa! Voglio dire, è fallita per colpa tua, e ricevi pure una festa?!»

Tutti nella sala ammutolirono e fissarono il ragazzo rossiccio. La sua compagna di addestramento stava per seppellirsi. Daratrine continuò a bere il suo tè, un mezzo sorriso stampato in faccia. Se di solito Siirist avrebbe dato fuoco ad una persona che gli si fosse rivolta in quel modo, in quell’occasione non poté che dar ragione a Otius. Sapeva bene che non si meritava una festa. Senza contare che al momento era impossibilitato dal dare fuoco a niente.

«Ma veramente nemmeno io mi aspettavo nulla di simile...» disse grattandosi la guancia con fare imbarazzato.

«Ancora con quell’atteggiamento? Se sei tanto forte, dimostralo! Ti sfido a duello! Mostrami cosa sa fare veramente il Cavaliere d’Inferno o se sei tutte chiacchiere!»

‹Questo Cavaliere inferiore vuole sfidare il mio Cavaliere? Se fossi lì gli strapperei le gambe a morsi.› ringhiò Rorix in preda ad un’eccitazione omicida.

‹Ecco, se c’è qualcuno da accusare di essere un montato, quello sei tu!›

‹Il suo drago marrone è della famiglia del drago di Adamar, ma a differenza di quest’ultimo, egli non ha nessun grande potere. Mentre Varin è cresciuto con un Cavaliere così dotato e quindi ne è stato influenzato a sua volta, il drago di Otius, di cui ignoro persino il nome e nemmeno mi interessa saperlo, è e sarà sempre un comunissimo drago inferiore. È più forte di Eiliis, è vero, ma lei, come Varin, è influenzata dalle strabilianti abilità del suo Cavaliere. Non per niente le abilità magiche e mentali di Eiliis sono molto più sviluppate rispetto alle mie o a quelle di Asthar, per quanto noi siamo di due famiglie superiori.› ruggì sempre più assetato di sangue.

‹Partecipare a quella missione ti ha cambiato.›

‹È perché ho assaporato per la prima volta il piacere della battaglia, l’eccitazione della caccia. Non dirmi che non hai provato niente.›

Siirist ripensò al momento in cui bruciò l’ultimo spettro. Sì, era furioso, dalla disperazione provata nel vedere Rorix morire aveva provato una grande rabbia. Ma nel momento esatto in cui aveva visto quello spettro guardarlo orripilato poco prima di ardere, aveva provato... gioia? Piacere?

«Certo che Siirist accetta!»

Le parole di Evendil lo riportarono alla realtà.

«No, ecco... Ti dimentichi del mio piccolo problemino...?»

«Cosa ne dici, Daratrine? Un duello tra i nostri allievi, sembra interessante.»

«Sono venuto qui già prevedendo un risvolto simile.» rispose il dunmer.

«No ma... Maestro, io non...»

«Mi dispiace, Siirist, non c’è modo di tirartene fuori. E vedi di non perdere, Daratrine è il mio rivale, come Syrius è il rivale di Aulauthar. Capisci cosa significa, vero?»

«Ma nemmeno ho la mia spada con me...!» tentò ancora di opporsi Ryfon.

«Tieni.»

Siirist guardò a bocca aperta come Evendil sguainasse Lin dur e gliela porgesse. Quando di solito non gliela faceva nemmeno sfiorare, l’elfo gli stava proprio prestando la sua preziosa spada.

«L’unica altra volta che mi ha permesso di usarla, no, che dico, anche solo toccarla, a parte quando te l’ho riparata con Hans, è stato per il duello con Alea.» disse in estasi.

«Questo è perché dopo quattro anni rivedo in te la stessa fiamma di allora.» sorrise.

Di cosa stava parlando? Ma pensò di curarsene in seguito, in quel momento non gli importava di niente se non della possibilità di impugnare ancora una volta Lin dur. Con tutto il rispetto per Beleg runia, che era comunque un’arma di impeccabile fattura, prendere tra le mani la spada di Bhyrindaar era puro piacere.

«D’accordo, sfida accettata. Poi non metterti a piangere, Cavaliere inferiore.» disse con aria sicura Siirist.

Molti dei presenti rimasero colpiti dal modo arrogante con cui Ryfon si era rivolto all’altro.

«Scusa, Vulcano insisteva perché te lo dicessi, sono parole sue. Ma, effettivamente, mi dai l’idea che abbia ragione.» e mise su un sorriso di sfida.

Uscì dalla taverna seguito da Otius che immediatamente sguainò la sua spada dalla lama marrone. Non perse tempo e caricò immediatamente Siirist con un fendente, schivato senza problemi, ma quell’attacco era stato solo una finta, infatti eresse una guglia di pietra indurita alle spalle del biondo, che se ne accorse all’ultimo secondo e la schivò un momento troppo tardi, ritrovandosi ferito al fianco destro. Il rosso continuò e lanciò una sfera di fuoco contro l’avversario. Alea e Gilia si misero a ridere, ma si ammutolirono nel vedere l’amico evitare anche quell’incantesimo.

‹I suoi incantesimi sono piuttosto semplici e tutti incanalati attraverso la sua spada. La mia idea è che sia veramente poco dotato nel Flusso. Questo significa che ti basta disarmarlo per renderlo inoffensivo.›

‹Se potessi sparargli un Pugno di fuoco avrei già finito, ma purtroppo non mi è possibile.›

«Cos’è, è questo il famigerato potere del Cavaliere d’Inferno? Intendi vincere stando solo sulla difensiva?»

«No, ho semplicemente deciso di concederti un piccolo vantaggio e non usare la magia, per cui sto elaborando una strategia diversa rispetto alle mie solite.»

I due amici di Siirist rimasero colpiti nel sentire quelle parole. Conoscendolo, si sarebbe divertito a umiliare una persona che gli vi fosse rivolta in quel modo, invece gli stava concedendo un vantaggio? Qualcosa non tornava. Si guardarono sospettosi, per poi rivolgere nuovamente lo sguardo sul duello, analizzando ogni mossa di Ryfon.

«Spiriti dell’aria, sostenetemi!»

Siirist levitò da terra, ma la sua scarsa abilità con gli spiriti gli permetteva appena di evocarli e non riusciva a controllarli bene, per cui non riuscì ad evitare una seconda palla di fuoco che lo colpì in pieno petto, lasciandogli un buco rotondo nei vestiti.

«Ehi! Hai la minima idea di quanto siano costati?! Io ti ammazzo, brutto testa di cazzo!»

Lasciò andare gli spiriti dell’aria e si lanciò in avanti in uno scatto fulmineo, menando uno sgualembro manco dritto e subito dopo uno sgualembro dritto rovescio. Schiacciato dalla forza superiore del Cavaliere d’Inferno, Otius usò un incantesimo di terra simile all’evocazione di Gilia che gli permise di potenziare i suoi muscoli, ma non era comunque sufficiente per essere alla pari con il biondo. Inoltre l’enorme quantitativo energetico usato nella magia lo debilitò per un momento e Siirist colse l’occasione per mettergli la mano disarmata dietro al lato destro della nuca e tirare giù la testa verso il suo ginocchio. Gli ruppe il naso e lo buttò a terra.

«Spiriti del fuoco, non mi fate incazzare e fate per bene ciò che vi dico! Seguite le indicazioni della mia mano e marchiate la sua fronte.» disse affondando Lin dur nel terreno.

«Ormai nemmeno mi stupisco più delle sue evocazioni.» scosse la testa Evendil.

«Nemmeno io.» lo imitò Althidon.

Al contrario, Daratrine si pietrificò con la bocca aperta e la tazza ancora levata, finendo quindi con il rovesciarsi il tè addosso. Syrius si massaggiò la fronte cercando di rimanere calmo, Adamar accennò un sorriso, mentre Aulauthar scoppiava a ridere. Eimir invece non si capacitava di come gli spiriti avessero risposto ad un’evocazione come quella.

Gli spiriti si radunarono sul viso di Otius ed incisero una scritta sulla sua pelle, seguendo i movimenti dell’indice sinistro, prima compiendo una linea curva più grande di un semicerchio, poi un cerchio completo, un’altra linea più grande di un semicerchio, a cui però aggiunse anche una “l” rovesciata, dopo seguì una “l”, subito dopo una linea dritta in verticale, un secondo cerchio, tre stanghette unite, e poi quattro, fino a che la parola “COGLIONE” non fu marchiata a fuoco sulla fronte del rosso. Soddisfatto, ma ancora incazzato per i vestiti rovinati, Siirist si avvicinò a Viola ed accettò con piacere il suo regalo.

«Però il tuo amico è un coglione, va detto.»

Ella si lasciò scappare un risolino, per poi andare a soccorrere il compagno. Daratrine accettò a malincuore la sconfitta, preso in giro da Althidon, ed Evendil si complimentò con il suo pupillo. Gilia e Alea, invece, lo fissarono con sguardo indagatore.

«Oh, avanti, non c’è niente tra noi! Però non potevo non accettare! E tu che vuoi, Gilia?!»

«Chi se ne frega di quell’oca?! Perché non hai usato la magia?»

«Beh, ho detto il perché, volevo dargli un vantaggio...» rispose incerto.

«Dai, su, non è questo il momento di essere seri! Siamo qui per festeggiare il tuo ritorno dalla missione ed il tuo grande coraggio! Guarda che deliziosa torta di mele che ti ha preparato Alea!» disse gioioso Adeo.

«Sì, hai ragione.»

«Dopo però voglio vederti per il tuo problema.» si fece serio e sussurrò di sfuggita all’orecchio di Ryfon.

«Sì...»

 

Finito il pranzo, tutti i Cavalieri ritornarono alla Rocca e gli allievi di Althidon, entrati nella loro camera, si buttarono sui rispettivi letti.

«Allora, che avete fatto in queste due settimane? Vi vedo stanchi, quello schiavista vi deve aver massacrato di lavoro!» commentò Siirist.

«A dir la verità, sono cinque giorni che ci riposiamo e basta.»

«Eh?!»

«Sì, a proposito... Non te l’abbiamo detto prima che partissi perché ci era stato comandato di tenere la bocca chiusa per non rischiare di farti deconcentrare...» cominciò Gilia.

«... Ma siamo stati in missione anche noi e siamo tornati il 7.» concluse Alea.

«Che cosa?!»

«Sì, problemi a Cheydinhal. Ma prima che ti raccontiamo niente, dicci il perché non hai usato la magia prima.»

«Ti conviene parlare se non vuoi che sfoghi la mia irritazione per il comportamento di quella smorfiosa su di te!»

«Allora avevo ragione, non ne eri molto felice...»

«Non cambiare argomento.» e dal palmo destro si erse una lama di ghiaccio che andò a sfiorare la gola di Ryfon.

«E va bene, venite con me.» e si alzò.

Insieme andarono all’edificio ospedaliero dove li aspettava Adeo nel suo ufficio.

«Cielo, non mi aspettavo certo che venissi così presto! Di solito non sei molto incline a farti visitare da me! Hohoho! Smack!» e soffiò un bacio verso Siirist.

Questi rabbrividì, trattenendo a stento la sua rabbia.

«Spiriti del fuoco, incendiatelo.»

Fiamme proruppero attorno al Cavaliere effeminato, che le spense con una Materia che teneva sulla sua scrivania.

«Per favore, stai più attento! Gli spiriti sono entità prive di ragione. Se dai loro un ordine, lo seguiranno nel modo più drastico, perciò attento alle parole che usi quando li evochi! Se volevi bruciacchiarmi un po’, dovevi dire qualcosa tipo...»

«Lo so, infatti volevo incenerirti.» lo interruppe Siirist, gli occhi carichi di desiderio omicida.

Alea e Gilia erano esterrefatti.

«Perché hai usato la stregoneria...?» riuscì appena a mormorare Corvinus.

«Perché è tanto un bravo ragazzo, ecco perché. Su, vieni qui e fammi vedere come è messo il tuo Flusso.»

Siirist si tolse il cappotto e la tunica di lana pesante, rimanendo a torso nudo, e si accomodò sulla sedia indicata dal guaritore.

«Secondo quanto scritto dalla dottoressa Vala, il tuo Flusso vitale era in condizioni disastrose, è un miracolo che non si sia scisso completamente e che basta non intaccarlo perché si rigeneri completamente. Un altro po’ e non saresti qui con noi a prendere parte a questa amichevole chiacchierata.» disse mentre legava un laccio attorno al bicipite destro di Ryfon e, aspettando che il flusso sanguigno di bloccasse, incominciò ad ascoltargli il battito e la respirazione con lo stetoscopio.

«Ehi, Siirist... di cosa sta parlando...?» domandò flebilmente Alea.

La voce le tremava ed il ragazzo sentiva che era seriamente preoccupata. Adeo continuò a toccare il petto e il dorso del biondo in vari punti, applicando più o meno forza.

«Nelle loro ultime gesta contro gli Scorpioni, per salvare Glallian Yevon e circa un centinaio di abitanti di Zanarkand, oltre che le loro stesse vite, Vulcano ed il qui presente, già esausti oltre ogni limite, sono andati ad intaccare la loro forza vitale per tirare fuori quell’ultima manciata di energia necessaria per uccidere i loro nemici. Di conseguenza, il loro Flusso vitale si è infranto, per fortuna non completamente, e ora Siirist non deve usare la magia fino a che non si ricomponga completamente, o lo disturberà ulteriormente, rischiando di spezzarlo una seconda volta. Da quello che è scritto nel rapporto della dottoressa Vala, solo 36000 douriki del tuo Flusso vitale erano rimasti intatti, e questo vuol dire il 36% del totale. Capisci da solo che se tu non fossi dotato come sei, saresti morto, perché hai perso 64000 douriki, più di quanto chiunque altro possieda. Secondo gli esami di ieri, il tuo Flusso è ora a 53000 douriki. Un recupero impressionante. So che la dottoressa Vala ti ha detto di dovresti aspettare massimo un anno, ma qui dice che cambia il suo pronostico e ipotizza un massimo di quattro mesi, tenendo anche conto del fatto che in questo lasso di tempo non te ne starai tranquillo a riposo come hai fatto fino ad oggi a Zanarkand. Dai dati che mi ha fornito lei, ti dico che sono d’accordo. Torna da me dopo l’allenamento sul Gagazet e potrò dirti con più esattezza quanto dovrai aspettare. Al momento ti posso solo dire che fisicamente stai a posto e il cedimento del tuo Flusso non ti ha intaccato il corpo.»

«D’accordo, grazie.»

«E torna quando vuoi! Il tuo petto è così bello e forte, che è un piacere toccarlo!» concluse riassumendo la sua voce insopportabile.

«Vai con Sithis!» sbraitò Siirist, colpendo la testa del medico con un possente sinistro, schiantandolo contro la scrivania e, di conseguenza, distruggendola.

Si rivestì ed uscì senza dire una parola, seguito dagli amici. Inizialmente questi rimasero in silenzio, ma dopo qualche minuto Alea scoppiò a piangere e spinse l’amato contro la parete. Gilia, intuendo che fosse meglio lasciarli soli, proseguì. Siirist rimase per un po’ a fissare Alea che lo teneva schiacciato contro il muro, la testa piegata in avanti e la fronte sulla sua spalla. Il ragazzo notò il cappotto inumidirsi sempre più per le lacrime di lei.

«Ehi...»

«Stupido! – lo interruppe, l’urlo che riecheggiò nel corridoio dell’ospedale. – Cosa credi che avrei fatto se fossi morto, eh? – disse con la stessa forza, ma la voce era appena, appena rotta dai singhiozzi. – Non buttare via la tua vita in quel modo, non farlo più...» disse quasi supplichevole, perdendo la forza nelle gambe ed accasciandosi a terra.

«Alea...»

«Promettimelo!» esclamò stringendogli le ginocchia.

Siirist sorrise affettuoso e la prese per le braccia, risollevandola e abbracciandola.

«Non posso prometterti che non lotterò con tutte le mie forze per ciò che credo sia giusto, ma ti prometto che farò sempre tutto ciò che è in mio potere per tornare da te, perché io ti...» e si interruppe.

Lei lo guardò negli occhi, aspettando speranzosa di sentire quelle parole che aveva atteso per quasi due settimane, provando una forte fitta al petto ogni volta che ripensava a quel momento nel letto la mattina del primo gennaio. Ma non arrivarono. Invece la prese per mano e si incamminò verso l’uscita, spronandola a seguirlo. Ma andava bene così. Non voleva mettere fretta alle cose, le basta stare di nuovo con lui, poter vedere il suo sorriso, il suo sole.

 

Ma neanche morta che le andava bene! Ah, quel maledetto! La sviava con i suoi incantevoli e affascinanti sorrisi! Ma non si sarebbe certo fatto fregare, per Soho, non glielo avrebbe permesso! Avrebbe tirato fuori quelle tre piccole, ma allo stesso tempo gigantesche, parole. Oh sì, prima del loro ritorno al Vroengard, gliele avrebbe fatte dire e come!

«Forza, Alea, cosa stai aspettando? Althidon si arrabbierà!» la richiamò Gilia.

Non capisco perché non ti puoi trovare un compagno più appropriato.sbadigliò Eiliis.

Non ricominciare!

«Maledetto orecchie a punta, perché dobbiamo partire a questa dannata ora? È ancora buio, è inverno pieno, fa freddo e ho sonno!» grugnì Siirist mentre camminava quasi nel sonno con lo zaino in spalla.

Rorix trotterellava al suo fianco, pieno di energie dopo tre giorni di riposo e cure da parte del personale medico dell’Ordine.

«Cosa hai detto, Siirist?! Ti ho sentito! Prova a ripeterlo!»

«Ho freddo e ho sonno, sadico di un Maestro maledetto! Voi siate dannato per l’eternità! Vi infilerò la neve sotto le coperte e aghi di pino sotto le lenzuola!»

«Brutto insubordinato! Vuoi un altro assaggio del mio Fuoco freddo?!»

«Con il freddo che già fa, mi riscaldereste e basta!»

«Per l’amor di Soho, Althidon! – colpì Siirist in testa, tramortendolo. – Basta fare così!» disse Evendil.

Mise Siirist in sella a Rorix e gli legò i lacci per le gambe, per poi montare dietro al Maestro.

Fu con queste premesse che Althidon e Zelphar, seguiti dai loro allievi, partirono il 15 gennaio alle quattro di mattina, per il loro allenamento speciale sul Gagazet.

 

 

 

~

 

 

 

Ringraziamenti:

 

  1. MissyMary: infastidito? Mi hai fatto piegare per le risate! Andresti d’accordo con Siirist! XD A me il fatto che il protagonista non possa morire fa un po’ dispiacere, perché qualunque cosa possa far accadere a Siirist, nessuno penserà mai che possa morire. Infatti sto pensando ad un’altra storia in cui il protagonista possa morire senza dover interrompere la storia. Ah, ma lo troverò l’espediente! E di certo non voglio ricorrere al figlio che continua in sua vece o cose simili! Al momento ho già qualcosa in cantiere, ma non è il tipo di storia adatto ad un cambio simile di protagonista, ma ci lavorerò. Non mi piace trasmettere al lettore la tranquillità di pensare: “Ah beh, tanto è il protagonista, non può morire!”. Io adoro Byakuya e il suo modo di fare arrogante e il modo in cui guarda tutti con un’aria che esprime “io so’ io e voi non siete un cazzo!” mi fa impazzire! sto cercando di tenere Bial il più fedele possibile all’originale! discorso opposto per Ren: Renji è un po’ troppo un coglione! Sì, il Banchetto di fiamme è preso da Fairy Tail, così come un’altra abilità di Siirist che si vedrà tra poco (la prima fase è stata la pupilla leggermente allungata). Per quanto riguarda il colore degli occhi, invece, paragonarlo a Naruto è sbagliato, perché nel suo caso di tratta dell’uso del potere del Kyuubi. Per Siirist, invece, è la sua incapacità a controllare la magia involontaria che gli modifica il corpo, e gli occhi sono la prima cosa a cambiare. E poi, diciamolo, gli occhi trasformati sono sempre fichi! XD Infine, per il potere segreto di Siirist, c’è da aspettare quattro capitoli: alla fine di questo lo si vedrà emanato al massimo e in quello dopo utilizzato, assieme anche alla forma completa dell’abilità preannunciata dalle pupille allungate. Se per caso avessi letto la prima versione di questa storia, considerando che siamo al quarto anno d’addestramento, potresti intuire cosa succederà tra quattro capitoli. E già che ci sono, ti chiedo proprio se hai letto o no la prima versione.
  2. franky94: come ti ho detto rispondendoti direttamente alla recensione, non è affatto un potere demoniaco! Ti ho chiesto anche lì se hai letto o no la prima versione, ma mi pare di ricordare di sì (ma non ci giurerei). Se così fosse, dovresti sapere le implicazioni di cosa hai detto! XD

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola IL MONTE GAGAZET. Sto avendo più difficoltà a scriverlo di quanto pensassi inizialmente (lo avrei proprio saltato se lo avessi saputo!), perciò non sarà pronto per giovedì, giorno in cui avrei voluto pubblicarlo perché venerdì vado per quattro giorni a Londra, per cui non potrò pubblicarlo di domenica e dovrò aspettare per forza giovedì 10. E, considerando che il giorno dopo esce Dragon Age 2, non so quanto tempo potrò dedicare alla scrittura! XD. Va beh, sintetizzando il tutto, il prossimo capitolo sarà pubblicato giovedì 10. Ancora, commentare è gratuito, grazie! Soprattutto se potete darmi qualche idea su cosa potrebbe aver regalato Viola a Siirist! Non qualcosa di troppo importante e personale (Alea lo impalerebbe), ma comunque qualcosa che possa portare sempre con sé.

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** IL MONTE GAGAZET ***


 

 

IL MONTE GAGAZET

 

«Ehi, Siirist, che ti ha regalato Viola?»

Alea era appena uscita dalla loro stanza, così Gilia aveva approfittato della situazione per soddisfare la sua curiosità senza rischiare di scatenare l’ira funesta della fanciulla. Siirist si allungò sul proprio letto per raggiungere il cassetto dove aveva messo il pacchetto viola, lo stesso in cui era custodita la Collana del giuramento, ma per fortuna Ilyrana non se ne era accorta, e lo tirò fuori. Slegò il fiocco e tolse il coperchio della scatola, rivelando un interno imbottito che proteggeva una catenella d’argento. Il biondo la tirò fuori con la destra e la esaminò scrupolosamente, osservando tutti gli intarsi nel metallo. Vi erano anche due pietre preziose appese, entrambe di mezzo centimetro di grandezza e dalla forma romboidale. Gilia si lanciò sul letto dell’amico e si mise a quattro zampe, osservando attentamente il regalo, il viso a pochi millimetri da esso.

«Un turchese e un ametista... Beh, l’ametista è indubbiamente un riferimento a lei, per via del suo nome, ma perché il turchese? Immagino che rappresenti te, ma non capisco il perché di questa scelta: il tuo colore è il rubino, come quello del tuo drago.»

«Beh, il blu è il mio colore preferito, ma non so come potesse saperlo...»

«Non lo sapevo nemmeno io.»

«Appunto.»

«Però è vero che hai molti abiti sulle tonalità del blu. Anche alcuni rossi, chiaramente, ma questo è per via di Rorix. Forse l’ha notato da lì? Come Alea con il verde; non gliel’ho mai chiesto, ma immagino sia il suo colore preferito.»

«Sì.»

‹I tuoi occhi.› disse svogliato Rorix: possibile che quei due fossero così lenti da dover spiegare loro tutto?!

«Rorix dice che è un riferimento ai miei occhi. Come fai ad esserne così sicuro, però?»

‹Sai che il colore degli occhi è molto importante, no? Anche nella Collana del giuramento la gemma è del colore degli occhi di chi la dona. E lei ti ha voluto rappresentare con il tuo colore. Avrebbe potuto mettere uno smeraldo al posto dell’ametista per rappresentare se stessa, ma poi sarebbe stato esagerato e non credo che Alea l’avrebbe presa bene. Immagino anche Viola abbia fatto lo stesso ragionamento.›

‹Ma anche Alea ha gli occhi verdi, quindi avrei potuto dire che lo smeraldo rappresentava lei.›

‹Il regalo è di Viola, è ovvio che rappresenterebbe lei. Mettere una gemma che la rappresenta ma che non simboleggia il colore dei suoi occhi rende il tutto meno formale.›

‹In questo caso avrebbe potuto mettere un rubino per me.›

‹Vero. Ma le donne sono donne, valle a capire. E poi il blu è il tuo colore preferito; probabilmente lo sa.›

«Vorresti rendere partecipi anche noi delle tue discussioni con il tuo drago? Anzi no, Asthar dice che non gliene frega niente, però io voglio comunque saperlo.»

L’istante in cui i due sentirono l’abbassarsi della maniglia, Siirist nascose catenella e pacchetto sotto al cuscino. Alea entrò e fissò i due compagni di addestramento con aria sospettosa: quel loro finto modo di fare casuale non la ingannava, soprattutto perché Gilia era a quattro zampe sul letto di Ryfon a poca distanza da questi: decisamente non un atteggiamento normale.

«Allora? Che ti ha regalato l’oca?» disse annoiata mentre si incamminava verso il suo letto, per poi sedercisi.

 

«Mmmmhhhhh.... bbhhmmhh.... Maledetto.... mmmhhh... orecchie a punta..... mmmm.... bbhhhh..... brucio vivo...»

«Cosa sta bofonchiando quello lì?» chiese insicuro Gilia.

«Non ne ho la minima idea.» scosse la testa Alea, gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta.

«Avanti, muovetevi! Ci vogliono quattro ore per il Gagazet, non voglio fare tardi!» arrivò a richiamarli Althidon.

Corvinus e Ilyrana incrementarono la loro velocità nel preparare i bagagli, mentre Ryfon si rifiutò categoricamente, un po’ perché arrabbiato, un po’ perché mentalmente incapace a compiere azioni troppo complicate o veloci. Gilia fu il primo a finire, il secondo, incredibilmente, proprio il Cavaliere d’Inferno, che si diresse verso la porta trascinando i piedi, mentre Alea non riusciva a decidere quali vestiti portare.

«Forza, Alea, cosa stai aspettando? Althidon si arrabbierà!» la richiamò Gilia.

«Maledetto orecchie a punta, perché dobbiamo partire a questa dannata ora? È ancora buio, è inverno pieno, fa freddo e ho sonno!» grugnì Siirist mentre camminava quasi nel sonno con lo zaino in spalla.

«Cosa hai detto, Siirist?! Ti ho sentito! Prova a ripeterlo!»

«Ho freddo e ho sonno, sadico di un Maestro maledetto! Voi siate dannato per l’eternità! Vi infilerò la neve sotto le coperte e aghi di pino sotto le lenzuola!»

«Brutto insubordinato! Vuoi un altro assaggio del mio Fuoco freddo?!»

«Con il freddo che già fa, mi riscaldereste e basta!»

«Per l’amor di Soho, Althidon!»

Le parole di Evendil furono l’ultima cosa che Siirist sentì prima di venire tramortito. Quando riaprì gli occhi, si trovò in groppa al suo drago, in mezzo ad un vento gelido che sarebbe bastato a risvegliare i morti e poi ucciderli di nuovo.

‹Ben svegliato.›

«Ah! Cos’è questo?! Fa un freddo cane! Maestro, voi siate maledetto! Vi brucerò vivo un giorno! Ricordatevelo! Non rimarrà nemmeno la cenere quando avrò finito con voi!»

«Pare si sia risvegliato.» disse leggermente divertito Evendil, soprattutto nell’osservare l’altmer che si tratteneva appena.

«Già...» digrignò i denti Althidon, le mani, strette come una morsa sulla sella, che liberavano fiamme viola.

‹Non ti conviene provocarlo tanto. Questo allenamento sul Gagazet non mi pare una passeggiata, se lo fai incazzare è capace di massacrarti.› tentò di dire Rorix.

‹Lo brucio vivo, lo brucio vivo, lo brucio vivo, lo brucio vivo...› Siirist aveva perso la facoltà di sentire.

‹Va bene, ci risentiamo dopo...›

Quando sorse l’alba, i draghi erano già sopra la via Mihem ed intorno alle otto e mezzo avevano raggiunto la Piana della Bonaccia. Si trattava di una grande distesa, che finiva con uno strapiombo sul lato ovest, sotto al quale si trovava Cyrodiil. A est la pianura era contornata da una parete di roccia e a nord c’era lui, il Monte Gagazet. Siirist vi era già passato accanto quando era andato a Zanarkand, ma la vicinanza gli aveva impedito di coglierne bene la maestosità, mentre ora che si stava dirigendo verso di esso, lo poteva vedere bene, e riusciva a capire perché fosse soprannominato “gigante bianco”. Non era la montagna più alta di Tamriel, superata dai picchi dei Beor, ma si trattava certamente della più larga. Visto dall’alto, il Gagazet poteva non sembrare un unico monte, ma una catena, poiché non aveva una cima uniforme, invece era divisa in numerosi picchi, separati tra loro da profonde vallate, ma il tutto si riuniva in un’unica base dalle dimensioni incalcolabili. Siirist era a bocca aperta.

Fate attenzione a quel crepaccio tra la Piana e la montagna: è il nido degli Inferno, non vi ci dovete avvicinare.avvisò Althidon.

Siirist guardò verso il terreno e vide la grande spaccatura di cui parlava il Maestro; ora che la vedeva con i suoi occhi, la Piana della Bonaccia pareva essere completamente isolata dal resto di Spira, con Cyrodiil a ovest, pareti rocciose a sud e a ovest, il crepaccio in cui gli Inferno avevano fatto il loro nido a nord: solo due strisce di terra, a nord e a sud, la collegavano al resto del mondo, rispettivamente a Macalania e al Gagazet.

‹Dovremo andarci un giorno.› propose Siirist.

‹Io per forza, quando sarò adulto, nella stagione degli amori. Tu... non credo.›

‹Avanti, sono il tuo Cavaliere!›

Credete che ci siano degli Inferno anche ora che non siamo nella stagione degli amori?chiese leggermente preoccupata Alea.

È possibile. Dopotutto quel posto è anche il loro cimitero, un posto sacro per i draghi.

‹Interessante... Sarei curioso di vedere un drago selvatico, soprattutto un Inferno. Evendil mi ha detto che i draghi dei Cavalieri hanno i tratti più addolciti: vorrei vedere come saresti al naturale, che già hai una faccia brutta, non riesco a immaginare come possano essere i tuoi fratelli!›

‹Quando atterriamo ti prendo a morsi.› ringhiò il drago rubino.

Adesso incominciamo la nostra ascesa.istruì Althidon.

‹Non siamo nemmeno a 1000 m e già si gela... Non voglio pensare come possa essere più in alto... Brr!› rabbrividì Siirist.

‹Io sto bene.› lo prese in giro Rorix.

‹Haha, simpatico.› rispose in una smorfia che trasmetteva tutti i suoi sentimenti negativi nei confronti del suo drago.

I draghi avevano oramai raggiunto la montagna ed erano atterrati in una grande prateria, da cui poi erano proseguiti a piedi; Siirist si guardò intorno ed esultò soddisfatto, felice di vedere che erano atterrati ad un’altitudine non troppo esagerata, come aveva invece temuto. Althidon scoppiò in una fragorosa risata, accompagnato da Evendil, e questo non piacque minimamente al ragazzo.

«La roccaforte si trova a 4327 m di altitudine, ma non possiamo andarci direttamente volando perché nessuno di voi è abbastanza abile con la magia organica e dell’aria per far sì che vi adattiate istantaneamente all’aria rarefatta che c’è lassù, neppure Alea. Senza contare la tua momentanea incapacità a lanciare qualunque genere di incantesimo.»

«A che altitudine siamo adesso, Maestro?» domandò la fanciulla.

«Erano 1012 metri nel punto in cui siamo atterrati.»

«Dobbiamo farci 3315 m a piedi?!» disse incredulo e scioccato Ryfon.

«Parli come se fossimo direttamente sotto la roccaforte. Aggiungi un altro paio di chilometri e avrai, più o meno, la distanza esatta che dobbiamo percorrere.»

«Voi siete pazzo! Ci vorranno un paio di giorni solo per arrivarci!»

«E ti chiedevi il perché della sveglia di oggi?»

«A parte quello, che genere di allenamento volete farci fare? Stare in groppa ai draghi mentre camminano? Un allenamento di pazienza? Staremo qui una settimana, non abbiamo molto tempo da perdere!»

«Ti vedo pronto e eccitato, Siirist, e questo è bene. E hai ragione. Quando vi avevo detto che saremmo stati qui una settimana non avevo pensato a questo inconveniente, per questo ho deciso di aumentare il nostro periodo di permanenza qui sul Gagazet a tre settimane. Suppongo ve lo avrei dovuto dire prima! Haha!»

«Tre settimane?!» a Gilia quasi si staccò la mandibola.

«Perché tre? Non ne sarebbero bastate due? La prima per acclimatarci, la seconda per allenarci? So che una settimana può essere un po’ corta per abituarsi all’ambiente, ma voi e Evendil potete aiutarci con la magia.» osservò Siirist, qualcosa nel tono del Maestro che non lo convinceva.

«Infatti è quello che faremo. Ma per la terza settimana ho pensato a qualcosa di speciale.»

Siirist non aveva l’udito di un elfo e nemmeno la loro vista acuta, ma non ne aveva bisogno per notare il risolino quasi del tutto celato di Evendil, e quel qualcosa nel tono di Althidon che continuava a non farlo sentire tranquillo: cosa stava tramando quel folle schiavista? Si voltò verso Alea e notò che anche ella se ne era accorta e rispose al suo sguardo con un cenno della testa. I fluenti capelli dorati oscillarono per il movimento e la leggera brezza, e solo quella visione fu sufficiente per far arrossire Ryfon. L’elfa se ne avvide e Eiliis si avvicinò a Rorix, permettendo alla altmer di sporgersi e dare un delicato bacio sulla guancia dell’amato.

«Voi due, cosa state facendo...?»

L’ultima vocale pronunciata da Althidon non era nemmeno terminata e l’aria stava ancora uscendo dalla sua bocca, che i due draghi avevano messo dieci metri tra loro, e, come i Cavalieri, erano irrigiditi con gli occhi spalancati, pronti a subire l’ira dei loro Maestri. Quando videro che essa non arrivò, si tranquillizzarono e Alea salutò affettuosamente con un movimento della mano, condito da uno splendido sorriso, mentre la dragonessa bianca trotterellava in avanti. Siirist si accasciò in avanti, continuando ad ammirare la sua dolce ragione di vita, e sospirò.

‹Sei consapevole del fatto che mi fai vomitare, vero?› disse nauseata la feroce voce dell’Inferno.

‹Mi pare di avertelo sentito dire, una o due volte, ma non ricordo bene.› rispose vago il Cavaliere.

‹Ne sono felice. Il nostro soggiorno in montagna è appena triplicato, però, cosa pensi di fare per tre settimane? La ragazza è testarda, non ti lascerà in pace per tutto questo tempo.›

‹Lo so, lo so. Ma tanto non glielo dico. No, dovrà aspettare.› scosse la testa violentemente, come a scacciare un’immagine mentale che non voleva più vedere.

‹Mi divertirò a vederti dannare cercando di contenere quella pazza.›

‹Ehi! Non ti azzardare a chiamarla così!›

‹Considerando il modo in cui ti chiama Eiliis, questo è il minimo. E non stavo parlando in generale, ma devi ammettere che quando ci sei di mezzo tu, non ragiona al pieno delle sue facoltà.›

‹D’accordo, posso anche darti ragione su questo. Tre settimane... saranno lunghe.›

I tre cuccioli avevano seguito il drago viola lungo un sentiero montano in leggera salita per oltre un’ora, e Siirist aveva potuto ammirare lo splendido paesaggio che lo circondava, avvolto nella sua dolce coperta. Vide diversi animali guardarli intimiditi da lontano, appena prima di fuggire nella direzione opposta, e molti di essi erano predatori.

‹Molti animali comuni, nessun mostro. Sarà davvero un posto così pericoloso?› commentò.

‹Le creature peggiore sono in cima; sai che tra le nevi vivono molti behemoth, no?› rispose il drago rubino.

‹Sì, lo so. Ma non so com’è fatto questo fantomatico behemoth. Ne ho tanto sentito parlare, ma non ho mai visto un’immagine o qualche descrizione dettagliata della sua effettiva forza; tu ne sai niente?›

Rorix scrollò le spalle, causando un’oscillazione alla sella che fece più evidente al Cavaliere quanto fosse stanco di stargli in groppa e che l’interno coscia stava incominciando a fargli male. E anche il “molto interno coscia”. Così il giovane balzò giù e continuò a seguire la comitiva a piedi.

«Ne sei sicuro? Abbiamo ancora molta strada da percorrere.» disse Althidon.

«Quando sarò stanco non dovrò far altro che rimontargli in groppa.»

«Fai come ti pare.»

‹Peccato che abbia tutte queste cose da portare e non possa rimpicciolirmi e salirti in testa.›

‹Hai ragione, effettivamente sarebbe giusto fare a turni, ma al momento è impossibile come dici.› e accarezzò la testa del suo compagno.

 

Althidon interruppe la marcia solo alle due per pranzare, e mangiarono alcune delle provviste che si era portato dietro, per l’immensa gioia di Siirist che stava morendo di fame e si sentiva la vescica esplodere. A detta del Maestro, l’altitudine causava, tra tutti gli altri piacevoli effetti, anche un incremento del bisogno di urinare, contrastato perfettamente da lui, Evendil e Alea grazie alla magia organica, un po’ meno da Gilia e assolutamente per niente da Siirist; non che avere a disposizione l’uso della magia lo avrebbe aiutato, poiché rimaneva comunque un incapace in quella branca. Quando calò il sole intorno alle cinque, Althidon decise di fermarsi e accamparsi perché non sarebbe stato sicuro procedere con il buio, perciò i tre ragazzi presero la tenda e la montarono e tutti e cinque i bipedi, assieme ai quattro draghi, vi passarono la notte, riscaldandosi a vicenda grazie al calore corporeo.

Ricorda un po’ il nostro viaggio da Skingrad ad Anvil, non trovi?disse nostalgico il mezzo dunmer nella mente del suo diletto.

Faceva meno freddo e non ero obbligato a starti così appiccicato.

Almeno il tuo lato sinistro è più in piacevole compagnia.ridacchiò, osservando un’Alea dormiente.

Puoi dirlo forte! Ma sul suo lato sinistro c’è Gilia, e giuro che se alza le mani...!

Smetti di fare il geloso paranoico e dormi: domani avrai bisogno di tutte le tue energie.

 

Mano a mano che salivano, Siirist si sentiva sempre più in carenza di ossigeno e si ritrovava a boccheggiare. Di conseguenza la sua testa incominciava a non connettere più tanto bene e la sua vista si faceva sempre più sfocata.

‹Resisti, tra non molto ti ci abituerai.› lo rassicurò il drago.

‹Fortunato te che non hai di questi problemi.› rispose, felice di comunicare mentalmente perché parlare gli sarebbe risultato incredibilmente faticoso.

E dopo due giorni di cammino, alle undici della mattina, i draghi si arrestarono in uno spiazzo accanto ad una delle cime da cui si diramavano tre sentieri discendenti, grande abbastanza da ospitare tutta la parte centrale della Rocca, vale a dire la piazza, gli alloggi degli Anziani, degli allievi, la mensa, la Sala del Consiglio, la palestra e la biblioteca. E davanti a loro, scavata direttamente nella montagna, si trovava la roccaforte dell’Ordine. Abbandonata da oramai quasi tremila anni, era appena mantenuta in buono stato dai Cavalieri che periodicamente ci si dirigevano per i lavori di mantenimento. Ryfon strizzò gli occhi per mettere bene a fuoco.

‹I nani hanno costruito le Mura nere, credi che abbiamo fatto anche questa?› suppose.

‹Considerando quello che abbiamo studiato sull’architettura nanica, direi di sì, non mi pare proprio roba elfica.› rispose Rorix, ma nemmeno lui completamente sicuro.

Althidon ed Evendil smontarono, gli altri tre Cavalieri li imitarono e slegarono tutti i loro bagagli dalle rispettive selle ed i draghi assunsero le dimensioni di mastini. Il Maestro condusse gli altri verso la porta e si tolse il guanto della mano destra, appoggiandola su una lastra di pietra e richiamando il Flusso attorno ad essa, così da far apparire il Cerchio d’argento. La lastra reagì al tocco del Cavaliere e la porta si aprì.

«In questo modo chi non è un Cavaliere non può entrare.» spiegò.

Siirist osservò interessato, sicuro che un trucco simile gli si sarebbe in futuro rivelato utile. Oltre la porta, vi era una T tracciata da due corridoi perpendicolari tra loro, che, come spiegò il Maestro, conducevano alla mensa, andando dritti, alla palestra, a destra, agli alloggi e ai bagni, a sinistra. Presero quest’ultimo e, mentre camminavano, le fiaccole su entrambe le pareti si illuminavano al loro passaggio. Ryfon pensò che fosse Althidon che le accendeva magicamente, ma egli disse che si accendevano da sole, poiché erano state incantate in modo da infiammarsi quando vi fosse qualcuno nelle vicinanze. Il ragazzo fu impressionato da quella notizia e si voltò, notando che, effettivamente, le torce già superate erano spente. Dopo cinque minuti di cammino, raggiunsero una sala comune con poltrone e divani, e a metà della parete a destra della porta da cui erano entrati, un focolare alto tre metri e largo cinque. Dalla parte opposta vi era una scalinata che conduceva ad un pianerottolo, e sotto ad essa un arco da cui partivano delle scale discendenti.

«Salendo ci sono le camere da letto, i bagni sono di sotto. Ci sono molte sorgenti termali nelle vicinanze e le loro acque sono state condotte qui, perciò ci sono molte vasche di varia temperatura. Per tutto il resto della giornata ambientatevi e rilassatevi, mentre io vado a prendere della legna da mettere nel camino.»

Siirist non se lo fece ripetere due volte e, ancora scosso dai brividi per il freddo, si diresse subito verso le scale, ma il suo fisico debilitato crollò sotto il peso della sua borsa e cadde su un ginocchio. Evendil gli si avvicinò e gli prese il bagaglio, aiutandolo poi a rialzarsi e accompagnandolo, reggendolo da sotto il braccio.

«Non sforzarti troppo fino a che non ti sarai abituato all’aria che c’è quassù.» disse premuroso.

«Giuro che appena mi si ristabilisce il Flusso, mi metto d’impegno a studiare la magia organica.»

«Sarebbe anche ora, caprone.»

Oltrepassarono l’arco che dava sul pianerottolo, percorsero il corridoio per qualche metro e poi aprirono la prima porta che trovarono. L’elfo lasciò cadere la borsa a terra e aiutò il pupillo a disfare il bagaglio. Ma come trovarono il costume da bagno, Siirist lasciò perdere la borsa e si spogliò e lo indossò immediatamente. 

«Non perdi tempo, eh?» commentò Evendil, notando la fretta del giovane.

«Non riesco più a stare in mezzo a questo freddo!»

Sostenuto da Rorix, Siirist scese quattro rampe di scale fino a che non raggiunse la sua meta, e si ritrovò in una caverna che si illuminò il momento che vi mise piede, l’odore dello zolfo che permeava l’aria. Le varie fiaccole e candele erano situate più verso l’ingresso che verso il fondo, dove si trovavano i lavandini e le docce, mentre dalla parte opposta c’erano cinque file di venti vasche l’una, e quelle più vicine alla parete rocciosa erano quasi completamente nel buio. Il ragazzo si avvicinò alla prima fila e ne saggiò l’acqua con la mano.

‹Trenta gradi.›

‹Sei diventato bravo a percepire le temperature con il solo tocco.›

L’acqua della seconda fila era di quaranta gradi, poi di cinquanta, sessanta e settanta. Arrivato all’ultima, il giovane fu soddisfatto e ci si immerse assieme al compagno, ed entrambi si rilassarono nell’acqua fumante. 

‹E io che pensavo ci avesse fatto portare il costume perché voleva farci allenare fuori al freddo mezzi nudi!›

‹Dai, che forse è meno sadico di quanto pensassimo.› disse Rorix con una nota di speranza nella voce.

Crogiolato nell’acqua calda, Siirist stava per addormentarsi, quando fu richiamato dalla voce di Gilia.

«Dimenticato niente?!»

Il biondo alzò la testa e lo vide arrivare, anche lui in costume, con due asciugamani.

«Giusto, grazie.»

«Con tutto questo zolfo nell’aria, quelle fiamme non saranno pericolose?»

«Si sono accese da sole, come lungo il corridoio. Immagino che siano protette da qualche incantesimo, non credo che chi ha costruito questa roccaforte la farebbe esplodere per un motivo così stupido.»

«E anche tu hai ragione. L’importante allora è non creare noi delle scintille.»

«Dimentichi che sono senza magia?»

«Scusa, non volevo infierire.»

Il moro aveva raggiunto la vasca dell’amico e ci si buttò dentro, strabuzzando gli occhi e subito saltando fuori.

«Ma sei pazzo! Quanto è calda quell’acqua?! Mi stavo lessando dopo nemmeno un secondo!»

«Stupido tu che non hai controllato prima la temperatura. Io sto bene.»

«Che sei, un animale a sangue freddo?!»

Ryfon fissò il suo sguardo sull’amico, immergendo la testa fino al naso, pensieroso. Quello che aveva provato nel dare fuoco allo spettro era stato strano. Non solo per il tipo di fuoco generato, che non era riuscito a replicare, ma piuttosto aveva sentito in sé qualcosa di diverso, come se la sua ragione, per un istante, non fosse stata più. Aveva invece sentito ciò che provava le volte che entrava nella mente di Rorix in meditazione, aveva provato lo stesso tipo di emozioni del drago, nella fattispecie una furia animalesca.

«Raijin, quanto è calda!»

Siirist esplose in una fragorosa risata, interrotta da vari colpi di tosse, nel vedere l’altro tirare fuori di scatto la gamba dalla vasca della sesta fila, e si calmò solo quando lo vide entrare soddisfatto nell’acqua a cinquanta gradi. Asthar, invece, preferiva quella a settanta, e andò ad immergersi nella vasca accanto a quella di Siirist e Rorix.

‹Effettivamente voi siete dei rettili, quindi a sangue freddo, per cui mi spieghi come fate a stare tanto bene in questo gelo?›

‹Perché dentro di noi abbiamo il fuoco che ci riscalda. E più è forte, più non sentiamo il freddo. Eiliis, infatti, sta iniziando a soffrire un po’, anche se non lo dà a vedere.›

«Due giorni senza lavarci... Mi sorprende che gli elfi non siano venuti qui come prima cosa: non è da loro restare sporchi per troppo tempo.» commentò Gilia.

«Come fai a respirare così bene?»

«Non è la prima volta che vengo sul Gagazet: come figlio del conte di Cheydinhal, ho accompagnato una volta mio padre in una sua visita al conte di Bruma. E mi sto anche aiutando con la magia organica. Tu invece, prima di venire a Vroengard, non hai mai lasciato Skingrad e dintorni, vero?»

«Sono stato una volta a Imperia, ma resta sempre una città al livello del mare.»

«Appena concludiamo l’addestramento, dovremmo andare a farci un giro per tutta Tamriel.»

«Mi piace l’idea, ma ci arruoleranno subito nelle brigate.»

«Basterà chiederlo gentilmente ai nostri capitani e ci concederanno qualche mese di ferie tra l’addestramento e l’inizio del servizio, dai!»

«Forse Shurus ti concederebbe le ferie, ma dubito che Bial mi permetterebbe mai di prendermi un periodo di riposo senza aver nemmeno incominciato.»

«Eh... Forse hai ragione...» sospirò Corvinus, affondando nell’acqua.

Siirist appoggiò le braccia conserte sul bordo della vasca e ci mise sopra il lato sinistro del viso, gli occhi chiusi. Ma i passi leggeri che provenivano dalle scale gli fecero drizzare le orecchie e alzò subito la testa, beandosi nella splendida immagine di Alea in costume. Ma questa volta non aveva indossato un costume umano, bensì uno elfico, bianco e verde chiaro, di cotone. Restava comunque un due pezzi e questo causò una violenta reazione nelle parti basse di Ryfon.

‹Io scommetto una cena da re a base di carne vera che non resisti tre settimane.› sfidò Rorix.

‹Bastardo. Se perdi, invece?›

‹Non lo so, decidi tu.›

‹Vediamo... Dovrai seguire attentamente tutto ciò che io e Alea faremo senza fare commenti.›

‹Non puoi chiedermi questo.› rispose terrorizzato.

‹Paura di perdere?›

‹Ma neanche per sogno! Ti conosco troppo bene, sei un pervertito che non riesce a resistere ai suoi istinti, vincerò al 100%!›

Di nuovo ritornò al ragazzo l’immagine dello spettro che lo guardava terrorizzato mentre lui gli stritolava la gamba e lo incendiava, ardendolo vivo con potenti fiamme rosso scuro. Ricordò le sensazioni che aveva provato nel guardarlo incenerirsi. Ma non riusciva proprio a ricordare cosa avesse pensato, come se la sua mente si fosse spenta. Rorix lo guardò tra il preoccupato e l’incuriosito, domandandogli cosa gli fosse preso tutto d’un tratto. Il Cavaliere scosse la testa.

‹Allora accetta.›

‹Benissimo, ci sto!›

Per fortuna per Siirist, però, la fanciulla scelse l’acqua a trenta gradi.

‹Per ora sei salvo.› mugugnò il drago.

Si mise su dorso e usando le zampe posteriori e la coda si allontanò dal biondo, facendo finta di non essersi accorto di niente, ma in realtà tenendolo d’occhio, chiedendosi cosa stesse succedendo all’interno della sua torre mentale.

Gilia fu il primo ad uscire dopo mezz’ora, seguito dieci minuti dopo da Alea. Siirist, invece, addormentatosi mentre usava le braccia come cuscino, raggiunse il resto del gruppo assieme a Rorix nella sala comune alle una meno un quarto.

«Sai che può essere pericoloso stare troppo tempo in acqua così calda?» lo ammonì Evendil.

«Ma stavo così bene che mi sono addormentato.» ridacchiò.

«Ce ne siamo accorti. Ma tanto stavo tutto il tempo a monitorare il tuo corpo, al minimo accenno di malore, sarei venuto a tirarti fuori.» disse Althidon.

«Sì, è sorprendente come tu sia riuscito a stare così bene in dell’acqua così calda.» disse stupita Alea.

«Infatti gli ho chiesto se è diventato a sangue freddo!» commentò scherzoso Gilia.

Ma il Maestro, il mezzo dunmer e l’Inferno non presero le parole del moro tanto alla leggera e lanciarono un’occhiata furtiva all’interessato, scrutandolo scrupolosamente. Gli occhi attenti del ladro, però, se ne accorsero, e un po’ allarmato, chiese cosa stessero pensando.

«Hai coraggio a domandarcelo dopo aver cercato di penetrarci la mente.» rispose l’altmer.

«Ritenta tra mille anni, pivello.» aggiunse il mezzo bosmer.

«È perché tanto so che non mi rispondereste mai chiaramente.»

«Questo perché non è ancora il momento per te di sapere certe cose.» rispose con aria saggia Althidon.

‹Montato.›

«Dillo ancora e ti riduco ad una statua di ghiaccio viola.»

«Quindi voi potete penetrarmi la mente e io no?»

«Non è questione di avere il permesso, è questione di esserne capaci. Quando ne sarai in grado, mi viene da ridere al solo pensiero, lo potrai fare anche tu.» lo derise Evendil.

«Sai che sei un bastardo, vero?»

«Faccio quello che posso.»

 

Dopo un giorno passato unicamente ad abituarsi all’ambiente, durante il quale Althidon aveva istruito i suoi allievi di lasciare lentamente andare la magia organica, tutti andarono a letto. Siirist, con accanto il suo drago, lo accarezzava mentre fissava il soffitto.

‹Sicuro di non sapere niente a proposito di una capacità particolare del Cavaliere d’Inferno?›

Nessuna risposta.

‹Perché credo che il mio “sangue freddo” dipenda dall’essere il tuo Cavaliere, non ha a che fare con me personalmente, e, insomma, tu sei un Inferno, dovresti pur sapere...›

‹Basta! È come minimo la centesima volta che me lo chiedi! No, no e poi no! Non ne so niente! Anche io ho notato un qualcosa di strano in te ogni volta che riguardo il momento in cui hai dato fuoco a quello spettro, però non riesco a capire cosa fosse. So solo dirti che sembravi più come me. Anzi, più come un drago marino o terrestre; noi alati siamo caratterizzati dalla ragione, lì invece sembravi averla persa. Ma non so niente a proposito di capacità uniche dei Cavalieri d’Inferno rispetto agli altri Cavalieri. Ora possiamo smetterla? Sto cercando di godermi queste carezze, non voglio sentire continuamente la tua voce martellarmi la mente!›

‹Egoista.›

‹Dopotutto la mia impronta caratteriale è la tua.›

‹Stronzo.›

‹Ribadisco il concetto.›

Passata un’oretta, entrambi si addormentarono, e si svegliarono alle sette di mattina del giorno dopo. Siirist si sentiva come se fosse scampato a un terribile pericolo, in quanto aveva temuto di essere raggiunto da Alea durante la notte, ma per fortuna non era accaduto. Quando la vide a colazione, la salutò con un sorriso ed un cenno della mano e lei corse subito verso di lui ad abbracciarlo.

‹Posso già assaporare il mio banchetto di carne.›

‹Taci.›

Alea rimase scioccata quando il suo bacio fu rifiutato e lei spinta via, ma il ragazzo si giustificò usando la mancanza di ossigeno come scusa, affermando di non sentirsi in grado di baciare per bene.

«Sì, immaginavo... Beh, vedi di abituarti in fretta, perché non ho più molta voglia di aspettare...» sorrise maliziosa, il tono basso e provocante.

Siirist chiuse gli occhi e si sforzò con tutta la sua forza di volontà per cercare di imporre al suo pene di rimanere rilassato, ma, come sempre, la cosa risultò essere inutile.

‹Senza magia, una cosa simile è impossibile.› lo derise il drago.

‹Subito la magia organica, sarà la prima cosa che comincerò a studiare.›

‹Non esiste che resisti tre settimane. Haha!›

‹Quanto ti odio.›

Finito di mangiare, Althidon condusse gli allievi alla palestra per fare degli esercizi di respirazioni adeguati che li avrebbero aiutati ad abituarsi più in fretta a quell’aria rarefatta, e così per una settimana. Ma Siirist non si era accontentato solo di quello, bensì era stato tutte le notti, a parte la prima, ad allenarsi tre ore in più, immobile, seduto a gambe incrociate a meditare, le braccia appoggiate alle cosce, le mani vicine, gli occhi chiusi. Oramai gli spiriti delle roccia di cui era costituita la roccaforte rispondevano ad ogni sua chiamata, così come gli spiriti delle sorgenti termali che, anche se a qualche piano di distanza, gli rispondevano prontamente. L’ultima sera della prima settimana, il ragazzo era persino uscito dalla roccaforte e si era seduto in mezzo alla neve, l’aria attorno a lui nemmeno troppo gelida, grazie agli spiriti che l’avevano resa leggermente più sopportabile per lui.

Quando furono le sei, Evendil pure uscì e rimase colpito nel trovarci Siirist con addosso soltanto i calzoni che si allenava nelle sue tecniche di combattimento corpo a corpo, e lo rimase ad osservare fiero. Il corpo del giovane, già allenato e ben definito quando lo aveva conosciuto, era cresciuto bene in quegli ultimi anni e ora lo vedeva ben temprato, massiccio ma comunque slanciato, i muscoli perfetti nella loro struttura, delineati perfettamente. Non per niente Althidon aveva allenato tutti e tre gli allievi in modo da tirare fuori il meglio dai loro muscoli, e renderli sia resistenti che esplosivi. Non voleva pensare a come sarebbe stata Alea se non avesse utilizzato la magia organica per impedire alla sua massa muscolare di crescere. Sorridendo divertito all’idea, il mezzo dunmer cambiò immediatamente espressione quando vide Ryfon portare in avanti entrambe le mani e generare una piccola lingua di fuoco, poi un’altra che seguì il movimento del suo calcio rotante sinistro. Stava per lanciarsi su di lui furioso, pronto a punirlo per aver usato la magia, quando si accorse che non percepiva nessuno sconvolgimento nel Flusso attorno a lui e che quelle fiamme erano generate da spiriti del fuoco. Impressionato, continuò ad osservare il pupillo mentre compiva un mulinello, le gambe che formavano un angolo di settanta gradi, lingue di fuoco che seguivano i piedi, la neve sciolta attorno a lui. Quando infine si mise in verticale, iniziò a fare dei piegamenti, il corpo perfettamente allineato se non per la testa in avanti, il viso che sfiorava la roccia ogni volta che si abbassava. Dopo cento piegamenti, Ryfon portò il braccio destro dietro alla schiena, dopo altri cento cambiò mano d’appoggio e dopo altri cento ancora, fece un’ultima serie da cento con entrambe le mani. Quando la ebbe terminata, portò a terra i piedi e subito si caricò sulle gambe e arcuò la schiena all’indietro, lanciandosi in un flic, al quale fece seguire un salto dietro raggruppato; entrambi i movimenti accompagnati da fiamme. Atterrato, si girò di centottanta gradi e sollevò la neve, trasformandola poi in ghiaccio. Poi, improvvisamente, mosse il braccio sinistro in direzione di Evendil, e dall’onda di ghiaccio appena formata si separarono cinque dardi appuntiti che andarono a piantarsi nella roccia a pochi millimetri dal corpo dell’elfo, due all’altezza delle spalle, due dei gomiti e uno sopra la testa. Siirist lo guardò e sorrise.

«Da quanto sei lì?»

«Una ventina di minuti.»

«Vergognoso, me ne sono accorto solo ora durante il flic, quando ti ho visto.»

«Non mi stupisce, eri molto concentrato. Mi sorprende vederti così bravo con la stregoneria: che novità è questa?»

«Mi sentivo perso senza fuoco, perciò mi sono allenato ad evocare gli spiriti del fuoco da quando sono tornato a Vroengard. E da quando siamo qui, ogni notte sono stato a meditare e conversare con gli spiriti qui intorno, perciò farli obbedire al mio volere, come ho fatto con la neve, è stato poco più di chiedere loro un favore.»

«Forse perdere la magia è stata la cosa migliore che ti potesse capitare.»

«Lo dici come se fosse una cosa permanente.» si preoccupò il ragazzo.

«Mi auguro solo che non lascerai perdere la stregoneria quando potrai finalmente usare la magia di nuovo.»

«Chiaro che no. Ah, e fammi un favore, non dire ad Althidon di questi miei allenamenti.»

«Come vuoi.»

«E già che ci sei, potresti dirmi di quella cosa dell’altro giorno...»

«No.» lo interruppe.

«Immaginavo.»

 

 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

 

E finalmente ce l’ho fatta! Chiedo immensamente scusa per questo ritardo imperdonabile di un mese, non so proprio come giustificarmi. Il problema è che non sono mai stato in posti così elevati, perciò inizialmente ho scritto il capitolo e l’avevo quasi finito (due settimane fa), ma poi ho ripensato al fatto che l’aria ad altitudini simili è piuttosto rarefatta, perciò ho dovuto riscrivere tutto. E ci ho messo un po’ per farlo. Ho letto un po’ di cose su internet e fatto qualche ricerca, ma chiaramente niente è meglio dell’esperienza personale. Spero sia più o meno buona come rappresentazione. E, ovviamente, nel riscrivere il capitolo, l’ho reso più lungo, quindi l’avventura sul Gagazet è stata ora divisa in due capitoli e quello che sarebbe stato l’allenamento che avevo previsto inizialmente, sarà quello della terza settimana, presente nel prossimo capitolo.

 

Ringraziamenti:

  1. MissyMary: no, no, te l’ho detto: non è in questa storia che farò crepare il protagonista. È troppo centrale, la storia senza di lui non avrebbe molto senso. Però ideerò una tipologia di racconto in cui il protagonista possa anche morire. Se trovi che Alea “scassi”, aspetta il prossimo capitolo! Non la sopporterai più! E non so dirti come troverai quello ancora successivo, se bello o da diabete! XD Il tuo modo di parlare ad Alea è stato veramente divertenti, comunque, sono stato a ridere per almeno una ventina di secondi! Poi ora non ricordo esattamente, ho letto la recensione appena l’hai scritta e, insomma, è passato del tempo da allora (... ups...). La versione “Dragon-Slayer” ci sarà, più o meno, ma sarà un po’ un misto tra il Dragon Force, la modalità eremitica di Naruto e la forma Kyuubi, soprattutto la prima volta che la si vedrà! Non sarà felice in quel frangente, no, affatto. Keira è sempre un personaggio importante per Siirist, e chi meglio di lei per rimetterlo in riga quando fa una delle sue solite cose azzardate? Avevo preannunciato che sarebbe ricomparsa, e eccola qui. La si rivedrà tra due capitoli e poi ancora nell’epilogo, quindi tra mooooooolto tempo. Sai la cosa divertente? L’immagine di Siirist che strappa le dita a quelli del Consiglio è effettivamente una cosa presente nella prima versione, anche se non era con gli Anziani, ma con il padre di Alea. In questa versione, il loro primo incontro è stato, tutto sommato, più pacifico! Ti conviene imparare il nome di Otius, perché non ha un ruolo poi tanto marginale nella storia! Chiaramente è secondario, ma non è una semplice comparsa.
  2. franky 94: purtroppo niente Ronso, almeno per il momento. Tornassi indietro, toglierei anche gli orchi, che sono inutili, ma ormai è fatta. Vedrai come sopravvive al Gagazet nel prossimo capitolo, e vedrai fino a che punto arriva il sadismo di Althidon! Lo so, fa molta pena anche a me Viola, ma ha una funzione molto importante per il futuro e la catenella che ha regalato a Siirist avrà un posto d’onore. E grazie per i consigli, comunque, ma come vedi, ho risolto per il regalo.
  3. Nestmind: evviva! Nuovo lettore e, soprattutto, recensore! Ok, questo è stato il mio primo pensiero quando ho letto la tua recensione; il secondo è stato: “Cazzo”. E ti spiego subito il perché: avendo letto tutto di fila, hai avuto modo di individuare perfettamente tutte le discordanze che ci sono, nate dalla mia memoria che aveva rimosso certe informazioni, come Siirist che dice ad Evendil che chiamerà il suo drago “Rorix” come il primo Inferno dell’Ordine, o Siirist che dice a Gilia che ha difficoltà a farlo con più di quattro ragazze alla volta, quando al bordello ad Anvil è stato con dodici. Anche se quella può essere giustificata dicendo che non se le doveva gestire tutte lui, ma che facevano a turni e che facevano anche tra di loro. Per il nome di Rorix, la cosa corretta è come avviene nel capitolo a lui dedicato, quindi del discorso ad Anvil è inutile. Non l’ho eliminato solo perché non ho voglia di riscrivere quella scena. A parte il fatto che hai visto i lati di me autore più patetici, sono felicissimo di averti! Quando ho visto una nuova recensione, il cuore mi è saltato in gola e mi sono fiondato a leggere! E, nota ancor più gradita, è un commento meraviglioso! Non so veramente cosa dirti se non grazie e scusa per questa attesa.

 

Il prossimo capitolo si intitola IL RE DELLE NEVI (titolo forse provvisorio, sono ancora indeciso se chiamarlo IL RE DELLA MONTAGNA o IL SIGNORE DELLE NEVI. Fatemi sapere quale vi suona meglio), in cui Althidon sottopone i suoi allievi ad un allenamento che potrebbe condurli alla morte in svariati modi, soprattutto quando andranno, per via di una promessa di Siirist ad un branco di lupi, ad affrontare un behemoth.
Non ho precisato una data perché voglio evitare di fare come per questo capitolo, cioè darne una e poi non rispettarla. Pubblicherò il prima possibile, comunque. E grazie a tutti quelli che continuano a seguirmi nonostante la mia mancanza di puntualità (soprattutto a coloro che recensiscono).

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** IL SIGNORE DELLA MONTAGNA ***


IL SIGNORE DELLA MONTAGNA

 

Il timore iniziale di Siirist era stato corretto: Althidon aveva fatto portare il costume da bagno ai suoi allievi non solo per fare il bagno nelle terme, ma soprattutto perché intendeva farli allenare al gelo. Ed il clima era così rigido che l’area davanti alla porta della roccaforte, che era stata completamente ripulita dalla neve durante gli allenamenti notturni di Siirist, quando aveva controllato gli spiriti dell’aria e l’aveva resa più sopportabile e aveva evocato quelli del fuoco, era di nuovo candida in nemmeno due ore, come se non fosse successo niente. I tre Cavalieri in addestramento erano in piedi allineati, tremanti fino alle ossa, l’uso della magia completamente negato, con Althidon che li ispezionava.

«Molto bene, ora renderò l’aria di questa zona un pochino più tollerabile, diciamo -5°; dovrebbe andare bene, no?»

«Sempre meglio che ora. Non mi sento più le estremità.» disse appena Siirist.

«Credo di stare per morire assiderato... Devo tenere gli occhi aperti...» batté i denti Gilia.

Alea rimase in silenzio, lottando con tutta se stessa per cercare di mantenere il suo atteggiamento dignitoso, ma il vento polare che le tagliava i polmoni ad ogni respiro e che le aveva fatto diventare la pelle viola era troppo forte.

‹Uh, guarda lì, le si vedono i capezzoli!› indicò Rorix.

Siirist rispose calciandolo e facendolo finire in un mucchio di neve.

«Spiriti dell’acqua, fatevi prigione di ghiaccio.» mormorò.

La neve cambiò aspetto e divenne un blocco di ghiaccio perfettamente trasparente, al cui interno si trovava un Rorix furente che fissava il suo Cavaliere con sguardo d’odio. Ruggendo, assunse le sue dimensioni reali e mandò in frantumi la sua gabbia, per poi girarsi e colpire Siirist sui lombi con la coda, scagliandolo contro una parete di roccia. Il ragazzo si rialzò indispettito.

«Spiriti dell’aria, formate una tempesta di frecce di ghiaccio!»

Come ordinato, gli spiriti presero la forma di una miriade di dardi glaciali che piovvero sull’Inferno, ma furono completamente neutralizzati dal suo respiro.

«Per Soho, la sua stregoneria è diventata incredibile! Non avevo la minima idea fosse diventato così bravo!» disse Althidon esterrefatto, troppo colpito per riportare ordine.

Il drago rubino, senza interrompere la sua fiammata, abbassò il collo e la rivolse contro il Cavaliere, conscio del fatto che questi non fosse abbastanza bravo da evocare spiriti del fuoco sufficientemente forti da proteggerlo dal suo respiro.

«Spiriti dell’aria, sostenetemi!»

Ma quella richiesta agli spiriti fu fatta con una leggera incertezza nella voce e nella mente, poiché il ragazzo si era allarmato nel vedergli arrivare contro la brillante fiamma del suo drago, e questo fece reagire gli spiriti in modo fiacco. Era una fortuna che Ryfon ci avesse conservato così a lungo e che essi non fossero spiriti di alto livello, perché se anche una di quelle condizioni non fosse stata rispettata, egli sarebbe molto probabilmente stato posseduto istantaneamente. Cadde quindi a terra dopo essersi sollevato di soli tre metri, in tempo però per saltare di lato ed evitare la fiammata. Ritrovata la sua decisione, scattò in avanti e balzò contro il drago, colpendolo con un possente gancio sinistro sul muso e storcendogli il collo. Ma non c’era paragone tra la forza fisica di Rorix nella sua forma reale e quella del biondo, così, sfruttando il movimento rotatorio indotto dal colpo del ragazzo, l’Inferno alzò la zampa anteriore destra e colpì con il palmo, investendo l’intero corpo del giovane e spedendolo in un secondo contro un lato della montagna trenta metri più in là.

«Un normale essere umano sarebbe ridotto in poltiglia.» osservò Gilia.

«Credete di poterla finire qui?» chiese Althidon, la pazienza che incominciava a svanire.

‹Un aiutino, per favore...?› chiese Siirist, impossibilitato a muoversi.

‹Haha, ho vinto io!› esultò Rorix.

 

Siirist passò i successivi due giorni a riposo dopo essere stato guarito da Alea, Evendil e Althidon. Questi lo aveva minacciato che se avesse combinato nuovamente un disastro simile, lo avrebbe punito severamente, e Rorix riferì di aver ricevuto la stessa ramanzina da Zelphar. Ma per tutto il resto della seconda settimana, entrambi si erano comportati esemplarmente, ed avevano persino ricevuto i complimenti dei loro Maestri. La loro coordinazione in volo era diventata ottima, come lo erano gli incantesimi combinati, in cui Ryfon usava la stregoneria, cosa che gli fece ottenere un’ulteriore nota di merito da parte di Althidon. La promessa che il ragazzo aveva fatto al Maestro, ma prima di tutti a se stesso, era stata mantenuta, e stava mettendo tutto il suo impegno negli allenamenti: mai più si sarebbe voluto ritrovare in una situazione di incapacità, di inutilità come a Zanarkand, e la prossima volta che avesse incontrato gli Scorpioni, li avrebbe ridotti in cenere. Seduto su una sedia nella sua stanza, Siirist serrò il pugno sinistro, il solo pensiero di quei maledetti che faceva ribollire il suo sangue, che faceva salire la sua collera. Dalla gola uscì per un istante uno strano suono che pareva un ringhio, al quale Rorix alzò subito la testa e fissò il ragazzo sbigottito. Ma la sua attenzione fu attratta dalle piccole, ma comunque intense, fiamme rosso scuro che scaturivano direttamente dalla sua pelle e circondavano la mano mancina del giovane.

‹No, calmati!›

Troppo tardi: la magia involontaria, tenuta sotto controllo fino a quel momento, era finalmente esplosa al pensiero della Setta dello Scorpione e della sua debolezza, e Ryfon non era più stato in grado di controllarla. Dopo un giramento di testa, il ragazzo crollò a terra. Il drago si allarmò e fece per andare a chiamare aiuto, ma fu fermato dal Cavaliere che gli afferrò la caviglia con la destra.

‹Sto bene, ho avuto solo un mancamento.›

‹Stai bene un corno! Sai che è pericoloso per te usare la magia, devi controllarti!›

‹Lo so.› rispose debolmente.

Stava per perdere nuovamente i sensi quando il dolore lancinante alla mano sinistra lo costrinse a rimanere lucido; sforzandosi e lottando con tutto se stesso contro il dolore che provava all’intero braccio, portò la mano sotto agli occhi e vide con orrore che la pelle era stata completamente consumata dalle fiamme e che la carne viva era stata esposta e gravemente ustionata, e sanguinava abbondantemente. Il ragazzo resistette con difficoltà all’impulso di stringerla, sapendo che, facendolo, si sarebbe procurato ancora più dolore.

‹Bruciato dalle tue stesse fiamme?! Questo è impossibile, la magia non danneggia chi la crea! Vado a chiamare Althidon e Evendil.›

‹No, fermo lì, non c’è niente di cui preoccuparsi.›

‹Cosa?! Non essere ridicolo! Io vado!›

‹Ti ho detto di non muoverti!› alzò la voce alterato.

Rorix si fermò sui suoi passi e si voltò per guardare in faccia il suo Cavaliere mentre si teneva il polso, l’intero braccio sinistro scosso, gocce di sudore che gli rigavano la fronte e la voce tremolante: era chiaro che stesse soffrendo molto.

‹È semplice, il mio Flusso è incasinato e le mie fiamme sono andate fuori controllo, punto. Solo perché sono una testa calda, non c’è motivo di allarmare gli altri. Adesso vammi a prendere delle garze, la devo fasciare.›

‹Come vuoi.› disse dopo qualche secondo di esitazione.

 

Dopo aver immerso la mano in acqua gelida per mezz’ora e averne perso la sensibilità, Siirist la fasciò accuratamente e poi la ricoprì con un guanto, ma per evitare il più possibile domande, la nascose pure sotto la tunica quando andò a bussare alla stanza di Althidon. Questi aprì sorpreso, non aspettandosi di trovare il ragazzo a quell’ora.

«Dovresti essere a letto, domani inizia la terza settimana e ti posso assicurare che non sarà una passeggiata.»

«Ne sono certo, ma ho un favore da chiedervi.»

«Sentiamo.»

«Sapete come quanto è stato duro questo inizio anno, no, tra le missioni, questo intensissimo e pesantissimo allenamento...» disse con tono vago.

«Arriva al punto.» già stava perdendo la pazienza.

«Volevo chiedervi due giorni di riposo completo dopo che avremo finito qui.»

«Solo questo? Due giorni?» domandò sorpreso.

«Sì.»

«Siirist, era mia intenzione lasciarvi liberi una settimana al nostro ritorno a Vroengard. Se superate la settimana, credimi, ne avrete bisogno.»

«Sì, e questo è bene, ma la mia richiesta è un po’ più grande dell’avere una settimana di riposo a Vroengard.»

Althidon alzò un sopracciglio e dopo che Siirist ebbe spiegato tutto, si mise a ridere. Ryfon la prese come un “no” chiaro e tondo, ma il Maestro scosse la testa, dicendo che invece gli pareva una buona idea, ma che si doveva meritare il premio che stava chiedendo, e per farlo, doveva superare egregiamente la settimana che sarebbe venuta. Carico e pronto, Siirist annuì e tornò alla sua stanza, dove trovò una piacevole (spiacevole?) sorpresa.

«Ti stavo aspettando.» disse Alea con tono dolce.

Era stesa sul letto, la veste allacciata appena che lasciava scoperta tutta la gambe destra, la stoffa al limite del pube. E quel nodo all’altezza della spalla, così poco stretto che sarebbe bastato sfiorarlo per scioglierlo e denudarla completamente. Il ragazzo deglutì, lottando con tutto se stesso per restare calmo.

‹E pensare che Althidon ti ha pure detto di sì... Peccato che il momento magico venga rovinato. Già riesco ad assaporare il mio banchetto.› si leccò le labbra che non aveva Rorix.

‹Deraia, perché mi stai facendo questo?› deglutì disperato Ryfon.

Senza che potesse nemmeno reagire, una folata di vento lo spinse sul letto, esattamente sopra alla fanciulla che incominciò a baciarlo delicatamente, poi con sempre più passione. Tutta la forza di volontà del ragazzo era inutile ed il suo corpo prese a reagire automaticamente al contatto con l’elfa: la bocca si aprì, la lingua incominciò a rispondere alle carezza di quella di Alea. Aveva aspettato, desiderato quel momento da così tanto; Rorix aveva ragione, non riusciva più a resistere.  Ilyrana si portò sopra di lui e cominciò a mordergli selvaggiamente il collo, eliminando definitivamente ogni voglia di Ryfon di resistere. Solo quando portò le mani a toccare il corpo perfetto di lei, la fitta che provò alla sinistra lo fece riprendere e la spinse via.

«Che succede...?» chiese lei preoccupata.

«Ehm... niente, niente! Solo che siamo qui per allenarci!» e corse via.

 

Alea rimase come un’imbecille seduta sul suo letto, incapace di realizzare cosa fosse successo. Da quando Siirist era tornato da Zanarkand, non avevano mai fatto l’amore; nell’ultima settimana addirittura la evitava e si erano sfiorati sì e no tre volte. Non riusciva proprio a capire il perché. Un’idea la colpì improvvisamente, e le fece male quanto una spada che le trafiggeva il cuore. Nel suo mondo interiore, ella stava impassibile seduta su una roccia accanto al laghetto, esattamente di fronte al ritratto del suo amato.

Perché...?

Siirist non è il tipo di persona a cui piace perdere. Non dico che si stia pentendo di aver salvato il bambino anziché la Lama, ma credo sia arrabbiato con se stesso per non essere riuscito a salvare entrambi!apparve il falso Ryfon, che si accovacciò e le fissò il viso, in faccia stampato il suo solito sorriso beffardo.

Alea lo guardò con la coda dell’occhio. Odiava quel sorriso. A differenza di quello del vero Siirist, quel sorriso non trasmetteva un’aria arrogante ma al contempo divertita; no, quel sorriso, all’apparenza identico, trasmetteva un’aria di folle e sadica gioia.

A cosa vorresti arrivare?

Forse Siirist ha capito quanto è effettivamente debole, e ha capito anche qual è la causa...

Nel buio della camera da letto, Alea si strinse il petto, incapace di sopportare ulteriormente la tremenda fitta, mentre pesanti e silenziose lacrime incominciarono a rigarle il viso, senza che ella potesse fare niente per fermarle.

 

‹Non la prenderà bene, ne sei consapevole, vero? Però devo complimentarmi con te per la tua forza di volontà: ammetto che non me lo aspettavo.› disse impressionato Rorix.

‹Taci.›

Ma piuttosto che ad Alea, Siirist pensava alla sua mano, che pulsava per il dolore. Strinse i denti e represse un lamento sofferente, il respiro pesante.

‹Dovresti proprio fartici dare un’occhiata.›

‹No, perché mi chiederebbero come è successo e poi mi prenderei un cazziatone per una cosa che so già.›

‹Ma non puoi portarti dietro una ferita simile.›

‹Sai che la mia rigenerazione è molto veloce: tempo una decina di giorni e sarà come nuova.›

‹Tralasciando l’allenamento, che, a quanto ho capito, entrerà proprio da domattina nella fase più dura, cosa intendi fare con la mano in quelle condizioni quando finalmente lo dici ad Alea?›

‹Non lo so, ci penserò quando verrà il momento.›

Uscì dalla roccaforte e si sedette in mezzo alla neve. Si tolse il guanto e la fasciatura e immerse la mano nella coltre candida, provando un immediato sollievo, ma al contempo gli bruciava di più.

‹Ora almeno so cosa si prova ad essere bruciato dalle mie fiamme.› disse stentatamente con tono ironico.

‹Ti sei accorto, sì, che quello non era fuoco normale, vero? Hai visto il colore?›

‹No, però hai ragione, l’ho sentito molto più intenso del solito, come quando ho bruciato lo spettro.›

‹Siirist, era dello stesso colore del mio fuoco, quello era fuoco d’Inferno.›

Il ragazzo fissò lo sguardo negli occhi del drago.

‹Dici sul serio?› la bocca impossibile da tenere chiusa.

‹Come fai a non essertene accorto?›

‹Beh, il colore nella magia c’entra poco, uno può scegliere di dare qualunque colore ai suoi incantesimi.›

‹È vero, ma tu non hai mai modificato il colore naturale delle tue fiamme: il fuoco comune è arancione con riverberi gialli, il fuoco di drago è arancione scuro con riverberi giallo scuro, e le fiamme che hai generato prima erano rosso scuro con riverberi arancioni, esattamente come quelle del mio respiro. E mi spieghi cos’era quel ringhio?›

‹Quale ringhio?›

Rorix sospirò.

‹Lascia perdere.› scosse la testa.

‹Dai, dimmi, quale ringhio?› insistette.

«Eccovi qui. Che sta succedendo?»

Entrambi alzarono la testa e videro Evendil uscire dalla porta.

«Sono passato in camera tua perché dovevo dirti una cosa, e l’ho trovata deserta. Vuoi ammalarti a stare in questo freddo?»

«In questo momento ne ho bisogno.»

«Che hai fatto alla mano?»

«Niente.»

«Fa’ vedere.»

«Non è niente, ti ho detto!»

«Non era una richiesta.»

Il corpo di Siirist smise di funzionare seguendo le indicazioni del suo cervello e la mano uscì dal mucchio di neve e si mise in mostra per l’elfo.

‹Magia organica di nuovo... Sto iniziando a odiarla...›

‹Se la sapessi usare anche tu, non saresti così semplice da controllare. Senza contare la tua inefficace barriera mentale.›

E con qualche secondo di ritardo rispetto a quello che si era aspettato, arrivò la reazione di Evendil: una martellata in testa data con un martello da guerra di ghiaccio di proporzioni esagerate creato con magia di vento. Ryfon fu sbalzato alla sua destra di qualche metro e affondò nella neve, il lato sinistro del suo cranio che molto probabilmente riportava una frattura. Ah, il caro vecchio amore duro di Evendil... Non se ne sarebbe mai stancato.

«Non essere ridicolo, non hai niente di rotto, non ho nemmeno usato l’Ataru. Adesso alzati e spiegami per quale dannata e stupida ragione hai usato la magia?! Sei fortunato ad essere ancora conscio, cazzo, ad essere vivo!»

Raramente Siirist aveva visto Evendil così arrabbiato, così sinceramente preoccupato. Si fermò un momento a guardarlo, sentendosi felice di essere così amato e di avere con il mezzo dunmer il rapporto che non aveva mai avuto con il padre. Gli sfuggì un sorriso: l’elfo alzò un sopracciglio e, contemporaneamente, il martello sopra alla testa, preparandosi per un fendente. Ryfon lo fermò con il minimo sforzo, la differenza tra la forza fisica dei due abissale.

«Era ora che ti riprendessi. Che ne dici di un duello?»

«Sai che non dico mai di no.»

‹Credi sia il caso con la tua mano in quelle condizioni?›

‹Voglio specializzarmi nel Jar’kai a doppia spada: direi che sia anche ora che mi alleni seriamente a usare la destra.›

«Ben detto.»

«Devi smetterla di entrarmi in testa. Spiriti del vento e del ghiaccio, radunatevi nella mia mano e dotatemi di una spada.»

All’interno della mano aperta del ragazzo, pronta a serrarsi attorno all’impugnatura, si formò un piccolo mulinello di aria gelida che si estese fino a formare una sorta di ellissi di un metro e mezzo, al cui interno, lentamente, prese a delinearsi una spada ad una mano con la guardia larga quanto la lama, la lama a doppio filo ma non perfettamente dritta, piuttosto ondulata ai due lati, così da formare due rientranze. Il colore era azzurro cristallino, perfettamente trasparente; era leggera quanto l’aria di cui era composta, ma il biondo sentiva che era resistente quanto le migliori lame di mithril.

«Bella spada.» si complimentò Evendil.

«Vuoi tenere quel ridicolo martello o creare anche tu una spada?»

«Per quanto io trovi le armi contundenti degne di un barbaro decerebrato, in quanto richiedono la stessa tecnica che serve per andare a defecare, se paragonate alla nobile arte della scherma, ti sconsiglio di sottovalutarle, perché anche esse, mi duole dirlo, hanno i loro usi. Ma questo non è uno di quei casi.»

Il martello gigante si dissolse in una nube di aria gelida che si ricompose subito in una spada dalle stesse fattezze di Lin dur.

«Che, non sai combattere se usi diversi tipi di spade?»

«Occhio, pivello, potrei anche decidere di fare sul serio.»

«Fatti sotto.»

Siirist osservò attentamente l’avversario, analizzando ogni suo minimo movimento. Lo vide mettersi in posizione, le gambe parallele, la spalla destra leggermente più avanti rispetto alla sinistra, il braccio teso parallelo al terreno e la lama un’estensione dell’arto. Si trattava di una delle guardie basilari del Makashi, la guardia del Provocatore, e il ragazzo trovò strano che l’elfo non stesse usando nessuna guardia dell’Ataru, sebbene lo avesse certamente attivato. Ma non pensò nemmeno per un istante di poterlo prendere alla leggera solo per quel motivo, soprattutto perché poteva usare solo la destra, perciò decise di contrastare gli attacchi rapidi e perforanti che sarebbero scaturiti dal provocatore con il suo implacabile Djem-So e si mise nella guardia della Torre, il piede destro più arretrato rispetto al sinistro ed il bacino e le spalle girate di conseguenza, la mano destra che reggeva la spada all’altezza degli occhi, il gomito alto, e la lama che puntava diagonalmente verso il piede sinistro. Si sentiva non a suo agio in quella posa, abituato com’era ad utilizzarla in modo esattamente opposto. Evendil sorrise per dimostrare la sua approvazione per la scelta di guardia del ragazzo e si lanciò in avanti, il braccio destro piegato ed il gomito a contatto con le costole, la lama sempre parallela al terreno, il braccio sinistro piegato a novanta e parallelo al terreno, il palmo della mano a pochi centimetri dal filo falso. Arrivò a tre metri da Siirist e nel momento in cui poggiò il piede sinistro, avvitò il busto verso destra, caricando il suo affondo e attaccando al passo successivo, il braccio sinistro mosso come una frusta verso l’esterno per darsi una maggiore spinta. Ma Siirist aveva già previsto quell’attacco, riconoscendo la posizione che aveva assunto Evendil come il preludio per la tecnica della Zanna di lupo, e aveva fatto un passo indietro sufficiente per uscire dalla portata dell’attacco. Ma Evendil utilizzò subito una stoccata, deviata da Ryfon che mosse il braccio destro in un movimento circolare in senso orario, facendo così scontrare le due lame di ghiaccio. Senza perdere tempo, passò per un istante al Makashi e utilizzò la Beccata del picchio, un affondo dato senza sbilanciarsi in avanti e con richiamo istantaneo della spada, il pomolo a contatto con la bocca dello stomaco. Il mezzo dunmer lo aveva evitato ruotato il corpo di novanta gradi e lasciando che la lama gli sfiorasse l’addome, il lato destro rivolto nella direzione del biondo; il suo braccio armato si mosse a velocità impercettibile, descrivendo un cerchio nell’aria e abbattendo lateralmente la sua arma sul forte della lama dell’altro, proprio sotto la coccia, spezzandogli la guardia. Subito dopo si voltò e portò la spada verso il basso, preparandosi per un montante poderoso che Siirist riconobbe come una delle tecniche dell’Ataru, la Scalata della torre. Proprio come aveva supposto, Evendil balzò in alto di una ventina di metri sollevando anche lui con la forza del colpo, parato con difficoltà dal ragazzo che mise pure l’avambraccio mancino a sostenere il medio della lama. Come ebbero raggiunto il massimo dell’elevazione e stavano per ricadere, Evendil si mosse per effettuare il suo attacco aereo, ma così anche Siirist, pronto a parare lo Schianto dalla torre, un potente fendente che lo fece precipitare al suolo e creare un cratere per l’impatto. L’elfo atterrò ai margini di esso e si accucciò, la spada dissolta nel vento.

«Non sarà che sto diventando troppo prevedibile? Mi hai anticipato quasi tutti gli attacchi!» disse mentre porgeva la mano al pupillo.

«Sei stato prevedibile sullo Schianto dalla torre, ma ho anticipato la Zanna di lupo perché ho riconosciuto la posizione. E poi sei partito con il Provocatore e non hai cambiato guardia, e dal provocatore di sono solo sedici tecniche possibili. Ehi, non sono più il principiante di spada che hai conosciuto a Skingrad!»

«Vero, vero. Eppure non sei ancora mai riuscito a battermi. Capisco che oggi eri svantaggiato, ma non è questa la strada per il Jar’kai a doppia spada. Che ne dici se appena torniamo a Vroengard ti inizio ad insegnare le tecniche della lancia?»

«Ne sarei felicissimo.»

«Ora fammi dare un’occhiata a quella mano, domani non puoi certo averla in quella condizioni.»

 

Il mattino del terzo lunedì sul Gagazet la sveglia fu alle otto. Althidon si raccomandò con gli allievi di mangiare abbondantemente a colazione e mentre un consiglio simile avrebbe normalmente messo in allerta i sensi di pericolo di Siirist, in quel momento la sua attenzione era attratta dal modo in cui Alea lo ignorava.

‹Da quando vi siete svegliati, non ti ha nemmeno rivolto la parola una volta, nemmeno a dirlo non ti ha nemmeno sfiorato, che dico, nemmeno guardato! Potrebbe aver pensato male da come hai reagito a letto ieri notte, forse dovresti spiegare come stanno le cose.›

‹Ma poi sarebbe meno una sorpresa.›

‹Di questo passo, potrebbe non esserci alcuna sorpresa affatto.›

‹È in questi casi che invidio Adeo: ragionare con un uomo è mille volte più facile.›

‹Dovresti invece invidiare il modo di fare di noi draghi. E pensare che una volta la pensavi come me! Non per niente il nostro legame è volato, ora invece è rallentato molto.›

Siirist non rispose, invece si forzò di concentrarsi sul pasto che aveva di fronte, la fronte corrugata. Per dare il meno nell’occhio possibile, mangiò solamente cibi che non richiedevano l’uso di posate, come cornetti, e quando Gilia si tagliò una fetta di torta di mele, il biondo gliela rubò da sotto il naso senza che egli se ne accorgesse nemmeno, impegnato com’era a versarsi la spremuta d’arancia.

«Ma che...?» girò lo sguardo verso la sua sinistra, e vide la sua fetta di torta sul piatto dell’amico.

Scosse la testa, ammettendo che il biondo fosse effettivamente bravo come ladro. Quando tutti ebbero finito di mangiare, Althidon fece andare gli allievi ad armarsi e Siirist delicatamente mise nuove bende attorno alla mano infortunata. Evendil l’aveva quasi completamente guarita, ma gli procurava ancora molto dolore, inoltre vi erano rimaste delle lievi ustioni. Il problema era che l’elfo non la poteva sanare completamente in solo una sessione di guarigione perché era un danno troppo grave, e non poteva nemmeno guarirla dal Flusso vitale, come insegnatogli da Alea, perché non poteva rischiare di agitare una seconda volta il Flusso del ragazzo. Per cui aveva fatto il massimo che gli era stato possibile e aveva minacciato la testa calda con grandi punizioni corporali se avesse nuovamente perso il controllo della sua magia. Quando Siirist si ritrovò con gli altri all’ingresso della roccaforte, vide tutti ben vestiti e Gilia e Alea armati con tutto ciò che avevano portato, le loro spade da Cavaliere, l’ascia bipenne a due mani il moro e l’arco la fanciulla. Questa ancora evitò le occhiate che Siirist cercava di lanciarle; triste, abbassò lo sguardo. Giunse per ultimo Althidon con in spalla un grosso zaino, che aprì la porta e fece uscire tutti.

«Cos’è quello, Maestro?» chiese Gilia.

«Lo vedrai, lo vedrai.» rispose vago.

Quel tono nascondeva così palesemente qualcosa di pericoloso e di non rassicurante che, nonostante tutte le sue preoccupazioni, Siirist non poteva non notarlo e realizzò che non gli piaceva per niente. Si girò verso Alea e la vide con un’espressione piatta.

‹Sì, è ufficiale, devi assolutamente dirglielo.› disse Rorix.

‹Non esiste che glielo dico in mezzo ad una gelida montagna.›

‹No, però puoi sempre rassicurarla.›

‹Va bene, lo farò appena rientriamo.› rispose dopo un po’.

Althidon condusse gli allievi, con Evendil che ridacchiava, cosa che fece insospettire anche di più Ryfon, in una vallata innevata, dove lasciò cadere lo zaino.

«Bene, ci vediamo tra una settimana.» disse tranquillamente.

«Cosa?!» chiese subito Gilia.

Siirist rimase in silenzio, attento alle parole del Maestro: dopotutto si aspettava qualche sorpresa. Alea pure stette zitta, ma probabilmente perché nemmeno aveva sentito niente, presa da altri problemi.

«Inizia ora la terza fase dell’allenamento, ciò per cui siete stati preparati nelle ultime due settimane: una prova di sopravvivenza. Dovrete riuscire a sopravvivere su questa montagna fino a lunedì prossimo senza usare le arti mistiche. Se volete mangiare, dovrete mangiare la carne delle tante creature, molte delle quali feroci e pericolose, che vivono su queste cime. Se non volete morire di freddo, vi consiglio di trovare una caverna in cui passare le ore notturne.»

«Niente arti mistiche...?»

«No. Logicamente non voglio che moriate, per cui se vi trovate in una situazione di vita o di morte, usatele pure. Ma sappiate che, così facendo, verrete eliminati dalla prova. Dovesse succedere, tornerete alla roccaforte e trascorrerete lì il resto dei giorni. Non ci sono punizioni per chi dovesse fallire, per cui non preoccupatevi, vorrà solo dire che vi avevo sopravvalutati. Ho messo in questo zaino tutto ciò che vi servirà. Per il resto, buona fortuna.»

«Resterò anche io qui fuori, quindi se vi dovesse servire qualche consiglio, chiedetemi pure. Ma non aspettatevi che vi aiuti direttamente.» disse Evendil.

«Io starò tutto il tempo a monitorarvi mentalmente: se mi sentirete richiamarvi, vorrà dire che avrete fallito e dovrete rientrare alla roccaforte. Ciao, ciao!» disse allegro.

E ritornò sui suoi passi. Anche Evendil salutò, avventurandosi lungo un sentiero nevoso, e Zelphar condusse in volo i draghi dalla parte opposta del gigante bianco. I tre Cavalieri in addestramento rimasero un poco disorientati il momento in cui sentirono scisso il loro legame mentale con i draghi  e dovettero aspettare un po’ prima di essere in grado di muoversi, o anche solo parlare.

«Siamo rimasti solo noi.» commentò Gilia.

«La cosa si fa interessante. Come prima cosa, cerchiamo una caverna.» prese il comando Siirist.

«Ehi, chi ti ha appuntato come capo?» obiettò Corvinus.

«Scusa?»

«Sono cresciuto osservando mio padre gestire un’intera città, la persona più competente per comandare qui sono io. Se Alea non ha niente in contrario, ovviamente.»

«Ah, davvero? Beh, scusatemi, vostra nobiltà, ma siete mai vissuto senza usare le arti mistiche? Avete mai affrontato una prova di sopravvivenza? Sapete anche solo accendere un fuoco?» lo prese in giro Siirist.

«Er...»

«Immaginavo. Sono stato sedici anni senza misticismo; se vedessi il mio rifugio a Skingrad saresti impressionato. Spesso ho anche cacciato selvaggina nel bosco, preparando trappole varie o con i coltelli da lancio. Bisogna solo vedere cosa ci ha lasciato quello psicopatico di un Maestro sadico.»

«Ma prima dovremmo cercare una grotta in cui ripararci dal freddo. Sono -40 gradi e stiamo già tremando, questi cappotti non ci serviranno a molto.» aggiunse Alea, il tono piatto.

«Ed è esattamente quello che ho detto inizialmente. Andiamo. E Alea, tieni pronto il tuo arco: potremmo trovare una grotta già abitata.»

«Lo so.» rispose lei, con già l’arma nella sinistra e la freccia incoccata.

«Perfetto.»

Con Siirist in testa, Alea in mezzo e Gilia dietro che portava lo zaino, i tre Cavalieri seguirono un sentiero che andava in discesa, sul lato sinistro una parete rocciosa, su quello destro un dirupo. Siirist si convinse definitivamente a dar retta a Rorix e tranquillizzare l’elfa, perché aveva visto dal suo modo freddo e distaccato di rispondergli che ce l’aveva morte con lui. Anzi, forse non era adatto come giudizio, piuttosto sembrava che ella stesse cercando di distaccarsi per non soffrire ulteriormente. Ah, donne, perché dovevano essere così stupide e testarde? Stava pensando che la volesse lasciare?! Dopo l’enorme sconvolgimento interiore che gli aveva portato, lo fraintendeva così colossalmente e cercava di tirarsene fuori in quel modo, per soffrire meno?! Era proprio per quello che Siirist non aveva mai voluto una relazione fissa, perché non sopportava il modo ridicolo di pensare delle donne! A quanto pare la sua teoria era giusta: se manca qualcosa in mezzo alle gambe, manca anche qualcosa in testa. E lui che si era illuso che Alea potesse essere un po’ più sveglia! In quel momento quasi la vedeva come Miya! Ma no, cosa stava pensando?! Doveva fare tutto quello che poteva per chiarire quell’equivoco! Ma quello non era il momento, dovevano prima arrivare ad una grotta.

«Ehi, esperto, non ti sei accorto che abbiamo superato un’apertura in quella fiancata?» disse ironico Gilia, indicando con il pollice verso destra.

«Certo che l’ho vista, ma non possiamo andare nella prima grotta che troviamo, bisogna anche assicurarci che sia una zona adatta. Sappiamo che ci sono molte sorgenti termali su queste cime, perciò la cosa migliore sarebbe una caverna vicino ad una di esse, poiché l’ambiente sarebbe più caldo.» rispose pigramente e con aria di ovvietà.

«Pare che davvero sappia il fatto tuo.» disse colpito.

Dopo una camminata di oltre un’ora, Siirist aveva oramai perso la sensibilità delle gambe dal ginocchio in giù, immerse nella neve, e di tutta la faccia. Temeva che le orecchie ed il naso gli si potessero staccare se solo li avesse sfiorati.

«Di questo passo moriremo assiderati...» commentò Gilia.

Aveva ragione. Non importava quanto fossero vestiti pesanti, tutti e tre con pantaloni e stivali imbottiti, due magliette di lana ed un maglione, coperti dai loro cappotti e da un’ulteriore mantello da viaggio, erano da circa un’ora e mezzo in balia del clima rigido del Gagazet, la cui temperatura raggiungeva i -40, e con quel vento era anche più freddo.

‹Maledizione, a me piace il caldo!›

Solo la prospettiva del suo premio se fosse resistito una settimana riuscì ad impedire al ragazzo di evocare degli spiriti del fuoco. Era una fortuna che non potesse usare la magia, altrimenti c’era il rischio che la usasse. Dopotutto recitare un’evocazione dava più tempo per cambiare idea, accendere una fiamma, che per lui era ormai naturale come il solo atto di respirare, invece era automatico. Il vento gelido gli perforava i polmoni quando improvvisamente sentì una leggero aumento di temperatura nell’aria che lo rinvigorì.

«Lo sentite anche voi?»

«Sì.» confermò Alea.

Siirist raccolse tutte le sue forze e scattò in avanti, raggiungendo in poco tempo una fonte termale. Ma ad aspettarlo vi era un branco di diciassette lupi famelici. Prima di rischiare di farli innervosire, si assicurò che il posto fosse adatto e si guardò intorno; e lo vide: lontano una ventina di metri, c’era l’ingresso di una caverna.

«Se vi piace stare al caldo, mi spiegate cosa vivete a fare in questo posto ridicolo?!» sbottò e starnutì.

I canidi si avvicinarono lentamente, ringhiando e pronti a balzare all’attacco.

«Non c’è modo che possa convincervi a restare buoni? Non vogliamo certo uccidervi, se possiamo evitarlo. Vogliamo solo stare qui una settimana e poi ce ne andremo.» tentò di convincerli utilizzando la Vera lingua.

Ma evidentemente non fu abbastanza convincente, e uno dei lupi gli saltò addosso.

«No, eh...?» disse portando la mano destra al fianco corrispondente e stringendo la spada.

Con una rotazione del busto in senso orario, Siirist evitò l’animale, e al contempo sguainò Beleg runia impugnandola alla rovescia e tagliò a metà l’aggressore con uno sgualembro dritto. Era una fortuna che la sua spada fosse così bene incantata, perché una spada comune, per l’eccessivo freddo, si sarebbe attaccata al fodero e sarebbe stato impossibile sguainarla. Ryfon amava la sua spada. Un secondo lupo partì all’attacco, ma fu atterrato da una freccia che lo colpì in mezzo agli occhi.

«Avanti, la volete smettere? Non vogliamo uccidervi!» si lamentò ancora il biondo.

«È inutile. Ho provato anche io a convincerli, ma mi hanno risposto che ora che uno di loro è stato ucciso, non possono permettere che la ce la caviamo impuniti. Per questo ho dovuto scoccare la freccia per ucciderne un secondo.» lo informò Alea.

«Vuoi dire che ti hanno risposto? Puoi parlarci?!» disse esterrefatto.

«Naturalmente. Riesco a comunicare con qualsiasi animale che non faccia parte della categoria dei mostri.» rispose con aria di ovvietà.

«Ma come fai? A me non danno retta.»

«Non puoi solo parlarci, devi instaurare un legame mentale. Ma immagino sia pretendere troppo da te.»

‹Ehi! Ma bene, adesso non solo si comporta freddamente, mi tratta anche come un patetico idiota!› si offese Ryfon.

«Vi sembra il momento di discutere?» puntualizzò Gilia, osservando come i lupi li avessero accerchiati.

«Certo, perché nel frattempo ho continuato le trattative con il capo branco.»

«Alea, sei incredibile.» scosse la testa incredulo Corvinus.

«E che dice?»

«Che capisce la nostra forza e desidererebbe non sacrificare ulteriori vite, ma allo stesso tempo non può permettere che ce la caviamo impuniti.»

Ma che razza di logica era quella?! Il Siirist di cinque anni prima si sarebbe stizzito e li avrebbe fatti tutti a pezzi, ma dopo gli insegnamenti ricevuti a Vroengard, aveva incominciato a portare più rispetto alle vite degli animali. Quattro anni di vegetarismo facevano quello e altro ancora.

«Quindi cosa dobbiamo fare?»

«Dice che c’è un behemoth che si è staccato dal suo branco ed ha invaso il loro territorio di caccia e ha ucciso molti di loro. Ora sono rimasti in diciassette, anzi adesso quindici, ma prima erano il branco più grande del Gagazet, che contava centododici membri.»

«‘Sti cazzi.»

«Fine come sempre...» disse gelida l’elfa.

Per un attimo, Siirist si risentì investito dal freddo pungente della montagna.

«Lasciami indovinare, vogliono che lo uccidiamo?» domandò Gilia.

«Sì.»

«Per quanto vorrei evitare di uccidere questi animali, non trovo altra scelta. Non posso dire che l’idea di andare appositamente a cercare un behemoth mi aggradi molto.» rispose il moro.

«Siirist? Sei tu il capo, no?» disse quasi noncurante la fanciulla.

Egli si guardò intorno, ed infine rinfoderò Beleg runia. Si avvicinò al lupo che aveva intuito essere il capo branco, dal pelo bianco immacolato. L’animale permise che l’umano si avvicinasse, ma, come questi fu a due metri di distanza, incominciò a ringhiare, imitato dai compagni. Siirist lo guardò male e gli calciò addosso della neve. Il lupo piegò il muso quando fu colpito, per poi rialzare lo sguardo verso il biondo e ringhiare con maggiore foga.

«Ti pare questo il modo di chiedere un favore, stupido cagnaccio? Ma immagino di non avere altra scelta, vero? Sia chiaro, non è perché mi fai paura, ma perché lo sento come dovere per aver ucciso uno dei tuoi compagni. E perdona la mia amica, non l’ha fatto certo di sua spontanea volontà. Lei ama i lupi. Penso siano i suoi animali preferiti, assieme alle aquile e alle rondini. Noi dobbiamo stare qui per una settimana, fino a lunedì prossimo, e ti prometto che, prima di allora, ci occuperemo di quel behemoth. Ma non ora, perché siamo stanchi e debilitati dal freddo, e abbiamo bisogno di riscaldarci e riposarci. Affare fatto?» si accovacciò e porse la destra.

Il ringhio del lupo si affievolì fino a scomparire, ed egli restò per qualche secondo ad osservare l’umano.

«Ehi, Alea, ha capito?»

«Sì.»

E in quella risposta, Siirist sentì finalmente una nota, seppur lieve, di felicità e ammirazione. No, in realtà non era lieve, piuttosto era grande, ma soppressa. Sorrise, sentendosi riscaldato solo da quello. Il lupo si avvicinò e si sedette a poca distanza dal biondo, e alzò la zampa. Siirist gliela strinse, sorridendo sguaiatamente.

«Ehi, Siirist, sei sicuro? Hai ben capito cos’è un behemoth?» domandò un po’ agitato Gilia.

«Un mostro grande, grosso e cattivo. Sì, più o meno me lo immagino.» rispose mentre accarezzava il collo del lupo bianco.

«Ho capito, non hai la minima idea di cosa sia... Ma perché ho accettato di metterti in carica...?»

«Tranquillo, Gilia, vedrai che andrà bene.» si voltò verso l’amico, il sorriso enorme che quasi ricopriva l’intera faccia.

I tre Cavalieri andarono alla grotta che Siirist aveva visto e Gilia appoggiò lo zaino, ed insieme incominciarono a tirarne fuori il contenuto, esaminandolo attentamente: Althidon aveva messo dentro quattro corde da venti metri ciascuna, uno spiedo, dieci coltelli da lancio, tre borracce, tre coperte pesanti, tre stuoie, sette mine magiche che avrebbero generato una grande e potente vampata di fuoco al contatto con una forza superiore ai mille douriki. Potevano funzionare anche come granate, se lanciate con forza.

«Con il calore delle terme, un bel fuoco e queste coperte, non avremo problemi a dormire la notte.» disse soddisfatto Gilia.

«E non dimenticare il calore corporeo. È ovvio che dormiremo vicini. Magari anche con i lupi.» aggiunse Siirist.

«Sì, è una buona idea.»

«Anche perché questa grotta è la loro tana. Il capo branco mi ha detto che ci permetterà di dormire qui dentro con loro.» esclamò Alea.

«Andrà bene accendere un fuoco, allora?» si preoccupò Gilia.

«Certo che sì! Noi ne abbiamo bisogno, non siamo abituati a questo freddo come loro! E poi come dovremmo mangiare gli animali che cacciamo senza cuocerli? Se non gli va bene, metto allo spiedo lui. Mi hai sentito, stupido cagnaccio?!» urlò Siirist.

Alcuni lupi, che si trovavano nei pressi della grotta, incominciarono a ringhiare.

«Ggrrrr...!!» rispose Ryfon.

Raccolse un sasso da terra e lo lanciò in mezzo alle tre fiere, facendolo finire in una pozza d’acqua e facendo arrabbiare anche di più gli animali. Gli altri due Cavalieri osservarono il biondo in silenzio mentre questi usava ancora una volta la destra, ma non commentarono.

«Oh avanti, stupidi! La mia mira è perfetta! Se vi avessi voluto colpire, lo avrei fatto! Passando a cose serie, Alea, scopri dove si trova una sorgente d’acqua bevibile, e se c’è da qualche parte un bosco. Possibilmente con alberi o arbusti morti: ci serve legna secca.»

«Va bene.»

Ella si alzò ed uscì dalla grotta. Siirist la seguì con lo sguardo e si girò verso l’amico quando ella fu scomparsa alla sua vista. La sera prima, dopo essersi congedato con Evendil, era andato a trovare Gilia a parlargli dei casini nati con l’elfa, e lui quasi si era messo a ridere per quanto grande fosse quel fraintendimento.

«Sembra mi stia trattando un po’ meno duramente adesso, non trovi?»

«Quel tuo discorso al capo branco deve averla colpita.»

«Dici? Hehe, ci speravo.»

«Quando Alea torna, mi occupo io di andare a riempire le borracce. Voi rimanete qui o andate a raccogliere la legna, così parlate un po’. So che non vuoi rovinarle la sorpresa, però devi almeno tranquillizzarla. Il fatto che ti stia trattando un po’ meglio ora non è dovuto a lei che ha perso la paura che la vuoi lasciare, piuttosto dal fatto che si è ricordata del perché si è innamorata di te.»

«Sì, lo so, lo so.»

«C’è una foresta, a mezz’ora di cammino da qui. Ci si trovano anche degli animali, è nel loro territorio di caccia. Questo significa che c’è il rischio di incontrarci il behemoth.» disse Alea rientrando.

«Per cui dovremo andare noi due insieme, mentre Gilia si occuperà dell’acqua. Hai scoperto niente a proposito di una sorgente?»

«Sì, a cinque minuti da qui. Quando vorremo andare, saremo accompagnati da un lupo.»

«Digli che andiamo subito.»

«Va bene.»

Cinque minuti dopo, i Cavalieri erano pronti ad andare: Siirist con Beleg runia alla vita, alla cui cintura aveva legato cinque coltelli da lancio, mentre i rimanenti erano stati legati alla coscia destra; Alea con Raama tel’ arvandorea alla vita, la faretra a tracolla e l’arco saldo nella sinistra; Gilia con Enedome ithil al fianco e la sua ascia bipenne a due mani a tracolla. Corvinus seguì un lupo dal pelo marroncino lungo un sentiero in discesa, gli altri due andarono dietro ad un lupo dal pelo grigio scuro che ne prese uno allo stesso livello delle terme. Mentre camminavano, Siirist si spostò sul lato destro della fanciulla e le prese la mano, ignorando con tutte le sue forze le pulsazioni di dolore lancinante che gli provenivano dalla mano ustionata. Lei restò colpita da quel gesto, e fu anche più sorpresa dal tenero bacio che egli le diede sulla guancia.

«Pensavo fossi un po’ più intelligente di così! Non voglio certo passare tutta la mia vita con una persona stupida!»

«Di che stai parlando?!» si stizzì lei.

«Non ti azzardare mai più a pensare che ti voglia lasciare, stupida, altrimenti lo faccio davvero.» rispose secco.

Lei lo guardò sorpresa, e ne osservò lo sguardo duro che fissava in avanti. La impressionò come quando aveva combattuto contro suo padre. Arrossì leggermente e strinse la mano, ricambiando la carezza che le stava facendo lui con il pollice, dispiacendosi solo di avere i guanti addosso e di non poter sentire direttamente il tocco dell’amato.

Raggiunsero la foresta e procedettero tranquillamente, poiché Ilyrana non aveva percepito la presenza di grosse bestie, ed il lupo li portò fino al cuore della macchia, dove trovarono alcuni alberi spezzati, distrutti dall’irruenza del behemoth, come spiegò l’animale all’elfa, che lo riportò all’umano.

«Chiedi quanto tempo fa è successo.»

«Quattro mesi.» rispose dopo qualche secondo.

Siirist si abbassò e raccolse alcuni pezzi di legno, e ne fu più o meno soddisfatto. Incominciò allora a raccogliere tutta la legna a terra, aiutato in questo da Alea, e dopo tre ore, nella grotta accanto alle terme era stata radunata una bel po’ di legna, assieme anche a del muschio. Nuovamente la fanciulla osservò come egli non usasse per niente la mano sinistra, e quando l’aveva afferrata, aveva sentito che tremava leggermente. Ma di nuovo non disse niente, sapendo quanto fosse orgoglioso Siirist.

«E ora?» chiese Gilia.

«Ora inizia la parte peggiore. Alea, tu che hai un arco, vai a cacciare, dovrebbero esserci degli stambecchi e animali simili quassù.»

Lei lo guardò male.

«Sì, so che non vuoi farlo, ma dovremo pur mangiare, l’ha detto anche Althidon. Noi intanto prepareremo la legna per accendere il fuoco.»

Dopo cinque minuti di proteste, l’elfa fu convinta e, accompagnata da due lupi, andò a cacciare.

«Che devo fare?»

«Guarda me.»

Siirist sguainò la sua spada e incominciò a tagliare i pezzi di legno a strisce, creando delle “foglie” sottili, imitato dall’amico. Questi ogni tanto lanciava delle occhiate al biondo, curioso di sapere il perché egli stesse utilizzando la destra, ma decise di non manifestare i suoi dubbi. Continuarono quel lavoro per cinque minuti, e Ryfon fu impressionato nel vedere quanto fosse semplice quell’operazione con le eccellenti lame di Cristallo di cui erano forniti, anziché usare un semplice coltello d’acciaio di Besaid, come era stato solito fare a Skingrad. Poi prese un pezzo di legno un po’ più grosso e incominciò a ricavarci un foro usando la punta di Beleg runia, e ne passò uno simile al moro, dicendogli di renderlo il più cilindrico e liscio possibile. Ryfon finì chiaramente prima di Corvinus, perciò iniziò a preparare il focolare: come prima cosa dispose delle pietre in circolo, all’interno delle quali mise dei legnetti di media grandezza, e sopra ad essi mise metà delle “foglie” ricavate con il taglio del legno, usando sempre e solo la destra, come ebbe modo di notare il moro. Tra che aveva finito, Gilia gli passò il legno lisciato e reso cilindrico, e Siirist lo appoggiò al pezzo di legno che aveva bucato con la spada ed incominciò e sfregarlo, stringendo i denti per il dolore alla mano. Dopo qualche minuto incominciò a levarsi del leggero fumo, che si fece sempre più denso, fino a che, dopo un quarto d’ora, si creò della brace incandescente che Siirist mise su una massa di muschio ed incominciò a soffiare. Tutti intorno i lupi lo osservavano meravigliati e anche un po’ intimoriti.

«Tranquilli, è tutto sotto controllo.» li rassicurò il ragazzo.

Il capo branco, che era stato sull’attenti, ascoltò le parole dell’umano e si distese, continuando a fissare con i suoi occhi gialli la fiamma che si faceva sempre più grande. Allora il Cavaliere d’Inferno mise il muschio ardente all’interno del focolare e gli mise sopra il restante delle “foglie”. In quel momento rientrò Alea con in braccio uno stambecco. Aveva l’espressione nauseata, ma al contempo decisa.

«Ah, l’avete acceso!»

«Sei andata via da più di un’ora, dopotutto, mi sarei vergognato se non ti avessi potuta accogliere con un bel fuoco! Ma ammetto di essere io stesso sorpreso, credevo di averci perso la mano dopo quattro anni che non lo facevo più!»

Siirist prese la preda dell’elfa e ne tagliò le parti più prelibate, preparando due porzioni a testa, una per il pranzo e una per la cena, e diede il resto ai lupi, che felicemente accettarono. Come un macellaio, Ryfon preparò abilmente la carne per essere mangiata, e dopo un’ora infilzò le tre porzioni per il pranzo sullo spiedo e le mise a cuocere sopra al fuoco, regolarmente ravvivato.

«Per oggi ce la prendiamo comoda e ci abituiamo all’ambiente. Da domani ci mettiamo in cerca del behemoth, ma non lo attaccheremo subito. Se è pericoloso come si dice, dovremo essere molto prudenti e studiarne bene i movimenti, magari potremo tendergli un’imboscata. Althidon è stato così gentile da fornirci delle trappole magiche, sarà il caso di usarle.»

Gilia e Alea annuirono.

 

Erano le quattro di mattina di sabato quando Siirist si svegliò. Aveva dormito usando il cappotto come coperta e la coperta come ulteriore rivestimento, in mezzo a tre lupi tra cui il capo branco, che gli fungeva da cuscino. Tutti erano rannicchiati vicini in circolo attorno al fuoco, oramai ridotto a mera brace. Guardò verso Alea e la vide ancora con un’espressione contrariata in volto: la sua prima esperienza nel mangiare carne non era stata piacevole. Cercando di non svegliare le fiere, il giovane si alzò e si infilò il cappotto, e uscì, dirigendosi nel punto tra la neve e la prima vasca d’acqua. Si sedette a gambe incrociate ed incominciò a meditare. Non che fosse facile, con il freddo dannato che faceva. Aveva già instaurato un ottimo rapporto con gli spiriti che abitavano le cime del Gagazet e non ci vollero che pochi secondi perché rispondessero: gli spiriti dell’aria si manifestarono fisicamente e apparvero come dei bambolotti sorridenti dal corpo etereo, gli spiriti dell’acqua termale restarono nascosti all’interno di una grande sfera che si sollevò di un metro, gli spiriti delle rocce pure si mostrarono e dal terreno si ersero delle figure dalla forma comica, uguali alle manifestazioni degli spiriti dell’aria, che marciarono allo stesso tempo loro e presero a camminare in circolo attorno all’umano. Il grande lupo bianco si svegliò, e, incuriosito, uscì dalla tana ed osservò l’umano seduto a gambe incrociate, immobile, mentre gli spiriti gli danzavano intorno. Interessato gli si avvicinò e si distese ad un paio di metri da lui. Lo continuò ad osservare durante tutto il suo allenamento, come aveva fatto Evendil la settimana prima, quando Siirist si spogliò per rimanere solo con i pantaloni ed il guanto sinistro, e lo guardò fare flessioni e piegamenti in verticale con solo la destra, lo fissò incantato mentre egli roteava su se stesso generando guizzi fiammanti grazie alle sue evocazioni. Gli spiriti dell’aria si unirono a quelli del fuoco, creando mille giochi di luce colorata, che illuminarono la candida neve, dipingendola come un arcobaleno. Attratti, anche gli spiriti dell’acqua presenti nelle vasche termali e nella neve si unirono, e la seconda aumentò incredibilmente la sua capacità di riflettere, mentre la grade sfera di acqua calda si scompose in innumerevoli sfere più piccole e seguì gli spiriti del fuoco nei loro movimenti, aumentando ancora di più i giochi di luce. Niente di tutto ciò era dovuto all’abilità da stregone di Siirist, ma alle sensazioni di pace che trasmetteva agli spiriti. Essi si sentivano a loro agio, e erano felici di unirsi a lui anche senza essere evocati. Il ragazzo continuò la sua danza, tutto il peso appoggiato sul braccio destro mentre chiudeva il suo corpo su se stesso, in mente la musica di Keira che gli dava il ritmo. Non pensava a niente, gli allenamenti erano ormai diventati per lui un gioco, uno sfogo. Si sentiva leggero come una piuma, gli spiriti del vento che gli sorreggevano la mano sinistra ogni volta che l’avesse dovuta appoggiare per avere sostegno, impedendole di toccare terra.

Tutti quei riflessi di luce svegliarono Alea, che si alzò incuriosita e si affacciò all’ingresso della grotta, da cui vide il ragazzo allenarsi con la stregoneria e le tecniche corpo a corpo. Sorrise piena di ammirazione, gli occhi lucidi che riflettevano i giochi di luce.

 

Per quel giorno ed il seguente, i tre Cavalieri si misero in cerca del grande behemoth, senza però stare lontani dall’accampamento per più di tre ore alla volta, ma non ebbero fortuna. Ogni tanto trovavano tracce del suo passaggio, ma del mostro neppure l’ombra. Persino mentalmente era impossibile trovarlo, in quanto Alea individuava la presenza di almeno un centinaio di creature dalle dimensioni gigantesche in un’area di dieci chilometri, tra cui un garuda, una sorta di enorme uccello senza piume e con una pelle marroncino chiaro, molto feroce. Dovettero subito nascondersi quando esso passò, Alea con l’arco pronto all’uso. Al terzo giorno, invece, mentre seguivano uno stretto sentiero con dei precipizi ad ambo i lati avvistarono finalmente, nella vallata che avevano davanti, il possente Behemoth e rimasero paralizzati dalla sensazione di impotenza. Alea soprattutto, che, grazie alle sue incredibili abilità mentali, oltre a percepirne la presenza, era in grado di distinguerne la forza. Cadde in ginocchio, incapace di parlare. Camminava sulle quattro zampe, il pelo azzurro ghiaccio, opaco, con striature violacee, una lunga coda che terminava con dei peli lilla, stesso colore delle criniera. Dal dorso spuntavano delle escrescenze ossee sull’arancione, unite tra loro da una membrana, e altre quattro uscivano dalla zona delle clavicole, due per lato.

«Va bene, è pericoloso.» esclamò esterrefatto Siirist, la bocca spalancata e impossibilitato a distogliere lo sguardo.

«Cosa intendi fare?» chiese Gilia nella stessa condizione.

«Seguirlo, analizzarne i movimenti, il tragitto. Se dobbiamo preparare una trappola o un’imboscata, dobbiamo sapere dove farlo.»

«Se potessimo usare il misticismo il gioco sarebbe fatto.» sbuffò Gilia, con tono quasi arrendevole.

«No... È molto resistente alla magia. Gli unici incantesimi che lo danneggerebbero seriamente sarebbero incantesimi allo stato solido, quindi lame di terra o ghiaccio, ovviamente sufficientemente forti da non rompersi e duri abbastanza da penetrargli la pelle, resistentissima agli attacchi fisici e alla magia. Sarebbero invece sconsigliate forme solide di altri elementi, come lame di luce o fulmine, perché dovrebbero essere estremamente potenti e ben formate per non dissolversi.» disse piano Alea, ancora colpita dalla potenza del mostro.

«La tua abilità mentale è sempre più impressionante, per essere riuscita ad analizzarlo così bene.» si meravigliò Corvinus.

«Tanto non possiamo usare nessuna forma di misticismo, quindi il problema non si pone. Dovremo studiare bene come piazzare le mine che abbiamo.»

«Dicevi di analizzarne i movimenti, ma come facciamo? Dovremmo stare a seguirlo per tutto il giorno. E in questo freddo non è proprio facile.» obiettò Gilia.

«Alea, ora che l’abbiamo trovato, pensi di riuscire a seguirlo costantemente senza mai perderlo?»

«Sì.»

«Ottimo. Dobbiamo sapere i suoi spostamenti nei prossimi giorni tra oggi e domani, inoltre dobbiamo preparare un punto preciso per la nostra imboscata. Dobbiamo cercare di debilitarlo al massimo al primo attacco, perché se gli permettiamo di contrattaccare, non avremo scampo.»

«Adesso possiamo tornare al campo? Perché sto cominciando a non sentire più le mie estremità. E intendo tutte.» batté i denti il moro.

«Certo, andiamo pure. Alea, tra due giorni mi accompagnerai lungo tutto il tragitto che avrà percorso oggi e domani, d’accordo?»

«Sì.»

 

Domenica mattina Siirist, accompagnato da Alea, seguì la strada percorsa il giorno precedente dal behemoth, mentre la fanciulla continuava ancora ad analizzarne i movimenti, e riferì all’amato che la bestia si trovava a riposare nelle vicinanze.

«Vuol dire che siamo vicini alla sua tana, perciò batte molto questa zona, bene.»

Stavano camminando su un largo sentiero con la neve che arrivava loro alle ginocchia, un’alta parete rocciosa a sinistra e un profondo strapiombo a destra.

‹Con questa neve non riusciremo a muoverci agilmente; merda.›

Però il precipizio sul lato lo intrigava, e andò a guardare meglio, vedendo come la vallata sottostante fosse profonda: morte certa per qualunque creatura non volante che fosse caduta. Poteva sfruttarlo a suo vantaggio. Sul lato sinistro, invece, vi erano molti cornicioni lungo la parete, sui quali la neve non si era depositata molto ed era facile correrci.

«Sì, è qui che lo affronteremo. Ho già in mente un piano, devo solo lavorare sui dettagli. Domani è il nostro ultimo giorno, non abbiamo più tempo.»

I due Cavalieri tornarono al loro accampamento, accolti dai lupi incuriositi. Il capo branco si avvicinò a Ryfon e lo scrutò attentamente, e rimase soddisfatto dal pollice alzato dell’umano. Colpita, Alea complimentò il ragazzo per la sua abilità nel comunicare con quei lupi e, sorridendo, gli schioccò un bacio sulla guancia. Il biondo la guardò felice, non vedendo l’ora di terminare quell’insopportabile prova di sopravvivenza e poter riscuotere il suo premio, ed incominciò a preparare il necessario per tendere l’imboscata al behemoth, istruendo gli amici sul suo piano, perfezionando i dettagli assieme a loro. Grazie all’analisi mentale effettuata dall’elfa, sapevano che il behemoth era in grado di lanciare incantesimi elementali di vento, fulmine e terra, in un modo molto simile a quello dei draghi. Svilupparono tattiche apposite per affrontare gli attacchi del mostro ed andarono a dormire. 

Come aveva fatto tutte le notti precedenti, Siirist si svegliò, ma non andò a meditare, invece si armò e si diresse verso l’area designata per lo scontro. Al suo passaggio, gli spiriti dell’aria cominciarono a danzare felici attorno a lui, e rimasero delusi dal suo rifiuto. Gli fecero la linguaccia e si dissolsero. Il giovane rimase interdetto: non aveva imparato niente di simile sul comportamento degli spiriti durante le lezioni a Vroengard. Scosse la testa e riprese la sua passeggiata, la mano destra sempre sull’elsa di Beleg runia, pronta ad estrarla in caso di pericolo, la sua coscienza estesa oltre il suo corpo, in modo da captare tutti gli esseri viventi degni di nota che si trovavano in un’area di un chilometro con lui come centro. Aprire un’occhio mentale così grande mentre teneva i due che aveva in testa aperti era assai difficile per lui, tanto che non era stabile e ben fatto come quello che aveva aperto a Zanarkand, mentre inseguiva i corridori infuocati in groppa a Rorix. Impiegò in tutto una cinquantina di minuti per raggiungere lo spazio che aveva ispezionato la mattina. Era freddissimo, più freddo di quanto il giovane avesse mai provato, ma egli nemmeno se ne accorgeva. Era concentrato sul suo piano. Lentamente e tremante, camminò fino al centro dell’area e si inginocchiò.

«Grande Tenma, signore degli oceani e protettore dei guerrieri, chiedo il tuo aiuto. Non sono una persona molto praticante, è vero, non frequento molto i templi, e non ti ho mai fatto offerte. Ma ora sento di non potere fare altro che implorare la tua grazia. Donaci la tua benedizione nella battaglia di domani, perché ci servirà.»

 

Venne il lunedì mattina, l’ultimo giorno della permanenza dei Cavalieri in addestramento sul Gagazet e si poteva dire che avessero perfettamente superato la prova di sopravvivenza. Si erano egregiamente procurati legna da ardere, cibo e acqua ed avevano logicamente resistito alla temperatura glaciale. Ma la promessa di Siirist al lupo bianco li legava e non potevano andarsene prima di avere sconfitto il mostro. Alea portava i restanti settantacinque metri, divisi in vari modi e legati ad alcune delle frecce; nello zaino, Gilia teneva le mine magiche. Erano tutti tesi, la sola idea di andare ad affrontare quella belva terrificante li faceva tremare più del clima rigido, al quale si erano ormai abituati. Riuscivano infatti a stare lontani dalla temperatura più mite e piacevole delle terme per poco più di sei ore senza congelare. La mano sinistra di Siirist era ormai quasi del tutto ristabilita, e la poteva usare pressoché per tutto, a patto che non la sforzasse troppo, e purtroppo questo pregiudicava il suo poterla usare per impugnare la spada. Portò la destra all’impugnatura e strinse forte, la bocca serrata. Gilia e Alea si guardarono ed il moro si avvicinò all’amico.

«Allora, come sta la sinistra?»

«Di che parli?»

Gilia si limitò a fissarlo con un’espressione che diceva qualcosa sulle righe di “non mi prendere per scemo”. Siirist sorrise imbarazzato, sentendosi un cretino.

«Meglio, ma non la posso ancora usare per combattere.»

«Peccato, sarebbe stato meglio averti al massimo delle forze contro un avversario del genere.»

«Credimi, lo so bene.»

Arrivarono sul luogo scelto per lo scontro e si misero in posizione, Alea si avvicinò alla parete di sinistra e saltò di cornicione in cornicione, arrivando in cima e preparando il suo arco. Gilia incominciò a piazzare le trappole secondo lo schema ideato il giorno prima, con Alea che lo premeva di fare in fretta, poiché il mostro stava per arrivare: passarono cinque minuti scarsi e finalmente esso giunse, camminando con passo lento e calmo. Come vide Ryfon, al centro dello spiazzo, si fermò e lo osservò attentamente. Non pareva essersi accorto degli altri due, nascosti dietro ad alcune rocce, Alea che teneva pronta una freccia. Partì alla carica ed il momento che mise piede fuori dal sentiero ed entrò nello spiazzo, fece scattare la prima mina, che lo investì con un’enorme esplosione. Ma la bestia uscì dal fumo apparentemente indenne e continuò la sua corsa selvaggia verso il ragazzo. Era a soli venti metri quando Alea rapidissima cambiò freccia, incoccandone una a cui era legata una corda e la scagliò verso Siirist appena prima di sentire l’esplosione della seconda mina; il dardo sfiorò il volto del Cavaliere d’Inferno e si piantò nella neve e lui subito afferrò la corda, tenuta dall’altro capo da Gilia, che strattonò violentemente e fece volare Siirist verso di lui, che subito si nascose nello stretto anfratto nella parete di roccia in cui si era messo il moro. Il behemoth uscì dalla densa nube di fumo e superò il punto in cui si era precedentemente trovato Ryfon. Questi osservò come sarebbe stato mortalmente travolto se fosse stato colpito. Il mostro parve disorientato dall’improvvisa scomparsa della sua preda e cominciò a guardarsi intorno, fino a che non vide, alla sua destra, l’elfa, in cima alla parete di roccia, che gli puntava contro una freccia. Scattò verso di lei ed il dardo rimbalzò contro l’armatura naturale che era la sua pelliccia. Ella però si trovava troppo in alto perché l’animale la potesse raggiungere, perciò esso si alzò sulle zampe posteriori e la attaccò con una zampata con l’arto anteriore destro. Ilyrana balzò via facilmente e al contempo i due ragazzi uscirono dal loro nascondiglio, le spade pronte, e balzarono verso i piedi del mostro, attaccando i tendini con tutta la loro forza. Riuscirono a ferire la belva, ma non a reciderli completamente, così essa era ancora perfettamente in grado di muoversi, oltre che essere incredibilmente infuriata.

‹Un altro po’ più dura e questa pelliccia è come le scaglie draconiche! Cazzo, non mi aspettavo che fosse così resistente, sono stato un illuso a pensare di debilitarlo con questo attacco a sorpresa.› Ancora eretto sugli arti posteriori, il behemoth ruggì furioso ed emise una forte quantità di energia nell’aria, che andò in pochi secondi a formare delle nubi oscure dalle quali cadde una seria di lampi gialli che si abbatté sullo spiazzo. I Cavalieri dovettero stare molto attenti per riuscire ad evitarli. Il behemoth girò appena la testa ed osservò i due umani alle sue spalle, così alzò la coda e li colpì entrambi con una violenta spazzata, lanciandoli lontani una cinquantina di metri. Caddero sulla soffice neve ed affondarono come un coltello nel burro, andando a scontrarsi con la dura roccia sottostante. Doloranti, si rialzarono lentamente e con fatica. Il mostro fece subito per rimettersi sulle quattro zampe e caricarli, ma prima che potesse abbassarsi, in quell’attimo in cui era ancora parzialmente girato verso la parete, Alea scoccò una freccia che andò a piantarsi nell’occhio sinistro dell’avversario, che lanciò un possente ruggito. Il dardo fu seguito da altri due lanciati all’unisono che andarono a mutilare ulteriormente il bulbo oculare del nemico. Furibondo, il behemoth si voltò verso l’elfa e ruggì, liberando una potente folata di vento che la premette contro la parete. Stava per schiacciarla con una zampata, quando fu fermato da una mina lanciata da Siirist che esplose al contatto con il corpo del mostro. Questo non se ne curò e fece per abbattere la sua zampa sull’elfa, ma aveva comunque perso qualche secondo ed ella non era più contro la parete. Si voltò verso sinistra e la vide correre con un’ennesima freccia pronta. Irato, il behemoth ruggì, scatenando una seconda pioggia di saette, e girò su se stesso per colpire con la coda Ilyrana, che però balzò e mise un piede su di essa, usandola come pedana e saltando ancora più in alto, fino a raggiungere il livello del viso del mostro, e scagliò il suo dardo in direzione dell’occhio destro. Il behemoth non fu però colpito, perché ruggì spaventosamente, liberando una seconda folata di vento contro la fanciulla, facendola finire oltre il dirupo.

«Alea!» proruppe Siirist agitato.

Non preoccuparti, ho fermato la caduta piantando la spada nella roccia. Datemi un minuto e sono di nuovo su.

Siirist fu sollevato da quello parole, e si rimise in posizione, pronto assieme all’amico a combattere il mostro. Questo si voltò verso i due e ruggì, liberando energia nel terreno, come fu subito percepito da Gilia, che afferrò l’amico per il cappotto e saltò via, evitando di essere impalato da un acuminato spunzone di roccia.

«Giusto, non l’aveva usata finora, mi ero scordato che usa pure magia di terra. Fortuna che abbiamo il nostro esperto qui.»

«Potrai complimentarmi quando lo avremo ucciso, ora pensiamo a salvarci la pelle.»

«Non potrei essere più d’accordo.»

I due Cavalieri corsero verso un punto dello spiazzo in cui non erano mai andati prima durante lo scontro, in modo da avere un punto in cui erano piazzate due mine tra loro ed il mostro che, come anticipato, ci corse sopra, attivandole. Finalmente parve risentire delle potenti esplosioni che lo avevano colpito, ed inciampò e cadde, per l’enorme soddisfazione dei ragazzi, che colsero subito l’occasione per corrergli incontro. Ma purtroppo, come Siirist aveva predetto, non si muovevano bene come avrebbero fatto su un terreno pulito e al livello del mare, a causa dell’aria rarefatta e della neve al ginocchio. Anche Alea, ad esempio, non sarebbe stata colpita dalla codata, se si fosse potuta muovere al meglio. Dovevano terminare lo scontro al più presto, o si sarebbero trovati nei guai. Il behemoth ebbe modo di riprendersi prima di essere raggiunto a scatenò una violenta bufera di neve che gelò ulteriormente i ragazzi, facendoli cadere in ginocchio, tremanti. Così facendo aveva però dato le spalle ad Alea, che aveva aspettato il momento più adatto per ritornare su e scoccò una freccia con legata una corda ai piedi dei due ragazzi, che con difficoltà tesero la mano ad afferrarla, ed ella tirò, salvandoli da una letale zampata che li sfiorò appena, che però sollevò una poderosa sferzata di vento, facendo loro perdere l’equilibrio. Scivolarono, così, sulla schiena, passando sotto al petto e al ventre della bestia, e arrivarono ad un metro da Alea.

«Bello strattone.» disse un po’ sconvolto Siirist.

Il behemoth si era nel frattempo voltato e stava caricando una nuova scarica di saette, la quale si abbatté violentemente sull’area pochi secondi dopo. I tre Cavalieri evitarono tutti i fulmini, e Alea tese anche il suo arco, scoccando due frecce contemporaneamente verso l’occhio destro del mostro, questa volta centrandolo in pieno. Ruggendo selvaggiamente, il behemoth impennò, liberando ulteriore energia nell’aria e generando una tempesta tre volte più potente rispetto a quelle precedenti, ed i Cavalieri dovettero stare attenti al massimo delle loro capacità per riuscire a schivare tutti gli attacchi. Ma quando il mostro ritornò con le zampe anteriori a terra generò un terremoto di media potenza che fece perdere l’equilibrio ai suoi tre assalitori, e non furono quindi in grado di evitare le saette, venendo fulminati gravemente. Indeboliti, caddero a terra, la pelle annerita e fumante, scariche elettriche che ancora percorrevano i loro corpi. Il loro sistema nervoso era rimasto parzialmente paralizzato ed avevano grandi difficoltà a muoversi. Siirist lottò con tutto se stesso per alzarsi, ma tremava violentemente. Guardò verso i due amici e vide Gilia nella sua stessa situazione, ma i movimenti del moro erano anche più deboli dei propri, mentre Alea era totalmente immobile. Temendo il peggio, cercò di concentrarsi e di raggiungerla mentalmente, ma la sua mente era annebbiata. Fu solo grazie al suo attento occhio da ladro che la vide respirare, seppur debolmente, e per il momento si tranquillizzò. Ma cambiò subito stato d’animo quando vide il behemoth caricare verso di lei. Il tempo parve fermarsi ed egli vide l’immagine della sua amata ridotta ad una poltiglia, un’ammasso irriconoscibile di carne e sangue schiacciato sotto l’imponente zampa del mostro. Un’improvvisa vampata di rabbia lo percorse, ed emettendo un poderoso ruggito Siirist si rialzò, Beleg runia ben stretta nella destra, le pupille allungate verticalmente e la pelle intorno agli occhi che pareva spaccata, liberando una potente ondata di energia che colpì l’intera area; Gilia smise di muoversi e perse completamente i sensi, così come il behemoth, che capitolò. Ma la forza che aveva messo nel suo slancio non si disperse, e scivolò in avanti, minacciando di investire l’elfa. Così Ryfon scattò e raggiunse l’amata prima del mostro, ma accorgendosi di non avere il tempo di evitare la bestia, si limitò a calciare la fanciulla fuori dalla traiettoria del behemoth una frazione d’istante prima di venire travolto, e cadde assieme a quello nel precipizio. Come aveva fatto Alea, il ragazzo fermò la sua caduta piantando la spada nella roccia, ma l’improvvisa ondata di vitalità che lo aveva percorso quando aveva visto la fanciulla in pericolo lo aveva abbandonato, le pupille e la pelle ritornate normali, e stava gradualmente perdendo la presa dell’impugnatura. Quell’attacco fulminante lo aveva finito ed aveva messo i compagni nella stessa situazione, era stato fortunato ad essere riuscito a salvare l’elfa. E per la prima volta notò che quella scarica di adrenalina che gli aveva permesso di rialzarsi non era stata normale, e gli ritornarono in mente lo scontro con il demone grem e la battaglia di Zanarkand, dopo che l’elfo oscuro aveva atterrato i due draghi con una magia gravitazionale. E perché il behemoth aveva perso i sensi? Per non parlare del modo strano in cui gli aveva battuto il cuore mentre correva a salvare Alea, in un modo selvaggio, si era sentito quasi animalesco, non per niente aveva calciato la fanciulla. Certo, si trattava del modo più rapido per levarla da quel punto, ma di norma non lo avrebbe mai nemmeno preso in considerazione, invece in quel momento i suoi istinti erano stati più attivi della sua ragione. Mille dubbi e pensieri gli turbinavano attorno al trono nel suo mondo interiore mentre le dita lentamente scorrevano verso il basso attorno all’impugnatura cilindrica della spada, la forza di gravità che lo tirava già per i piedi verso il punto in cui si era schiantato il behemoth. Non sarebbe resistito ancora a lungo, la sua presa quasi persa. Strinse i denti ed emise un verso di disperazione, quando sentì nella mente la familiare sensazione che gli era mancata in quella settimana.

‹Soccorso in arrivo!› disse la ruggente voce di Rorix.

‹Perché ci hai messo tanto?!›

‹Prenditela con Althidon, è lui che si è “dimenticato” che stavate affrontando un behemoth!›

Ryfon si lasciò andare e l’Inferno si buttò in picchiata, arrivando sotto il suo Cavaliere e prendendolo al volo.

‹Ahia! Senza sella sei scomodo!› si lamentò, massaggiandosi la zona pubica.

‹Osi pure lamentarti, ingrato che non sei altro?›

‹Gli altri?› disse mentre estraeva la spada dalla roccia e la riponeva nel fodero.

‹Sono andati dai loro Cavalieri; ve la siete vista brutta, eh? Anche Gilia è stato messo fuori gioco, è sorprendente, pensavo foste più vicini in quanto a resistenza. Pare abbia sopravvalutato gli Incubo e i loro Cavalieri, si vede che noi Inferno siamo davvero i migliori!› ridacchiò pomposo il drago rubino.

‹Gilia non è svenuto per colpa del behemoth. Credo di essere stato io.› disse piano, il tono cupo.

‹Che vuoi dire?› chiese facendosi subito serio.

‹Non lo so bene, ma so per certo che Evendil mi deve qualche spiegazione.›

Raggiunsero lo spiazzo e trovarono i draghi ad aspettarli con i rispettivi Cavalieri al sicuro nella salda presa delle loro zampe anteriori. Siirist smontò e si avvicinò barcollando agli amici.

‹Come stanno?› domandò il biondo al drago nero.

‹Bene. Gilia dovrebbe svegliarsi tra poco, mentre Alea è un po’ più grave, ma comunque non è in pericolo di vita.›

‹Che sollievo.›

Stupido galletto, come hai osato calciare il mio Cavaliere?!› disse arrabbiata l’isterica voce di Eiliis, che fece tremare l’intera scatola cranica di Ryfon.

Questi si massaggiò le tempie, l’espressione contrariata, mentre cercava di trattenersi dallo scadere allo stesso livello della dragonessa e di risponderle a tono.

Forse perché era l’unico modo di salvarla, non credi? Non so se hai notato, ma mi sarei più o meno sacrificato per salvarla, sono stato fortunato che Rorix è arrivato in tempo per salvarmi. Non si può dire lo stesso di te: sarebbe stato più utile un pinguino, che è anche più veloce di te a volare, se vogliamo dirla tutta.

Logicamente fallì miseramente nel suo tentativo.

Brutto...!

E finalmente, dopo quello che probabilmente era il centesimo, o anche millesimo battibecco, Eiliis perse completamente la pazienza, e con un poderoso ruggito balzò verso il giovane, dopo aver appoggiato Alea sulla soffice neve. E fu in quel momento che Siirist assistette ad una scena memorabile: con un ruggito più possente di un tuono, Rorix saltò oltre il ragazzo, avventandosi su Eiliis e schiacciandola a terra, la zampa sinistra che la teneva bloccata sul petto, la destra che le premeva sulla gola, le fauci socchiuse a pochi millimetri dall’occhio sinistro della dragonessa, saliva che colava mentre un feroce ringhio ne usciva.

Non osare mai più attaccare il mio Cavaliere.› mormorò con tono minaccioso, una piccola fiamma tra le zanne.

Asthar era immobile, impassibile, mentre Eiliis fissava terrorizzava l’Inferno che la sovrastava. Per la prima volta, Siirist pensò quanto Rorix fosse terrificante. Lui stesso era rimasto pietrificato, tanto quell’immagine lo aveva sconvolto. La paura nel vedersi attaccato dalla dragonessa non lo aveva nemmeno sfiorato, tanto era stata spazzata via quella nel vedere il re dei draghi in tutta la sua superiorità. Non era mai stato così, tutte le volte che si erano scontrati loro due, nemmeno a Zanarkand contro dei veri nemici. Deglutì e si avvicinò al compagno, toccandogli la zampa posteriore sinistra.

‹Non importa, lasciala andare.›

Rorix lo ignorò e continuò a ringhiare, la fiamma nella sua bocca che si faceva più intensa, tanto che il calore era sufficiente per far sciogliere la neve che circondava il drago di Alea.

‹Rorix, smettila. Credo abbia capito, non va bene che litighiate così, siete compagni.›

‹No, Siirist, noi non siamo compagni. Ancora non hai capito niente di noi draghi? Noi siamo solitari. I nostri unici compagni di vita sono i nostri Cavalieri, e l’unico motivo per cui andiamo d’accordo tra di noi è perché voi siete amici. Ma se provi ancora a solo sfiorare Siirist, ti strappo la gola a morsi.› disse poi, rivolgendosi alla dragonessa.

Ho capito.› rispose con un filo di voce, il tono piatto.

‹Ecco, hai visto? Te lo avevo detto, ora lasciala andare, che è meglio che Althidon dia subito un’occhiata ad Alea. E io devo trovare Evendil, andiamo.›

Rorix si spostò e liberò la dragonessa, che immediatamente raccolse Alea e volò in direzione della roccaforte, seguita da Asthar, mentre Siirist ritornò in groppa al drago rubino.

‹Alea sarà furiosa.› commentò disperato.

‹Problema tuo.›

‹Pensavo mi volessi difendere!›

Siirist era troppo stanco per cercare mentalmente la presenza di Evendil, così lasciò fare a Rorix, che lo individuò nel giro di un minuto. Ma il tono con cui comunicò a Siirist la locazione dell’elfo parve strano al ragazzo, così indagò.

‹Quello è il punto in cui Zelphar ci ha detto di non andare mai durante questa settimana.›

‹Come mai?›

‹È la tana del branco di behemoth che controlla questa parte della montagna.›

‹Cosa?!›

‹E la cosa più strana, è che non percepisco la presenza di nessun essere vivente a parte Evendil.›

‹Fai in fretta, non mi importa se mi si schiacciano le palle con il volo.›

Raggiunsero il mezzo dunmer in cinque minuti, e lo trovarono in uno spiazzo circondato da alte pareti di roccia con molte caverne, e nel centro di questo si trovavano ammassati cadaveri su cadaveri di behemoth. A Siirist cadde la mandibola, non riuscendo a concepire quella vista. Era vero che non avevano usato le arti mistiche, ma lui ed i suoi amici erano pur sempre dei Cavalieri dei draghi molto forti, ed era stato necessario tutto il loro impegno per eliminarne solamente uno, e per di più era stato solo grazie ad un colpo di fortuna, mentre il mezzo bosmer ne aveva uccisi da solo almeno una trentina?!

 

L’elfo stava seduto sopra ad un mucchio di mostri, il suo grimorio alla mano. Concentrato com’era nello scrivere, non si era accorto dell’arrivo di Siirist e Rorix, ed aveva continuato il suo esame mentale della battaglia appena conclusa.

«Solo cinque minuti, eh...?»

 

 

 

 

~

 

 

 

 

 

Non so davvero come scusarmi. Il prossimo capitolo è pronto, comunque, e lo pubblicherò giovedì. Dopodichè ci sarà molto probabilmente un’altra pausa, perché ho appena iniziato il capitolo successivo al prossimo. E, assieme ai due che seguono, fa parte di una delle tre grandi battaglie, per cui deve essere perfetto.

 

Ringraziamenti:

  1. franky94. “ci hai fatti penare per questo capitolo eh? XD” beh, posso dire di essermi superato con questo! Quanta attesa, non mi sorprende che perdo lettori! Come vedi, ho optato per ciò che mi hai suggerito tu per il titolo!
  2. Nestming. Ovvio che sei stato citato! Ringrazio sempre i miei lettori! E lo faccio così, a fine capitolo, perché è il modo in cui lo faccio da quando scrivo su questo sito, quindi da prima che venisse introdotta l’opzione della risposta alle recensioni. Anche tu che dici dell’attesa... Cosa è stato attendere questo capitolo, allora?? Dici che Siirist perde la scommessa? Sbagliato! Il prossimo capitolo segnerà la conclusione del voto di castità!

 

Il prossimo capitolo si intitola FINE SETTIMANA DI ROMANTICISMO, e sarà pubblicato il 28/7. E il giorno dopo me ne ritorno in Cina per altri quattro mesi, ma ho già visto che posso accedere al sito da lì, quindi nessun problema per le pubblicazioni. L’unico impedimento sarebbe il non avere i capitoli pronti!

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** AMORE SOTTO I FUOCHI ***


AMORE SOTTO I FUOCHI

 

Chiuso il grimorio, Evendil ritornò ad essere attento come suo solito e percepì istantaneamente la presenza di drago e Cavaliere alle sue spalle.

«Oh, Siirist, come è andato il vostro scontro con il behemoth? State tutti bene, spero. Ti chiedo scusa se non sono stato attento, ma, come puoi ben vedere, io stesso ho avuto un po’ da fare. E tanto c’era Zelphar a vegliare su di voi, quindi non correvate pericoli.» disse tranquillo, come se niente fosse.

«Sì, tutto a posto, ma qui... cos’è successo qui...?» disse lentamente, le parole che uscivano da sole, il cervello disconnesso, ancora troppo colpito da ciò che vedevano i suoi occhi.

«Lunga storia. Vogliamo andare?»

Conscio del fatto che Evendil non gli avrebbe mai detto come avesse fatto ad uccidere da solo tutti quei behemoth, Siirist scosse la testa e decise di concentrarsi sulle cose serie.

«Evendil, aspetta un momento, devo parlarti della battaglia con il behemoth.»

«C’è tempo. Andiamo in ordine: devi andare a dire ai tuoi amici lupi che il behemoth è morto. Fai quello prima, noi ci vediamo alla roccaforte, parleremo lì.» disse incamminandosi.

Siirist sbuffò, stanco del modo in cui l’elfo evitava sempre quell’argomento. Sicuramente gli aveva penetrato la mente e aveva visto di cosa il ragazzo volesse parlare, motivo per cui aveva rimandato. Scosse la testa e montò in groppa a Rorix, che decollò e si diresse verso la tana dei lupi, atterrando un chilometro più lontano, per non allarmarli, ed assunse le dimensioni di un gatto, appollaiandosi sulla testa del Cavaliere. Questi raggiunse le terme, accolto dal branco di canidi, che si aprì per permettere il passaggio dell’umano, che entrò nella grotta dove trovò il lupo bianco.

«Tranquillo, è tutto a posto ora, lo abbiamo ucciso.»

Tutti i lupi presero a scodinzolare contemporaneamente ed alcuni ulularono felici. Il capo branco si avvicinò al ragazzo e si sedette di fronte a lui, scodinzolando allegramente con la lingua di fuori. Sorridendo, Siirist gli accarezzò la testa, per poi raccogliere tutti gli oggetti che Althidon aveva dato a lui e ai suoi compagni e rimetterli nello zaino. Seguito dalle fiere, Ryfon uscì dalla grotta e Rorix assunse le sue dimensioni reali, nella paura generale, ma subito gli animali si tranquillizzarono alle parole del Cavaliere; salutò il lupo bianco e montò sull’Inferno, ed entrambi ritornarono alla roccaforte.

 

Un’ora più tardi, Siirist era immerso nell’acqua a settanta gradi, beandosi di quella meraviglia. Per una settimana non si era lavato, nemmeno i denti, e poterlo finalmente rifare era stato un piacere indescrivibile. Persino l’alito e le ascelle di Alea avevano incominciato a non profumare dopo tutto quel tempo, per la sorpresa dei due umani. Non che il dormire in mezzo a dei lupi aiutasse con l’igiene. Ryfon si rigirò ancora nell’acqua bollente e si addormentò.

 

Passarono due giorni e Gilia finalmente si riprese. Grazie alla resistenza derivata dal suo legame con Asthar, non aveva riportato danni troppo gravi ed il suo fisico, aiutato dalla magia curativa di Althidon, si era ristabilito in poco. Non era lo stesso per Alea, non avendo lei un legame con un drago superiore, ma sia Althidon che Evendil avevano assicurato che non fosse in pericolo di vita. Siirist era stato per tutto il tempo accanto al suo letto, trasferendole la sua energia, sperando che il suo vigore di Cavaliere d’Inferno potesse aiutarla, anche se di poco. Egli era ancora impressionato dalla potenza del mostro che avevano affrontato: un elfo comune sarebbe stato ridotto in cenere da quei fulmini; un umano sarebbe finito anche peggio.

Barcollando e sostenuto dal drago nero, Gilia si affacciò alla porta e salutò l’amico.

«Spero tu mi abbia degnato di qualche visita almeno una volta.» disse con tono sarcastico.

«Sì, una.» rispose assente senza nemmeno voltarsi.

«Amico di merda.»

«Stavi benissimo, non c’era di che preoccuparsi. Lei invece è messa molto peggio.»

«Vero. Ti do una mano.» e si inginocchiò per passare anche un po’ della sua energia all’elfa.

«Sicuro sia saggio? Ti sei appena risvegliato.» guardò l’amico con espressione preoccupata.

«Sì. Non sto esagerando nel darle la mia energia, ma voglio aiutare un po’ anche io. E non sono certo svenuto per colpa del behemoth, dovresti saperlo bene.» aggiunse serio.

I due si fissarono a vicenda.

«Scusa.» abbassò lo sguardo il biondo.

In quel momento entrò Althidon che fece uscire i due allievi ed i rispettivi draghi, così andarono nella stanza di Siirist ed i due umani si sedettero sul letto, dove continuarono la loro conversazione.

«Allora avevo sentito bene, quell’energia è provenuta da te! Mi spieghi cos’era?»

«Non ne ho la minima idea. È la prima volta che mi accorgo di averla sprigionata, ma facendo due più due, mi rendo che non è la prima volta che la uso.»

«Il tuo fantomatico potere segreto?»

«Può darsi.»

«E quel ruggito?»

«Lo hai sentito anche tu? Credevo di essermelo immaginato.»

«Credo lo abbia sentito ogni essere vivente sul Gagazet. Non sai che cosa sia?»

«Affatto.»

«Ma perché devi avere tutte queste abilità speciali? Non è giusto, sai?»

«Beh, sono il Cavaliere d’Inferno, io sono speciale, dopotutto!»

«Ah sì, Eiliis lo sa bene»

Cadde il silenzio.

«Sì, Asthar mi ha detto tutto. Alea non ne sarà felice.»

«È quello che ho detto anche io a Rorix! Ma mi ha semplicemente risposto che non è un suo problema, come se non ci avesse nulla a che fare, lui!»

«Non hai capito, Alea si arrabbierà con Eiliis. Rorix ha fatto benissimo, Asthar avrebbe fatto lo stesso. E quello che ha detto Rorix è verissimo, loro non sono amici, collaborano perché lo siamo noi. Anche tu, però! Quasi cinque anni e ancora non hai imparato niente! Non puoi andare ad insultare così un drago, è ovvio che non te lo perdoni, sai che sono superbi, no? Eiliis è stata stupida ad attaccarti in presenza di Rorix, ma tu devi imparare a stare zitto!»

«Mi viene detto spesso.»

«Ma non serve a molto.»

«No.» scosse la testa.

Gilia si distese, le mani dietro la testa. Osservava il soffitto come se lo avesse dovuto studiare, come  se leggesse su di esso le parole che voleva dire, scegliendole accuratamente.

«La capacità di far svenire i nemici... È un potere interessante, dovresti imparare a controllarlo.»

«Non fa solo quello.»

«Ah no?!» si sedette di scatto, interessato.

«No: mi dà un incremento di forza fisica e una sorta di preveggenza.»

«“Preveggenza”?»

«Credo. Insomma, ricordo che contro il grem ho visto i suoi attacchi prima che li portasse veramente a compimento, e lo stesso contro uno degli elfi oscuri a Zanarkand. E contro il behemoth ho visto chiaramente l’immagine di Alea schiacciata dal mostro, cioè ciò che sarebbe successo se non mi fossi sbrigato a toglierla di mezzo.»

«Bastardo, tutte tu le cose belle. Io neanche ho una ragazza.»

«E Selena, scusa?»

«Sì, mi piace, ma non c’è quella cosa speciale che c’era con Deria e che avete tu e Alea. E poi lei dice che è troppo vecchia per me e che quindi non vuole prenderla più seriamente, ma che è solo divertimento.»

«Che stronza.»

«Non che ora io la veda come una cosa seria, però c’è sempre la possibilità che lo diventi, se solo non fosse così ostinata a tenerla semplice. Ma va beh, se non vuole non c’è niente che possa fare. Non sto mica a piangermi addosso per lei!»

«L’importante è quello.»

Gilia continuò a fissare il soffitto, forse vedendoci il volto di Selena, alternato alle parole che voleva dire.

«Dovresti parlarne con Althidon o Evendil.»

«Quando ci provo cambiano sempre discorso. Per questo voglio tenere per me le conclusioni a cui sono arrivato. Non ne parlerò nemmeno con Alea, quindi non proferire parola.»

«Come preferisci.»

 

Passarono altri due giorni e mentre i due ragazzi stavano in una delle vasche da bagno da settanta gradi, Gilia che riutilizzava la magia per renderla accettabile per il suo corpo, apparve dall’arco che dava sulle scale un forte alone di luce bianca che ne uscì e si mosse verso una delle vasche della terza fila.

«Oh, ben svegliata, non mi aspettavo ti riprendessi così presto. Come ti senti?» disse Gilia.

«Più che altro, che stai facendo?» domandò sconcertato Siirist, vedendo quell’accecante sfera luminosa entrare nell’acqua.

«Sono nuda e non voglio che Gilia mi veda, mi pare chiaro. Ho un bisogno impellente di lavarmi, e con il costume non posso farlo bene.»

«Pare giusto. Dopo anche io mi vado a fare una bella doccia, ma ora volevo solo togliermi il sudore.» rispose Corvinus.

«E io rilassarmi. Ma poi è arrivato questo qui.» disse Siirist, la voce leggermente tremolante.

«Che hai? E perché ti stai coprendo tanto...?»

Ma il moro intuiva perfettamente cosa avesse l’amico, ed aveva a che fare con la presenza di un’Alea nuda a solo una decina di metri da loro. Effettivamente anche il suo membro si era fatto vivo a sapere che sotto quell’alone candido ci fosse l’elfa come mamma l’aveva fatta, e che bastava disperdere l’incantesimo per vederla. E per morire. L’unica incertezza era chi lo avrebbe ucciso prima tra Siirist e Alea. Era una bella lotta, perché benché Siirist fosse più vicino, era privato dell’uso della magia e la fanciulla era specializzata in incantesimi dalla lunga distanza. Forse lo avrebbero colpito all’unisono.

«Fai degli strani pensieri.» commentò Ilyrana, che non si preoccupava tanto della privacy altrui.

«Hm, vero.» dovette però concordare il moro.

«Perché, che hai pensato? Ti devo arrostire?!»

«Ti piacerebbe, eh? Invalido nel Flusso.»

«Bastardo.»

E Alea rise nel guardare gli altri due mentre si azzuffavano nella vasca.

 

Un’ora più tardi, Siirist scese nella sala comune con la sua sacca in spalla, con Rorix sul capo.

«Perfetto, ora che siamo tutti qui, possiamo ripartire. Ma non andremo tutti a Vroengard.» esclamò Althidon.

«Come?» Alea non capiva.

«La terza fase dell’allenamento è stata molto dura per voi, perciò ho deciso di lasciarvi liberi per una settimana. Siamo a venerdì, dunque essa è quasi finita, ma per i rimanenti giorni, come richiestomi da Siirist, do il permesso a lui e a te, Alea, di andare a Zanarkand. E Gilia, se anche tu vuoi andare da qualche parte, ad esempio a Cheydinhal, sei libero di farlo.»

«Grazie mille, Maestro.»

Alea non credeva alle sue orecchie e osservava la scena con la bocca socchiusa ed espressione da idiota.

«Nessun problema. Presumo sappiate tutti la strada, perciò ci vediamo alla Rocca. Mi aspetto che siate di ritorno domenica sera; se così non fosse, aspettatevi qualche punizione.»

«Sissignore!» dissero all’unisono Siirist e Gilia.

La fanciulla era ancora troppo colpita, non riusciva a capire che cosa avesse in mente il ragazzo.

Prima di uscire, Evendil si mise in contatto mentale con Siirist.

So che fremi di sapere come hai fatto a sconfiggere il behemoth e che cosa fosse quel ruggito, difatti mi sorprendo che tu non mi abbia tartassato di domande in questi giorni. Te ne parlerò appena sarà il momento, fidati. E non credo che esso sia molto lontano ancora.

D’accordo.

«Beh, io vado. Ci si vede domenica sera.» e anche Gilia seguì i due elfi.

«Siirist, cos’è questa cosa di Zanarkand?»

«È una sorpresa. Voglio che tu conosca Keira e mi piacerebbe avere un momento da solo con te senza rischiare di vedermi Adeo che saluta un suo amante.»

Lei si fiondò su di lui e gli lanciò le mani attorno al collo, stringendolo con un affetto inimmaginabile. Alcune lacrime di gioia le scesero lungo le guance, e lui sorrise felice.

«Ora andiamo, però.»

Lei prese la sua borsa e Siirist sentì che le emozioni le avevano reso la mente meno attenta, così contattò Eiliis.

Non le hai detto niente del nostro diverbio, vero?

... No.› rispose dopo un momento di esitazione.

Dovresti. Non perché voglio che si arrabbi con te, se no glielo direi io stesso, ma perché non è salutare per il vostro rapporto che le tieni dei segreti, soprattutto di questa entità. Non è stupida, se non glielo dici, prima o poi si accorgerà che stai nascondendo qualcosa. Solo ti chiedo di non dirglielo prima della settimana prossima.

Come Vulcano, farei di tutto per il mio Cavaliere, non mi passa nemmeno per la testa di rovinarle questo momento.

Bene.

«Cosa state discutendo voi due?» si voltò con sguardo indagatore Alea.

«Stavamo solo constatando quanto fosse bello che ti fossi ripresa così bene.»

Ilyrana sorrise, un sorriso così bello e splendente da far fiorire fiori in pieno inverno.

«State finalmente diventando amici?» disse felice.

«Ci siamo lavorando.» rispose accarezzando la testa bianca.

Senza che l’elfa se ne accorgesse, Rorix lanciò uno sguardo intimidatorio alla dragonessa, ma a questa non passò nemmeno per l’anticamera del cervello di rigirarsi contro il biondo. Al contrario, abbassò la testa, lo sguardo perso: pareva sentirsi in colpa. I due bipedi uscirono assieme ai compagni dalla roccaforte e questi assunsero le loro dimensioni reali, per poi essere montati dai rispettivi Cavalieri. Volarono in fretta verso nord-ovest e in un’oretta circa raggiunsero l’ospedale centrale dove Siirist era stato ricoverato dopo essere crollato un mese prima. Tutti i presenti guardarono i Cavalieri con ammirazione, alcuni bisbigliavano e altri indicavano e evidentemente la voce del ritorno del Cavaliere d’Inferno aveva girato molto rapidamente, perché non passarono nemmeno tre minuti che videro il primario correre verso di loro; dopo averli raggiunti, si piegò in avanti, trafelato.

«Buongiorno, Cavalieri, cosa posso fare per voi?»

«Buongiorno a voi, primario. Sono qui per vedere Keira.»

«Ah, la dottoressa Vala, certo. Sono desolato, non lavora più qui.»

«Come mai?»

«Sta lavorando a palazzo. A quanto pare il nobile Glallian è entrato in un serio stato di shock dopo la violenta morte della madre e fra tutti gli esperti che hanno cercato di farlo riprendere, l’unica a riuscirci è stata la dottoressa Vala, ma non conosco ulteriori dettagli. Potete sempre andare a palazzo, sarete certamente accolti con molto onore. E chiedo scusa, nobile elfa, per non essermi presentato prima, io sono il primario dell’ospedale, Duvanius Falco.» e porse la mano.

«Alea Ilyrana.» rispose un po’ sconcertata lei, ricambiando comunque la stretta.

Siirist fu felice nel vederla non curarsi troppo della completa ignoranza del primario dei modi degli elfi e di non trasformarlo in una statua di ghiaccio.

«Allora noi andiamo a palazzo, chiedo scusa per il disturbo.»

«Quando volete, Cavaliere d’Inferno.»

Nel loro ritorno all’ingresso principale dell’ospedale, i due Cavalieri furono nuovamente osservati con ammirazione e curiosità, e una volta usciti, montarono subito in sella ai draghi e si diressero al palazzo. Siirist rimase stupito nel vedere come fosse stato completamente riparato, come non fosse accaduto niente, ma sapeva già che l’atmosfera al suo interno non era altrettanto serena.

«L’aria qui intorno non mi piace, mi dà i brividi.» mormorò Alea.

«Di cosa parli?» il ragazzo si voltò verso di lei, la fronte corrugata, lo sguardo serio e preoccupato.

«Si riesce ancora a percepire la presenza maligna degli spettri e degli elfi oscuri, e la negatività nata dalla vostra battaglia e dai numerosi morti.»

Siirist continuò ad osservare la fanciulla, la sua sensibilità che lo colpiva sempre di più: non era da tutti riuscire a percepire così bene l’energia e gli influssi nell’aria. Atterrarono di fronte all’ingresso principale, tra i commenti generali, e tutti i presenti si inchinarono. Siirist vide che il numero di guardie, tutte nuove, era già grande, ma ancora insignificante se paragonato a quello di prima del massacro della mattina del 3 gennaio. Perché di quello si era trattato, e non di una battaglia. Uno dei ministri di corte, che Siirist aveva visto di sfuggita nella sua ultima visita, che stava esaminando la fontana appena ricostruita dell’atrio, appena notò l’ingresso di draghi e Cavalieri, corse loro subito incontro.

«Cavaliere d’Inferno e, naturalmente, potente Inferno, è un onore accogliervi di nuovo nel nostro palazzo. Purtroppo, per quanto non lo possa sembrare, la situazione è ancora molto tesa, perciò non potremo assicurarvi un’ospitalità degna. Ed è un onore, senza offesa per voi, Cavaliere d’Inferno, ancora più grande conoscere di persona la figlia della famiglia Ilyrana, il mio nome è Terius Dumenius.» si inchinò con rispetto.

«Come fate a sapere chi sono?» domandò piacevolmente meravigliata.

«Le voci sulla vostra bellezza hanno fatto il giro di tutta Tamriel, ma temo non le facciano giustizia. Inoltre il vostro drago è bianco e siete in compagnia del Cavaliere d’Inferno. Questi tre fattori mi hanno fatto dedurre con sufficiente sicurezza chi foste.»

«Molto acuto.» commentò impressionato Siirist.

«Ma non voglio trattenervi troppo al lungo; siete qui per vedere il granduca?»

«Non esattamente. Ci è stato detto all’ospedale che Keira Vala ha iniziato a lavorare qui.»

«Naturalmente. È una vostra amica d’infanzia, ho saputo. Se siete d’accordo, vi posso accompagnare subito da lei.»

«Ve ne saremmo grati.»

Ma non appena raggiunsero una delle scalinate che davano sul maestoso ingresso, uno dei servitori di palazzo giunse a richiamare Dumenius, che chiese perdono ai due Cavalieri e li salutò, non prima di istruire il servitore di accompagnarli alle stanze di Glallian. Mentre camminavano per le sontuose stanze del palazzo, Siirist poté osservare come, effettivamente, l’atmosfera fosse più lugubre rispetto alla volta prima. Non era una sorpresa che il povero Glallian fosse caduto in uno stato di depressione e Ryfon non poté fare a meno di chiedersi cosa avesse fatto Keira a risollevare il morale del bambino. Il servitore condusse draghi e Cavalieri davanti ad una porta protetta da due soldati, dopodiché si congedò. Le guardie salutarono con rispetto e fecero per annunciare la presenza dei Cavalieri all’interno della stanza, quando caddero a terra addormentati.

«Sei impazzita?! Che stai facendo?!» Siirist si rivolse scioccato ad Alea.

«Fidati, entra silenziosamente, ne vale la pena.» ridacchiò divertita.

Il ragazzo la guardò incerto.

«Avanti, sbrigati. Io ti aspetto qui.»

Fidandosi delle parole dell’amata, Ryfon aprì silenziosamente la porta ed entrò nella stanza utilizzando le sue migliori abilità da ladro. Si trattava di un salottino e dalla parte opposta rispetto all’ingresso vi erano altre due porte. Oltre una di esse, Siirist poté sentire la voce di Keira. Si avvicinò di soppiatto e socchiuse la porta.

«E così, arrabbiato perché il panettiere non gli aveva voluto dare i biscotti, di notte, Siirist entrò nella panetteria e, utilizzando la farina mista alla sua pipì, scrisse cosacce sul conto del panettiere! E ovviamente rubò tutti i suoi biscotti preferiti!»

La risata innocente e spensierata del piccolo Yevon risuonò per tutta la stanza.

«Ma dico, ti sembrano queste le cose da raccontare ad un bambino?» disse ridacchiando Siirist, manifestando la sua presenza.

Aveva un sorrisetto beffardo, assai divertito nel ricordare l’evento raccontato dalla giovane donna.

«Fratellone Siirist!»

Gli occhi di Glallian si illuminarono e in un istante balzò giù dal grembo di Keira e corse ad abbracciare il biondo Cavaliere.

«Ma che sorpresa! Non mi aspettavo certo di rivederti così presto!»

«Lo so! Ho una sorpresa per te.»

Avendo aspettato il momento giusto per presentarsi, Alea fece capolino nella stanza. La sua presenza bastò ad irradiare la stanza, dentro alla quale si diffuse l’odore di rose e vaniglia. Keira rimase a bocca aperta per qualche attimo, ma si riprese in fretta.

«Va bene che non sei mai stato un genio con le parole, però tutto quello che hai detto per cercare di descrivermela non le ha proprio fatto giustizia! E dire che l’hai descritta come l’essere più bello su Gaya!» disse colpita la mora.

«E tu chi sei?» chiese incantato pure Glallian, ma in modo sicuramente più innocente di come lo sarebbe stato un maschio di età più avanzata.

«Ciao, mi chiamo Alea e sono un’amica di Siirist.» si inginocchiò sorridendo.

«Sorellona Alea!» disse contento il bambino, abbracciandola.

Ella non fu nemmeno tanto sorpresa dell’azione, e ricambiò, mantenendosi comunque un po’ distante. Aveva imparato ad essere più tollerante, ma a tutto c’era un limite! Soddisfatto il bisogno d’affetto del piccolo Yevon, l’elfa si alzò ed andò a salutare come si deve Keira. Questa si alzò e le porse la mano, ammirando quanto fosse effettivamente alta la bionda.

«Ehi, ma che è più alta di te?!» derise Siirist.

«Siamo alti uguali!» si indispettì il ragazzo.

«Dovresti imparare la magia organica, almeno così potresti modificarti l’aspetto e farti un po’ più alto; farebbe comodo, non trovi?» continuò nella sua presa in giro.

Alea ridacchiò.

«Felice di starti simpatica.»

Eccola lì, quella era Keira: senza nemmeno curarsi del fatto che Alea fosse un’elfa e un Cavaliere, aveva immediatamente saltato la fase del “voi” ed era passata ad un tono confidenziale. Dopotutto era come una sorella (incestuosa) per Siirist, doveva trovare naturale avere un rapporto intimo con la altmer. Ma sapeva che il suo modo di fare poteva essere risultato irrispettoso per l’elfa, e lo aveva fatto comunque, per cui stava ad osservare la reazione della bionda con un sorrisino interessato. Dopo qualche attimo di silenzio, Alea rispose tranquillamente, senza nemmeno curarsene.

«Sì, ma più che altro mi è piaciuto il commento di Eiliis, che dice che le piaci molto.»

«Perché prendo in giro Siirist? Per favore, lo conosco da quando aveva quattro anni, sono quindici anni che lo faccio!»

«E sei la migliore nel campo, non c’è dubbio.» disse con tono piatto l’interessato.

«Certo! Conosco tante di quelle cose con cui sputtanarti!»

«Che significa “sputtanarti”?» domandò innocente Glallian.

Keira si inginocchiò e gli mise le mani sulle spalle, fissandolo dritto negli occhi.

«Significa rovinare la reputazione di qualcuno. Ma è una di quelle parole che non devi dire, perciò chiudi la bocca e metti via la chiave.»

Il bambino si passò la mano sulle labbra come a chiudere una cerniera, poi la girò come se stesse chiudendo una serratura con una chiave e infine mise l’ideale chiave in tasca. E sorrise.

«Bravo.»

«Ma cosa gli insegni?» scosse la testa incredulo Ryfon.

«Sei il suo idolo, non ti aspetterai che venga su non sboccacciato??»

«È il futuro granduca della più importante città di Spira, spero che non lo diventi!»

«Tranquillo, sa quando può usare certe parole e quando no.»

«Cioè?»

«Quando è con me e quando è con altra gente. Specie suo padre. Non credo sarebbe tanto felice di avermi qui se sapesse cosa gli racconto!»

«Ci credo! Gli insegni parolacce e gli racconti le mie esperienze da delinquente!»

«Ne parli come se fossi una persona diversa. Non fare il santarellino, volpone mio!»

«Cavaliere d’Inferno!»

Tutti i presenti nella stanza si voltarono nel sentire la voce del granduca. Come questi vide che suo figlio era in piedi e sorridente, attraversò la stanza in due falcate e si inginocchiò dinanzi a Siirist prendendogli la mano e appoggiandosela alla fronte: il gesto di sottomissione onorevole all’interno dell’Impero, seguito da un bacio sul dorso della mano se era fatto da un uomo nei confronti di una donna.

«Cosa succede?» il Cavaliere era interdetto.

«Non capisce mai niente...» scosse la testa Keira.

«Ah... capisco... In effetti mi aspettavo di trovare il giovane Yevon in uno stato più catatonico, mentre invece è stato così vivace.» annuì Alea.

«Qualcuno mi vorrebbe spiegare cosa sta succedendo?!»

«Glallian, resta con Keira, io devo parlare con i Cavalieri.»

«Sì, papà!»

Yevon ed i Cavalieri, assieme ai loro draghi, uscirono dalla stanza, e dopo che quegli ed Alea si furono presentati, il governatore spiegò che Keira era riuscita a far uscire, seppure parzialmente, Glallian dal suo stato di shock raccontandogli di Siirist. Il tutto era risultato perfetto, poiché ella si stava specializzando in psichiatria e pediatria ed era un’amica d’infanzia del Cavaliere. Questi, nel sentire che era stata la causa del ricovero di Glallian, si sentì felice dal profondo del cuore.

«La morte di sua madre è stato un evento che ha gravemente colpito mio figlio, ma è un bambino forte, sono certo che con il passare del tempo e con l’aiuto della dottoressa Vala, si riprenderà.» disse con gli occhi lucidi il granduca.

«È un bambino fantastico, ne dovete essere molto orgoglioso.»

«Lo sono. Non potrei chiedere di più dalla vita. Vi sarò eternamente grato per averlo salvato. Ho saputo che a Vroengard avete avuto qualche problema per aver abbandonato la Lama.»

«Non vi preoccupate, non me ne sono mai pentito nemmeno per un istante.»

«Avete la mia più profonda riconoscenza. Ve l’ho già detto, ma ve lo ripeto: non importa per quale ragione, sarete sempre un ospite d’onore in questo palazzo. Ora ditemi, cosa siete venuti a fare a Zanarkand? Per quanto mi farebbe piacere crederlo, dubito siate venuti solo per fare un saluto.»

«A dire la verità è proprio così, volevo presentare Alea a Keira.»

«Capisco. E per quanto vi fermerete?»

«Due giorni, il nostro Maestro ci ha lasciati liberi.»

«Se volete, potete stare qui. Farebbe molto piacere a Glallian e lo stesso vale per me.»

«Vi ringrazio molto, ma speravamo di poter avere anche un po’ più in intimità...»

«Non aggiungete altro. Farò chiamare subito la Stella dei mari, il miglior albergo di tutta Zanarkand, e dirò loro di farvi avere la stanza migliore. Hanno anche un ottimo ristorante lì. E non preoccupatevi delle spese, me ne occuperò io.»

«Siete gentile, ma non possiamo certo accettare...» si intromise Alea.

Ma fu azzittita da Siirist, che alzò il braccio, come per bloccarla. Non era certamente bravo quanto la fanciulla a scrutare le menti, a percepire l’energia nell’ambiente, ma era un ottimo ladro, un ottimo truffatore, un’ottima spia. Tutto questo gli permetteva di “leggere” le persone e in quel momento il granduca era un libro per bambini con tanto di figure, tanto era semplice da “leggere”. Si sentiva in debito con Siirist in un modo che sapeva bene non essere in grado di ripagare in tutta la sua vita e quel gesto di offrire loro due giorni di soggiorno in un albergo di lusso era il suo modo di trovare ogni scusa per dimostrare la sua gratitudine. Siirist sentiva che Yevon sarebbe arrivato al punto di sacrificare la propria vita se significava salvare quella del Cavaliere: Ryfon non era solo colui che aveva salvato Glallian, ma era anche il faro di speranza per il bambino. Alea capì e ringraziò per la gentilezza assieme a Siirist.

 

L’attico della Stella dei mari dentro al quale i due Cavalieri avrebbero alloggiato per due notti era composto da una maestosa sala riccamente arredata che fungeva da ingresso e salotto, con una grande parete di vetro che si affacciava su un balcone; su ogni lato vi erano due porte, due per i bagni, due per le camere da letto. I due ragazzi scelsero la stanza sulla destra e si stavano preparando per scendere a cena, dove avrebbero incontrato Keira e Teryn, il suo fidanzato. Mezz’ora prima uno dei camerieri dell’albergo aveva recapitato due buste per vestiti, all’interno dei quali si trovavano un abito da sera bianco ed uno smoking, gentile concessione del granduca. Keira, che aveva sempre avuto buon occhio per le misure, aveva fatto sapere al governatore quelle dell’elfa e lo aveva anche informato di quelle di Siirist, che già conosceva, e nel giro di quattro ore, Yevon aveva fatto preparare dai suoi sarti dei vestiti della migliore fattura. E assieme ai vestiti, i due avevano ricevuto in dono anche gli accessori da abbinarci. Alea era appena uscita dalla doccia e entrò in camera dal bagno adiacente indossando l’accappatoio e asciugandosi i capelli con un asciugamano. Siirist impose tutto il suo autocontrollo per non saltarle addosso: già aveva dovuto trovare una scusa per non andare a docciarsi con lei come ella stessa aveva proposto. Ma no, doveva resistere: la notte era ormai vicina. Per distrarsi, cercò di intraprendere una conversazione.

«Com’è che ti stai asciugando “normalmente”? Di solito usi una magia di vento e sei pronta!»

«Perché questo accappatoio è così morbido che me lo voglio godere. Inoltre c’è ancora tempo prima di andare a cena, almeno due ore.» disse sedendosi sul letto accanto a lui, la chiusura sul seno che “casualmente” si era allentata.

‹Non ho mai visto Alea così provocante. Pare che lo voglia proprio! Potrebbe semplicemente dirlo, però.› rise Rorix.

‹Sa che rifiuterei! Non è stupida, ha capito che sto tramando qualcosa, però sa che se mi provoca abbastanza, finisco con il non resistere più.›

‹Se pensi abbia capito che hai in mente qualcosa di speciale, perché credi che se lo voglia rovinare così?›

‹Perché, come hai detto tu, lo vuole. E tanto. E pure io non sono da meno. Un po’ parlami di Fralvia, per favore.›

‹Dunque, Fralvia si sbottona lentamente la camicia, sotto un reggiseno di pizzo nero...› e oltre alle parole, Rorix trasmetteva le immagini mentali, frutto della sua fantasia, direttamente nella testa del Cavaliere.

‹Perfetto, continua così.› disse disgustato, ma le parole, e soprattutto le immagini, avevano sortito l’effetto desiderato.

«Bene, tempo di ritornare ad allenarmi!» e corse sul terrazzo.

Alea, rimasta da sola seduta sul letto, incrociò le braccia e storse la bocca in una smorfia di disappunto. Una folata di vento la avvolse e fu asciutta in un istante.

 

«La vuoi smettere di tenere il broncio?» disse Siirist quasi sbuffando.

L’ascensore con vista panoramica scendeva velocemente dal centotreesimo piano, sul quale si trovava la suite dei Cavalieri, al quarantesimo, interamente dedicato al ristorante.

«No. Sono arrabbiata.»

«Sì, lo vedo, e intuisco anche il perché. Ti manca così tanto?»

«Non so di cosa tu stia parlando!» arrossì.

«Come no. Almeno a cena puoi non essere così acida?»

«Ci proverò.»

Arrivati al ristorante, tutti i presenti in sala, nel vedere i due entrare, si azzittirono, per poi incominciare a bisbigliare. Nonostante i draghi fossero rimasti in camera, la voce della presenza dei due Cavalieri doveva essere girata, e il fatto che Alea fosse un elfo era un indizio in più per rivelare la loro identità.

«Prego, da questa parte.» si avvicinò un cameriere, che disse loro di seguirlo.

Arrivati al tavolo, trovarono Keira ed il fidanzato già seduti. Ella, prima ancora di dire nient’altro, guardò come era venuto l’abito di Alea, lungo fino alle caviglie, stretto lungo le gambe e il bacino, un risvolto all’altezza del seno e le spalline che arrivavano alla metà del deltoide.

«Perfetto. Soprattutto con i tacchi. Vuoi ancora dire che siete alti uguali?» derise Siirist.

«Ha!» disse Alea, prendendolo in giro pure lei.

«Uh, un po’ acidella stasera?» disse divertita Keira.

«Lo conosci bene, dovresti sapere che sa essere irritante.»

«Ah, sicuro.»

Ignorando completamente le due donne, Siirist si avvicinò al compagno dell’amica e gli porse la mano.

«Piacere, Siirist.»

«Teryn. È un onore conoscervi, Cavaliere d’Inferno.» rispose al gesto, alzandosi in piedi.

«Chiamami Siirist, è come mi sono presentato.»

«Che è tutto questo rispetto? Si vede che non lo conosci...» scosse la testa la dottoressa.

«E piacere di conoscere anche voi, nobile elfa.» porse la mano.

«Alea.» rispose ricambiando la stretta.

I Cavalieri si accomodarono ed immediatamente giunsero due camerieri, uno con i menù e uno con del prosecco, che versò nei bicchieri dei quattro clienti.

«Chiedo scusa, avete per caso della mielassa?»

«Sono desolato, nobile elfa, ma la nostra è una cucina prettamente umana. Se l’albergo è di vostro gradimento e decidete di ritornare, potete farci sapere in anticipo e potremmo procurarcela per voi.»

«Non importa, grazie.»

«Alea, la mielassa non sta bene con il tipo di cibo che hanno qui.» fece notare Siirist.

«Fai silenzio, sta bene con tutto.» rispose indispettita.

Stanco dell’atteggiamento della fanciulla, Siirist le mise la mano sulla coscia e la accarezzò come solo lui sapeva fare.

«Non pensare nemmeno di ubriacarti: ti voglio sobria questa notte.»

Alea arrossì leggermente e sorrise, così come fece Keira, ma il suo era più furbetto.

«Che ridi tu?»

«Dimentichi che studio magia? Parlo elfico ora, mio caro.»

«Giusto.»

Alea si imbarazzò.

«Come se non avessi capito perché eri di cattivo umore prima!» la prese in giro.

L’elfa si imbarazzò anche di più.

«Sareste così gentili da includermi nei vostri discorsi?» si lamentò Teryn.

 

La cena passò tra risa e racconti, e Siirist scoprì che Teryn aveva ventisei anni e faceva l’architetto. Originario di Arcadia, si era trasferito a Zanarkand perché si trattava della città con l’architettura più all’avanguardia ed era propensa ad espandersi sempre di più. In particolare era specializzato nel garantire un aspetto naturale, dunque tutto ciò che progettava aveva sempre grosse aree verdi. Per lo stupore di Alea, Teryn era stato a Rivendell e la sua architettura lo aveva influenzato. I suoi progetti erano infatti caratterizzati da evidenti influenze altmer, perfettamente unite allo stile delle Città delle Macchine. Dopo il dolce, le due coppie si salutarono, mettendosi d’accordo per incontrarsi l’indomani, ed i Cavalieri ritornarono alla loro stanza.

«Mi piace.» disse contento Siirist.

«Li vedo bene insieme.» concordò Alea.

«Che sollievo, conoscendo il tipo, mi immaginavo rimanesse zitella a vita. Per fortuna ha trovato uno come lui.»

«Le sei molto affezionato, vero?» sorrise felice.

«Sì, è la mia unica amica d’infanzia. Tu? Non mi hai parlato della tua vita a Rivendell.»

«Perché non c’è molto di cui parlare, sono stata cresciuta da mio padre seguendo un rigido addestramento. Ti sorprende?»

«Giusto.»

Entrambi si erano spogliati, dandosi reciprocamente la schiena, ed avevano indossato le vestaglie trovate sopra ai rispettivi cuscini. Siirist aveva ordinato una bottiglia di spumante e lo stava versando nei bicchieri, quando il cielo notturno si illuminò di vari colori, quando centinaia di fuochi d’artificio esplosero all’unisono. Meravigliata, Alea, che non li aveva mai visti, quasi corse alla finestra e rimase a bocca aperta ad osservare lo spettacolo. Sorridendo divertito, Siirist prese i due bicchieri di spumante e passò il braccio destro oltre le spalle della fanciulla, porgendole il bicchiere all’altezza del petto. La strinse a sé ed insieme, sorseggiando lo spumante, osservarono lo spettacolo pirotecnico. E lentamente avvicinò le labbra alla guancia di lei e la accarezzò delicatamente, spostandosi poi verso l’orecchio, dandole piccoli bacetti ad ogni millimetro. E infine, in un sussurro, pronunciò le fatidiche parole:

«Ti amo.»

Alea lasciò andare il bicchiere e si voltò di scatto verso di lui, ignorando completamente i fuochi che fino a cinque secondi prima l’avevano rapita, dimenticandosi di tutto quanto, e prese il viso del giovane fra le mani, mentre con vigore, passione e tenerezza lo baciava. Le braccia attorno alla vita dell’elfa, Siirist la strinse, ed i due continuarono a baciarsi sotto i fuochi d’artificio. Quando alla fine Siirist non riuscì più a resistere, portò le mani sotto il sedere di lei e la sollevò, adagiandola sul letto e stendendosi sopra di lei. Slacciò il nodo della vestaglia e la aprì, rivelando il perfetto corpo di lei. Scese dalla bocca al collo, al petto, al capezzolo, al ventre, sempre più in basso. Entrambi avevano atteso a lungo, entrambi lo volevano più di qualunque altra cosa al mondo.

«Amami.» disse leggera lei.

E senza nemmeno slacciarsi la vestaglia, Siirist riportò il suo corpo all’altezza di quello di lei e la penetrò.

 

All’interno della valle nella zona privata della mente di Alea, il falso Siirist era seduto accanto al melo, intento a fissare il laghetto. Gli occhi suoi e quelli del Siirist nel ritratto avevano due luci completamente opposte. Nel momento in cui il vero Siirist aveva preso in bocca il capezzolo dell’elfa, la superficie del laghetto si era increspata e gli occhi del falso Siirist si erano illuminati, un sorriso maligno sul volto. Quando il vero Siirist aveva messo la testa tra le gambe di Alea, la superficie dell’acqua si era increspata anche di più, quando l’aveva penetrata era quasi esplosa e il calmo laghetto pareva ora un mare in tempesta. Ed infine arrivò il momento che il Falso aveva atteso: con l’orgasmo dell’elfa, le acque del laghetto si erano divise in due e con l’orgasmo dell’umano, sul fondale era comparsa la sala del trono della torre interiore del Vero.

«Finalmente.»

E vi saltò dentro, le acque che si richiusero sopra di lui.

 

Passarono alcuni mesi, durante i quali il Flusso vitale di Siirist si ricostituì completamente, ma provava alcune difficoltà a richiamarlo. Creare il fuoco non gli veniva più naturale come un tempo, ed era ritornato al punto in cui doveva pronunciare le parole elfiche. Essendo il suo il primo caso nella storia in cui era successa una cosa simile al Flusso, nessuno riusciva a spiegarsi se ciò era dovuto al Flusso inibito per qualche motivo o a Siirist che, non avendo mai avuto un particolare talento per la magia, non essendosi tenuto in allenamento per sei mesi circa, aveva dimenticato come utilizzarla naturalmente. Inoltre, giunse la notizia preoccupante che la Setta dello Scorpione aveva attaccato Ellesmera ed era riuscita ad appropriarsi dell’Elsa. Fortunatamente il numero di vittime non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello del massacro di Zanarkand, nonostante venti Cavalieri ed i loro draghi avessero perso la vita, ma la cosa preoccupante era che la Setta era entrata in possesso di due delle tre parti della Spada; la sicurezza a Vroengard era stata incrementata, con molti Cavalieri richiamati dal resto di Tamriel.

La notte del 7 giugno, Siirist ebbe un sogno molto strano, in cui vide una figura alta dalla pelle pallida, con lunghi capelli rosso sangue, iridi dello stesso colore, e grandi ali piumate nere. Sorrideva con aria maniacale, gli occhi che emettevano una luce sadica, e tendeva una mano in avanti. Ryfon aprì gli occhi, provando una brutta sensazione. Non era la prima volta che faceva un sogno del genere, sentiva che era come quello che aveva fatto a Zanarkand prima dell’attacco degli Scorpioni. Si guardò intorno, tutto era buio, se non per la fioca luce dei lampioni che entrava dalle finestre. La sveglia segnava le 01:14. Si passò una mano sulla faccia, per poi sedersi. Non aveva più sonno, i suoi istinti che gli dicevano che c’era qualcosa che non andava. Decise di andare a prendere un po’ d’aria, così indossò un paio di calzoni, un paio di stivali e si diresse alla porta. Prima di arrivarvi, con la coda dell’occhio notò Beleg runia e, la mano sulla maniglia, si fermò a guardare la sua arma. Decidendo che non poteva fargli male portarsela dietro, alzò la mano e richiamò dieci douriki di Flusso nel suo palmo destro.

«Il vento mi porti la spada.»

Legandosi alla vita la cintura, il biondo uscì dalla stanza ed assaporò l’odore dell’aria marina in estate. Era diventato caldo, allenarsi era sempre una sofferenza, difatti preferivano sempre le lezioni teoriche, ma era certamente meglio che il Gagazet. Aveva camminato per circa cinque minuti, quando incominciò ad avere la sensazione di essere seguito, e circa un minuto dopo ne ebbe la conferma, quando un umano lo attaccò alle spalle. Il giovane se ne accorse, ma non in tempo, e il suo fianco sinistro fu tagliato, seppur superficialmente, dalla lama del pugnale.

‹Un semplice umano?›

Sguainando la spada e girandosi in senso antiorario, Siirist amputò il braccio del nemico con un sottano dritto manco. Il giovane rigirò la spada, impugnandola alla rovescia, e colpì con il pomolo la tempia del suo assalitore, tramortendolo. Come questi cadde a terra, dalla parte opposta della Rocca si innalzarono delle fiamme così forti da illuminare la notte a giorno. Preoccupato, Ryfon guardò verso terra e lo sguardo gli cadde sul pezzo di braccio amputato, il tatuaggio di uno scorpione rosso sul dorso della mano.

‹Oh no.›

 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

E ecco qui, come promesso. I prossimi capitoli saranno impegnativi da scrivere, ma li pubblicherò non appena saranno pronti.

Il prossimo capitolo si intitola NOTTE DI FIAMME. La Setta dello Scorpione ha invaso Vroengard e il suo generale è interessato a Siirist. Lo vorrà sfidare e quella sarà la sfida più dura di tutta la vita del ragazzo. Come finirà lo scontro?

E ricordate di commentare!

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** IL DEMONE DAI CAPELLI D'ARGENTO ***


IL DEMONE DAI CAPELLI D’ARGENTO

 

Il passo lento, si muoveva verso il dormitorio dei Cavalieri in addestramento. Aveva sedotto uno dei Cavalieri di guardia e gli aveva ordinato di indicargli l’ubicazione dell’edificio. E poi lo aveva ucciso. Lunghi calzoni neri, stivali dello stesso colore e alla vita una fascia che reggeva, al fianco destro, una lunga spada dalla lama ricurva, con il filo rivolto verso l’alto. L’impugnatura era di venti centimetri, la guardia un ovale di metallo finemente inciso, la lama quasi due metri di lunghezza. I lunghi capelli argentati arrivavano infondo alla schiena, la pelle pallida, gli occhi azzurro ghiaccio che non mostravano alcuna emozione, se non una forte impazienza. Tutto era calmo per le vie della Rocca. L’incrementata difesa dell’Ordine si era rivelata inefficace contro un attacco a sorpresa portato da abili assassini. I Cavalieri non erano nulla, come aveva sempre sostenuto: come poteva suo nonno aver rinunciato all’orgoglio della loro razza e essersi sottomesso a quegli essere inferiori? Umani, elfi, Cavalieri, per lui erano tutti uguali, tutti carne da macello. E quella sera avrebbe banchettato abbondantemente.

«Mio signore, tutto è pronto, le ombre sono nei pressi della Sala del Consiglio.» gli comunicò un suo sottoposto, un demone taurino.

I demoni ombra, insulsi classe D con nessuna capacità combattiva, per una volta si erano rivelati utili, in quanto il loro unico potere era quello di rendersi invisibili agli occhi fisici e quelli mentali, impossibili da rintracciare in qualunque modo. E per il loro piano, il loro potere era necessario.

«Bene.» disse con un sussurro.

Aveva una bella voce, non troppo profonda, il suono suadente, ipnotico, era come miele per le orecchie. Ma, con un po’ di attenzione, si notava la punta velenosa in essa. Assieme alla sua scorta arrivarono al corpo di un umano, uno di loro, da come si intuiva dallo scorpione rosso sul dorso della mano destra, svenuto a terra, il braccio destro tagliato a metà avambraccio, la parte ancora attaccata al corpo rimarginata in maniera rudimentale; più che una magia curativa, pareva essere stata usata una magia di fuoco per cauterizzarla. Analizzando il corpo, si notava che era stato tramortito con un colpo alla testa. Il Cavaliere che lo aveva affrontato doveva essere di buon cuore, poiché lo aveva lasciato in vita, anche se si era assicurato di bloccarlo a terra, sigillandone il corpo dal busto in giù nel ghiaccio. Uno stupido ingenuo, ecco che cosa era quel Cavaliere, a lasciare in vita un nemico.

«Chi è?»

«Una delle spie mandate in avanguardia. Un semplice umano, nessuna capacità distintiva.» rispose il taurino.

«Immondizia.»

E con il piede schiacciò il cranio dell’umano.

 

«Che una luce abbagliante illumini la stanza a giorno.»

«Ma che cazzo fai?!» si lamentò Gilia svegliandosi di colpo.

Alea fu un po’ più aggraziata, semplicemente guardò Siirist curiosa. E dal solo vederlo in volto capì che c’erano dei problemi seri.

«Armatevi.»

Anche Gilia capì al volo che non c’era tempo da perdere, così, senza fare domande, fece come detto, e in un minuto erano tutti e tre vestiti da battaglia.

«Scorpioni?» domandò il moro.

«Sì.»

Rorix si stiracchiò, scrollando le spalle e distendendo le ali. Era molto nervoso per essere stato svegliato in quel modo, e l’avrebbe certo fatta pagare cara ai colpevoli.

‹Questa mattina per colazione banchetterò con vera carne al sangue.› disse in un ringhio famelico.

Siirist sentì come l’animo selvaggio da cacciatore si fosse nuovamente manifestato nel compagno, come era accaduto a Zanarkand. Si chiedeva se anche il suo istinto animalesco si sarebbe risvegliato.

‹Farebbe bene a farlo: se gli Scorpioni hanno attaccato la Rocca, significa che hanno un contingente adeguato, per cui avrai bisogno di tutti i tuoi poteri segreti per affrontarli, considerando anche come la tua magia sia malfunzionante al momento.›

«Sarebbe bene andare ad avvisare anche gli altri allievi.» suggerì Corvinus.

Uscirono di corsa e si divisero per andare alle altre cinque stanze dei Cavalieri in addestramento in quel momento presenti a Vroengard, mentre Alea si era incaricata di contattare mentalmente Althidon e Evendil. Come Siirist entrò nella stanza di Otius e Viola, il rosso si svegliò, furioso, quasi indignato, ma bastarono poche parole del Cavaliere d’Inferno per farlo stare zitto e armarsi. Il biondo vide il terrore balenare negli occhi della ragazza alla notizia dell’arrivo degli Scorpioni. Come aveva sempre sospettato, Viola non era fatta per far parte dell’Ordine. Tremante, si infilò una veste azzurrina e sopra indossò un’armatura grigio metallo, in tinta con il suo drago. Ma tutta l’operazione era assai lenta.

«Che stai facendo? Sbrigati!» la incitò l’amico.

Siirist li guardò, capendo finalmente perché il rosso fosse sempre così protettivo nei confronti della ragazza; pallida come un cencio, era ormai quasi immobile e toccò all’amico legarle i lacci della corazza. Essa pareva troppo grossa per lei, impossibile, chiaramente, in quanto i mastri fabbri della Rocca non avrebbero mai sbagliato una misura, ma Ryfon aveva l’impressione che la moretta sprofondasse in quel Cristallo rivestito d’argento dal colore metallico. La corazza non era ancora stata legata quando una parte della parete opposta rispetto alla porta svanì nel nulla, e dallo spazio entrò uno spettro. Viola quasi impallidì anche di più e si fece debole sulle gambe, al che il suo drago immediatamente la sorresse. Non c’era nemmeno da pensare sul da farsi.

«Portala fuori e stalle vicino!» esclamò Siirist, mordendosi il labbro e preparandosi ad invocare il cerbero.

 

Era arrivato agli alloggi degli allievi ed era stato qualche minuto fuori dall’ingresso principale ad assaporare l’anticipazione della sua vittoria. Oltre al Cavaliere d’Inferno, aveva saputo esserci altri due Cavalieri promettenti, i compagni di addestramento del Cavaliere d’Inferno, il Cavaliere d’Incubo ed un’elfa che si diceva fosse di una bellezza rara persino tra il suo popolo, dotata di uno dei legami con il Flusso vitale più alti della storia, e incredibilmente dotata nelle arti magiche, considerandone la giovane età. Aveva già l’acquolina in bocca, non vedeva l’ora di affondare le sue zanne nel suo collo, e di strapparle tutta la carne dal corpo mentre ancora era in vita. Un brivido lo percorse. Vide correre fuori dal dormitorio due giovani Cavalieri, un ragazzo di corporatura imponente dai capelli rossi con il drago marrone, ed una ragazza dall’aspetto gracile che pareva non aver niente da spartire con quell’ambiente di guerrieri, accompagnata da un drago grigio metallo. Lei era terrorizzata. E quando vide di essere finita di fronte ad uno sconosciuto, si pietrificò, gli occhi che urlavano dalla paura. Incrociò il suo sguardo con quello di lei e sorrise appena.

«Vieni.» le sussurrò, l’accento non molto marcato, la voce suadente.

Lei, ipnotizzata, si avvicinò a lui con passo lento, come uno zombie. Il drago attaccò subito, ma fu respinto da una barriera magnetica, quindi ci provò il rosso, che attaccò il nemico con vari colpi, ma tutti furono schivati senza che dovesse nemmeno muoversi di un millimetro dalla sua posizione, semplicemente si limitò a piroettare sui due piedi. Con un guizzo della lunga chioma argentata, roteò su se stesso e prese la spada dalla mano del Cavaliere, e con essa amputò la gamba del ragazzo a metà coscia. Il rosso cadde a terra; il drago marrone attaccò, ma, come quello grigio, fu respinto senza il minimo sforzo da una barriera magnetica. Ancora ipnotizzata, la ragazza fu fatta avvicinare e la prese delicatamente per il collo con la destra, accarezzandolo e saggiandone la delicatezza. In un momento l’azzannò, il sangue che fluiva copioso dai quattro fori lasciati dai canini, ma nemmeno una goccia sprecata, tutto ingerito avidamente. Dopo una ventina di secondi, uscirono dagli alloggi tutti gli altri allievi, undici, per ultimi i tre che gli interessavano: l’elfa dal drago bianco, il Cavaliere d’Incubo e, naturalmente, il Cavaliere d’Inferno, il quale aveva la spada in mano, dalla cui lama proveniva odore di sangue. L’orrore che si dipinse sul volto di tutti i nuovi arrivati sulla scena nel vedere il rosso a terra inerme e la ragazza tra le braccia del loro nemico era la sua ragione di vita. Ghignò.

«No!» proruppe il Cavaliere d’Inferno, vedendo prima degli altri cosa stava per succedere.

I capelli argentati si mossero quando strappò metà della gola alla fanciulla, per poi lanciarla a terra con un fiotto di sangue che usciva dalla lacerazione come una fontana. Ella morì in pochi secondi. Masticando con gusto, guardò con aria di sfida i Cavalieri in addestramento, lo sguardo focalizzato sul Cavaliere d’Inferno, il quale alzò la spada sopra la testa nel balzargli incontro. Ma fu bloccato da una barriera di ghiaccio viola, formatosi dalla solidificazione di fiamme del medesimo colore, apparse dal nulla. Fece appena in tempo a guardarsi verso sinistra, quando, con la coda dell’occhio, vide volare verso di lui un arpione di magma. Lo evitò balzando indietro, ed esso si andò a conficcare nel muro di ghiaccio viola. Erano due elfi. Uno biondo, con i capelli corti, l’altro con corti capelli castano chiaro. Questi pareva particolarmente arrabbiato. Probabilmente erano due Maestri, il secondo quello della ragazza che aveva ucciso e del rosso a cui aveva amputato una gamba.

«Siirist! Prendi Otius e portalo via!» urlò il Maestro biondo.

La cosa si faceva interessante, aveva davanti a sé il Maestro del Cavaliere d’Inferno, il famoso Althidon. Valeva la pena divertirsi un po’. Portò la mano mancina al fianco destro e la chiuse, un dito alla volta, sull’impugnatura della sua nodachi. Con un attacco ad estrazione, tagliò una seconda lancia magmatica lanciata contro di lui dall’elfo marittimo, e con uno sgualembro manco dritto intercettò e deviò il fendente dell’altmer. Questi subito attaccò con un affondo della daga nella sinistra, ma fu abilmente evitato con un passo laterale verso sinistra. Il drago viola dell’altmer lo attaccò con le fauci aperte, ma lo calciò sul muso e lo spinse via. Il dunmer attaccò con un affondo portato con due mani, l’impugnatura della sua spada allungata utilizzando un’estensione agganciata al pomolo, infondo alla quale vi era una catenella che terminava con una sorta di artiglio a quattro punte. Con la coda dell’occhio, vide l’alto elfo unire la spada corta a quella lunga e cambiare impugnatura, e cominciare a rotearla prima di attaccare. Solo dal primo attacco, notò che i colpi si erano fatti più pericolosi. Il drago blu notte del dunmer esalò una fiammata, ma con la forza sprigionata da un montante, divise il respiro di fuoco in due. L’arma dell’elfo biondo era diventata una ruota di fiamme viola, in quanto non smetteva mai di farla roteare tra le mani, la spada dell’altro era stata avvolta da una sostanza magmatica e la lama era diventata un cono di pietra fusa con la base sferica del diametro di mezzo metro, l’artiglio, ora quattro volte più grande, pure avvolto nel magma, e fatto roteare con la mano sinistra tramite la catena. Uno era rapido ed implacabile, l’altro più lento con la parte principale dell’arma, ma ben più imprevedibile con l’artiglio, che veniva lanciato e ritratto con rapidità, la catena che si allungava magicamente. I draghi avevano incrementato la loro stazza, ottenendo una lunghezza di dieci metri, sedici con la coda, e un’apertura alare di dodici. Le fiamme viola della ruota dell’alto elfo aumentarono di potenza e con un colpo, congelarono una parte della lama della nodachi. Alcuni scambi veloci, poi dovette balzare indietro per evitare il fendente dell’elfo castano e le due fiammate combinate dei draghi.

«Fiamme della penitenza!»

Quattro colonne di fuoco apparvero, e lui dovette balzare via prima di venire investito dall’esplosione di fiamme che creò una massa di ghiaccio di una decina di metri cubi. Il dunmer infilò la sua arma nel terreno, e da esso partirono due arpioni magmatici, ed il drago viola fece lo stesso movimento per il respiro di fuoco, ma non esalò fiamme, bensì un potente incantesimo di vento, che andò a combinarsi a quello del suo Cavaliere, la cui ruota di fiamma aveva cominciato a caricarne di più potenti, e lanciò un turbine dalla sua lancia che venne amplificato dall’incantesimo del compagno. Erano forti, doveva ammetterlo, abbastanza forti da costringerlo a smettere di giocare. Portò la mano sinistra all’altezza della spalla destra, la lama, parallela al terreno, che andava dietro la schiena; la elettrizzò e con un possente tondo dritto manco liberò un’ondata di energia fulminante che frantumò i due arpioni e dissolse il vortice di fiamme viola. Ma alle spalle era già sopraggiunto il drago blu notte, ancora più grande di prima, che lo attaccò con una zampata, così grande da poterlo schiacciare completamente, che evitò buttandosi di lato. I due elfi si mossero, chiudendolo in una tenaglia, l’altmer da sinistra, il dunmer da destra. Stanco e stufo, rigirò la spada nella mano e alzò il braccio, la punta che sfiorava il terreno, e con essa fermò la lama viola e in contemporanea la pelle che copriva la scapola destra si aprì, rivelando piume nere, e distese la sua possente ala, usandola come scudo contro il colpo del dunmer. Roteando su se stesso, aprì le guardie dei due elfi e, compiuto un giro di 360°, abbatté la sua lama sul polso destro dell’altmer, tagliandoglielo di netto e andandogli a sfregiare il volto, distruggendogli l’occhio destro; con l’ala, affilata quanto una spada, colpì il dunmer all’altezza del busto, tagliandolo a metà. Con un latrato sofferente, il drago blu notte collassò il momento in cui vide la vita sparire dagli occhi del compagno, mentre il drago viola ruggiva di rabbia. Balzò in alto, evitando la carica, e tranciò di netto l’ala destra del rettile, piantandogli poi la nodachi nella schiena, affondandola fino alla tsuba. Con un ruggito di dolore, il drago cadde a terra. Con il fiatone, estrasse l’arma dal corpo scosso da fremiti della grande bestia, e la rimise al fianco destro. Aveva sottovalutato l’Ordine. Era vero che la maggior parte era composta da immondizia, ma alcuni di loro erano formidabili, andava ammesso. Avrebbe dovuto cominciare subito lo scontro con il massimo della sua potenza, in quel modo li avrebbe annientati in pochi secondi, e senza nemmeno stancarsi. Ma forse era meglio così, almeno si era divertito. Ghignando, si diresse verso il punto da cui sentiva provenire l’odore dell’elfa dal drago bianco.

 

Con la comparsa di fiamme così forti da illuminare a giorno il cielo notturno, Evendil non aveva avuto bisogno di Alea che lo avvisasse dell’arrivo della Setta dello Scorpione, tanto che era già andato nel punto in cui la battaglia veniva combattuta. Sarebbe andato ad assicurarsi che Siirist stesse bene, se non fosse che già lo stava facendo Althidon. Con tutto il bene che voleva al ragazzo, il suo Maestro era pur sempre l’altmer, per cui doveva rispettare i ruoli. E lui non era nemmeno un Cavaliere. Sulla scena aveva trovato Ascal, il capitano della decima brigata, assieme al suo luogotenente, Bial e Ren, oltre a molti appartenenti alle due compagnie.

«Felice di avere il tuo sostegno, Evendil.» disse Tidus.

«Non è necessario.» disse calmo Ascal, la sua immancabile rosa celeste nella sinistra, i petali accanto al naso che venivano odorati.

Il gambo del fiore si allungò fino a penetrare nel terreno e, dopo qualche istante, un intricato e tagliente cespuglio di rovi, che più che altro pareva una foresta, largo quanto tutta la piazza dove si stava combattendo e alto un paio di metri, intrappolò tutti gli sfortunati che si trovavano nell’area. E più uno cercava di divincolarsi, più le spine si stringevano. E se si cercava di usare le arti mistiche o i poteri demoniaci, le piante assorbivano l’energia. Quello era il terrificante potere del capitano della decima compagnia dell’Ordine dei Cavalieri dei draghi, il suo elemento natura. Per fortuna gli altri Cavalieri lo conoscevano, per cui rimasero perfettamente immobili il momento in cui i rovi avevano incominciato a sorgere dal terreno. E dopo una decina di secondi in cui erano intrappolati tra le spine, quelle che li circondavano, per volere del capitano, si aprirono, e permisero loro di uscirne. Intanto numerose rose bianche incominciarono a crescere dai vari rami, e una volta sbocciate, incominciarono a tingersi di rosso, sempre più color sangue più energia assorbivano dai nemici. Dopo pochi minuti, il roseto fu riassorbito dal terreno e l’energia prosciugata incanalata attraverso il gambo allungato della rosa celeste. Esso si raccorciò e Ascal ritornò ad odorare il suo fiore.

«Ne arrivano altri, capitano.» fece notare Tidus.

L’elfo sospirò, pronto a riutilizzare i suoi Rovi di Sithis, ma, prima che potesse farsi avanti, Bial sguainò la spada. Da destra si stavano avvicinando numerosi Scorpioni, oltre il centinaio. Evendil non percepì alcun livello particolarmente elevato. Dovevano essere al massimo al livello degli spettri e elfi oscuri che i ragazzi avevano combattuto a Zanarkand e Cheydinhal, ma quasi sicuramente più basso ancora. Non un problema per il capitano della sesta brigata.

«Danza dei petali di ciliegio.» mormorò rivolgendo la sua spada verso il basso e lasciandola andare.

Essa cadde lentamente e affondò nel terreno senza lasciare alcuna traccia, come fosse stato una parete illusoria, e come essa era sparita, sorsero, dall’area accanto ai piedi dell’uomo, milioni di petali di ciliegio, in un’esplosione di rosa lucente. Il più potente incantesimo di Bial, che utilizzava completamente il suo Flusso vitale assieme agli amplificatori del suo anello e della sua spada, un elemento misto tra terra e luce, il suo elemento danzante, nome derivato da quello dell’incantesimo. Un gioco di luci che creava l’illusione di petali di ciliegio, i quali erano composti anche da energia di terra, difatti avevano la solidità propria dell’elemento. Bial non si mosse nemmeno, si limitò a guardare verso i nemici in avvicinamento, che la marea di petali di luce volò nella loro direzione, investendone i primi, mentre gli altri evitarono la magia immediatamente balzando di lato. Ma l’attacco del capitano non aveva punti ciechi, e l’ondata di petali si divise in ottantasette dardi, che andarono a trafiggere mortalmente tutti gli Scorpioni. Tutti eccetto uno, un demone, che riuscì ad evitarlo cavandosela con un graffio sulla guancia, e partì spedito verso l’uomo. Il demone aveva un potere di velocità, non poi tanto elevato, e riuscì a coprire i duecento metri che li separavano in meno di dieci secondi. Ma prima ancora che riuscisse a pensare a come attaccare, fu raggiunto dalla freccia di petali che lo trafisse dalla nuca e spuntò dalla fronte. Cadde in avanti, il dardo che si scompose in centinaia di petali che andarono verso terra, dove furono riassorbiti come era già successo a tutti gli altri della grande ondata di prima. Bial alzò il braccio e la sua spada riemerse dal terreno, levitando verso la sua mano. La afferrò e la rinfoderò.

«Ne hai lasciato andare uno e ti ha quasi preso.» lo derise Ascal con aria superiore ma comunque noncurante, continuando ad odorare la sua rosa, come se l’idea della morte di Bial non lo toccasse nemmeno; cosa assai probabile.

Evendil però conosceva Bial troppo bene per pensare che il suo fosse stato un errore, piuttosto era plausibile che il capitano avesse tardato a uccidere istantaneamente il demone perché era stato impegnato a considerare quanto inutile fosse stato il gesto di quello di cercare di sopravvivere.

«Per ora sembrano finiti.» disse questi, ignorando completamente la provocazione dell’altro capitano.

«Però non capisco, le loro forze mi sembrano troppo basse; in proporzione, hanno attaccato Zanarkand con una forza maggiore.» commentò Ren, insicuro.

Il Cavaliere dai capelli vermigli aveva appena finito di parlare, quando Evendil percepì una potentissima energia demoniaca manifestarsi all’improvviso e provenire dal centro della Rocca, dove si trovavano gli alloggi degli allievi. Ed era certo, a giudicare dalle loro facce, che anche gli altri l’avevano sentita.

«Tu non sai proprio stare zitto, eh?» Tidus guardò male Ren, i suoi occhi verde acqua impassibili, il ciuffo di capelli bianchi che gli cadeva sul viso che si mosse con una leggera folata di vento.

Ciò che fece definitivamente rabbrividire tutti fu il percepire la presenza di Daratrine e drago svanire pochi secondi dopo la manifestazione dell’energia demoniaca, e quella di Althidon e Zelphar farsi molto debole.

Evendil non impiegò molto ad intuire cosa stesse succedendo.

Siirist!

E corse nella sua direzione.

 

Li aveva lasciati vivere, quell’altmer ed il suo drago. Dopotutto apprezzava la forza, in particolare quando vedeva che c’era ancora spazio per del miglioramento. E così era per Althidon. Non poteva dire lo stesso dell’altro Maestro che, per quanto eccezionale e ben al di sopra della media, aveva oramai raggiunto il suo limite, e non poteva certo considerarsi uno fra i pochi guerrieri eletti della storia. Gli sarebbe piaciuto affrontare Althidon in futuro, se possibile, e ucciderlo quando fosse diventato più forte. Sì, uccidere un nemico forte era assai più soddisfacente che schiacciarne uno debole.

Camminava con la sua ala destra ancora aperta, ma aveva completamente azzerato la sua energia demoniaca: non voleva certo venire percepito da qualche Cavaliere di alto livello, non fino a che si fosse divertito con il Cavaliere d’Inferno, almeno. E assaggiato le carni di quella deliziosa e splendida elfa. Già se la poteva gustare. L’antipasto che era stato la ragazza dai capelli mori, per quanto appetitoso, impallidiva al solo pensiero del sapore della altmer dal drago bianco. E non avrebbe certo sprecato una preda così prelibata, ma l’avrebbe divorata tutta, lasciando i seni, le natiche e l’interno coscia, le parti più prelibate, per ultime. Ma forse avrebbe dato un assaggino come prima cosa, chi sa. Aveva tutto il tempo per decidere.

 

La Rocca era caduta completamente nel caos, con persone e draghi che correvano da tutte le parti, per le strade erano incorso molti duelli. Gli Scorpioni erano tanti, ma Siirist non percepiva un grande potere derivare da loro, erano tutti certamente al di sotto del livello di quelli affrontati a Zanarkand. Ad eccezione di quello lì, l’uomo dai lunghi capelli argentati. Era sicuro di averlo già visto, ma non riusciva a mettere bene a fuoco il ricordo. Il modo brutale in cui aveva trucidato Viola... Siirist si sentiva ribollire dentro, il suo fuoco interiore non aveva bruciato così forte da quando aveva imparato a controllarlo. Occasionalmente erano stati attaccati da qualche Scorpione, ma non avevano avuto alcun problema a sbarazzarsene, lui e Alea che proteggevano Gilia, incaricato di portarsi dietro Otius, fino a che non furono raggiunti da un’ondata di energia demoniaca come non ne avevano mai sentito prima. Alea fu logicamente la prima a percepirla e si paralizzò per la paura, tremante.

‹Ehi, stai scherzando, vero...?› anche Rorix, per la paura, era andato in uno stato di negazione.

«È vivo.» mormorò Alea, il viso una maschera priva di emozioni.

«Chi?»

«Althidon. È debole, ma la sua presenza mentale è stabile. Ciò che mi preoccupa di più... Dobbiamo muoverci.»

«Che succede?» disse preoccupato Siirist.

«Ha azzerato la sua energia demoniaca, ma prima che lo facesse, ho percepito in che direzione si stava muovendo...»

«Fammi indovinare? Qui?» chiese retoricamente Gilia con un risolino isterico.

La fanciulla appena annuì. Siirist aveva il cuore che batteva all’impazzata, così forte che quasi non riusciva a sentire i suoi pensieri. Ma non era quello il momento di farsi paralizzare dalla paura. Mentalmente prese a schiaffi il suo drago per farlo riprendere, per poi ricominciare a camminare.

«Andiamo.» incitò i compagni.

Non li guardò nemmeno, non voleva rischiare di tradire la sua finta sicurezza con il terrore che certamente era impresso negli occhi. La voce era però suonata sicura, per cui gli amici presero coraggio e lo seguirono. Ma non arrivarono molto lontano.

Avevano appena mosso qualche passo, quando furono raggiunti dal demone dalla lunga chioma argentea.

«Trovati.» sorrise malignamente.

Siirist non sapeva cosa fare: davanti a loro c’era il peggior nemico che potesse capitare, un demone alato, e Siirist sapeva perfettamente chi fosse. Lui ed i due amici avevano automaticamente sguainato le spade, ma non si può dire che le stessero impugnando con fermezza. Sapevano tutti che non c’era alcun modo di vincere contro un nemico simile, ed erano incerti sul da farsi. I draghi erano dello stesso avviso.

«Cavaliere d’Inferno, se sarai così gentile da intrattenermi per un po’, prometto che non toccherò i tuoi amici fino a che non ti avrò ucciso.» disse lo Scorpione con voce calma e malignamente divertita.

Siirist deglutì, la mandibola stretta, i denti serrati, gocce di sudore che gli bagnavano la fronte e cominciavano a cadere lungo il viso. Guardò agitato dal demone dai capelli argentati agli altri Scorpioni che lo accompagnavano. Il suo sfidante doveva essersene accorto.

«Non curarti di loro, se ne staranno buoni. Voi tre siete miei, loro non alzeranno nemmeno un dito,  nemmeno si muoveranno, lo prometto.» sorrise. Il sorriso più terrificante che il biondo avesse mai visto, solo quello bastava a farlo sudare tre volte tanto.

Doveva pensare, doveva trovare una via d’uscita... Però le condizioni erano state dette, o le accettava, o morivano tutti. Un modo per avere almeno la più piccola speranza di sopravvivere doveva esserci, però... Sì, doveva...

«Allora? Che mi rispondi? Non sono noto per la mia pazienza, credo sia giusto che tu lo sappia. Puoi chiedere ai miei sottoposti, te lo sapranno dire tutti.» il sorriso, certamente falso da prima, lo era diventato palesemente, gli occhi glaciali dell’alato che proiettavano una grande impazienza e rabbia, che sarebbero presto finite in morte.

E Siirist trovò la scappatoia nelle condizioni dell’avversario.

«D’accordo. Se accetto di affrontarti a duello, i miei amici non saranno toccati fino a che non avrai finite con me, giusto?» disse schiarendosi la voce, in modo da non far trasparire troppo la sua paura.

«Proprio così. Ma voglio solo te, il tuo drago non deve interferire. A meno che ti reputi troppo noioso, allora potrò permettergli di aiutarti.» il sorriso si fece più vero, o meglio, meno ovviamente falso.

«Ti ringrazio di questa possibilità. Accetto il duello.»

«Siirist!» si opposero all’unisono Alea e Gilia, preoccupati fino alla morte, come sentiva dalle loro emozioni.

Rorix, invece, era rimasto in silenziosa meditazione, sapendo cosa stava per accadere. Il sorriso del demone dalla chioma argentata si fece ancora più largo, e per la prima volta Ryfon vide che non era falso, ma pieno di gioia, sadica, malata e maligna, ma pur sempre gioia.

«Andatevene. Non voglio lamentele, voglio che scappiate il più in fretta possibile da qui. Cercherò di trattenerlo il più possibile per guadagnare tempo.» disse il biondo ai due amici.

«No, no, credi davvero che permetterò loro di fuggire?» domandò quasi incredulo il comandante degli Scorpioni.

«Sì, poiché hai promesso che non li toccherai fino a che non mi avrai ucciso e che i tuoi sottoposti non si muoveranno per niente. Se ti rimangi la parola, significa che hai meno onore dei tuoi amici che ho massacrato a Zanarkand.» rispose beffardo.

Il demone scoppiò in una grossa risata, sinceramente divertito.

«Ammetto che non avevo pensato a questo. D’accordo, ammiro il tuo coraggio per avermi preso in giro. Vorrà dire che la loro carne sarà anche più gustosa dopo la caccia.»

Gilia e Alea, per quanto riluttanti, capirono che Siirist non voleva sentire storie, e spronati dai rispettivi draghi li montarono e volarono via, Otius messo dietro a Gilia e Alea che trasportava il suo drago marrone, mentre il drago rubino rimaneva immobile concentrato sulla situazione del suo Cavaliere, continuando a meditare e a preparare vari incantesimi.

Ryfon impugnò Beleg runia con entrambe le mani e, all’invito del demone, partì all’attacco, mirando con un affondo verso il basso per il ginocchio destro, solo per cambiare all’ultimo con una torsione del busto per un montante con il filo dritto. Il demone non ebbe problemi a parare, avendo percepito lo spostamento dell’equilibrio del ragazzo. Per i primi scambi, l’alato permise a Siirist di guidare le danze, divertendosi a deviare ogni suo colpo, muovendo la sua colossale spada ricurva con la sola sinistra, con una grazia ed un’eleganza che il biondo non aveva mai visto. Non aveva niente a che vedere con lo stile degli elfi, con ciò che lui stesso e Gilia stavano cercando di raggiungere e che Alea aveva perfezionato, non si trattava di un corso d’acqua in mezzo ad un bosco incontaminato, né del delicato colpo d’ala di una rondine. La danza di spada che eseguiva l’alato, più che un valzer, pareva una danza possente, rabbiosa, lineare, quasi leggera, precisa, fluente, ma al contempo devastante. Quando Siirist incrociava la sua lama con quella di Evendil, di Althidon, o di Alea, sentiva violini, arpe e violoncelli. Ora, con il demone, sentiva sì musica, poiché la perfezione dello stile era allo stesso livello di quello degli elfi, ma nella sua mente rimbombava una batteria con tre grancasse che scandiva il tempo a dodici chitarre elettriche. E più la musica del demone si faceva predominante, più il ragazzo cadeva nel suo ritmo e perdeva il proprio. Il suo piano. Il centro della sua torre mentale, del suo essere, tutta la sua vita simboleggiata dalla musica di Keira, assimilato dalla potente musica del demone. Non sarebbe resistito ancora molto. Vide l’espressione sul volto dell’avversario farsi sempre più annoiata, ed erano passati appena tre minuti dall’inizio dello scontro, i suoi amici non erano lontani abbastanza, doveva resistere. Fattosi coraggio, Siirist, come già aveva fatto a Zanarkand, mise mano al suo pianoforte mentale, e cominciò a tirare fuori una melodia che superasse la musica del nemico. Lui aveva un piano, lo strumento più polivalente, e con quello poteva creare una musica che coniugasse quella che sentiva provenire dallo stile degli elfi, e quella metallica del demone. Se c’era qualcosa che l’essere un ladro gli aveva insegnato, era sapersi adattare.

Il demone parve soddisfatto dal rinnovato vigore del ragazzo, e ritornò per i successivi quattro scambi sulla difensiva, per poi menare un tondo dritto manco con una forza tale da lanciare via Siirist, sollevandolo tre metri in aria e facendolo ricadere a terra, urtando malamente la schiena, dieci metri più in là.

«Non sei male, vedo come sei riuscito a sconfiggere i miei sottoposti a Zanarkand. Ma perché non stai usando la magia? Credi che la tua abilità con la spada sia sufficiente a farti durare più di dieci minuti?»

«Assolutamente no. Ma almeno ti sto facendo divertire, altrimenti sarei già morto da quattro minuti. E considerando che abbiamo iniziato il nostro scontro circa quattro minuti e mezzo fa, questo non fa di me un degno avversario per te.»

«Sei abbastanza bravo per capire la differenza di livello fra noi, almeno. Non hai risposto alla mia domanda.»

«Per vari motivi ho dovuto evitare di usare la magia negli ultimi mesi, e da appena un mese e mezzo la posso riutilizzare. Ma non sono mai stato molto portato, ed ho dimenticato quasi tutto quello che ho imparato in questi anni. Non tanto nel creare l’incantesimo, quanto nel controllarlo.»

«Capisco, un vero peccato. Il tuo drago sarebbe così gentile da farsi avanti? Almeno così potrò passare il tempo per i prossimi due minuti.»

Lo scontro, dopo quel breve scambio di battute, riprese, con Rorix e Siirist che si sostenevano a vicenda per tenere testa all’alato. Forse questi stava usando il 2% del suo vero potenziale, forse meno, ma tanto il biondo era stato consapevole fin dall’inizio che si trattava di una causa persa, e che il suo unico scopo era di dare più tempo possibile agli amici di fuggire. E per farlo, doveva intrattenere il demone al meglio che poteva. E lo fece diverse volte. Tanto non si trattava di una battaglia per la vita, quella ormai era già giocata, per cui più volte si azzardò a compiere attacchi che lo lasciavano scoperto, ma che almeno sorprendevano il demone e lo rendevano felice, incoraggiandolo a continuare quella farsa. Rorix lanciò un incantesimo di terra attorno alle gambe del Cavaliere e balzò verso il demone, il quale lo colpì con il piatto della spada, sbattendolo indietro, ma a mezz’aria il drago si sollevò di poco, permettendo a Siirist di scivolare sul terreno come fosse olio fino ad arrivare all’avversario e attaccarlo con un montante. Ma dopo un’altra ventina di attacchi simili, tutti fantasiosi ed originali, il demone si stancò e strinse il pugno destro, ed allo stesso tempo la pressione dell’aria attorno a drago e Cavaliere si fece pesante, schiacciandoli a terra.

«Basta così, è evidente che voi due non possiate fare di più. Mi piacerebbe lasciarti vivere e darti il tempo di migliorarti, così da affrontarti in futuro, ma ho precisi ordini di eliminarti.»

Siirist tentò un ultimo, disperato attacco, ma il demone lo fermò bloccando Beleg runia con la sua spada. Portò il piede sulla lama rossa e spinse, spezzandola in due. 

Rorix ruggì di dolore e angoscia quando, impotente, assistette alla lunga spada ricurva del demone dai capelli argentei che si abbatté sul suo Cavaliere.

E con un’accecante bagliore dorato, arrivò quasi dal nulla Evendil, che balzò oltre il corpo atterrato di Siirist, sguainando Lin dur e deviando il colpo che sarebbe, altrimenti, stato fatale per Siirist.

 

 

 

~

 

 

 

 

Non so proprio che dire, è da fine luglio che non aggiorno. Scusatemi tanto. Al momento sono in Cina, in ufficio, a lavorare (più o meno, visto che sto postando su EFP!). È stato un periodo molto intenso, durante il quale non ho avuto mai tempo né ispirazione per scrivere. E considerando come volevo rendere questa battaglia spettacolare, volevo avere il massimo dell’ispirazione. E per questo l’aereo aiuta. Durante tutti i viaggi che ho fatto tra Cina e Italia, ho sempre scritto almeno tre ore. Che non è male. Eppure riconosco che la battaglia non sia risultata epica come avrei sperato, ma fa niente, è passato anche troppo tempo, io pubblico. Come mio solito, ho cambiato il titolo anticipato, ma questa volta non è perché ho cambiato il capitolo, ho semplicemente optato per un titolo differente.

 

Ringraziamenti:

  1. franky94. Non ho mai visto Monster Hunter, quindi non ho la minima idea di che cosa sia un “congalala”! Per farlo, mi sono ispirato al King Behemoth di FFX. Sì, il nome era Raiden.
  2. Nestmind. Grazie mille!
  3. MNO. Risposta direttamente sul sito.

 

Il prossimo capitolo si intitola LE ALI DELLA MORTE e sarà pubblicato giovedì 1 marzo.

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** LE ALI DELLA MORTE ***


LE ALI DELLA MORTE

 

‹Evendil!› riuscì solo a dire Siirist.

Lo dovette contattare mentalmente, perché la pressione con la quale il demone lo aveva immobilizzato era così forte da non permettergli nemmeno di aprire la bocca. Ma la mente dell’elfo era sigillata, chiusa come Siirist non l’aveva mai percepita. L’alato alzò un sopracciglio e i sei demoni che lo accompagnavano si mossero, attaccando il mezzo bosmer in contemporanea.

«Dodici spade del giudizio.» mormorò Evendil.

Siirist vide la mano sinistra del mezzo dunmer illuminarsi talmente tanto da diventare dorata, poi la luce si trasferì esclusivamente sulle dita, pollice escluso. La luce lampeggiò tre volte e ad ogni intermittenza, si crearono quattro spade di luce in cielo. Con un movimento della mano, le dodici lame magiche volarono verso i sei demoni, due ciascuno, trafiggendoli. Nei punti in cui erano stati colpiti, la pelle incominciò a bruciare. L’elfo impugnò la spada con entrambe le mani e alcune delle rune sulla lama si illuminarono, donandole un bagliore dorato. Evendil eseguì un fendente e le spade di luce esplosero, facendo a pezzi bruciacchiati la scorta del demone dai capelli argentei.

«Siirist!» chiamò Alea.

Che fate ancora qui?? Vi avevo detto di fuggire!

Evendil ci ha detto di ritornare, ha detto che dalla nostra presenza dipendeva la sua vittoria. Riesci ad alzarti?spiegò Gilia.

Starei ancora qui, secondo te? Dateci una mano

Corvinus e Ilyrana trascinarono via il biondo, mentre i draghi aiutavano Rorix. Nel frattempo Evendil e l’alato erano rimasti immobili a studiarsi. Finalmente si mossero, di un solo passo, all’unisono, come stessero seguendo una coreografia, muovendosi a specchio, tracciando l’inizio di una circonferenza che seguirono con i quattro passi successivi, mantenendo sempre la stessa distanza. Quando, compiuto il quinto passo, Evendil espirò completamente l’aria che aveva nei polmoni e si assicurò di avere una presa salda sull’elsa, il demone si accorse di cosa stava per accadere con dei riflessi fulminei e alzò la spada per parare un colpo che non era ancora giunto, ma che arrivò con la potenza di un tuono una frazione di secondo dopo, quando Evendil, in un lampo dorato, gli fu addosso. Lo scontro tra le due spade fu così forte che se fossero state di fattura inferiore, anche solo di mithril, si sarebbero spezzate; l’onda d’urto raggiunse persino i tre Cavalieri in addestramento, ad oltre trenta metri di distanza. I due avversari presero a combattersi spietatamente, entrambi perennemente all’attacco e al contempo in difesa, in quanto con i loro attacchi paravano quelli dell’altro, cercando di renderli sempre più forti per sbilanciare il nemico. Siirist era allibito. Sapeva bene che Evendil non aveva mai fatto sul serio con lui, però era più che sicuro di aver capito lo stile di combattimento dell’elfo: un Makashi basato su colpi potenti grazie al suo Ataru, ma comunque attento, inizialmente più simile ad un Soresu classico. Ora, invece, pareva più impetuoso di un Djem-so. Evendil aveva perso il suo solito sangue freddo e pareva più che altro essere di fretta.

L’elfo aprì la guardia del demone con un possente tondo manco, e subito attaccò con un fendente, che venne però bloccato dalla grande ala nera che il demone estese di fronte a sé. Compì un giro di 360 gradi in senso antiorario ed attaccò con uno sgualembro dritto manco portato con entrambe le mani; Evendil lo parò portando la sua spada sopra la testa, ma la forza del colpo lo mise in ginocchio, benché riuscì a tenere la spada dritta. E lì Siirist, che fino a quel momento era stato troppo meravigliato dalla potenza del suo idolo, notò finalmente che, difatti, il mezzo bosmer era in difficoltà. Fino a quel momento, infatti, Evendil aveva sempre portato i suoi colpi con entrambe le mani, mentre il demone aveva sempre avuto la mano destra libera. Gli era bastato solo brandire la sua imponente spada con entrambe le mani, e l’elfo era in ginocchio. Il demone sollevò la sua arma e stava per abbatterla su Evendil con un fendente spaventoso, quando il mezzo dunmer incanalò una magia di luce attraverso la sua lama e la diresse contro il nemico, lanciandolo via. Sbalzato di una ventina di metri e gravemente ustionato sul torace e sul viso, l’alato elettrizzò la sua spada e menò un fendente, liberando l’energia fulminante contro l’avversario, che però la neutralizzò semplicemente frapponendo la sua lama.

«Errore mio, mi ero dimenticato dell’argento sulle vostre lame. Mi sembri un po’ stanco, che ne dici di lasciar perdere? Io sto appena cominciando a scaldarmi!» ghignò, mentre le bruciature si rigeneravano.

«Che peccato, io invece ho appena finito il riscaldamento e volevo incominciare a fare sul serio. – rispose Evendil con il fiato appena pesante, la fronte invece madida di sudore. – Purtroppo non ho molto tempo, per cui dovrò chiederti di morire in fretta.»

Cambiò l’impugnatura della spada e la alzò davanti a sé, la mano sinistra sul pomolo.

«La mia spada è il centro dei quattro venti, Forza del vento sprigiona la tua furia.»

Nel pronunciare la sua frase, Evendil trasse una linea immaginaria a partire dal pomolo, lunga quanto la lama e complementare a essa: le rune sul diamante si illuminarono e nel segmento di vuoto tracciato dall’elfo si creò un vortice d’aria che si fece sempre più potente e veloce, così tanto che il suo movimento diventò quasi invisibile e venne a formarsi una seconda lama. In un lampo fu di nuovo addosso al nemico, attaccando senza sosta con il doppio della velocità e, di conseguenza, la forza incrementata. Dopo un fendente con la lama primaria, attaccò immediatamente con un montante della lama di vento; roteò la sottospecie di lancia sopra la testa e poi eseguì un tondo dritto, subito seguito da uno manco con la lama opposta. Il demone parò tutto, con sempre maggiore difficoltà, fino al quarto attacco, dopo il quale aprì la guardia dell’avversario e subito caricò un tondo manco dritto con entrambe le mani che avrebbe decapitato l’elfo; questi si abbassò e con un calcio a spazzata sollevò l’alato da terra, per poi subito attaccare con un affondo. Il demone, a mezz’aria, riuscì a deviare il colpo indirizzando la punta di Lin dur verso il basso, allora Evendil semplicemente sfruttò quel movimento per portare la lama secondaria in un fendente, bloccato dall’ala piumata.

Erano passati tre minuti e mezzo da quando il mezzo dunmer era giunto.

Il demone aprì l’ala sbilanciando l’elfo, e lo calciò sullo sterno, lanciandolo indietro di venti metri. Ritornato con i piedi a terra, l’alato elettrizzò mano e piede destri e scagliò una potente saetta dall’arto superiore, che Evendil, appena rimessosi in piede, riuscì ad annullare con un fendente con la lama argentata. Ma ciò che non si era aspettato era un fulmine a forma di lancia, generato dal piede del demone, che fuoriuscì dal terreno alle sue spalle e lo trapassò da schiena a petto, trapassandogli le costole e perforandogli il polmone sinistro. Perse leggermente l’equilibrio e tossì sangue, cadendo successivamente in ginocchio. L’alato ripose la lunghissima spada al fianco destro ed estese le braccia di fronte a sé, concentrandosi attentamente. Le iridi diventarono rosso sangue ed i capelli si tinsero dello stesso colore, l’ala sinistra uscì dalla scapola, gli avambracci e le mani furono avvolte in lampi scuri ed, infine, dai palmi scaturirono fiamme nere. Nel vederlo, tutti e tre i Cavalieri in addestramento sbiancarono, se possibile, ancora di più, poiché sapevano perfettamente quale fosse l’unico potere demoniaco che permetteva ad un demone di controllare fiamme di quel colore; ma Siirist fu quello più colpito, in quanto riconobbe in quel demone la figura che aveva visto nel suo sogno nemmeno un’ora prima.

«Tsukuyomi!» disse il demone.

Mosse le braccia e dalle due fiamme si crearono due spade, della stessa forma ricurva di quella spropositatamente lunga che reggeva al fianco, ma poco più della metà in lunghezza. Intanto Evendil si era magicamente guarito, e si era rimesso in posizione, ma la sua incertezza era ormai palese, di fronte ad un alato che aveva utilizzato il fuoco nero.

«Oh, maledizione...!»

Il corpo del demone fu avvolto da scariche elettriche azzurre e si spostò a velocità impercettibile, attaccando Evendil con un doppio sgualembro, che egli parò approssimativamente, ma perse la sua arma e fu buttato sulla schiena. L’alato gli fu nuovamente addosso, e questa volta l’elfo non poteva fare niente, ma poi i due, inspiegabilmente, si ritrovarono con una distanza di centro metri fra di loro. Il demone, percependo il pericolo, balzò verso l’alto, appena prima di venire trafitto da una ventina di spunzoni di roccia indurita ricoperta d’argento.

Erano passati quattro minuti e mezzo da quando Evendil era giunto. Vedendo arrivare Adamar, Eimir, Syrius e Aulauthar, tutti indossanti le loro armature, si rilassò e crollò a terra.

Il Cavaliere d’Incubo aveva avvicinato le sue due armi e le aveva avvolte con un incantesimo oscuro, trasformandole di una falcia a due lame, Aulauthar aveva avvolto le sue spade in un alone di luce ricreando le grandi spade dorate che Siirist aveva già visto, Adamar aveva sguainato spada e mazza, e Eimir non aveva un’armatura grigio metallo in tinta con il suo drago, bensì era blu elettrico e nera. Questi puntò avanti la mano sinistra e apparvero a terra quattro sigilli del drago, uno blu scuro, uno grigio scuro, uno nero e uno rosso brillante, dai quali uscirono, rispettivamente, una sorta di gigantesco toro dal manto blu notte, un golem grande due volte un umano, composto da varie pietre che non stavano mai ferme e roteavano, una figura avvolta da un manto nero che brandiva una falce e una specie di lupo fiammeggiante, con le zampe posteriori molto corte e quelle anteriori incredibilmente lunghe.

Siirist sgranò gli occhi per la meraviglia, poiché aveva davanti a sé i quattro Cavalieri in vita più potenti che combattevano insieme. Il demone era finito.

Alea andò subito a soccorrere Evendil, e incominciò a guarirlo.

«Voi tre state bene?» chiese a fatica il mezzo dunmer.

«Non essere stupido, certo che stiamo bene! Pensa a te!»

«Se sapessi che cosa ho fatto, capiresti la mia preoccupazione. Per fortuna che sono arrivati gli Anziani, altrimenti avrei raggiunto i cinque minuti...»

«Smetti di dire cose senza senso e fatti guarire!»

«Senza senso, haha... ah!» storse la bocca per il dolore.

Aulauthar era partito contro il demone ed i due avevano cominciato a duellare, scambiandosi una serie di colpi con la loro tecnica a due spade. Il demone incominciò ad avere la meglio, così il Cavaliere d’argento si ritirò, liberando la traiettoria per il lupo infuocato di Eimir che sparò una sfera di fuoco dalle fauci, che l’alato evitò spostandosi verso la propria sinistra. Allora il Cavaliere nero menò un possente sottano dritto e la metà della sua arma con cui aveva attaccato si staccò dall’altra, e volò rapida come una saetta verso l’alato, creando nel suo passaggio una catena che la ricollegava alla parte principale. La lama della falce penetrò la carne del demone sul fianco sinistro, e, messa la destra sulla catena, Syrius indirizzò il nemico nella sfera fiammante. Dopo lo scontro, il Cavaliere d’Incubo tirò sulla catena, facendo ricongiungere le due parti della sua doppia falce. Il demone era gravemente ustionato, ma si stava già rigenerando, quando la sabbia ferrosa di Adamar, mischiata a granuli d’argento, nelle fattezze di un pugno gigante, lo investì, per poi immediatamente inglobarlo. La mano sinistra del bosmer si chiuse, stritolando il demone con il suo Funerale del deserto. Questi riuscì però a liberarsi, liberando potenti ondate magnetiche che ebbero un effetto repulsivo, allontanando tutti i granelli di sabbia ferrosa dal suo corpo. Potente come era l’energia sprigionata, neppure la polvere d’argento fu sufficiente ad annullare il suo potere. Arrivò all’attacco Eimir, che impugnava tre spade per mano, rette tra indice e medio, tra medio e anulare, tra anulare e mignolo. Il demone precedette il suo attacco con un doppio sgualembro, a vuoto, poiché Adamar aveva utilizzato la magia spaziale per dislocare Eimir alle spalle del nemico, che venne così colpito severamente sulla schiena. Il contrattacco di questi fu spietato, ed elettrizzò terribilmente il dunmer, ma l’armatura che aveva equipaggiato lo rendeva totalmente immune ad attacchi elettrici. Eimir si scansò, facendo spazio ad Aulauthar, ma l’alato prese il volo, evitando un colpo altrimenti fatale.

«Ali della fenice!» disse l’altmer.

Sulla sua schiena si generarono delle fiamme dorate che presero la forma di grandi ali piumate, che gli conferivano una velocità in volo di gran lunga superiore a quella che avrebbe avuto con un semplice incantesimo di vento.

«Manto d’ombra!» disse Syrius.

Attorno a lui si materializzò dell’oscurità sotto forma di un lungo mantello che lo avvolgeva completamente, e prese il volo, raggiungendo il rivale nell’inseguimento dell’invasore. Il Cavaliere d’argento attaccò con un doppio tondo dritto, parato dalle due spade incrociate del demone. Syrius arrivò alle spalle dell’alato, ma questi gli diede un calcio, evitato grazie ad una dislocazione del Cavaliere nero. Siirist sapeva che egli era un conoscitore, sebbene non ai livelli di Adamar, anche di magia spaziale. Non aveva percepito alcuna energia dall’elfo, però, perciò suppose che la dislocazione fosse legata al mantello.

‹Incredibile, un oggetto creato con la magia incantato con una magia di dislocazione.› pensò impressionato.

Syrius riapparve trenta metri sopra ad Aulauthar ed il demone, impegnati in un tremendo duello, e da lì lanciò nuovamente metà della sua arma, proprio quando il nemico era riuscito a rompere la guardia all’altmer, costringendolo ad interrompere il suo attacco per evitare un colpo che lo avrebbe, se no, tranciato in due. Giunse il mietitore invocato da Eimir, ma la sua falce fu bloccata dalla spada mancina, mentre con la sola destra il demone fermò il doppio colpo del Cavaliere d’argento. L’alato liberò una grande energia elettrica, liberandosi per il momento di elfo e daedra, e volò verso l’alto, per occuparsi del Cavaliere nero. Ma a bloccargli la strada furono venti sigilli dell’aquila formatisi in aria, dai quali uscirono altrettante armi a punta, spade e lance, che volarono tutte verso il demone, e lo continuarono ad inseguire ad ogni suo spostamento. Vedendo che quello non era il modo per colpire il bersaglio, Eimir posizionò le armi in vari punti e, in perfetta sincronia, Adamar bloccò il nemico nello spazio. L’incantesimo durò appena un secondo, ma fu sufficiente perché Eimir spedisse tutte le armi invocate contro l’alato, facendolo allo spiedo. Questi sputò sangue ed emise uno strozzato verso di dolore, ma non ebbe nemmeno il tempo di soffrire perché Aulauthar e Syrius gli furono subito addosso. Con un ultimo sforzo, il demone li bloccò con un’ala ciascuno, e sparò numerose penne che li perforarono su tutto il corpo, superando le loro armature, facendoli precipitare a terra. Ringhiando, l’alato, una ad una e molto in fretta, estrasse le armi conficcate nel suo corpo, ma era così provato da non avere più la forza di volare, le sue ali piegate in un angolo insolito, facendolo precipitare. I quattro daedra di Eimir gli furono addosso prima ancora che toccasse terra, mentre Aulauthar e Syrius si guarivano.

Le bestie invocate vennero fatte a pezzi da ciò che pareva un’infinità di tagli, e quando scomparvero, apparve il demone, la lunga chioma vermiglia che gli copriva l’occhio destro, che richiudeva le ali, una terza spada, identica alle due che già impugnava, stretta tra le zanne, rivolta verso destra. A prima vista Siirist pensò che fosse pazzesco, ma poi ripensò a cosa gli aveva spiegato Evendil anni prima, cioè che alcuni demoni utilizzavano la tecnica a tre spade, una micidiale variante dello stile Juyo. E davanti a lui ce ne era proprio uno. Si mise in posizione, allargando le gambe ed inclinando il busto in avanti, incrociando le braccia di fronte a sé e rivolgendo le due spade che impugnava verso l’alto, quella nella sinistra che toccava la lama di quella in bocca. E attese, respirando affannosamente. Aulauthar e Syrius si erano ripresi, e furono raggiunti da Evendil.

«Pare si stia preparando a fare veramente sul serio.» disse nervoso il mezzo dunmer.

«Mi fa quasi paura pensare che fino ad ora stesse usando solo metà della sua forza.» concordò Aulauthar, un sorriso nervoso in volto.

«Ora vedremo se è vero che il leggendario santouryu sia in grado di moltiplicare notevolmente la forza dei demoni.» esclamò Syrius, stringendo saldamente la sua doppia falce.

Nessuno si mosse per almeno un minuto, né i Cavalieri, né il demone. Tutti erano sull’attenti. Passato un secondo minuto, i membri dell’Ordine incominciarono a muoversi lentamente, circondando il nemico, ma tenendosi sempre ad una distanza di almeno trenta metri. Sotto ai piedi di Eimir apparve un sigillo dell’aquila, ed egli fu avvolto dalla luce che precede un’invocazione: l’armatura che aveva indosso quando essa svanì era diversa, tinta di rosso, giallo e nero, in alcuni punti pareva essere maculata come il manto di un ghepardo, e impugnava una daga per mano. Evendil trasformò nuovamente la sua spada, ma con una frase diversa.

«La mia spada è il centro dei quattro venti, Forza del vento libera il tuo potere.»

Dal pomolo si liberò nuovamente un turbine, ma era più lungo di quello di prima e si piegò; un altro identico aveva contemporaneamente avvolto la lama, e quando furono completi, la spada aveva assunto la forma di un arco, completato quando si fu formato un filo tra le due estremità. L’elfo passò l’impugnatura nella sinistra e tese la corda con la destra, e si creò una freccia, formata sempre da rapidi, quasi impercettibili, turbinii di vento. Nel medesimo istante, egli scoccò la freccia, Aulauthar, Syrius e Eimir partirono e Adamar creò venti spunzoni di pietraferro avvolta da argento attorno al demone che si estesero verso l’interno del cerchio che aveva creato. L’alato semplicemente roteò su se stesso, menando un’infinità di colpi in appena un secondo, e la forza generata dalle sue sferzate fu sufficiente a neutralizzare tutti gli attacchi in arrivo. I Cavalieri furono tutti scagliati via, gli spunzoni frantumati, ed il demone non si era spostato di un millimetro.

 

Evendil fece una smorfia indispettito, e alzò nuovamente Lin dur in forma d’arco e scoccò una seconda freccia, mentre Adamar utilizzava il suo più forte incantesimo spazio-temporale per tenere il nemico immobile, mentre Syrius lanciava la sua falce e faceva sì che la catena lo intrappolasse. Aulauthar e Eimir erano pure partiti all’attacco, questi almeno tre volte più veloce del normale, grazie alla sua armatura; giunto a distanza d’attacco, cambiò nuovamente armatura, indossando quella che gli incrementava di tre volte la forza: combinata alla spinta derivata dalla velocità di prima, la sua forza sarebbe diventata devastante. In mano non aveva più le daghe, ma reggeva una possente mazza decorata con piccole lame uncinate. Essa e i due spadoni dorati di Aulauthar colpirono all’unisono, ma furono bloccati da ciò che pareva essere uno scudo di fiamme nere, che si disperse subito dopo aver respinto gli attacchi. L’alato riaprì le ali, rompendo così la catena di Syrius, e poi le richiuse subito, lanciandosi contro il Cavaliere nero. Il mezzo bosmer scoccò altre tre frecce, ma nessuna colpì, e solo la quarta raggiunse il bersaglio quando Adamar nuovamente lo bloccò. Il demone si riprese dalla magia dell’Anziano, e con una potente scarica elettrica dissolse la freccia d’aria del mezzo dunmer; e la ferita si rigenerò quasi istantaneamente.

Poteri elettrici, rigenerazione, ali nere piumate, fuoco nero... Evendil temeva di sapere chi fosse quel demone, e, così fosse, era chiaro come la Setta avesse ottenuto i Gambali. Lo sguardo dell’elfo cadde sullo scorpione rosso tatuato sul gran pettorale sinistro dell’alato. Maledizione, perché proprio un membro della famiglia reale doveva unirsi alla Setta, di tutti i demoni? E perché proprio lui? Lui che, se possibile, era più pericoloso dell’Imperatore Raizen stesso?

Con il suo devastante santouryu, il demone si era lanciato finalmente all’attacco, e si stava mettendo seriamente male per i Cavalieri. Ma era anche normale, dopotutto prima gli aveva tenuto perfettamente testa quando aveva usato il suo Ataru potenziato, e quello nemmeno aveva utilizzato la tecnica a due spade! Se solo avesse perfezionato la sua nuova versione di Ataru, avrebbe potuto mantenerla oltre il limite di cinque minuti e ora avrebbe potuto aiutare gli Anziani con una forza di 198000 douriki! Ma purtroppo non era ancora completo, dunque, e scaduti i cinque minuti, si era ritrovato costretto a restituire il Flusso ai ragazzi.

Strinse i denti e scoccò altre tre frecce, fermando il nemico nella sua avanzata verso Adamar, permettendo così ad Aulauthar ed Eimir di raggiungerlo e di riprendere il loro combattimento serrato.

O se solo fossero arrivati un minuto prima. Ma era inutile continuare a pensare a come le cose sarebbe diverse se alcuni dettagli del passato fossero stati differenti. Quasi inutile come cercare di prendere il nemico con l’arco, non che potesse anche solo sperare di affrontarlo nella distanza ravvicinata, visto che l’Ataru, almeno per un’altra ora, era fuori discussione. Ma c’era una cosa che poteva fare. Non l’aveva ancora messa perfettamente a punto ed era conscio del fatto che sarebbe rimasto senza alcuna energia dopo averla utilizzata, ma doveva correre il rischio, si trattava pur sempre della sua tecnica finale. Lin dur riassunse l’aspetto di una spada, e la impugnò con entrambe le mani, avvicinandola alla fronte. Chiuse gli occhi e si concentrò, inspirando profondamente, incominciando a mettersi in contatto con tutti gli spiriti presenti in quell’area. Roteò la spada, piantandola nel terreno e poi distendendo le braccia in avanti, le mani aperte ed i palmi a tre quarti. Aprì gli occhi di scatto, espirò di colpo, la mente sgombra, i suoi amuleti che tremavano a causa delle evocazioni interrotte a metà. Ma gli spiriti dovevano avere pazienza, non era ancora il loro momento. Sdoppiò il suo Flusso, per poi dividerlo ulteriormente, concentrando due parti nelle mani e lasciando la terza nella spada. Non stava nemmeno faticando tanto a farlo, forse poteva riuscirci davvero. Però certo, tenere immobili tre ammassi di energia da cinquantamila douriki non era semplice. Ma non era il tempo per pensarci, Aulauthar e gli altri erano in difficoltà; come poteva un solo demone tenere testa ai quattro Cavalieri più forti? Forse non sapeva così tanto di quella razza come credeva.

L'energia si era finalmente stabilizzata e poteva passare alla seconda fase.

«Il vento dei Fiori è inquieto e il Dio dei Fiori tuona. Il Vento Celeste è Inquieto e il Dio della morte ride.» pronunciò intonando tutte le parole con la melodia che aveva deciso solo un mese prima.

Gli spiriti furono finalmente liberati e, agitati, si manifestarono per tutta la Rocca, salendo in cielo e ammassandosi in un cumulonembo che nel giro di pochi secondi era già grande abbastanza da coprire l'intera isola, scariche elettriche bianche che ne tagliavano la base a tratti.

«Che cosa, un inno mistico?!» esclamò Aulauthar al massimo della meraviglia.

Il demone, accortosi che egli si era distratto, lo attaccò con un fendente della mano sinistra, parato però dalla catena di Syrius, che subito dopo contrattaccò con la sua falce destra.

«Non distrarti!»

«Lo so, ma Evendil...!»

«Da quando sa cantare un inno mistico?!» si intromise Eimir, dirigendo le venti armi invocate prima verso il nemico.

«Non lo so, è per questo che mi ha sorpreso!»

«Gli elementi sono al mio comando, io controllo le bufere, le tempeste, le inondazioni.» continuò il mezzo bosmer.

Attorno all'area dove combattevano i quattro Anziani e l'alato si formò una colonna di vento e acqua che li intrappolò, ergendosi fino alla nube tempestosa.

Devo... ridurla solo al demone...› pensò faticosamente, sudore che gli rigava la fronte, cadendo lungo le tempie e sugli occhi.

Stringendo i denti, il mezzo dunmer riuscì a ridurre l'ampiezza della colonna, lasciando i Cavalieri all'esterno che, non capendo cosa stesse succedendo, si guardarono intorno quando, uno ad uno, si videro separati dal nemico. Ma capirono da soli che non era il caso di stare lì vicino e si allontanarono rapidamente.

«Si abbatta su di te l'ira degli dei!» urlò con decisione Evendil, portando tutte le note del suo canto all’ottava più alta.

La colonna fu percorsa da fulmini candidi ed esplose, liberando una potente luce bianca. A terra si era ora formata una voragine, in fondo alla quale si trovava il demone in ginocchio, le sue tre katana scomparse.

Ora il colpo di grazia.› pensò ansimando.

Afferrò Lin Dur con entrambe le mani e la portò sopra la testa, apprestandosi a terminare il suo inno.

«Giustizia divina, spada dei cieli: Folgore bianca!» e menò il suo fendente.

Contemporaneamente al movimento della spada, dalla nube si liberò un potente fulmine niveo, largo almeno dieci metri, che si abbatté con un potente boato sul demone. Oltre a tutta l’energia magica dell’incantesimo, data dal Flusso vitale triplicato grazie alla divisione e ancora moltiplicato per tre dopo i tre stadi del concatenamento, ed in seguito amplificato per sette dagli incantamenti di Lin dur, il fulmine era potenziato per dieci dagli spiriti fusi ad esso. Non si trattava semplicemente di potenziare un incantesimo con un’evocazione come faceva sempre più efficientemente Gilia, nell’attacco appena lanciato di Evendil gli spiriti e la sua energia magica erano diventati un tutt’uno: quello era ciò che veniva chiamato un inno mistico. Ma per farlo, si doveva sacrificare una gran quantità di energia magica, come dono per gli spiriti, e ciò lo lasciava esausto, perché era quasi tutta la sua riserva spirituale. Devastato ma soddisfatto, l’elfo cadde in ginocchio. Sarebbe voluto crollare, ma non voleva certo preoccupare il suo adorato discepolo, quello stupido che considerava come un figlio. Inoltre voleva assicurarsi che il demone era stato completamente distrutto; non che potesse essere altrimenti.

Ma di colpo sentì una enorme massa di energia demoniaca raggiungerlo, che portava con sé il gelo della morte. Gli occhi sgranati per l’incredulità, Evendil guardò verso il punto in cui la Folgore bianca aveva colpito e con orrore vide apparire, attraverso la nube di polvere che si stava diradando, una gigantesca massa nera fiammante. Si trattava della parte superiore di una sorta di gigante formato da fuoco nero, che reggeva uno scudo sul braccio destro e una spada nella mano sinistra. Lo scudo era sopra la testa, posizionato per proteggerlo dalla Folgore bianca, e a terra, all’interno di quel gigante, vi era il demone, in ginocchio, con il busto eretto e il braccio destro sopra la testa. Respirava affannosamente.

Non può essere, no...!

Si alzò, ed il gigante pure si fece più alto. Il demone abbassò il braccio destro e mosse il sinistro, menando un tondo manco dritto e poi un dritto manco, e il gigante si mosse di conseguenza, colpendo i quattro Anziani e mandandoli a terra. L’alato cadde nuovamente in ginocchio e il gigante di fuoco si disperse. I ragazzi in addestramento fecero per attaccare assieme ai loro draghi, ma Evendil disse a Siirist di restare lì fermi, perché gli Anziani non potevano essere sconfitti così facilmente, difatti cominciarono a rialzarsi, seppur a fatica. Il mezzo bosmer, però, non aveva rimasto più un briciolo di energia, già era un miracolo che riuscisse a rimanere in ginocchio, e non era minimamente in grado di muovere un muscolo. E intanto vide il demone dirigersi, lentamente, verso di lui.

Aulauthar riprese in mano le sue spade, Syrius strinse la sua doppia falce, Eimir mosse il braccio destro e le venti armi invocate sia sollevarono da terra, e puntarono verso il nemico, Adamar trasformò l’area attorno a sé in sabbia ferrosa, inserendo molta più polvere d’argento di prima.

«Voi Cavalieri... mi avete stancato...» disse affannosamente l’alato.

Attorno a sé concentrò la sua energia demoniaca, che si manifestò prima come scariche elettriche azzurre, poi, pian piano, si tinsero di nero, trasformandosi eventualmente in fiamme. Le concentrò tutte sul palmo sinistro, e in quel agglomerato di fuoco, a Evendil parve di vedere il riflesso di un drago.

«Amaterasu!» esclamò il demone, caricando il braccio e poi rivolgendolo verso Aulauthar, liberando il suo attacco.

Partì un enorme raggio di fuoco nero dalle fattezze di un drago marino che volò verso i Cavalieri, ed ognuno di loro ebbe la prontezza di evitarlo, sapendo che cosa sarebbe successo se fossero entrati in contatto con il fuoco nero. Allora il drago di fuoco nero si diresse verso il centro della Rocca, pronto a distruggere tutto ciò che avesse incontrato, costringendo gli Anziani a combinare tutti i loro poteri per cercare di fermarlo.

 

La Sala del Consiglio era tenuta sotto stretta sorveglianza da sei membri e dai rispettivi draghi, oltre ai quattro draghi degli Anziani che erano andati a combattere contro l’alato. Ma nessuno di loro notò i tre demoni ombra che li superarono ed entrarono, per poi dirigersi verso la porta segreta che li avrebbe condotti alla stanza nascosta che custodiva il Pomolo. Entrarono ed uscirono, ed andarono immediatamente ad avvisare il loro comandante, trovandolo esausto oltre ogni limite, così gli portarono il cadavere di un’elfa che avevano visto per strada e lui si nutrì, ripristinando parzialmente le sue energie.

«Così va meglio, ottimo lavoro, adesso portate al sicuro il Pomolo. C’è un’ultima faccenda che devo sbrigare, dopodichè vi raggiungerò.»

Le ombre obbedirono e nuovamente svanirono. L’alato si rivolse verso il mezzo dunmer in ginocchio.

«Di solito, mi piace permettere alle persone forti di vivere e permettere loro di migliorarsi, così da assaporare di più il piacere della vittoria in futuro, ma non sarò così ingenuo da farlo anche con te. Rappresenti un pericolo enorme, secondo, forse, solo a Cavaliere d’Inferno. Non posso permettere che tu rimanga in vita. Ma dimmi il tuo nome, meriti di venire ricordato da me, elfo.»

«Non me ne importa niente della tua pietà.» per tutta risposta, quello sputò.

Il demone sorrise.

«Fa niente, scoprirò il tuo nome in un modo o nell’altro.» sguainò la sua nodachi.

«No!» esclamò con forza il Cavaliere d’Inferno.

Seguito dagli amici e dai rispettivi draghi, questi attaccò il demone, ma egli era stanco e stufo, e non aveva più la pazienza di pensare ai bambini. Se ne sbarazzò, senza nemmeno guardarli, con un semplice fendente, da cui liberò una grande forza che spinse gli assalitori indietro. Fece qualche altro passo e arrivò a due metri dal mezzo bosmer. Portò indietro il gomito sinistro in uno scatto, ed in un secondo movimento altrettanto rapido trapassò il cuore dell’elfo. Infine, in un terzo, estrasse la spada, per poi riporla sul fianco.

 

Siirist assistette impietrito al suo idolo, il suo mentore, il suo amico, suo padre venire ucciso in un attimo da quel demone. In un istante la forza vitale di Evendil svanì e, spento, il corpo si accasciò come la spada fu ritratta. Il demone si voltò e fece per andarsene, ma era ancora vicino a Evendil. A Siirist non importò. Corse rapido verso di lui, non volendo credere a ciò che aveva percepito, cercando di convincersi di essere un completo negato nel percepire le energie e che, quindi, si era senza dubbio sbagliato. Si buttò in ginocchio accanto al corpo esanime dell’elfo e prese a scuoterlo.

«Ohi, ohi...! – disse piano, gli occhi che incominciarono a bagnarsi. – Ohi! – alzò la voce. – Ohi, ohi, ohi!» strillò infine.

Le lacrime incominciarono a scendere sempre più copiose e lui prese a singhiozzare. Ancora non voleva crederci. Non era possibile. Lo scosse ancora un po’, ma più delicatamente, più rispettosamente. Non c’erano dubbi, era evidente, era morto. Lo strinse a sé e levò la testa verso l’alto.

«No!» urlò, terminando la vocale in singhiozzi, mentre le lacrime continuavano a rigargli le guance.

Il demone si fermò e si voltò, fissando il biondo.

«No, no, no, no, no! – urlò disperato il ragazzo, sempre più affranto. – No, NO!»

L’alato parve ricordarsi solo in quel momento del Cavaliere d’Inferno. Riportò la mano all’elsa della sua nodachi. Gilia, Alea e draghi erano già partiti alla difesa dell’amico, ma si fermarono quando sentirono come una scossa sismica nell’aria, e quella ondata di energia fece esitare persino il demone.

Continuando a piangere, Siirist sentì che, piano, piano, la sua tristezza incominciava a sparire, sostituita da rabbia, mentre il suo fuoco interiore ribolliva sempre più. Era scosso da brividi, sempre più forti, e nuovamente liberò un’ondata di energia, questa volta più forte di prima, che sbilanciò gli amici e andò ad intaccare alcuni degli edifici intorno. Lo sguardo dell’alato si fece interessato.

«AaaaaaahhhhhhHHHHH!!» urlò, pieno di dolore e rabbia, Ryfon.

Era un urlo possente, dato di pieni polmoni, e assieme liberò una terza ondata di energia, che questa volta distrusse la parete colpita dell’edifico più vicino.

«Haki?!» disse il demone, sorridendo emozionato.

L’urlo di Siirist continuò, sempre più profondo, e dopo qualche secondo perse ogni parvenza umana, trasformandosi nel ruggito di un drago. E la sua mente si spense.

Emise un secondo ruggito, liberando un’altra ondata di energia, questa volta assieme al suo fuoco, e l’aria incominciò a farsi ardente. In poco, fiamme rosso scuro incominciarono a scaturire qua e là, a terra e a mezz’aria, bruciando inesorabilmente tutto ciò con cui entravano in contatto, innalzando in pochi istanti la temperatura. I quattro Anziani erano ancora alle prese con l’Amaterasu, e non potevano fare niente.

«Omoshiroi!» sorrise eccitato l’alato, sguainando la sua spada e mettendosi in posizione.

 

 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

 

 

 

E ecco qui, come promesso, puntuale la pubblicazione del capitolo. Prima che mi dimentichi, andate tutti subito a rileggere la fine dello scorso capitolo. Come un DEFICIENTE ho dimenticato di scrivere una cosa fondamentale. Che in realtà ho scritto, ma sul documento sbagliato, quindi, quando sono andato a fare il copia-incolla sul sito, questa aggiunta importante non c’era. Alcuni di voi hanno forse letto già di questa cosa, ma so per certo che quelli che hanno commentato hanno letto prima che mi rendessi conto del mio errore. Non so proprio come abbia fatto a passarmi di mente mentre scrivevo, è quasi imbarazzante. Allora, al momento ho scritto altri quattordici capitoli e sto andando alla grande. Qualche capitolo fa ho pure scritto qualcosa che riportava un po’ all’atmosfera dei primi anni a Vroengard e mi ha fatto molto piacere scrivere e poi rileggere quella scena (dal punto di vista di Gilia). Le cose sono proprio cambiate, ma devo trattenermi dal dire niente perché, appunto, si tratta di quattordici capitoli nel futuro, e ne devono succedere di cose per arrivarci, mentre qui siamo giusto arrivati alla morte di Evendil. D’accordo, chi di voi si aspettava che sarebbe successo? A parte quelli che hanno letto la prima versione, chiaramente. Questo è forse l’unico evento che non ho cambiato tra le due versioni, anche se le dinamiche sono state modificate. Ora, devo avvisare che sono sì a quattordici capitoli pronti, ma sono bloccato. Sono arrivati ai due (forse tre, dipende quanto saranno effettivamente lunghi) capitoli che più odio di tutta la storia. Sono impossibili da scrivere. Non ho la minima idea di come descriverli. Ho sempre avuto paura a pensare a quando li avessi dovuti scrivere, e ora è arrivato il fatidico momento. Li odio talmente tanto che ho già scritto sei pagine di un capitolo molto più avanti e che adoro (la seconda delle tre grandi battaglie) e mezza pagina (quella finale) del capitolo precedente. Spero vivamente di sbloccarmi e riuscire a trovare le idee per scrivere, se no il vantaggio che ho preso con questi quattordici capitoli andrà perso in tre mesi!

Ora una domandina: si offende nessuno se cambio radicalmente un dettaglio della storia? Vedete, si tratta di uno di quei problemi da far cancellare e ripubblicare completamente tutto (come feci a suo tempo, perché nella prima versione non avevo menzionato dei e qualcos’altro, entrambi di importanza fondamentale), ma LOGICAMENTE non ho nessuna intenzione di farlo. Perciò mi fate tutti il favore di fare finta che Siirist sia il settimo Cavaliere d’Inferno? In ogni circostanza in cui è stato detto essere il quinto, fate finta che si sia detto “settimo”. Quando all’inizio chiede ad Evendil perché il sette è un numero importante nella magia, l’elfo gli risponde che è il più importante di tutti perché rappresenta il numero degli elementi e il numero degli esseri creati dagli dei: umani, elfi, nani, orchi, demoni, draghi e angeli. Questo, chiaramente, fa di Eleril il sesto Cavaliere d’Inferno, altro fatto molto importante che verrà spiegato più avanti. Bene, detto questo, d’ora in poi verrà sempre detto che Siirist è il settimo Cavaliere d’Inferno e Eleril il sesto. Solo ora sono arrivato a realizzare quanto fosse importante dare a Siirist il settimo numero, quindi scusate per questa orribile modifica. D’altronde un autore che pubblica un libro prima lo finisce tutto e poi lo mostra al pubblico. Non è il mio caso, quindi errori simili possono capitare. Ora dovrei avere tutto chiaro e non avere altri problemi in futuro. Speriamo.

 

Il prossimo capitolo si intitola LA FURIA DEL CAVALIERE D’INFERNO e sarà pubblicata domenica 11, dopodiché le pubblicazioni avverranno ogni domenica.

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** LA FURIA DEL CAVALIERE D'INFERNO ***


LA FURIA DEL CAVALIERE D’INFERNO

 

L’intera piazza centrale della Rocca era oramai diventata un inferno, gli edifici demoliti e le pietre che pian, piano si scioglievano sotto le potenti fiamme rosso scuro. L’intera isola di Vroengard era sconvolta dalle scosse generate dall’energia traboccante dal corpo di Siirist, in piedi e immobile accanto al cadavere di Evendil. La testa china, il corpo occasionalmente scosso da forti brividi, accompagnati da ondate di energia, ogni volta più forte. Alcuni Scorpioni di basso livello che si trovavano nelle vicinanze caddero immediatamente a terra, privi di sensi, quando vennero investiti dall’energia del ragazzo. Il demone rimaneva immobile, il fianco destro in avanti, il piede sinistro arretrato, entrambe le mani sull’impugnatura, la sinistra a contatto con la tsuba, vicina alla spalla mancina, e la lama gli sfiorava il volto.

«Si mette male... L’Ambizione di Siirist si è scatenata, dobbiamo fermarlo, altrimenti rischia di distruggere tutta Vroengard!»

«Maestro!»

Alea si girò allarmata verso Althidon che, trasportato dal fedele Zelphar, aveva raggiunto il punto della battaglia.

«State assistendo alla manifestazione di un potere leggendario, che, unito al potere distruttivo delle fiamme d’Inferno, può essere considerato inarrestabile e invincibile. Ma non avrei mai voluto che si risvegliasse in questo modo.»

«E non è tutto... Siirist sembra... diverso...» mormorò Gilia, gli occhi ancora incollati sull’amico.

«Sì, ha ragione Gilia, cosa gli sta succedendo? Cos’era quel ruggito?» domandò preoccupata la fanciulla.

«Temo di non saperlo.»

Ogni conversazione fu interrotta da un’ultima ondata di energia di Siirist prima che si lanciasse verso il suo avversario completamente avvolto nelle fiamme rosso scuro; gli occhi dei due avversari si incontrarono per un momento, le iridi di entrambi i nemici di colore rosso, quelle dell’umano dello stesso colore delle sue fiamme, quelle del demone della tonalità del sangue. L’alato parò il pugno sinistro del Cavaliere alzando le mani verso l’alto, portando, di conseguenza, la punta della nodachi verso il basso, posizionando la sua spada diagonalmente. La mano di Ryfon colpì in pieno il filo ma non ne fu minimamente danneggiata, anzi creò una crepa nella lama. Era appena visibile, ma il demone se ne accorse e balzò indietro, osservando attentamente la mano sinistra dell’avversario, incredulo al fatto che avesse potuto scontrarsi con una lama di Hellsteel e rimanere illesa. Vide che le nocche, parte del dorso e le prime falangi erano strane, la pelle pareva aver ottenuto la consistenza di... scaglie?

Furioso, Siirist liberò un terzo ruggito e nuovamente caricò il suo nemico e lo incalzò con una serie di colpi a ripetizione che gli aprirono eventualmente la guardia e gli permise di colpirlo duramente in pancia, per poi afferrarlo per la faccia e schiacciarlo a terra. Rabbioso ma impotente, il demone guardò come la faccia di quel ragazzo fosse mutata e sembrasse sempre più un mostro, con le pupille verticali come quelle di un rettile, gli occhi infiammati e la pelle sopra e a fianco all’occhio sinistro dalla consistenza squamosa, così come quella della parte destra del volto, dalla tempia alla guancia, e persino lungo il collo. L’umano, per quanto fosse ormai strano definirlo tale, stava ringhiando rabbiosamente, mostrando le zanne, e l’alato vide in diretta la pelle della guancia sinistra del Cavaliere diventare squamosa, mentre quella sopra all’occhio si tingeva pure del colore rubino delle scaglie del suo drago.

«Levati di dosso!» esclamò furente.

Liberò una potente scarica elettrica che lanciò via l’avversario e con difficoltà si rialzò. A mezz’aria, Siirist si riprese generando potenti fiamme che lo tennero sospeso e con esse come propulsori volò come come una freccia verso il demone e lo colpì in pieno stomaco con una testata, come un ariete, facendo sputare sangue allo Scorpione. Ruggendo, Ryfon si girò su se stesso e assestò un potente calcio con il tallone sul cranio del nemico. Questi fu scosso da forti formicolii, quando i denti si scontrarono con forza, e scintille di un colore indefinito tra il giallo ed il nero gli comparirono davanti agli occhi. Rabbioso si riprese, e afferrò il ragazzo per la caviglia prima che potesse ritrarre la gamba; lo roteò con forza e gli sbatté due volte la testa contro il terreno prima di scagliarlo via. A cento metri dal suolo, Siirist si riprese e nuovamente si diede una spinta con le fiamme, dirigendosi velocemente verso il demone. Questa volta l’alato non venne colto di sorpresa, e piroettò sulla gamba destra, sollevando il gomito sinistro verso l’alto, con l’intento di schiantare il Cavaliere impazzito a terra. Ma egli cambiò all’ultimo direzione, arrivando a terra e mordendo il nemico sulla caviglia. O meglio, azzannandolo. Il demone sentì come lame acuminate che gli perforavano tendini e ossa, e con un calcio si liberò dell’avversario. Questi si rialzò e liberò un altro potente ruggito, mentre la sua pelle continuava ad indurirsi sempre più, ricoprendosi di scaglie rubine. Oramai tutto il viso si era trasformato, solo la parte sinistra del collo era ancora rosea e liscia. Entrambi i dorsi delle mani erano rossi, e solo il palmo destro aveva mantenuto un aspetto umano, ed aveva appena accennato le spaccature delle scaglie. L’aria era diventata anche più insopportabile, il calore si poteva quasi toccare, e erano oramai pochi i punti a terra dove il fuoco non bruciava, rosso profondo, così intenso da bruciare senza nemmeno entrarci in contatto. L’intera Rocca era diventata un incendio, e Vroengard certamente era come un faro anche a chilometri di distanza, verso il mare e verso il cielo. Ryfon partì nuovamente alla carica, con un balzò era addosso all’alato e lo cominciò a tempestare di pugni e a lacerarlo con i suoi artigli. Il demone, esausto dall’uso delle tre arti sacre, era in sua balia. Ma certo, quel punto debole nel collo del giovane, come era invitante... Levò la spada in un tondo manco dritto, ma essa fu semplicemente deviata dall’avambraccio dell’umano divenuto mostro, e in rapida successione il suo diretto sinistro distrusse il naso dell’alato. Questi accettò il colpo, sfruttando il moto per muoversi all’indietro, e al contempo alzare le gambe in un doppio calcio sul petto del Cavaliere d’Inferno, allontanandolo da sé. Approfittò del momento di tregua e spiegò le ali, prendendo il volo. Ma Siirist non era dell’idea di aver finito. Un altro ruggito, un’altra ondata di energia che rasò a terra l’edificio già precedentemente danneggiato, altre fiamme, altri feriti. Questa volta, stranamente, Ryfon parve indirizzare la sua energia verso il demone, e con essa le sue fiamme. Esse colpirono le grandi ali nere, e, con un grido strozzato, il demone rovinò al suolo e perse la presa della sua spada. Il Cavaliere d’Inferno balzò come una bestia feroce sulla sua preda, fiamme che si generavano da sporadici punti del corpo, incenerendo i suoi vestiti e mostrando la pelle squamosa sotto, in molti punti oramai color rubino. Il demone rotolò via, evitando il terribile pugno infuocato che creò una voragine nel terreno. L’alato sollevò il bacino e con un colpo di reni si rimise in piedi, per poi subito menare un calcio rotante che prese il suo avversario sul collo, schiacciandolo a terra. Richiamata la sua energia demoniaca attorno alla sua mano sinistra, ora completamente avvolta dalla intensa e accecante luce azzurrina del suo fulmine, liberò una potente scarica contro il ragazzo, ma essa fu deviata da una fiammata che questi liberò dalla bocca. Con ancora una lingua di fuoco che si protendeva dalle labbra, il ragazzo balzò e azzannò il demone sul collo. Ironico come fosse lui a farlo e non viceversa. Ringhiando, il demone infilò un dito nell’occhio sinistro del Cavaliere, spappolandoglielo, per poi afferrargli il viso e fulminarlo. Lo sollevò e lo sbatté a terra. Poi alzò il braccio sinistro e lo abbassò in un violento pugno elettrizzato, direttamente sulla gola. Per quanto il corpo del giovane fosse irrobustito da quelle scaglie rubine e dalla sua Ambizione, la gola rimaneva un punto più sensibile e il demone sentì che gliela aveva quasi schiacciata. Il ragazzo-mostro tossì sangue, imbrattando la mano destra dell’alato che ancora gli stringeva la faccia. Per un momento questi pensò che fosse finita, ma poi un ringhio lo avvisò dell’imminente pericolo ed evitò per un soffio una artigliata infuocata del ragazzo, che immediatamente si rialzò. Ma era senza dubbio provato dagli ultimi colpi ricevuti. Balzò verso il demone, ma con molta meno vitalità di prima, attaccando con un diretto sinistro. L’alato lo evitò muovendosi verso sinistra e colpendo con un montante destro sulla bocca dello stomaco, una gomitata destra in faccia e poi un possente pugno sinistro sulla nuca del ragazzo. Prima che questi potesse toccare il suolo con la faccia, si ritrovò il ginocchio destro dello Scorpione che gli schiacciò completamente il volto, lasciandolo in una maschera di sangue.

«Ora siamo pari.»

Con la destra, il demone gli afferrò di nuovo la faccia e lo fulminò, per poi lanciarlo via. E finalmente pareva che il Cavaliere d’Inferno non si rialzasse più. L’alato si guardò intorno, il fiato pesante, i suoi capelli color sangue incollati al volto dal sudore. Nessuno osava avvicinarsi. Tutti lo temevano anche in quelle condizioni. Bene, così doveva essere. Recuperò la sua nodachi e la ripose al fianco destro. Stava per volare via quando fu raggiunto dall’ennesima scarica di energia del suo mostruoso avversario e, incredulo, lo vide rialzarsi. Ci mise un po’, ma in una ventina di secondi era di nuovo in piedi. Scuotendo la testa, il demone ringhiò spazientito. Siirist prese a correre verso di lui, le fiamme che lo circondavano che gli si avvolgevano attorno all’avambraccio sinistro.

«Adesso basta. – Facendo appello alle sue ultime forze, il demone alzò il braccio sinistro, una fiamma nera nella mano – Tsukuyomi!»

Menò due rapidi colpi a Siirist, che si era nuovamente lanciato su di lui, che tagliarono come fossero burro le scaglie rubine sul petto del giovane, lasciando due profondi solchi quasi perpendicolari tra loro. La spada si dissolse e con la mano sinistra il demone afferrò i capelli del ragazzo, avvicinandolo a sé.

«Non ti ucciderò. Sarà interessante averti come mio schiavo.»

E lo azzannò su quell’unico punto del collo che era rimasto normale. Quando aveva fatto ciò che doveva fare, approfittando anche per nutrirsi, il demone lasciò andare il ragazzo, il quale si accasciò a terra, gli occhi spenti. E lentamente le scaglie rubine cominciarono a perdere il loro colore. Il demone si voltò verso il pubblico che era rimasto in disparte, i compagni del Cavaliere d’Inferno, il ragazzo rosso a cui aveva amputato una gamba, Althidon, che si era guarito quasi del tutto, se non per una leggera cicatrice sotto l’occhio destro. Dall’altra parte vide i quattro Anziani con cui aveva combattuto, che finalmente riuscirono ad indirizzare l’Amaterasu contro le mura di marmo nere, le quali vennero divorate nel punto in cui il drago di fuoco nero vi entrò in contatto, ma in compenso riuscirono ad estinguerlo. Di certo non voleva affrontarli di nuovo nella sua condizione. Beh, il Pomolo era stato preso, una enorme minaccia per la Setta eliminata, il Cavaliere d’Inferno schiavizzato e la Rocca devastata. Poteva ritenersi soddisfatto. Spiegò le ali, alcune penne bruciacchiate, e prese il volo, lasciandosi Vroengard alle spalle.

 

Raiden si trovava in una fitta foresta, un’immagine che rappresentava pienamente la natura selvaggia del Cavaliere d’Inferno. Ma la sua difesa mentale non era per niente forte, e fu semplice per lui trovare il sentiero che conduceva alla radura in mezzo a quella selva, dove sorgeva una torre. Sorrise maligno. Si avvicinò alla porta e la aprì con facilità, entrando in quella che sembrava essere una sala del trono. Camminò con attenzione, non volendo farsi scoprire prima di aver trovato la coscienza del ragazzo ed essersene impadronito. La porta sbatté dietro di lui. Si voltò di scatto, trovandosi davanti il padrone di quella mente.

«E tu che cosa fai qui, demone?» domandò con fare noncurante.

Come poteva essere sveglio in quel modo? Sarebbe dovuto essere pesantemente addormentato, sia nel corpo che nella mente! No, qualcosa non andava. Quella coscienza che aveva davanti pareva diversa dal ragazzo che aveva conosciuto nel mondo reale.

«Tu non sei il Cavaliere d’Inferno.» disse piano.

«E tu non sei un tostapane.»

«Scusa?»

«Ah, no, pensavo giocassimo al gioco delle ovvietà!»

Raiden fece per rispondere, ma quella coscienza che aveva le sembianze di Siirist Ryfon gli fu addosso, bloccandogli la bocca con la mano e immobilizzandolo.

«Questo mondo è mio, sparisci.»

Incredulo, il demone alato si ritrovò assimilato da quello che capì essere il frutto di un insulso insetto demoniaco, ma che doveva essersi rinforzato incredibilmente vivendo nella mente del Cavaliere d’Inferno.

Quando l’assimilazione fu completa, il falso Siirist cambiò aspetto, con occhi e capelli che si tinsero di rosso, i canini che si appuntirono, ed il vestito che indossava diventò un gessato a doppio petto con la camicia sotto in tinta con le iridi, ed una cravatta dello stesso nero spento dell’abito. Si guardò soddisfatto, dai polsini alla punta delle scarpe lucide.

«Così va meglio.» sorrise compiaciuto.

 

Alea era seduta sulla sedia accanto al letto di Siirist nell’infermeria della Rocca. Dall’invasione degli Scorpioni sette ore prima, tutti gli abitanti della Rocca avevano incominciato i lavori di ristrutturazione. Tutti erano spaventati al solo pensiero che la Setta fosse così potente da quasi radere al suolo l’intera cittadella; in pochi, infatti, sapevano che il vero responsabile era stato Siirist. Lo guardò preoccupata, l’ansia che le stringeva il cuore. Gli prese la mano e cercò di sentirgli la mente, ma c’era qualcosa che la bloccava.

Sarà la centesima volta che ci provi. Non credi sia meglio andare a riposare? si preoccupò Eiliis.

E come? Non riesco a smettere di pensare a quel mostro.

Parli del demone o di...

Non dirlo! Non osare nemmeno pensare che Siirist sia un mostro!si adirò.

Con sempre maggiore forza e controllo mentale, chiuse via la vocina nella sua testa che concordava con la dragonessa.

Ma l’hai visto pure tu! Era irriconoscibile, pareva, non lo so... Sembra stupido, ma sembrava un drago!

E questo lo renderebbe un mostro? Tu saresti un mostro?disse forzatamente calma Alea.

Io no, come non lo è nessun drago, ma un umano che ci assomiglia sì. E poi che cos’è questa “Ambizione” di cui ha parlato Althidon?

Non lo so, mai sentita nominare.

Si aprì la porta e Alea guardò di scatto, rimanendo delusa nel veder entrare un semplice medico. Le pareva strano avere Siirist ricoverato senza Evendil accanto. Non riusciva ancora a credere che fosse morto. Guardò verso la parete opposta al letto per vedere l’orologio che segnava le nove. Erano solo ora le nove. Se fosse una giornata normale, adesso lei, Siirist e Gilia starebbero andando da Althidon, mentre i draghi avrebbero raggiunto Zelphar. Sì, che oggi sarebbero dovuti andare con il drago viola a nuotare, Althidon avrebbe supervisionato i due ragazzi mentre duellavano usando armi secondarie, lei avrebbe incominciato ad imparare a creare illusioni mentali con Evendil, aiutati pure da Adeo. Sarebbe stata una bella giornata interessante. La porta si aprì di nuovo, questa volta a entrare fu Gilia, Asthar che lo seguiva a poca distanza. Rorix continuò ad ignorarli e a dormire accanto al suo Cavaliere.

«Sei qui da oltre sei ore, dovresti andare a dormire un po’.» disse premuroso Gilia.

Vedi, lo dice pure lui.insistette Eiliis.

«No, sto bene, grazie.»

«Non sforzarti troppo, guarda, persino Vulcano dorme!»

«Ho detto che sto bene. Grazie.» rispose in tono duro, senza distogliere lo sguardo da Siirist.

Gilia sospirò e prese una sedia, avvicinandola alla sua e sedendosi.

«Il numero di morti è di 347 Cavalieri e 298 draghi. I draghi rimasti in vita dei Cavalieri morti sono o in coma o impazziti. Due erano messi così male che sono stati dovuti abbattere.»

Alea annuì e basta, continuando a fissare il suo amato.

«Io sono completamente stremato per aver aiutato nelle riparazioni. Si sente la mancanza di Adamar, con lui la Rocca sarebbe già completamente riparata, ma purtroppo è a letto a riposare. Capisco anche, ha usato una serie di incantesimi potenti e complessi contro quel demone, e la sua età sta cominciando a farsi sentire.»

Alea annuì nuovamente.

«A Otius è stata riattaccata la gamba. È nella stanza accanto, dovresti fargli una visita anche tu.»

Annuì per la terza volta.

«Mi stai ascoltando?»

Annuì ancora. Corvinus scosse la testa e si alzò. Poggiò una mano sulla spalla dell’amica e strinse con affetto, per poi andarsene.

 

I due giorni che seguirono l’attacco alla Rocca furono i più silenziosi e lugubri che i vari Anziani potessero ricordare. La mattina del 10 giugno arrivò il corteo di elfi silvani che accompagnò re Aesar Kelvhan, e dietro di loro i più importanti esponenti di altmer e dunmer, primi tra tutti Arkiem Thyristur, padre di Evendil. Tra gli alti elfi Alea vide i suoi genitori, e li raggiunse. Elénaril la abbracciò subito, in lacrime, e pure Elisar mostrò di essere preoccupato, seppur in maniera più contenuta rispetto alla compagna di vita.

«Tranquilla, io sto bene.»

«E Siirist?»

«Ancora a letto. Nemmeno Vulcano sa che pensare.» rispose con la gola stretta.

«Chiedo scusa.»

Alea si voltò e vide arrivare una bellissima bosmer dai lunghi capelli corvini, lucidissimi, e due grandi occhi verde scuro, incantevoli. Era alta e slanciata, dal corpo e dai movimenti aggraziati. Alea e sua madre si inchinarono, mentre Elisar si limitò a fare un cenno con il capo.

«Principessa Ilaria.»

«Vorrei visitare il Cavaliere d’Inferno, mi potresti gentilmente accompagnare, Alea Ilyrana?»

La sorella del re doveva essere devastata alla morte del figlio, eppure manteneva un comportamento dignitoso e la voce non tradiva alcuna sofferenza.

«Certamente. Ma vi devo avvisare che non è conscio.»

«Non importa. Voglio vedere con i miei occhi la persona per la quale mio figlio si è sacrificato.»

«Naturalmente. Da questa parte.»

Alea si congedò dai genitori ed accompagnò la principessa all’infermeria. Entrate nella stanza di Siirist, vi trovarono Gilia che leggeva ad alta voce un libro di barzellette, Asthar, grande quanto un mastino, ai suoi piedi. Rorix era, come sempre, delle dimensioni di un gatto e stava arrotolato accanto al suo Cavaliere. Alzò gli occhi verso le nuove venute, fissando la bosmer con i suoi lucenti occhi rubini. Per poi riabbassare la testa.

«Alea.» disse Gilia voltando la testa.

Nel notare una sconosciuta, la quale indossava una coroncina di diamante e oro bianco, con incastonati diversi smeraldi, comprese che si trattava di un’elfa di grande importanza, perciò si alzò e fece un inchino.

«Gilia, ti presento la principessa Ilaria Kelvhan, sorella di re Aesar.»

Il volto del moro si indurì, comprendendo la situazione.

«Le mie più sentite condoglianze. Vostro figlio era una delle persone migliori che abbia mai conosciuto; un grande amico e un grande guerriero. Senza di lui, ora, noi tre saremmo morti.»

«Ti ringrazio per le tue parole.» rispose con voce, come sempre, dignitosa.

La bosmer si avvicinò al letto e prese a fissare il ragazzo che dormiva profondamente. Gli spostò una ciocca dal volto per esaminarlo meglio.

«Si riescono a vedere, dopo millenni, i tratti elfici, per quanto lievi.» osservò.

Passarono alcuni minuti di silenzio, durante i quali la principessa continuò ad esaminare Siirist.

«Da quando Evendil ti ha conosciuto, sei stato la sua ragione di vita, non faceva che parlare di te. Ti consiglio caldamente di non deludere le sue aspettative, altrimenti ti scatenerò contro tutto il popolo elfico, puoi starne certo.» disse duramente.

Rorix alzò nuovamente la testa e fissò Ilaria, riducendo gli occhi a due fessure. Alea e Gilia si guardarono incerti.

«Mi farebbe piacere parlarti quando sei in grado di rispondermi. Ti aspetto ad Ellesmera.»

E se ne andò.

 

Nel centro della piazza centrale era stata eretta una grande pira, sopra alla quale era stato adagiato il corpo di Evendil. Era finemente vestito e agghindato con gli accessori più preziosi. Il viso sereno, le mani erano incrociate sopra al petto e tra esse ed il corpo vi era una bellissima spada da cerimonia, forgiata completamente in argento e finemente intarsiata. I funerali dei Cavalieri e draghi caduti erano stati tenuti il giorno prima, e quel pomeriggio era interamente dedicato ad Evendil. Aulauthar ed Althidon erano impassibili, il secondo con appena gli occhi lucidi, impassibile era anche re Aesar. Arkiem Thyristur era visibilmente affranto, ma non versava neppure una lacrima; Ilaria, invece, era finalmente scoppiata, e piangeva copiosamente nelle braccia del compagno di vita. Alea e Gilia facevano fatica a trattenersi. Si fece avanti il Cavaliere d’argento, che prese la parola.

«Siamo qui riuniti per dare l’ultimo saluto al nostro caro amico Evendil Thyristur. Egli non era un Cavaliere, ma era con grande onore che lo potevamo considerare un fratello. È morto come è vissuto, dando la sua vita per l’Ordine. È con somma tristezza che piangiamo la sua scomparsa; non sarà mai dimenticato. Elisar Ilyrana si è offerto di commissionare due statue di marmo argentato da tenere qui a Vroengard e a Ellesmera. La famiglia reale lo ringrazia per questo gesto.»

Alea sgranò gli occhi, non aspettandosi mai una mossa simile da parte del genitore. Si sentirono alcuni mormorii e la fanciulla si girò verso il punto da cui proveniva tanta commozione, vedendo giungere Rorix in tutta la sua grandezza, ventidue metri di lunghezza, coda esclusa, e tre di larghezza. Camminava lentamente, e la gente radunata si spostò per farlo passare. Arrivato ai piedi della pira, Aulauthar annuì e il drago rubino esalò la sua possente fiammata, dando fuoco al mucchio di legna e paglia.

Da un punto della Rocca verso sinistra si sentì un forte stridio e Griever, il grifone di Evendil, prese il volo, allontanandosi dall’isola.

 

Il forte martellare che sentiva nel cranio obbligò Siirist ad aprire gli occhi. Ci mise un po’ per adattarsi alla luce e sbatté più volte le palpebre. Infine realizzò di essere nell’infermeria. Stava perdendo il conto di quante volte ci si era risvegliato. Come minimo saranno state una ventina. Un forte bruciore sul lato sinistro del collo gli fece portare d’istinto la mano a coprirselo, e dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non strillare dal dolore.

Come era finito lì? Questa domanda era tutto ciò a cui poteva pensare, passata la fitta al collo. Ricordava perfettamente di aver combattuto contro il demone alato. Ricordava di non aver riportato alcuna ferita. Ricordava la rottura di Beleg runia e l’intervento di Evendil. Ricordava il più grande scontro a cui avesse assistito, con i quattro Anziani che combattevano contro il nemico. Ricordava Evendil lanciare quel potente incantesimo, o stregoneria che fosse... “Inno mistico”, l’avevano chiamato gli Anziani... Ricordava, adesso con difficoltà, come se i suoi ricordi avessero cominciato a farsi sbiaditi, il gigante di fuoco nero con il quale il demone si era difeso. Ricordava... niente. Poi non ricordava niente. Si sforzò, causando un incremento del mal di testa, e vide l’immagine di Evendil in ginocchio e il demone che gli parlava. E ancora vuoto. Era come se il suo inconscio non volesse che lui ricordasse cosa fosse successo. Ignorando il sempre più forte martellare al cervello vide l’alato trafiggere il cuore del mezzo bosmer.

No.

Scosse la testa e, in preda al dolore, urlò con forza, un urlo, quasi un ruggito, che fece tremare la stanza. Poi, nuovamente, il suo inconscio intervenì, e lui perse i sensi.

 

‹Ben svegliato.› disse preoccupato Rorix.

‹Ehi...› rispose debolmente Siirist.

‹Ti ricordi cos’è successo?›

‹Solo fino a che Evendil è morto. Ricordo che sono corso da lui, che l’ho abbracciato... Poi niente.› pure la voce mentale era strozzata per il dolore che provava.

Non poteva essere, non voleva credere che Evendil fosse morto...

‹Quindi non ricordi essere andato completamente fuori di testa, esserti trasformato in una sorta di drago su due gambe e aver dato fuoco a tutta la Rocca?›

‹Di che parli? Ti pare il momento di fare lo spiritoso?›

‹Sono serissimo, guarda tu stesso.› e gli trasmise i suoi ricordi.

Siirist era orripilato. Per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a ricordarsi niente. I suoi ricordi finivano a lui che urlava disperato con il corpo di Evendil tra le braccia, per poi ricominciare quando si era risvegliato la volta prima in quel letto. Ma, a differenza di prima, quando la sua mente cercava di proteggerlo senza fargli ricordare la morte dell’amico, ora non aveva proprio alcuna memoria di quello che aveva visto nei ricordi di Rorix. Ebbe nuovamente una fitta al collo e, stringendo i denti, se lo strinse con la sinistra. Il demone lo aveva morso. Ecco che cos’era quel bruciore.

‹Hai una brutta cicatrice. I guaritori non sono riusciti a rimarginarla.›

La porta si aprì di botto ed entrarono Alea e Gilia assieme ai loro draghi, che si avventarono su di lui.

‹Vi prego, fate piano.›

«Ah, scusa.» rispose imbarazzato Gilia.

‹E parlate con la mente. Ho un fortissimo mal di testa, qualunque suono è un’agonia.›

‹Se hai mal di testa, affaticare la mente non te lo fa peggio?›

‹Sentire voi no, a dover parlare, invece, provo dolore. Ma non c’è altro modo, non riesco a parlare con la ma voce. Credo ci sia qualcosa che non va con la gola.›

‹Ti chiamo Adeo.› disse il moro.

Lui e Asthar uscirono, lasciando Siirist da solo con Alea che si sedette sul letto, accarezzandogli la mano. Siirist la guardò con affetto, ma vide che nello sguardo di lei vi era qualche titubanza. Non ci voleva un genio per capirne a ragione.

‹A proposito di cosa è successo dopo la morte di Evendil...›

‹Non ne voglio parlare. Vuoi vedere i miei ricordi del funerale?›

Come aveva immaginato, Alea era ora spaventata da lui.

‹Te ne sarei grato.› rispose, non toccando più l’argomento.

 

Nelle ore successive, Siirist fu visitato da Adeo, Althidon, Aulauthar e Syrius. Tutto ciò non faceva altro che aumentare il suo malessere per la perdita di Evendil, in quanto egli sarebbe stato il primo a fargli visita. Gli ultimi tre lo tempestarono di domande circa la sua trasformazione, non contenti del fatto che lui non ricordasse niente. Quando infine Adeo cacciò tutti e diede al ragazzo una pozione che lo fece dormire e che sarebbe dovuta servire a farlo parlare di nuovo.

Il giorno dopo Siirist si risvegliò tossendo, e con voce roca, chiese a Rorix di togliersi dalla sua pancia.

‹Bene, riesci a parlare.›

«A stento. Almeno non provo dolore e non affatico più la testa.»

Sentì bussare alla porta e due secondi dopo essa si aprì ed entrò un bosmer che Siirist aveva visto nei ricordi di Alea del funerale di Evendil.

«Maestà.» la situazione voleva che si sforzasse a parlare nella lingua degli elfi.

Dalla pelle chiara, i corti capelli nero lucido, gli occhi di un verde profondo, re Aesar si avvicinò a lui e si sedette sulla sedia accanto al letto. Rimase in silenzio per un buon mezzo minuto, per poi rispondere, la voce solenne.

«Cavaliere d’Inferno.»

Siirist non sapeva come continuare la conversazione. D’altronde si trovava di fronte all’uomo il cui nipote era morto per salvarlo. E da quello che sapeva, Evendil, cresciuto a Ellesmera, era più vicino allo zio che al padre.

«Sono felice tu ti sia svegliato.»

«Vi ringrazio.»

«Forse non lo saprai, ma mia sorella è venuta a farti visita quando ancora eri addormentato.»

«Non mi è stato detto.»

Tossì. La gola gli faceva male, ma doveva ignorare il fastidio. Deglutì varie volte e si schiarì la voce.

«Hai una brutta cicatrice lì; ho saputo che i guaritori non sono stati in grado di rimarginarla. Il morso di quell’alato, mi è stato riferito.»

«Sì.»

Pensò bene di evitare di raccontare al re degli elfi che non si ricordava di quel preciso avvenimento, in quanto era andato completamente fuori di testa dopo essersi trasformato in una sorta di mostro. Passò qualche altro minuto di silenzio completo.

«Voglio che tu sappia che nessuno ti colpevolizza per la morte di mio nipote. Forse mia sorella, all’inizio, lo faceva, ma ora si è calmata. Evendil ha spesso parlato di te, sappiamo che ti considerava come un figlio, e sappiamo per certo che, fra tutte le morti possibili, quella per proteggere te è quella che avrebbe scelto in qualunque circostanza. Ripeto, sono felice che tu ti sia risvegliato, e spero che ti riprenderai presto. E, per favore, vieni a Ellesmera quando avrai completato il tuo addestramento.»

«Lo farò.»

Re Aesar si congedò e lasciò la stanza.

Nel tardo pomeriggio, Siirist lasciò l’infermeria e si diresse verso la Sala del Consiglio, in quanto era stato convocato. Lì presenti vi erano anche Althidon, Alea, Gilia, Bial, Ren e Adeo assieme ai loro draghi.

Siirist si avvicinò ai suoi compagni e prese Alea per mano, mentre Gilia gli diede una pacca sulla spalla.

«Cavaliere d’Inferno, sei stato convocato perché è giunto il momento di rivelarti ciò che ti è stato nascosto da quando sei giunto, cioè il fatto che tu possiedi il potere dell’Ambizione.» disse solenne l’unica donna sul Consiglio.

«Si tratta di un potere che compare in una persona ogni cento milioni.» continuò un altro dei dieci Anziani, un dunmer.

«È la capacità di manifestare la propria forza di volontà. Essa dona il potere di rinforzare il proprio corpo, di prevedere gli avvenimenti e di schiacciare i propri nemici. Con questo si intende che chi non ha la mente abbastanza forte sverrà quando ne verrà in contatto, e in rari casi, nel tuo, può essere così forte da influenzare l’ambiente circostante. La distruzione che hai arrecato alla Rocca non è stata solo frutto delle tue fiamme, ma anche dell’energia della tua Ambizione.» spiegò l’umano dei dieci.

«Purtroppo nessuno di noi conosce il potere dell’Ambizione così bene da poterti addestrare ad usarla. Possiamo solo sperare che imparerai da solo a farlo. Per questo è necessario che ti auto disciplini. Adeo ti aiuterà in questo, siamo sicuri che, con i suoi segreti, possa riuscire a farti ottenere una padronanza maggiore della tua mente.» concluse Aulauthar.

«La seconda ragione per cui ti abbiamo convocato, è per rivelarti la vera natura della tua trasformazione.» riprese Syrius.

Tutti i presenti che non facevano parte del Consiglio si fecero più attenti. Evidentemente era già stato spiegato loro dell’Ambizione. A pensarci bene, Althidon già lo sapeva da qualche anno, e probabilmente era stato detto anche a Bial e Ren.

«Il Consiglio è incaricato di custodire molti dei segreti dell’Ordine, e uno di questi è come si è venuto a formare il legame tra elfi e draghi. proseguì il Cavaliere nero.Come tutti sapete, in principio elfi e draghi erano nemici, e gli elfi si allearono con i nani per cercare di avere il sopravvento. Ma prima di questa alleanza, gli elfi, troppo in difficoltà, elaborarono una magia complicatissima con la quale riuscivano ad assorbire il Flusso dei draghi uccisi. Questo donava loro la forza di uccidere un drago con facilità, ed eventualmente venne a formarsi una speciale unità di elfi chiamati Ammazzadraghi. Più draghi uccidevano, più si rafforzavano, ma, eventualmente, ogni Ammazzadrago veniva distorto da tutto il potere dei draghi, diventando un draconiano. Cioè ciò in cui ti sei trasformato tu. Con la nascita dei Cavalieri ed un trasferimento di energia dai draghi ai Cavalieri più naturale, questa condizione sparì, tranne che in sei casi, sei casi in cui il drago in questione era troppo potente perché un semplice bipede potesse instaurarci un legame. Chiedo scusa, il numero ora è di sette, non più sei.» si corresse.

Siirist incominciava a capire.

«Gli annali dell’Ordine ci dicono che Elduril, il primo Cavaliere d’Inferno, morì ucciso dal suo drago, poiché era andato completamente fuori controllo perché trasformatosi in un draconiano. I successivi Cavalieri d’Inferno, imparando da Elduril, riuscirono a controllare sempre meglio lo stato del draconiano, fino ad arrivare ad Eleril, che raggiunse una trasformazione su cui esercitava un controllo perfetto.» raccontò Adamar.

«Nel loro caso, i primi segni della trasformazione in draconiano si manifestarono dopo almeno un migliaio di anni, periodo durante il quale ebbero modo di instaurare un legame mentale con il loro drago del 100% e di conoscere bene la loro situazione di Cavaliere. Tu, invece, hai incominciato a manifestare i primi segni già dalla tua missione a Zanarkand, completando la trasformazione con la morte di Evendil.» disse Eimir.

«Riteniamo che l’averti messo in pericolo mortale a Zanarkand abbia risvegliato il tuo stato draconiano, e per questo l’intero Consiglio si scusa.» finì Aulauthar, la rabbia nella sua voce palpabile.

«Quindi voi sei vi state finalmente rendendo conto di quanto siete stati stupidi a mandarmi a Zanarkand?» disse noncurante Siirist.

I sei Anziani interessati apparvero visibilmente in difficoltà.

«Non che mi dispiaccia esserci andato, ho conosciuto un bambino splendido che ora sarebbe molto probabilmente morto se ci fosse stato qualcun altro al posto mio. Ma ditemi, non avete la minima idea, come per l’Ambizione, di che cosa possa fare per allenarmi a controllare questo stato draconiano?»

«Purtroppo no. Sappiamo che utili informazioni sono custodite nei grimori dei Cavalieri d’Inferno, ora tutti assieme a Eleril nella sua tomba a Imladris.» rispose Adamar.

«Perché lui ha tutti e sei i grimori?»

«Perché è costume che il Cavaliere d’Inferno ottenga i grimori di quelli che lo hanno preceduto. Se tutto fosse andato normalmente, tra un centinaio d’anni te lo avremmo detto e tu saresti andato a studiarteli.» continuò il Cavaliere delle sabbie.

«Capisco. Beh, peccato che tutto non sia andato normalmente. Suppongo dovrò andare subito a Rivendell.»

«No. Non sei ancora pronto, inoltre siamo certi che lo stato draconiano non si manifesterà di nuovo. D’altronde è apparso perché eri in preda ad una collera come mai prima, perciò è sufficiente che impari a disciplinare la mente con Adeo, come abbiamo detto. Dalla riunione della Spada, devono passare cinquant’anni perché il suo potere si risvegli, perciò siamo convinti che la Setta dello Scorpione non si muoverà fino ad allora. Nel frattempo, i dieci esponenti più forti di nove brigate andranno a sorvegliare le Reliquie ancora al sicuro, tre per luogo. Tu pensa solo a completare il tuo addestramento, e tra una decina d’anni, assieme ad Althidon, ti recherai a Imladris per studiare i grimori dei Cavalieri d’Inferno.» finì Aulauthar.

«Va bene.»

Il Consiglio disse ai presenti che potevano ritirarsi, e Althidon accompagnò gli allievi alla loro stanza.

«Ci dispiace non averti detto dell’Ambizione. Pensavamo che informarti che possiedi un simile potere ti avrebbe fatto solo montare la testa. E solo il Consiglio sapeva dei draconiani, io ne sento parlare oggi per la prima volta.»

Siirist annuì. Il Maestro capì che non era il caso di insistere e se ne andò, informando gli allievi che l’addestramento era interrotto fino a nuovo ordine. Siirist rimase seduto sul suo letto, senza aprire bocca. Rorix pure si era chiuso in se stesso, escludendo il Cavaliere dalla sua mente. Gilia e Alea si guardarono, ed il moro uscì, accompagnato dall’Incubo, e l’elfa si sedette accanto all’amato. Questi la guardò di sfuggita: pareva più tranquilla. Evidentemente sapere che la sua trasformazione era un avvenimento “normale” le aveva fatto passare ogni timore. Buon per lei, lui non sapeva che pensare.

«Ehi...» incominciò, accarezzandogli le spalle per rassicurarlo e calmarlo.

«No.» rispose il ragazzo, alzandosi.

Restò immobile per qualche tempo, per poi uscire dalla stanza senza Rorix.

 

 

 

 

 

~

 

 

 

Salve a tutti! Un po’ di pubblicità: ho pubblicato una nuova storia, una originale, che si trova nella sezione Horror. È un po’ generale dire che sia horror, poiché ha una gran componente d’azione e drammatica. Se vi piace il genere, dateci un’occhiata, si chiama “Mark of the wolf”.

 

 

Il prossimo capitolo si intitola SIGILLO DI SANGUE. Il falso Siirist ha finalmente tutto il potere necessario per prendere il controllo. Quali saranno le conseguenze del suo gesto?

Come detto in precedenza, i capitoli saranno pubblicato con una frequenza settimanale, ogni domenica. Nel caso avessi problemi e non potessi pubblicare, avviserò nel capitolo precedente.

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** SIGILLO DI SANGUE ***


SIGILLO DI SANGUE

 

Siirist era stato da qualche ora sulla spiaggia dell’isoletta dove lui e Evendil erano soliti sempre andare. La marea si stava alzando e l’aria incominciava a farsi fredda. Ci volle l’acqua che gli bagnò le gambe per fargli notare che era scesa la notte. Ma non gli importava. Si sentiva morto dentro, completamente apatico. Non era stato in contatto con Rorix da ore e questo, solitamente, lo avrebbe fatto star male. Invece non sentiva nulla. Nemmeno aveva fame e, per lui, quella era una prima volta. Restava seduto a gambe incrociate, i calzoni tirati su oltre le ginocchia per non farli bagnare. Non che importasse, poiché l’acqua era ormai arrivata sotto il suo sedere. Nemmeno se ne accorse. Infine, senza nemmeno rendersene conto, si addormentò.

Fu svegliato la mattina dopo dal sole che gli brillava negli occhi. Si mise a sedere, portando una mano a pararsi il viso, e trovò Rorix accanto a lui.

‹Sei stupido ad addormentarti sulla spiaggia durante la marea? Se non fossi arrivato io a bloccarla con la magia, tu saresti stato affogato dall’acqua alta.› disse con il suo solito tono superiore, da presa in giro.

‹Grazie.› rispose lugubre.

‹Come stai?›

Nessuna risposta.

‹Senti, dispiace molto anche a me per Evendil, e so perfettamente come ti senti, lo provo anche io, ma devi cercare di riprenderti.›

Nessuna risposta.

‹Mi dispiace per questa faccenda dei draconiani. Non so che dire, non so come scusarmi.› disse a bassa voce.

Siirist si alzò e volò via.

‹Ehi! Abbiamo un legame inscindibile, non puoi ignorarmi per sempre!› gli urlò dietro il drago.

Questa volta fu il ragazzo a troncare la comunicazione telepatica.

Raggiunse il villaggio portuario e vi entrò, senza nemmeno rispondere al saluto della guardia. Entrò nella taverna e si sedette in disparte, ordinando un bicchiere d’acqua.

«Hai sentito che cosa hanno detto i Cavalieri? Apparentemente stavano facendo uno studio sulla magia del fuoco e ne hanno perso il controllo.» disse uno dei clienti.

Era seduto ad un tavolo con altri tre e stavano discutendo animosamente.

«E tu ci credi?»

«Non proprio, se devo essere onesto.»

«Concordo, la cosa mi puzza. Una settimana siamo stati a chiedere cosa fosse stato tutto quel disastro e solo ora se ne vengono fuori con questa spiegazione?»

«Io dico che c’entrava il Cavaliere d’Inferno.»

«Quello è un buono a nulla, ecco che cos’è! Altro che Cavaliere leggendario, sarà la rovina dell’Ordine e dell’isola!»

«Già. Questo dovrebbe essere il villaggio più sicuro di tutta Tamriel, situato alle pendici della Rocca, eppure mi sento sempre più in pericolo.»

«E quella parata di elfi l’altro giorno? Non ne ho mai visti così tanti, nemmeno durante la Prova!»

«Sai qual è il problema di questi Cavalieri? Proprio gli elfi.»

«Esatto, così altezzosi, così indifferenti. Se i Cavalieri fossero tutti umani le cose sarebbero diverse.»

«Se io fossi un membro del Consiglio, avrei già fatto giustiziare il Cavaliere d’Inferno e quella sua lucertola rossa!»

«Il maledetto ha pure messo le mani su mia figlia.»

«Sì, ricordo quando veniva sempre qui. Ora invece lo fa il suo amico, il nuovo Cavaliere d’Incubo. Il figlio di un conte, mah! Sì, il problema dei Cavalieri sono gli elfi e i nobili!»

«Dovrebbero far partecipare noi alla Prova!»

«Di certo saremmo più adatti che quella gente.»

Seguirono altri scambi di battute simili, che Siirist continuò ad ascoltare senza rispondere. Non gli importava. Evendil non c’era più. Improvvisamente un particolare odore attrasse l’attenzione del giovane: guardò verso la porta e vide entrare una delle sue vecchie amanti. Non sapeva spiegarsene la ragione, ma era impossibilitato dal distogliere lo sguardo. Gli appariva così invitante, ma non in senso sessuale, piuttosto... le voleva affondare i denti nella carne. Scosse la testa, ma ciò non fece che peggiorare la situazione. Sentì un forte bruciore agli occhi. Non sapeva come fosse possibile, ma incominciò a vedere le vene della ragazza ed il sangue che le scorreva nel corpo. Il cuore pulsava così forte, che lui riusciva a sentirlo. Scosse nuovamente la testa, aprì e chiuse gli occhi con forza, e ora tutti i presenti nella taverna avevano l’apparato circolatorio in risalto. A Siirist si aprì la bocca. Incominciò a boccheggiare e salivare, incominciò a fargli male lo stomaco. E il collo. Una fitta tremenda si diramò dalla cicatrice, facendogli formicolare tutto il corpo. Con la nausea, cadde a terra, portando giù sedia e tavolo. Tutti i clienti guardarono verso di lui ed il silenzio cadde.

«Siirist!» disse la sua vecchia amante.

I quattro che avevano sparlato dell’Ordine impallidirono. La ragazza andò ad aiutarlo a rimettersi in piedi, ma la sua vicinanza peggiorò la situazione. Ora sentiva l’odore del suo sangue, la bocca gli si divenne una fontana di saliva e lo stomaco gli brontolò. La spinse via, facendole urtare un tavolo e facendo rovesciare un boccale di birra addosso all’uomo che lo stava bevendo e, stringendosi il collo sulla cicatrice, Siirist, barcollante, corse via, inciampando due volte. Arrivato ad un centinaio di metri dal villaggio, crollò a terra e perse i sensi.

 

Althidon entrò nella Sala del Consiglio per la seconda volta in due giorni.

«Bene arrivato, Maestro Althidon.» lo accolse uno degli Anziani.

«Ti abbiamo convocato perché riteniamo necessario parlare del demone alato che ci ha attaccati.»

Althidon immaginava già di che cosa volessero parlare, poiché lui stesso non aveva dormito per una settimana pensandoci.

«Dal tipo di ali e dal potere elettrico, sospettiamo fosse una bestia del fulmine. Ma l’assenza di corna ed il colore insolito di occhi e capelli ci fa avere dei dubbi.»

«Era però in grado di utilizzare il fuoco nero, potere appartenente alla famiglia reale.»

«Inoltre ha morso Siirist. Questo fattore assieme ai suoi occhi rosso sangue, il potere rigenerativo e il potere di seduzione ci fa sospettare che potesse essere un vampiro.»

«Ma ancora questo non spiegherebbe le ali, il potere del fulmine ed il legame alla famiglia reale.»

«A meno che...» disse Aulauthar.

«Non sia il nipote di Raizen.»

«Il figlio della figlia dell’Imperatore e del conte dei vampiri. Ci stavo pensando anche io.» concluse Althidon.

«Come può essere che non abbiamo saputo della sua nascita?»

«D’altronde ce lo saremmo dovuti aspettare quando, quattro secoli fa, i due si sposarono.»

«È la prima volta che sentiamo di un incrocio di vampiro, perciò non sappiamo che effetti possa avere il suo morso, ma dobbiamo stare attenti a Siirist.»

«Se le nostre paure si rivelano fondate, il pericolo dello stato draconiano diventerebbe secondario.» disse Syrius.

«Come suo Maestro, sei incaricato di tenere un occhio su di lui, amico mio. E nel caso si riveli una minaccia, hai il permesso e il dovere di ucciderlo.» disse duramente Aulauthar.

«Come volete.»

 

Il continuo sussultare, per quanto leggero, fece aprire gli occhi a Siirist. Si ricordava quella sensazione. Quante volte Evendil lo aveva portato sulle spalle, dopo i loro estenuanti allenamenti dopo i quali Siirist non riusciva nemmeno a muovere un muscolo? La vista non ancora a fuoco, Siirist vide indistintamente, premuti davanti alla faccia, dei capelli castano chiaro.

«Evendil?»

«Purtroppo no.»

Siirist mise a fuoco e vide che i capelli erano in realtà biondi e realizzò di essere sulle spalle di Althidon.

«Che sta succedendo?»

«Sei sparito da quasi un giorno intero e ti ho trovato lungo la strada per il villaggio.»

«Intendo perché mi state trasportando così? Non è da voi, mi sarei aspettato più una magia di levitazione.»

«Hai ragione. Ma ho spesso visto Evendil farlo, ed ero curioso di vedere cosa si provasse.»

Il resto della strada lo trascorsero in silenzio, e Althidon riportò l’allievo alla sua stanza, adagiandolo sul letto. Rorix si avvicinò al Cavaliere.

‹Come va?›

‹Male. E non per Evendil.› rispose con i crampi allo stomaco e la cicatrice in fiamme.

 

Tu-tum, tu-tum, tu-tum.

Siirist si svegliò di soprassalto. Si guardò intorno, ma il rumore che aveva sentito era sparito. Come se non sapesse di cosa si era trattato.

Tu-tum.

Eccolo ancora. Si guardò verso sinistra e vide Alea risplendere di rosso. Ogni sua vena pareva essere stata incantata da una magia di luce, così che brillasse oltre la pelle. A Siirist ritornò il brontolio allo stomaco. Respirando affannosamente, si allungò verso il comodino e prese la pozione di Adeo, addormentandosi pochi momenti dopo.

Il mattino dopo la situazione parve migliorata. Non aveva più fitte di dolore né al collo né allo stomaco, non vedeva più l’apparato circolatorio della gente. E la giornata passò tranquilla. Così come le due successive, nella silenziosa calma della Rocca. Quando, al terzo giorno, Siirist stava camminando verso la mensa e vide un gruppo di quattro elfe uscirne. Erano una più bella dell’altra, e risvegliarono il suo desiderio. Si fece sfuggire un lamento quando si accasciò a terra, il collo che gli pulsava come non mai, e le orecchie invase dal martellante rumore dei cuori delle quattro. Le vene di queste erano così brillanti che quasi lo accecavano, ed una grande sensazione di fame lo invase.

 

Siirist era seduto sul suo trono, completamente sudato. Boccheggiava e cercava di farsi aria con le mani. Faceva caldo.

 

Con un urlo, il ragazzo si alzò in ginocchio e si strappò la tunica, sudore che grondava da tutto il corpo. Si sentiva ribollire. Si buttò con le mani avanti, respirando a stento, la gola secca e stretta. Lo stomaco gli brontolò così forte da fargli male. Strinse la pancia con la mano e cadde di lato, avendo perso il supporto di uno degli arti. Incominciò a formarsi una folla attorno a lui.

 

A terra, ai piedi del suo trono, Siirist non riusciva ad alzarsi, quando sentì dei passi avvicinarsi a lui. Andavano ad un’andatura tranquilla, lenta, rilassata. Lo raggiunsero e si fermarono. Qualche secondo dopo si fecero nuovamente sentire, e Siirist capì che, chiunque fosse, si era seduto sul suo trono. Alzò a fatica la testa, i muscoli del collo che tiravano, il viso arrossato.

‹Chi... sei...?›

‹Io? Io sono te!› rispose, inchinandosi in avanti, e portando la faccia a contatto con quella di Siirist.

E, incredibilmente, era vero: era lui. Era identico in tutto e per tutto a lui, se non per il colore di occhi e capelli, color sangue. Lo stesso colore di quel demone.

‹Come... può essere...?›

‹Se dovessi raccontarti la storia della mia origine, ci metteremmo troppo tempo. Ti basti sapere che sono stato creato nella mente di Alea, dopodiché ho approfittato di un vostro momento di intimità per passare nella tua. E ho aspettato, aspettato il momento adatto per possederti. E poi, meraviglia, vieni morso da un demone, un mezzo vampiro! Vedi, inizialmente ti assomigliavo in tutto, ma da quando ho assorbito la coscienza di quel demone, mi si sono tinti di rosso occhi e capelli. Trovo che mi si addicano di più, comunque.› disse esaminandosi un ciuffo.

‹Un mezzo vampiro...?›

‹Oh sì. Tu ora sei in transizione, e ti stai trasformando in un demone. Tranquillo, non succederà fino a che non lo accetterai.›

‹Diventare come quel mostro?! Mai!›

‹Allora continua a soffrire, a me non interessa.›

‹Nemmeno a me.›

‹Eh... – sospirò. – Temevo avresti risposto così. Purtroppo per te, però, non c’è molto che tu possa fare. Sei troppo debole. Arrenditi, hai perso.›

 

Siirist smise di avere le convulsioni. Si rimise in ginocchio, in silenzio, e si guardò intorno. E sorrise, i canini che si allungavano mentre gli occhi cambiavano colore. In un balzo fu addosso all’elfa più vicina e la azzannò alla gola, strappandole la giugulare. Il drago fece per attaccarlo, ma collassò. Le altre tre erano troppo scioccate per reagire, così lui approfittò per trafiggere il petto a una con la mano, strappandole il cuore. Le amiche si ripresero quando lo videro mangiare il muscolo. Sguainarono le spade e le abbatterono su di lui, ma Siirist, i capelli diventati vermigli, aprì le ali, con cui bloccò i colpi.

«Allontanatevi tutti!» urlò Althidon, correndo verso di lui.

«Tch!» si infastidì Ryfon, preparandosi ad un duello serio.

Con l’ala sinistra parò il fendente del Maestro, poi la aprì, spezzando la guardia dell’elfo e subito attaccandolo con un pugno elettrizzato dritto in faccia. Arrivò anche Zelphar, e questo lo obbligò a balzare via, spiegando le ali, e con quattro colpi di esse arrivò a cento metri di distanza. Il drago viola ripartì alla carica e Siirist estese il braccio destro, dal quale partì un prolungamento fatto di oscurità che in un istante raggiunse il rettile. Il braccio d’ombra era così grande che la mano riusciva a stringere l’intero corpo della bestia. Ma la sua forza non era sufficiente, e Zelphar si liberò con facilità, appena prima che Althidon scagliasse diverse sfere di fuoco viola contro il ragazzo. Egli elettrizzò la mano sinistra, e diversi fulmini, che fungevano da corde, apparvero nel terreno davanti a lui, sollevando un muro di pietra. Esso non era stato creato magicamente e la sua consistenza era quella semplice della roccia della collina, perciò non fu sufficiente a fermare gli incantesimi di Althidon. Essi raggiunsero Siirist, congelandolo in vari punti. Egli sorrise e richiamò il Flusso vitale, unendolo all’energia magica appartenente alla coscienza del vero Siirist anziché all’energia demoniaca legata alla propria. Grandi fiamme rosso scuro lo circondarono, evaporando in pochi istanti il ghiaccio viola.

«Naur paur!» disse lanciando il suo incantesimo di fuoco d’Inferno.

Althidon, incredulo per aver visto un demone utilizzare la magia, non ebbe la prontezza di reagire, ed il Pugno di fuoco lo avrebbe colpito se non fosse arrivata un’altra fiammata di eguale potenza a neutralizzarlo. Siirist guardò con aria omicida verso destra, vedendo arrivare in volo Rorix. Il potere dell’oscurità incominciò a circondargli il corpo, e fu pronto ad attaccare il proprio drago, ma Zelphar si avventò su di lui per primo, strappandogli via il braccio sinistro con un morso, assieme a parte del pettorale e la parte corrispondente della schiena. Tutto ciò, nelle fauci del drago, si dissolse in lingue di fumo oscure, ed il corpo del neo demone si ricostituì in un istante con lo stesso potere.

Tutto d’un tratto, Siirist avvertì una carenza di forze e cadde in ginocchio, dando la possibilità a Rorix di atterrarlo. Dannazione, aveva usato troppo i suoi poteri demoniaci senza esserci abituato. Che errore da principianti che aveva commesso! Così desideroso di provarli, si era lasciato prendere la mano e aveva prosciugato la sua riserva di energia demoniaca! Ma purtroppo per l’Inferno che incombeva su di lui, egli era in grado di attingere ad una diversa forma di energia. Nei recessi della sua mente, si avvicinò una seconda volta alla coscienza del verso Siirist e...

‹Scordatelo.›

‹Osi resistermi?!›

‹Non ti farò avere la mia energia.›

Dopo il Pugno di fuoco, il vero aveva capito che l’unico modo perché il demone potesse lanciare incantesimi era utilizzare la sua riserva magica, e lui avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per impedirglielo.

‹Non c’è niente che tu possa fare! Sono più forte di te, la prenderò comunque, stai solo sprecando le forze!›

‹Provaci se ci riesci!›

 

Furioso, il falso Siirist si alzò dal trono e si diresse verso sinistra, dove si trovava il vero, incatenato alla parete e appeso per le mani. Lo strinse per la gola.

‹Dammi la tua energia magica!›

L’altro gli sputò in faccia. Cominciò a ringhiare per la rabbia. Come poteva essere? Perché non riusciva a strappargli l’energia, come lo stava facendo? Ma certo! Era il drago! Il maledetto drago! Il suo legame con il vero era talmente forte che questi mai e poi mai avrebbe fatto niente per fargli del male. Maledizione!
‹Fammi una pompa, stronzo!› disse il vero con aria di sfida.

Adirato, il falso gli diede un forte pugno in faccia, facendogli perdere i sensi.

 

Fammi capire bene, stai dicendo che la parte demoniaca non ha preso totale controllo della mente di Siirist e che, al momento, nella sua testa ci sono due coscienze?domandò incredulo Aulauthar.

Proprio così.› rispose Rorix.

Aveva portato Siirist, sigillato in un blocco di ghiaccio viola, al cospetto del Consiglio, accompagnato da Althidon e Zelphar. Erano da poco arrivati anche Asthar e Eiliis, assieme ai loro Cavalieri.

Questo spiegherebbe come un demone sia riuscito a utilizzare la magia: la coscienza originale di Siirist controlla l’energia spirituale, quella nuova del demone l’energia demoniaca.disse Althidon.

«Aspettate solo che recuperi la mia energia demoniaca, vi ucciderò tutti!» disse rabbioso Siirist.

«Chi sei tu? La coscienza del demone che ha morso Siirist?» chiese Syrius.

«Chi, quella mezza sega? Per favore, no! L’ho assimilato! Se non fosse per me, avrebbe posseduto Siirist e lo avrebbe trasformato in un ghoul! Invece io l’ho salvato da quella triste fine e ecco qui, è diventato un demone potentissimo!»

«Chi era quel demone?» domandò Aulauthar.

«Il suo nome è Raiden, nipote di Raizen, figlio di sua figlia e del conte dei vampiri. Metà vampiro, metà bestia del fulmine. Ma i suoi poteri da vampiro sono leggermente diversi.»

«E tu chi saresti?» insistette il Cavaliere nero.

«Chiedilo a quei due, loro mi conoscono. Soprattutto Gilia.» disse girando, per quanto potesse, la testa verso Alea e Gilia, ghignando.

«Non è possibile, sei quella copia di Siirist creata dalla mosca?!»

«Bingo!»

«Come sei finito nella mente di Siirist?! Eri in quella di Alea!»

«Con tutti i loro momenti di intimità in cui le loro menti entravano in contatto, credi non abbia avuto più che sufficienti opportunità per cambiare casa?»

Alea si adirò.

«L’avere due coscienze distinte potrebbe darci la possibilità di sigillare quella demoniaca senza dover uccidere Siirist.» esclamò Adamar dopo qualche secondo di silenzio.

«Volete uccidere Siirist?!» «Non potete!» si opposero Gilia e Alea all’unisono.

«Non ne siamo certamente felici, ma dato il suo essere diventato un demone, non c’erano altre possibilità. In questo caso, però, potremmo cercare di restituire il controllo alla coscienza originale di Siirist.» spiegò Eimir.

«E io credo di sapere come fare. Vulcano, Alea, seguitemi per favore, avrò bisogno del vostro aiuto.» disse Aulauthar.

«E io?» si fece avanti Gilia.

«Per quanto tu abbia un forte legame con Siirist, il tuo sangue umano non mi è d’uso. Se vuoi puoi assistere, comunque.»

«Aulauthar, intendi eseguire il Sigillo di sangue?» domandò serio Syrius.

«Non vedo altro modo.»

«Sei consapevole del fatto che è un inno proibito della magia del sangue, vero?»

«Sono certo che nessuno di voi avrà nulla in contrario.» rispose amabilmente.

Nessuno dei membri del Consiglio rispose. Solo il Cavaliere nero continuò a guardarlo truce.

«Bene. Vogliamo andare?»

Rorix si unì a Asthar e Eiliis dietro a Gilia e Alea, tutti che seguivano Aulauthar e Skryrill. Il Cavaliere d’argento li condusse alla sua stanza nell’edificio che ospitava gli appartamenti degli Anziani, il blocco di ghiaccio viola con dentro Siirist che levitava dietro di loro. Arrivati a destinazione, Aulauthar si rivolse a Ryfon.

«Ti dispiacerebbe dormire per un po’?»

«Che...?» non fece in tempo a completare la sua frase, che cadde in un sonno profondo.

Il Cavaliere d’argento sorrise e, con un gesto della mano, il Cerchio d’argento che brillava forte, fece sparire il ghiaccio viola. Prese al volo il corpo di Siirist che stava cadendo e lo adagiò sul tavolo.

«Eiliis, Asthar, Gilia, ho bisogno che restiate indietro. Vulcano vienimi vicino al lato sinistro, Alea al lato destro.»

Tutti fecero come disse l’Anziano, con Skryrill che stava accanto ad Eiliis, mentre Asthar era più vicino al proprio Cavaliere. Aulauthar sguainò il proprio pugnale e con esso tagliò il palmo della mano della fanciulla e fece cadere qualche goccia nella ciotola che fece levitare da una mensola. Poi chiese a Rorix ti aprire la bocca e lo tagliò sulla lingua, in quanto ferirlo sul corpo era impossibile per via delle sue scaglie impenetrabili. Nuovamente raccolse il sangue versato nella ciotola. Tirò su le maniche di Siirist e tracciò diverse scritte elfiche sugli avambracci utilizzando il sangue mischiato, arrivando a comporre tre rune per braccio. Fatto ciò, mise le mani sopra ai sigilli che aveva scritto, ed incominciò ad intonare un inno mistico, la melodia la più fredda e agghiacciante che Gilia avesse mai sentito, la stanza che incominciò a tremare, l’aria che si fece più gelida. Gilia si sentiva molto a disagio, iniziando ad intuire perché quella pratica fosse stata proibita.

«Nell’ora più buia della notte, si ode un gemito: è la morte che è nata. Nell’ora più splendente del dì si ode un lamento: è la vita che è morta. Come un serpente che si morde la coda, tutto è circolare, tutto è collegato. Io evoco i grandi spiriti della vita, del tempo e del sangue, e li comando affinché imprimano la loro essenza in questi tre sigilli. Io invoco il grande dio Sithis, colui che comanda la vita, colui che non ha tempo, colui che è venerato nel sangue.»

Nella stanza caddero le tenebre ed il freddo si fece insopportabile. Sopra a Siirist apparve una figura avvolta in un lungo manto nero, il viso, coperto da un cappuccio, permetteva di intravedere solo due lucenti occhi rossi. In un sussurrò pronunciò delle parole incomprensibili.

«Certamente.»

La figura ammantata annuì e avvicinò il braccio sinistro, composto solo da ossa, al petto di Siirist. Aulauthar tolse subito le mani dai suoi avambracci, che le rune di sangue incominciarono a brillare con una luce sempre più buia, fino a che non divennero nere. Con un ultimo sussurro, l’entità raccapricciante svanì e la stanza ritornò alla normalità.

«Questa non me l’aspettavo.» disse insicuro Aulauthar.

«Che succede? E che cos’era quell’... essere?» domandò Alea.

«Era Sithis, l’ho anche detto nel mio canto.»

«Sithis?! Il dio della morte Sithis?! Sithis il diavolo?!» disse incredulo Gilia.

«Ne conosci altri, Gilia? Ah, giusto, Gilia, fortuna che sei venuto, me ne ero dimenticato. Avvicinati, c’è qualcosa che solo tu puoi fare, perché noi tre siamo bloccati nel rito di sangue.»

«Ditemi.»

«Il Sigillo di sangue ha avuto successo nel creare una prigione per la coscienza demoniaca di questo falso Siirist, ma purtroppo non ce lo ha messo. È necessario che tu vada nella mente di Siirist e liberi quello vero e imprigioni quello falso.»

«La fate sembrare facile.»

«Lo sarà fino a che resta addormentato. Il mio incantesimo dovrebbe durare altri tre minuti, quindi è bene che ti sbrighi.»

«D’accordo.»

 

Gilia si ritrovò in un intricato bosco. Non gli ci volle molto per superare la barriera mentale di un Siirist tanto indebolito, e subito individuò un sentiero. Lo intraprese, arrivando così ad una radura dove sorgeva una torre metallica dalla forma cilindrica. Si avvicinò alla porta e, senza il minimo sforzo, aprì la porta. Entrò, così, in una stanza circolare al centro della quale vi era un trono in cima ad un rialzamento con due gradini. Su di essi vide accasciato un Siirist dai capelli rossi che indossava un gessato. Alla sua destra, invece, vide, incatenato al muro, un Siirist normalmente biondo vestito con una tunica azzurra. Si avvicinò a quest’ultimo e lo slegò, scuotendolo per farlo riprendere. Ci mise un po’, ma infine aprì gli occhi.

«E tu che ci fai qui?»

«È questo il modo di ringraziare qualcuno che ti è venuto a salvare?»

«Che sta succedendo?»

«Sbrigati, dimmi cosa c’è di diverso in questo posto.»

Siirist si guardò un po’ intorno per poi indicare una porta alle spalle del trono.

«Non ho mai visto quella porta, che sta succedendo?»

«Perfetto, valla ad aprire, io trascino questo demone.»

Si caricò il falso sulle spalle e raggiunse il vero che, intanto, aveva aperto la porta ed aveva incominciato a scendere le scale che vi aveva trovato dietro. Insieme raggiunsero un seminterrato dove si trovava una prigione con la porta aperta. Gilia vi buttò dentro il Ryfon dai capelli color sangue e, felicemente, chiuse la porta. Non vi era serratura, essa, una volta chiusa, non poteva essere più aperta.

«Mi vuoi dire che cos’è questo posto? Perché c’è qualcosa nel mio mondo interiore che non ho creato io?»

«Aulauthar ha cantato un inno mistico che sigillasse la coscienza di questo qui, e questo è il modo in cui si è manifestata nella tua mente.»

Siirist annuì.

«Quindi sono di nuovo io al comando?»

«Già.»

Gilia avvertì del movimento dietro di lui, e si girò appena in tempo per vedere il falso Siirist avventarsi contro le sbarre, in preda ad una rabbia unica.

«Maledetto! Tirami fuori di qui! Vi ucciderò tutti! Credi davvero che questa insulsa gabbia possa tenermi rinchiuso per sempre?!»

«Sinceramente sì. Dopotutto si tratta di una prigione che lo stesso diavolo ha contribuito a creare, quindi dubito che tu possa fare molto per liberarti.»

«Io possiedo il potere del fuoco nero, io possiedo il sangue del grande dio Obras! Sithis è un insulso dio inferiore a confronto!»

«Di’ quello che vuoi, ma quella gabbia reggerà.»

Il falso ringhiò, le mani, strette sulle sbarre, che si infiammarono con il fuoco nero, ma che non riuscirono a scioglierle. Adirato, fece un passo indietro ed incominciò a sparare sfere di fuoco una dopo l’altra, ma nessuna riuscì a superare la prigione. Dopo quattro attacchi, il falso cadde in ginocchio con il fiato pesante.

«Hai già esaurito la tua energia demoniaca? Peccato, mi stavo divertendo a vederti impazzire in quel modo, pezzo di stronzo!» lo derise il vero.

«Questo mondo è mio!»

«No, è mio. Sogni d’oro, a mai più rivederci!» disse allontanandosi, portando via Gilia.

L’ultima cosa che sentirono prima di chiudere la porta in cima alle scale furono le urla incessanti  di rabbia del falso, e catene che si estesero dalla parete che lo bloccarono senza modo di liberarsi.

 

Siirist aprì gli occhi.

‹E come ti sbagli: di nuovo in infermeria. Fortuna che non è a pagamento!›

Si guardò intorno, ma dovette sbattere più volte gli occhi per abituarli alla luce. Gli sembrava così abbagliante. Gli giunse alle narici il fastidioso odore del profumo di Adeo, così si guardò intorno, ma non lo vide.

‹Strano.›

Rimise la testa sul cuscino e, quando si fu calmato, incominciò a sentire diversi suoni da tutt’intorno. Gli pareva ci fosse una parata a quattro metri da lui. Si alzò di scatto: nella sua stanza non c’era nessuno. Nemmeno Rorix. Che stava succedendo? Si mise a sedere e portò le gambe fuori dal letto, appoggiando i piedi a terra e alzandosi. E notò nuovamente qualcosa di strano, in quanto gli pareva di vedere le cose da un punto di vista più alto.

‹Ma che diamine...?›

Camminò verso lo specchio e, visto il proprio riflesso, lanciò un urlo. In quel momento si aprì la porta.

«Come ti senti?» domandò Aulauthar.

«Cosa è successo alla mia faccia?! E questi tatuaggi?! Ah, ho le orecchie a punta! Sono un orecchie a punta! No!»

«Ti pare appropriato insultare gli elfi di fronte a me?» domandò con una vena di fastidio nella voce.

«Ah giusto, chiedo scusa. Ma perché sono diventato un orecchie a punta?? Ma almeno non sono tanto effeminato.» disse infine, constatando di non avere i tratti delicati tipici degli elfi.

La pelle era diventata più liscia, e ogni traccia di barba, quei corti peli che gli piaceva tenere sulla gola, era sparita. E gli zigomi erano diventati più alti, ma non c’era stato nessun altro cambiamento. A parte le orecchie, chiaramente, diventate appuntite in cima. E era diventato più alto.

Aulauthar sbuffò, mantenendo la calma.

«Per rendere la prigione per la tua parte demoniaca più efficace, ho dovuto rinforzare la tua mente. E per farlo, il modo più rapido era quello di risvegliare il tuo sangue elfico.»

«Ah... E i tatuaggi?»

«Non sono tatuaggi, sono i sigilli che hanno dato forma alla gabbia.»

«Li devo tenere per forza in vista o li posso nascondere con la magia organica?»

«Se ne sei in grado.»

«Non ancora, ma ci lavorerò su. Non sono un grande amante di tatuaggi.»

«Capisco.»

Siirist si sedette sul suo letto, cercando di far mente locale su tutto quello che era successo.

«Suppongo ti ci vorrà del tempo per abituarti ai tuoi sensi più sviluppati.»

«Di sicuro. Dov’è Vulcano? Non riesco a mettermi in contatto con lui.»

«È insieme a Zelphar, stanno facendo una lezione speciale. Vieni con me, il Consiglio vuole parlarti.»

«Strano, non è mai successo.» sbuffò.

Aulauthar ridacchiò. Con Skryrill accanto, condusse il Cavaliere d’Inferno alla Sala. Arrivati, trovarono Althidon, chiaramente senza drago, e tutti i membri del Consiglio, che Aulauthar subito raggiunse.

«Considerando il pericolo che corri di ritrasformarti in draconiano e l’essere diventato un demone e aver attaccato e ucciso due Cavalieri, il Consiglio ha deciso di allontanarti da Vroengard fino a che non avrai imparato a controllare tutti i tuoi poteri.» sentenziò Syrius.

Siirist era a bocca aperta. Ma in realtà non era poi tanto sorpreso. Era anche naturale. Oramai l’intera Rocca doveva sapere che era diventato un demone, e tutti lo dovevano temere, odiare o entrambe le cose. Per mantenere un clima di tranquillità, era necessario allontanarlo.

«Intendete Ambizione e stato draconiano, giusto?»

«Intendiamo anche il tuo lato demoniaco. Il Sigillo di sangue reagisce alla tua forza di volontà e al tuo stato emotivo. Se dovessi arrabbiarti di molto, finiresti con il farti possedere sempre di più dal tuo lato demoniaco. Se incomincerai a trasformarti in demone, le rune sul tuo braccio si tingeranno di rosso. Quando tutte e tre avranno cambiato colore, la porta della gabbia si aprirà, liberando il tuo lato demoniaco.»

‹Interessante.› ridacchiò il falso Siirist, la porta che si socchiudeva.

‹Fai silenzio, tu.› rispose a denti stretti il vero, sbattendola con forza.

«È quindi necessario che impari a controllare il tuo lato demoniaco. Tutti noi preferiremmo non averci più a che fare, ma purtroppo è ormai una parte di te, e, conoscendo il tuo caratterino, è quasi assicurato che, prima o poi, si libererà. Non necessariamente del tutto, ma siamo tutti sicuri che almeno la prima runa, se non pure la seconda, diventeranno rosse molto presto.» disse Eimir.

«Ecco perché è necessario che tu impari a controllarti lontano dalla Rocca.» concluse Adamar.

«Capisco. Andrò subito a preparare le mie cose. Chiedo scusa per tutti i guai che ho combinato.» disse abbassando la testa.

Si voltò e uscì dalla Sala. Althidon lo seguì e si assicurò della sua condizione.

«Ne sono felice.» disse dopo aver sentito la risposta dell’allievo.

Continuarono a camminare in silenzio fino a che arrivarono agli alloggi dei Cavalieri in addestramento. Siirist entrò nella sua stanza e trovò che i suoi bagagli erano già stati fatti.

«Li ho preparati io, spero non ti dispiaccia. Ho pensato che sarebbe meglio passare i momenti prima della tua partenza insieme, anziché sprecarli mentre fai le valigie.» disse Gilia con un sorriso amaro.

Siirist annuì, per poi notare alcune borse non sue accanto al suo letto.

«Di chi sono?»

«Otius. Con Daratrine e Viola morti, si è ritrovato solo, perciò è stato affidato a me.» spiegò Althidon.

A Siirist scappò un risolino. Il solo pensiero che quell’imbecille avesse prese il suo posto lo faceva imbestialire.

‹Sì, continua così...› bisbigliò maligno il falso.

Siirist chiuse con forza la porta che conduceva ai sotterranei della sua torre, la quale si era sfessurata ancora. Poi si rivolse al Maestro.

«Capisco.»

Il suo sguardo allora cadde sul comodino di Alea, su cui si trovava Beleg runia spezzata.

«La mia spada!»

«Purtroppo non la si è potuta salvare. Ha perso tutto il suo potere, ora è una spada morta. Anche se venisse riforgiata, non sarebbe come prima.» disse ancora Althidon.

Perfetto, le cose andavano sempre meglio.

«Quindi sono senza armi?»

«Beh no, hai quella verde che prendesti tre anni fa durante la missione della Gilda dei Ladri. Te l’ho messa in quella borsa.» gli rispose Gilia.

«Giusto. E perché l’hai messa via, se è l’unica spada che ho? Preferirei indossarla.»

«L’ha messa via perché è una spada secondaria. Vieni con me, ho alcune cose da darti.»

Con Gilia che si occupò dei suoi bagagli, i due allievi seguirono Althidon al suo appartamento, dove Siirist trovò Lin dur adagiata sul tavolo con accanto sette libri impilati. Sette grimori, per l’esattezza.

 

~

 

Si accettano scommesse per indovinare di chi siano i sette grimori! Ora, una cosa: ho dato a Sithis il  soprannome “diavolo” perché tante volte, senza pensarci, ho fatto usare ai personaggi l’espressione “ma che diavolo” e varianti. Solo dopo ho pensato che la concezione di “diavolo” non esiste nel loro mondo come esiste nel nostro, così come quella di “inferno”, se non nel senso di terribile calore, motivo per cui gli Inferno hanno questo nome. Anche se “inferno” può essere usato come pure idea di sofferenza e dannazione (cosa importante per un futuro inno mistico di Siirist), ma certamente non ci sono riferimenti religiosi. Tornando a “diavolo”, dando questo soprannome a Sithis ho giustificato l’uso della parola da parte dei personaggi e una frase come “Vai al diavolo” ha il significato di “Muori”. “Ma che diavolo?”, quindi, diventa una sorta di “ma che accidenti?” ma con un’accezione molto forte, come a significare che la sorpresa quasi uccide per il colpo che fa venire.

Ora una cosa a proposito del capitolo: per un momento, mentre scrivevo, mi era venuta voglia di far sì che il falso Siirist avesse ingannato Gilia, facendogli rinchiudere il vero nella gabbia, ma poi ho riflettuto che avrebbe implicato troppe complicazioni. Come credete si sarebbe risolta la faccenda se avessi proseguito con questa idea?

 

Ancora un po’ di pubblicità, ma questa volta non per una mia storia: date un’occhiata a “Il Castello dello’Oblio” di “Registe”. I primi capitoli possono essere un po’ lenti e non incredibilmente emozionanti, ma più va avanti, più la storia diventa interessante. Giunti al quindicesimo capitolo, prende molto, ed è una lettura che consiglio caldamente a tutti.

 

Un’ultima cosa: lasciare un commentino non fa male a nessuno.

 

Il prossimo capitolo si intitola PARTENZA DA VROENGARD. Dove credete che andrà Siirist?

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** PARTENZA DA VROENGARD ***


PARTENZA DA VROENGARD

 

Siirist si avvicinò lentamente, gli occhi lucidi, alla spada di Evendil. Tutto il dolore che aveva provato per la sua morte, momentaneamente dimenticato a causa del problema demone, gli ritornò come una mazzata allo stomaco. La prese con la stessa delicatezza con cui si può maneggiare un neonato, la gola stretta, le lacrime che incominciarono a scendere sempre più copiose. La strinse a sé, con una forza che nemmeno sapeva di possedere, come se ciò servisse a riportarlo in vita. Incominciò a singhiozzare. Althidon e Gilia gli concessero qualche momento, dopodiché il Maestro gli si avvicinò.

«Avrebbe voluto che l’avessi tu. Così come per il suo grimorio. La sua famiglia è d’accordo.»

Nuovamente conscio della presenza degli altri due bipedi e dell’Incubo, Siirist si calmò e si asciugò gli occhi con il dorso della mano. Allora alzò la testa e guardò la pila di grimori.

«Queste sono copie dei grimori veri di Aulauthar, Syrius, Eimir, Adamar, Adeo ed il mio. Per ovvie ragioni non è stato detto pubblicamente che ti sono stati consegnati. E chiaramente vi è anche l’originale di Evendil. Gli unici a sapere di questo sono i proprietari dei grimori, Gilia e Alea. Crediamo che lo studiare i nostri segreti possa aiutarti a controllare i tuoi poteri. Ti consiglio di studiare prima di tutto quello di Adeo, in quanto imparerai a disciplinare bene la mente. D’altronde avresti dovuto seguire un allenamento con lui, in questo modo lo potrai fare dalla distanza.»

Siirist annuì, ancora pensando a Evendil. Ma aveva ascoltato ciò che gli aveva detto l’altmer. Questi mise i sette grimori in un’altra borsa e poi disse che Zelphar stava istruendo Rorix in alcune nozioni fondamentali e che sarebbero stati via per altre sei ore, perciò, fino a quel momento, Siirist era libero di fare ciò che voleva. Insieme a Gilia uscì dall’appartamento di Althidon.

«Dov’è Alea?» chiese il biondo.

«Non ti so dire. Dopo il rituale del Sigillo di sangue lei e Eiliis sono sparite. Mi dispiace.» rispose seriamente triste.

C’era da aspettarselo. Se la fanciulla aveva avuto tanta paura di lui dopo la sua trasformazione in draconiano, il sapere che era ora un demone la doveva terrorizzare.

«La Collana del Giuramento?»

«Non l’ho trovata, deve averla portata via lei.» rispose a bassa voce, come se non volesse che l’amico lo sentisse.

«Capisco.»

«Ho messo la catena di Viola in una delle borse. Ho fatto male? So che non è una sostituta della Collana, ma ho pensato la volessi tenere.»

«Hai pensato bene, grazie.»

Insieme lasciarono la Rocca, camminando tutto il tempo, ed arrivarono alla spiaggia dove, tre anni prima, si era svolto il suo compleanno. Siirist ci trovò un tavolo con accanto due sedie, sopra al quale vi erano una crostata con la marmellata di fragole e due birre.

«Che abbinamento interessante.»

«So che sono due cose che ti piacciono, l’ho preparato con questo intento. E scusa se non è una torta di mele, ma l’avevano finite alla taverna del villaggio.»

«Tranquillo.» sorrise.

Si sedettero e Gilia tagliò una fetta del dolce a testa, mentre Siirist apriva le due bottiglie. Ma prima di iniziare a mangiare, Gilia fece un brindisi.

«Tanti auguri.»

Siirist lo guardò incerto.

«Di sicuro non te ne sei accorto perché sei spesso stato a letto in questo ultimo mese, ma siamo arrivati al 3 luglio: buon compleanno.»

Ryfon non era tanto in vena di festeggiamenti.

«Ascolta, oggi hai vent’anni, l’età a cui una persona ufficialmente affronta la Prova. Vedila così: lasci Vroengard per seguire la tua strada personale. Ogni Cavaliere d’Inferno ha avuto una vita particolare. Certo, nessuno di loro aveva un fastidioso essere, e credimi, lo conosco bene, in testa, e tutti loro hanno sempre finito i cinque anni di addestramento, ma finiti essi, hanno spesso lasciato Vroengard per molto tempo. Eleril, il primo gennaio dopo la fine del quinto anno, volò via con Tyron per tre secoli! E nessuno sapeva dove fosse andato! Fatto sta che, al suo ritorno, era più potente che mai.»

«Come sai queste cose?»

«Me l’ha detto Adamar, mi ha letto alcuni degli annali. Non ti immagini quello che hanno fatto i Cavalieri d’Inferno. Hanno tutti avuto una vita diversa dagli altri Cavalieri. E non solo per via dello stato draconiano, tutte le esperienze che li accompagnavano erano particolari.»

Siirist restò in silenzio, sorseggiando la sua birra.

«A me non interessa cosa possono pensare tutti i Cavalieri, tu non sei un demone. Ne hai uno qui dentro, – gli toccò la fronte con l’indice. – è vero, ma tu sei tu. Ehi, ricorda che sono stato io a liberarti da quelle catene e a sbattere quel bastardo in gabbia! Io sono tuo amico, per me sei come un fratello, e niente cambierà questo fatto.»

Ma le parole confortanti del Cavaliere d’Incubo ebbero l’effetto opposto a quello desiderato.

«Già... dillo ad Alea...»

«Lascia perdere questo suo periodo di stupidità, non sa bene come affrontare la situazione. Però i suoi sentimenti per te sono sinceri e forti, non spariranno per una sciocchezza simile. Dalle tempo.»

«Me ne vado tra sei ore. Spero le bastino. Scusa, voglio stare un po’ da solo.» e se ne andò.

 

Siirist era nella piazza centrale della Rocca, con Rorix alla cui sella erano stati legati tutti i bagagli del Cavaliere. Questi aveva legato alla vita la cinta di Lin dur, il fodero spostato al fianco destro, la quale gli pareva pesantissima. A salutarlo erano venuti tutti i membri del Consiglio, Althidon, Gilia, Adeo, Ren e Bial e pure Otius. Ma di Alea neppure l’ombra. A debita distanza si trovavano forse tutti gli altri Cavalieri della Rocca, che osservavano il Cavaliere demone che se ne andava. Con gli occhi morti e senza dire una parola, Siirist montò sulla sella e l’Inferno spiegò le ali e stava per prendere il volo quando, dal cielo, arrivò di fretta la figura bianca di Eiliis. Tutti si spostarono per far spazio alla dragonessa bianca, e Alea saltò giù. Entrambe avevano il fiatone. Gli occhi di Siirist si illuminarono e balzò già dal suo drago, andando ad abbracciare l’amata che lo strinse con tutta la sua forza. Lui evitò, altrimenti l’avrebbe stritolata.

«Scusa se sono stata tanto stupida. Ti amo, e questo non cambierà mai.»

Si staccò per un momento solo per tirare fuori dalla cinta la custodia della Collana del Giuramento. Siirist la guardò con gioia, non ricordando di essere mai stato così felice.

«Questa è per te.»

Il ragazzo prese la custodia e la aprì. Tirò fuori la Collana e ne slacciò il gancio. Poi, lanciata la custodia a Rorix, indossò il tesoro di Alea. A ella uscì un verso strozzato.

«Quando torno ti porterò la mia.»

«Ti aspetterò anche duemila anni, amore mio. E pare dovrò indossare i tacchi.» scherzò.

Entrambi ridacchiarono per un po’ prima di legarsi nel bacio più profondo, sentito e lungo che si fossero mai scambiati. Le persone intorno levarono gli sguardi leggermente imbarazzati. A parte Adeo. Quando si staccarono, Siirist ritornò pimpante su Rorix, la depressione e tristezza che lo aveva segnato prima sostituita da un’espressione decisa e risoluta. Strinse con la destra l’elsa di Lin dur, sentendo quasi l’appoggio di Evendil. Sorrise.

«Beh, arrivederci. Io vado a visitare tutta Tamriel! E, chi sa, anche tutta Gaya! Quando torno l’Ambizione sarà conquistata, lo stato draconiano sotto controllo e avrò fatto di quel demone la mia puttana!»

Ruggendo di gioia, Rorix calciò da terra e sbatté le ali, levandosi in volo e allontanandosi da Vroengard.

‹Sono felice ti sia ripreso. Sei certo di aver fatto bene a indossare la Collana?›

‹Mai stato più sicuro in vita mia di qualcosa, amico mio. Il dolore che ho provato al solo pensiero di averla persa mi è bastato a farmi capire quanto sia davvero importante per me.›

‹Bene. A proposito del voler esplorare tutta Tamriel...›

‹Sì?›

‹Da dove cominciamo? Insomma, ci serve un posto in cui stare mentre facciamo mente locale sui nostri piani per il futuro.›

‹Hm, credo Skingrad sia il posto più adatto.›

‹D’accordo.›

‹Ah, Rorix?›

‹Sì?›

‹Ti dispiace essere stato cacciato da Vroengard per colpa mia?›

‹Come te lo devo ripetere? Noi draghi siamo creature solitarie. A differenza tua, alla Rocca non avevo “amici”. Certo, la compagnia di Asthar e Eiliis non era delle peggiori, ma spesso mi veniva voglia di strappare loro la gola. Specie a lei. Io sono felice di stare con te, mio Cavaliere, è tutto ciò che mi interessa.›

‹Ti ringrazio.› e lo accarezzò sul collo.

 

Se la presero comoda e volarono tranquillamente, arrivando a Skingrad in quattro ore. Pensando che fosse bene non attrarre troppa attenzione, Rorix atterrò a dieci minuti di cammino dalla città, Siirist slegò le borse dalla sella ed il drago assunse le dimensioni di un canarino, andandosi a nascondere tra il collo ed il cappuccio che il Cavaliere aveva alzato per coprire il viso. Le sue quattro borse nelle mano destra, il giovane si incamminò. Arrivato al cancello, le guardie fecero per fermarlo e interrogarlo, come era costume, ma egli toccò le loro menti.

«Ignoratemi.»

Come ordinato dall’incantesimo del mezz’elfo, i soldati lo lasciarono passare indisturbato, e Siirist entrò nella città. Provò un senso di nostalgia, dopo quattro anni era finalmente tornato al posto che, per sedici, aveva chiamato casa. Andò verso la sua vecchia abitazione. Era ora di cena, i suoi genitori c’erano certamente. Bussò e dopo una decina di secondi arrivò suo padre ad aprire.

«Sì?»

Il ragazzo abbassò il cappuccio. Il padre lo guardò per qualche istante.

«... Siirist...?»

«Posso entrare?»

«Ma certo!» e si scansò subito.

Come la porta si fu richiusa, Rorix saltò giù e assunse le dimensioni di un mastino, per la meraviglia, piena di paura, dei Ryfon.

«Tranquilli, è il mio drago. Ricordate? Sono un Cavaliere.» disse semplicemente, lasciando cadere a terra le borse.

«Giusto, ma... che ti è successo, tesoro mio?» disse la madre, avvicinandosi ed esaminandolo attentamente.

«Il tuo viso...» cominciò il padre.

«Lunga storia. Sai come discendiamo da una famiglia elica, papà? Beh, per motivi che non sto a spiegare, uno degli Anziani del Consiglio, i capi dei Cavalieri, ha dovuto risvegliare il mio sangue elfico. Sono finito con il diventare un mezz’elfo. Per fortuna non ho l’aspetto di un elfo completo, altrimenti mi sentirei una donna!»

I suoi genitori emisero un risolino insicuro. Pareva quasi che non sapessero come comportarsi. Entrò loro nella mente e sentì che a stento lo riconoscevano come loro figlio. Non ne fu poi tanto sorpreso e il fatto nemmeno lo disturbò.

‹Mi dispiace.› disse amareggiato Rorix.

‹Non mi interessa, non ci ho mai avuto un rapporto stretto, lo sai. Inoltre ho cose ben più serie per la testa, non sarà certo la loro ignoranza a farmi star male.› mentre pensava quelle parole, accarezzava l’elsa di Lin dur.

‹Va bene, allora non li arrostisco.›

‹Grazie.›

‹Di niente. Voglio farti i miei complimenti, comunque, per la facilità con cui stai entrando nelle menti altrui. Prima quei soldati, ora i tuoi genitori.›

‹Non hanno ricevuto nessun insegnamento per proteggere le loro menti, è vero, però ho notato anche io un incremento nella facilità. Questo risveglio del sangue elfico è servito!›

‹Decisamente.›

«Vuoi restare per cena?» chiese incerta sua madre.

«Ve ne sarei grato, grazie. Ma non mangio carne. Lui invece sì.»

E Rorix miagolò felice all’idea di mangiare carne vera.

 

Il mattino dopo, Siirist volle andare per una passeggiata per Skingrad, curioso di vedere se ci fossero stati dei cambiamenti. Come prima cosa andò all’armeria, desideroso di salutare il suo vecchio amico Hans, ma, per sua grande delusione, non ce lo trovò.

«Mi spiace, straniero, ma mastro Hans ha lasciato la bottega ormai da due anni. Sappiamo che è andato a Imperia all’Università Arcana, ma l’ha lasciata da sei mesi, e da allora non abbiamo più sue notizie.»

Siirist sorrise: allora l’aveva fatto davvero, era seriamente andato a studiare le arti mistiche.

«Se vi serve qualcosa, però, posso aiutarvi io.» continuò il nuovo fabbro.

«Chiedo scusa?»

«Ero il suo apprendista, e ho imparato tutti i suoi segreti. So forgiare armi di Vetro, se può interessarvi.»

Ryfon sorrise mentre accarezzava Lin dur. Come no.

«Il suo apprendista, dite? Avevo sentito dire che mastro Hans aveva come apprendista il figlio dei Ryfon.»

«Quel teppistello? Fidatevi di me, Skingrad è una città migliore senza di lui in giro. È sparito, tutto d’un tratto, assieme ad un elfo che era appena giunto in città. Saranno quattro anni fa, ormai. Molti dicono sia stato l’elfo a rapirlo, con le sue arti magiche, dopotutto cosa sappiamo veramente di quella gente? Ma io sono convinto che se ne sia andato volontariamente. Ha sempre avuto un animo perverso, dopotutto.»

Siirist lo ascoltò attentamente. I suoi genitori dovevano aver tenuto segreto il fatto che era diventato un Cavaliere dei draghi. Interessante. Chi sa se la madre di Hermeppo continuava a dire in giro che suo figlio era senza dubbio il prescelto dell’Inferno?

«Grazie mille, ma non mi serve niente, volevo solo salutare Hans.»

«Se mi lasciate un nome posso dirgli che siete passato, quando mai dovesse tornare.»

«No, non credo.»

E la sua era una duplice risposta: non avrebbe lasciato il suo nome e dubitava che Hans sarebbe mai ritornato a Skingrad. Non sapeva spiegarselo, ma aveva un forte presentimento che fosse così. Uscito di nuovo per strada, rivide Miya camminare assieme a quell’androgino di Hermeppo. Lei era maturata fisicamente, ma di testa, come controllò Siirist, era rimasta la solita imbecille.

‹Raijin, a confronto Adeo pare etero.›

‹Sicuro che non sia dell’altra sponda anche questo qui?›

‹No, sta sempre circondato da belle ragazze. Chiaramente ha da ringraziare i soldi del padre per questo.›

‹E se lo facesse solo per compensare?›

Le parole del drago lo fecero riflettere. Di certo sarebbe stato interessante sputtanare Hermeppo e rivelare che fosse omosessuale. Stava per invadergli la mente, ma poi si fermò, sicuro che non gli sarebbe piaciuto ciò che avrebbe visto.

‹Concordo.› disse Rorix.

Siirist incominciò a seguire i due, fino a che li vide prendersi a braccetto. Ciò lo fece scoppiare dalle risate.

«Ehi tu! È già da qualche tempo che ci segui, si può sapere chi sei e che cosa vuoi?!» domandò con fare da duro Vaan.

Quell’atteggiamento fece ridere ancora più di gusto Siirist, che si era dimenticato di come quell’idiota a volta cercasse di fare l’uomo, logicamente fallendo miseramente.

«Rido perché non mi sarei mai aspettato di vedere voi due insieme!»

«Lei è la mia fidanzata, qualcosa in contrario?»

«Sì, che vuoi tu?» concordò la ragazza.

«Scusa? Siete fidanzati?»

«Sì, e ci sposeremo tra cinque mesi. Non hai ancora risposto alla mia domanda, chi sei? E se non ci piacerà quello che dici, ti farò arrestare. Forse non lo sai, straniero, ma io sono molto potente in questa città!»

«Tu o paparino, sottospecie di transessuale?» disse con aria di sfida il mezz’elfo.

Hermeppo riconobbe all’istante l’insulto, in quanto si trattava delle parole che Siirist gli aveva rivolto prima del loro duello.

«Tu...!» disse rabbioso il biondo ossigenato.

Siirist abbassò il cappuccio.

«Io.»

Miya lo guardò un attimo, un po’ incerta. Infine capì.

«Siirist?»

Lui sorrise.

«Siirist!»

«L’ultima volta che vi ho visti, tu mi sembravi schifata al solo pensiero di diventare la sua donna, e ora vi trovo che siete fidanzati? Cos’è, i soldi che ha quel mezz’uomo sono sufficienti a renderlo più attraente?»

«Basta! Ti faccio sbattere in carcere! Guardie!»

«Pensi veramente che possano spaventarmi?»

Il primo soldato gli fu addosso, attaccandolo con un fendente, evitato con la difficoltà necessaria a sbattere le palpebre. Lo colpì al collo con il taglio della mano, tramortendolo. Subito dopo toccò al secondo soldato, che si avvicinò con un affondo, che Ryfon bloccò con due dita, con le quali strinse la lama così forte che la guardia non riusciva più a muovere la sua arma. Il mezz’elfo sorrise soddisfatto e, con uno strattone, strappò la spada di mano all’avversario, per poi istantaneamente alzare la gamba destra e colpirlo sul petto, sollevandolo da terra e facendolo riatterrare due metri più in là. Erano rimasti altri due soldati. Si guardarono un po’ timorosi, per poi decidere di attaccare insieme, ma Siirist semplicemente piroettò sotto le lame sferzanti dei due e li colpì sulla nuca, facendoli crollare. Ma prima di terminare lo scontro, il ragazzo aveva esaminato le menti delle guardie, vedendo come Hassildor avesse perso sempre più potere a favore della famiglia Vaan, le cui ricchezze erano ulteriormente cresciute permettendole di comprarsi l’intera città. Ora Skingrad era alla sua mercé, e Hassildor non poteva più niente. La cosa non piaceva a Siirist.

«Come hai fatto? Quelli sono guerrieri esperti, tu sei solo un teppista!» piagnucolò Hermeppo.

«Ero. Sono cambiate un po’ di cose negli ultimi quattro anni.» sorrise.

«Non finisce qui!»

Siirist si diresse verso il palazzo del conte, uscendo dal cancello est della città. Le guardie cercarono di fermarlo, ma le addormentò come aveva fatto con le prime due. Sotto indicazione del Cavaliere, Rorix uscì dalla finestra aperta della dimora dei Ryfon e volò verso di lui, raggiungendolo sul ponte che collegava Skingrad al palazzo del conte, costruito sulla collina a est della città. Assunse le dimensioni di un mastino e andò a terra, seguendolo a piedi.

‹Ne sei sicuro?›

‹Sì, voglio capire esattamente come abbiano fatto i Vaan a spodestare il potere di Hassildor.›

‹Potrebbero esserci gli Scorpioni di mezzo. E non sei nella condizione ideale per affrontarli ora.›

‹A maggior ragione devo investigare.›

Quando le guardie del palazzo videro arrivare un Cavaliere con il suo drago, nemmeno porsero domande, semplicemente salutarono ed aprirono i cancelli per il cortile del palazzo. Siirist e Rorix continuarono a camminare senza fermarsi ed entrarono nella sala del trono dove trovarono il conte.

«Quale onore, un Cavaliere. Cosa posso fare per voi?»

«Conte, mi conoscete da quando sono nato, non è necessaria tutta questa cortesia da parte vostra.»

Hassildor si prese un momento.

«Siirist?» domandò felice.

Quando il ragazzo annuì, il conte si alzò felice e lo andò a salutare con una calorosa stretta di mano.

«Ma che ti è successo? Sembri quasi un elfo!» notò sorpreso.

«È una lunga storia, preferirei non parlarne.»

«Come vuoi. Desidero chiederti scusa a nome di tutta Skingrad se hai sentito parlare male di te.»

«Sì, mi è capitato. C’è un motivo se i miei genitori non hanno voluto far sapere che sono diventato un Cavaliere?»

«Lo ignoro, sono desolato. Io volevo far erigere una statua in tuo onore, non è tutti i giorni che viene scelto il Cavaliere d’Inferno, ma i tuoi genitori dissero che non volevano che si sapesse in giro. Ho dovuto rispettare la loro decisione, per cui non se ne è fatto niente. E da quando sei partito, si sono sparse diverse voci sul perché fossi scomparso. Molte delle quali avevano a che fare con te e Evendil invischiati in un rapporto che, se lui dovesse venirlo a sapere, ucciderebbe tutti senza pietà.» ridacchiò.

«Mi duole informarvi che Evendil è morto. È stato ucciso quasi un mese fa, quando la Rocca è stata assaltata dalla Setta dello Scorpione, non so se ne avete sentito parlare.»

Hassildor rimase momentaneamente senza parole. Ritornò a sedersi sul suo trono, cercando di fare ordine dei suoi pensieri.

«Per gli dei, che notizia terribile! Sì... sì, ho saputo di questa Setta.» disse poi, riprendendosi.

«Per caso sapete dirmi se Vaan ne è coinvolto? Sono curioso di sapere come si sia arricchito così spropositatamente da essere riuscito a comprarsi persino le guardie.»

«No, non ha niente a che vedere con gli Scorpioni. Se così fosse, la Confraternita Oscura lo avrebbe già eliminato nel nome d Sithis. No, purtroppo si è arricchito con mezzi leciti e, sono imbarazzato ad ammetterlo, per colpa della mia noncuranza. Ormai è più di un anno che siamo in questa situazione, e io non ho più potere sulla mia città. Ha anche sfruttato a suo vantaggio il mio non avere eredi diretti, e che non va bene che, alla mia morte, il trono passi nelle mani di un ramo cadetto di Chorrol, i miei parenti più vicini. Dicendo che il trono di Skingrad non deve passare a qualcuno che non sia della città, si è procurato sempre più sostegno. Senza contare i soldi che paga alle guardie cittadine per averle ai suoi comandi. Per fortuna che, almeno, le guardie di palazzo mi sono ancora fedeli.»

«Capisco. E non c’è niente che possiate fare?»

«E cosa? Lui non ha fatto niente di illegale. Ha semplicemente parlato, affermando fatti veri, e si è assicurato il sostegno della città. Ha corrotto i soldati, è vero, ma la colpa è più loro che sua per aver accettato. E comunque sono in mano sua, non lo arresterebbero mai. E per legge di Skingrad, le guardie di palazzo possono solo intervenire nelle faccende della città se la vita del conte è messa direttamente in pericolo. E Vaan si è bene assicurato di evitare questa possibilità. Ciò che mi preoccupa più è che se tutto dovesse andare come vuole lui, non è tanto sapere che, alla mia morte, sarebbe Vaan il conte, dopotutto è un uomo abile con gli affari, senza scrupoli, ma giusto. Quello che mi tiene sveglio la notte è sapere che a succedere lui sarebbe suo figlio!»

«Non potrei essere più d’accordo, conte.» annuì sconvolto all’idea Siirist.

Hermeppo conte. Significherebbe la rovina di Skingrad. E se dovesse avere figli con Miya... Non voleva neppure pensarci.

«Cercherò di fare qualcosa.»

«E cosa, se posso chiedere?»

«Non lo so, improvviserò, è la mia capacità più grande. Sono un Cavaliere, ricordatelo, e questo mi pone al di sopra delle leggi.»

Uscito dal cortile del palazzo, Siirist saltò giù dal ponte e si diresse al suo vecchio rifugio. Lo raggiunse e appoggiò una mano sulla pietra incantata da Evendil quattro anni prima. La destra che stringeva con forza l’elsa di Lin dur, cercò di sentire ancora le tracce della magia del mezzo dunmer. Seppur lievi, le percepì, e sorrise nel sentirsi vicino all’essenza dell’amico. Era quasi dispiaciuto di dover annullare la sua magia e, così, dissipare la sua energia.

«Che la roccia liberi il passaggio.»

Obbedendo alle sue parole, le pietre si ritrassero, rendendo la galleria discendente nuovamente accessibile. A differenza di un tempo, non aveva bisogno di accendere nessuna lampada, gli bastò illuminare la via con una luce orbitante, e si diresse verso la grotta che ospitava tutta la sua vita da ladro a Skingrad. Sorrise nel notare come gli incantesimi gli risultavano semplici, anche più che prima di aver spezzato il suo legame con il Flusso. Incominciava ad essere contento di assomigliare ad un elfo.

Quando arrivò al suo rifugio, lo trovò completamente spoglio, e vide Elric seduto su una roccia.

«Quando ho visto che non ti sei degnato di farti vivo al mio negozio, ho immaginato che saresti venuto qui.» sorrise.

«Che fine ha fatto tutta la mia roba?»

«Se avessimo lasciato tutti i mobili, i cuscini e i tappeti qui, l’umidità li avrebbe rovinati. Dovresti ringraziarci.»

«Quanto tempo ci avete messo per trovare questo posto?»

«Tre mesi dopo che sei partito per Vroengard.»

«Ah, incapaci!»

«Dai, seguimi, – disse il ladro alchimista, completamente ignorando l’insulto del Cavaliere. – c’è una persona che devi conoscere al Santuario.»

Insieme si diressero al nascondiglio della Gilda dei Ladri e della Confraternita Oscura e, come Siirist fu entrato, vide ad attenderlo una persona vestita con pantaloni e stivali di cuoio marrone, bracciali dello stesso materiale e colore, una camicia bianca, alla vita portava una cintura che reggeva una spada a sinistra, sul medio destro un anello d’argento con incastonato un topazio e, a coprirgli il viso, una maschera grigia che lasciava scoperta la bocca.

«Bene arrivato, ti stavo aspettando, Siirist Ryfon. È da molto che desideravo conoscerti: io sono la Volpe Grigia.»

 

 

 

~

 

Oddio! Chiedo scusa, mi sono completamente dimenticato di aggiornare ieri!

 

Incomincia il primo dei tre allenamenti che faranno di Siirist un vero Cavaliere d’Inferno!

 

Mi sono appena accorto di un errore commesso in LE ALI DELLA MORTE: l’incantesimo che Evendil utilizza all’inizio per liberarsi dei seguaci di Raiden dovrebbe chiamarsi “Giudizio di luce” e non “Dodici spade del giudizio”. Mi sono confuso con un incantesimo di Siirist che apparirà in futuro (il cui nome è ovviamente ispirato all’incantesimo di Evendil).

 

Il prossimo capitolo si intitola SETTIMO SENSO. Conosco Saint Seiya, ma il nome non è un riferimento al manga. Anzi, ho pensato “settimo senso”, e solo dopo ho riflettuto sul possibile riferimento. Vedrete, infatti, che le due abilità non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra. L’unica cosa che ho preso da Saint Seiya è una minima parte del discorso della Volpe quando spiega a Siirist che cosa sia il settimo senso.

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** DA VERO LADRO ***


DA VERO LADRO

 

Siirist rimase basito. Aveva davanti a sé la leggendaria Volte Grigia, il capo della Gilda dei Ladri, il più abile ladro al momento in vita. Siirist si sentì quasi di inginocchiarsi, di prostrarsi davanti al suo idolo di oltre dieci anni. Solo il forte ringhio di Rorix che risuonò nella sua mente gli impedì di umiliarsi a tal modo. Invece si avvicinò dignitosamente e gli tese la mano. La Volpe sorrise e accettò il suo saluto. Per quanto fosse il suo capo come appartenente alla Gilda, egli era pur sempre un Cavaliere, e questo lo metteva su un altro livello.

«Abbiamo saputo di cosa è capitato alla Rocca e delle motivazioni che ti hanno spinto a lasciare Vroengard. Mi dispiace molto. Suppongo sia difficile convivere con un demone nella propria mente.»

«Non è un problema finché non ci penso e non gli do modo di farsi sentire. Spero solo di potermene dimenticare, con il tempo.»

«Come tutti noi. Vieni, parliamo un poco.»

Siirist seguì il leggendario ladro verso una stanza arredata con poltrone e divani, dove molti membri delle due organizzazioni stavano a riposare e chiacchierare spensierati. Caddero tutti in silenzio quando videro entrare il Cavaliere d’Inferno. La Volpe lo invitò a sedersi su una poltrona, per poi sedersi lui stesso su quella di fronte.

«Dunque, tu possiedi sette grimori, ed è bene che inizi subito a studiare quello di Adeo. Non preoccuparti per le tue borse, sono state già portate nel Santuario. Fino a che non sarai pronto a partire, resterai qui. È meglio se non ti fai più vedere in città, soprattutto se intendi rovinare la famiglia Vaan: per farlo è meglio coglierli di sorpresa.»

«Come sapete delle mie intenzioni verso i Vaan?»

«Siirist caro, e credimi, non sto minimamente esagerando, io so sempre tutto ciò che riguarda i miei sottoposti all’interno della Gilda.»

Quella era un’affermazione piuttosto arrogante, ma Siirist non ebbe il minimo problema ad accettarla.

«Oltre a fornirti un luogo in cui stare, vorrei, se non ti dispiace, insegnarti alcune tecniche della Gilda. Tutti i membri le conoscono e non mi sembra giusto che tu non le abbia imparate.»

«Tecniche di combattimento?»

La Volpe annuì.

‹Potrebbe essere interessante. Nel frattempo che pensiamo a dove andare, potresti imparare qualcosa di utile. E io avrei tempo di ripassare tutto ciò che mi ha insegnato ieri Zelphar: mi ha sintetizzato tutte le lezioni per il prossimo anno, ed è stato molto da assimilare.›

«Ne sarei più che felice.» accettò di buon grado Siirist.

La Volpe lo accompagnò alla stanza che gli era stata assegnata e gli disse che il loro allenamento sarebbe cominciato due giorni dopo. Fino ad allora Siirist doveva studiare il grimorio di Adeo, senza toccare nessuno degli altri, e imparare il più possibile a disciplinare la mente. La Volpe era certa che con gli esercizi brevettati del Cavaliere dal drago fucsia, Ryfon non ci avrebbe messo più di un anno a diventare un verso maestro della mente.

Così Siirist si sedette sul suo nuovo letto, il grimorio di Adeo in mano, guardando con nostalgia ai suoi lati e vedendo solo muri, e non altri letti. Pensò a come potesse stare Otius con i due Cavalieri in addestramento che aveva sempre odiato (almeno lui non c’era più) e a come potessero stare i suoi amici con qualcun altro ad occupare quel letto centrale.

‹Così non farai che peggiorare la confusione nella tua testa. Rilassati, svuota la mente e comincia a leggere.›

Siirist aprì il libro magico, ma subito la sua attenzione fu colta dagli altri sei. E fu tentato.

‹Non pensarci nemmeno. Non sei affatto pronto a capire cosa c’è scritto. Sono tutti incantesimi di alto livello, se rimani così non li capirai neppure tra mille anni. Il primo passo, lo sai, è allenare la mente.› ringhiò spazientito il drago, arrabbiato perché, per una seconda volta, aveva dovuto interrompere il suo ripasso mentale per fare da balia al suo Cavaliere.

‹Sì, mamma.›

 

Due giorni passarono, con Siirist che non faceva che leggere gli appunti di Adeo, esercitandosi poi nei metodi di potenziamento e rilassamento della mente, fermandosi solo per mangiare, dormire e andare in bagno. Stesso discorso per Rorix, che si rivedeva i ricordi della sua lezione intensiva con Zelphar. E finalmente arrivò il momento che il mezz’elfo aveva atteso, cioè l’inizio del suo allenamento con la Volpe. Come prima cosa, l’uomo gli chiese a quanti douriki fisici fosse arrivato, e dopo che ebbe risposto 52000, gli furono dati due bracciali d’argento con incise diverse rune elfiche. Siirist le indossò senza discutere.

«Mi faresti il favore di saltare in alto con tutta la tua forza?» chiese gentilmente la Volpe.

Siirist si guardò in alto, vedendo, a sei metri d’altezza, il soffitto a volte. Lo avrebbe sfondato. Fece notare questo particolare al suo nuovo maestro, ma questi ridacchiò e basta, ribadendo l’istruzione. Allora Ryfon scrollò le spalle e fece come detto, slanciandosi dalle caviglie. Senza che nemmeno se ne fosse accorto, era di nuovo a terra. Non capiva. Ci provò di nuovo, guardando verso il basso, e vide che si era sollevato di dieci centimetri al massimo. Orripilato caricò il salto dalle ginocchia, saltando a malapena trenta centimetri. Alzò lo sguardo verso la Volpe, orrore dipinto sul suo volto, e percepiva la stessa sensazione provenire dal drago.

«I bracciali che ti ho dato riducono, ciascuno, la tua forza di 250 volte. In questo momento i tuoi douriki fisici sono 104, se prima erano 52000.»

Siirist si tranquillizzò nel sentire la spiegazione, ma poi si preoccupò ancora, immaginandosi qualche brutta sorpresa per gli allenamenti a venire.

«D’ora in poi, durante ogni tuo secondo di veglia, li devi indossare. Ti concedo di toglierli quando ti lavi le mani e ti fai la doccia, così da poterti pulire per bene, altrimenti li devi sempre tenere sui polsi. Lo stile di combattimento che stai per apprendere è basato tutto su agilità e precisione, non ha niente a che vedere con la forza fisica, per cui ho pensato bene di eliminare il problema di farti avere questa spropositata potenza muscolare. È vero, in questo modo sei anche più lento e meno agile, ma allenandoti come dico io, ti rafforzerai molto e presto. E il tutto in modo del tutto normale per un essere umano. La nota più interessante che può farti piacere un po’ di più questa situazione è che, mentre sono addosso, i bracciali riducono i douriki fisici di 500; ma, una volta tolti, essi si moltiplicano per 500. In questo modo, se anche solo i tuoi douriki fisici, terminato l’allenamento, saranno saliti di cento, facendoti, così, raggiungere i 204, una volta che te li sarai levati, ti ritroverai automaticamente ad averne 102000. Non male, non trovi?»

«No, per niente!» disse entusiasta il ragazzo.

«Sono felice che ti piaccia la prospettiva. Ma lascia che ti dica che l’allenamento non sarà una passeggiata. A confronto, quelli di Althidon ti sembreranno un picnic. Ricorda che ora hai la forza di un umano comune, leggermente sopra la media. E i miei regimi di allenamento sono per persone che hanno almeno 300 douriki fisici.»

Il sorriso non svanì dalla faccia del mezz’elfo; anzi, si fece anche più marcato.

«Non potrei chiedere di meglio.»

«Ottimo. Ti ho fatto studiare un po’ il grimorio di Adeo perché avere chiarezza mentale è un prerequisito fondamentale per ciò che andremo ad imparare. Non ti insegnerò solo a combattere, ma anche a percepire le presenze attorno a te. E non intendo individuarle con la mente, intendo sentirle con i tuoi sensi. Con il tuo senso, dovrei dire. Il settimo, ad essere precisi.»

«Il settimo?» chiese insicuro Siirist.

«Come l’intuito è considerato il sesto senso, la percezione, sensazione, o come la vuoi chiamare tu, è il settimo. È un qualcosa che coinvolge tutti gli altri, vista, udito, olfatto, gusto e tatto. Hai presente quando sei stato ricoverato a Zanarkand dopo la tua battaglia con gli Scorpioni? Quando ti sei svegliato in ospedale avevi la sensazione di essere circondato da varie persone. Supponesti cinque o sei, è esatto? Immagino in base al numero di passi e dagli spostamenti d’aria: ecco, udito e tatto.»

Siirist si prese un minuto per farsi ritornare alla mente quel giorno, ricordando che, effettivamente aveva pensato ci potessero essere cinque o sei persone. Ma come...?

«Prima o poi mi direte come accidenti sapete tutte queste cose.»

La Volpe sorrise. Vedendo che Siirist aveva capito, continuò con la sua spiegazione.

«Con il settimo senso perfettamente sviluppato, saresti riuscito a capire esattamente quante persone c’erano, dove si trovavano, a che distanza da te erano, a che distanza fra di loro, eccetera. E questo senza aprire la mente. Ma per farlo è necessario avere una mente calma e sgombra, ecco il perché del tuo studio del grimorio di Adeo.»

Siirist annuì.

«Per quanto riguarda il combattere, se vogliamo fare una grossa generalizzazione, esistono tre categorie di combattenti: guerrieri, maghi e ladri. Una persona non si può solo allenare per diventare uno di questi, deve anche nascere con certi talenti. Tu sei un ladro, un ladro allenatosi ad essere un mago guerriero. In questi ultimi anni hai completamente trascurato le tue abilità da ladro, dico bene? Anche nella missione che hai affrontato, una volta che siete stati scoperti, quando hai combattuto con gli Scorpioni, lo hai fatto come mago guerriero, non come ladro.»

«Ma è chiaro, è quello l’addestramento che ho ricevuto a Vroengard!»

«Ma non è la tua vocazione. Non dico che tu non sia un abile spadaccino o un mago capace, ma non stai utilizzando le capacità naturali con cui sei nato. Non sei il tipo di guerriero dalla forza bruta, è vero, e tendi ad utilizzare più che altro agilità e velocità, ma sei comunque più vicino all’archetipo del guerriero che a quello del ladro.»

«Cosa volete che faccia?»

«Per il tempo che starai qui, dimentica tutto ciò che hai imparato a Vroengard e diventa un foglio bianco su cui io possa scrivere, lasciati plasmare in un perfetto ladro. Tutto ciò che devi tenere a mente del tuo addestramento precedente sono le basi del Makashi. Da lì partiremo ad imparare lo stile della Volpe, le tecniche segretamente tramandate all’interno della Gilda dei Ladri.»

Siirist capì che questo sarebbe stato più difficile che l’imparare a percepire la presenza delle persone senza la mente, poiché le tecniche del Djem-so, quelle che aveva imparato, almeno, erano impresse nei suoi muscoli e nelle sue ossa in maniera indelebile. E allora capì il perché dei bracciali: senza la sua forza spropositata, non poteva usare lo stile dei Cavalieri, e quindi doveva per forza seguire ciò che gli avrebbe insegnato la Volpe. Annuì deciso.

«Quando avrai padroneggiato lo stile della Volpe, potrai assimilarlo alle tecniche Djem-so che hai fino ad ora appreso, creando il tuo stile personale. Vedrai che sarai molto più efficace in battaglia, in quanto starai utilizzando la tua grande forza di mago guerriero unita al tuo naturale talento di ladro.»

«Molto bene, cominciamo.»

 

Quella notte Siirist andò a letto completamente a pezzi. La Volpe Grigia non aveva mentito quando aveva detto che i suoi regimi sarebbero stati massacranti. Siirist non si era mai sentito così fisicamente incapace. Neppure prima di instaurare il suo legame con Rorix, in quanto era abituato a possedere la normale forza di un essere umano. Ora era disabituato a ciò da quattro anni, ed aveva avuto difficoltà a reggere una spada, non Lin dur, ma una d’acciaio orchesco senza filo, con una mano per oltre cinque minuti. Per non parlare del dolore! I suoi elevati douriki avevano reso il suo corpo incredibilmente resistente, perciò mai in nessun allenamento aveva sofferto così tanto, eccezion fatta per i primi con Evendil, lungo la strada per Anvil. Ma ancora, a quel tempo vi era abituato. Con tutti i lividi e ammaccature che aveva, faticava a trovare una posizione comoda per addormentarsi. La spada della Volpe era veloce. Era come una saetta. I suoi occhi riuscivano a seguirla senza problemi, abituato com’era ad armi mosse da esseri notevolmente più forti, ma i suoi deboli muscoli non facevano nemmeno in tempo a contrarsi che egli era stato colpito almeno tre volte, ogni colpo che faceva più male del precedente. La Volpe gli aveva spiegato che c’era una connessione fra i vari nervi e punti sensibili del corpo, ed attaccarli in un determinato ordine creava quel accumulo di dolore che il mezz’elfo aveva sentito. Aveva risposto che gli avrebbe creduto con una semplice spiegazione teorica.

«È tutta qui la forza del grande Cavaliere d’Inferno?» lo aveva deriso la Volpe.

Punto sull’orgoglio, Siirist aveva continuato a prenderle senza più proferire una sillaba di lamentela. Il resto della sessione fu trascorso con la Volpe che spiegava i primi dieci collegamenti di terminazioni nervose che Siirist doveva imparare, dandogli dei fogli che ritraevano il corpo umano su cui studiare. Per finire, la Volpe, quel sadico bastardo, gli aveva proibito di curarsi con la magia. Sarebbe potuto avanzare alla seconda parte del grimorio di Adeo, quella sulla magia organica, una volta che avesse imparato alla perfezione la prima, quella sulla disciplina mentale. La Volpe aveva detto che in modo tale da capire meglio ciò che era scritto sui grimori dei Cavalieri, non avrebbe dovuto usare la magia fino a che non avesse cominciato a leggerne sui libri magici. Neppure la magia del fuoco era concessa, poiché, per quanto il ragazzo avesse scoperto il segreto del fuoco d’Inferno, ciò che avrebbe letto nei grimori di Aulauthar e Althidon gli avrebbe permesso di capire l’elemento tanto più a fondo da permettergli di padroneggiare il distruttivo fuoco rosso scuro alla perfezione. E, per quanto lo odiasse per il male che provava in tutto il corpo, Siirist si fidava ciecamente della Volpe Grigia, per cui obbedì.

Dopo altri due tentativi nel cercare di trovare la posizione che gli permettesse di non soffrire come un cane bastonato, e aver proibito a Rorix di dormire sul letto con lui, Siirist finalmente si addormentò.

 

Siirist aveva undici anni e stava correndo per le vie di Skingrad. Si era appena salvato da una brutta morte per non aver ridato i soldi allo strozzino contro cui aveva perso ai dadi. Abilmente era riuscito a rubarli proprio al criminale e poi darglieli con aria innocente, come si conviene ad un bambino di undici anni. Chiaramente dopo essersi tenuto qualche moneta d’argento.

‹Altro che la mia paghetta di cinque guil a settimana!› aveva ridacchiato.

Ma ciò che aveva provato nel prendere i soldi, l’emozione che aveva sentito durante il furto superava di gran lunga la soddisfazione di avere qualche centinaio di guil in tasca. Lo voleva rifare. Aveva intenzione di rubare in tutte le case delle persone che gli avevano mai fatto un torto nella sua vita, in particolare in casa di Hermeppo. Ma era consapevole che ci sarebbe voluto del tempo e dell’esperienza prima che potesse andare a svaligiare la casa più sorvegliata della città, se non si considerava il palazzo del conte. Per quello si trovava a correre per le strade, ad inseguire le centinaia di gatti che la infestavano, tutti di proprietà della vecchia Teresa, un’anziana zitella in sovrappeso che viveva con la casa infestata dai suoi “bambini”. E Siirist li odiava. Se li ritrovava spesso sul suo balcone, a volte addirittura in camera, e gli pisciavano, a volte anche peggio, sul letto, sul tappeto, sui mobili, insomma ovunque. Li detestava. Soprattutto quello lì, quel grosso maschio dal pelo arancione striato con un occhio solo. Un occhio giallo brillante, quasi dorato. Se solo fosse riuscito ad acciuffare tutti quei gatti, era certo che la sua abilità sarebbe migliorata. Il gattaccio gli scivolò fra le dita e corse verso destra, arrampicandosi per un albero e balzando sul balcone di una casa. Lo fissò, il suo occhio dorato che rifletteva la luce del sole, e soffiò con aria di sfida. Poi si voltò e andò via, lasciando Siirist, come un coglione, in ginocchio per strada.

Per i mesi successivi, nei boschi fuori da Skingrad, Siirist non fece altro che allenarsi ad arrampicarsi su per gli alberi. Ve ne erano di tanti tipi, con rami, senza, e dopo circa un anno, era diventato quasi una scimmia. Allora ritornò a rincorrere i gatti per Skingrad, e incominciò, finalmente, ad acciuffarne qualcuno. Ma non lui, non il gattaccio dall’occhio dorato. Durante la notte, Siirist si allenò ad arrampicarsi per i vari edifici della città, slanciandosi da balconi a tetti, poi saltando di tetto in tetto. Tutto questo mentre continuava ad inseguire i gatti. Più volte scivolò e rischiò di cadere e rompersi il collo, ma dopo un ulteriore mese di pratica, correva sui tetti più facilmente di come lo faceva per strada.

Nel giro di un altro anno aveva finalmente catturato tutti i gatti, compreso il gattaccio dall’occhio d’oro, con il quale aveva intrapreso un’aspra lotta che terminò con il felino completamente infradiciato da una secchiata d’acqua della sua amica e complice Keira, e lui pieno di graffi e morsi. Le sue prime cicatrici di guerra.

 

Siirist si svegliò e guardò l’orologio che segnava le sei. Aveva ancora due ore prima dell’inizio dell’allenamento con la Volpe. E sapeva bene che fare. Si alzò in piedi e mise le mani avanti, facendosi cadere a terra. Ignorò completamente l’agonia che provò in tutto il corpo utilizzando una delle tecniche di Adeo per svuotare la mente e non provare dolore. Fece cinquanta flessioni prima che i pettorali incominciassero a bruciare, allora smise e si rimise in piedi. Aveva più o meno un’idea di cosa era in grado di fare. Si vestì di fretta e uscì dal Santuario portandosi dietro due pugnali di mithril presi dall’armeria.

Arrivò alle mura della città e le scalò, infilando le lame taglienti nelle fessure tra le varie pietre dove era stato messo il collante. La scalata fu faticosa, issarsi a quel modo quando era tutto dolorante e con la misera forza che possedeva con addosso i bracciali era faticoso, ma non si diede per vinto. Aveva meno di 100 douriki a tredici anni, eppure saltava abilmente di tetto in tetto per tutta la città. A sedici, quando scalò la collina che sosteneva il palazzo del conte, aveva circa 130 douriki, poco più di quanti ne possedeva in quel momento, eppure non si era sforzato affatto. Era tutta questione di abitudine. Stringendo i denti, Siirist si issò sopra alle mura e si mise a sedere, contemplando la sua città natale. Guardò verso il basso, per accertarsi che nessuna guardia stesse guardando verso l’alto, e poi a sinistra.

«È piuttosto piacevole, non trovi? Io lo trovo rilassante. È proprio una bella città.»

A Siirist quasi partì un urlo di meraviglia, e ci mancò poco perché cadesse a terra, nel ritrovarsi, senza che si fosse accorto di niente, la Volpe Grigia seduto accanto a lui.

«Ma come...?»

«Vieni, dovresti riposare. Ieri sei andato a letto senza cena, è bene che mangi a dovere adesso. E che ti lavi. Nemmeno ti sei fatto la doccia.»

«Ero distrutto dall’allenamento!»

«Lo so. Ti avevo avvisato, infatti!»

 

Rifocillato e lavato, Siirist si presentò alle otto in punto in una delle sale d’allenamento del Santuario, esclusiva sua e della Volpe fin quando non avessero completato il loro addestramento.

«Ti starai chiedendo come ti sia venuto vicino senza che te ne accorgessi.»

«Va beh, questo l’avrebbe potuto indovinare chiunque, non mi meraviglio per i vostri incredibili metodi d’informazione questa volta, Volpe!» lo prese in giro Siirist.

L’uomo rispose, un sorriso sulle labbra.

«Come il settimo senso è in grado di farti percepire le presenze intorno a te, e altro, ma te ne parlerò più avanti, è importante imparare a celare la propria presenza con la furtività. Devi diventare quasi un tutt’uno con l’ambiente, insignificante, tanto che una persona non ti noterebbe neppure se le stessi ad un palmo dal naso. Questa è un’abilità certamente più difficile da affinare rispetto allo sviluppo del settimo senso, ma è di vitale importanza per un buon ladro. Senza contare che fa parte delle tecniche più avanzate dello stile della Volpe.»

«Mi insegnerete anche questo?»

«Certamente. Ma non sei ancora pronto. Devi imparare molto più dal grimorio di Adeo, devi imparare come minimizzare il tuo respiro, come rendere la tua mente, e di conseguenza il tuo corpo, un tutt’uno con l’ambiente.»

«È da ieri che ci penso, parlate delle informazioni contenute nel grimorio di Adeo come se le conosceste!»

La Volpe sorrise. Siirist scosse la testa, incredulo.

«E magari sapete anche cosa c’è scritto negli altri sei?»

«Forse.» rispose semplicemente.

 

Quel giorno, e per tutto il mese, Siirist e la Volpe Grigia non toccarono più l’argomento del settimo senso, continuando a focalizzare la loro attenzione sullo stile della Volpe. Oltre ad imparare tutte le concatenazioni di terminazioni nervose, in tutto novantasette, utili per arrecare sempre più dolore ad un avversario, Siirist scoprì i vari punti deboli del corpo che, se toccati con la giusta pressione, facevano addormentare una persona, le arrecavano un dolore inimmaginabile, oppure paralizzavano un arto. E per finire, c’erano alcuni punti, segnati in nero sulla nuova mappa del corpo umano che la Volpe gli fornì, che uccidevano sul colpo. Siirist si allenò a combattere anche a mani nude, cercando di colpire i punti blu, quelli paralizzanti, della Volpe prima che questi gli premesse quelli rossi, quelli di dolore. Chiaramente ogni confronto terminava con Siirist a terra che urlava in preda al dolore più atroce che avesse mai sentito; prima alla gamba, poi alla mano, al petto, alla schiena, alla testa. Ogni volta la Volpe lo prendeva in un punto diverso, e ogni volta lui perdeva. Dopo la ventesima volta, quando la Volpe gli premette il punto bianco corrispondente a quello rosso premuto in precedenza, il dolore, come per le diciannove volte prima, svanì all’istante, e Siirist si rialzò.

«Queste conoscenze ti saranno utili quando studierai la seconda parte del grimorio di Adeo.»

«Sì, sapere tutte queste cose del corpo umano sarà certamente un vantaggio quando studierò la magia organica. Ma, una cosa, so che il corpo degli elfi è identico a quello degli umani, ma che succede se affronto un demone?»

«Un demone in forma umana ha il corpo fatto esattamente come il nostro, perciò sapere come agire sui vari punti sensibili risulterebbe utile anche contro do loro. Quando sono in forma reale, è un’altra questione. Ma nel caso in cui non cambino notevolmente struttura fisica, funziona tutto allo stesso modo. Quindi, se te lo stai chiedendo, premere un punto rosso al demone che ha ucciso Evendil anche quando questo ha spiegato le ali sarà efficace.»

Siirist sorrise maligno nell’immaginarsi quel bastardo contorcersi a terra in preda alla sofferenza più grande immaginabile.

‹Hahaha...›

Giunse alla sua sala del trono la risata diabolica del falso, dopo che la porta che conduceva ai sotterranei si era sfessurata appena. Svelto la richiuse. Scosse la testa per cercare di calmarsi e riprendere il controllo, facendo qualcuno degli esercizi di Adeo.

«Tutto a posto?» lo guardò preoccupato la Volpe.

«Sì, certo.»

«Vai a riposare per ora, ci prendiamo una pausa di un’ora.»

Così Siirist tornò alla sua stanza e riprese in mano il grimorio di Adeo, proseguendo da dove si era fermato. Aveva studiato appena cinquanta minuti che un ladro venne a richiamarlo, e subito si ripresentò al cospetto della Volpe. Nella stanza trovò altri cinque ladri, sei con quello che lo era venuto a chiamare.

«Credo tu ti sia allenato abbastanza fisicamente in questo mese, perciò ora inizieremo a mettere a buon uso ciò che hai imparato dal grimorio di Adeo.»

«Cominciamo finalmente ad affinare il mio settimo senso?»

La Volpe annuì. Siirist sorrise eccitato.

«Come prima cosa, osservati bene intorno. Guarda dove sono i tuoi fratelli, memorizza la loro locazione. Prenditi tutto il tempo, non c’è fretta.»

Siirist osservò attentamente l’intera stanza. Si trattava di un rettangolo con i lati lunghi di quarantacinque metri, quindici sui corti. La conosceva bene, ci si allenava da oltre un mese, ma ciononostante la volle esaminare meglio. Si avvicinò ad una delle colonne, dalla forma squadrata, la base di un metro quadrato: esse, due, erano posizionate all’ottavo metro del lato corto, distanti l’una dall’altra quindici metri, e situate alla stessa distanza dalle pareti. Guardò attentamente le quattro pareti ed il soffitto, bucherellati in vari punti da appigli e fessure. Nella mente impresse la posizione di tutti i presenti nella sala. Ritornò al suo posto di prima, continuando a tenere come primo pensiero la mappa che si era disegnato della stanza.

«Sei pronto?» chiese la Volpe.

Annuì.

«Ora chiudi gli occhi. Rilassati, sgombra la mente. A parte che per la mappa che ti sei creato, chiaro. Ma rilassala, rendi il mare dei tuoi pensieri più calmo dello stagno nel giardino di una casa di campagna. Bene, così. Ora indicami dove si trovano tutti. Seguendo la tua memoria, tranquillo, non si sono mossi.»

Siirist fece come detto. Ad uno a uno, alzò il braccio e puntò verso dove sapeva trovarsi un ladro. Quando toccò agli ultimi due che si trovavano alle sue spalle, ebbe un momento di indecisione, sapendo che, se si fosse girato di troppo, avrebbe sbagliato. Con attenzione mosse un piede alla volta, girando su se stesso di sessanta gradi – e puntò – poi di altri quaranta – e puntò ancora. Continuò a girare su se stesso fino a che non compì ciò che sapeva bene essere un giro completo di 360 gradi. Rimase in silenzio, trattenendo il fiato, con gli occhi chiusi, in attesa del verdetto della Volpe.

«Ottimo, perfetto! Hai indicato verso il centro esatto del petto di ciascuno! In molti hanno problemi a superare anche questa prima fase dell’allenamento, sono contento che con te possiamo procedere più speditamente. Ora, più difficile: essi si sposteranno, lentamente e facendo un notevole quantitativo di rumore, e tu dovrai poi individuare dove si sono fermati. Si muoveranno dopo tre secondi a partire dal tuo segnale. Di’ pure quando sei pronto.»

Siirist inspirò profondamente ed espirò controllando notevolmente il flusso d’aria. Dopo tre scambi di ossigeno, annuì. Tre secondi dopo, precisi come gli orologi di Esthar, sentì i passi dei ladri. Era stato bene attento, focalizzando tutta la sua attenzione solo sul suono dei passi. Ma non era riuscito ad individuarli tutti. Aveva però capito uno dei loro trabocchetti.

«Quello lì non si è mosso.» disse indicando dietro di sé, alla sua destra.

«Molto bravo.»

«Due sono lì, – e indicò. – ma non sono riuscito a seguire gli altri.»

«Va bene. I tre che hai perso ritorneranno esattamente dove erano prima e ritorneranno successivamente dove sono ora. Solo per divertimento, cerca di sentirli muoversi.»

Siirist annuì. Aspettò dieci secondi con il fiato sospeso, ma non sentì niente.

«Si sono mossi, vero?»

«Sì.»

Siirist emise un verso di disappunto. Neppure con il suo nuovo, fine udito elfico aveva percepito il minimo suono. Questi ladri sapevano il fatto loro.

«D’accordo, al tuo segnale si muoveranno di nuovo.»

Siirist nuovamente si calmò, inspirando profondamente ed espirando lentamente per tre volte di seguito, prima di annuire. Sentì i passi, e li seguì. Sorrise quando non li sentì più. Indicò, una, due, tre volte.

«Magnifico. I bracciali ti riducono la forza, ma non offuscano i tuoi sensi sviluppati. Non che ce ne sia bisogno. Questo è un allenamento pratico, e nell’uso pratico avrai sempre i tuoi sensi elfici. Molto bene, proseguiamo.»

 

Per ciò che gli parve un’eternità, che poi si rivelò essere appena due ore e mezza, Siirist continuò quell’esercizio, reso sempre più difficile ogni volta che riusciva perfettamente per due volte di fila in quella precedente. Quando entrò nella sua stanza, si buttò sul suo letto, troppo stanco per riuscire nemmeno a leggere due righe del grimorio di Adeo.

 

Un altro mese passò, durante il quale Siirist continuò ad allenarsi nello stile della Volpe, alternando la spada singola, la spada accompagnata dal pugnale, doppi pugnali e mani nude, terminato il quale la Volpe Grigia decise di dare al Cavaliere un altro assaggio del settimo senso. Imparò che esso poteva essere utilizzato anche a percepire presenze ostili e spiriti omicidi, molto utile quando ci si trovava in luoghi affollati ed era impossibile sondare la mente di ciascuna persona presente.

Due mesi dopo, la Volpe lo accompagnò ad una stanza diversa dalla solita. L’unica cosa presente in essa era una pedana circolare su cui si trovavano un gran numero di tavole di legno messe in verticale, ognuna alta tre metri e larga mezzo.

«Il tuo allenamento di oggi è fondamentale per poter imparare le tecniche dello stile della Volpe di livello più avanzato. Il tuo compito è passare attraverso quelle tavole di legno e raggiungere la parte opposta senza mai toccarle. È un allenamento che coinvolge sia la tua destrezza fisica che il tuo settimo senso, in quanto non potrai vedere con gli occhi le tavole dietro di te.»

Ryfon pensò che non sarebbe stato troppo difficile completare l’incarico, perciò capì subito che c’era una fregatura. C’era sempre una fregatura. Osservò bene la pedana e la base di ogni tavola.

«Fatemi indovinare, quelle tavole ruotano, vero?»

«Perspicace. Il segreto è lasciarti trasportare, muoverti in armonia con l’ambiente senza opporlo: se senti un’opposizione non le andare incontro, ma aggirala. Devi muoverti come un serpente, come una foglia nel vento. Ti mostro come si fa.»

La Volpe si avvicinò ad un interruttore e attivò il meccanismo delle tavole che incominciarono a muoversi in maniera rapidissima. Con attenzione Siirist le guardò notando dieci giri al secondo. La Volpe salì sulla pedana ed incominciò a muoversi in mezzo alle tavole vorticanti, girando su se stesso, spostando il peso da un piede all’altro, oscillando leggermente. Ogni volta che si girava e si trovava con il viso nella direzione del ragazzo, questi vedeva che aveva gli occhi chiusi. Aprì la bocca per lo stupore. La Volpe raggiunse la parte opposta e ritornò, il tutto in dieci secondi.

«Ora tocca a te. Non è una gara di velocità, tranquillo, puoi metterci quanto tempo vuoi per arrivare dall’altra parte, e usare qualunque strada. E tranquillo, abbasso la velocità a due giri al secondo.»

 

Quando Siirist, due ore dopo, ritornò in camera, non ricordava di aver preso mai così tante botte. Le tavole di legno lo avevano preso in faccia, sulla schiena, sulle spalle, le ginocchia, i gomiti, le anche, il sedere. Si era ritrovato con un occhio nero, un taglio sullo zigomo, il naso rotto e un numero incalcolabile di ematomi. E non poteva curarsi magicamente. Una volta steso sul letto sbuffò.

E altri otto mesi passarono con lo stesso ritmo. Arrivò nuovamente il 3 luglio, il giorno del suo ventunesimo compleanno, e, come non mai, gli fece male il petto a non avere Alea, e anche Gilia, ma soprattutto Alea, accanto a lui. La Gilda dei Ladri e la Confraternita Oscura furono così gentili da preparargli una festa a sorpresa con tanto di torte di mele, cosa che non stupì affatto il festeggiato, ma non era certo la stessa cosa. La sera ritornò nuovamente al suo alloggio e con difficoltà resistette alla tentazione di contattare Alea. Althidon aveva insegnato loro, ormai due anni prima, come mettersi in contatto telepatico con una persona dalla distanza, l’importante era possedere un oggetto personale della persona desiderata. E al suo collo Siirist portava la Collana del Giuramento, che più personale si moriva. Ma all’ultimo si trattenne: se avesse sentito la voce della sua amata, non sapeva quale forza lo avrebbe trattenuto dal ritornare a Vroengard, con o senza Rorix. Non che al drago importasse, lo avrebbe seguito sempre e comunque. Per distrarsi, quindi, prese il grimorio di Adeo e lo aprì all’ultima pagina della prima sezione, dove si trovava scritto il suo ultimo esercizio mentale. Esso era strutturato in modo da allenare la persona a non perdere mai la concentrazione, qualunque cosa accadesse. Siirist tirò fuori dal libro la carta ritagliata a comporre varie rune, e quando la ebbe aperta, vide che si trattava di una circonferenza di rune di carta. Seguendo le istruzioni scritte sul grimorio, la mise a terra e ci sedette in mezzo, incominciando ad eseguire tutti gli esercizi di concentrazione che aveva imparato in quell’anno. Tutto d’un tratto, gli parve di sentire un rumore di pietra, così aprì gli occhi e, con orrore, vide le mura che gli si chiudevano addosso. Scioccato per un istante, fece per lanciare un incantesimo quando vide che, in verità, le quattro mura erano esattamente dove dovevano stare. Corrugò la fronte sconcertato. E poi il sospetto lo raggiunse. Esaminò le rune di carta, ma il modo in cui erano state ritagliate e come si univano l’una all’altra le rendeva difficilmente leggibili. In ogni caso il ragazzo credeva di aver capito come funzionasse questo esame finale di Adeo, perciò riprese a calmare la mente. In poco, anziché sentire le mura della stanza chiudersi attorno a lui, sentì il risolino di varie ragazze e il rumore di schizzi d’acqua. Anche l’aria attorno a lui era calda, carica d’ umidità. Aprì gli occhi e si ritrovò in mezzo a delle terme naturali, circondato da un’infinità di splendide fanciulle. Ma lui aveva Alea, e quell’illusione mentale non lo avrebbe certo distratto. D’altro canto, era da oltre un anno che non faceva sesso, e l’avere sei giovani, splendide donzelle che gli accarezzavano il pacco, per quanto esse, e ne era consapevole, fossero frutto della sua immaginazione, non aiutava certo a mantenere la concentrazione. Infatti in altri pochi secondi la perse e si ritrovò nuovamente nella sua stanza. L’unica differenza individuabile nella rigidità all’interno dei pantaloni. Sentendosi in colpa, accarezzò la Collana del Giuramento e la baciò, imponendo il suo autocontrollo sul suo membro e facendolo ammosciare. Trasse un altro profondo respiro, chiuse gli occhi e ricominciò l’esercizio. Nuovamente fu circondato dall’odore di zolfo.

‹Due volte lo stesso trucco? Questa volta non ci casco, mi dispiace!›

Aprì gli occhi con fare sicuro, per ritrovarsi, a pochi centimetri dal viso, sei omaccioni grossi e pelosi che gli facevano gli occhi dolci, sbattendo le ciglia spropositatamente lunghe e mandandogli baci con le loro bocche coperte da rossetto.

«Ah!» urlò per la paura, e immediatamente l’illusione si disperse.

Il cuore che gli batteva all’impazzata, aveva un’espressione terrificata e orripilata. Era nauseato. Questa volta passò qualche minuto abbondante prima che si sentisse nuovamente pronto ad eseguire quell’esercizio.

Dovette ritentare almeno un altro centinaio di volte, durante le quali gli parve di affogare, venire travolto da un macigno in corsa, essere rigirato sullo spiedo da un gruppo di maiali giganti, essere rincorso da uno sciame di vespe assassine grandi quanto un falcone... Infine, alla sua ultima volta, apparve di fronte a lui ciò che Siirist avrebbe voluto vedere meno di qualsiasi altra cosa: c’era lui, il demone dai capelli d’argento, Raiden. Sorrideva diabolico e per un momento al mezz’elfo parve di perdere la concentrazione, il suo animo sconvolto dalla rabbia. Ma decise di non lasciarsi travolgere da essa, piuttosto di accettarla e lasciare che gli desse forza in un modo calmo e ordinato, come gli aveva una volta insegnato Evendil. Inspirò ed espirò profondamente, l’immagine del demone alato ancora viva davanti agli occhi. Li chiuse. Li riaprì. Raiden era ancora lì, solo che ora aveva gli occhi ed i capelli rossi e le grandi ali nere spiegate. L’odio che Siirist provava per lui era così grande che sentiva di poter essere avvelenato solo dai suoi pensieri, e che più vedeva quell’individuo, più stava male. Ma non si arrese. Chiuse ancora gli occhi. Gli riaprì. Questa volta Siirist aveva di fronte a sé l’immagine di Viola a cui veniva squarciata la gola. Chiuse gli occhi e li riaprì, vedendo Evendil che veniva ucciso, ma Siirist strinse i denti e continuò ad osservare, impedendo che la sua mente vacillasse. Rivide la morte della sua figura paterna almeno mille volte. E allora l’immagine di Raiden e del mezzo bosmer svanì, lasciando il posto alle cento che l’avevano preceduta, e ad altrettante nuove. Mai Siirist perse la sua concentrazione. Infine le illusioni sparirono, ed il ragazzo si sentì pervaso da una sensazione di calma mai sentita. Tutto intorno a lui era secondario, non importante. Gli pareva di poter discernere il superfluo da ciò che era veramente vitale: e, sorprendentemente, notò che le seconde si potevano contare sulle dita di una mano.

Inspirò e questo suo stato di quiete mentale sparì. Siirist sorrise.

 

 

 

~

 

 

 

Ho cambiato il titolo perché questo nuovo si addice più al contenuto, in quanto la Volpe Grigia insegna a Siirist tutte le abilità che un ladro della Gilda possiede e non solo ad utilizzare il settimo senso.

 

Il prossimo capitolo si intitola FAME. Per quanto il falso Siirist sia stato sigillato, il corpo del nostro biondo protagonista è oramai inevitabilmente quello di un demone. Cosa comporterà questa sua incontrollabile condizione?

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** FAME ***


FAME

 

Siirist era nella stanza d’allenamento, completamente al buio e bendato. In mano impugnava una spada senza filo. Restava immobile, per percepire al meglio le presenze dei suoi avversari. Eccone uno. Il ladro, poiché dai movimenti si capiva che fosse un ladro e non un assassino, gli fu addosso, ma egli non fece altro che deviare il suo affondo per poi colpirlo duramente con un fendente sul trapezio. Quello lo avrebbe lasciato stordito per un po’. Per un istante, un assassino, perché questa volta si trattava di tale, fece sentire la sua presenza ostile, prima di tendere l’arco che avrebbe liberato le frecce d’allenamento, che, al massimo, avrebbero fatto venire qualche ematoma sul corpo del mezz’elfo. Un errore, quello dell’assassino, che gli costò la vittoria, in quanto Siirist istantaneamente scattò verso di lui. Più correva, più aveva la sensazione che qualcosa di imponente e pensate gli stava venendo addosso, così balzò di lato e riprese a correre, evitando una delle colonne della sala. Non gli servì udirne il sibilo per percepire la freccia che si dirigeva verso di lui, e si abbassò prima ancora che essa fosse ad un metro di distanza. Prima che l’assassino avesse il tempo di scoccarne una seconda, il mezz’elfo gli fu addosso, tramortendolo come aveva fatto con il ladro. Un secondo ladro apparve dal nulla, questo un vero maestro nel nascondere la propria presenza, e attaccò Siirist con un fendente diretto al cranio: ma il movimento della spada lo mise in allarme, e fu svelto abbastanza da parare il colpo, per poi subito andare a premere uno dei punti verdi, quelli che addormentavano, del collo dell’avversario. Nonostante non vedesse assolutamente nulla, la mano destra del Cavaliere non si era mossa alla cieca, in quanto egli aveva perfettamente percepito la presenza del ladro e lo spazio che egli occupava, perciò, sicuro, era andato a premergli, con un rapido colpo con due dita terminato con una sorta di avvitamento, il suo punto verde. Il ladro si accasciò a terra in un istante. Siirist sentì altre quattro presenze, tutte molto lievi, arrivare verso di lui, così corse verso il centro della stanza, facendosi inseguire, e cancellò completamente la sua. I tre ladri e l’assassino rimasti parvero spaesati. Furtivamente, Siirist si avvicinò ai tre ladri, tramortendoli con i loro punti verdi, per poi avvicinarsi allo stesso modo all’assassino, che, però, non si fece sorprendere. Ingaggiarono un breve duello, e Siirist fu il primo ad essere colpito. L’avversario lo aveva attaccato con un affondo nell’interno coscia, uno dei primi punti delle novantasette concatenazioni. Ryfon sapeva già dove sarebbe stato colpito dopo, così, ignorando il dolore alla gamba, impedì il secondo attacco all’esterno coscia dell’altra gamba andando a premere violentemente su uno dei punti blu, quelli di paralisi, del braccio dell’assassino che reggeva la spada. L’arto cadde senza più segni di vita al fianco dell’assassino. Siirist gli portò la spada alla gola.

Si sentì un applauso e le luci si riaccesero. Il mezz’elfo si tolse la benda dagli occhi.

«Sono fiero di te, Siirist. Bravo, veramente bravo. Vedi cosa intendevo quando ti dicevo che sei portato ad essere un ladro? In appena due anni hai padroneggiato alla perfezione le nostre tecniche; puoi dire lo stesso delle vie del guerriero e del mago?» esclamò colpito e felice la Volpe Grigia.

Il Cavaliere si ritrovò costretto a scuotere la testa.

«Hai ancora, a dirla tutta, un paio di dettagli da perfezionare, come il tuo riconoscere i punti sensibili: vedi come loro, più esperti di te, sono in grado di risvegliare i loro compagni individuando il corretto punto giallo da premere? Questo perché riescono a capire, dai movimenti del corpo, quale punto verde è stato stimolato. Tu riusciresti a fare lo stesso?»

«No. Ma sono convinto che, una volta finita la seconda parte del grimorio di Adeo, ne sarò in grado.»

«Certamente. Dopo di essa ti restano la terza e quarta parte, quella dedicata alle illusioni mentali e quella che tratta delle nozioni di alchimia. Ma è sufficiente completare la terza sezione per essere mentalmente preparato ad affrontare gli altri sei grimori, senza dover arrivare a studiare l’alchimia; puoi lasciare quella per quando vuoi, suppongo tu sia più interessato a continuare a studiare la magia, piuttosto che l’alchimia. Ma ora basta parlare di studio, ti sei meritato una bella festa, e questa sera si banchetterà a spese degli Scorpioni e dei Vaan!»

Tutti, ladri e assassini, esultarono. Anche Siirist si ritrovò a sorridere, più spietatamente di quanto avesse desiderato, nel sapere come la Setta aveva subito un duro colpo per mano della Confraternita Oscura, e che era stato confiscato molto oro. Dopo quasi due anni la porta che dava ai sotterranei della sua torre mentale cominciò a riaprirsi, ma Siirist non dovette far altro che entrare nel suo stato di calma assoluta ed essa si richiuse da sola. Oramai il falso, incatenato ed ingabbiato, non rappresentava più un problema.

A cena, mentre aveva davanti a sé il suo solito piatto vegetariano, l’odore dello spezzatino sul piatto delle persone attorno a lui si fece sempre più invitante. Siirist si strinse lo stomaco. Non era la prima volta che accadeva, in tutto era successo undici volte negli ultimi tre mesi, con frequenza sempre maggiore. Non capiva, la carne, dopo l’addestramento subito a Vroengard, gli dava la nausea, eppure di recente aveva incominciato a fargli venire l’aquilina in bocca. E quel meraviglioso spezzatino di vitello, con olio, rosmarino ed una punta di sale e pepe... Scosse la testa ed entrò nel suo stato di calma. Riusciva a sentire cosa fosse importante e cosa no, e di certo un piatto di cadavere non lo era. Tranquillizzato e sedata la sua voglia di carne, uscì dalla calma e ritornò a partecipare attivamente al banchetto che era sia in suo onore, che dei coraggiosi confratelli che avevano seriamente danneggiato la Setta dello Scorpione, avendone eliminato un intero battaglione. Inoltre Siirist aveva risvegliato il rapinatore che c’era in lui, e aveva completamente ripulito villa Vaan di tutto. Assolutamente tutto. Complice anche l’uso della magia, Siirist era riuscito a far uscire dalla casa mobili, decorazioni, oggetti di valore... Inoltre aveva ripulito la caserma delle guardie e tre altre case, quelle dei più accesi sostenitori di Vaan. Questi avrebbe certamente dato la colpa a Hassildor per fare apparire la rapina come un tentativo di sabotarlo, ma Ryfon era più che sicuro che il saggio conte sarebbe stato in grado di cavarsela da solo e di riprendere il controllo della sua città.

Una settimana dopo Siirist compiva ventidue anni, e con rammarico ripensò di nuovo ad Alea, stringendo con sempre maggiore forza la Collana del Giuramento. Sentendosi in colpa dedicò qualche pensiero anche a Gilia, ma poi ritornò subito con la mente ad Alea. Oramai lei e il moro, assieme a quello lì, quel tizio... sì, Otius, oramai loro tre avevano terminato il loro addestramento ed erano Cavalieri dei draghi in tutto e per tutto. Il ragazzo si sentiva mortificato a non essere stato con loro, ma era stato necessario partire. E ora, dopo quei due anni passati nel Santuario di Skingrad assieme alla Volpe Grigia, sentiva di essere più vicino al suo obiettivo di controllare perfettamente i suoi poteri. Era più vicino a ritornare ad abbracciare la sua amata. Come gli mancava. Gli mancava il suo profumo, la sensazione piacevole dei suoi soffici capelli e della sua pelle liscia, il mare di emozioni che provava a guardarla nei suoi splendidi occhi verdi, la perfezione del suo sorriso e le sue irresistibili labbra. E i suoi magnifici seni, i suoi glutei scolpiti, le sue gambe... E gli brontolò lo stomaco. Strano. Con tutti quei pensieri che lo stavano eccitando tanto, si sarebbe aspettato di arraparsi, di avere un’erezione. Non di sentire fame. Eppure era quella che egli sentì, quella che lo obbligò a tenersi rabbiosamente lo stomaco come se fosse stato vuoto da anni. E allora un improvviso odore lo richiamò da fuori la sua porta. La aprì e vide passare una giovane iniziata della Gilda, di massimo venticinque anni, e si sentì sopraffatto dal desiderio. Come prima, aveva inizialmente pensato a lei in modo sessuale, pensiero dettato dai suoi due anni di astinenza, ma subito dopo aveva cominciato ad immaginarla non che urlava di piacere mentre la penetrava, ma che urlava di dolore e paura mentre le strappava a morsi la carne dalle ossa. Ryfon impallidì e cadde in ginocchio, riconoscendo la sensazione.

‹No...›

‹Yuhuu...!› disse leggermente il falso, la porta infondo alla sala del trono che si apriva.

‹Come può essere? Tu sei sigillato!›

‹E perché crederesti che sono io, scusa? Hahaha!› rise diabolico.

E la porta si richiuse da sola.

L’iniziata ladra si accorse del Cavaliere d’Inferno a terra e lo andò a soccorrere, ma, così facendo, egli sentì il suo cuore pulsare più rapidamente, in preda all’angoscia. Esso lo chiamava come una luce attira una falena. Più volte Siirist cercò di resistere il bisogno di addentarla, più volte la scacciò. Ma ella non se ne andava, e continuava a chiedere cosa egli avesse che non andava. E più chiedeva e più non riceveva risposta, più si affannava, e più il suo cuore accelerava. Il bisogno era ora troppo forte, Siirist non si sarebbe trattenuto ancora a molto.

‹Rorix, dove sei!›

‹Eccomi, resisti!›

Il drago, che era stato fuori a volare, ritornò verso il Santuario il momento che capì cosa stava succedendo al suo Cavaliere, ma era lontano, e gli ci volle del tempo. Troppo tempo.

Le vene nei bulbi oculari di Siirist si ingrossarono spropositatamente e tutto il sangue che affluiva tramutò eventualmente le iridi, tingendole di rosso. I denti del ragazzo si appuntirono, trasformandosi in zanne, e, quando ebbe un nuovo e sconvolgente brontolio allo stomaco, non riuscì più a fermarsi. Alzò la testa e si avventò sulla ladra, affondandole le zanne nella gola e succhiando avidamente la sua linfa vitale. Il sapore dolce, inebriante... La cosa più buona che egli avesse mai assaggiato. Non si era nutrito più di tanto, però, che la possente testa di Rorix lo staccò dalla sua vittima e, vedendo l’Inferno di fronte a lui, si riprese, imponendo il suo stato di calma assoluta. Ma esso non fece che peggiorare la situazione, posizionando il bisogno di sangue come numero uno nella lista di questioni di vitale importanza. Allora ne uscì, provando gli altri innumerevoli esercizi mentali di Adeo. Alla fine trovò quello adatto, e i suoi occhi ritornarono azzurri e i suoi denti normali.

«Che cosa ho fatto...!»

La ragazza si dimenava furiosamente, e la perdita di sangue, piuttosto abbondante, si stava facendo pericolosa. Riportando alla mente tutto ciò che aveva imparato sulla magia organica, Siirist le appoggiò la mano sul collo e, il Cerchio d’argento risplendente, la guarì. Se la situazione non fosse stata quella tragica in cui si trovava, si sarebbe complimentato con se stesso per la sua prima vera magia di guarigione. Invece, dopo essersi scusato con una ladra a mala pena cosciente, si diresse verso la sua stanza a fare i bagagli: era chiaro che non potesse più stare lì, così come era dovuto partire da Vroengard.

Siirist era arrivato all’uscita del Santuario quando sentì avvicinarsi una presenza, una presenza che conosceva bene.

«Dove credi di andare?» domandò la Volpe Grigia.

«Mi dispiace, ma non posso più restare qui. C’è qualcosa che devo fare.»

«Capisco. Ma potevi anche salutare.» sorrise.

Siirist abbassò la testa.

«Non sentirti in imbarazzo per quello che hai fatto; non è morto nessuno ed è encomiabile che tu sia riuscito a riprenderti. Rorix, non lo lasciare mai, intesi? E Siirist, non dimenticare ciò che hai imparato qui: prima di essere un mago o un guerriero, tu sei un ladro.»

«D’accordo, grazie... Maestro.»

Si inchinò con rispetto come solo aveva mai fatto con Althidon, ed uscì assieme al drago, il quale si ingrandì sufficientemente per permettere al Cavaliere di montarlo, e prese il volo.

‹Per dove, o mio Cavaliere?›

Siirist ci pensò un’ultima volta, così da essere certo che non fosse una follia.

‹Hellgrind.› disse infine.

Se Rorix aveva qualcosa da ridire, rimase zitto, e si diresse verso sud-est, in direzione della nazione dei demoni. Non poteva volare troppo velocemente, poiché il corpo di Siirist rimaneva in subbuglio. Decise quindi, verso l’ora di pranzo, di atterrare nei pressi di Guadosalam, per permettere al Cavaliere di riposarsi nella città mentre lui andava a caccia. Ryfon accettò di buon grado l’idea del drago, e, il cappuccio del mantello sollevato bene a coprire il viso, entrò nel gigantesco albero dal tronco cavo che ospitava la prima colonia di elfi in Spira. Nonostante fosse una città bosmer, erano presenti anche alcuni dunmer e, anche meno, altmer. Il ragazzo si diresse alla locanda, dove trovò umani di passaggio. Alcuni di loro erano già intenti a mangiare, e la maggior parte aveva ordinato piatti contenenti carne. La bocca di Siirist incominciò a bagnarsi per l’eccessiva salivazione. Cercando con tutte le forze di contenere il suo bisogno, il mezz’elfo si avvicinò al proprietario e gli disse di voler mangiare. L’elfo lo accompagnò ad uno dei tavoli e gli porse uno dei menu. Con riluttanza, Siirist ordinò una bistecca e delle salsicce alla griglia, con una ricca insalata di contorno. Mentre aspettava il suo cibo, gli odori nella stanza gli mettevano sempre più fame, e la presenza delle due cameriere elfiche, una delle quali una altmer, non aiutava. Di nuovo sentì il bisogno di nutrirsi, e la sensazione spiacevole degli occhi che scoppiavano mentre le vene si ingrossavano. Si calmò a forza, conscio che il manifestare energia demoniaca in una città di elfi non sarebbe stata una brillante idea. Certo che quella altmer, però, con i suoi lunghi capelli biondi e grandi occhi verdi... Siirist dovette ammettere che ella assomigliava ad Alea, per quanto non le arrivasse nemmeno lontanamente vicino come bellezza; tra le due c’era lo stesso divario che poteva esserci tra la più bella delle umane e la più brutta degli elfi (cioè abissale), ma comunque un qualcosa in comune ce lo avevano, e non solo a livello di colorazione di occhi, capelli e pelle. Siirist fu riportato alla realtà da un bosmer che gli portò il suo piatto, l’aria schifata per niente nascosta.

«Non sarai mai un buon cameriere se mostri con tale ovvietà ai tuoi clienti quanto ti disgusti il piatto che hanno ordinato.» disse senza guardarlo negli occhi.

Ciò che lo disturbava di più, però, era che si trovava esattamente d’accordo con quel bosmer, e avere qualcuno che glielo ricordava non era di certo un aiuto. Lui non voleva mangiare quei cadaveri grigliati, ma doveva, altrimenti avrebbe fatto una strage di tutti i presenti. Aveva appena messo mano alle posate che notò che il cameriere non si era mosso. Allora alzò lo sguardo, i tratti delicati del suo viso velati dal suo cappuccio, e lo scrutò con i suoi profondi occhi turchesi.

«Sì?»

«Ah, no, chiedo scusa, sono stato solo sorpreso nel sentire un umano parlare la nostra lingua così perfettamente.» rispose, la sua voce ricca dell’accento di Cleyra.

Un umano. Per quanto il suo viso fosse nascosto, un pochino lo si intravedeva, e agli occhi di un elfo, egli risultava essere semplicemente un umano. Ciò era bene, perché non voleva farsi scoprire. Avrebbe dovuto stare attento a non far notare le orecchie a punta. Mentre mangiava, un uomo con una benda su un occhio si sedette alla sedia di fronte a lui. Siirist alzò lo sguardo, grasso che gli imbrattava la bocca: non era più abituato a mangiare carne, e si sentiva uno schifo. Si pulì con il tovagliolo prima di parlare allo sconosciuto.

«Hai una bella spada lì, ragazzo.» disse quello, saltando completamente le introduzioni.

D’istinto Siirist andò con la destra a stringere il fodero nella sua parte superiore, proprio sotto alla croce della guardia, dove aveva legato la catenella di Viola.

«E non vorrei offendere, ma non mi sembri in grado di maneggiarla come si deve. Saresti interessato a vendermela?»

A Siirist quasi scappò una risatina. Certo, a prima vista l’altro pareva più il guerriero forte di corpo e di esperienza, mentre lui, con la sua corporatura da elfo, anche da prima del risveglio del sangue dei suoi antenati, era ben definito e con una bella massa muscolare, ma non imponente o massiccia: i suoi muscoli erano quasi la metà di quelli di Gilia, ad esempio. E l’uomo che aveva davanti era un armadio, sui due metri, con spalle larghe, un collo spesso e muscoloso, e due braccia grosse quanto le cosce del ragazzo. Aveva lunghi capelli neri che gli arrivavano alle spalle, uno spadone e uno scudo legati alla schiena e una spada a una mano sul fianco sinistro e un pugnale sul destro. Lo sconosciuto non parve felice dall’assenza di risposta da parte del giovane.

«Allora? Sarei disposto a pagare dieci ori: è una bella somma, no? Che mi dici?»

Siirist continuò a fissarlo con aria noncurante. Spezzò un pezzo di pane e lo passò nel grasso delle salsicce prima di metterlo in bocca. La cosa lo disgustava e lo appagava allo stesso tempo. Non riusciva a credere che lo stesse pure prendendo in giro! Lin dur, come minimo, valeva trecento ori. Sommando il valore affettivo, non l’avrebbe venduta nemmeno per tutto il mondo. Solo Rorix, Gilia e la sua amata Alea erano più preziosi di quella spada. Continuò ad analizzare il guerriero, percependo da lui una forza intorno ai cinquecento douriki, veramente impressionante per un umano. Lui, con addosso i bracciali, era a 350, quindi in netto svantaggio, ma con le tecniche dello stile della Volpe lo avrebbe comunque sconfitto con estrema facilità.

«Non sono interessato.» disse sorseggiando un bicchiere di vino rosso.

Il guerriero non parve felice di quella risposta, ma si calmò in poco.

«Oste, una bottiglia del vino che ha preso il mio amico!»

L’elfo al bancone annuì e diede il vino richiesto alla altmer che lo consegnò. Il suo avvicinarsi fece brontolare lo stomaco del mezz’elfo quando il profumo di lei lo inebriò: sapeva di pesche aromatizzate.

«Anche un piatto di tagliatelle alla cacciatora e un’altra porzione di salsicce, grazie.» aggiunse.

Ella sorrise nel sentire la propria lingua e annuì. Siirist fu scosso da un tremito nel vederla assumere quella bella espressione facciale. Anche il guerriero parve stupito dal perfetto elfico del ragazzo che aveva di fronte, e Siirist vide che quello gli stava scrutando il viso più attentamente.

‹Attenzione: come a un elfo sembri umano, a un umano puoi sembrare un elfo. Fino ad ora ha supposto tu fossi umano, quindi non ci ha badato tanto, ma ora sta cercando di guardarti meglio. Vuoi che ritorni? Ho paura che la situazione possa rendersi spiacevole, questo tipo non mi piace.› ammonì Rorix che osservava la scena attraverso gli occhi del suo Cavaliere.

‹No, tranquillo, tu continua a cacciare. Ma per favore, evita di sentirti troppo eccitato quando individui e catturi una preda, e mangiala in fretta, non mi aiuta sentire la tua brama di sangue.›

‹Scusa, ci farò più attenzione.›

«Quindi parli elfico. Non sono un esperto in materia, ma da quello che posso dire, avevi anche una bella pronuncia. Dove l’hai imparato?» domandò il guerriero mentre si versava un bicchiere di vino e riempiva il bicchiere di Ryfon.

Doveva aver deciso di avere a che fare con un umano dopotutto, solo con uno dai tratti appena un po’ effeminati.

«In giro. Sono di Cyrodiil, e ho spesso frequentato Macalania.» rispose vago.

«Ah, Cyrodiil! Di dove, esattamente?»

«Imperia.»

«Davvero? Anche io!»

Siirist aveva temuto quella possibilità, per questo era andato per l’antica capitale: la più popolosa, perciò quella dove era meno probabile che tutti conoscessero tutti. Avrebbe potuto facilmente penetrare la mente del guerriero e scoprire i suoi intenti, ma in quel momento tutto ciò a cui poteva pensare era carne e sangue, non esattamente lo stato mentale più adatto per interagire con altri, e gli pareva di essere tornato ad avere le capacità mentali che aveva prima di legarsi a Rorix. La cosa lo fece imbestialire e, di conseguenza, provare più fame. Il brontolio dello stomaco fu sentito anche dal suo interlocutore.

«Abbiamo fame, eh?»

Quanto non lo sopportava più. Avrebbe voluto strappargli il cuore dal petto. Quella falsa simpatia era una delle cose più fastidiose che il ragazzo avesse mai sperimentato: e negli ultimi due anni aveva letto e studiato il grimorio di Adeo, ed esso era più che pieno di cose che Siirist non avrebbe mai voluto leggere in tutta la sua vita. Quando la altmer gli ebbe portato i due piatti precedentemente ordinati, ci si tuffò con una voracità che la scioccò e la fece scappare. Se prima l’aveva colpita, ora l’aveva inorridita. Bene. Se c’era qualcosa che non voleva, era avere una bella, invitate e appetitosa elfa che flirtava con lui. Ma più mangiava, più provava fame. Non c’era niente che potesse fare, la sua fame era insaziabile. Dopo altre tre portate e una seconda bottiglia di vino, Siirist si alzò, ignorando completamente il suo nuovo indesiderato amico, andò a pagare e abbandonò la città. Il cuore batteva forte, lo stomaco si contorceva e brontolava. Rorix sentì il problema del suo Cavaliere e ritornò rapido da lui, ma a raggiungerlo per primo fu il guerriero.

«Perché tanta fretta?»

«Sparisci.» ringhiò.

Era messo così male che nemmeno notò il pugnale che gli veniva incontro, prendendolo tra le costole destre. La lama ne ruppe una prima di perforare il polmone. Mannaggia a lui che si era tenuto addosso i bracciali. La fitta di dolore che invase tutto il corpo del mezz’elfo non era paragonabile alla rabbia che la sostituì pochi istanti dopo. Si girò di scatto, le iridi rosso sangue, e si avventò sulla carotide del nemico, le fauci spalancate. Il guerriero morì all’istante quando il mezzo demone gli strappò metà della gola, in un fiotto di sangue che avrebbe potuto ridipingere una parete. Allora Siirist mise di mezzo la bocca aperta e bevve avidamente. Rorix, grande quanto un’aquila, atterrò dieci secondi dopo, ma non fece niente: era ormai troppo tardi per evitare che l’umano venisse ucciso e tanto valeva lasciare che il Cavaliere si nutrisse. Accortosi dell’avvicinamento di qualcuno, assunse dimensioni da cavalcata e posizionò Ryfon e la sua vittima sulla sella, per poi prendere il volo. Dopo dieci minuti, l’unica cosa che teneva il capo dell’umano collegato al resto del corpo era la spina dorsale, in quanto tutto il resto, carne, muscoli, vene e pelle, era stato divorato dal ragazzo. Finito con quella parte, si era dedicato ai bicipiti e ai tricipiti, alle guance e alla parte del pettorale che andava verso l’ascella. Fortunatamente il guerriero era uno che si lavava bene.

Quando ebbe finalmente finito e i suoi occhi erano ritornati azzurri, Siirist si riprese e si ritrovò orripilato per quello che aveva fatto.

‹Tieni le armi e butta il cadavere, se hai finito.› gli disse Rorix.

‹Come hai potuto lasciare che facessi una cosa simile?!›

‹Ma stai zitto! Guardati, ti sei riuscito a riprendere solo ora! Quando sono arrivato il bastardo era già morto, per cui non c’era niente che potessi fare. Se ti avessi impedito di mangiare a dovere avresti ucciso inutilmente una persona e la stessa cosa si sarebbe ripetuta presto. Ora, invece, si spera che la tua fame si sia placata per qualche tempo. Almeno fino a che raggiungiamo Hellgrind.›

L’Inferno aveva ragione. Effettivamente Siirist non sentiva più quella insaziabile fame che gli attanagliava lo stomaco. Con riluttanza, fece come gli aveva detto il compagno mentale: tenne le armi e buttò il cadavere, ma non prima di avergli dato fuoco. Osservò la figura ardente che precipitava a terra, quasi mille metri sotto di loro.

‹Pensavo non dovessi usare nessuna magia.›

‹Questo era un caso eccezionale.›

Solo allora si ricordò di essere stato ferito al fianco destro. Si controllò con una scansione mentale del suo corpo, ma era completamente sano.

‹Hai cominciato a rigenerarti da quando hai iniziato a bere il sangue, completando il processo quattro minuti fa.›

Siirist rimase in silenzio. Non volendo continuare a pensare al suo essere un demone, cambiò discorso

‹È da un po’ che me lo chiedevo, ma dove stiamo andando? Stiamo seguendo la via Mihem verso sud, noi dobbiamo andare a Condoria, a sud-est.›

‹Mentre banchettavi felicemente, ho riflettuto che potrebbe non essere una brillante idea andare direttamente a Hellgrind. Se il Consiglio venisse a sapere che siamo semplicemente andati dai demoni, penseranno che hai perso completamente il controllo, per cui è necessario andarci in incognito. Per questo sto andando a Luka, così che tu possa prendere una nave per Wutai.›

Il ragionamento del drago  on faceva una piega.

Atterrarono due ore dopo, a dieci chilometri di distanza da Luka, sulla via Mihem. Da lì Siirist continuò a piedi, con il drago nascosto tra il collo ed il cappuccio che gli copriva il viso. Una volta entrati in città, avrebbe cercato di destare meno sospetti possibili, ma sapeva già che non sarebbe servito a molto: se la Volpe Grigia era riuscito a sapere di ciò che aveva anche solo pensato in passato, individuare la sua locazione sarebbe stato un picnic sull’erba, sicuramente sapeva già di che cosa aveva fatto fuori da Guadosalam. E allora lui doveva pensare a fornire le formiche.

Luka era una città moderna, non protetta da mura come quelle di Cyrodiil, eppure non così avanzata da essere considerata una Città delle Macchine, per quanto ospitasse alcune delle recenti tecnologie a Materia. Per accedervi dalla via Mihem, bisognava passare per diverse rampe di scale, e infine si raggiungeva la piazza centrale, sulla quale si aprivano diversi locali come ristoranti, bar, negozi di vario genere, e anche qualche albergo. E Siirist scelse proprio uno di questi. Optò per il più costoso, così da assicurarsi di avere un facchino che gli portasse i bagagli in camera. Nel momento esatto in cui mise piede nella piazza, entrò in stato di calma assoluta e avviò una scansione mentale leggera che gli avrebbe rivelato chiunque stesse schermando la mente o che lo conoscesse e/o lo stesso tenendo d’occhio. Essa era così impercettibile che nessuno l’avrebbe mai percepita. Poi, se avesse notato qualunque dei tre fattori per cui la sua analisi era in atto, avrebbe concentrato i suoi sforzi su qualsiasi numero di persone, per aggirare le loro barriere e piantare un suo occhio nelle loro menti, così da spiarli. Tutto ciò, di nuovo, senza che notassero niente. I segreti di Adeo, studiati con ardore negli ultimi due anni, erano strabilianti, solo le menti più forti lo avrebbero potuto fermare. Nei venti passi che gli erano serviti per finire tutti i suoi accertamenti, aveva raggiunto l’albergo ed era uscito dallo stato di calma.

‹Adeo ce ne avrebbe messi due, e senza nemmeno entrare in stato di calma; gli Anziani del Consiglio neppure ne avrebbero compiuto uno. Althidon uguale. Devo esercitarmi di più.›

‹Calmati. Gli Anziani hanno avuto oltre duemila anni per raggiungere il livello a cui sono ora. Adeo ha appena cento ventiquattro anni ed è solo un gradino inferiore a loro, questo significa che è un genio senza confronti in materia. Tu sei un po’ più duro, è vero, e chi sa quanto ci avresti messo da solo, ammesso che ti fosse possibile riuscirci dal principio. Quello che voglio dire, è che sono due anni, due!, che ti alleni, e guarda cosa riesci già a fare? È anche meglio di Alea! Tra altri dieci, continuando con gli esercizi di Adeo, sarai mentalmente più forte di tutto il Consiglio messo insieme!›

Siirist dovette premiare l’ottimismo del suo compagno mentale.

«Vorrei una camera per la notte. Potreste gentilmente fornirmi gli orari delle navi che salpano per Alagaesia?» domandò il mezz’elfo al bancone dell’albergo.

«Certamente, ve li farò recapitare in camera. La vostra stanza è la 403, sul quarto piano. Uno dei facchini vi accompagnerà.»

Prima che nessuno si potesse muovere, Siirist sondò le menti di tutti i facchini, controllando chi fosse quello il cui turno terminava per primo. Quella era una ricerca mentale ben più facile della prima, e gli servì meno di un secondo, in quanto sapeva bene che cosa stava andando a cercare. Una volta che lo ebbe individuato, gli ordinò di farsi avanti. Questi era alto un metro e ottanta, non troppo più basso di lui, e ciò era bene, corti capelli neri e occhi marroni. Lo sguardo da ebete. Ma non si poteva desiderare tutto dalla vita.

«Grazie. Sono molto stanco, per cui andrò subito a dormire. Non mangerò niente per cena, ma gradisco avere un’abbondante colazione portata in camera alle cinque esatte.»

«Come desiderate.» sorrise la signora al bancone.

Il secondo che furono entrati in camera, Siirist si diresse alla finestra e chiuse le tende. Chiese al facchino di aiutarlo a disfare le valigie, per cui questo incominciò mentre il Cavaliere chiudeva la porta e poi, la mano come una vipera, gli andò a premere un punto verde sulla gola. Il biondo lo prese al volo, senza che cadesse a terra, e lo spogliò completamente. Lui stesso si svestì e, il momento che si fu tolto le braghe, incominciò a provare un leggero formicolio sulla pelle e, tre secondi dopo, era diventato il facchino.

‹Impressionante, siete identici.›

Sorridendo compiaciuto, Siirist si rivestì con gli abiti della sua vittima, per quanto la cosa non gli piacesse, soprattutto per quanto riguardava la biancheria, e uscì dalla camera. Anche senza stimolare il punto giallo corrispondente, il facchino si sarebbe ripreso nel giro di quattro ore, perciò Ryfon si assicurò di prendere il controllo della sua mente il momento in cui si fosse risvegliato. Siirist restò all’albergo altre due ore e ventisette minuti, chiacchierando con i suoi colleghi e prendendo in giro i ricchi clienti, mangiando le noccioline dei piattini che portava ai tavoli, flirtando con la barista di cui il vero facchino era invaghito. Tutto sommato, Siirist si sentiva patetico.

‹Per piacere, se me la volessi davvero portare a letto, in quattro parole sarebbe mia. Senza usare alcun trucco mentale e con questa faccia da cretino stampata in volto. Questo qui è un idiota.›

La risata fragorosa di Rorix nella sua testa non aiutò a migliorare il suo umore. Ciò che servì, invece,  fu il cento quarantottesimo minuto da quando aveva messo a dormire lo stupido dipendente dell’albergo. Subito si diresse allo spogliatoio e si cambiò, uscendo immediatamente per strada e andando a prendere una tazza di caffè, che Ryfon, in verità, detestava, e per giunta l’idiota lo prendeva senza zucchero, al bar vicino al porto. Almeno il ragazzo era stato fortunato a trovare uno che amasse prendere il suo caffè nei pressi dei moli. Con la mente controllò un’anziana signora, la quale era già accanto alla nave che sarebbe salpata per Wutai, e le fece chiedere a che ora partisse la prima nave il mattino dopo, alle 05:37, e quanto costasse un biglietto di prima classe. Fortunatamente ella aveva i sei argenti necessari per l’acquisto, in quanto doveva andare a comprare un regalo per la nascita del suo terzo nipotino, e Siirist si sentì un po’ in colpa, ma si ripromise di restituirle i soldi.

Scese la notte, e, annullando completamente la sua presenza, sgattaiolò fuori dal decadente monolocale dello sfigato la cui identità aveva rubato, dirigendosi all’abitazione della signora a cui aveva fatto prendere il biglietto. Aveva pensato bene di portarsi il suo borsellino prima di lasciare la stanza d’albergo, e da esso prelevò una moneta d’oro che lasciò sul comodino della donna. Poverina, si era sentita così in colpa per aver perso i soldi e non aver potuto prendere il regalo per sua nuora e per il nipotino. Siirist sperava che almeno così potesse risarcire al danno. Poi uscì da dove era entrato, una finestra al secondo piano, e ritornò a terra, e cercò dietro al cespuglio dove aveva fatto lasciare il biglietto dalla gracile signora.

 

«Servizio in camera!»

Bussando alla porta della stanza che lui stesso aveva pagato, Siirist entrò, chiuse la porta e lasciò il vassoio sul tavolino. Mentre mangiava, osservava il malcapitato steso a terra. Al mezz’elfo era servito prendere il controllo della sua mente una sola volta, dopo che l’effetto del punto verde era svanito, e quello continuava ad avere la stessa vitalità di un sasso. Anche Rorix aveva dormito bene, chiaramente, avendo riposato su comodo letto in una stanza lussuosa, mentre lui si era ritrovato in una topaia piena di scarafaggi. Fino al giorno prima, per lo meno, in quanto li aveva uccisi tutti senza esitare un attimo, usando la mente per schiacciare le loro sottosviluppate coscienze. Rorix rientrò nella valigia che conteneva anche Lin dur, i grimori e la Collana del Giuramento, – ah, già gli mancava indossarla! – e il Siirist facchino andò ad altre due stanze, da cui prese i bagagli di clienti che dovevano partire. In una di esse, vuota, fece uno scambio di contenuti, ottenendo, così, nuovi borsoni, e si avviò al piano terra. Indusse il proprietario delle valigie rubate ad andare in bagno e poco dopo lo seguì, sostituendosi a lui come aveva fatto con il facchino e poi uscendo dall’albergo con i suoi bagagli. Si diresse alla nave per Wutai, mostrò il biglietto alla guardia infondo alla passerella che collegava vascello e molo, salì, trovò la sua cabina e lasciò i bagagli. Chiuse la porta e le tende delle finestre e aprì la borsa che conteneva il drago. Questi uscì felice, sbattendo le ali e volteggiando attorno alla testa del Cavaliere. Siirist continuava a guardarsi nello specchio: quasi pelato, basso e tarchiato, con una bocca piccola, il naso schiacciato e due occhi piccoli e tondi che sembravano due scarabei.

‹Devi continuare a mantenere quell’aspetto?›

‹È per il meglio. Ma fino a che sto qui dentro, posso anche ritornare normale.›

Prima di riacquistare il suo vero aspetto, recitò delle parole nella Vera lingua che aveva letto nel grimorio di Adeo, così da impedire a chiunque di aprire occhi mentali attorno a lui. Inoltre sarebbe stato avvisato dai suoi incantesimi se qualcuno avesse cercato di spiarlo e di annullare le sue magie di protezione. Ritornato con la sua ricca e folta chioma bionda, Siirist si sentì felice e si stese sul suo letto, i vestiti dell’uomo lasciato a dormire sulla tazza del cesso buttati a terra.

‹Se fossi già sufficientemente bravo con le illusioni, potresti rimanere te stesso ma mostrarti agli altri con qualunque aspetto, invece di doverlo proprio assumere con la magia organica.›

‹Lo so, ma ho ancora molto da studiare prima di essere così bravo. E comunque basterebbe incontrare qualcuno più preparato di me in materia che si accorgerebbe facilmente che è in atto un’illusione e non gli ci vorrebbe niente a dissiparla, o solo ai suoi occhi o a tutti. Questo è il metodo più sicuro, per quanto fastidioso, scomodo e imbarazzante. Quest’uomo è eccezionalmente brutto. E puzza.›

Gli abiti dell’interessato emanavano un fetore di cipolle, aglio e qualcos’altro che il ragazzo pensò bene non esaminare con maggiore attenzione. A Siirist faceva venire la nausea, ma non c’era niente che potesse fare.

 

La nave era salpata, in tre giorni sarebbe arrivata a Wutai. Per tre giorni Siirist doveva sopportare di “indossare” la pelle di quell’uomo vomitevole. Probabilmente l’avevano già trovato nel bagno dell’albergo, oppure si era svegliato da solo. D’altronde il ragazzo non gli aveva premuto uno dei punti verdi più sensibili. Era arrivata l’ora di pranzo e il Cavaliere uscì dalla cabina, dirigendosi al ristorante. Appena entrato si sedette ad uno dei tavoli e ordinò, controvoglia, un piatto di pasta al ragù, una serie di spiedini e braciole di maiale alla griglia, e una bistecca che disse voler poi portare in camera. Il cameriere lo guardò stranito, ma annuì e basta: d’altronde si trovava davanti un cliente che alloggiava in prima classe. Questa volta il pasto fu sufficiente per saziarlo, e quando ritornò nella sua cabina, consegnò la bistecca al drago, che la divorò in poco.

Tre giorni passarono con quella routine, e finalmente, alla sera del terzo, la nave approdò a Wutai.

 

 

~

 

Potrebbe risultare difficile per voi tenere a mente tutti i luoghi menzionati, perciò consiglio di ridare un’occhiata alla parte finale di MEMBRO DELLA GILDA così da rileggere la descrizione della mappa di Tamriel.

 

 

Il prossimo capitolo si intitola HELLGRIND. Siirist è finalmente entrato nella nazione abitata dal popolo che più detesta. Ma vedrà presto che i demoni non sono come se li è sempre immaginati, e una nuova amica lo aiuterà ad apprezzarli.

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** HELLGRIND ***


HELLGRIND

 

Attraversare il confine fortificato tra Junon e Hellgrind non sarebbe stato facile: la Muraglia percorreva tutta Condoria ed era alta trecento metri, pattugliata da mille Cavalieri con i loro draghi. Se avesse già studiato il grimorio di Adamar, sarebbe stata una passeggiata passare, poiché sarebbe semplicemente passato sotto terra in un modo da non far scattare i vari allarmi magici che erano stati piazzati; stessa cosa con i libri di Aulauthar e Syrius, con i quali avrebbe imparato a rendersi perfettamente invisibile. Ma purtroppo non li aveva studiati. Per un momento pensò di rimandare il suo viaggio nella nazione demoniaca a quando avesse studiato i grimori, ma poi cambiò idea, pensando a quanto avessero faticato per arrivare a Nibelheim senza essere seguiti e a quanto gli fosse necessario imparare a controllare la sua fame. Doveva andare a Hellgrind, e subito. Se Rorix fosse stato un drago comune, si sarebbe potuto spacciare per uno dei Cavalieri assegnati alla guardia della Muraglia, ma tutti avrebbero riconosciuto l’Inferno, per cui quella non era un’opzione. Pensò di passare attraverso il cancello, ma solo a persone controllate minuziosamente era concesso di uscire dall’Impero, e spesso si trattava proprio di demoni che, per un motivo o per un altro, vi erano entrati.

‹Potresti parzialmente trasformarti e passare per un demone.›

L’idea disgustava Siirist. Stava andando a Hellgrind per imparare a controllare la sua fame e a tenere completamente rinchiusa la sua indole demoniaca, non per sapere come gestire le trasformazioni e diventare, in tutto e per tutto, un demone. Solo il pensiero lo riempiva di una rabbia immane: mai e poi mai avrebbe accettato quell’essere che aveva ucciso Evendil.

‹Senza contare che i Cavalieri sanno che tipo di demone ha attaccato la Rocca. Immagina se vedessero arrivare un demone dagli occhi e capelli sanguigni? Metti la grande forza che percepirebbero da me, mi scambierebbero per lui e mi ritroverei tutte le sentinelle addosso.›

‹Sì, hai ragione.› ammise il drago. Rubare l’identità di qualcuno, come aveva più volte fatto per arrivare a Junon, non si sarebbe rivelato utile, poiché i pochi umani a cui era concesso passare a Hellgrind lo facevano per importanti affari ed avevano potenti incantesimi a circondarli, atti a identificarli. Colto da un momento di sconforto, Siirist fu quasi tentato dal salire in groppa a Rorix e volare sopra la muraglia e lasciarsela alle spalle. Fortunatamente l’Inferno aveva la facoltà di rispondergli e di dirgli quanto fosse un idiota, perché, così facendo, avrebbe completamente vanificato tutti i loro sforzi di arrivare lì in segreto.

‹Sì, scusa. Ma più restiamo qui, più rischiamo di venire scoperti.›

Siirist lanciò un’altra occhiata alla Muraglia, cercando di trovare dei punti deboli: oltre ad essere altissima ed essere ben pattugliata, era spessa venti metri, con solo tre gallerie che la attraversavano in tutta la sua lunghezza. Tre gallerie, con un cancello per lato. E molte guardie all’interno che ispezionavano chi stava attraversando. Era di un grigio chiaro, lucido, i lati dei grossi mattoni di granito quasi invisibili, il lato della grande barriera pareva essere un’unica lastra.

‹Non possiamo farla saltare, non possiamo passarci sotto senza allertare tutte le sentinelle, non possiamo passarci sopra senza far sapere a Vroengard dove siamo diretti, non possiamo evitarla uscendo da Condoria perché nessuna nave naviga verso Hellgrind, non possiamo volare o verremmo scoperti, non possiamo nuotare perché il mare, sia a nord che a sud, è infestato da draghi marini. Per quanto siano degli essere inferiori, nemmeno io mi azzarderei ad affrontarne un branco in mare aperto.› ricapitolò Rorix.

Aveva appena dato voce a tutti i dubbi che circolavano nella testa del Cavaliere. No, era proprio come aveva detto l’Inferno: l’unica strada era il cancello davanti a loro, quello situato quasi alla metà esatta di tutta la Muraglia, appena un po’ a sud. Il problema era come far aprire i due cancelli e passare inosservati per quei venti metri di galleria. Ci avrebbe continuato a pensare. Per il momento, sarebbero ritornati alla locanda di Nibelheim dove avevano affittato una stanza, Rorix così piccolo da nascondersi tra il cappuccio ed il collo del suo Cavaliere. Ritornati in camera, il drago si raggomitolò sul letto e il ragazzo prese a lucidare Lin dur. Lo faceva spesso e con cura, in quanto trattava l’arma come un oggetto sacro. Il solo pensiero di doverla usare per combattere, quando si fosse presentata l’occasione, lo inorridiva; non poteva capacitarsi di sporcare la memoria di Evendil con sangue e viscere. E sicuramente entrambe queste cose sarebbero presto venute da dei demoni, anche più indegni della meraviglia della spada del mezzo bosmer. Per quello era contento di aver seguito il suggerimento di Rorix e aver preso le armi del guerriero incontrato e trucidato a Guadosalam. Passò un’ora a lucidarla e strofinarla, infine la ripose nel fodero ed incominciò a studiare la quarta pagina della terza parte del grimorio di Adeo. Le prime venti spiegavano lo stato mentale ideale per lanciare un’illusione perfetta, come percepirne una, difendersi da essa e, se catturati, come liberarsene. Dopo vi era una cinquantina di pagine sulle basi di come creare un’illusione, e, infine, nelle ultime cento pagine, era perfettamente spiegato come si doveva fare per dare più veridicità possibile ai dettagli che componevano l’illusione; dopo queste, sarebbe toccata alla quarta e ultima parte, la quale comprendeva sulle duecento pagine che trattavano di nozioni di alchimia. Siirist, nel leggere, rimase stupito di come lo stato di assoluta calma non fosse quello ideale per lanciare molti tipi di illusioni. Continuò con interesse quando il suo acuto olfatto elfico gli fece percepire che nella locanda era entrata una persona insolita. Si alzò e andò a vedere, trovando all’ingresso un demone. Una demone. Una gatta, per la precisione. Questo particolare clan si differenziava dagli altri in quanto la loro forma umana non era completamente umana, ma mantenevano orecchie e coda. Le orecchie, grandi quasi quanto tutta la testa, erano un tutt’uno con i capelli, rosso rubino vicino alla radice e poi, sempre più verso la punta, tendenti al bianco, il colore del manto della sua forma reale. Alla spalla reggeva una busta. Siirist era stupito nel vedere come nessun abitante di Nibelheim fosse meravigliato, o terrorizzato, dalla presenza di un demone.

‹Ci devono essere abituati.›

‹E che sta facendo? Prende una camera?!›

‹È notte, ricorda, i cancelli della Muraglia non vengono aperti fino a un’ora dopo l’alba.›

Siirist annuì. Continuò a fissare la gatta, dovendo ammettere che si trattava di una bella femmina, dal corpo slanciato, curve generose ma non abbondanti. Era di una bellezza totalmente diversa da quella delle elfe, più selvaggia, misteriosa, ma comunque superiore a qualunque umana. Quando ella si diresse verso le scale che portavano al piano superiore con le stanze, passando, quindi, accanto a Siirist, egli le bloccò il passaggio. La gatta soffiò.

«Cosa vuoi... umano...?»

Siirist notò l’incertezza nella sua voce e nei suoi occhi dorati. La pupilla verticale che tremava appena.

«Cosa ci fa un demone in un villaggio di umani?» chiese duro.

«Sono di passaggio, sto tornando a casa.»

«E perché sei uscita da Hellgrind?»

«Non credo siano fatti tuoi.»

«Allora prova a passare con la forza.» rispose socchiudendo gli occhi.

Alcune teste cominciarono ad alzarsi e guardare nella loro direzione.

«La mia famiglia lavora in un circo itinerante per Junon. È stato molto difficile per loro ottenere l’autorizzazione per lavorare nel vostro Impero, non creerò certo guai per loro cadendo nella tua provocazione e uccidendoti.» ringhiò a bassa voce.

Non servì a Siirist il suo settimo senso per percepire la voglia feroce della gatta di strappargli la gola, fare a pezzi il suo corpo e lasciarlo all’aria così che parassiti vari potessero deporre uova nella sua carne. Siirist rise, immaginandosi cosa potesse fare una semplice classe C contro di lui prima di venire arsa viva. A Siirist finalmente venne un’idea.

«Ho un affare da proporti. Se accetti potresti guadagnarci e anche toglierti la soddisfazione di massacrarmi.»

Lei lo guardò dritto negli occhi, infine accettò con un sorriso crudele.

«Vieni con me.»

La condusse alla propria stanza, dicendo a Rorix di nascondersi, e di nascondere pure i grimori e Lin dur. Fece accomodare la gatta su una sedia, e lui si mise sul letto, le braccia appoggiate alle ginocchia. Come fu entrata, ella incominciò ad annusare l’aria, evidentemente notando un odore particolare, ma poi decise di passare subito ai fatti e non perdere troppo tempo con una persona spiacevole come lo era Ryfon.

«Dimmi cosa vuoi.»

«Ho bisogno di entrare a Hellgrind.»

«Ha! Un umano, anche se quasi non si direbbe, come te che odia talmente tanto i demoni vuole entrare a Hellgrind?»

«Sì, e tu mi aiuterai.»

«Perché dovrei?»

«Perché ti pagherò, tre monete d’oro dell’Impero Septim: la tua famiglia lavora a Junon, hai detto, potrebbero far loro comodo.»

La gatta si azzittì un momento. A giudicare da com’era vestita, Siirist intuì che il massimo che la sua famiglia guadagnava in un anno era, se erano fortunati, ottocento guil. Mai sufficienti per sfamarsi, neppure per una persona sola, ma Siirist conosceva i circhi itineranti, e non era solo un pregiudizio contro i demoni, essi erano tutti composti da ladri. E non il genere che piaceva alla Gilda. La gatta deglutì diverse volte ma non rispose.

«Inoltre, una volta al di là del confine e lontani dalla Muraglia e dai Cavalieri, potrai uccidermi per vendicarti di prima.»

«Se credi che le tue parole dovrebbero rendere la tua proposta più allettante, ti sbagli. Non esiste persona che si lancerebbe così noncurante verso la morte. Devi essere più di quanto appari.»

«È probabile che lo sia, come che non lo sia. Se, una volta dentro Hellgrind, mi permetterai di andare per la mia strada, bene, se invece vorrai provare ad uccidermi, beh, vedremo.» sorrise maligno.

«E come penseresti di passare per i cancelli?»

«Dicendo che siamo compagni. Ho sentito di innumerevoli umani che sono caduti per la bellezza di femmine di demone, e il tuo clan soprattutto, gatta, è rinomato per attrarre molti maschi della mia razza.»

Ella restò in silenzio per un momento. Infine annuì.

 

Rimasero quindi d’accordo di mettere su la farsa di essersi conosciuti nei pressi di Gongaga e di incontrarsi fuori dalla locanda il mattino dopo alle nove. Quando arrivò l’ora prestabilita, Siirist era fuori in perfetto orario e, incredibilmente, anche la gatta.

«Non sono abituato a donne così puntuali.» si sorprese.

Rorix, arrabbiato e in silenzio nella sua borsa, insieme a Lin dur, ai grimori, la Collana del Giuramento e ai pochi vestiti che il ragazzo si era tenuto da quando era partito da Skingrad, ridacchiò mentalmente.

‹Questo non significa che mi piaccia stare qui dove sono, sto cominciando ad averne abbastanza.› ritornò poi a essere irritato.

Persino Siirist aveva magicamente arrotondato le punte delle sue orecchie. La gatta lo ignorò ed, insieme, si diressero al cancello. Furono fermati dal Cavaliere di pattuglia, il cui drago era color sabbia, che chiese alla demone i suoi documenti di passaggio, e, una volta che li ebbe controllati, chi fosse l’umano che l’accompagnava. Quando ebbe sentito la risposta, fu quasi disgustato, e li lasciò passare.

«Ipocrita, l’ho visto diverse volte venire nella nostra terra e andare nei nostri bordelli.» ringhiò a voce impercettibile la gatta.

Siirist rise e la strinse a sé, facendo sembrare più vera la loro menzogna. Quando furono dall’altra parte, Siirist tirò un sospiro di sollievo. Continuò a camminare accanto alla gatta per un altro centinaio di metri, ma poi si staccò, sentendosi male al solo pensiero di essere così vicino ad una donna che non fosse Alea, un demone per giunta! È vero che era incredibilmente attraente, ma l’odio che provava per i demoni era troppo radicato per potersene andare, e in quel momento si trovava nell’ultimo posto in cui sarebbe mai voluto essere. Ricordava le parole di Evendil, che gli aveva detto che i demoni erano un popolo sofisticato e di tutto rispetto, ma, per quanto volesse, non poteva credergli. I due incontri che aveva avuto con dei demoni non erano stati piacevoli, il secondo che era terminato con la morte del suo amico. Razionalmente sentiva che la gatta accanto a lui non era della stessa indole del grem o di Raiden, ma ogni fibra del suo corpo lo portava ad odiarla, così come con tutte le persone che, sempre più abbandonanti, iniziarono ad apparirgli intorno, quando si accorse di aver raggiunto il primo villaggio. Siirist fu pervaso da una fitta d’odio, rabbia e nausea allo stesso tempo. Due bambini, un maschio e una femmina, che parevano in tutto e per tutto umani, corsero incontro a loro urlando di gioia, sorridendo sguaiatamente, parlando la loro lingua della quale Siirist non capiva una parola. La gatta allora rispose a modo e si inginocchiò, tirando fuori un pezzo di pane dalla busta e dandolo ai bambini. I due fratelli, suppose Siirist poiché si assomigliavano molto, si allontanarono felici.

«È un’occorrenza abitudinaria?»

«Abbastanza. Questo è un villaggio molto povero, grande ma povero, e molti dei bambini sono orfani. Ne conosco la maggior parte, e riporto sempre quello che posso.»

«Perché sono orfani? Non mi dirai per la guerra, vero? Quella è finita oltre cinquemila anni fa.»

«No, ma questo non toglie che alcuni umani, quelli stupidi e ignoranti... – si prese una pausa e si assicurò di fissare bene il ragazzo. – ancora ci odiano. Quattro anni fa uno stregone è riuscito a passare per la Muraglia e a evocare degli spiriti maligni su questo villaggio. I Cavalieri intervennero quasi subito, dissipando gli spiriti e uccidendo l’uomo. Ma era troppo tardi. Molti demoni morirono, soprattutto gli adulti.»

«Mi dispiace.»

«Davvero?» disse con tono incredulo.

«Ehi, io ho i miei motivi per odiare i demoni, va bene?»

«Cosa, un demone ha ucciso un tuo amico? Un familiare? Buu-hu! Tre dei miei fratelli sono stati uccisi da degli umani ubriachi, ma mi vedi odiare la tua gente? Io sono una fervida sostenitrice del nostro grande Imperatore, e farò sempre tutto ciò che è in mio potere per aiutare a conciliare i nostri due popoli. Il mio desiderio è vedere questa dannata Muraglia abbattuta e avere la possibilità di girare per tutta Tamriel senza controlli e senza problemi, come possono fare elfi e umani nei loro rispettivi territori.»

«Non ti allargare, non tutti gli umani vedono gli elfi di buon occhio.» rispose con un tono acido, ricordando la conversazione che aveva sentito due anni prima alla locanda del villaggio di Vroengard.

«Ah, ce l’hai anche con gli elfi? Ma che problemi hai?!»

«No, non sono io che odio gli elfi! Tutto il contrario! Li conosco bene, ci sono vissuto insieme per qualche anno.»

Ella riprese a camminare senza aprire bocca. Siirist rimase in silenzio per qualche tempo, non sapendo come riprendere la conversazione. Il sentire come tre dei suoi fratelli erano stati uccisi da umani, eppure lei non li odiava, lo faceva sembrare... davvero stupido.

«Parlami un po’ di Raizen.»

«È la cosa migliore che sia mai capitata a Hellgrind. Sai che è lui che ha posto fine alla guerra con i Cavalieri? I vostri storici diranno che aveva paura della vostra insormontabile forza, ma in realtà desiderava solo pace e convivenza. Per questo impose all’esercito dei demoni di deporre le armi. O di ritirare gli artigli e le zanne, nel caso di molti.»

Siirist ridacchiò alla battuta.

«E cosa mi sai dire invece di suo nipote, Rai...»

«Non dire il suo nome!» si infuriò la gatta, prendendolo per la gola.

Ryfon fu stupito nel vedere una simile reazione. Annuì e ella lo lasciò andare, riprendendosi.

«È un traditore che ha macchiato il nome di suo nonno, uccidendo un gran numero di membri della corte e rubando uno dei tesori della famiglia imperiale.»

I Gambali.

«Che tesoro?»

«Questo non te lo so dire. Quando è avvenuto, è stato comunicato a tutto il paese che su di lui era caduta la Dimenticanza, l’imposizione di dimenticare tutto ciò che lo riguardasse. Sappiamo solo che ha ucciso molte persone e che è fuggito con il tesoro, niente di più. Ma tu come fai a conoscerlo?»

Siirist stava decidendo se risponderle o no, e, nel caso, se dire la verità, quando avvistarono una ragazza che veniva importunata da tre uomini. Avevano lasciato il villaggio ed erano entrati in un bosco, e, contro un albero, la ragazza veniva spinta con forza. La gatta ringhiò e disse qualcosa nella sua lingua, per poi avventarsi sui tre aggressori. Siirist andò subito a sentire l’energia dei tre demoni, e sentì che erano di troppo superiori a lei.

‹Quella stupida! Perché deve essere così avventata?!›

‹Non mi dirai che sta iniziando a starti simpatica, vero?› disse con tono da schiaffi il drago.

Siirist lo ignorò. Prima che la gatta e i tre avversari potessero scontrarsi, Siirist richiamò il Flusso attorno alla sua mano sinistra e la alzò, e diresse mentalmente l’energia ai piedi dei tre demoni maschio: in un istante furono bloccati in un blocco di ghiaccio diamantino.

‹Non li hai uccisi!› si meravigliò Rorix, che già si aspettava fuoco rosso scuro.

‹L’avrei potuta far arrabbiare.›

‹Allora ti importa di lei!›

‹Taci.›

Si avvicinò alle due femmine. La gatta lo guardò tra l’insicuro ed il truce.

«Sapevo avresti reagito così. Non sono morti. Se vuoi li libero subito.»

La demone si rilassò. Disse qualche parola dal suono confortante all’altra, che guardava verso Siirist con più terrore di quanto ne provasse già prima, e la aiutò a rialzarsi, e subito questa fuggì.

«Come immaginavo, sai il fatto tuo quando si tratta di combattere. Ora dimmi come sai di quel demone che va dimenticato? Siamo già piuttosto lontani dalla Muraglia, potrei volere i miei ori e andarmene. Dimmi la verità, umano, e dimmi il vero motivo per cui sei a Hellgrind.»

Per tutta risposta, Siirist aprì la borsa e, felice, Rorix ne uscì, svolazzando attorno alla testa del mezz’elfo. L’aria scioccata della gatta era senza prezzo.

«Il mio nome è Siirist Ryfon, e sono il Cavaliere d’Inferno. Due anni fa il nipote di Raizen ha attaccato la Rocca di Vroengard, uccidendo una delle persone a me più care e rubando un tesoro della stessa importanza di quello che ha portato via dal palazzo di suo nonno. Per l’esattezza esistono sette di questi tesori, e il gruppo di cui fa parte l’alato che non va menzionato è già entrato in possesso di quattro. Durante il suo attacco alla Rocca, abbiamo combattuto, e lo scontro è finito con lui che mi ha morso. – Siirist mostrò la cicatrice, che non voleva saperne di rimarginarsi. – Come immaginerai, sono ora un demone. Mi è stato applicato un potente incantesimo sigillante per contenere la mia indole demoniaca, ma di recente la fame ha incominciato a farsi sentire, per cui sono venuto qui con la speranza di poter imparare a controllarla. Sei contenta?»

La gatta aveva le lacrime agli occhi. Presto andò a scostare i capelli del giovane, rimanendo notevolmente delusa nel vedere le sue orecchie tondeggianti.

«Che ti prende?»

«Niente, è solo che, speravo...»

Siirist non capì il perché, ma capì che cosa la demone stesse cercando. Permise al suo corpo di ritornare al suo aspetto inalterato dalla magia e le orecchie si appuntirono leggermente.

La gatta si illuminò.

«Perché prima non ce le avevi?»

«Le avevo nascoste con la magia.»

«E perché il tuo viso sembra più quello di un umano che di un elfo?»

«Perché sono originariamente umano, per quanto discendente da un’antica famiglia elfica. Per sigillare il mio spirito demoniaco, è stato risvegliato il mio sangue elfico che ha rafforzato la mia mente e il mio corpo. Perché ti interessa tanto?»

«Perché sei ciò che abbiamo aspettato da millenni, ciò che sentiamo raccontare da bambini nelle favole dei nostri genitori.» la gatta era solare.

«Di che parli?»

«Vuoi imparare a controllare la tua indole demoniaca? Allora andiamo a Kami no seki, ti accompagno: devi conoscere l’Imperatore.» disse estasiata.

Così Siirist si ritrovò quasi trascinato verso la capitale dei demoni. Il viaggio fu lungo, dieci giorni di cammino, e in quel periodo arrivarono a molti villaggi, in cui tutti i demoni erano in forma umana. Durante il loro viaggio, la gatta, che si era presentata come Tomoko, aveva incominciato a spiegare come funzionasse la lingua dei demoni, soprattutto quando si trattava di scrivere. Le rune che essi usavano erano particolari, spesso complessi disegni nati dal tracciare diverse linee per formare un carattere unico. E a volte bastava il più piccolo dettaglio per dare al carattere un significato e una lettura completamente diversi. Senza contare che anche lo stesso carattere poteva avere letture e significati differenti. A Siirist era venuto il mal di testa. Il nome della demone, come ella spiegò, era diviso in due caratteri, e per il primo, utilizzando la stessa pronuncia e quindi lasciando il nome invariato, si potevano usare diverse rune: i suoi genitori avevano scelto quella che significava “mattino”, perciò il significato di “Tomoko” era, parafrasato, “figlia del mattino”. Al mezz’elfo venne da sorridere pensando quanto i loro nomi fossero simili.

Al nono giorno arrivarono ad un villaggio in cui assistettero ad un combattimento, con i due demoni in forma reale (un leone antropomorfico dal pelo azzurro e giallo e una grossa scimmia dal manto nero, lunghe zanne e occhi rosso brillante) al centro di una cerchia di persone che facevano il tifo.

«È normale? Sembra più un torneo che una rissa.»

«Potrebbe essere entrambe le cose. Pensi che riusciresti a batterli?»

«Stai scherzando? Tolti questi bracciali, potrei radere al suolo l’intero villaggio senza nemmeno sudare e senza che nessuno possa fare niente. Ho un quantitativo di douriki fisici di 175000, dopotutto, più della gran parte dei vostri alati.»

«L’Imperatore potrebbe ridurti ad un mucchietto di cenere senza nemmeno alzarsi dal suo trono.» rispose lei fiera.

«È quello che ho sentito dire. Al momento non potrei vincere nemmeno contro suo nipote, e suppongo che lui sia più potente.»

«Immensamente di più.»

«Non mi spiego come sia riuscito a farsi rubare il tesoro, allora.»

«Non se lo aspettava. Amava grandemente suo nipote e aveva molte aspirazioni per lui. Da quando ci ha traditi, l’Imperatore si è rinchiuso nel Palazzo rosso e non ne è più uscito. Amavo le sue uscite pubbliche, l’ho visto oltre cento volte!» disse con un tono di tristezza la gatta.

Lo scontro finì con lo scimmione che strappava la testa al leone. Ruggì fiero e potente, per poi indirizzare la folla e parlare.

«Che sta dicendo?»

«Sta lanciando una sfida, chiede se ci sia nessuno con il coraggio di affrontarlo. È il campione della zona, dubito nessuno gli risponderà.»

Lo sguardo del demone imbrattato di sangue cadde proprio su Siirist, e non gli servì la traduzione della gatta per capire che era stato sfidato. Non ne aveva la minima intenzione, non ce ne era motivo. Ma la sua guida non volle spostarsi.

«Che stai facendo? Andiamo.»

«Ti ha sfidato. Non puoi andartene senza accettare o rifiutare. E nel caso rifiutassi, saresti un codardo.»

«Sai che potrei farlo a pezzi senza problemi, perché vuoi che uccida uno della tua gente? E scusa, ci sarebbe qualche guadagno ad accettare, oltretutto?»

«È quasi notte e, per una volta, dormire al coperto ci farebbe bene. Inoltre domani arriveremo a Kami no seki, ci farebbe bene anche darci una rinfrescata. Se accetti e vinci, potremo passare la notte qui come eroi.»

Siirist ci pensò su, infine si tolse i bracciali. Si avvicinò allo sfidante e sguainò la spada di acciaio d’Arcadia presa dal guerriero. Il primate disse qualcosa e la folla rise.

«È uno scontro fisico senza armi. E non puoi nemmeno usare la magia. Ti sta prendendo in giro perché dice che hai troppa paura per affrontarlo a mani nude. Aggiunge anche che, se proprio ci tieni, ti concederà di usare la spada.»

Siirist sorrise, furioso, e ripose la spada. In un balzo fu addosso all’avversario e lo teneva per la gola, sollevandolo da terra. Non poté alzarlo di molto, perché quello era già quasi due metri e mezzo di altezza e, per afferrarlo, Siirist aveva dovuto stendere di parecchio il braccio. Con una forza selvaggia, Ryfon schiantò lo scimmione a terra, spaccandogli la nuca contro il terreno roccioso e imbrattandolo di sangue e cervella. Tutta la folla si ammutolì, prima di esultare. Solo tre rimasero in silenzio e in disparte, e Siirist sospettò potessero essere la famiglia del demone appena ucciso. Cominciò a sentirsi in colpa. Due di loro erano appena all’apparenza adolescenti. Ma poi vide un cucciolo di leone azzurro e giallo accanto al demone morto poco prima, e una donna che lo prese in braccio e lo portò via, gli occhi lucidi, e tutta la pietà che poteva provare per la famiglia dello scimmione svanì. Quello aveva devastato una famiglia, ora la sua soffriva.

‹Che gente strana. Le uccisioni sono così una cosa di tutti i giorni.› commentò Rorix.

‹Chi sa se i figli di questi due si affronteranno un giorno.›

«Vieni, la leonessa ci ha offerto di restare da lei per questa notte.» gli disse la gatta.

La demone vedova offrì a Siirist, Tomoko e il drago una calda cena, dopodiché mostrò loro la sala da bagno e si congedò per la notte con un inchino. Per essere una casa così piccola, Siirist si sorprese nel vedere le dimensioni del bagno, grande quasi quanto il resto dell’abitazione. Riscaldò l’acqua sopra al fuoco e poi la usò per riempire la vasca. Stava per immergersi quando vide entrare Tomoko completamente nuda. Ryfon sentì un movimento tra le gambe e si coprì le nudità.

«Che stai facendo?! Esci subito di qui!»

«Stai sbagliando tutto, devi prima lavarti bene fuori dalla vasca, e solo dopo immergerti e rilassarti.»

«Non ha senso.»

Ella prese un secchio e lo riempì con l’acqua contenuta nella vasca. Con essa bagnò il ragazzo e poi incominciò ad insaponarlo.

«Piantala!»

‹Hahaha, se ti vedesse Alea!›

‹Non farmici pensare! Oh, Raijin, aiuto!›

Solo dopo che lo ebbe lavato e risciacquato, Tomoko permise a Siirist di entrare nella vasca. Lo fece istantaneamente, continuando a coprirsi la zona pubica. Poco dopo lo raggiunse.

«Allora, dimmi... Hai una donna?» fece avvicinandosi a lui.

«Scusa?»

«Siamo entrati a Hellgrind facendo finta di essere amanti, quindi mi sarei incuriosita.»

«Sì, ne ho una.»

«Ah... Umana o elfa?»

«Elfa. E anche molto bella, se è per questo. E ne sono innamorato. La collana che indosso sempre è il simbolo del nostro legame, ha per gli elfi lo stesso significato che può avere un matrimonio tra gli umani. Anche voi avete il matrimonio, quindi immagino tu possa capire.»

«Capisco...» rispose leggermente delusa.

«Cosa pensavi che sarebbe successo tra noi?»

«Beh, sei piacevole da guardare, sei forte, non mi sarebbe dispiaciuto unirmi a te.»

Siirist pensò che se gli fosse capitata un’occasione simile tre anni prima, l’avrebbe già sfruttata a dovere, arrivando persino a buttare tutta l’acqua fuori dalla vasca per la sua foga. Ma non più, ora aveva Alea, e il suo membro indurito poteva protestare quanto voleva, non l’avrebbe mai tradita.

«Mi dispiace, ma non succederà.»

La gatta parve divertita da quella affermazione.

«Dici di voler imparare a controllare la tua indole demoniaca, giusto?»

«Sì. Che c’entra adesso?»

«La tua elfa immagino sia a Vroengard. Quanto tempo credi passerà prima che tu possa ritornare lì?»

«Non lo so, ma ho un tempo limite di quarantotto anni, perché, passati questi, il gruppo di cui fa parte il nipote di Raizen si rifarà vivo.»

«Metti che ti servano tutti gli anni per imparare a controllare il tuo spirito demoniaco, intendi dire che starai quasi cinquant’anni senza sesso?»

«Sì.»

«E vuoi imparare a controllare la tua indole demoniaca.»

«Quante volte devi ripeterlo, sì?!»

A Tomoko scappò una grassa risata. Uscì dalla vasca.

«Vestiti e vieni a dormire, domani dobbiamo svegliarci presto se vogliamo raggiungere Kami no seki prima di sera.»

Siirist raggiunse la gatta dieci minuti dopo. La padrona di casa, supponendo male, li aveva forniti con una sorta di basso e molto scomodo materasso matrimoniale messo a terra, dentro al quale la sua guida già dormiva. Non era molto felice all’idea di dormirle accanto dopo quello che era successo prima. Si coricò dandole le spalle, con il pene eretto e pulsante.

 

Il giorno dopo, intorno a mezzogiorno, Siirist intravide finalmente la capitale di Hellgrind. Era tutto il contrario di ciò che si era aspettato. Fino a quel momento aveva visto un paesaggio selvaggio, in cui gli unici insediamenti di esseri senzienti erano stati dei piccoli villaggi in cui le persone vivevano all’antica, come facevano gli umani mezzo millennio prima. Ma ciò che si estendeva di fronte ai suoi occhi in quel momento era tutta un’altra cosa. Più si avvicinava, più la colossale città occupava spazio, e eventualmente, dopo un’ora di cammino, tutto ciò che vedeva all’orizzonte era Kami no seki. “Dimora degli dei”, questo il nome della capitale dei demoni, il luogo in cui Obras aveva concepito Asura, dando così inizio alla stirpe reale dei demoni, stirpe che, eventualmente, andò a mischiarsi con il clan delle bestie del fulmine, da cui era nato Raizen. E successivamente Raiden. Il solo ripensare a quell’essere risvegliò in Siirist tutto l’odio che si era dimenticato provare per i demoni. Ma tutti quelli che aveva incontrato gli erano sembrati gentili e disponibili (eccezion fatto per i tre che aveva congelato e per lo scimmione). Tomoko richiamò la sua attenzione e tutti i sentimenti negativi che provava verso i demoni scomparvero. Ella gli lanciò una fetta di carne secca che il ragazzo addentò. Piano, piano la carne stava perdendo il suo sapore nauseante, lasciando sempre più spazio al suo gusto ricco e piacevole. Siirist stava finalmente ricordando quanto andasse pazzo per la carne prima di diventare un Cavaliere, e notò che la amava anche di più ora. E non se ne sentiva in colpa. Guardò nuovamente verso Kami no seki, rimanendo ancora una volta a bocca aperta. Circondata da grandi mura, alte almeno duecento metri, era costruita attorno a diversi anelli concentrici che circondavano la collina al suo centro sopra alla quale sorgeva un grande palazzo dalle mura rosso splendente, che riflettevano i raggi solari. Come aveva studiato a Vroengard, la residenza imperiale era costruita con un raro marmo rosso. Non era in grado di annullare arti mistiche o poteri demoniaci come il nero dei Beor, ma la sua resistenza agli attacchi fisici era pressoché identica. Gli edifici erano sempre più alti e ricchi più si avvicinavano alla cittadella costruita sotto al palazzo, il Akai goten. Erano le sei di sera quando, finalmente, Siirist e Tomoko raggiunsero le porte della città. Furono subito fermati da due guardie in forma umana. Ignorarono del tutto il ragazzo, non notarono il drago nascosto nel suo cappuccio e si rivolsero esclusivamente alla gatta. Il loro tono era molto duro, e tutto ciò che Ryfon riuscì a capire era “ningen” e “youkai”. Ci vollero venti minuti prima che i due facessero passare i nuovi arrivati, e, appena entrati, Siirist pensò bene di coprirsi il volto. Non che servisse a niente, il suo corpo emanava un odore di limoni e pini così forte che qualsiasi demone lo avrebbe percepito. Ricordò allora l’unico suggerimento che il grem gli aveva dato prima di cercare di ucciderlo, cioè che, se voleva mascherarsi e passare in incognito, doveva pensare anche a coprire il suo odore. Passarono attraverso vari anelli, andando da vicoli stretti e sporchi a viali larghi e puliti. Gli abitanti, tutti perennemente in forma umana, vestiti in maniera sempre più ricca e ricercata, ma sempre in stile demoniaco. La strada per risalire la collina era tortuosa, e passarono accanto a molte statue di draghi marini, sacri alla famiglia reale, come spiegò Tomoko. Quando finalmente arrivarono alle porte arancioni con altorilievi rossi dell’Akai goten, trovarono altre due guardie a sbarrare loro la strada. Esse si trovavano accanto a due statue di leoni, quella a sinistra che teneva una sfera sotto alla zampa, quella a destra aveva un cucciolo. Le statue erano situate proprio di fronte a due grandi pilastri di marmo nero, ma non dei Beor, che percorrevano tutta la facciata, incorniciando il portone a doppia anta. Questa volta le guardie, vestite con un’armatura rossa e nera che ricordava un drago marino, erano state irremovibili e si rifiutarono di permettere ad un umano (perché questo era il significato di “ningen”) e a una demone (ecco spiegato “youkai”) di bassa lega di accedere alla corte imperiale. Dalla forza che sentiva emanata dalle due guardie, Siirist suppose fossero dei classe A. Spazientito, stava per stordirli con un incantesimo quando la porta si aprì. Apparve un demone, che pareva un servitore, che sussurrò qualcosa all’orecchio ad una delle guardie. Questa annuì e permise a Siirist e Tomoko di passare. L’atrio del palazzo dell’Imperatore dei demoni era alto venti metri e largo cinque, affiancato da due serie di colonne intarsiate che dividevano la zona principale da due corridoi più stretti e bui dove erano stazionate molte altre guardie; tra esse e le colonne scorreva dell’acqua in due canali decorati da pietre lucenti che creavano uno splendido gioco di luci. Siirist e Tomoko, con tutti gli occhi puntati contro, percorsero il tappeto rosso sotto di loro per cento metri, fino a che non arrivarono alla sala del trono. Era un rettangolo di duecento metri per quattrocento, con un soffitto sui cinquanta metri e decorato da volte e affreschi. Al centro della sala d’era una pedana, sopra alla quale si trovava il trono: di marmo rosso, imponente, i due angoli superiori dello schienale rettangolare che terminavano in un fulmine azzurro e in una fiamma nera. E a riempirlo, comodamente adagiato su cuscini dorati, si trovava l’Imperatore, con il gomito sinistro appoggiato sul bracciolo del trono e la guancia appoggiata alle falangi centrali della mano stretta per metà a pugno. La sala era piena di gente, tutti che fissavano i due nuovi venuti, ma gli occhi di Siirist erano solo per Raizen. Nonostante fosse più vecchio degli Anziani del Consiglio, dimostrava molto meno: non aveva una ruga ed il viso era meno duro. Aveva lunghi capelli neri legati in una treccia che gli scendeva lungo la schiena e si poggiava sui cuscini alla sua destra, due profondi occhi azzurri, così intensi che Siirist riusciva a vederli e a rimanerne ipnotizzato anche a tutta quella distanza. Pareva un umano, eccezionalmente bello, elegante e raffinato, ma con i lineamenti forti che mostravano mascolinità secondo i canoni umani, non come gli elfi. Non aveva un accenno di barba, la bocca aveva un bel taglio e il naso era perfetto. Era vestito con un lungo abito rosso e nero, al collo una collana d’oro bianco decorata con un rubino. Sorrideva. Un sorriso intrigante e inquietante, che faceva sorridere anche Siirist ma allo stesso tempo lo metteva in guardia.

«Bene arrivati alla mia corte, Cavaliere d’Inferno e mia fedele suddita. Posso chiedere dove si trova il tuo drago, Cavaliere?»

Quando Raizen parlò, il silenzio più totale riempì la sala. Già le voci si erano placate quando tutti erano stati intenti a fissare Siirist e Tomoko, ma l’aria di immobilità, di sacralità e timore che pervase l’area al primo suono emesso dall’Imperatore era qualcosa che Siirist non aveva mai provato. Era come se il potere dell’Intimidazione di Raizen avvolgesse tutta la sala e pesasse su tutti i presenti come un macigno. Rorix non si fece attendere, e volò fuori dal cappuccio, ottenendo le sue vere dimensioni. Era ormai quasi venti metri di lunghezza, la coda era sui quindici, era alto tre metri al garrese e le ali avevano un’apertura di quaranta metri metri. Ruggì con tutta la forza che aveva in corpo, e molta della gente che si era già dovuta spostare per dargli spazio balzò indietro. La sua era stata una bella mossa. Aveva dato modo a Siirist di vedere chi, all’interno di quella corte, era veramente pericoloso. Siirist fece caso a tre uomini e due donne con i capelli dello stesso colore dell’Imperatore, un uomo con corti capelli argentati della stessa tinta di Raiden, un uomo con capelli a punta neri, una cicatrice che gli deturpava tutto il lato sinistro del viso passandogli sopra all’occhio e una benda che copriva l’occhio destro, un altro con lunghi capelli argentati, quasi bianchi, occhi giallo dorato, e alcuni marchi sul volto, come una falce di luna violacea sulla fronte. Nessuno di questi si mosse di un millimetro o parve affatto impressionato dal ruggito del possente Inferno. Raizen, che pareva soddisfatto, iniziò a battere le mani, e tutti i presenti lo imitarono. Tutti eccetto gli ultimi due che Siirist aveva notato.

‹Quelli lì ci potrebbero fare a pezzi senza nemmeno battere ciglio.› mormorò insicuro Rorix.

Siirist non trovò nessuna parola per incoraggiare il drago, e fu costretto a semplicemente dargli una pacca mentale. Raizen si alzò, e nuovamente cadde nella sala quella sensazione di proibizione di suono. Subito gli si avvicinò un demone che reggeva tre grandi contenitori dalla forma cilindrica, molto stretti ma lunghi. L’Imperatore disse qualcosa e tutti si inchinarono prima di abbandonare la sala del trono. In pochi rimasero ad osservare cosa sarebbe successo, e tra questi vi erano i demoni che Siirist aveva visto non scomporsi affatto (quello con la cicatrice gli era sembrato sbadigliare) quando Rorix aveva ruggito. Raizen, camminando con passo lento e deciso, dignitoso e autorevole, le mani dietro la schiena, raggiunse Siirist e Tomoko. La gatta, tremante, cadde in ginocchio, e l’Imperatore non parve nemmeno considerarla.

«E così tu saresti il mio nuovo nipote.» disse a voce bassa, gli occhi stretti, la pronuncia della lingua degli umani impeccabile.

«Non sono niente di simile.» rispose duramente, con un tono che non nascondeva affatto il disgusto alla sola idea di far parte di una famiglia di demoni.

Era evidente che l’Imperatore fosse un mostro di potenza, che ad un suo solo sbadiglio avrebbe potuto polverizzare drago e Cavaliere, l’energia che Siirist percepiva da lui non aveva limiti, e provocarlo e insultarlo era probabilmente la cosa più idiota possibile al mondo. Ma il tono utilizzato dal ragazzo gli era venuto spontaneo.

«Sei stato morso, nelle tue vene ora scorre il sangue di Obras, che ti piaccia o no. Perché saresti venuto qui, se no?»

«Perché sono diventato un mostro sanguinario. Voglio imparare a controllare la mia indole demoniaca.»

«Capisco. E cosa ti fa credere che io voglia insegnarti?»

«Niente. Io ho pensato di venire a Hellgrind per imparare più sul vostro popolo e, forse, imparare a disciplinarmi. È lei che mi ha trascinato qui, parlando di cose senza senso.»

«E quali sarebbero queste “cose senza senso”, mia cara bakeneko?» chiese con tutta la dolcezza del mondo.

Tomoko si irrigidì e incominciò a tremare. Dopo qualche secondo ritrovò la forza di parlare, ma fu interrotta dal possente alato.

«Non vorrai forse escludere il nostro amico dalla conversazione? Parla nella lingua degli umani.»

La gatta annuì.

«Siirist-san è un Cavaliere, e questo lo lega ai draghi. È un umano discendente dagli elfi che è stato morso e trasformato in demone; in seguito il suo sangue elfico è stato risvegliato, donandogli questo aspetto da mezz’elfo. Ecco, io avrei pensato che...»

«Mancherebbe il legame con gli orchi e i nani per poter essere ciò che hai pensato.» la tagliò corto Raizen, continuando a sorridere amabilmente.

Tomoko tremò anche più forte. Siirist non capiva se era per l’emozione o per la paura. Decise infine che si trattava di un misto delle due.

«Gli orchi sono oramai pochi e completamente inseriti nella società umana, per cui... ho pensato... essere legato agli umani significa essere legati agli orchi...»

«Questo può essere vero. E che mi dici dei nani? Siirist-kun, conosci qualche nano? Hai qualche connessione con loro?»

«No.»

Tomoko abbassò la testa, e Ryfon la vide mordersi il labbro.

«Non fa niente, i legami non devono essere necessariamente di sangue, come è il caso degli orchi. Se è come dici, ne instaurerà uno con i nani prima o poi. Hai fatto bene a portarlo qui. Dimmi il tuo nome.»

«Nishimura Tomoko, Koutei-sama!» rispose ella, alzando la testa e sorridendo, ma comunque senza osare guardare l’Imperatore dritto negli occhi.

Raizen chiamò una persona e questa subito giunse, e accompagnò via Tomoko dopo un breve scambio di parole. La loro conversazione era finita con lei che guardò per un momento Siirist, dopodiché aveva sorriso soddisfatta e annuito vigorosamente. Al mezz’elfo non era piaciuta affatto quella mossa.

«Dove è andata?»

«Le è stato offerto un posto qui a palazzo e lei ha felicemente accettato. Ma veniamo a te. Dici che vuoi imparare a controllare la tua indole demoniaca? E io ti rispondo che è possibile, ma abbiamo prima da apportare alcuni cambiamenti. Prima di tutto ai tuoi sigilli, poi alla tua educazione.»

 

 

 

~

 

 

 

Piccola nota: io non parlo giapponese. So pochissime parole e sto usando molto i dizionari online e altre ricerche, per cui se ci sono errori nel mio uso di questa splendida lingua, ignorateli per favore (nel senso lasciate perdere durante la lettura e fate finta, a livello di storia, che sia tutto corretto, ma mi piacerebbe venire informato di un eventuale sbaglio). Se fosse cinese mandarino la cosa sarebbe totalmente diversa, in quanto lo so parlare abbastanza bene, anche se non è ai livelli del mio italiano e del mio inglese. Ma ci sono due motivi per cui ho deciso di assegnare il nostro giapponese alla lingua dei demoni della storia: l’ho usato tempo addietro per indicare le tecniche di spada dei demoni prese da One Piece (ittouryuu, nitouryuu, santouryuu), per cui ho deciso di mantenerla per coerenza, e non l’ho sostituita con il cinese (ammetto che ci avevo pensato) perché non c’è paragone a livello di bellezza: il cinese è orribile a sentirsi, il giapponese è una meraviglia. E dopo quasi un anno passato in Cina, direi che ho tutto il diritto di essermi fatto un’idea su questa lingua.

 

Stavo rileggendo il capitolo VROENGARD in cui Evendil dice che anche gli elfi, oltre ai nani, sanno lavorare il marmo nero. Non so per quale ragione io abbia scritto una cosa simile, forse avevo qualcosa in mente al tempo, non lo so. In ogni caso, dimenticate questa cosa, solo i nani hanno mai conosciuto il segreto per lavorare il marmo nero.

 

Il prossimo capitolo si intitola LA RISCRITTURA DEI SIGILLI. Siirist incomincerà ad abbracciare la sua natura demoniaca, ma quanto gli piacerà la cosa?

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** LA RISCRITTURA DEI SIGILLI ***


LA RISCRITTURA DEI SIGILLI

 

Raizen accompagnò Siirist fuori dalla sala del trono, per ampi e sontuosi corridoi che passavano vicino a ricche stanze. Spesso i corridoi erano all’aperto, con uno dei lati costituiti da colonne che separavano il pavimento di marmo dal giardino fuori. Esso era meraviglioso, ben curato e pieno di laghetti. In lontananza, Siirist vide, vi era un lago enorme, facilmente grande quanto tutto il palazzo, una sorta di altare sulla riva. L’Imperatore fece entrare il ragazzo in una stanza che dava direttamente su uno dei corridoi all’aperto. La porta di legno fu fatta scorrere lungo la parete e il demone diede la precedenza al mezz’elfo, ma questi dovette prima togliersi gli stivali. Si accomodò su uno dei cuscini disposti intorno al basso tavolo, ma cambiò subito postura quando vide l’alato inginocchiarsi e poi sedersi sui talloni. Una donna entrò e porse in due piccole tazze cilindriche del tè verde. L’unico suono che invase la stanza era la bevanda che veniva versata. Siirist, incerto, si guardò intorno. La stanza era a malapena arredata, le pareti completamente rivestite in legno, il pavimento coperto da una sorta di tappeto, al centro il tavolo al quale lui e l’Imperatore si erano “seduti”. La demone, vestita riccamente con il tradizionale abito del popolo di Hellgrind, una sorta di abito lungo stretto alla vita da una fascia con un grande nodo sulla schiena, era entrata da una porta opposta a quella utilizzata dal giovane e dal potente alato. Era una porta nascosta, mimetizzata nella parete, tanto che Ryfon non l’aveva notata fino a che non si era aperta. Raizen strinse la sua tazza con la sinistra e la alzò, reggendola da sotto con la destra. Prese un sorso e poi fissò i suoi intensi occhi blu su Siirist. Questi sentì la sua anima come stuprata. Abbassò rapido lo sguardo e bevve dalla sua tazza. Faceva schifo. Fece tutto ciò che era in suo potere per nascondere il suo disgusto della bevanda, ma Raizen se ne accorse comunque.

«Non sei un amante del tè?»

«Preferisco il tè nero. Con un po’ di limone e del miele.»

«Capisco. Il miele è abbondantemente presente della cucina elfica. Anche noi lo usiamo, ma non così esageratamente. Spero non avrai problemi ad adattarti.»

«Parlate come se dovessi restare qui molto tempo.»

«Sbaglio?»

«Senza offesa, prima lascio questo posto, meglio sto.»

Forse aveva esagerato. Forse non era il caso di insultare e far arrabbiare un essere in grado di polverizzarlo semplicemente sbattendo le palpebre. Serrò la bocca, la gola che si fece improvvisamente secca. Con disinvoltura prese una seconda sorsata. Raizen rimase in silenzio, continuava a scrutarlo. Avvicinò la sua tazza alla bocca e bevve.

«Perché questo odio verso il mio popolo?» chiese gentilmente, dopo un’altra pausa.

Siirist si sbilanciò un poco prima di rispondere: la posizione non era delle più comode, e le ginocchia incominciava a dolergli. Ma non voleva dimostrarsi debole di fronte all’Imperatore: lui era il Cavaliere d’Inferno, era giusto che l’altro lo rispettasse, se non addirittura temesse. Ma chi voleva prendere in giro.

«Non ho avuto begli incontri con i demoni in passato.»

«Naturalmente. Mi è giunta voce di un tuo piccolo conflitto con un demone grem qualche anno fa, e, naturalmente, il tuo incontro con mio nipote. Ma, come hai detto, è accaduto nel passato. Vuoi forse dirmi che, da quando sei entrato a Hellgrind con la bakeneko, sei stato circondato da esseri maligni e assetati di sangue?» il tono calmo, quasi divertito.

Prese un altro sorso di tè. Siirist deglutì, fissando l’uomo che aveva di fronte. Effettivamente no. Certo, aveva scoperto come i demoni avessero un senso della vita e della morte diverso rispetto a quello con il quale era stato educato lui. Non si sarebbe mai dimenticato le facce dei figli dello scimmione che aveva ucciso, o la famiglia del leone morto poco prima. Si erano comportati come fosse normale morire in quel modo stupido. Espose i suoi dubbi all’Imperatore.

«Chi segue la via del guerriero deve essere sempre pronto a morire. Colui che vuole raggiungerne gli apici è sempre in cerca di un avversario più forte da sconfiggere, affinché possa accrescere il proprio prestigio. E se quello dovesse risultare troppo superiore, allora si andrebbe incontro ad una morte onorevole.»

«Non ha senso.»

«Forse per te, forse ora. Non c’è nessuno alla mia corte che non sia in cerca di una morte gloriosa. Essi sono tutti i migliori guerrieri in tutta Hellgrind, alcuni così eccezionali da non essere neppure alati, ma facenti comunque parte della classe S. Se non fosse per mio specifico ordine, sarebbero tutti morti ora, poiché si sarebbero sfidati tutti. E rifiutare comporta un grande disonore. Non è una questione di diventare famosi, quanto una sfida personale per raggiungere i livelli più alti. Il diventare celebri è una conseguenza, non lo scopo primario.»

«Quindi i demoni alla vostra corte sono tutti rinomati guerrieri?»

«Nessuno in Hellgrind non conosce il nome di Zaraki Kenpachi o il grande Sesshoumaru. Nessuno dei due è un alato, eppure sono dei classe SS. È grazie a loro che i loro clan, rispettivamente i licantropi e gli inugami, sono saliti così tanto di rango tra i demoni. Normalmente, infatti, entrambi sarebbero dei classe A, ma loro due sono degli individui particolari.»

«Mi state dicendo che, secondo il vostro concetto, un vero guerriero deve sempre cercare un nemico potente, anche se è consapevole di perdere?»

«Beh, ci sono eccezioni. Nessuno, mai, si sognerebbe di sfidare me.» ridacchiò.

«Almeno un po’ di senso ce l’avete. Ma un semplice grem andrebbe mai ad sfidare quel Kenpachi che avete menzionato?»

«No, perché non ne sarebbe degno. Solo un guerriero che ha raggiunto un certo livello di fama oserebbe sfidare un membro della mia corte. E dubito altamente che un grem possa mai sperare di intraprendere la via del guerriero e vivere a lungo. Non per niente, quello che hai incontrato tu era un bandito che era fuggito da Hellgrind e si era nascosto nella società umana. Paragonato alla gente comune della tua razza, persino un grem risulterebbe forte.»

Siirist annuì. Ma non bevve più perché la sua gola non era più secca come prima e, in tutta onestà, la bevanda gli dava il voltastomaco. Invece appoggiò la tazza sul tavolo. Raizen la adocchiò con sguardo sorpreso, distante, forse anche irritato. Ryfon la riprese subito in mano e prese una lunga sorsata, arrivando ben oltre metà. L’Imperatore sorrise e prese lui stesso un sorso dalla sua.

‹Haha, fifone leccaculo.› sfotté Rorix.

‹Taci.› arrossì mentalmente il Cavaliere.

Ci fu qualche altro minuto di silenzio, durante i quali i due finirono il loro tè e appoggiarono le tazze. Fu Raizen a ricominciare a parlare.

«Abbiamo divagato prima, ma ritorniamo al punto fondamentale della questione: sarà necessario che tu rimanga qui a lungo se vuoi imparare a controllare la tua indole demoniaca, inoltre io posso insegnarti ad utilizzare pienamente il tuo potere dell’Ambizione. Ma non voglio nessuno nel mio regno, e men che meno nel mio palazzo, che disprezza tanto la mia gente. Rispondimi sinceramente: dopo dieci giorni che li vedi nella loro vita di tutti i giorni, trovi che i demoni siano veramente quei mostri di cui hai sentito parlare nelle storie d’infanzia che so voi umani raccontate, e che ti sei immaginato dopo aver conosciuto il grem e mio nipote? Voglio una risposta semplice e precisa. Non pretendo sentirti dire che siamo bella gente, se arriverai mai a pensarlo, sarà dopo averci conosciuto a fondo durante gli anni a venire. Voglio solo sentirti dire se ci reputi o no dei malvagi mostri sanguinari.»

Siirist rimase in silenzio. Sanguinari lo erano di certo, dopotutto si sfidavano e uccidevano come Siirist si alzava dal letto la mattina. Però le ragioni che gli aveva spiegato Raizen lo facevano riflettere, doveva abituarsi all’idea, ma capiva che non era semplicemente per questioni di desiderio di morte. Inoltre i villaggi che aveva visto lungo la strada per Kami no seki erano popolati da gente tranquilla. In molti aspetti Siirist aveva notato che i demoni erano più vicini agli umani di quanto non lo fossero gli elfi. Anche tra di loro, ad esempio, era presente il matrimonio, visto e celebrato in modo esattamente identico (l’unica eccezione era che la coppia non era unita nel nome della Triade, ma di Obras), diverso quindi dal Giuramento di Unione che vi era tra gli elfi. E pure la vita in comunità era simile a quella degli umani: privi dell’uso della magia, i demoni vivevano facendo tutto a mano. Non tutti avevano poteri significativi, infatti, e se dovevano accendere un fuoco, lo facevano in modo tradizionale, non incanalando il Flusso e dicendo “naur”. Espirò e scosse la testa. Raizen alzò le sopracciglia, come a far intendere di non aver capito.

«No, non siete dei mostri.» disse allora deciso.

La bestia del fulmine sorrise.

«Bene, allora muoviamoci, abbiamo molto da fare.»

Per la somma gioia delle ginocchia del ragazzo, l’Imperatore si alzò, e quegli lo imitò, stiracchiandosi quando fu di nuovo in piedi. Seguì il demone lungo il corridoio esterno, e lo ascoltò mentre parlava.

«Prima di tutto, dobbiamo correggere il tuo Sigillo di sangue. Esso è strutturato in modo tale da isolare completamente la tua seconda coscienza, ma è debole contro le tue emozioni, e più si accumulano in te sentimenti negativi, più la gabbia perde forza e ti fai possedere dal tuo lato demoniaco. Ciò che vogliamo è darti la possibilità di richiamare l’energia demoniaca in te, di trasformarti in demone ma di mantenere il controllo.»

«Non voglio diventare un demone.» rispose duramente Siirist.

«Devo ripeterti la mia domanda di prima?» chiese freddamente Raizen.

«No...» tremò Ryfon.

«Solo quando riuscirai a controllare volontariamente il tuo lato demoniaco, potrai imparare a controllare la fame. – continuò, comportandosi come se l’interruzione razzista del ragazzo non c’era mai stata. – Potremmo rimuovere completamente i sigilli e far sì che tu assimili la tua seconda personalità, ma in quel caso diventeresti un demone completo, incapace, quindi, di utilizzare la magia.»

«Assolutamente no!»

Raizen lo guardò.

«No, intendo non voglio perdere l’uso della magia.»

«E nemmeno noi lo vogliamo. Sei fortunato ad aver avuto quella coscienza nella tua mente quando mio nipote ti ha morso. Quando avremo modificato i sigilli, dovremo educarti a controllare la tua natura di demone, e ovviamente dovrai imparare a parlare la nostra lingua. Infine passeremo ad insegnarti ad utilizzare i tuoi poteri demoniaci, ad utilizzare la forma Juyo e le tecniche di spada.»

«Pare proprio che abbia da passare molto tempo qui.»

«È un problema?»

«Veramente sì. Vorrei tornare a Vroengard il prima possibile, ho bisogno di rivedere alcune persone. E so che, prima di farlo, dovrò passare a Rivendell.»

«Se sei bravo, non ci vorrà più di cinquant’anni.»

«Anche troppo! La Spada avrà recuperato tutto il suo potere tra quarantotto anni, e la Setta dello Scorpione ritornerà certamente in azione! Probabilmente anche prima.»

«Capisco. Un motivo in più per non perdere ulteriore tempo.»

Raizen condusse il mezz’elfo ad una biblioteca dentro alla quale vi erano diversi elfi oscuri e spettri, piegati su vari libri. Nel vederli, Siirist provò un forte odio; strinse il pugno e fiamme ne scaturirono.

«Calmati, non sono nemici.»

Questi avevano notato l’ingresso dei due e il modo in cui il ragazzo li aveva guardati. Erano scoppiati a ridere.

«Sarai anche il Cavaliere d’Inferno, ma se solo pensi di poterci battere tutti, sei un illuso.»

‹Credo abbiano ragione, questi non sono al livello dei nemici che hai affrontato a Zanarkand.› ringhiò cauto Rorix, appollaiato sul capo del Cavaliere.

Siirist si calmò e placò il suo fuoco involontario, e ciò fece ridere di più alcuni dei posseduti da spiriti di fronte a lui.

«Visto?! Ha così tanta paura che nemmeno ci prova!»

«Dannazione, ho scommesso male.» si arrabbiarono alcuni.

Comprendendo di essere stato preso in giro, Siirist si infiammò tutto e fece per dare fuoco all’intera biblioteca, ma sentì il corpo cosparso da una scarica elettrica talmente forte da renderglielo totalmente insensibile per un secondo, e tutta l’energia magica accumulata svanì. Guardò verso Raizen e lo vide con lo sguardo serio e duro. Comprese ciò che aveva fatto, gli aveva temporaneamente bloccato i suoi punti di emissione del Flusso. Forse non era il caso adirarlo.

«Chiedo scusa.»

Raizen lo ignorò, e si rivolse ai suoi sottoposti che un tempo erano stati elfi o umani, chiedendo loro se erano riusciti a capire come fare. Uno di loro rispose di sì, ma che non sarebbe stato semplice. Mentalmente, Siirist e Rorix si guardarono con aria interrogativa.

«Cavaliere d’Inferno, mostraci i sigilli sui tuoi avambracci.» gli disse un elfo oscuro.

Siirist fece come detto e arrotolò le maniche. La sua pelle era completamente intonsa, però, a causa di un incantesimo di magia organica che egli si era applicato, perciò lo annullò e le rune nere comparvero. Due spettri si avvicinarono e le studiarono attentamente.

«È anche peggio di quanto pensassimo, queste sono rune antiche. Chi mai è stato ad applicarti questo sigillo? Non dovrebbero essere in molti a sapere come eseguirlo.»

«Aulauthar, il Cavaliere d’argento.»

«Certo, e chi altri? Chi sa cosa ha promesso a Sithis in cambio?»

«In cambio?» Siirist, come se i suoi istinti stessero urlando, si allarmò.

«Nessuno chiede un favore al dio della morte senza dargli qualcosa in cambio. E solitamente, nel caso di Sithis, si tratta di una vita per una vita. Lui ti ha dato la tua e ha tolto quella della tua coscienza demoniaca, queste sono due vite sul quale Sithis è intervenuto, è un favore molto grande quello ha fatto.» spiegò lo spettro.

«Perché credi che il Sigillo di sangue sia stato proibito in passato? È un inno troppo pericoloso.»

«Ma è anche il più efficace nel tuo caso, ragazzo. Capisco perché il Cavaliere d’argento lo abbia utilizzato.»

«Andiamo a riscrivere le rune, ora non ho più dubbi.» disse l’altro spettro che gli stava analizzando gli avambracci, che era rimasto in silenzio fino a quel momento.

«Sei sicuro? Al minimo errore, verremo uccisi sul posto.» lo ammonì uno dei suoi compagni.

«Sì, tranquilli, non tengo certo a morire.»

Così Siirist, non molto sicuro di ciò che stava per accadere, accettò di stendersi su un tavolo che era precedentemente stato allestito per il rituale: candele a segnare rune, altre scritte elfiche tracciate con il sangue. Siirist si calmò e sgombrò la mente così tanto da addormentarsi.

 

Siirist si risvegliò quando i raggi del sole calante lo investirono. Aprì gli occhi e si ritrovò in una sontuosa camera da letto priva di una parete, che dava direttamente su un balcone. L’unica cosa a separare l’ambiente interno da quello esterno era una serie di tende di seta bianche. Le sue lenzuola pure erano di seta, ma rosse, e il letto era uno dei più comodi sul quale il ragazzo avesse mai dormito.

‹Come ti senti?› chiese la voce preoccupata di Rorix.

‹Come sempre, perché? Che è successo in quella biblioteca?›

‹Forse dovresti guardare nella sala del trono della tua torre.›

Siirist fece come detto e vide che, al posto della porta che conduceva ai sotterranei, si trovava la prigione del falso, incatenato e imbavagliato, che lo guardava con occhi furiosi. Era stato avvicinato a lui, ma almeno non lo poteva più disturbare con le sue parole velenose. Ryfon si guardò le rune nere e le vide leggermente cambiate.

‹È ora di cena, ti stanno aspettando di sotto. Vieni, ti faccio strada.›

Così Rorix, appollaiato sulla testa del Cavaliere, gli diede le indicazione per raggiungere la ricca sala da pranzo, dove, per fortuna, i tavoli erano ad altezza normale. Vide, seduta ad uno di essi, anche Tomoko, e la salutò con un cenno della testa, ma non si poté sedere accanto a lei perché il suo posto era su un altro tavolo, dall’altra parte della sala e rialzato sopra ad una pedana, alla sinistra di Raizen. Andò ad accomodarsi accanto all’Imperatore, tutti che tenevano i loro occhi fissi su di lui.

«Tutto a posto? La gabbia ancora regge e il tuo demone interiore non si è liberato, vero?»

«No, anzi, è imbavagliato.»

«Gentile concessione di Afamrail, uno degli elfi oscuri, che ha pensato potesse darti noia avere quell’altro parlarti.»

«E aveva ragione. Mi stavo chiedendo come sia stato riformato il sigillo. Era Sithis, un dio, dopotutto ad aver fornito il potere. Cosa ci può essere di tanto potente da modificare ciò che aveva creato lui?»

«Un altro dio, uno superiore a lui.»

Non era difficile capire di chi il demone stesse parlando.

«Siete stato voi, vero?»

«Ho avuto una parte nell’invocare Obras, è vero, ma io non possiedo poteri mistici, sono stati gli spettri e gli elfi oscuri a riscrivere le rune. È principalmente loro che dovresti ringraziare.»

«Lo farò. Adesso che si fa?»

«Adesso si mangia. Sei arrivato con un tempismo ottimale, ecco arrivare le pietanze, parleremo dopo.»

Siirist si vide servire diversi piatti che non aveva mai visto: da una zuppa d’alga, a una zuppa con dentro degli spaghetti e pezzi di granchio, ad un’insalata con pezzi del crostaceo, a un piatto con vari pezzi di pesce crudo. Siirist lo guardò stralunato.

«Avanti, mangia, è importante consumare carne per poter controllare la propria fame. È meglio mangiare una bistecca che la coscia di una vergine, non trovi?»

«Sicuramente. Ho realizzato da solo che mangiare carne mi aiutava a frenare la mia voglia di assaltare le persone, infatti, sebbene a malavoglia, l’ho ricominciata a mangiare. Ma qui non si tratta di bistecche, insomma, questo è strano.»

«Che ha che non va?»

«È pesce crudo!»

«Allora?»

«È pesce! Crudo!» insistette, come se l’Imperatore fosse stupido a non capire.

«Provalo, vedrai che è meglio di quanto credi.»

Se c’era una cosa che Siirist aveva capito quel giorno, era non contraddire Raizen. Così portò la mano alla sinistra del piatto, alla ricerca della forchetta... E si ritrovò in mano due bacchette di legno intarsiato.

«C’è niente di normale nel vostro modo di mangiare?»

Raizen ridacchiò e gli mostrò come impugnarle. Fortuna che anche l’Imperatore era mancino. Il ragazzo appoggiò una delle bacchette nell’incavo tra pollice e indice, tenendola stretta con la prima falange del pollice e la terza del medio. Allora afferrò la seconda bacchetta e la strinse tra pollice, indice e medio. Tenendo la prima immobile e facendo leva solo sulla seconda, avvicinò insicuro le “posate” ad uno dei tranci di salmone e lo sollevò. Gli scivolò almeno dieci volte, suscitando una risata collettiva. Incominciava ad arrabbiarsi.

‹Sembra difficile.› commentò Rorix.

‹È impossibile, cazzo!›

Raizen fece un cenno verso il tavolo dei servitori, davanti al quale Siirist era passato appena entrato nella sala, e Tomoko si alzò. Si diresse verso il ragazzo e prese le bacchette dalla sua mano: e lo imboccò. I commensali incrementarono il volume delle loro risa e Ryfon si sentì tremare dall’ira. Si alzò di scatto, il corpo avvolto da fiamme, e fece volare il tavolo. Subito si irrigidì. Non era da lui perdere la calma a quel modo, e il vedere scariche elettriche azzurre in mezzo alla colonna di fuoco rosso scuro che lo avvolgeva lo colpì anche di più. Il fiato pesante, si sentiva gli occhi bruciare e i denti doloranti.

‹Dimmi un po’, mi sono cresciute le zanne e le iridi sono rosso sangue?› chiese aprendo la bocca.

Rorix abbassò il suo collo da sopra la testa del Cavaliere e guardò, confermando i sospetti del mezzo demone.

«Chiedo scusa, io...»

«Tranquillo, a differenza di prima, il tuo lato demoniaco non è isolato da te, ora è un tutt’uno. La coscienza che detiene il tuo potere è separata, ma ora tutti gli istinti sono fusi.» spiegò tranquillo Raizen.

Nessuno osava parlare.

«Forse è meglio che vada.» mormorò il giovane.

«Forse è meglio, sì. Torna alla stanza dove ti sei risvegliato poco fa; ti farò recapitare del cibo.»

«Grazie.»

 

Siirist si sentiva imbarazzato e umiliato. Appoggiato alla ringhiera del suo balcone, osservava il panorama notturno di Kami no seki. Non era niente come Zanarkand, questo era sicuro, ma gli dava un senso di pace e serenità che non avrebbe mai pensato possibile in quella parte di Tamriel.

‹Evendil sarebbe fiero di te. D’altronde era lui a dirti che dovevi cambiare la tua considerazione dei demoni: aveva grande stima di Raizen e della sua corte.›

‹Eppure è stato ucciso proprio da uno di loro.›

‹Parli come se all’interno della Setta ci siano solo demoni, o anche spettri e elfi oscuri. Dimentichi gli innumerevoli umani, e anche i nani. Gli unici a poter parlare sono gli elfi, in quanto nessuno di loro, se non corrotto dagli spiriti, ne fa parte.›

Qualcuno bussò alla porta e Ryfon diede il permesso di entrare. Fu sorpreso nel vedere Tomoko con in mano un vassoio d’argento con altro pesce crudo, una ciotola di riso e l’insalata di granchio di prima.

«Chiedo scusa se prima vi ho offeso, Siirist-sama. Posso insegnarvi a usare le bacchette, se volete, oppure aiutarvi a mangiare come prima. Forse lontani dagli occhi di tutti non sarà tanto un problema.»

La bocca di Siirist quasi cadde a terra.

«Non ho ben capito, come ti sei rivolta a me?»

«Come è appropriato che un servo si rivolga al proprio padrone.»

«Io non sono il padrone di nessuno! Ma siamo matti! Tomoko, abbiamo viaggiato insieme dieci giorni, abbiamo dormito pure vicini e ci siamo divisi il cibo. Cos’è questa storia pazzesca, trattami come hai sempre fatto!»

«Non posso, Siirist-sama. Voi siete stato ufficialmente incluso nella famiglia reale, e io sono stata affidata a voi come serva.»

«Eh?! Io un membro della famiglia reale?! Già mi pareva strano che mi chiamassi “-san”, adesso con il “-sama” stai proprio esagerando!»

«È solo naturale che mi rivolga a voi con il più alto onorifico, Siirist-sama.»

Siirist ringhiò, spazientito. Ma subito si calmò, impedendo alla sua natura demoniaca di manifestarsi troppo.

«D’accordo, mostrami come usare queste dannate bacchette.»

Finito di mangiare, Tomoko andò a preparare l’acqua per il bagno per il suo padrone, mentre questi incominciava lo studio del grimorio di Evendil. Ci aveva messo del tempo per decidere a quale dedicarsi, infine aveva optato per quello del mezzo bosmer perché, come quello di Adeo, gli avrebbe fornito delle informazioni utili in senso generale per quanto riguardava la magia. A differenza di uno studio specializzato degli elementi, infatti, sapere come controllare pienamente il suo Flusso vitale sarebbe stato sempre importante in ogni caso. Per cui iniziò a leggere, arrivando alla ventesima pagina prima di venire richiamato dalla gatta. Rimase a ponderare sulle parole della sua figura paterna tanto che rispose soprappensiero (e di sicuro in maniera molto dura) alla bakeneko che si era offerta di aiutarlo a lavarsi, cacciandola dalla sala da bagno.

Quando ne uscì mezz’ora dopo, lavato e rilassato, il suo naturale profumo elfico, messo in risalto dal sapone neutro, che riempiva tutta la stanza dell’odore di pino selvatico e limone, il ragazzo vide che Tomoko era rimasta in camera. Ma era nuda. Sul suo letto.

«Che cosa stai facendo?» chiese serio, utilizzando tutto il suo Flusso vitale nella magia organica per mantenere il suo membro in stato di rilassatezza.

«Questo è uno dei miei compiti. Faccio parte del vostro harem, Siirist-sama, e ne sono ben felice. Fate di me ciò che volete.»

«Io ho... un harem...?»

Era ironico come solo cinque anni prima avrebbe ucciso per una cosa del genere. Ora invece sentiva di voler cacciare la gatta a pedate. E non perché non trovasse la sua proposta allettante: il problema era proprio quello.

‹Non devo cedere alla tentazione.›

‹Pazzo.›

‹Insensibile.›

‹Drago.› lo corresse l’Inferno.

«È naturale, ogni demone di alto rango ha a disposizione una vasta serie di demoni inferiori del sesso opposto, o del proprio, a seconda dei gusti, di cui disporre. Il demone il cui nome va dimenticato ne aveva uno composto da 657 donne. Io sono la 658esima.»

«È questo che ti ha chiesto di fare Raizen?»

«L’Imperatore mi ha offerto un posto di grande onore ed un privilegio indegno della mia posizione sociale, che io ho accettato con somma gioia.»

«Si dia il caso che io non lo abbia richiesto, per cui fuori di qui.»

Tomoko non si mosse.

«HO DETTO FUORI!» tuonò.

Quasi letteralmente, visto che la sua voce fu accompagnata da una potente scarica elettrica che gli circondò i piedi, mentre potenti fiamme nascevano dalla sua schiena e gli occhi gli bruciavano, sintomo che avevano perso la loro colorazione azzurra.

I capelli della gatta si drizzarono ed ella balzò via dal letto e corse fuori dalla stanza, senza nemmeno prendere i propri vestiti. Siirist, ripresosi, sbuffò, li prese e li mise fuori dalla porta. Poi la richiuse e fece per andare a letto. Ma nuovamente sentì bussare.

«E adesso che cosa vuoi?» chiese a denti stretti, sfessurando la porta.

«Che cosa desiderate mangiare per colazione domani?» domandò con un miagolio impaurito la bakeneko che si era rivestita.

«C’è nessuno che sa preparare dei buoni cornetti come li preparano a Zanarkand? E anche una torta di mele?»

«Non so se i cuochi di palazzo conoscono alcuna ricetta di cucina umana, e non credo che i dolci nostri possano piacervi molto. Io, però, so preparare una discreta torta di mele. Se per voi va bene, Siirist-sama, posso pensarci io.»

«Te ne sarei grato, Tomoko. Buonanotte.»

«Oyasuminasai.»

Siirist la guardò con aria interrogativa.

«Significa buonanotte.» sorrise ella.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola ESSERE DEMONE. Siirist capirà i pericoli della fame e dovrà fare una scelta molto difficile prima di incominciare ad imparare a controllare i suoi poteri demoniaci.

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** ESSERE DEMONE ***


ESSERE DEMONE

 

Siirist mangiò con gusto la ricca colazione preparata da Tomoko. Doveva ammetterlo, la sua torta di mele era anche meglio di quella di Alea. Accarezzò con affetto la Collana del Giuramento al suo collo e pensò che, comunque, la altmer era meglio della gatta in tutto e per tutto. Semmai poteva prendere la ricetta della bakeneko. Quanto gli mancava. Dopo oltre due anni, ancora, quando apriva gli occhi la mattina, sperava di vedere la sua amata, e sentiva una fitta al petto ogni volta che rimaneva deluso. Mannaggia a lei e ai suoi stupidi sentimenti! Se non fosse stato per l’elfa, ora non starebbe soffrendo. Ma ogni dolore spariva quando pensava al momento in cui l’avrebbe rivista. Gli venivano i brividi per l’eccitazione al solo pensarlo, e un sorriso stupido gli si dipingeva in volto.

‹Sei un idiota.›

‹Taci.›

Rorix stava banchettando con un vitello intero nel cortile del palazzo. Siirist addentò un cornetto, e quasi ebbe un orgasmo per la bontà.

‹Quella Tomoko è proprio brava, non c’è niente da fare!›

‹Secondo me è anche brava a cavalcare. Alea era una vergine, quella lì, invece, con quanti credi sia stata? Se le dai una possibilità, penso ti farà godere più di tutte le donne del tuo passato messe insieme.› ridacchiò l’Inferno.

‹Non è nemmeno una possibilità.›

‹Mah, io dico che dovresti...›

‹Non rompere.› lo azzittì il Cavaliere.

Non era un discorso che gli piaceva. Alea gli mancava da morire, ed era più che altro non poterci parlare, non vederla, non abbracciarla... Ma ultimamente gli stava mancando molto anche fisicamente. Era oltre due anni che stava in astinenza sessuale, e il bisogno si faceva sempre più forte. In particolare da quando i suoi istinti demoniaci erano stati liberati. Il giorno prima gli era servito tutto il suo autocontrollo per non lanciarsi e violentare la gatta. Soffriva come un cane: aveva bisogno di una donna.

‹E allora che aspetti!›

‹No! Se non è Alea, non è nessuno!›

‹Idiota.›

Finito di mangiare, Tomoko venne a portare via i piatti e fu molto felice di sapere che ciò che aveva preparato era stato apprezzato (Siirist si trattenne con i complimenti per non rischiare di alimentare ulteriormente i comportamenti della sera prima) e informò il suo padrone che l’Imperatore lo aveva convocato. Allora, subito dopo che si fu lavato e vestito, il mezzo demone andò al cospetto del “nonno”. Nella sala del trono erano presenti alcuni membri del clan delle bestie del fulmine e altri demoni di più basso rango, assieme al demone dai capelli dello stesso colore di Raiden.

«Hai dormito bene?» chiese gentile Raizen.

«Sì, grazie.»

«C’è qualcuno che credo tu debba conoscere.»

Raizen fece un movimento con la testa e si fecero avanti due persone: una femmina del clan delle bestie del fulmine e l’uomo dai capelli argentati come Raiden. La donna era molto bella, elegante, raffinata, alta. Era poco più bassa di Siirist, dunque sui quindici centimetri più bassa dell’Imperatore. I lunghi e lucidi capelli corvini erano legati in una splendida treccia che le arrivava al sedere, aveva una splendida corporatura slanciata, sebbene non troppo generosa sul petto. I suoi occhi erano dello stesso colore intenso di Raizen. Anche l’uomo dai capelli argentati, i quali scendevano elegantemente sulla fronte in due parti perfettamente divise da una riga al centro del capo, aveva occhi blu, ma il suo colore era spento e glaciale, non vivo e elettrizzante come quello delle bestie del fulmine. Era alto quanto Siirist, il viso duro e serio, le sopracciglia che davano al suo sguardo un tono anche più implacabile e imperioso. Entrambi erano vestiti elegantemente, la donna che mostrava un abito azzurro e rosso, l’uomo uno argento e blu scuro.

«Il mio nome è Alucard, signore dei vampiri.» si presentò.

«Io sono Kikyou, figlia di Raizen.»

Siirist rimase come pietrificato: aveva di fronte a sé i genitori di Raiden. Deglutì. L’Imperatore lo aveva accettato come sostituto di suo nipote e lo aveva piazzato all’interno della corte, dandogli il rango, la posizione ed il potere che erano stati del demone traditore. E la sua parola era legge: tutti dovevano sottostare alla sua decisione. Ma quali fossero i veri sentimenti dei genitori del vero Raiden, egli non poteva saperli. Poteva supporli, certo, e dallo sguardo dei due, in particolare del vampiro, poteva immaginare che non ne fossero esattamente entusiasti. Nessun altro parlò fino a che Raizen ruppe il silenzio.

«Ho pensato fosse ora di introdurvi ufficialmente.» disse semplicemente, quasi divertito.

Effettivamente Siirist li aveva visti spesso da quando era arrivato all’Akai goten, e aveva notato come avessero sempre un posto d’onore accanto all’Imperatore, come, ad esempio, a tavola. Ma non ci aveva mai parlato, come non aveva fatto con nessun demone.

«Akira!» chiamò Alucard.

Si avvicinò ciò che pareva un ragazzo sui vent’anni: poco più basso di Ryfon, una bella corporatura slanciata ma muscolosa, un bel viso, occhi fieri e sguardo forte, capelli neri lucenti e iridi nocciola. Era vestito con il solito abito demoniaco, semplice, senza tanti fronzoli, blu scuro, al fianco destro due katana e un pugnale della stessa forma ricurva delle spade tenuto a contatto con i lombari. Come il conte dei vampiri ebbe chiamato questo nuovo demone, se ne andò, accompagnato dalla moglie, lasciando le spiegazioni al suocero.

«Questo è Akira-kun, sarà parte della tua schiera di servitori.»

Siirist si sentì male, non poteva aver dato un’impressione simile, vero?!

«No, no, non è necessario! Imperatore, ieri ho rifiutato Tomoko per motivi personali, non perché preferisco gli uomini!»

Raizen scoppiò in una risata così profonda e potente da sembrare un tuono giocoso. Gli vennero pure le lacrime agli occhi. Akira fece una faccia strana e guardò Raizen chiedendogli qualcosa, al che l’Imperatore scosse la testa.

«No, non capire male. Un conto sono le concubine che fanno parte del tuo harem, un conto sono altri tipi di servitori. Akira-kun è un vampiro secolare, molto rispettato all’interno del suo clan. In quanto figlio del capo dei vampiri, a mio nipote era stata affidata una serie di vampiri come scorta. Akira-kun è uno di questi, uno dei pochi a non essere andato alla Setta dello Scorpione assieme a mio nipote e l’unico ad aver accettato di servire te come serviva quel traditore. Sarà la tua guardia del corpo, il tuo messaggero, il tuo porta spade. Conosco i tuoi gusti sessuali, stai tranquillo, ho pensato bene di informarmi su di te.»

«Ah, d’accordo. Ecco, visto che siamo in argomento, vorrei parlarvi di questo harem.»

«Dimmi pure.»

«Non lo voglio.»

Raizen non rispose, tutti i presenti erano intenti ad ascoltare la conversazione. Quelli in grado di comprendere la lingua degli umani, almeno.

«Andiamo per una passeggiata.» comandò gentilmente l’Imperatore, alzandosi dal suo trono.

Siirist gli si affiancò, tenendo sotto controllo con la coda dell’occhio Akira che li seguì in silenzio. Uscirono dalla sala del trono e si diressero nel bel giardino, dove Rorix era intento a finire il suo vitello. Se lo stava gustando. Non era più grande di un cane, dopotutto.

‹Con il tuo stomaco di quelle dimensioni, come riesci a mandarlo giù tutto?›

‹In questo modo mi fornisce più energie. Lascia stare, dovessi spiegarti come funziona il mio sistema digestivo, non finiremmo mai.›

Siirist non ne dubitava. Raizen si fermò accanto ad una panca ricavata dalla pietra all’ombra di un grande ciliegio e si sedette, osservando il mezz’elfo in piedi di fronte a lui.

«Perché non lo vuoi?»

«Non avevate detto di esservi informato su di me?»

«Certo. È per via di Ilyrana Alea-chan? È per quella collana che tieni al collo?»

Siirist annuì, portando istintivamente la mano a stringere lo smeraldo accanto alla sua gola. Raizen si prese un momento di pausa per trovare le parole giuste prima di parlare di nuovo.

«Sai che cosa ci tiene sani e ci impedisce di andare di matto e lasciarci andare ad una furia omicida?»

Siirist scosse la testa.

«Il sangue. Il sangue e la carne. Ora, questa è una risposta che va presa letteralmente e metaforicamente. Consumare quotidianamente la carne umana e elfica, o anche solo il sangue nel caso dei vampiri, ci dà sostentamento e ci permette di tenere sotto controllo i nostri istinti che, altrimenti, ci porterebbe a uccidere tutto ciò che ci passa davanti. A dire la verità, i nostri apparati digerenti ci permettono di mangiare qualunque tipo di carne, compresa quella di altri demoni, orchi e nani. Ma ciò che ci porta a desiderare la carne degli umani e, anche di più, degli elfi è il fatto che essa è più buona. Quando, quattromila anni fa, io imposi la pace tra il nostro popolo e i popoli alleati, lo feci proibendo ai demoni di consumare la carne dei bipedi. Ma essa, per il suo gusto irresistibile, ci porta a desiderarla. Per questo è necessario trovare altri modi per accontentare la fame: un modo è mangiare molta carne animale, un altro è combattere. La gioia del combattimento e dell’uccidere ci soddisfa nel profondo e ci permette di controllare la fame. Ecco perché molti demoni seguono la via del guerriero. Ma c’è anche un altro modo, il più metaforico, per ottenere “carne”. Dimmi, sono oltre due anni che sei in astinenza sessuale. Come ti senti? Non ti è mai capitato di volerlo fare?»

«Sì, ma non voglio tradire Alea.»

«Certamente. Ora dimmi, oltre che con Tomoko-kun, che è una demone, con chi ti è successo?»

«Una ragazza della Gilda dei Ladri di Skingrad. È perché l’ho attaccata che sono dovuto partire.»

«Davvero? – domandò con finta aria sorpresa. – E perché l’hai attaccata? Pensavo la stessi desiderando sessualmente.»

«Sì, all’inizio... Ma poi mi è come venuto il desidero di...» non voleva dirlo.

«Mangiarla.» non era una domanda.

Ryfon rimase in silenzio.

«Soddisfare le proprie esigenze sessuali aiuta a controllare la fame. Perché credi che i demoni più potenti, uomini e donne, sposati e non, abbiano tutti un vasto harem? Perché più uno è potente, più i suoi istinti sono forti, più ha fame. Gente come Kenpachi o Sesshoumaru non è affatto interessata in questioni sessuali, ma anche loro hanno un harem che visitano ogni giorno. È un mio ordine, è per evitare che venga loro voglia di mangiarsi a vicenda.»

Siirist non sapeva che pensare.

«Se tu avessi ora Alea-chan a disposizione, tutto andrebbe bene: un’ora al giorno e saresti sedato. Il fatto che provi anche dei sentimenti per lei rende l’attività sessuale anche più intensa e appagante. Ma purtroppo lei è a Vroengard e tu sei bandito fino a che non impari a controllare i tuoi poteri. Vedi il circolo vizioso in cui sei finito? Senza contare che anche se riuscissi a rimanere lucido e a non impazzire per tutti gli anni a venire fino al tuo ritorno alla Rocca (e, lasciatelo dire, è impossibile), la uccideresti. Un demone del tuo calibro che non ha avuto rapporti sessuali per, diciamo, trent’anni, si ritrova a letto con una splendida elfa... Se tutto va bene la sfondi. Ma, anche più probabile, le strappi la gola a morsi e la mangi viva mentre continui a fotterla.»

Siirist era ora con la bocca leggermente aperta. Voleva rispondere, ma non riusciva a trovare le parole giuste. Non solo era stato scioccato da ciò che aveva sentito, anche le espressioni e le parole usate dall’Imperatore lo avevano colpito. Raizen sorrise nel vedere che il suo discorso aveva avuto effetto.

«Entro la fine della settimana voglio che vai a visitare il tuo harem. Si trova nella tua ala del palazzo, due piani sotto la tua stanza, neanche a dire che devi andare da tutt’altra parte. Più tempo aspetti, più tempo perdiamo per il tuo addestramento e più tempo passa prima che puoi ritornare ad abbracciare Alea-chan. Senza contare che più aspetti, più diventi pericoloso. E ripeto, non voglio massacri nel mio palazzo. Ieri a cena sei esploso e mi hai fatto volare il tavolo e tutto ciò che c’era sopra. Se continui a ostinarti a non scaricarti, finisci che mi assali la servitù. E ti conviene mantenerti alla servitù, perché se attacchi qualunque membro della mia corte, tu, il tuo drago, che ovviamente ti assisterebbe, e Akira-kun, che ti difenderebbe fino alla morte, finirete in tanti piccoli, tristi, raccapriccianti e sanguinanti pezzi.»

Non c’era niente da aggiungere, l’Imperatore aveva esposto la sua argomentazione. Siirist non doveva far altro che accettarla e fare come gli veniva detto. Per cui, prima di pranzo, si diresse, il cuore pesante, al suo harem, Rorix sul capo, Akira, sempre presente e sempre silenzioso, che lo seguiva.

«Ehi, Akira...»

«Sì, Siirist-sama?»

La voce del vampiro era suadente, dolce come miele, profonda, ipnotizzante. Ma su di lui non aveva effetto.

«È vero quello che ha detto Raizen? Mi difenderesti fino alla morte?»

Si prese un momento prima di rispondere.

«È vero che ho detto che vi avrei servito come servivo il vostro precedessore, ma non ho ancora scambiato con voi il mio giuramento di fedeltà. Devo prima essere sicuro che siete degno di essere uno youkai no shu, un signore dei demoni. Solo se sarò convinto allora avrete la mia eterna fedeltà e quella degli altri demoni che servivano colui che deve essere dimenticato. Ciò che mi distingue da loro è che ho deciso di darvi una possibilità, Siirist-sama, e di non etichettarvi come indegno fin da subito.»

‹Ma che gentile.› pensarono al contempo drago e Cavaliere con tono esageratamente ironico.

«Molti pensano che Koutei-sama abbia fatto male ad accettarvi a corte in sostituzione di suo nipote, mentre altri riconoscono che in voi ora scorre il sangue del grande Obras-sama e ciò è sufficiente a farvi meritare un posto a corte. Chiedo scusa se ho parlato fuori luogo.»

«No, voglio che tu sia sincero.»

Erano arrivati alla porta che dava sulla sala dentro alla quale vivevano le 658 demoni che avrebbero assecondato ogni suo bisogno sessuale. Stava per aprire la porta quando ricordò una cosa: erano state le sue. Un profondo ringhio salì dalla gola del mezzo demone, mentre gli occhi incominciarono a bruciargli. Scosse la testa e si calmò, per poi entrare. La stanza, immensa, era decorata con diversi tappeti che ricoprivano i pavimenti di marmo e sontuosi drappi che abbellivano le pareti. Per tutto il pavimento erano sparsi grandi e comodi cuscini, spesso ammucchiati in gruppi e separati da delle tende di seta giallo pallido trasparente. Qua e là vi erano anche delle vasche piene d’acqua, mosaici che ne costituivano il fondo. I colori predominanti della stanza erano il rosso, il giallo, il nero ed il marrone scuro. E ovunque vi erano giovani donne, almeno all’apparenza. Stupende, meravigliose. Come Tomoko, la loro bellezza era diversa da quella delle elfe, selvaggia e accattivante, esotica. Alcune di loro avrebbero persino fatto invidia alle elfe, Siirist doveva ammetterlo, ma nessuna reggeva il confronto con Alea. Anche se tutte la battevano in sensualità, se non in pura bellezza. D’altronde la altmer era semplice, inesperta nelle arti dell’amore, e mai aveva fatto niente per far risaltare il suo corpo più di quanto non lo facesse già da solo, se non nei casi particolari dei capodanni in cui si era messa tutta in tiro. Ma le sue movenze, i suoi atteggiamenti erano quelli di una nobile addestrata alle arti della guerra, le vie della magia e la musica e la poesia, non di una seduttrice. E le donne dell’harem lo erano. Tutte.

‹Puttane.›

‹Quanto sei stronzo! Nemmeno le conosci e pensi una cosa così brutta di loro!› ridacchiò Rorix.

Ma per quanto si sforzasse, Ryfon non era in grado di cambiare idea a riguardo: erano puttane, mignotte e sgualdrine. E erano state con lui. Nel vedere entrare il loro nuovo padrone, tutte urlarono esultanti e gli corsero incontro. Le poche che erano vestite, seppure a malapena, persero i loro veli per strada.

«Ferme lì!» comandò Siirist.

Subito gli fece eco Akira, sicuramente come traduttore. Era evidente che quelle semplici demoni non conoscessero la lingua degli umani. Probabilmente molte erano contadine, dello stesso estratto sociale di Tomoko, la quale veniva da una famiglia di saltimbanco.

«Quali erano tra voi le preferite di Raiden?»

Come ebbe pronunciato quel nome, tutti i presenti, compreso Akira, ebbero un momento di disagio.

«Traduci.» ordinò al vampiro.

Nella traduzione, Ryfon notò che il nome non era stato ripetuto. Una ventina di mani si alzarono come risposta. Siirist nemmeno si preoccupò di contarle esattamente, si limitò a dire che non le voleva più in sua presenza e che dovevano sparire. Fosse stato per lui, avrebbe eliminato tutte le donne con cui l’odiato alato era giaciuto, ma quello lo avrebbe lasciato solo con Tomoko, e di certo Raizen non ne sarebbe stato felice. Da quello che aveva capito, era necessario avere un ampio numero di donne con cui fare sesso. Si sentiva già sporco. Le demoni a cui aveva ordinato di andarsene incominciarono a protestare, e Akira fu così gentile da risparmiargli la traduzione: semplicemente lo vide sguainare una delle sue due spade e rispondere con tono freddo. Le interessate si azzittirono subito e abbandonarono la sala.

«Non torneranno più qui. Ora avete 635 concubine, Siirist-sama.»

«Pensi ne possa eliminare di più?»

«Non trovo che sia saggio al momento. Coloro che vi reputano indegno di essere il sostituto di colui che va dimenticato potrebbero utilizzare un vostro eventuale harem poco numeroso per attaccarvi. È un simbolo di potere avere molte concubine.»

«Questo farebbe pensare anche a te che non sono degno di essere il tuo signore?»

«No, a me non importa. Capisco che non vogliate avere a che fare con le donne toccate da quel traditore, e capisco anche i vostri sentimenti per Alea-sama. A me interessa vedere se riuscirete o no a controllare adeguatamente i vostri poteri di demone e se sarete o no un forte guerriero.»

Siirist si trattenne dal ridere nel sentire come anche il nome di Alea, che Akira non aveva mai conosciuto, fosse stato seguito dal suffisso onorevole.

«Ti ringrazio. Beh, occupati di farne fuori altre 135. Se devo avere un harem, almeno lo voglio pieno delle femmine più belle possibile. E anche le più brave. Sei un vampiro secolare, quindi dovresti avere buoni poteri mentali: scruta le loro menti e vedi chi sa fare meglio il proprio compito. Mi fido del tuo giudizio per scegliere le più belle.»

«Sarà fatto.»

«Io vado ad allenarmi.»

«Non vi ritirerete con nessuna di loro, allora?»

«Non ora.»

«Come desiderate. Ma prima che andate, dovete scegliere alcune di loro che vi facciano da accompagnatrici.»

Siirist sbuffò.

«Quali sono i compiti delle accompagnatrici?»

«Oltre ad avere i soliti doveri di concubina, una accompagnatrice vive nelle stanze proprio accanto alla vostra camera da letto: sono loro che si occupano di prepararvi il bagno e di portarvi da mangiare. Fino ad ora lo ha fatto solamente la bakeneko Tomoko, ma è giusto che abbia delle sostitute, così che possa riposarsi anche lei. Potete anche decidere di sostituirla.»

«No, Tomoko resta. Quante dovrei sceglierne?»

«Consiglio di averne in tutto almeno sei. Le stanze accanto alla vostra camera sono venti.»

«Facciamo dieci, Tomoko compresa. Lascio anche questo incarico a te. L’unico requisito fondamentale è che sappiano parlare la lingua degli umani, sperando che qualcuna di loro ne sia in grado.»

«Come desiderate.»

«E dove sta Tomoko?»

«È a riposare. La posso far mandare a chiamare, se desiderate.»

«No, lascia stare.»

Così Siirist lasciò la sala del suo harem e andò in giardino, dove sguainò Lin dur e cominciò ad eseguire alcune movenze del Djem-so. Non passarono più di trenta minuti, che fu raggiunto da Akira, seguito da due donne, probabilmente le sue concubine.

«Tutto è come avete chiesto.»

«Grazie.»

«Non ho mai visto movenze simile: quello è lo stile dei Cavalieri dei draghi?»

«Sì. Ti andrebbe di duellare?»

Akira lo guardò perplesso.

«Se hai paura di potermi fare del male, tranquillo, se ci riesci vuol dire che sei veramente bravo.»

«Lo sono. Se vi chiedete se ora sto avendo dei dubbi su di voi, la risposta è sì: non dovreste nemmeno considerare la possibilità di poter perdere contro di me.»

Siirist fu percorso da una scossa di adrenalina. I suoi istinti demoniaci lo portarono a sorridere sadicamente mentre provava una immensa voglia di strappare un arto alla volta a quell’impudente demone inferiore. Si mise in posizione, lanciando una sfida silenziosa al suo servitore. Questi sorrise, portando a sua volta la mano sinistra attorno all’elsa di una delle sue katana e sguainandola.

«Quello è lo sguardo di uno youkai no shu.»

Le spade dei due si scontrarono, risuonando per tutto il giardino. Siirist, dall’alto dei suoi 175mila douriki fisici, non si muoveva di un millimetro, mentre vedeva che l’altro faticava. Allora, sorridendo, fece un po’ più di forza sul suo braccio, e vide l’avversario stringere i denti per cercare di contrastare la potenza del mezzo demone. Inutile. Capendo che si trattava di una causa persa, Akira sguainò la sua seconda spada e colpì con un doppio tondo manco, che sorprese Siirist per la potenza che ne scaturì e gli fece muovere un passo indietro. Ma gli bastò riprendersi dalla sorpresa e di nuovo era superiore al vampiro. Questi cercava di colpirlo in tutti i modi, sfruttando il vantaggio del numero di armi a suo favore, ma Siirist era più veloce e più forte, e non ebbe problemi a contrastare ogni colpo del suo servitore. Dopo venti minuti, Akira cadde in ginocchio con il fiatone.

«Potrei sapere il livello dei vostri douriki fisici, Siirist-sama?» chiese con difficoltà.

«175mila. I tuoi? Mi sembravi colpire molto più forte di quanto non avresti dovuto. Sei un vampiro secolare, non dovresti essere che un classe A.»

«A dire la verità, sono un classe X, con 16000 douriki. È vero che, solitamente, un vampiro secolare è un classe A, ma, come vi avrà detto Koutei-sama, ci sono eccezioni.»

«Solo 16000? È impossibile, colpivi ben più forte!»

«Perché utilizzavo il Juyo mentre usavo il nitouryu. Questo mi permetteva di incrementare di molto il mio effettivo potere.»

«Beh, ora che mi hai visto all’opera, sei più convinto che sono degno di essere un signore dei demoni? Non che la cosa mi interessi, sia chiaro.»

«No. Il traditore che va rimosso dai nostri ricordi è immensamente più potente di voi, dovreste saperlo. Quando avrete padroneggiato il santouryu e sarete lo youkai più potente del palazzo, dopo Koutei-sama, ovviamente, cioè quando sarete ai livelli del vostro precedessore, allora avrete la mia fedeltà.»

«Ce ne vorrà di tempo.»

«Non ho fretta, ho appena trecentocinquanta anni. Se non vengo ucciso prima, vivrò per altri duemila anni.»

«E anche questo è vero. Avrei bisogno di aiuto per il mio prossimo allenamento, se non ti dispiace, ma stavolta ho bisogno che non mi attacchi, perché se no mi distruggeresti.»

«Sempre a disposizione, ma perché questa condizione?»

«Perché è un allenamento in cui la forza non è richiesta, per cui indosserò questi bracciali che riducono i miei douriki a 350. È evidente che, se dovessi cercare di attaccarmi, non rimarrebbe molto di me.»

«Capisco.»

Così Siirist e Akira continuarono a duellare, il ladro che continuava a perfezionare le sue tecniche dello stile della Volpe mentre il vampiro faceva da manichino mobile. E dopo due ore, Siirist crollò a terra esausto. Non si era mai stancato così tanto a duellare con la Volpe Grigia, affrontare un demone classe X, anche se sempre sulla difensiva, con la forza di un normale umano, era veramente fuori dal mondo. Lentamente, Siirist ritornò all’ala del palazzo riservata a lui, trovando già pronto un bel bagno fresco per alleviare la calura estiva. Quando uscì, trovò che erano stati preparati per lui degli abiti demoniaci. Erano blu scuro, e le sue accompagnatrici lo aiutarono ad indossarlo: le calze con la divisione dell’alluce dalle altre dita, i pantaloni molto larghi che parevano una gonna, la parte superiore che veniva chiusa sul petto e poi stretta usando una fascia alla vita. Ai piedi il ragazzo indossò un paio di sandali e fu pronto a raggiungere Raizen a tavola per il pranzo.

«Ti ho visto duellare con Akira. Non montarti la testa per aver sconfitto qualcuno notevolmente più debole di te: se aveste la stessa forza fisica, ti avrebbe sconfitto senza battere ciglio con la sua tecnica.» gli disse l’Imperatore.

«Lo credo anche io.»

«Se sei così desideroso di incominciare ad allenarti, è bene che ti venga forgiata una spada.»

«Ho una spada.»

«Una katana. La tua spada, per quanto magnifica, non è adatta alle tecniche del nostro stile di combattimento: per esso è necessario usare una spada ricurva ad un filo. Se, in futuro, quando avrai padroneggiato ittouryuu e nitouryuu vorrai applicarne le tecniche alla spada dritta a due fili, creando, così, il tuo stile personale, bene, ma fino ad allora fai come è tradizione fare per noi.»

«D’accordo.»

«Domani dovrai andare a vedere Totosai, così che possa forgiarti una spada adeguata.»

«Chi è questo Totosai?»

«Il miglior fabbro di tutta Hellgrind. La sua forgia è in una grotta sotto al palazzo.»

 

La notte Siirist non riuscì a prendere sonno. Ogni volta che chiudeva gli occhi gli veniva in mente il combattimento che aveva avuto con Akira, quanto gli era piaciuta la sensazione di dominazione completa, il sentirsi così incredibilmente superiore. Uscì dal letto e prese la spada di acciaio di Arcadia presa dal cadavere del guerriero di Guadosalam e uscì sul suo balcone. Menò fendenti su fendenti, seguiti da tondi, sottani, sgualembri e montanti. Muoveva le braccia, alzava i gomiti, spostava i piedi come in una coreografia, seguendo alla perfezione i movimenti che Althidon, a suon di legnate, gli aveva inculcato in testa. Ogni tanto, quando gli sembrava che farlo non interrompeva il flusso dei suoi movimenti, inseriva anche una mossa dello stile della Volpe. Nella sua testa risuonava ora una melodia nuova, una che stava componendo lui al momento. Quando un passo non gli piaceva, sentiva nella sua mente una stonatura, perciò ritornava indietro di due battute e risuonava le stesse note, accompagnandole alle medesime movenze. Ancora e ancora ripeté i punti che non gli piacevano, fino a che aveva creato una coreografia di un’ora, una che gli pareva perfetta. E la sonata nella sua mente aveva preso forma, e tutta la sua torre era invasa dal suono del pianoforte. Ma non bastava. Lasciò la spada a terra e continuò i suoi esercizi fisici. Mise i bracciali e fece trecento flessioni in tre serie; andò in verticale e fece tre serie da venti piegamenti. Altre flessioni, poi addominali e ancora piegamenti dalla verticale. Fece scioltezza, poi ancora potenziamento, dopo si allenò con calci e pugni. Ancora piegamenti dalla verticale, e flessioni, e addominali. Anche con i bracciali addosso, si sentiva pieno di energie, come se la sua voglia di attività fisica fosse inesauribile. E, all’improvviso, si accorse di avere fame. Allora svegliò una delle sue accompagnatrici e le disse di procurarsi del cibo: carne, pane, dolci e del vino rosso. Ella corse via, lasciandolo ai crampi del suo stomaco.

Quanto diavolo era lenta?! Erano già due minuti che l’aveva mandata a prendergli da mangiare! Dolorante, Siirist cadde in ginocchio, gli occhi che bruciavano e i denti che pareva gli si stessero per rompere. Si strinse lo stomaco, ferendosi con i suoi artigli. I graffi subito si rimarginarono. Ma quel consumo di energia demoniaca lo indebolì ancora di più, accrescendogli la fame. Allora, guidato puramente dai suoi istinti e senza rendersene nemmeno conto, Siirist si diresse al suo harem. Aprì la porta e illuminò l’intera stanza con un incantesimo. Molte delle concubine si svegliarono e, vedendolo denudarsi, gli si avvicinarono e lo presero, portandolo verso uno dei mucchi di cuscini sul quale lo adagiarono. C’era chi lo massaggiava, chi lo accarezzava, chi lo baciava, chi lo pizzicava, chi lo leccava. Tutto il suo corpo era stimolato. Quando infine una delle concubine lo prese in bocca, lui, dopo oltre due anni, venne immediatamente, ma la sua fame non era soddisfatta, e il suo membro non ne volle sapere di rilassarsi. Una seconda concubina gli montò sopra e lo cavalcò; venne dopo tre minuti. Altre sei demoni si susseguirono prima che il ragazzo, in preda al suo bisogno, si alzasse e cominciasse a dominare la situazione, penetrando la femmina di turno da in piedi, e facendola urlare, ma non di piacere. Stufo, la lanciò via, e ne prese un’altra, trascinandola verso di sé per i capelli. La mise in ginocchio e la prese da dietro, e continuò a spingere fino a che ella non cominciò a piangere. Sì, era quello che voleva vedere e sentire, la sofferenza della sua vittima. Lanciò via anche questa femmina e ne prese una terza, che mise sulla schiena e alla quale sollevò le gambe e inarcò la schiena, così da facilitare la penetrazione. Intanto altre due concubine lo avevano iniziato a baciare sulla schiena, e tutto ciò lo eccitava anche di più, e spinse sempre più forte, arrivando a far sanguinare la demone che stava sovrastando. Si alzò e passò a un’altra, sedendosi con le gambe incrociate e facendola accomodare sopra di lui. Mentre le due di prima continuavano a baciarlo e leccarlo su collo, spalle e schiena, anche lui incominciò a baciare avidamente il collo della donna che stava possedendo. Prima di affondarle i denti nella gola e strapparne via metà. In un getto di sangue, ella morì, e tutte le concubine intorno urlarono, balzando via. In preda alla sua furia sanguinaria, Siirist sbranò le parti più prelibate del corpo della demone prima di passare a un’altra vittima: ella stava correndo quando le venne strappato il cuore, e successivamente, ma era già morta, la testa. Siirist la portò sopra la bocca e bevve avidamente la linfa vitale che gocciolava dal collo reciso. Desideroso di una nuova preda, lanciò via la testa bionda che aveva nella destra e si avventò su un’altra concubina, azzannandola alla gola, ma senza strappargliela: si divertì a sentirla divincolarsi e agitarsi, sempre meno più sangue succhiava via. Quando ella cadde, le mangiò la carne dei seni, dei glutei e della pancia, il tutto in appena trenta secondi. Ancora stava per assaltare l’ennesima demone quando una potente scarica elettrica lo atterrò.

 

Quando Siirist si riprese, aveva un gran mal di testa, come dopo la peggior sbornia che avesse mai avuto.

«Quando ti dico di sfogare i tuoi istinti altrimenti impazzisci e ti concedi alla fame, è perché voglio evitare situazioni come quella dell’altra notte.» disse la voce imperiosa di Raizen.

Era furioso. Ryfon si prese un momento per capire di cosa stesse parlando... e ricordò.

«Oh, no...» disse orripilato.

«Sono felice tu ti senta in colpa. Voglio che tu sappia che ho mandato via tutte le tue concubine. L’unica ad essere rimasta è la bakeneko. Per questa volta sei avvisato: ma combina un altro scherzo simile e ti ucciderò personalmente.»

Siirist rimase in silenzio. Non aveva nemmeno il coraggio di chiedere scusa. Che senso avrebbe avuto, dopotutto?

«Dopo quello che hai fatto, Totosai ha detto che non sei pronto ad avere una spada, e, sinceramente, concordo con lui. Prima che inizi il tuo addestramento, è necessario che ti sfoghi sessualmente, per cui Akira è andato a cercare potenziali concubine. Le esaminerai personalmente quando te le mostrerà. E non fare come prima che lasci tutto a lui, vedi di impegnarti questa volta. Spero tu abbia imparato la lezione.»

«Sì...»

E senza aggiungere altro, Raizen lasciò la stanza. Siirist espirò. E si accorse di un’altra presenza in camera.

«Spero tu non abbia paura di me adesso.»

«Se fosse, me ne sarei andata quando Koutei-sama me lo ha chiesto.» rispose Tomoko.

«Sono felice tu sia rimasta.»

Ella non rispose, si avvicinò a lui ed entrò nel letto.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola LA GUIDA. Con la fame sotto controllo, Siirist può finalmente dedicarsi ai suoi poteri demoniaci. E sotto al Palazzo rosso c’è qualcuno che lo aspetta.

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** LA GUIDA ***


LA GUIDA

 

Passò un mese, e l’harem di Siirist era ora composto da ottantasei demoni, di cui quattro sue accompagnatrici. In quel periodo, Rorix aveva perfezionato tutto ciò che Zelphar gli aveva insegnato prima di lasciare Vroengard e aveva incominciato un suo regime personale di allenamento e miglioramento. Ispirandosi a ciò che conosceva il suo Cavaliere, aveva sviluppato le sue tecniche di combattimento draconiche in due stili: uno che fosse complementare allo stile della Volpe, uno che fosse invece sulla stessa linea di pensiero. Era curioso vedere un corpo basato su quattro zampe, con due ali, una coda ed un collo lungo che finiva con pericolose zanne eseguire mosse create per un corpo bipede armato di spada. Ma, osservandolo bene, si vedeva la similitudine nei movimenti.

Siirist aveva finito di leggere la prima parte del grimorio di Evendil, ed aveva incominciato ad allenarsi in ciò che aveva studiato. Il mezzo bosmer aveva scoperto come temporaneamente rubare il Flusso agli esseri viventi vicini e unirlo al suo, oltre che il poterlo suddividere e moltiplicare. Ryfon aveva finalmente capito come il mezzo dunmer fosse stato in grado di affrontare quasi alla pari Raiden e perché la vicinanza sua e dei suoi compagni di addestramento fosse stata fondamentale: sommando i Flussi di loro quattro, l’Ataru di Evendil gli donava un quantitativo di douriki fisici di 198mila da sommare a quelli che normalmente aveva. Con una forza superiore a 200mila douriki, era comunque stato mostruosamente inferiore all’alato. Siirist non aveva mai osato chiedere, ma era diventato curioso di sapere quanto forte fosse veramente Raiden. Ma purtroppo, come l’elfo aveva scoperto sul Gagazet usando come cavie il branco di behemoth, non si poteva rubare il Flusso a qualcuno per oltre cinque minuti senza ucciderli.

Sottrarre il Flusso agli altri non era però di interesse per il mezz’elfo, per cui ciò in cui si era allenato nelle ultime due settimane era la divisione e moltiplicazione del suo Flusso. Evendil era arrivato al punto di riuscire contemporaneamente a creare quattro volte il suo potere (le dita illuminate quando aveva lanciato il Giudizio di luce ne erano la prova), e Siirist sapeva che, non fosse stato per la rigorosa disciplina mentale che aveva raggiunto grazie al grimorio di Adeo, mai sarebbe riuscito a moltiplicare il suo Flusso. Nel suo stato di calma assoluta, il massimo che era riuscito a fare, e solo per un secondo, era avere nelle due mani un potere di 53000 douriki. Aveva notato come separare il più possibile il Flusso rendeva l’operazione di moltiplicazione più semplice, infatti non riusciva a credere come Evendil fosse riuscito a moltiplicare quattro volte il Flusso su una sola mano. Ancora riprovò l’operazione ma, provato com’era, non riuscì a mantenere le due correnti di Flusso da 53000 douriki per nemmeno la durata di un secondo.

‹Dovresti fermarti qui.› suggerì Rorix.

‹Hai ragione, continuare sarebbe controproducente.›

Il ragazzo decise allora di recarsi al suo harem per rilassarsi. Sempre si sentiva in colpa, ma comprendeva l’importanza di tenere a freno la sua fame, solo gli mancava la Collana del Giuramento, riposta nella sua custodia. Non si sarebbe permesso di andare con un’altra donna mentre la indossava, e aveva deciso, quindi, di non tenerla mai fino a che avesse lasciato Hellgrind. Ora Alea gli mancava anche di più. Sospirando, Siirist si immerse in una delle vasche mentre quattro concubine lo lavavano e massaggiavano.

 

A cena, Siirist felicemente mangiò del vitello alla griglia, tagliato a pezzetti dai cuochi in modo da poterlo afferrare con le bacchette. Era delizioso. Incredibilmente aveva scoperto che il pesce crudo era una gran prelibatezza, sopratutto salmone e gamberetti, ma mangiare della sana carne rossa era sempre un piacere. Prese una manciata di riso dalla ciotola che aveva di fronte e poi mandò giù il tutto, facendolo seguire da un bicchiere di vino rosso. La bevanda alcolica che i demoni amavano bere era vomitevole, perciò il ragazzo era felice che l’Imperatore avesse anche delle casse di vino importate dall’Impero Septim.

«Come procedono i tuoi studi?» si interessò Raizen.

«Bene, grazie, seppure a rilento. Non capisco, le mie abilità mentali, nello stato di calma assoluta, dovrebbero essere superiori a quelle che aveva Evendil, eppure non riesco a dividere e moltiplicare efficientemente la mia corrente di Flusso vitale. Conosco tutti i suoi segreti, gli sto leggendo il grimorio, cavoli!, eppure niente, non riesco ad incrementarlo più di 6000 douriki.»

«È certamente questione di allenamento. Anche sapendo come fare una cosa, non è detto che ci si riesca. Solo perché una persona conosce una ricetta, non significa che riuscirà fin da subito a cucinare un piatto allo stesso livello di un cuoco famoso. Ti serve pratica. Vedrai che avere capacità mentali superiori a quelle di Evendil ti permetterà di raggiungere la perfezione nella moltiplicazione del Flusso in minor tempo di quanto ci abbia messo lui. E ricorda anche che il tuo legame è maggiore, questo rende il tuo Flusso più instabile e difficile da controllare.» lo rassicurò l’Imperatore.

Siirist mandò giù il boccone annuendo. Forse aveva ragione.

«Ho saputo che stai regolarmente frequentando il tuo harem adesso, molto bene. Hai avuto altri problemi derivati dalla fame?»

«No, è sempre sotto controllo. All’inizio andavo dalle mie concubine solo quando iniziavo a sentire il bisogno di nutrirmi, ma poi ho capito che non dovevo nemmeno arrivare a quel punto. Le visito ogni giorno almeno due volte.»

«Come ti senti a farlo?»

«Uno sporco, lurido verme. Non riesco a credere di stare facendo una cosa simile a Alea. È orribile.»

«Con il tempo contenere la tua fame diventerà più naturale, e non avrai bisogno di andare così spesso dalle tue concubine, se non lo vorrai.»

«Me lo auguro.»

«Ricordi l’ultimo modo per frenare la fame di cui ti ho parlato?»

«Combattere, certo. Quando inizierò?»

«Da domani. Ora che hai imparato a controllare i tuoi istinti, è tempo che inizi a imparare come controllare i tuoi poteri e le tecniche della spada. Ma prima inizierai ad imparare il Juyo.»

«Non è il Juyo lo stile di combattimento con la spada?»

«Questo è un errore comune da parte vostra. Il Juyo non è uno stile di combattimento, quanto una filosofia di combattimento: esso è una disciplina che permette di incanalare le proprie emozioni nei propri colpi. Quando applicato alla spada, si diventa in grado di potenziare esponenzialmente i propri attacchi.»

«Sì, lo sapevo. Ma credevo che “Juyo” fosse anche il nome dello stile.»

Raizen scosse la testa.

«Chi mi insegnerà?»

«Sesshoumaru. Egli è stato incaricato di insegnarti il Juyo e a controllare i tuoi poteri, mentre Kenpachi sarà il tuo maestro di spada. Quando entrambi saranno soddisfatti del tuo livello, ti insegnerò personalmente le tecniche imperiali del santouryuu, a controllare il fuoco nero e a utilizzare correttamente l’Ambizione.»

Siirist ascoltò attentamente, cercando solo di immaginare quanto sarebbe diventato potente con tutte quelle conoscenze. Non riuscì più a fermarsi, e pose la domanda che aveva in mente da tempo.

«Quanto di tutto questo è in grado di fare Raiden?»

Nella sala tutti tacquero, e i loro sguardi si posero sull’Imperatore e il suo nuovo nipote.

«Egli è un maestro di tutto tranne il fuoco nero, del quale è in grado di utilizzare solo tre delle  quattro arti sacre. Le hai viste in azione, esse sono lo Tsukuyomi, l’Amaterasu e il Susanoo.»

Siirist ripensò alla spada, al drago e al gigante che il demone aveva utilizzato a Vroengard.

«Ma sono convinto che tu potrai diventare più forte di lui. Nonostante abbia più esperienza e molti più douriki fisici, egli non è in grado di utilizzare la magia, non possiede un’Ambizione come la tua e non ha Rorix. In passato ebbi il piacere di scontrarmi con il tuo antenato Eleril, ho avuto modo di testare personalmente la forza della forma draconiana perfetta. Una volta ottenuta quella capacità, avrai un grande vantaggio. Speriamo solo che tu riesca a far valere i tuoi vantaggi e di riuscire a sconfiggerlo. Nessun demone in tutta Hellgrind ne sarebbe in grado e io non posso pensarci personalmente se non è lui a venire qui. Cosa che non farà mai, non è stupido.»

Siirist pensò a cosa gli aveva detto Evendil in passato, cioè che all’Imperatore dei demoni, in quanto successore di Obras, era negata la possibilità di intervenire direttamente nelle faccende mortali.

«Questa sera è stata un’eccezione: non voglio più sentire parlare di quel traditore.»

 

Il giorno dopo Siirist, accompagnato da Rorix, si incontrò con Sesshoumaru. Egli era il demone dai capelli bianco/argento che il ragazzo aveva notato non essere stato impressionato dal ruggito dell’Inferno. Gli occhi erano gialli, linee rosse che li circondavano. Due segni, sempre rossi, che sembravano dei graffi, lo attraversavano sulle guance e in mezzo alla fronte c’era una falce di luna viola. Il mezzo demone domandò se quei segni avessero un significato particolare. L’inugami lo guardò con disdegno prima di rispondere, e gli spiegò che la falce di luna era un simbolo del suo clan, che dimostrava la sua carica di capo, mentre i segni rossi erano manifestazioni del suo sangue demoniaco. Il suo potere era troppo grande per i normali livelli di un inugami, perciò il suo corpo ne aveva risentito. La voce era annoiata, con un tono di superiorità spropositato. A Siirist già non piaceva, ma Akira lo aveva avvisato di non provocarlo. Oltre a possedere un’incredibile forza fisica, Sesshoumaru era dotato di un pericoloso potere demoniaco che gli permetteva di creare una nuvola acida in grado di corrodere pressoché qualunque materiale. Con le spade era letale, ed era uno dei pochi non alati a cui era stato concesso di utilizzare il santouryuu, uno dei migliori spadaccini in tutta Hellgrind. Sebbene meno pericoloso dal punto di vista del carattere di Kenpachi, era molto meno paziente di questi e ben più potente. Solo pochi altri demoni osavano contrastarlo, tra cui Alucard e coloro che erano legati alla famiglia reale, dotati, quindi, del potere del fuoco nero. Per tutte queste ragioni, Siirist lo assecondò.

«Dato il tuo rango sociale, non posso esigere di essere riferito con “-sama”, ma ti rivolgerai a me con il suffisso “-sensei”.»

Siirist scosse la testa per dimostrare che non aveva capito.

«Significa “maestro”. Impara la nostra lingua, non voglio dover parlare la lingua degli umani più del dovuto.» disse con tono calmo.

Eppure il suo accento era impeccabile: se non per il suo aspetto fisico e la potente aura che percepiva, Siirist avrebbe pensato che fosse un nobile di Arcadia. Di certo non poteva passare per un plebeo. Ryfon si prese un momento per osservare meglio il suo nuovo maestro, notando come la sua espressione, esattamente come la sua voce, era piatta. Non mostrava alcuna emozione, peggio di qualunque elfo avesse mai conosciuto. Sfruttando il settimo senso, il mezz’elfo ne percepì la presenza, sentendola come la superficie perfetta di un lago. In un istante, così rapido che nemmeno i riflessi fulminei di Siirist poterono seguire, Sesshoumaru gli si avvicinò, scivolando sul pavimento di marmo e lasciando dietro di sé una sorta di scia, un’immagine residua. Lo colpì con un possente pugno in faccia, obbligando il ragazzo a fare un passo indietro.

«Ahia.» commentò Ryfon, massaggiandosi la guancia.

«Questa era la mia normale forza. Con la spinta datami dal mio scatto, sono riuscito ad arrecarti dolore, per quanto poco. Sarai un incompetente, ma la tua forza fisica è di tutto rispetto. Non che sia merito tuo, è chiaro.» disse lentamente, annoiato, rivolgendo il suo sguardo su Rorix.

Era evidente che non fosse affatto felice della sua posizione di “sensei”, ma gli ordini di Raizen non erano da discutere.

«Adesso preparati, ti colpirò utilizzando il Juyo.»

Se fino ad un momento prima lo stato emotivo del demone era stato piatto, in un istante esplose come un mare in tempesta, solo per l’attimo necessario perché le sue nocche si scontrassero con il viso di Siirist. Con il naso distrutto e la faccia schiacciata verso l’interno, il mezzo demone fu scagliato verso la parete, il collo quasi spezzato dall’irruenza con cui il capo era stato spinto indietro. Solo la resistenza innaturale del marmo rosso del palazzo imperiale permise alla parete di non sbriciolarsi. Lo stesso non si poteva dire delle vertebre e della parte posteriore del cranio del giovane. E tutto divenne nero. Quando Siirist riprese i sensi, dovette sbattere varie volte gli occhi.

‹Senza il mio potere rigenerativo sarei morto! Mi ha spaccato la testa e frantumato la colonna vertebrale! Non mi sarei nemmeno potuto guarire magicamente perché sarei morto sul colpo!› il biondo era sconvolto.

‹Questo non scherza. Capisco perché tanti alati lo rispettano e temono.› Rorix nemmeno aveva il coraggio di arrabbiarsi.

«Come avrai notato, la mia forza è stata incrementata. Sono a conoscenza della tua abilità di utilizzare il settimo senso: immagino avrai percepito la differenza nel mio stato emotivo.»

Siirist annuì, la capacità di parlare momentaneamente disabilitata perché anche la gola era stata danneggiata dall’impatto e si stava risistemando solo in quel momento.

«Ora ti allenerai a calmare le tue emozioni e a farle esplodere in un istante. Tutta la rabbia, la tristezza, la sofferenza, la delusione, la gioia, l’eccitazione che hai provato in tutta la tua vita va accumulata e liberata in un momento. La rabbia è la più semplice da controllare, ed è quella che più spesso viene utilizzata. Questo perché, in combattimento, è quella più comunemente percepita. Ma un uso eccessivo di sentimenti negativi può portare al risveglio dei propri istinti maligni. Adesso prova a ricordare ciò che ti ha fatto più arrabbiare nella tua vita, ricorda quel momento e ricorda ciò che hai provato. Incanala la tua emozione nel tuo corpo e lascia che accresca la tua forza.»

Siirist si accucciò nella sua posizione pensante e cercò di farsi tornare in mente ciò che più lo aveva fatto arrabbiare nella sua vita. Subito pensò a Raiden, ma poi lo scartò: l’alato lo aveva fatto disperare, intristire e soffrire, non arrabbiare. La rabbia era venuta da dentro e lo aveva trasformato in draconiano, ma era stata una furia animalesca non provata dalla sua coscienza. Allora pensò ai suoi duelli con Evendil, a come si sentiva frustrato dal non riuscire a vincere. E ancora, frustrazione, non rabbia.

‹Perché non provi con il tuo primo capodanno alla Rocca?› suggerì Rorix.

Aveva ragione. In effetti quella che aveva provato nel vedere il Cavaliere cazzone provarci con Alea era stata una vera, sana e grande rabbia. Non per niente era riuscito a lanciare il più potente Pugno di fuoco di magia involontaria di tutta la sua vita. Ma non bastava. Ad esso unì il ricordo della battaglia a Zanarkand, di quando aveva avuto la visione del suo drago ucciso e aveva poi liberato il fuoco d’Inferno, bruciando lo spettro fino a ridurlo completamente in cenere. Sì, in quel momento era stato stimolato per la prima volta lo stato draconiano: era stato furibondo, ma coscientemente. Cercò di ricreare quella sensazione e la abbinò al ricordo di Evendil che veniva ucciso. Il suo corpo incominciò a sentire caldo, ed un potente ringhio gli salì in gola. Ma esso non era il suo ringhio da demone, piuttosto era simile a quello di un drago.

‹Ehi, calmati.› si preoccupò Rorix.

Ma Siirist non lasciò andare l’emozione, e le pupille si allungarono mentre la pelle attorno agli occhi assumeva la consistenza di scaglie. In un barlume di lucidità, il ragazzo si impose lo stato di calma assoluta e la sua trasformazione in draconiano fu interrotta. Ma la rabbia era ancora lì, la sentiva pesare nel suo corpo e nella sua mente, come un macigno sospeso a mezz’aria nella sua sala del trono.

«Molto bene, sento provenire da te una rabbia come poche altre volte in vita mia. Ottimo. Ora usala. Non lasciarti possedere, ma convertila in forza, lasciala attraversare il tuo corpo fino alla tua mano e colpisci Akira con tutta la tua forza. Come vampiro, anche lui possiede il potere di rigenerazione istantanea. Io posso recuperare da ferite gravi con una rapidità maggiore rispetto alla maggior parte dei demoni, ma non al livello di un vampiro, perciò, se dovessi colpire me, mi metteresti in seria difficoltà. Non sono così arrogante da poter pensare di uscire incolume da un attacco portato da te utilizzando il Juyo.»

«State dicendo che perdereste contro di me, Sesshoumaru-sensei?» derise il ragazzo.

«Se prendessi in pieno il tuo attacco sì. Ma in uno scontro vero lo eviterei e poi ti ucciderei. Non perdere la concentrazione o perderai tutta la rabbia accumulata. Ora fa’ come ti ho detto.»

Senza pensarci due volte, spinto dalle sue emozioni negative, Siirist si voltò verso il suo servitore e gli sfondò la testa. L’impatto era stato così forte da uscire dall’altra parte in un’esplosione di sangue e cervella. Akira collassò a terra nella pozza creata dal contenuto del suo cranio.

«Hai fatto bene a colpirlo in testa e non nei pressi del cuore. Tra non molto si riprenderà. Ora continuiamo.»

 

Quando Sesshoumaru aveva considerato conclusa la giornata di addestramento, Siirist si diresse subito al suo harem, Akira che lo seguiva come un’ombra.

«Scusa per prima, non so cosa mi fosse preso. Era come se i miei movimenti fossero controllati dalla mia indole distruttiva.»

«È quello che succede quando si utilizzano troppo sentimenti negativi nel Juyo. Non vi dovete preoccupare, Siirist-sama, come ha detto Sesshoumaru-dono, era più sensato colpire me che lui.»

«Non è quello il punto. Non succederà più, te lo prometto.»

«Siete gentile, ma non dovete preoccuparvi per me.»

Siirist si prese qualche momento per pensare.

«Immagino che il mio precedessore non si sarebbe fatto scrupoli nel colpirti e non si sarebbe sentito in colpa.»

«No.» rispose con voce piatta.

Ma per una volta, pareva che il vampiro preferisse il modo di fare del mezzo demone a quello dell’alato traditore.

Giunto all’harem, ordinò alle sue accompagnatrici di portargli la cena lì. Aveva notato come il suo stato draconiano fosse a diretto contatto con i suoi istinti demoniaci, perciò l’averlo risvegliato non lo aiutava con la fame. E anche senza contare le implicazioni dell’essere Cavaliere d’Inferno, lo studio del Juyo di per sé scatenava nei demoni brutte reazioni. Quella sera mangiò, imboccato, mentre una concubina lo cavalcava, e non si fermò per quattro ore. Infine si addormentò su una delle pile di cuscini, circondato dalle sue donne.

Il giorno dopo, durante la colazione, mangiò nello stesso modo di come aveva cenato la sera precedente, e dopo che si fu preparato, andò ad incontrare Sesshoumaru nelle sue stanze.

«Eccomi, sensei.»

«Oggi cercherai di utilizzare il Juyo richiamando la tristezza anziché la rabbia.» rispose senza tanti preamboli.

 

Passarono due anni prima che Siirist fu in grado di utilizzare perfettamente il Juyo. In quel lasso di tempo, il suo controllo sulla fame era migliorato ulteriormente, e si era trovato costretto a visitare il suo harem solo due volte a settimana, per la sua somma felicità. Tomoko, la prima delle sue accompagnatrici, gli era sempre vicina ed era diventata un’ottima amica. Ella si era incaricata di insegnargli la lingua dei demoni e, per quanto la sua pronuncia non fosse perfetta, era diventato in grado di parlarla e di capire cosa gli veniva detto. Aveva finito di studiare il grimorio di Evendil ed imparato a moltiplicare il Flusso efficientemente. Non riusciva a creare due correnti con più di ottantamila douriki ciascuna, ma almeno le poteva mantenere per un lungo lasso di tempo, e le generava a piacimento. Aveva deciso anche di dedicarsi all’Ataru, ancora lontano dalla perfezione, mentre aveva totalmente ignorato la sottrazione del Flusso dagli altri esseri viventi. Assieme agli spettri e elfi oscuri presenti a palazzo, aveva continuato ad allenare la sua mente, diventando sempre più bravo ad attaccare e a difendersi in uno scontro invisibile all’occhio esterno. Con loro aveva pure studiato magia e stregoneria, utilizzando come base ciò che leggeva nei grimori e poi facendo pratica con loro, gli unici esseri in tutta Vroengard a poter utilizzare le arti mistiche. Dopo il grimorio di Evendil, era toccato a quello di Althidon, e subito il giovane andò a cercare la parte dedicata al fuoco freddo, e, imparando a ricrearlo, aveva scoperto cose riguardanti il fuoco che non avrebbe mai immaginato. Infine, aveva perfezionato la sua fusione del Djem-so con lo stile della Volpe, creando una sua variante personale dello stile dei Cavalieri che era molto simile ad un Makashi tradizionale, al quale spesso univa anche il Juyo.

Da quando il Juyo era stato completamente padroneggiato, lo stato draconiano non si era più manifestato, e Siirist non se ne era più preoccupato. Ogni giorno aveva deciso di concedere un’ora a duellare con Akira, indossando dei bracciali creati dai mistici di corte che imitassero quelli donatigli dalla Volpe Grigia, riducendogli la sua forza fisica a 20000 douriki, esattamente alla pari con Akira, il quale era pure diventato più forte. Questi aveva incominciato ad apprezzare Siirist e a riconoscerlo degno, ed era sempre felice di scontrarsi con il suo padrone. Mai utilizzava la sua seconda spada, in quanto, con il nitouryuu, avrebbe annientato facilmente il mezzo demone. Gli scontri finivano sempre, comunque, con il vampiro vincitore, in quanto il suo uso del Juyo era migliore di quello di Siirist. Come aveva detto Raizen, solo perché si sa come fare una cosa, non significa essere in grado di replicarla alla perfezione. Ryfon aveva sì imparato ad utilizzare ottimamente il Juyo, ma non si era ancora disciplinato in modo tale da da far esplodere le sue emozioni in un modo così efficace come aveva fatto Sesshoumaru quando gli aveva mostrato per la prima volta gli effetti.

Altri demoni erano stati impressionati dallo sviluppo rapido di Siirist e avevano deciso di unirsi alla sua schiera di servitori. Essi erano tre classe A, un vampiro secolare, un inugami e un’aquila di fuoco. Tutti e tre erano di rango inferiore ad Akira, il quale era il loro coordinatore. Solo due anni prima, Siirist non avrebbe mai pensato che gli sarebbe effettivamente piaciuta la vita a Hellgrind, però ora aveva completamente cambiato idea. Certo, Alea e Gilia gli mancavano, e avrebbe dato tutto per essere nuovamente con loro, specie l’elfa, ma lo stile di vita all’Akai goten era infinitamente meglio di quello alla Rocca. Se non fosse stato per l’incombente necessità di migliorarsi rapidamente prima dello scadere dei cinquant’anni dalla riunione della Spada, Siirist si sarebbe goduto molto di più le giornate nel palazzo di Raizen. Anzi, sarebbe pure tornato a Vroengard a prendere i due amici per portarli a Kami no seki. Oramai egli aveva completamente accettato il fatto di essere un demone, nonostante non si fosse mai trasformato nella sua forma alata, e si sentiva più tale che un umano. Come si era sentito più a suo agio come Cavaliere che come umano comune, aveva sempre sentito che qualcosa gli mancava anche nella sua esistenza a Vroengard: e ora, diventato un demone, si sentiva veramente completo. E nemmeno aveva imparato a padroneggiare i suoi poteri o nessuna tecnica demoniaca ancora! Rorix pure amava la vita in mezzo ai demoni, in quanto, come gli aveva sempre detto, la mancanza di altri draghi non gli interessava, e lì mangiava sempre carne vera, spesso ancora viva, e aveva modo di cacciarsela da solo. Adorava quel posto.

‹Sicuro di voler tornare a Vroengard?› aveva chiesto al biondo.

‹Prima o poi sì.›

‹Ma perché? Si sta così bene qui!›

‹Perché è nostro dovere, specie ora, con la minaccia incombente della Setta dello Scorpione. Forse, e dico forse, quando avremo eliminato questa minaccia, potremo decidere di venire a vivere qui.›

‹Se Alea accetta.›

‹Per questo ho detto “forse”.› aveva sorriso Siirist.

‹Di sicuro dovresti sbarazzarti dell’harem.›

‹Non sarà un problema. Come disse Raizen, quando avrò completamente messo sotto controllo la mia fame, mi basterà un’ora al giorno con lei. Per quanto riguarda la mia fame di carne, non il mio appetito sessuale!› rise.

Oltre ai tre nuovi servitori e a nuove concubine, le quali avevano portato il numero del suo harem a duecento donne, un’altra persona era diventata intima con Siirist e, ultimamente, avevano passato molto tempo insieme. Ella si chiamava Kaede, ed era la figlia più piccola di Raizen, nata dalla quarta moglie dell’Imperatore dodici anni dopo Raiden, con il quale era cresciuta e che considerava come una sorta di fratello. Kaede era sempre stata una ragazza solare e allegra, era stato detto a Siirist, ma dopo il tradimento di Raiden era cambiata. Si era allenata duramente e in poco tempo era diventata uno degli esponenti più forti del suo clan. Una delle figure principali nell’opposizione nell’accettare Siirist a corte, in quegli anni si erano invece avvicinati parecchio, anche se il loro rapporto era incominciato con una sfida lanciata da lei. Siirist era rimasto molto colpito dai suoi grandi poteri demoniaci (fortunatamente non era ancora in grado di utilizzare il fuoco nero) e dal suo terribile santouryuu, ed aveva avuto qualche difficoltà fino a che non aveva deciso di fare sul serio e aveva incominciato ad utilizzare il fuoco d’Inferno assieme al fuoco freddo di Althidon, modificato in modo da apparire celeste pallido anziché viola. Con grande difficoltà e usando a dovere tutte le capacità sue e della spada di Evendil, che aveva imparato ad utilizzare anche in forma di lancia, l’aveva sconfitta, pur uscendone gravemente ferito ed esausto. Da quel momento, Kaede si era fatta sempre più socievole con il mezzo demone, ed infine erano diventati ottimi amici.

 

Dopo un ulteriore anno, il quinto da quando aveva lasciato Vroengard, Raizen decise che era tempo che il ragazzo conoscesse una persona che gli aveva tenuto nascosta da quando era arrivato. Lo accompagnò nei sotterranei del palazzo, verso il centro della collina sulla quale era costruito, ed entrarono in una enorme caverna completamente buia. Il settimo senso diceva al mezzo demone che dentro vi erano due creature, una un bipede, l’altra... Non voleva crederci. Richiamò la sua energia demoniaca e gli occhi divennero color sangue. Con i suoi normali occhi azzurri, Siirist aveva la vista di un elfo, in grado di vedere anche al buio, a patto che esso non fosse totale come era in quella stanza, perciò era stato obbligato a fare appello alla sua vista demoniaca e, quando ebbe messo a fuoco la gigantesca sala naturale, il dubbio che aveva provato poco prima venne confermato. Davanti a loro vi erano un elfo oscuro con i lunghi capelli che gli arrivavano al sedere, dunque a terra, seduto con le gambe incrociate sul suolo roccioso. E dietro di lui, grande quasi quanto l’intera grotta, un drago tigrato: le scaglie erano dorate, ma quelle sul dorso erano di un colore tra il nero ed il grigio, e scendevano lungo i fianchi proprio come le strisce di una tigre. Siirist non aveva mai visto una cosa simile e pure Rorix era rimasto allibito.

«Solitamente quando un Cavaliere viene posseduto dagli spiriti e trasformato in spettro o elfo oscuro, il suo drago impazzisce, muore o gli si rivolta contro. In questo caso, gli spiriti erano talmente forti da attraversare il legame che unisce il Cavaliere al suo drago che riuscirono a possedere pure quest’ultimo.» spiegò Raizen.

Ryfon non voleva crederci.

«Entrambi, con il tempo, hanno recuperato la loro razionalità e sopraffatto l’influenza degli spiriti. Ma, chiaramente, non potevano tornare a Vroengard, perciò hanno chiesto ospitalità a me. Sono qui da oltre vent’anni, in isolamento in questa stanza, a meditare, ad aspettare.»

«Ad aspettare che cosa?»

«Te, Cavaliere d’Inferno.» rispose la voce bassa e roca dell’elfo oscuro.

Per quanto spiacevole da sentire, in quanto gracchiante e dura, evidentemente non era stata usata da molto, la voce del Cavaliere corrotto era giunta alle orecchie di Siirist come una brezza estiva. Da oltre cinque anni, ormai, non sentiva la lingua degli elfi, la lingua della sua vita a Vroengard, la lingua della sua Alea. Gli era mancata, si rese conto, più di quanto non avesse mai pensato. La lingua dei demoni era bella, senza dubbio, ma la musicalità che aveva quella degli elfi era un’altra cosa. Solo a sentirla e parlarla, si sentiva più vicino alla sua amata.

«Vi lascio soli.» disse Raizen.

Quando l’Imperatore fu uscito, Siirist si avvicinò timoroso all’elfo oscuro: vide il brillante occhio dorato del drago osservarlo attentamente, come se gli avesse voluto rubare l’anima.

«Me?»

L’elfo annuì e gli fece cenno di sedersi.

«Quando sono stato posseduto dagli spiriti, ho avuto una visione di me stesso, e in essa mi è apparso il mio vero nome: Guida del Salvatore. Spero che, dopo averti rivelato il mio vero nome, tu ti possa fidare di me.»

Siirist sgranò gli occhi. Era così simile a quello di Evendil. Lo aveva letto nel suo grimorio, Teriien tel’ Sarhael. E ora quell’elfo oscuro era realmente chiamato Umberiel tel’ Sarhael. Non poteva essere una coincidenza, il vero nome era l’essenza pura della persona, il vero significato della sua esistenza.

«Quando ho capito l’importanza del mio ruolo nello svolgersi delle vicende di questo mondo, ho realizzato che non potevo permettere a quegli spiriti di prendere completo controllo di me, perciò mi sono rinchiuso in me stesso, creando uno spazio protetto all’interno della mia mente. Non ho cercato di combattere l’influenza degli spiriti come fanno tutti, semplicemente li ho lasciati fare. Ho assistito alla morte della mia compagna di vita, avvenuta per mano mia, e a quella di tutta la mia casa. Mentre davo fuoco alla mia adorata sorellina, la vedevo piangere, le lacrime che evaporavano a causa delle mie fiamme. Ma non feci niente per cercare di fermarmi, sapevo che ciò che c’era in ballo era ben più grande di mia sorella e di tutti quelli che ho amato. Spero solo che abbiano trovato pace nel Flusso.»

Ryfon era sconvolto. Non riusciva a credere a ciò che sentiva.

«Quando ripresi il controllo di me stesso vent’anni fa, cinquanta dopo la mia possessione, sapevo che dovevo venire qui. Non so spiegarti il perché, le conoscenze che si raggiungono con il sapere il proprio nome sono profonde, potenti e antiche. Sapevo solo che dovevo venire qui, per cui ho chiesto asilo a Raizen. E alla fine sei arrivato tu.»

«Che cosa c’entro io?»

«Non posso dirti il tuo vero nome perché non lo so, ma so che sei tu il “Salvatore”. Io sono stato condotto qui, qui dove ti avrei poi incontrato. Ed eccoci qua.»

«Questo è ridicolo.»

«Davvero? Hai una bella spada al tuo fianco. So che hai anche il suo grimorio.» disse con tono triste, adocchiando Lin dur.

«Conoscevi Evendil?»

L’elfo oscuro sorrise, un sorriso carico di sofferenza e pena.

«Qual era il suo vero nome?»

«Guardiano del Salvatore.» rispose Siirist.

«E ripetimi perché è morto, per favore.»

Ryfon si ammutolì. Ripensò a tutto ciò che aveva fatto Evendil da quando si erano conosciuti, alla sua espressione furiosa, concentrata e preoccupata quando aveva deviato il colpo altrimenti fatale di Raiden, a ciò che gli aveva detto re Aesar, che Evendil sarebbe stato felice di sacrificarsi per lui. Gli ritornarono in mente pure le parole del conte di Kvatch, sentite quasi dieci anni prima: “Evendil è così duro con te perché per via del suo vero nome, sa in parte quale sia il tuo, dunque sa che sei destinato a grandi cose. Evendil è così sicuro del proprio compito e del tuo, che non esiterebbe un attimo a sacrificarsi per te se fosse necessario.”. Siirist non voleva crederci. Tutti questi fatti erano troppi per essere delle coincidenze.

«Ti ho osservato, sai, in questi ultimi anni, – riprese l’elfo oscuro, senza aspettare una risposta. – Mentre ti allenavi, mentre studiavi. Sia tu che Vulcano avete raggiunto un’ottima forma, tu nel Djem-so, lui nelle tecniche draconiche. Ma c’è ancora molto che dovete imparare. Zelphar ha insegnato a Vulcano tutto ciò che poteva in quelle sei ore, tu hai ricevuto i grimori dei più grandi Cavalieri e hai studiato con gli altri elfi oscuri e spettri presenti qui all’Akai goten. Ma non è sufficiente. Nell’imparare le arti dei demoni hai i migliori maestri che tu possa desiderare; per approfondire la tua conoscenza delle arti dei Cavalieri, ti serve un Cavaliere, come a Vulcano serve un altro drago. Non pretendiamo di essere ai livelli di Althidon e Zelphar, ma, oramai qualche secolo fa, sono stati loro i nostri Maestri. E dopo ho studiato con Eimir per migliorarmi nella stregoneria e nell’invocazione. Devi sapere che, purtroppo, non sono dotato nel Flusso, nonostante sia un elfo, per cui la magia è sempre stata impossibile per me. Quando l’uovo di Vadraael mi scelse, non potevo crederci: un incapace ad usare la magia un Cavaliere? Per tre secoli ho avuto dubbi sul perché fui scelto come Cavaliere, fino a settant’anni fa, quando capii che il mio ruolo era semplicemente quello di aiutare qualcuno di più grande. E finalmente sei arrivato.»

Il discorso dell’elfo oscuro aveva senso, ma Siirist continuava a non essere completamente convinto.

«Dimmi, se quello che dici è vero, di che cosa sarei il Salvatore e che cosa dovrei fare?»

«Tu sei il settimo Cavaliere d’Inferno, il numero delle razze create dagli dei. E pare tu sia ciò di cui parlano le leggende dei demoni: “verrà un giorno un Salvatore che unirà tutte le razze”. Sei un Cavaliere dei draghi umano ma discendente dagli elfi in seguito diventato un demone. È un inizio, non trovi?»

Ancora quella storia, ciò che aveva portato Tomoko a decidere di portarlo al cospetto di Raizen. Troppe coincidenze.

«Che cosa devo fare?» chiese incerto.

«Per ora continua ad imparare le tecniche demoniache. Quando avrai bisogno di aiuto con i grimori, specie con quello di Eimir, vieni da me. Ma non siamo che delle guide per voi, tutto ciò che possiamo fare è indirizzarvi sulla giusta via da seguire. Non potremo, purtroppo, accompagnarvi fino alla fine, non è questo il nostro compito.»

«Capisco. Posso sapere il tuo nome?»

«Glarald, di Ellesmera.»

 

 

 

~

 

 

 

Il destino di Siirist incomincia a farsi più chiaro. Il prossimo capitolo si intitola TRE SPADE, il mezzo demone verrà finalmente munito di katana. Ma saranno particolari, qualcosa di mai visto in Hellgrind.

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** TRE SPADE ***


TRE SPADE

 

Siirist e Rorix uscirono dalla grotta di Glarald e Vadraael e ritornarono all’aria aperta. Il ragazzo aveva bisogno di pensare, così si diresse all’altare sulle riva del lago. Aveva visto Raizen andarci spesso per stare da solo, meditare e calmare la mente. Si sedette sulla pedana di legno e immerse i piedi nell’acqua. Il lago non aveva una riva normale, era più una fossa profondissima, cilindrica, i cui lati andavano direttamente verso il fondo, invisibile dalla superficie. Siirist stava tranquillamente muovendo i piedi, creando delle linee nell’acqua quando avvertì una terribile presenza avvicinarsi con rapidità. Era una creatura dalle dimensioni colossali, e percepiva provenire da essa una fame così grande che sarebbe stata in grado di divorare il mondo intero. E veniva dalle profondità del lago. E si muoveva verso di lui. Senza nemmeno accorgersene, semplicemente guidato dal suo senso di sopravvivenza, volò via dall’acqua, i suoi occhi rosso sangue. Non aveva usato un incantesimo per levitare, non aveva avuto nemmeno il tempo di pensarci: i suoi poteri demoniaci si erano attivati spontaneamente. E per fortuna, perché, un secondo dopo, la superficie del lago esplose come in una tempesta e si alzò la possente testa di un drago marino. Ryfon non ne aveva mai visto uno dal vivo, ma sapeva come erano fatti, avendone letto svariate descrizioni e avendo visto innumerevoli rappresentazioni, sia sotto forma di pittura che di scultura. E molte di esse erano nell’Akai goten. Siirist aveva scoperto che il drago marino era una creatura sacra per i demoni, e rappresentava la famiglia reale. Ma di certo non si immaginava di trovarne uno che viveva nel lago nel giardino del palazzo. Lo continuò a fissare intimorito: il suo corpo era serpentino, lungo, molto lungo, e dal diametro di almeno cinquanta metri. Siirist vide le due zampe anteriori, delle specie di piccole braccia (erano almeno sei metri, ma, paragonate al resto del corpo, erano minuscole) che terminavano in tre artigli. Siirist sapeva che, verso il fondo del corpo, vi erano altre due zampe identiche, ma al momento erano immerse nell’acqua. La testa era enorme, e le fauci avrebbero potuto divorare sei buoi interi. Due grosse corna dall’aspetto simile al corallo si estendevano dal cranio. Le scaglie del mostro erano azzurre e d’oro.

«Non è molto saggio avvicinarsi alla superficie del lago. Occorre sapere come maneggiarli se non si vuole morire.» disse Raizen, appena arrivato.

Siirist lo guardò stralunato.

«ManeggiarLI?! Ce ne è più di uno?!»

«Il fondale di questo lago è quasi duemila metri sotto di noi: da lì si estende una lunghissima galleria sotterranea che arriva fino al mare.» spiegò l’Imperatore.

Alzò una mano, il palmo rivolto verso il drago marino. Questi si acquietò e si immerse, scomparendo in poco alla vista.

«Che mi dici di Glarald? È stata o no illuminante la conversazione che avete avuto?»

«Piuttosto mi ha fatto venire anche più dubbi.»

La bestia del fulmine rise, e Siirist scosse la testa.

 

Siirist era intento a duellare con Akira, Lin dur nella sua forma di lancia, quando vide arrivare l’uomo più strano che avesse mai visto. Disse al vampiro di interrompere lo scontro e andò incontro al nuovo arrivato. Questi era vecchio, i pochi capelli grigi tirati su in una coda di cavallo. La pelle pallida, gli occhi, due palle rotonde, che occupavano quai tutto il viso, il naso lungo e il mento appuntito dal quale si protendeva una barbetta da capra. Due lunghi baffi gli partivano quasi dai lati della bocca e arrivavano sotto al mento. La fronte era rugosa e spaziosa. Era vestito con il solito abito demoniaco, ma molto trasandato, particolare insolito per il palazzo, a strisce orizzontali verde chiaro e verde scuro. Camminava lentamente, le mani dietro la schiena piegata. Si fermò a due metri dal biondo.

«Sei tu Ryfon Siirist-sama?»

Era curioso come si fosse rivolto a lui con il suffisso onorevole ma usando il modo di parlare informale. L’interessato annuì e chiese, a sua volta, chi fosse lo sconosciuto.

«Vieni con me.» disse invece, ignorando totalmente la domanda del mezzo demone.

Questi si alterò e afferrò una manica al vecchio, strattonandolo. Egli si voltò, le guance gonfie, e liberò una fiammata in faccia a Ryfon. In un istante essa divenne una nuvola di fumo nero e fu aspirata dal mezz’elfo. Adirato, stava per ridurre il demone maleducato in un mucchietto di cenere, quando fu fermato da Akira.

«Totosai-dono, è sempre un piacere vedervi.»

Quello era Totosai? Il miglior fabbro di tutta Hellgrind?! Siirist alzò le sopracciglia e sgranò gli occhi per la meraviglia.

«Vuoi una spada o no?» chiese, rivolgendosi a Ryfon e ignorando del tutto il vampiro.

«Se mi avessi detto chi fossi e perché volevi che ti seguissi, non ci sarebbero state storie.»

«Non l’ho fatto?» domandò incerto, grattandosi la testa.

‹Questo qui è un idiota.› disse sorpreso Rorix.

‹O Raijin...› scosse la testa Siirist.

«Sì, vorrei una spada, grazie.» rispose con forzata calma.

Siirist e Akira seguirono l’improbabile fabbro verso l’ingresso di una grotta che si trovava in una parte remota del giardino e scesero varie rampe di scale intagliate nella pietra, fino a che raggiunsero una sala naturale in cui era stata costruita una fucina. Le pareti erano completamente decorate con katana, wakizashi, tantou, lance, naginata, nunchaku e altre armi. Siirist prese una delle spade e la osservò attentamente. Era veramente stato quel vecchio a forgiarla? Era una delle armi migliori che avesse mai visto in vita sua. Lin dur era notevolmente migliore, così come lo erano le armi del Consiglio, tutti capolavori di Bhyrindaar, ma era chiaro, all’occhio esperto di Siirist, che Beleg runia o le spade dei suoi amici non erano nemmeno lontanamente paragonabili a quella che teneva in mano.

«Lascia stare quel pezzo vecchio, ti devo preparare qualcosa fatto per bene.» disse pigramente e distrattamente Totosai.

“Pezzo vecchio”, aveva detto?! Stava scherzando, vero?!

«Tu, servo, fammi vedere le tue spade. Cos’è questa roba? Da chi le hai prese?»

«In città, da...»

«Non mi interessa da chi, perché non hai spade mie?»

«Perché le vostre splendide creazioni sono solo per i membri di più alto rango all’interno della corte. Io non sono che un umile servitore.»

«Sei la prima guardia di Siirist-sama, devi avere armi appropriate. Sei un vampiro, quindi una tua zanna dovrebbe andare bene. Dammela.»

Siirist non capiva. Osservò incredulo mentre Akira si strappava un canino e lo consegnava al fabbro.

«Vuoi solo una spada? Dammi una seconda zanna!»

Di nuovo, il vampiro tirò fuori dalla gengiva un suo dente acuminato.

«Avrai le tue spade tra una settimana. Ora tu, Siirist-sama, dammi tre penne.»

«Eh?!»

«Apri le ali e dammi tre penne. Ti devo forgiare tre spade, no?»

«Io... non capisco...» scosse la testa.

«Siirist-sama, Totosai-dono è in grado di utilizzare determinate parti del corpo nella creazione delle sue armi, in modo che possano potenziare i poteri dei possessori: anche la nodachi del vostro precedessore contiene una sua penna.»

Ora la cosa aveva più senso. Era fuori dal mondo, ma almeno aveva ricevuto una spiegazione. C’era solo un problema.

«Non so come si fa. Non ho mai aperto le ali, non so...»

«Allora perché sei qui a perdere il mio tempo?! Fuori, e torna quando potrai darmi le tue penne!»

A bocca aperta, Siirist si ritrovò cacciato a pedate e a martellate, perché il fabbro aveva preso un lungo martello e glielo aveva incominciato a dare in testa, dalla fucina.

‹Non c’è neanche una persona normale in questo posto.› commentò scioccato.

 

«Bene arrivato.» disse disinteressato Sesshoumaru.

Ryfon era arrivato al punto in cui l’inugami aveva affermato che non c’era più niente che potesse insegnargli riguardo al Juyo e che doveva semplicemente allenarsi a richiamarlo, perciò sarebbero, a partire da quel giorno, passati ad allenare i poteri demoniaci del biondo.

«Sono appena stato da Totosai.»

«Ti ha forgiato le tue spade?»

«No, dice che gli servono tre penne delle mie ali, ma non ho mai assunto la mia forma reale, non so come si faccia.»

Il demone cane lo fissò come fosse stato un verme, con il suo sguardo di superiorità che solo lui sapeva assumere. Senza dire una parola si alzò e abbandonò la stanza. Ryfon comprese che doveva seguirlo, perciò non si fece pregare. Uscirono nel giardino e si diressero ad un grande spiazzo tra il lago e il bosco di ciliegi che ricopriva un’area di nove ettari. Sesshoumaru incominciò a spogliarsi.

«La forma reale è, per l’appunto, il vero aspetto di un demone, quello con cui veniamo al mondo. Questo non è il tuo caso, ma trasformarti dovrebbe comunque essere lo stesso per te come per qualunque demone. Devi sentire il tuo sangue di demone scorrere dentro di te, devi liberarlo, devi lasciare che i tuoi istinti, le tue sensazioni ti avvolgano e ti rendano ciò che realmente sei. Non lasciarti andare alla fame, ma accetta completamente la tua vera natura. Osserva attentamente.»

Gli abiti di Sesshoumaru caddero a terra nel momento in cui i suoi capelli si sollevarono e cominciarono a fluttuare nell’aria mentre cambiavano colore e diventavano di un grigio appena più scuro. Siirist vide come egli aveva dei segni rossi, identici a quelli sulle guance, anche sui polsi e le caviglie. Essi si distorsero, perdendo la loro perfetta linearità e diventando come le pennellate di un ubriaco. La pelle del demone cambiò colore fino a diventare grigia come i capelli, gli occhi diventarono rossi nella parte della cornea e le iridi verde acqua, mentre la faccia si deformava e allungava. Le dita delle mani cambiarono forma, i piedi pure si modificarono e l’inugami andò in punta di piedi, mentre le caviglie cambiavano forma. Si piegò in avanti, arrivando a terra con le mani, mentre la pelle incominciava a diventare pelo. E cambiò dimensioni. Di parecchio. Nel giro di tre secondi, dove prima si era trovato un normale Sesshoumaru, c’era ora un cane dall’aspetto mostruoso alto oltre cento metri. Il suo ringhio era spaventoso, e quando abbassò la testa e fissò il suo terrificante occhio in faccia a Siirist, questi quasi se la fece sotto. Poteva essere potente quanto voleva, il fatto che certi individui della corte demoniaca lo terrorizzavano non sarebbe mai cambiato. In altri tre secondi, Sesshoumaru ritornò al suo aspetto umano e si rivestì.

«Ora fallo tu. Per imparare a liberare propriamente i tuoi poteri, devi essere in forma reale. Speravo non ci sarebbe stato bisogno di insegnarti anche questo. Ti conviene rimanere solo con l’hakama, in quanto le tue ali romperebbero i vestiti che indossi sulla parte superiore del corpo.»

L’inugami aveva ragione, per cui Siirist si tolse kimono e hiyoku, rimanendo solamente con i larghi calzoni/gonna. Si concentrò e cercò di replicare tutto ciò che gli aveva precedentemente spiegato il maestro. Inspirò a fondo ed espirò, cercando nei meandri della sua torre ciò che avrebbe scatenato la sua trasformazione. Rorix, steso a terra con la testa appoggiata sulle zampe anteriori, lo osservava attento. Siirist cercò di ritrovare le sensazioni che aveva provato tutte le volte prima di sentirsi gli occhi bruciare e i denti doloranti. Passarono cinque minuti e, finalmente, Siirist percepì un cambiamento nel suo corpo. I suoi occhi incominciarono a fargli male, mentre le vene gli si ingrossavano e portavano più sangue alle iridi, infine facendole diventare rosse. Poi gli giunse il formicolio alle gengive che si trasferì ai denti, i quali si appuntirono tutti leggermente e i canini si allungarono e diventarono come delle piccole lame. Ma il formicolio non si fermò alla bocca, lo percepì anche nelle mani, nel cuoio capelluto e sulla schiena all’altezza delle scapole.

‹I tuoi capelli stanno lentamente cambiando colore. Il rosso sangue si sta facendo strada dalla base alle punte. Ecco, ora sono completamente rossi.›

Le punte delle dita delle mani iniziarono a pungere, e le unghie si appuntirono. Ma la parte peggiore arrivò alla fine, quando Siirist sentì le scapole rompersi ed uscirgli dalla pelle. Soffocò un grido di dolore e si piegò su se stesso, il fiato corto, la trasformazione interrotta.

«Non fermarti, ci sei quasi. La prima trasformazione è sempre la più dolorosa, con il tempo non ti accorgerai di nulla. Sei fortunato che non devi far altro che aprire un paio di ali: le mie ossa cambiano tutte di forma e posizione e divento notevolmente più piccolo. Quanto credi sia stato piacevole per me imparare ad ottenere la mia forma umana?» lo rimproverò, annoiato e infastidito, Sesshoumaru.

Ryfon strinse i denti e spinse con forza, mentre le lucide penne nere si facevano strada tra la sua carne e pelle; infine le scapole uscirono completamente, permettendo la fuoriuscita delle grandi ali. Esse si piegavano in due punti, permettendo una doppia apertura ed un’estensione totale di quattro metri. Erano imponenti. Per quanto ricordassero a Siirist di Raiden (non osava nemmeno guardarsi la faccia con un occhio mentale), non poteva che essere fiero delle sue ali. Erano belle. E mortali: il giovane si ricordava bene quanto fossero in realtà affilate. Passò un dito sul bordo, temendo di ferirsi, ma non successe niente.

«Se stai cercando di vedere se sono taglienti, perdi tempo, dovrai allenarle per renderle tali. Ora che sei nella tua forma reale, occupiamoci di sviluppare i tuoi poteri. Come ben sai, sei metà vampiro e metà bestia del fulmine. Possiedi il potere di lanciare potenti scariche elettriche, muoverti alla velocità della luce, scatenare tempeste e creare campi magnetici. Puoi volare anche senza ali, sedurre le menti più deboli, vedere nel buio più completo, rigenerarti istantaneamente. Dei poteri dei vampiri, non possiedi la nebbia e lo stormo notturno, ma una variante unica nel suo genere (oltre a quella originale del traditore) che li combina. La nebbia, mista al potere oscuro dello stormo notturno, è parte del tuo corpo, e ti permette di essere invulnerabile a qualsiasi danno fisico. È utile, a differenza della rigenerazione, se vieni decapitato o impalato nel cuore, il tuo punto debole. Attento però, basta trafiggerti con qualcosa di argento per cancellare i tuoi poteri e poi ucciderti. Almeno hai la fortuna di poter usare la magia. Anche le tue ali sono un’emanazione di questo tuo potere, è con esso che riesci a renderle taglienti e a lanciare le penne come fossero una raffica di frecce. Ma anche senza allenarle, le tue ali rimangono degli ottimi scudi che potrebbero resistere facilmente a lame di Cristallo o Hellsteel, anche quelle ricoperte d’argento. Se dovessi, invece, andare contro una lama incantata, dipenderebbe dagli incantamenti se sia in grado o no di tagliartele. Per finire, possiedi il potere dell’Intimidazione. Essa è comune a tutti i demoni, in alcuni più forte che in altri. Ti sarà utile se combinata all’Ambizione, ma prima di riuscirci dovrà passare molto tempo. Intanto noi ci occuperemo solo del tuo potere demoniaco. Come hai sperimentato in passato, essa è in grado di annebbiare la mente degli avversari, facendoli sprofondare in un grande terrore. Ma questo è solo il primo stadio del potere. Da esso deriva il controllo della Paura, un’abilità che ti permette di concretizzare la tua aura demoniaca e duellare con il tuo avversario in un modo affine a come due mistici si possono affrontare mentalmente. Ora che sai quali sono i tuoi poteri, incominciamo ad allenarli. Per primo occupiamoci del fulmine. Osserva attentamente mentre io concentro e libero il mio potere.»

L’inugami alzò il braccio destro rivolgendo il dorso della mano a Siirist, il quale vide un’aura verde acido crearsi attorno agli artigli, per poi avvolgere l’intera mano. Era leggera, quasi invisibile, appena una distorsione nell’aria che rendeva quel punto di un colore più tendente al verde.

«Lanciami contro un sasso.»

Ryfon mosse una mano e una piccola pietra volò verso il demone cane: questi la afferrò, ma il momento in cui l’aveva presa, essa si sciolse senza lasciare traccia. Siirist era sempre più certo di non voler mai affrontare quel mostro. L’aura velenosa si intensificò, e divenne quasi una fiamma verde. Poi di nuovo si ridusse, andando a circondare solo l’unghia dell’indice, dalla quale si estese una specie di frusta che si allungava sempre più ad ogni movimento del braccio dell’inugami. Infine la ritrasse del tutto e chiese se il giovane avesse avvertito i cambiamenti nella sua energia demoniaca. Siirist li aveva sentiti. Si concentrò e richiamò il suo Flusso vitale, unendolo all’energia demoniaca che stava richiamando dalla coscienza del falso anziché alla propria energia magica.

«Usare un potere demoniaco è più difficile di lanciare un incantesimo, specie se se ne possiedono molti, come nel tuo caso. Per la magia è semplice: unito il Flusso alla corrente energetica nel tuo corpo, controlli ciò che verrà fuori con le parole della Vera lingua. Questo non è il caso dei poteri demoniaci. A differenza della magia, essi sono da sempre parte del tuo essere, devi solo imparare a generarli come impari a camminare. Quando cammini hai varie possibilità: puoi farlo trascinando i piedi, punta tacco o tacco punta, le ginocchia alte, senza piegarle e muovendoti con le gambe tese. Controllare i tuoi poteri è esattamente identico: hai unito il Flusso alla tua energia interiore?»

Il mezzo demone rispose.

«Bene. Ora dalle forma. Ora cammina. Vuoi creare un fulmine, immagina la corrente elettrica attraversarti il corpo, sentila nascere dalle tue dita. Come vuoi che sia il passo? È normale, con i piedi trascinati o all’indietro?»

Siirist capì gli esempi dei diversi tipi di cammino. Era come creare un incantesimo predefinito: gli si dava un nome e un determinato movimento del corpo per imprimere gli effetti e i valori energetici nella mente. Ora doveva fare lo stesso. La voce non aveva alcun potere e i movimenti del corpo pure non avevano senso perché, appunto, a differenza della magia, quel fulmine veniva da dentro di lui. Era tutta questione di immaginazione e azione-reazione: il suo cervello diceva al braccio di alzarsi, il braccio si alzava; il suo cervello diceva di liberare scariche elettriche, e il suo corpo liberava scariche elettriche. Il concetto era semplice, molto più di quello della magia, ma forse proprio perché egli era abituato ad utilizzare la magia, non fu in grado di liberare il suo potere demoniaco. Scosse la testa deluso, cadendo in ginocchio e con il fiato pesante. Era esausto. Sesshoumaru sospirò.

«Almeno sei stanco, questo significa che qualcosa si è mosso nel tuo corpo. Ti serve solo più pratica. Ora torna da Totosai e dagli tre penne, è tempo che inizi ad imparare la tecnica a una spada. Kenpachi non è noto per la sua pazienza, per cui è il caso che tu vada. Torna da me quando sarai in grado di mantenere almeno una scarica elettrica. Non mi interessa la sua intensità, voglio solo che sia stabile e che non si estingua alla minima esitazione. E fino a quel momento, continua ad andare da forma reale a forma umana, o da mezz’elfo, nel tuo caso.» e senza aggiungere altro, se ne andò.

Il mezzo demone, accompagnato dall’onnipresente Akira, che rimaneva sempre in disparte durante le lezioni del suo padrone, ritornò alla fucina del fabbro. Per passare nello stretto cunicolo che conduceva alla grotta, il giovane fu costretto a richiudere le ali. Non le volle rimettere sotto pelle, perciò si limitò a rimetterle nella forma delle scapole ma lasciandole in vista. Il vecchio demone lo fissò sorpreso, lo prese per le spalle e lo abbassò, piantando i suoi enormi occhi tondi a cinque centimetri dalla faccia dell’alato dai capelli rossi.

«E tu chi sei?»

«Siirist Ryfon.»

«Chi?»

«Sono qui per le mie spade.»

«Davvero? Sono già pronte?» si grattò il capo con aria interdetta.

Siirist lo fissò impassibile.

‹È veramente un idiota.›

Rorix, che si stava allenando in tecniche volanti e stava sorvolando Kami no seki, rise.

«No, ti devo dare ancora le mie penne.»

«E perché dovrei forgiarti delle spade? Quante ne vuoi?»

«Brutto idiota di un vecchio, devi forgiarmi tre spade perché te lo ha detto l’Imperatore! Sei venuto da me tre ore fa dicendomi che mi avresti forgiato delle spade e ora non te lo ricordi?!» si infuriò, lo afferrò per la barbetta da capra e lo tirò su.

Senza fiatare, il vecchio demone gonfiò le guance e liberò la sua fiammata in faccia all’alato, ma questi nemmeno ne fu scalfito che essa si trasformò in fumo il momento in cui venne liberata, per poi subito venire aspirata. Totosai parve riconoscere quella mossa.

«Ah! Il nuovo nipote di Raizen! Perché non l’hai detto subito? Hai le tre penne?»

Siirist era tentato dallo strappargli la testa dalle spalle, ma si trattenne. Estese l’ala destra, aprendo solo la prima piegatura, così che pareva avesse un’ala dalla lunghezza di un metro e mezzo, e tirò tre penne, strappandole. Sentì un leggero fastidio ad ogni strappo, simile allo strappo di un pelo.

«Ah, sì, ottime. Molto belle. Penne giovani e forti. Le tue spade cresceranno con te. Saranno pronte tra una settimana insieme a quelle del tuo servo. Ora sparite, devo mettermi al lavoro.»

Siirist e Akira abbandonarono la fucina e, una volta all’aperto, Siirist riaprì le ali, stiracchiandole.

‹Possibile che tu non abbia voglia di volare? Ora che hai le ali, è normale che lo faccia, non è più un incantesimo. Giornate come oggi sono rare, le condizioni sono perfette per volare. Non c’è una nuvola in cielo, si vede per chilometri e chilometri!› invitò Rorix.

‹No, sto bene, grazie. Penso andrò a visitare il mio harem, sto sentendo un certo bisogno.›

Si prese un momento e si concentrò prima di riacquistare il suo aspetto da mezz’elfo. Quando le ali rientrarono sotto la pelle strinse i denti, ma il dolore non era minimamente paragonabile a quando le estraeva.

 

In quella settimana, Siirist, assieme a Glarald, terminò lo studio del grimorio di Althidon, e decise finalmente di dedicarsi a quello di Aulauthar. Ignorò completamente la parte relativa alla magia e quella, misera se confrontata con quella precedente, ma comunque approfondita, della stregoneria, passando subito alla filosofia del Jar’kai a doppia spada. Aveva con sé la spada ad una mano e mezzo dall’elsa verde che aveva ottenuto dalla missione con la Gilda del ladri anni prima, ed era solo giusto che utilizzasse pure quella. Salda nella destra e con Lin dur nella sinistra, incominciò ad eseguire le movenze descritte nel libro magico. Alcune parole erano incantate in modo tale da animarsi e far apparire un fantasma di Aulauthar che mostrasse in tempo reale la corretta postura. C’erano state cose simili anche nel grimorio di Althidon, ed era grazie a queste spiegazioni esaustive che il giovane Cavaliere era riuscito ad apprenderne così in fretta i segreti. Non per niente quelle che aveva non erano che copie dei grimori degli Anziani, evidentemente li avevano riscritti in modo tale che fossero più dei libri di testo che dei diari. L’unico grimorio originale era quello di Evendil, l’unico libro che non racchiudeva solo i segreti delle arti mistiche e del combattimento in generale del suo scrittore, ma anche i suoi dubbi, le sue ansie, i suoi pensieri. Nel leggerlo, Siirist si era veramente sentito vicino al mezzo bosmer, ed era arrivato a capirlo nel profondo. Quando leggeva parole rivolte a lui (e ce ne erano molte), quasi piangeva. Continuava a rileggere quei passi anche ora, ridendo, arrabbiandosi, dispiacendosi. Il mezzo dunmer era stato molto affezionato a lui, lo aveva sempre saputo, ma il livello di sentimenti racchiuso in quel libro era oltre ogni immaginazione. Siirist aveva capito che era sempre stato nei pensieri dell’elfo, che sempre si era preoccupato per lui, sempre lo aveva sorvegliato, era stato più un padre per lui che il suo padre biologico che non lo aveva nemmeno riconosciuto quando era tornato a Skingrad. “Guardiano del Salvatore” era stato il suo nome. E se Siirist era veramente questo “Salvatore”, beh, non poteva aver chiesto di meglio di Evendil.

«Alcune di queste tecniche sono molto difficili. Devi avere una coordinazione perfetta, devi essere sciolto e fluido. Non mi sorprende che la doppia spada sia il Jar’kai più raro e che, attualmente, Aulauthar sia l’unico a usarlo. Ma fai bene a specializzarti in esso: nonostante siano completamente diversi, ti sarà utile quando imparerai il nitouryuu.» commentò Glarald, studiando il grimorio del Cavaliere d’argento.

Siirist stava eseguendo la quarta sequenza di movenze assieme al fantasma dell’Anziano, in cui doveva muovere in avanti il piede sinistro e portare al contempo un fendente con la mano corrispondente, per poi subito seguire con un affondo e un montante con la spada destra, quando venne a chiamarlo Akira. Gli bastò vedere le spade che il vampiro portava al fianco destro per capire cosa volesse. No, neanche le dovette vedere, piuttosto le percepì arrivare. Sentiva provenire da esse un’aura demoniaca, identica a quella del loro proprietario, ma comunque separata, e quasi gli pareva avessero delle personalità. Era come osservare un Akira a tre teste.

«Sono pronte.» gli comunicò il servo.

Siirist annuì, riponendo le due spade che aveva in mano nei foderi ai suoi fianchi. Prese il grimorio e lo richiuse, causando la sparizione del fantasma di Aulauthar, si congedò dall’elfo oscuro e seguì il vampiro alla sala del trono. Si sarebbe piuttosto aspettato di andare alla fucina del fabbro demoniaco, invece nella grande sala del palazzo si era riunita quasi tutta la corte. Raizen era seduto sul suo trono, accanto a lui Alucard e Kikyou, un po’ più distanti il resto della famiglia reale e i più importanti esponenti delle bestie del fulmine. Ma la cosa più importante, ciò che aveva richiamato tutta quella folla, era Totosai, vestito con il suo solito kimono trasandato, che aveva accanto a sé, poste ai piedi dell’Imperatore, tre spade ricurve riposte nel loro fodero di Hellsteel rivestito di legno laccato. Esse erano completamente nere, se non per le fasce che ricoprivano le impugnature, di una splendida combinazione di rossi. Potevano sembrare un unico colore, ma un occhio attento avrebbe notato che le fasce di seta erano in realtà bicolori ed intrecciate tra di loro: una era rosso sangue, della stessa tonalità degli occhi e dei capelli di Siirist in forma reale, l’altra era rubina come le scaglie del dorso di Rorix. Questi, appollaiato sul capo del suo Cavaliere, apprezzò.

«Avvicinati.» disse Raizen.

Ryfon fece come detto, pensando a perché ci fosse tanto interesse per delle semplici spade. D’accordo che Totosai non forgiava armi per chiunque, specie non armi personalizzate come le sue, ma anche Akira aveva ricevuto due spade, eppure aveva l’impressione che nessuno se lo cagasse di striscio.

«Che succede?»

«Ah, eccoti! Voglio che tu sappia quanto è stato difficile forgiare le tue spade! Non ho mai visto nulla di simile, e ho oltre duemila anni di esperienza!» si lamentò il vecchio fabbro.

Cosa ci poteva essere stato di diverso rispetto al solito?

«Le tue penne reagivano in modo insolito, il legame con il drago si sente fino a esse. E anche la magia che irradiano... Non ho mai lavorato con la magia! Beh, ecco cosa ne è venuto fuori.»

Totosai prese una spada e la sguainò rivelando la lama. Essa era percorsa da una linea che divideva la parte del filo da quella del dorso, come era solito per tutte le katana che Siirist aveva visto. La cosa insolita, però, è che essa non aveva un senso ondulato regolare, per quanto Ryfon ne avesse visto di diversi tipi, semplicemente non aveva alcun senso. Nella prima metà della lama, pareva un mare di fuoco, le varie lingue che si estendevano a leccare il filo; nella seconda, la linea di separazione pareva più una saetta, per poi ritornare ad essere una fiamma proprio sulla punta. E, naturalmente, la caratteristica più insolita della lama era il colore: non dell’abituale grigio-nero dell’Hellsteel, ma nero profondo, lucido come le ali del mezzo demone sulla parte del dorso e di un rosso sfumato sul filo, rosso scuro come il fuoco d’Inferno accanto alla tsuba, poi sempre più chiaro fino alla punta, rosso sangue a metà e infine un brillante rubino. Siirist era incantato. Al fianco aveva Lin dur, uno dei più grandi capolavori del più abile creatore di spade di tutto il regno elfico, la spada che era stata di Evendil, la spada che ora sentiva più vicina di Beleg runia. Ma davanti aveva la sua spada, una spada unica nel suo genere (senza contare le altre due identiche), una spada nata dal suo corpo. Estese la mano per afferrarla e Totosai la ripose nel suo fodero, prima di impugnarla per esso e porgerla al suo legittimo proprietario. Era chiaro che non la volesse toccare sulla lama. Siirist osservò attentamente la fattura a regola d’arte dell’elsa. La tsuba, la piccola guardia ellittica, quasi circolare, era finemente decorata. Presentava un drago alato posizionato in modo tale da quasi circondare l’elsa, intento a combattere o abbracciare, non era ben chiaro, ed era certamente quello l’intento, un drago marino. Sul piccolo anello metallico che avvolgeva l’elsa, sotto alle fasce di seta, a contatto diretto con la tsuba, era tracciata una linea orizzontale con la forma di una saetta azzurra, e sopra ad essa era raffigurata una fiamma nera. Siirist prese le altre due, vedendo come i dettagli erano esattamente identici se non per l’anello tra tsuba e seta: la seconda presentava due linee orizzontali sotto forma di saette e due fiamme, una sopra alla prima linea, una sotto alla seconda; la terza spada aveva tre di tutto, tre saette (quella in basso la più lunga, quella in mezzo la più corta e quella in alto una via di mezzo) e tre fiamme (le due sopra alle estremità della saetta, quella sotto esattamente alla metà della saetta più lunga). Vedendo solo la prima spada, Siirist non lo aveva capito, ma, confrontandola con le altre due, era chiaro che le saette rappresentassero le rune della lingua dei demoni che significavano “uno”, “due” e “tre”. Domandò il perché ci fosse questa chiarificazione, e gli fu risposto che la spada che va nella mano sinistra, in quella destra e in bocca non deve essere casuale. Le spade, grazie alla parte di corpo usata per crearle, “imparano” il loro ruolo e, con il tempo, Siirist avrebbe notato che impugnare la seconda spada anziché la prima con la sinistra avrebbe portato esiti differenti, e non ideali. Con un inchino ringraziò Totosai e si congedò. Ritornò nella sua ala privata del palazzo e andò in camera, Akira che portava le tre spade dentro a tre lunghi contenitori dalla forma quasi cilindrica di legno laccato, nero e rosso scuro. Li appoggiò accanto al letto del suo signore e lo seguì sul balcone, dove Ryfon si era seduto per guardare il tramonto. Gli si avvicinò Tomoko e gli chiese se desiderasse niente, al che il mezz’elfo rispose una tazza di tè nero con limone e miele. Indossava ancora le cinture con le spade di Cristallo, la destra che accarezzava l’elsa di Lin dur.

 

Il giorno dopo, Siirist si presentò al cospetto di Kenpachi. Questi lo stava aspettando impaziente, l’occhio visibile che lo fissava con uno sguardo da pazzo.

«Era ora che venissi da me. Da quando Raizen mi ha detto che devo insegnarti a usare le arti della spada, non ho potuto lasciare il palazzo. Ora combattiamo!»

L’inizio del discorso era stato detto con tono spazientito, era chiaro che anche lui, come Sesshoumaru, non fosse felice di fare da tata a un novellino, mentre l’ultima frase, l’invito a combattere, era stata pronunciata con un’aria di sadica e malsana gioia, l’occhio spalancato, il sorriso sguaiato. Neanche aveva finito di parlare, che già si era lanciato sul mezzo demone, la spada alla mano. Siirist fece appena in tempo a sguainare l’arma che aveva al fianco, la sua prima spada, per contrastare il colpo selvaggio del demone. Questi sorrise soddisfatto. Ryfon osservò con meraviglia le condizioni della katana del suo nuovo maestro, vedendo come fosse arrugginita e rovinata.

«Perché la vostra spada è così malmessa, maestro?»

«Questa è una vecchia spada. Pensi che sprechi le spade di Totosai contro un insetto come te?!»

Sorridendo anche più soddisfatto, il suo occhio che diventava giallo, menò un tondo dritto così possente da scagliare via Siirist verso destra, mandandolo a schiantarsi contro una parete. Cadde a terra indolenzito.

«Rialzati, abbiamo appena cominciato!»

Ghignò, la spada appoggiata alla spalla, e fissò il giovane accasciato poco elegantemente a terra con un’aria di gioia selvaggia.

 

 

~

 

 

 

Ora che ha le sue katana, Siirist è sempre più un demone. Ma i membri della corte davvero lo accettano come uno di loro? E cosa ne penseranno Alea, Gilia e gli altri Cavalieri quando scopriranno la nuova natura del Cavaliere d’Inferno? Il prossimo capitolo si intitola LA CERIMONIA DI SUCCESSIONE.

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** LA CERIMONIA DI SUCCESSIONE ***


LA CERIMONIA DI SUCCESSIONE

 

Erano passati trenta anni da quando Siirist aveva lasciato Vroengard, ne mancavano ora solo venti fino alla completa riattivazione della Spada. Come aveva saputo da Raizen, la Setta dello Scorpione aveva incominciato a rifarsi viva dieci anni prima, con operazioni sempre più grandi e vicine ai loro obiettivi. Ma, fino a quel momento, nessuno si era avvicinato eccessivamente a Tronjheim, Arcadia o Rivendell, rispettivamente le sedi dei Guanti, la Corazza e l’Elmo. A Rivendell e Arcadia, oramai da ventinove anni, erano stanziati i capitani, vice-capitani e altri otto Cavalieri della quinta, sesta, settima e ottava, nona, decima brigata. Anche la seconda, terza e quarta brigata erano state mobilitate per difendere la capitale dei nani, ma, come sempre, essi erano chiusi ed avevano impedito qualunque accesso, per cui si erano stanziati nei pressi dell’ingresso di Orzammar, la città-cancello del regno dei nani. E, per la somma soddisfazione del Cavaliere d’Inferno, nessuno all’interno dell’Ordine sapeva dove egli fosse finito. Come aveva pianificato, da Luka in poi le sue tracce erano state perse. Non poteva che essere contento che i suoi sforzi non erano stati vani. In quegli anni, aveva terminato di studiare tutti i grimori e imparato tutti i segreti contenuti al loro interno. Non aveva abbandonato le tecniche Jar’kai a doppia spada, perfezionandolo e ampliandolo con tecniche sue, movenze derivate dal suo stile personale che combinava Djem-so e stile della Volpe. E ora anche le varie forme di kenjutsu che aveva imparato da Kenpachi. Da quando aveva perfezionato il santouryuu, il suo maestro di spada non aveva fatto altro che sfidarlo. Ma a nessuno dei due piaceva veramente la tecnica a tre spade, quindi ne usavano sempre una, due al massimo. E Kenpachi era veramente formidabile. Siirist non poteva dire che si divertiva a duellarci, perché ogni scontro, al minimo errore, sarebbe stato mortale, ma di certo era eccitante. E grazie a quegli scontri, aveva potuto limitare molto le sue visite all’harem, ora composto da 1320 femmine. In quel momento Siirist si stava rilassando sotto un ciliegio in fiore, i suoi lunghi capelli biondi tra la schiena e il prato, godendosi la fresca e piacevole aria primaverile, quando gli giunse la voce anche troppo familiare di Kenpachi.

«Eccoti finalmente! Combattiamo!» urlò felice, il suo occhio giallo, la faccia che già aveva incominciato a mutare.

Quel pazzo aveva deciso di fare veramente sul serio questa volta, trasformandosi fin da subito nella sua forma reale, così Siirist non perse tempo e mise alla vita le due spade che gli passò il suo fedele Akira. Questi era, finalmente, diventato un servo fidato, nonostante non avesse ancora dato il suo giuramento, ed era sempre pronto ad accorrere a qualunque parola del mezzo demone. Il licantropo psicopatico, con il pelo completamente nero, le orecchie irte, i denti bianchissimi e letali mostrati in un ghigno, l’occhio dorato che lo fissava con aria maniacale, le grosse mani artigliate che stringevano le spade, balzò verso il suo vecchio allievo, e le quattro lame di Hellsteel cozzarono a due a due. Il demone arretrò con un salto e si piegò in avanti, quasi toccando terra con le mani. Le braccia, nella trasformazione in forma reale, rimanevano come nella forma umana, se non più massicce e completamente ricoperte di peli, mentre le gambe assumevano più la forma di zampe di lupo, e il demone aveva la possibilità di stare su due o quattro zampe. Logicamente, quando impugnava le spade, stava solo su quelle posteriori. La coda guizzò per l’eccitazione. Siirist sorrise. Era soddisfacente duellare con Kenpachi, e non solo perché era sempre uno scontro con la possibilità di morire se si commetteva un errore, quanto perché dava al mezzo demone l’opportunità di dimostrare la sua superiorità. Doveva impegnarsi completamente se non voleva morire, era vero, come era vero che il licantropo era nella sua forma reale e usava tutto il potere del suo Juyo (principalmente derivante da gioia maniacale e non un insieme impetuoso di varie emozioni come quello di Sesshoumaru, perciò meno elaborato e sviluppato) per combattere contro Siirist che rimaneva in forma umana. E la forza dei colpi del licantropo era oltre i 600mila douriki, nonostante la sua forza reale fosse di 170mila, novantamila se in forma umana. Kenpachi ritornò all’attacco, menando un forte sgualembro dritto, deviato dalla prima spada di Siirist; subito attaccò con un sottano dritto con la seconda, che il demone deviò con l’arma nella sinistra. Lo scambio di colpi era furioso e rapido, e Siirist semplicemente si fece guidare dall’istinto, la lezione di base per utilizzare le tecniche del kenjutsu, senza utilizzare alcuna coreografia studiata che combinasse tutte le sue forme di combattimento con la spada. Nella sua testa, seduto al pianoforte, improvvisava come poteva fare un ubriaco, lanciando le mani sulle note e creando cacofonie e suoni discordanti, che, comunque, avevano un senso, per quanto impercettibile. Lo scontro durò per altri cinque minuti, fino a che, con una silenziosa intesa, i due duellanti si fermarono, si complimentarono con un inchino e si salutarono, Kenpachi che abbaiava soddisfatto, suono che divenne una risata fragorosa quando riassunse la sua forma umana. Siirist scosse la testa e riconsegnò le sue spade ad Akira, che le mise nei loro contenitori di legno laccato.

‹Perché non capisce che ormai sei più forte di lui?› chiese Rorix.

Egli era stato a volare con Vadraael, e, oramai, era una settimana che aveva lasciato Kami no seki assieme al drago tigrato. Il Cavaliere aveva incominciato ad essere preoccupato, poiché avevano interrotto il loro contatto mentale, e risentire la voce del suo compagno lo risollevò.

‹È appunto perché sa che sono forte che si diverte a duellarmi. Se non fosse per Raizen, mi avrebbe sfidato ad un duello fino alla morte, e sarebbe morto. Ma dimmi di te! Che hai fatto tutto questo tempo?! Mi sei proprio mancato, sai?›

L’Inferno non sprecò parole inutili e semplicemente aprì del tutto la sua mente. Siirist fu investito da una serie di immagini, odori e sensazioni che descrivevano tutto ciò che il suo drago aveva fatto in quei sette giorni: voli rilassanti, acrobazie difficili, duelli con il drago più anziano, battute di caccia, passeggiate. Il loro legame mentale, oramai al 100%, non richiedeva loro di dialogare: era semplice unire del tutto le loro menti ed i loro pensieri diventavano una cosa sola. Non era molto saggio mantenere quello stato a lungo, poiché diventava difficile, più tempo passava, dividersi nuovamente e mantenere la propria identità, ma in combattimento era molto utile poiché si potevano utilizzare combinazioni senza doversi mettere d’accordo, e si avevano a disposizione due punti di vista senza dover aprire alcun occhio mentale. Non che farlo fosse un problema ora per il mezz’elfo, in quanto, nel suo stato di assoluta calma, ne poteva aprire facilmente cento con lo stesso sforzo che gli era richiesto per sbadigliare. Siirist aveva raggiunto un totale di 350mila douriki fisici, che diventavano 500mila quando andava in forma reale. Era certo di essere più forte di quanto lo era stato Raiden quando aveva assaltato la Rocca, trenta anni prima, ma anche l’odiato demone, non ne dubitava, si era potenziato nel corso di quegli anni. Senza contare che egli era in grado di utilizzare le sacre arti del fuoco nero, che Ryfon ancora ignorava. Sospirò a quel pensiero, mentre si toglieva il kimono per aprire le ali, i suoi capelli rossi che venivano scostati, e prendeva il volo per andare incontro all’Inferno in arrivo.

 

«Volevate vedermi?»

Un’ora dopo il ritorno dei draghi, Siirist era stato convocato dall’Imperatore e lo era andato a vedere nella sala del trono. La rivide piena delle figure più importanti della corte, cosa che gli riportò alla mente il giorno in cui gli erano state consegnate le spade.

«Kenpachi dice che sei uno splendido avversario, il suo modo di ammettere la tua superiorità, e Sesshoumaru pure afferma che la tua padronanza dei tuoi poteri è ora assoluta, hai solo bisogno di allenarli e svilupparli ulteriormente. Anche Glarald mi ha informato dei tuoi progressi come Cavaliere e della tua conoscenza assoluta dei grimori che hai portato con te da Vroengard. È ora che impari ciò che hai rimasto da imparare: le tecniche segrete dalla famiglia reale dello stile a tre spade, il controllo della tua Ambizione e le sacre arti del fuoco nero. Spero tu sia pronto.»

«Non aspettavo altro.»

«Andrai subito a Rivendell quando avremo finito?»

Siirist annuì

«Sappi che non è qualcosa che accadrà a breve, impiegherai anni per padroneggiare tutto ciò che ho da insegnarti.»

«Allora perché stiamo a perdere tempo?»

 

Siirist e Raizen si ritirarono in una stanza privata nei sotterranei del palazzo. Nessuno doveva vederli, solo ventisei demoni conoscevano le tecniche segrete che l’Imperatore stava per insegnare al mezzo demone, tutti membri della famiglia reale, tutti raikou no bakemono, bestie del fulmine, e un ibrido: Raiden. E ora Siirist, un altro ibrido, per quanto di seconda generazione, stava per apprendere quelle potenti tecniche. Era in forma reale ma con le ali richiuse, perché esse non erano che un impiccio per le movenze dello stile a tre spade, la sua prima katana nella sinistra, la terza nella destra, la seconda stretta tra le zanne. Raizen, due corna che uscivano dalle tempie e quasi si toccavano davanti alla fronte, era armato nello stesso modo. Si mise in posizione allargando i piedi, inclinandosi in avanti e incrociando le braccia. Siirist riconobbe quella posa come quella che aveva utilizzato Raiden tanti anni prima. Con una serie di rapidi colpi, aveva sbaragliato tutti e quattro gli Anziani e le invocazioni di Eimir. Raizen partì nella stessa sequenza di attacchi, roteando su se stesso, facendo guizzare le lame, la seconda che sempre accompagnava i movimenti della terza, mentre la prima era più libera. Poi si rimise in posizione e ripeté i movimenti, ma più lentamente, così che il mezzo demone potesse capirli ed eseguirli a sua volta. Poi l’Imperatore spiegò il modo di combinare le diverse emozioni che scatenavano il Juyo con i diversi colpi, e continuarono per ore fino a che Siirist non stramazzò al suolo. Quegli allenamenti segreti andarono avanti per oltre un anno prima che il mezzo demone riuscì a padroneggiare il santouryuu ougi, le tecniche segrete delle tre spade.

Quando venne il giorno in cui Raizen avrebbe spiegato come controllare l’Ambizione, Siirist lo trovò nella sua ala privata del palazzo. Il mezzo demone notò con meraviglia come essa fosse molto meno lussuosa della propria: Raizen, infondo, era una persona semplice, e troppi sfarzi non gli andavano molto a genio. Lo trovò felicemente seduto su una sedia di legno su un balcone, mentre osservava l’alba.

«Mi avete detto di venire appena mi fossi svegliato.»

Raizen non rispose, aspettando che il sole finisse di sorgere e che il cielo diventasse completamente azzurro. Infine sorrise e si girò verso il mezz’elfo.

«Sei pronto? Devi essere emozionato, stai per imparare ad usare l’unico potere che hai avuto per tutta la vita, anche se non lo sapevi.»

«Non posso dire di essere emozionato, quanto impaziente. Per tutti gli anni che sono stato a Vroengard ho sentito menzionare questo mio potere segreto, ma nessuno me ne ha mai parlato. Poi, una volta scoperto di cosa si tratta, mi aspettavo di almeno capire come funziona, o almeno che cosa fa: ma niente. E per trent’anni non abbiamo toccato l’argomento qui. Sono stato impegnato, è vero, però non mi sarebbe dispiaciuto sapere qualcosa a riguardo.»

«È perché serve una grande disciplina mentale per controllare il tuo tipo di Ambizione. Era necessario che ti trovassi perfettamente a tuo agio come demone prima di anche solo provare ad utilizzarla.»

«Il mio “tipo”? Ce ne sono diversi?»

Raizen annuì.

«Tre per la precisione. Essi sono chiamati “colori”: il colore dell’osservazione, il colore dell’armatura, il colore del re. Qualunque essere senziente porta in sé uno di questi colori, ma quello del re, il più forte, è presente in una persona ogni cento milioni. Chi lo possiede è anche in grado di manifestare gli altri due colori. Come ho detto, chiunque possiede almeno un colore di Ambizione, ma non tutti sono in grado di manifestarlo. Il nome, Ambizione, dovrebbe indicare da sé di cosa si tratti: è necessaria una forte determinazione, una grande forza di volontà per risvegliare il potere, e, successivamente, disciplina per imparare a controllarlo, specie il colore del re, perché non può essere sviluppato con un allenamento specifico, a differenza degli altri due, ma con una crescita personale. Altro motivo per cui ho voluto aspettare prima di insegnarti ad utilizzarlo. Il colore del re, se non controllato a dovere, può essere molto pericoloso per chi ti circonda, perché esso porta con sé un potere di intimidazione molto grande, e chiunque non abbia una mente sufficientemente forte perderebbe i sensi, o potrebbe addirittura morire. Chi è abbastanza forte da resistere può comunque trovarsi interdetto o sbilanciato, come se si viene colpiti da una forte mazzata, ma a livello interiore e non fisico. Infine, ai livelli più alti, il colore del re è in grado di influenzare l’area circostante, manifestandosi come una grande pressione. E non dimenticare da dove nasce il potere dell’Ambizione: il colore del re, infatti, è in grado di portare con sé anche la tua magia involontaria se non stai attento. Ripensa a quando mio nipote ha ucciso Evendil e tu ti sei trasformato in draconiano, completamente perdendo il controllo dei tuoi poteri: il tuo fuoco d’Inferno ha avvolto tutta la Rocca, e questo a causa della tua Ambizione che si liberava dal tuo corpo. E ripensa anche a quando hai demolito quegli edifici: è proprio quello che intendevo con “influenzare l’area”. Gli altri due colori sono certamente meno forti, ma comunque di tutto rispetto, e tutti e tre combinati generano un potere enorme. Il colore dell’osservazione è quasi un’evoluzione del settimo senso, infatti è presente in persone dalla indole molto riflessiva. Il settimo senso ti permette di percepire le presenze di ciò che ti sta intorno, il colore dell’osservazione ti permette anche di percepire presenze a chilometri di distanza. Oltre a ciò, ti permette di “vedere” il tuo avversario così bene da riuscire a prevedere le sue mosse. Mi raccontasti qualche anno fa che a Zanarkand avesti un sogno premonitore in cui vedesti la Setta dello Scorpione attaccare il palazzo del granduca. Da quello che io e i miei mistici abbiamo potuto capire, si tratta della tua Ambizione, proprio il colore dell’osservazione, unita al tuo Flusso. Queste premonizioni potrebbero essere un ulteriore potere derivante dal tuo grande legame. Stesso discorso per il sogno in cui vedesti mio nipote poco prima di incontrarlo personalmente. Come il settimo senso, l’Ambizione percepisce ciò che ti è intorno, dunque potrebbe aver condizionato il tuo istinto di sopravvivenza, dandoti queste visioni di pericolo imminente.»

Siirist ponderò sulle ultime parole di Raizen. Effettivamente lui non aveva mai imparato a controllare l’Ambizione, però il colore dell’osservazione si era attivato varie volte in cui era stato in pericolo mortale: prima fra tutte quando affrontò il grem, poi a Zanarkand. E persino sul Gagazet, quando ebbe la visione di Alea schiacciata dal behemoth e il suo lato draconiano si risvegliò e la calciò via dalla traiettoria del signore delle nevi.

Contro Raiden, invece, non era emerso perché sapeva che non era veramente in pericolo e che l’alato dai capelli argentati era solo intento a giocare. Quando poi lo aveva veramente voluto uccidere, era arrivato Evendil a salvarlo e comunque, lo sapeva benissimo, anche se l’Ambizione si fosse manifestata, non avrebbe avuto scampo.

«Infine il colore dell’armatura. Esso ti dona una enorme forza fisica, così grande da indurire il tuo corpo al punto da essere almeno tre volte più resistente. Esso, combinato al Juyo, renderebbe i tuoi attacchi così devastanti che non c’è nessuno in tutta Hellgrind che riuscirebbe a resisterti. A parte me, è chiaro. Mio nipote possiede questo tipo di Ambizione, quindi fai attenzione.»

«Questo è bene. Sinceramente trovo il colore dell’osservazione più pericoloso. Se è forte, tutto ciò che devo fare è uguagliarlo e superarlo. Se prevede i miei attacchi, non c’è molto che possa fare, perché non farebbe che evitarli.»

Raizen annuì, mostrando la sua approvazione.

«Allora, vogliamo cominciare?» disse carico Siirist, alzandosi in piedi.

«Questo è lo spirito giusto per controllare l’Ambizione, bravo. Solo un’altra cosa prima di iniziare: è giusto che tu sappia che il colore del re è raro per un motivo. Tutti coloro che lo possiedono contribuiranno, in un modo o nell’altro, a cambiare il mondo e a guidarlo. Eleril ce lo aveva, io ce l’ho, e ora tu. Non so di nessun altro. Forse qualcuno ancora c’è, una o due persone, ma non ne ho sentito parlare, e ciò significa che non l’hanno risvegliato, sempre ammesso che esistano. In ogni caso il fatto che possiedi il colore del re sta a significare quanto realmente sei importante per questa epoca. Il Flusso vitale è vita, e non si manifesta mai così abbondantemente in qualcuno senza un motivo preciso. Sei nato con il potere dell’Ambizione del re e destinato a diventare il Cavaliere d’Inferno. Se devo essere sincero, credo anche che fosse inevitabile la tua trasformazione in demone. Ricorda che sei il settimo Cavaliere d’Inferno. Ti do un ultimo consiglio: quando hai fatto ciò che devi fare a Rivendell, vai a Tronjheim. Come loro solito, i nani non ti faranno entrare, ma trova un modo. Sono sicuro che è parte del tuo destino riportare alla luce quelle teste di pietra. Temo che la Setta dello Scorpione possa essere più pericolosa di quanto i Cavalieri immaginino. Grazie alla tua presenza a quel discorso tra il conte di Anvil e quegli Scorpioni, si è scoperto di questa figura chiamata “Architetto”. Chi esso sia, lo ignoro, ma ciò che so è che è superiore a mio nipote. Raiden non è mai stato qualcuno che si faceva mettere i piedi in testa, e anche con me si è sempre dimostrato molto disubbidiente. Mai nessuno ha osato sfidarmi o contraddirmi da quando sono diventato Imperatore. Invece ora fa tutto ciò che gli viene detto. Mi dicesti che voleva lasciarti in vita ma che gli era stato ordinato di ucciderti, sbaglio? Questo dovrebbe farti pensare. È una fortuna che, alla fine, abbia deciso di morderti e non ucciderti. D’altronde doveva essere esausto dallo scontro con gli Anziani e forse avrà pensato che sarebbe stato più interessante scatenare un ghoul del tuo livello in mezzo ai Cavalieri, anziché eliminarti. E non dimentichiamo l’ultimo dettaglio importante: questo Architetto è a conoscenza delle Reliquie. Fino a che mio nipote ci tradisse e rubasse i Gambali, in tutta Tamriel gli unici a sapere della loro esistenza erano i guardiani, cioè io, il re dei nani, il re degli elfi, il principe di Rivendell, il granduca di Zanarkand, l’Imperatore di Arcadia, il Consiglio degli Anziani dell’Ordine dei Cavalieri insieme ai dieci capitani delle brigate, i loro secondi in comando e la Volpe Grigia. Punto. Nessun altro, ventotto persone in totale conoscevano questo segreto. Eppure questo “Architetto” sapeva della loro esistenza. Chiaramente, una volta rubati i Gambali, il segreto è stato infranto e la Volpe Grigia ha subito informato tutta la Gilda dei Ladri, così che potessero raccogliere informazioni. Non guardarmi così, so queste cose perché fui io ad informare la Volpe del furto. Se proprio ci tieni a saperlo, conosco anche la sua vera identità, ed è qualcuno che conosci, ma che mai ti aspetteresti.»

Siirist era a bocca aperta e non riusciva a rispondere.

«Per finire, e poi cominciamo con l’allenamento, chiunque sia l’Architetto, è qualcuno di veramente potente per riuscire a controllare così bene mio nipote ed essere stato a conoscenza del segreto delle Reliquie. Ho un leggero sospetto su che cosa possa realmente essere, anche se è quasi impossibile, e no, non te lo dirò perché non ha senso stare a fare supposizioni. Se mai dovessi scoprire che i miei sospetti sono fondati, sarai il primo a cui lo dirò, stanne certo. Ora non perdiamo altro tempo.»

 

Siirist aprì gli occhi. Nel letto, accanto a lui, vi era Tomoko. Come ella notò che il padrone si era svegliato, subito balzò fuori dal letto e si diresse a preparare da mangiare, mentre un’altra delle accompagnatrici si occupava di preparare l’acqua per il bagno. Ryfon afferrò la gatta per il polso e la riportò sul letto. Si era affezionato a lei, non c’era dubbio. Non provava nemmeno una goccia della vastità di sentimenti che sentiva per Alea, a cui mai, nemmeno per un secondo, in quei trentuno anni, non aveva pensato; nel suo mondo interiore, la sua torre si era elevata di un piano, un piano interamente dedicato alla altmer. Ma la bakeneko era divertente, spigliata, simpatica e molto dolce. Le voleva bene. E se c’era una concubina con cui gli piaceva veramente andare, era lei. In un certo senso, riviveva con lei il rapporto che aveva avuto, un tempo, con Keira. Se Tomoko e Kaede si fossero fuse, avrebbe veramente avuto una versione demoniaca della sua amica d’infanzia. Ah, Keira... chi sa quanto era invecchiata... Dopotutto lui aveva ora cinquantuno anni, per cui lei ne aveva cinquantacinque. Eppure lui aveva esattamente lo stesso aspetto di quando si era guardato allo specchio quel lontano giorno in infermeria, subito dopo essersi svegliato dopo il rito del Sigillo di sangue, con l’unica eccezione dei capelli lunghi. In quel momento odiò gli anni passati a Hellgrind, e, anche di più, la Setta dello Scorpione che li aveva causati. Terminato l’addestramento a Vroengard, sarebbe voluto andare ogni fine settimana a Zanarkand e stare con la sua amica. Si era oramai sposata con il suo fidanzato, e lui nemmeno se ne ricordava il nome... Aveva perso il giorno più importante di una delle più importanti persone nella sua vita. E chi sa se avevano avuto figli? Aveva perso anche la loro nascita. Pensò per un momento che, lasciata Hellgrind, sarebbe potuto andare a Zanarkand. Dopotutto non mancava molto a quel giorno, gli era rimasto solo il fuoco nero da padroneggiare. E invece sapeva che non aveva tempo da perdere, sapeva che doveva andare di fretta a Rivendell. Neanche a dire che poteva fare una sosta, avrebbe avuto Glarald con sé. Zanarkand, la sua città dei sogni... Ripensò a Glallian, a come doveva essere cresciuto e maturato, se era succeduto o no a suo padre. Avrebbe dovuto chiederlo a Raizen, lui di certo ne era a conoscenza. Era rimasto isolato per troppo tempo, e lo odiava. Keira... Quanto l’avrebbe voluta avere accanto quando era diventato un demone, le sue sagge parole gli sarebbero certo state d’aiuto. Era sempre stato così, da quando l’aveva salvato da quei sei ragazzi più grandi che lo stavano pestando, era sempre stata lei a tirarlo fuori dai guai, a frenare la sua indole da delinquente scatenato. E presto non ci sarebbe stata più. E lui non aveva passato quegli anni insieme a lei. Aveva una vita lunghissima davanti a sé, avrebbe potuto stare con i demoni un secolo più tardi. Perché gli Scorpioni avevano dovuto attaccare al suo quarto anno?! Perché non potevano averlo fatto cento anni più tardi?! Se dovevano rovinargli la vita e isolarlo da tutte le persone che erano state preziose, perché non lo potevano aver fatto quando quelle dalla vita breve erano già morte, almeno avrebbe fatto tesoro di quei momenti preziosi?! Li odiava, li odiava così tanto. Li voleva uccidere tutti, quando ne avesse incontrato di nuovo uno lo avrebbe fatto a pezzi, strappandogli un arto alla volta. Quanto li detestava. Il solo pensare allo scorpione animale lo mandava in bestia. Due settimane prima ne aveva visto uno nel giardino: aveva creato una voragine profonda tre metri con una sfera di fuoco d’Inferno avvolta da fulmini azzurri. Una forte furia gli salì dallo stomaco, un ringhio gli venne in gola.

«Che vi succede, Siirist-sama? ... I vostri occhi...!» si preoccupò Tomoko.

La voce della gatta riportò il mezzo demone alla realtà. Scosse la testa e tutte quelle sensazioni negative scomparvero e ritornarono negli abissi del suo essere.

«Che hanno i miei occhi?» chiese con voce roca, alzando la voce.

«Ora niente, ma prima... le pupille...»

«Erano allungate?»

Ella annuì, incerta. Non era certamente una trasformazione ad allarmarla, quanto una insolita. D’altronde non era a conoscenza dello stato draconiano.

«Lascia stare, non è niente. Ho cambiato idea, vammi a preparare la colazione, per favore.»

«Certamente, Siirist-sama.»

Come ella fu uscita, fece capolino Akira.

«Buongiorno, Siirist-sama.»

«Buongiorno anche a te, Akira.»

«Oggi è il grande giorno.» gli ricordò il vampiro.

«Sì. E se dovesse andare bene, mi giurerai fedeltà?»

«Sarò vostro fino alla morte, Siirist-sama.»

Al mezzo demone piacque quella risposta. Se, anni prima, il pensiero di avere dei servitori lo faceva ridere, ora era una cosa che pretendeva. Da un lato ritornare a Vroengard sarebbe stato strano. Non aveva più niente a che spartire con i Cavalieri, dopotutto, se non l’ovvio dettaglio di essere un Cavaliere dei draghi. E comunque voleva ritornare alla Rocca, e presto, anche se per motivi totalmente differenti dal suo dovere, cioè lunghi e splendidi, splendenti e profumati capelli biondi, occhi come due perfetti smeraldi, e una bocca da baciare. Ma sì, voleva anche rivedere quel testa di cazzo di Gilia! Ridacchiò fra sé cercando di immaginarsi cosa stesse combinando. Alea se l’era sempre vista uguale, intenta nella sue faccende, ma comunque ad aspettarlo. Ma Gilia? Si era trovato una donna? Era stato vicino a Deria mentre lei invecchiava, a differenza di lui con Keira? Alea... In un modo o nell’altro, ritornava sempre a pensare a lei. Si alzò dal letto e si avvicinò allo specchio, il vampiro che continuava ad osservarlo, aspettando i suoi ordini in silenzio per non disturbare i suoi pensieri. Ryfon si osservò, i lunghi capelli, che aveva smesso di tagliare da sette anni, che gli arrivavano al bacino. Non sapeva se tagliarli o no. Forse li avrebbe lasciati in quel modo per un altro po’, almeno fino a Rivendell. Già che c’era, avrebbe potuto provare un’acconciatura elfica, e per quella non poteva avere la pettinatura che aveva tenuto per trent’anni, da quando ne aveva avuti quattordici. Continuò a guardarsi, girando su se stesso, e cercando di decidersi, quando ritornò Tomoko con quattro cornetti vuoti, una fetta di torta di mele, una spremuta d’arancia e una mela verde. La ringraziò e si accomodò al tavolo sul balcone sul quale la gatta aveva appoggiato il vassoio. Mangiò con gusto, osservando lo splendido panorama del giardino dell’Akai goten e, sotto, il resto di Kami no seki, per poi andare in bagno a lavarsi, prima di vestirsi con il suo kimono più elegante, blu scuro con alcuni ricami celeste ghiaccio, un obi blu notte, così intenso da sembrare nero, alla vita. Quello era il suo grande giorno, il giorno che tutti i demoni dell’Akai goten avevano atteso da quando il mezz’elfo era giunto tra di loro. Il giorno della verità. Dopo essere stato morso da Raiden, egli aveva ereditato il sangue di Obras, e questo lo rendeva automaticamente in grado di generare il fuoco nero. Ma c’era una differenza tra creare una fiammella (che, comunque, aveva un potere distruttivo immenso, in quanto bruciava come nessun altro fuoco era in grado di fare ed era impossibile da estinguere) e utilizzare le sacre arti della famiglia reale. E quel giorno si sarebbe scoperto se il mezzo demone ne era in grado. Non era questione di studio, era come il poter usare o no la magia: se si aveva un legame sufficiente con il Flusso, era possibile studiarla, se no niente da fare. Lui doveva avere la dote innata, doveva essere stato scelto dal dio come suo successore, e solo se lo era stato poteva utilizzare le sacre arti. In quel momento, vi erano sette membri della famiglia reale che ne erano in grado: Raizen, Raiden, Kikyou e altri quattro raikou no bakemono. Era da vedere se lui sarebbe stato o no l’ottavo.

Appena lasciò la sua ala del palazzo assieme alle sue sei guardie personali e alle tredici accompagnatrici, iniziò a vedere tutta la processione che si stava dirigendo all’altare sul lago. Si fermò e trasse un profondo respiro. Era certo di essere un successore di Obras, dopotutto era questo “Salvatore”, o almeno tutto puntava in quella direzione. Mai aveva dubitato di avere ciò che servisse per utilizzare le sacre arti. Pure Raizen ne era convinto, tanto che gliele aveva già mostrate tutte, e gli aveva spiegato come funzionassero. Non era stata una vera e propria lezione, quanto una conversazione avuta il giorno dopo il loro ultimo allenamento sull’uso dell’Ambizione. Siirist ne aveva già viste tre, lo Tsukuyomi, l’Amaterasu e il Susanoo, utilizzate da Raiden nella grande battaglia alla Rocca. Ma la quarta gli era ignota, in quanto l’alato traditore non aveva mai usato la Asura no tensei. Come spiegato dall’Imperatore, essa era un’evoluzione dello Tsukuyomi, in quanto si trattava di modellare il fuoco nero come nove katana, impugnate in sei braccia e tre bocche. Le ulteriori braccia e facce anche erano una manifestazione del fuoco nero e, in quella forma, si appariva come una reincarnazione di Asura, il primo Imperatore dei demoni, e si aveva accesso alla più potente tecnica di combattimento, lo stile a nove spade. Raiden non era minimamente in grado di ricreare la Asura no tensei, e nemmeno Raizen lo aveva perfezionato, essendosi fermato a sette spade: non era mai stato capace di modellare il fuoco nero in modo tale da ricreare le altre due facce. Appariva, così, come un demone a sei braccia con una faccia sola. Questo lo rendeva incapace di usare efficacemente la quarta arte sacra, poiché se non completa, risultava molto pericolosa anche per l’utilizzatore, a causa del numero eccessivo di arti e spade. Secondo la leggenda, invece, se si riusciva a ricreare perfettamente la figura di Asura, il kyuutouryuu risultava naturale come lo era volare per un alato.

Siirist inspirò di nuovo a fondo. Doveva essere sicuro di sé. Se Raizen non aveva dubbi, non doveva averli neppure lui. Riprese a camminare, e i suoi servitori lo seguirono senza discutere. Era il suo giorno. E non avrebbe avuto problemi. Lui era il Cavaliere d’Inferno, l’uomo scelto dal Flusso vitale, colui che avrebbe riunito le razze di Tamriel. O almeno così si diceva. E se avesse superato la cerimonia, lo avrebbe iniziato a pensare anche lui. Tutto d’un tratto si sentì nudo senza la Collana del Giuramento al collo e Lin dur al fianco destro. Erano anni che non le teneva più, prendendo la spada di Evendil solo una volta a settimana per fare pratica con lo stile dei Cavalieri, ma in quel momento ne sentì più che mai la mancanza. Era il suo momento decisivo, e avrebbe voluto sentire Alea e il mezzo bosmer vicini. Stava per esitare quando sentì una presenza che non avrebbe mai scordato accanto a sé che lo toccò sulla spalla. Si fermò di colpo e si guardò dietro. Non c’era nessuno, se non i demoni che lo seguivano. D’altronde era chiaro, era impossibile, lui era morto da trentuno anni, non poteva essere lì. Nel suo mondo interiore, Siirist uscì dalla sua torre e la aggirò, arrivando nel punto corrispondente alla porta d’ingresso. Davanti a lui si trovava una grande pietra, sulla quale, in rune elfiche, era scritto il nome di Evendil. La toccò e ancora sentì quella sensazione familiare accanto a sé. Chiuse gli occhi. Annuì convinto, e quando li ebbe riaperti, riprese il cammino verso l’altare, l’andatura forte e decisa. Sì, non c’erano dubbi: avrebbe superato la cerimonia.

Attorno alla riva del lago erano disposti tutti i demoni di più alto rango all’interno della corte, i loro servitori dalla parte opposta, tutti divisi in gruppi. Il più grande era composto da cinquanta servitori, ma Siirist non aveva una minima idea di chi fossero. I suoi, guidati da Akira, si disposero accanto a quelli del conte Alucard mentre lui si avvicinava all’altare, dove si trovava già Raizen. Tutti gli occhi erano fissi sul mezzo demone mentre camminava sulle assi di legno, e, per non ricevere brutte sorprese, liberò appieno la sua Ambizione che, unita al settimo senso altamente sviluppato, creava un’area di dieci chilometri dentro alla quale nulla poteva sfuggire all’attenzione del mezz’elfo; e sarebbe stata di cento se fosse stato nel suo stato di calma assoluta. E dalle profondità del lago, Siirist li sentì arrivare. Non era solo uno come l’ultima volta, ce ne erano molti, così tanti che aveva difficoltà a percepirli tutti. Sì, ecco, erano un intero branco, sessanta, settanta, no, altri ne stavano arrivando. Quando, in un’esplosione d’acqua, la superficie del lago si sollevò di duecento metri, spuntarono le teste, seguite da gran parte del loro corpo, di 193 draghi marini e tutti i presenti sobbalzarono, ad eccezione dei due sull’altare. Nessuno si era aspettato un numero così grande, tantomeno Ryfon. E non ne era affatto felice.

‹Oh cazzo...›

‹Tranquillo, basta che trovi il capo del branco e ti concentri solo su di lui. Hai l’Ambizione per aiutarti ad individuarlo. E ricorda, non solo sei il successore di Obras, sei il Cavaliere d’Inferno! È il dovere di questi esseri inferiori inchinarsi a te!›

Secondo il mito, Hanryu era vissuto del tempo con Obras, e questa loro vicinanza aveva dato vita al fuoco nero. Ma quando Soho decise di richiamare Hanryu e renderlo un suo simbolo e far sì che lui e la sua discendenza di draghi alati contenessero e sterminassero i loro cugini senza ali, il dio oscuro si impietosì e decise di prendere sotto la sua protezione i draghi marini, molto meno animaleschi dei loro cugini di terra. Ed era per quello che essi erano diventati il simbolo della famiglia reale, ed era per quello che erano loro che avrebbero riconosciuto se Siirist era o no il successore di Obras. Il mezzo demone ricordava vivamente come, tempo addietro, Raizen avesse calmato il drago dalle scaglie azzurre e d’oro, ordinandogli con un solo gesto, con solo la sua presenza di ritornare nelle profondità della fossa. Siirist sorrise. Era così chiaro. In mezzo alla moltitudine di mostri marini, individuò quello che aveva già avuto modo di conoscere. Era quasi nel centro esatto. Estese la sua mente fino a toccare quella della creatura acquatica, e, quando ci fu entrato in contatto, percepì una spiccata forma di intelligenza. Essa non era in grado di formulare pensieri come lo erano i draghi alati, non possedeva un linguaggio, ma era comunque un essere con il quale si poteva comunicare, molto più facilmente di come si potesse fare con qualunque altro animale. Siirist ricordò i lupi che aveva conosciuto sul Gagazet. Ricordò il grande lupo bianco, e pensò di comportarsi allo stesso modo. Disse al drago di avvicinarsi, così che potessero essere più vicini, prima nella lingua degli elfi, poi in quella dei demoni. Questi acconsentì e il resto del branco gli fece spazio, permettendogli di passare e muoversi fino alla riva. Tutti i demoni continuavano a fissare Siirist, distogliendo lo sguardo solo a tratti per tenere d’occhio i mostri marini. Il drago azzurro e d’oro era solo a dieci metri da Siirist e lì si fermò, continuando a fissare il mezzo demone. Siirist alzò una mano come aveva visto fare a Raizen, ma la creatura non volle saperne di inchinarsi. Ryfon incominciò ad arrabbiarsi quando sentì l’inizio del bisbiglio della folla. Doveva imporsi. Anche Rorix stava cominciando ad essere alterato nel vedere come un drago inferiore non si prostrasse dinanzi al suo Cavaliere, e le sue emozioni passarono al mezz’elfo, risvegliando in lui il suo stato draconiano. Le pupille si allungarono e la pelle incominciò a dividersi in scaglie, quando la rabbia della sua condizione portò in avanti l’Ambizione, che si liberò in una potente ondata, diretta esclusivamente al drago marino. Esso fu colpito in pieno e si piegò leggermente in avanti, ma quello non era stato un vero inchino. Inoltre era stato causato dal potere del mezzo demone, quando invece doveva essere la sua sola indole a far sottomettere la creatura degli abissi. Ma l’Ambizione, liberata, aveva portato con sé qualcos’altro da dentro il Cavaliere, come aveva fatto a Vroengard, e una grande vampata di fuoco lo circondò. Solo che questa volta non era rosso scuro, bensì nero come l’oscurità stessa. Grandi fiamme, sempre più intense, che non sprigionavano alcun colore, ma riducevano in cenere tutto ciò con cui venivano in contatto e poi bruciavano pure quella. La pedana attorno al mezzo demone incominciò a cadere vittima di esse, così come i suoi abiti. Solo il suo corpo rimase illeso. E, finalmente, il drago dalle scaglie azzurre e d’oro piegò il lungo collo da serpente gigante in un profondo inchino, imitato immediatamente dal resto del branco. E Raizen sorrise, mentre Siirist continuava a fissare i draghi marini non più con lo sguardo di un draconiano, ma di un vero signore dei demoni.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola CAVALIERI e sarà pubblicato giovedì 24. Cosa staranno facendo Alea e Gilia ad Arcadia?

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** CAVALIERI ***


CAVALIERI

 

Arcadia era un città come Alea non ne aveva mai viste. Era stata a Zanarkand, Bevelle, Rabanastre, Nabreus, Midgar e Esthar, tutte quante Città delle Macchine, ma niente poteva essere anche solo paragonato ad Arcadia. Non era tanto per l’avanzamento tecnologico della città o per il suo impatto visivo, Zanarkand era senza dubbio superiore in entrambi i fronti, ma la capitale dell’Impero degli umani aveva un qualcosa di diverso. A differenza delle altre Città delle Macchine, costruite non più di centocinquanta anni prima, Arcadia era stata la capitale degli umani da millenni, e in seguito trasformata tecnologicamente dopo la scoperta delle Materia circa duecento anni prima. E si sentiva la presenza di una storia così importante e antica. Erano passati trentacinque anni da quando il suo amato era partito, trentatré da quando non si erano avute più sue notizie. Da quando aveva lasciato Skingrad e si era diretto a Luka, era scomparso. Da un lato era orgogliosa, perché aveva capito che Siirist non si era voluto far seguire, dunque era lieta di vedere come egli fosse diventato così bravo da eludere persino l’intera Gilda dei Ladri, dall’altro era così in pensiero per lui che se avesse avuto anche un solo minuto di pausa, aveva paura che sarebbe morta. Invece in tutti quegli anni aveva deciso che si sarebbe impegnata duramente per diventare un’ottima maga e guerriera e poter essere di supporto al Cavaliere d’Inferno quando fosse tornato. Come avevano consegnato i loro grimori al ragazzo biondo, Adeo, Althidon e Aulauthar avevano accettato di insegnarle i loro segreti, così come fece Syrius per quanto riguardava l’elemento acqua, e Eimir l’aveva allenata personalmente a combattere con diversi tipi di arma, ma Gilia le era superiore in quello. Lui pure si era addestrato sotto Adeo, oltre che Syrius, Adamar e Eimir. Era proprio perché il Consiglio aveva dato la priorità alla loro ulteriore istruzione che non erano stati mandati fin da subito ad Arcadia, per quanto lei fosse entrata nella decima divisione e il moro nell’ottava. Nonostante fossero in brigate differenti, era felice di essere sulla stessa missione dell’amico. E erano lì oramai da tre anni. Altri tre lunghi anni senza sapere niente di Siirist. Sospirò, osservando il tramonto, appoggiata alla ringhiera del piccolo balcone nella sua stanza. Sentì bussare e guardò nel corridoio con il suo occhio mentale.

«Prego.»

«Ti ho portato una tazza di tè caldo.» disse Tidus entrando.

Il suo vice-capitano, così giovane, eppure già un ufficiale. La affascinava, soprattutto per via del suo Ghiaccio misto, un elemento di fusione che combinava acqua e vento. Trovava che il suo elemento distintivo fosse un’ottima rappresentazione del carattere del suo superiore: freddo, distante. I suoi occhi verde pallido erano sempre seri. Ma sapeva che egli era in realtà una persona molto gentile che teneva molto ai suoi sottoposti.

Che gentiluomo!› disse impressionata Eiliis.

Alla dragonessa piaceva il luogotenente, le piaceva in un modo in cui non le era mai piaciuto Siirist. E Alea capiva il perché. Effettivamente l’inverno di Arcadia sapeva essere alquanto rigido, e nonostante ciò, l’elfa aveva deciso di aprire la finestra e sporgersi sul balcone. In effetti le bastava un po’ di magia organica per non sentire freddo. Ma doveva ammettere che un bel tè caldo era più piacevole. Per quanto avrebbe voluto pensare che il suo amato si sarebbe comportato nello stesso modo, lo vedeva piuttosto richiudere la finestra e appiccare incendi nella stanza. Invece Tidus aveva rispettato la sua decisione di aprire la finestra e aveva preso una coperta per coprirle le spalle, dopo che le aveva messo in mano la tazza. Lei sorrise quasi imbarazzata, nascondendo la sua espressione dietro alla sua sorsata. Si chiuse in se stessa sentendo il freddo della stanza quando ebbe lasciato andare il riscaldamento interiore datole dalla magia organica, ed ebbe un brivido, e subito il suo vice le strofinò le spalle per riscaldarla. Stava per parlare quando sentì la presenza di un occhio mentale che li fissava inorridito.

Esci subito da qui!

E lo cacciò. Lui poteva anche essere più bravo di lei con tutte le armi, ma a livello mentale, non avrebbe mai perso.

 

‹Che cosa cazzo sta facendo quella lì?! È un anno e mezzo che la vedo flirtare con quel tipo!›

Gilia non poteva credere ai suoi occhi. Era impossibile. Ne aveva viste tante, ma adesso stava esagerando! In preda all’agitazione prese a camminare per la stanza. Il drago nero era comodamente steso sul letto e lo guardava, condividendo le sue preoccupazioni.

‹E a Eiliis piace, non fa che dire ad Alea di dimenticare “quell’idiota” e andare con Tidus.›

Neanche Asthar era felice della situazione: a differenza della dragonessa bianca, a lui il biondo piaceva e, per quanto fosse un drago, quindi una creatura solitaria, anche Rorix non gli dispiaceva, e ne sentiva un po’ la mancanza. Inferno e Cavaliere erano, tutto sommato, una bella coppia, e si era sentito l’improvviso cambio di atmosfera quando erano partiti.

‹Gli ha dato una Collana del Giuramento! Una Collana del Giuramento! Quella è una delle faccende più serie di tutta la società elfica, non posso credere che ora stia flirtando con quel, quel... quel cazzone!›

‹Fatti biondo e vai da lei, se continui così potrebbe scambiarti per Siirist.›

‹Haha, simpatico. Fai poco lo spiritoso tu, che tanto so dispiace anche a te.›

‹Sì, è vero. Ma non c’è niente che possiamo fare. Se fossimo nella loro divisione magari potremmo, ma in questo modo li vediamo raramente, e hanno tutte le opportunità per stare insieme, anche da soli. Per quanto dia fastidio anche a me, dobbiamo lasciar perdere. È come hai detto tu, gli ha dato una Collana del Giuramento, e sappiamo bene quanto siano sinceri i sentimenti di Alea per Siirist, non dobbiamo che avere fiducia in lei e credere che non lo tradirà.›

‹Ti rendi conto che se succede qualcosa e io non avrò fatto niente per fermarla, sarà stata colpa mia? E Siirist non avrà modo di darmi fuoco, perché mi sarò già ammazzato da solo!›

‹Devi trovarti una donna.› scosse la testa l’Incubo.

‹Che vorresti dire?› chiese con tono piatto.

‹Se ne avessi una, non staresti a pensare tanto a quella degli altri. È come ti ho detto: non possiamo fare niente, per quanto vuoi bene a Siirist, non hai il diritto di andare a fermare Alea, che è completamente in possesso di tutte le sue facoltà mentali, dal fare niente, nemmeno se andasse a letto con Tidus.›

Gilia si lasciò cadere sul letto, non volendo nemmeno pensarci. Cercò ancora di aprire il suo occhio mentale nella camera dell’elfa, ma ella aveva messo su una barriera. Lanciò un piccolo grido di rabbia e sbatté i pugni su materasso. Il giorno dopo avrebbero fatto i conti.

 

Alea e altri membri della sua divisione stavano parlando quando Gilia la trovò. Il momento in cui i bellissimi occhi smeraldini della altmer incrociarono lo sguardo del moro, ella li abbassò, e questo lo fece imbestialire anche di più. Marciò furibondo verso la vecchia amica e la prese per un braccio.

«Cavaliere d’Incubo, se non ti dispiace, saremmo nel mezzo di una conversazione.» gli fu detto da un bosmer dai corti capelli castani.

«Sì, mi dispiace, ora, se non dispiace a voi, avrei da parlare con la mia amica.»

«Allora è evidente che abbiamo un problema.» rispose l’elfo, mettendo mano alla spada.

I suoi tre compagni fecero altrettanto e Gilia, senza pensarci due volte, attivò il suo tatuaggio magico sul pettorale sinistro. Esso roteò, rivolgendo una delle tre punte verso la spalla, e da essa si estese una lunga serie di rune che gli ricoprirono l’intero braccio, formando quaranta sigilli d’invocazione. Ne attivò uno dell’aquila, e a mezz’aria apparve il cerchio d’invocazione nero pallido dal quale si materializzò un grande martello da guerra a due mani. Corvinus lo afferrò con la sola sinistra e lo rivolse verso il bosmer.

«Se estrai quell’arma, gli unici ad avere un problema sarete voi quattro in un letto d’ospedale, se vi va bene. Ora sparite.»

Stupidi sì, ma a tutto c’era un limite, e quei quattro sapevano bene che non era il caso di provocare il Cavaliere d’Incubo, perciò se ne andarono di fretta. Gilia rimandò il martello a Oblivion e prese il viso di Alea tra le mani, alzandoglielo. Era visibilmente imbarazzata.

«Cos’è successo ieri?!» tuonò.

«Niente!»

«E allora perché mi hai oscurato gli occhi mentali?»

«Così che non ci potessi spiare!»

«E che avevi da nascondere?! Giuro sulla Triade, se hai tradito Siirist...!»

«Che mi fai, eh? E no, non ho tradito Siirist e non intendo farlo! Credi che la collana che gli ho dato non abbia valore?» ora era lei arrabbiata.

«E allora smetti di flirtare con Tidus!»

«Non sto flirtando!» alzò la voce decisa.

«E Asthar è un tenero agnellino, proprio come Tidus non ci prova con te!»

«Io non flirto e lui non ci prova con me! È solo molto gentile.»

«Vuoi aprire gli occhi, razza di stupida?! Ti stai comportando come un’oca, non ti riconosco più!»

«Come ti permetti?! Ringrazia che siamo amici da tempo, o non avrei tollerato un’offesa simile!» rispose gelida, in viso un’espressione piatta, solo gli occhi e la voce lasciavano intendere la calma furia tipica degli elfi.

«Ah, adesso sei tu a minacciare?! Cosa credi di potermi fare?»

L’aria tra i due era così tesa che si poteva quasi spezzare. Alea pareva sul punto di esplodere e se ne andò, bloccando il passaggio del corridoio con un blocco di ghiaccio creato con tutto il suo potere, non qualcosa che Gilia avrebbe potuto sciogliere facilmente. Scosse la testa, più deluso con se stesso che arrabbiato.

 

Alea stava lucidando Raama tel’ arvandorea, attività che la rilassava sempre, quando sentì bussare. Nemmeno controllò chi fosse e diede il permesso di entrare, aspettandosi di vedere Tidus: e non fu delusa.

«Ho sentito che hai avuto una leggera discussione con il tuo amico Gilia.»

«Lascia perdere, niente di serio.» rispose a bassa voce, il tono triste.

«Bene. Ricorda perché siamo qui, dobbiamo proteggere a tutti i costi la Corazza, non possiamo permettere che i nostri sentimenti intralcino la missione.» disse con tono serio.

Quello era il suo atteggiamento da luogotenente, il modo di fare ligio al dovere che mostrava sempre di fronte a tutti. Ma ella aveva recentemente scoperto che il suo preciso vice-capitano aveva anche un altro lato della medaglia. Uno che mostrava solo quando erano da soli. Annuì, sentendosi in colpa per essersi fatta rimproverare.

«E già che sono qui, volevo chiederti se saresti interessata a venire a cena con me questa sera.»

E eccolo lì, il suo tono meno freddo e distante, più affettuoso, che solo poche volte aveva mostrato, e sempre con lei. L’elfa sorrise.

«Ne sarei felice.»

 

 

~

 

 

Problemi per Siirist? Il prossimo capitolo si intitola RIVENDELL e sarà pubblicato come d’abitudine di domenica.

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** RIVENDELL ***


RIVENDELL

 

«Siirist-sama, almeno lasciate che vi accompagni io.» continuò a protestare Akira.

Nessuno dei suoi servitori era stato felice di sapere che sarebbero rimasti a Kami no seki mentre lui andava a Rivendell con Glarald, specie Akira e Tomoko, che non facevano che insistere, rendendo la decisione del mezzo demone sempre più difficile, in quanto quelli erano gli unici che avrebbe veramente voluto lo seguissero. Loro e Kaede. Far calmare la sua “sorellina” non era stato semplice, in quanto aveva incominciato a sprigionare una gran serie di fulmini, ma alla fine l’aveva convinta, nonostante gli avesse tenuto il broncio per giorni. Quando le aveva detta che non poteva partire e lasciarla in quel modo arrabbiata con lui, ella aveva risposto che, in quel caso, non lo avrebbe mai perdonato, così che non sarebbe mai partito. A quella parole, Siirist non era resistito più ed era scoppiato a ridere, finendo con il contagiare anche la raikou no bakemono, che disse lo avrebbe aspettato fino a che fosse tornato. E che se non si fosse sbrigato, sarebbe andata lei a Vroengard. Ma per quanto era stato faticoso convincere Kaede, Akira e Tomoko erano impossibili. E lui perdeva tempo prezioso.

«Già sarà dura portare un elfo oscuro e un drago tigrato a Rivendell, anche due demoni sarà impossibile!» disse spazientito.

Akira e Tomoko ripresero a protestare, ignorando del tutto le parole del loro padrone e esponendo le loro argomentazioni sul perché lo avrebbero dovuto accompagnare. Siirist ne aveva fin sopra i capelli. Glarald e Vadraael erano stati pronti da dieci giorni e gli avevano fatto pressioni fin da subito, ricordandogli l’urgenza che avevano, e dal giorno prima anche Rorix aveva incominciato a far notare l’assurdità di quel ritardo.

«Ora basta! Come vostro signore vi ordino di rimanere qui! E giuro su Obras-sama che se mi seguite, vi lancio contro un Amaterasu!»

Finalmente, i due servitori non ebbero niente da controbattere e si inchinarono formalmente. Ryfon li mandò a quel paese e li strinse a sé, ammettendo che gli sarebbero mancati e che li avrebbe voluti rivedere non appena avesse finito ciò che doveva fare. E, tanto, aveva il potere della dislocazione spaziale, e sarebbe potuto tornare da loro in qualunque momento, volendo. Promettendo che lo avrebbe fatto non appena avesse studiato tutto il grimorio di Eleril, montò in sella all’Inferno che prese il volo con il drago tigrato, avvolti da un incantesimo di oscurità di Ryfon che permetteva solo a loro quattro di vedersi, mentre agli occhi di chiunque altro erano invisibili. Volarono da Kami no seki alle sabbie di Dalmasca, atterrando nel nord di Ridorana a dieci chilometri di distanza dalla Yaara Taure, più o meno nella parte centrale del deserto, dopo aver sostato per due notti sulle isolette che spuntavano dalla vasta superficie che era il mare Rydia, che toccava l’interno delle quattro isole che formavano Tamriel e circondava Vroengard, che si stagliava fiera al suo centro. Quando i draghi atterrarono per la terza volta, come le due volte precedenti, ottennero le dimensioni di destrieri solari, bestie dal manto bianco e coda e crine composti da fiamme, grandi almeno due volte normali cavalli. Questo perché Siirist aveva legato molte sacche alla sella di Rorix per portare alcuni dei suoi oggetti personali e delle provviste, per quanto avesse lasciato gran parte dei suoi averi a Kami no seki, compresi i sette grimori, le katana e la seconda spada dritta, e Rorix si sentiva scomodo a rimpicciolirsi ulteriormente; Vadraael, invece, odiava dimensioni troppo ridotte perché aveva passato molti anni nella caverna sotto l’Akai goten nella sua reale grandezza. Ma atterrare con tutto il suo peso avrebbe attratto più attenzione del dovuto, così come accamparsi con il suo corpo mastodontico. Dopo un intero giorno di volo che aveva seguito altri due identici, i draghi si stesero sulle loro pance e lasciarono l’allestimento dell’accampamento ai loro Cavalieri. Glarald si occupò di slegare le selle, mentre Siirist creava un rifugio sotterraneo nella sabbia; esso li avrebbe tenuti nascosti e al sicuro e sarebbe stato utile in caso di dislocazioni future. Il problema della dislocazione spaziale, infatti, era che, quando ci si rilocava in un punto non visibile con gli occhi corporei o mentali, si rischiava di finire in mezzo a creature viventi o oggetti, perciò non era mai saggio non avere dei luoghi di arrivo sicuri. Per garantire il ritorno di Siirist a Kami no seki, Raizen aveva dato istruzioni di sigillare l’ingresso alla caverna dove Glarald e Vadraael avevano vissuto, e ora il mezz’elfo aveva un rifugio anche nel deserto di Dalmasca.

«Ricorda di cancellare le tracce della tua presenza magica.» gli ricordò l’elfo oscuro.

‹Ups.›

«Chiaro, lo stavo giusto per fare!»

Il Cavaliere corrotto lo guardò storto ma non aggiunse altro.

‹Come se riesci a fregarlo. Sei diventato un vero maestro arcano, ma per certi versi rimani il solito incapace che non ricorda nemmeno le basi!› sfotté Rorix.

‹Taci.›

Il biondo riassorbì l’energia residua lasciata dal suo incantesimo di terra e raggiunse gli altri nel rifugio che aveva creato. Per non usare più potere del necessario, dunque non attirare troppo l’attenzione delle guardie della Yaara Taure, Ryfon aveva creato una stanza quadrata con il lato di quattro metri e il soffitto alto tre. Dalla parte opposta all’ingresso vi era un camino per permettere di espellere il fumo del fuoco e negli altri due lati si aprivano due stanze più piccole con dei letti. Tutto era fatto utilizzando sabbia indurita, se non per i materassi che avevano mantenuto la sua normale morbidezza. Glarald rimase impressionato. Ma non ne era felice.

«Potevi risparmiarti molte di queste comodità. Hai solo liberato energia superflua e rischiato di attirare l’attenzione delle guardie senza ragione.»

«Non ricordo bene, sei la “Guida” o la “Palla al piede” del Salvatore? Sono stanco di dormire scomodo, per di più accanto a un uomo! Stanotte metto il mio futon su un bel materasso di sabbia e ognuno di noi ha una stanza tutta per sé!»

«È un bene, almeno, che hai creato un camino, non sarebbe bene soffocare qui dentro. E ci terrà caldi.»

Per quanto si trovassero in un deserto sabbioso, di notte e così a nord, l’inverno faceva scendere le temperature sotto allo zero. A dieci chilometri dal confine, come avevano visto il giorno prima durante il volo, la Yaara Taure era completamente innevata. Camminare attraverso quella foresta bianca non sarebbe stato piacevole, soprattutto perché si sarebbero mossi molto lentamente. D’estate avrebbero necessitato di circa una settimana di cammino; in quelle condizioni climatiche, non voleva nemmeno pensarci.

Siirist srotolò il suo materasso pieghevole sopra a quello di sabbia e, mentre Glarald si occupava di preparare la cena, il mezz’elfo pensò di creare una sala da bagno. Uscì dalla sua stanza e passò accanto ad un Vadraael delle dimensioni di un mastino notevolmente irritato, con Rorix, grande quanto un gatto, steso accanto a lui.

‹Sai che Glarald ti cazzierà per questo, vero?›

‹Eh...› rispose con un verso noncurante.

L’Inferno scosse la testa e guardò il suo Cavaliere creare una nuova stanza nella stessa parete della sua camera da letto. In essa aprì un pozzo sopra al quale manipolò la sabbia per dare forma ad un gabinetto nell’angolo infondo a destra, sul lato sinistro creò una vasca e sul destro una bacinella che gli arrivava poco sopra l’ombelico.

«Ti prego, dimmi che lo stai facendo apposta e che non sei solo un completo deficiente!» si infuriò Glarald.

‹Te l’avevo detto!›

«Sono già due giorni che non mi lavo. Mi rifiuto di andare a dormire sporco per la terza volta!»

Marciò verso le sue borse da cui prese del sapone, il suo spazzolino da denti e un tubetto di dentifricio. Era stato felice di scoprire che, tra le varie cose importate a Hellgrind dall’Impero Septim, il dentifricio fosse una di quelle. Il pollo allo spiedo era pronto e l’elfo oscuro distribuì le varie porzioni, poi si sedette a terra con la schiena contro il suo drago che masticava una bistecca. Siirist aveva un altro tipo di comodità in mente. Formò un tavolo e una sedia e felicemente si accomodò, ignorando lo sguardo pieno di rimprovero dell’altro bipede. Finito di mangiare, Ryfon si portò dei vestiti puliti nella stanza da bagno, espanse la sabbia per richiudere l’apertura nella parete, riempì la vasca con acqua calda, si spogliò e si immerse.

«Ah...» sospirò con piacere.

Quando ebbe finito di lavarsi, Siirist uscì dalla vasca, si asciugò con un incantesimo d’aria calda,  si lavò i denti, indossò i suoi vestiti puliti e andò a stendersi nel suo futon.

«Se le sentinelle elfiche si accorgono di tutti i tuoi incantesimi e vengono qui a controllare, non dare la colpa a me. Non hai nemmeno cancellato i tuoi residui magici!» si alterò Glarald.

Ryfon sospirò e riassorbì l’energia che permeava il bagno.

«Contento? Ora buonanotte.»

 

Il mattino successivo, i quattro lasciarono il rifugio di buon’ora, Siirist con ancora in mano un pezzo di pane della colazione. Con i draghi delle dimensioni di destrieri solari, i Cavalieri montarono in sella e si incamminarono verso il regno elfico. Dopo un’ora arrivarono all’inizio degli alberi che segnavano il confine. Non erano entrati nella Yaara Taure per più di cinque minuti che furono raggiunti e circondati da numerose guardie. Esse erano vestite con splendenti armature di Cristallo rivestito d’argento, nere e verde scuro, della tipica fattura bosmer. Tutte avevano al fianco una spada, dalla forma tradizionale elfica, e un’ascia, poi c’era chi era arciere, che teneva una freccia incoccata e pronta al lancio, chi era invece armato di alabarda, impugnata in entrambe le mani e rivolta agli intrusi. Notarono subito i draghi, come notarono che uno dei due aveva un colore insolito e che il suo Cavaliere era un elfo oscuro.

«Chi siete? Che cosa siete venuti a fare nella Foresta Antica? Esseri come voi non sono bene accetti. Ci sono due draghi con voi, perciò vi daremo la possibilità di spiegarvi prima di attaccare.»
Siirist non rispose. Non si sarebbe fatto tutti quei problemi ad arrivare di nascosto se fosse finito con il rivelare la sua identità. Entrò in stato di calma assoluta e richiamò il suo Flusso nel palmo sinistro; il Cerchio d’argento di illuminò tanto da brillare oltre il guanto.

«Schiacciamento.»

Tutti i bosmer caddero faccia in avanti a terra, spinti dalla potente magia gravitazionale e tenuti incollati contro il sottobosco. Ryfon richiamò il suo sangue demoniaco, invase le loro menti e le schiacciò al punto da farli svenire. Modificò i loro ricordi, rimuovendo gli ultimi minuti, e riprese il suo cammino, gli occhi che ritornavano azzurri e carichi di vita dopo che fu uscito dallo stato di calma assoluta.

Quando dovettero sostare per mangiare e accamparsi per la notte, Siirist fece sempre in modo di rendere la loro locazione invisibile, e anche durante il cammino, controllava che nessuno potesse spiarli o coglierli di sorpresa. Trascorsero in quel modo ventitré giorni, faticando sempre più, più la neve si faceva profonda, e la consapevolezza che ne avrebbero impiegati solo sei o sette se fosse stata estate dava sui nervi al mezzo demone. All’inizio del ventiquattresimo, a un’ora dall’alba, avevano raggiunto i confini settentrionali della Yaara Taure, ed erano entrati nella regione più a nord di Alagaesia, dove, fra le colline, erano presenti le città altmer. E finalmente, dopo altre sette ore di cammino, arrivarono in vista dell’antica capitale del popolo elfico. La raggiunsero percorrendo un passo tra due alte colline, passando accanto ad un fiume ghiacciato, il quale, sotto la superficie solida, scorreva in direzione opposta alla loro. Alla fine del valico videro un muro che congiungeva le due colline, e, oltre esso, una radura, al centro della quale vi erano sei colli vicini, sui quali era costruita la città. Siirist riconobbe a colpo d’occhio lo stile altmer degli edifici, identico a quello della Rocca. Molti palazzi erano tondeggianti, con alte torri che sovrastavano il resto della città, e cascate che nascevano da alcuni dei tetti. Alcune abitazioni erano pure state ricavate scavando nella roccia della collina, e solo le facciate erano state lavorate a regola d’arte. Siirist ebbe difficoltà a pensare ad una vista più bella (a parte Alea, chiaramente, ma, d’altronde, lei era originaria di Rivendell, perciò era come se fosse parte di quella opera d’arte). Kami no seki lo aveva colpito, con le sue mura concentriche e lo stile particolare dei demoni, e Zanarkand era mozzafiato, ma c’era qualcosa in Rivendell che la rendeva forse superiore alle altre due città. Era il modo in cui era perfettamente in sintonia con l’ambiente in cui era situata, la complessa semplicità dell’architettura altmer, la vicinanza con la natura. Siirist non riusciva a pensare esattamente che cosa avesse in più, ma d’altronde era sempre così con gli elfi: era loro natura emanare un’aura di meraviglia inspiegabile razionalmente, e gli altmer erano i sovrani assoluti nel campo.

Sapendo che nella città erano presenti diversi Cavalieri, tra cui alcuni che conosceva, come Ren, Adeo e il loro capitano, Siirist pensò bene di entrare da solo in città. Non poteva mostrarsi apertamente come aveva fatto con le sentinelle del confine con Rorix, Glarald e Vadraael, se i Cavalieri avessero saputo della sua presenza, molto probabilmente lo avrebbero fatto ritornare a Vroengard, e non lui non era ancora pronto. Doveva studiare il grimorio di Eleril e andare dai nani. E se il Consiglio avrebbe capito la prima motivazione, non avrebbe accettato la seconda: erano i demoni ad avere la leggenda di colui che avrebbe riunito tutte le razze, non gli umani e gli elfi, non era qualcosa che poteva spiegare. Siirist lasciò i suoi compagni di viaggio, Rorix compreso, in una grotta a cinque chilometri di distanza dal muro che bloccava l’accesso alla vallata, e proseguì a piedi lungo il passo. Mezz’ora dopo era davanti alle due guardie che sorvegliavano il cancello: esse incrociarono le lance, e quattro arcieri si sporsero dal muro. Le armature degli altmer, anche esse di Cristallo rivestito d’argento, erano dorate e verde smeraldo, e la loro fattura molto più leggera e slanciata di quella dei bosmer. Erano più un lavoro artistico, l’estetica un fattore molto più importante nel lavoro dei fabbri e artigiani altmer che in quello dei bosmer.

«Chi sei, straniero?»

Ryfon abbassò il cappuccio, mostrando il suo viso: aveva pensato bene di modificarlo magicamente, accentuando ancora di più i suoi tratti elfici.

«Solo un vostro fratello altmer. Sono nato e cresciuto lontano da Imladris, ma ho sentito tante storie da mio padre. Ho pensato fosse bene venire a visitarla, almeno una volta.»

«E hai fatto bene, questo è lo spirito che dovrebbero avere tutti gli alti elfi. Ma purtroppo la città è chiusa per ordine dei Cavalieri dei draghi e nessuno straniero può accedere senza autorizzazione.»

‹Ottima mossa, basta che abbiano anche pensato di controllare gli abitanti prima di dare per scontato che siano innocenti.›

«Non c’è niente che possa fare per convincervi? Ho qui la mia spada, e niente di più. Sentitevi pure liberi di esaminarmi.»

«Allora dovremo chiederti di aprire la mente per noi.»

Siirist aveva temuto potesse evolversi così la situazione. Entrò nel suo stato di calma assoluta e richiamò il suo sangue demoniaco, tingendo le sue iridi color sangue. Assalì in un istante le menti di tutti i soldati e inserì in esse dei ricordi fasulli, facendo loro credere di averlo già esaminato. Lo fecero passare e lui, sorridendo, i brillanti occhi celesti che sprigionavano serenità, oltrepassò il cancello aperto. Seguì la strada di pietra magicamente riscaldata fino a che raggiunse la base della prima collina, guardandosi sempre intorno: la grande vallata era un’uniforme distesa candida, e il solo pensare come potesse essere in primavera lo faceva emozionare. Le cascate che provenivano dalla città erano chiaramente incantate per non ghiacciarsi, ma lo stesso non era per quelle naturali che uscivano dalle colline che circondavano la valle. Siirist si prese un momento per immaginarsi quel paesaggio idilliaco, un grande prato fiorito, con uccelli che cinguettavano, farfalle che volavano, stupende cascate che creavano arcobaleni riflettendo la luce del sole. E, al centro, la fantastica città che risplendeva della luce di una stella. Ora, invece, per quanto stupenda, pareva morta e silenziosa. Ryfon ricominciò a camminare, seguendo la strada che saliva attorno la collina, entrando spesso nella roccia in più o meno lunghe gallerie magicamente illuminate, con la pietra stessa che risplendeva. L’uso della magia era evidente anche nel modo in cui le gallerie erano state scavate, che mostravano come la roccia si fosse semplicemente aperta al comando della Vera lingua. Quando fu arrivato ad un’altezza di quasi 500 metri, la strada lo aveva condotto all’ingresso della città, una maestosa piazza circolare con al centro la statua di marmo bianco e oro giallo che rappresentava un grande elfo in groppa alla statua di marmo bianco e oro rosso di un drago rampante. Dalla bocca di questo usciva un potente getto di acqua dorata che si riversava nella vasca ai suoi piedi. L’elfo aveva il braccio destro alzato e nella mano reggeva una spada. Nella mano sinistra accanto al fianco pure impugnava una spada. Siirist non aveva molti dubbi su chi i due potessero essere. Si avvicinò alla fontana, contemplando l’acqua magicamente resa d’oro.

‹Ciao bis, bis, bis, bis eccetera nonno, felice di conoscerti. Io sono Siirist, un tuo lontano discendente. Spero che tu mi stia guardando dal Flusso, perché ho veramente bisogno di tutto l’aiuto possibile.›

Prima di allontanarsi dalla fontana, pensò a come il fuoco nero del leggendario Inferno fosse diventato una cascata d’acqua dorata: effettivamente acqua nera non sarebbe stata molto bella da vedere e avrebbe stonato con il resto della città. L’ultimo Ryfon si guardò intorno, osservando la città in cui i suoi antenati erano un tempo vissuti. Dalla grande piazza centrale si estendevano quattro strade poste a croce: la prima era quella da cui il mezz’elfo era giunto, che conduceva alla vallata; procedendo in senso orario da essa, c’era la via che portava ad altre due colline, congiunte da vari ponti di pietra, sulle quali era costruito il quartiere dei mercanti, sede di vari negozi e locande; seguiva la strada che collegava ad una collina, la più grande, che conteneva il quartiere abitato più povero, ma comunque più che dignitoso. Infine vi era il lungo ponte che arrivava alle ultime due colline che costituivano il quartiere ricco, in cui vi erano le residenze delle famiglie più importanti di tutta Rivendell e dell’intera regione altmer, assieme al palazzo del principe, la cui famiglia, tre generazioni prima, era stata quella regnante di tutta nazione elfica. Siirist sapeva che da quella parte vi era la residenza degli Ilyrana e avrebbe ucciso per andarci e avere notizie di Alea, ma sapeva che non sarebbe stata una mossa saggia, perciò si diresse alla propria destra, in direzione del quartiere dei mercanti, volendo vedere il famoso Bhyrindaar. Aveva pensato ad una cosa durante il suo viaggio, una cosa che aveva notato dall’assenza delle sue katana, lasciate all’Akai goten per non attirare troppe attenzioni. Per quanto avesse con sé Lin dur, una spada che aveva imparato a conoscere e amare, che rispondeva con letale precisione ad ogni suo gesto, essa non gli permetteva di fare uso di tutta la sua capacità combattiva. Al massimo, poteva usare la sua versione personale dell’ittouryuu, che aveva sviluppato combinando le tecniche demoniache allo stile che aveva precedentemente creato unendo Djem-so e stile della Volpe. Avrebbe facilmente potuto procurarsi anche una seconda spada di ottima fattura, anche se nemmeno paragonabile a Lin dur, e usare, quindi, il suo Jar’kai modificato. Ma gli mancava la terza. E per usare il terribile santouryuu, era necessario avere della katana. E questo aveva fatto riflettere il mezzo demone. Trovò in poco la bottega del leggendario fabbro ed entrò. Nella stanza rettangolare, a differenza di quella familiare di Hans, non vi erano armi esposte, non vi era un bancone: c’erano solo dei divanetti. Siirist rimase interdetto. Uscì dalla porta e guardò l’insegna, assicurandosi di essere nel luogo giusto. Allora ritornò a sedersi, scostando il suo mantello da viaggio per sedersi più comodamente. Dopo nemmeno un minuto arrivò un uomo dai lunghi capelli bianchi. Il suo viso aveva un qualcosa più che di familiare per Siirist, ma era impossibile, in quanto sarebbe dovuto essere molto più vecchio. E il suo accento elfico, quando parlò, era impeccabile, per quanto Siirist non lo riconosceva come originario di alcuna regione della Yaara Taure. Era più come il suo o quello di Gilia, quello di umani che avevano studiato la lingua degli elfi.

«Mastro Bhyrindaar sarà qui a breve. Qualunque sia la vostra richiesta, intanto, potete dirla a me, così che possa farvi un preventivo.»

Siirist capì: Bhyrindaar non aveva armi esposte perché non ne aveva alcuna pronta in precedenza: lui forgiava solo armi su commissione. Aveva anche senso.

«Ho solo bisogno di parlargli un momento, grazie.»

«Come desiderate.» e si allontanò.

Quello che doveva essere l’apprendista del famoso altmer continuò a incuriosire il mezz’elfo. Non solo il suo accento elfico non era naturale, anche la sua voce, come il suo viso, ricordavano al Cavaliere di un altro fabbro con il quale era cresciuto. E quei capelli nivei, di certo insoliti per un elfo... Ma no, era impossibile. Innanzitutto Hans aveva i capelli biondo sabbia, e li aveva sempre tenuti corti. E, di nuovo, Siirist ripensò che avrebbe dovuto avere sui settant’anni ormai, invece ne dimostrava appena trentacinque, in anni umani. Non che quello sembrasse un elfo: i suoi lineamenti erano quelli di un umano. Ma no, non poteva essere. E quei capelli... Non sapeva perché, ma gli davano l’impressione di non essere normali.

«Mi è stato detto che dovete parlarmi. Posso sapere con chi ho a che fare?»

L’altmer che era appena entrato nella stanza era alto circa 180 centimetri e aveva corti capelli biondo scuro e brillanti occhi turchesi, leggere rughe che gli segnavano la fronte, i lati della bocca e gli occhi. Aveva una corporatura tipicamente elfica, slanciata e poco massiccia, ma mostrava comunque una grande forza. Siirist notò come il braccio destro fosse più grosso del sinistro, particolarità tipica dei fabbri. Bhyrindaar gli aveva posto la domanda che più si era aspettato e più aveva temuto. Non sapeva come rispondergli, in quanto non voleva rivelare la sua identità, ma comunque aveva bisogno di dirgli le sue esigenze in modo chiaro. Era combattuto sul cosa dire quando ritornò l’assistente dalla chioma candida, brillante, quasi magica, che posò due tazze di tè sul tavolino tra le poltrone sulle quali erano seduti elfo e mezz’elfo.

«Grazie mille, Hans. Allora? Sono un uomo impegnato, non posso aspettare tutto il giorno per una risposta.»

Ma le parole del fabbro furono come suoni indistinti per le orecchie del Cavaliere dopo che questi ebbe sentito il nome dell’assistente.

«Hans?!»

Questi si girò. Scrutò per un momento il viso del cliente e, infine, scoppiò in un’espressione, se possibile, anche più meravigliata di quella del suo vecchio assistente.

«Siirist?! Che accidenti di fai qui?! E che ti è successo alla faccia?»

«Io?! Ma ti sei visto?»

«Oh? Vi conoscete? Questo è interessante, ma, purtroppo, non conosco la lingua degli umani. Ma ho sentito il vostro nome, e da quello che so, c’è solo un Siirist che Hans conosce. Volete spiegarmi perché siete qui e perché avete l’aspetto di un elfo, Cavaliere d’Inferno?»

Siirist sospirò e annullò la magia che gli modificava l’aspetto fisico, riacquistando i suoi tratti a metà tra umano e elfo e raccontò ciò che era successo a Vroengard trentatré anni prima, come era stato mutato in un demone e come gli era stato applicato il Sigillo di sangue che gli aveva donato quell’aspetto. Poi arrivò a dire di Hellgrind, come ci si era allenato e come aveva imparato a combattere come un demone. E in quel momento mostrò Lin dur.

«Questa è un’arma perfetta, eccezionale sotto ogni punto di vista, e la so usare in questa forma, nella sua forma di lancia o accompagnata da un’altra spada. Ma, capite, non va bene per il mio modo di combattere. Per quanto mi dispiacerebbe abbandonarla, ho bisogno di una spada nuova. Anzi, tre.»

Bhyrindaar annuì. Avvicinò la mano alla spada che era stata di Evendil e Siirist la sguainò, passandogliela. Il fabbro la osservò attentamente, come poteva fare un genitore orgoglioso del proprio bambino. Sorrise felice.

«Forza del vento... È passato molto tempo da quando l’ho vista. La trovo bene, è forte e soddisfatta. L’avete trattata bene, ne sono contento. Ma è come avete detto voi, oramai non vi può più andare bene. Avete bisogno di una spada che cambi forma e diventi una katana. Questo non è un problema, tutte le armi che creo possono cambiare forma, il problema è darle la forza di una spada demoniaca. So bene come funziona l’Hellsteel, i demoni hanno studiato per millenni prima di trovare la lega che ottimamente riuscisse a trasmettere i propri poteri dopo l’inserimento di una loro parte del corpo. E purtroppo questo il Cristallo non è in grado di fare. Nemmeno incantarla funzionerebbe bene. Non sto dicendo che è impossibile, solo che ci vorrà del tempo per decidere come fare. Ma state sicuro che mi impegnerò con tutte le mie forze, in quanto forgiare la spada del Cavaliere d’Inferno è un onore che non mi farò sfuggire.»

«Sarebbe possibile fondere Cristallo e Hellsteel?» chiese speranzoso Ryfon.

«Ti sei dimenticato tutto quello che ti ho insegnato, razza di delinquente?! I due materiali non si possono unire, è stato provato in passato, ma proprio a livello molecolare sono incompatibili. Certo, Maestro, si potrebbe sempre provare con l’Adamantio...» propose Hans.

«Le tue parole sono ancora più fuori dal mondo dell’idea del Cavaliere d’Inferno, Hans. La formula per l’Adamantio è andata perduta nei primi millenni della scorsa era con la caduta di Ilirea. Anche se fosse ritrovata, non sappiamo se funzionerebbe.»

«Sappiamo che era una lega di Cristallo e mithril, anche essi impossibili da unire per noi. C’è un’alta possibilità che conoscendo il segreto dell’Adamantio, potremmo anche essere in grado di legare Cristallo e Hellsteel.» insistette il fabbro canuto.

Il vecchio altmer rimase in silenzio, soppesando le parole dell’assistente.

«Non sappiamo per certo che fosse veramente una lega di Cristallo e mithril.»

«Ma è possibile. È la teoria più accreditata, inoltre è quella che ha più senso in quanto simboleggia l’unione delle conoscenze di elfi e nani.»

«Resta il problema che la formula è a Ilirea e la città è sprofondata da qualche parte nel deserto di Dalmasca. Nessuno, in tutta la terza o quarta era, è riuscito a trovarla.»

«Nessuno ha mai avuto le conoscenze di magia di terra di Adamar unite al mio potere magico.» fece notare Siirist.

Conosceva Ilirea naturalmente, la mitica città costruita da elfi e nani durante il loro periodo di alleanza contro i draghi, ma mai aveva sentito parlare di questo Adamantio. Ma valeva la pena tentare. Se il più grande fabbro in tutta la nazione elfica dava credito a questa possibilità, c’era da considerarla.

«State dicendo che sareste in grado di trovare Ilirea, Cavaliere d’Inferno?»

«È possibile. Tentar non nuoce.»

«Se mi trovate la formula dell’Adamantio, Siirist Ryfon, giuro che vi forgerò una spada, o meglio tre, come mai se ne sono viste. Si dice che armi forgiate con esso fossero capaci di tagliare le scaglie di un drago come fossero burro; saranno certamente armi adatte al Cavaliere d’Inferno.» assicurò Bhyrindaar.

Siirist ringraziò e il vecchio elfo si ritirò, affermando di doversi dedicare a qualche studio, lasciando soli il mezz’elfo e l’umano dai capelli bianchi.

«Ora tocca a te dirmi che ti è successo. Hai l’aspetto che avresti dovuto avere oltre trent’anni fa, e questo senza toccare l’argomento dei capelli. Lo sento bene, hanno qualcosa di magico.»

«Non posso negarlo. È successo dopo un anno che sono arrivato qui, cinque dopo che sei partito da Vroengard. Stavo incantando una spada, la prima volta che lo facevo da solo e... ho commesso un errore. Non so come, ma gli incantamenti hanno avuto un effetto collaterale e hanno cozzato tra loro, e hanno riempito tutta la stanza in cui stavo lavorando. Erano un incantamento di guarigione e uno di tempo, di rallentamento, per la precisione. Mi hanno dato questo aspetto e rallentato di molto il mio invecchiamento, come se fossi un elfo. Sono stato molto fortunato: se si fosse trattato di un incantamento offensivo sarei probabilmente morto. Dopo quella volta Bhyrindaar non mi ha lasciato incantare più niente per dieci anni, e mi ha fatto ristudiare da zero. Ora non ho problemi e sono diventato un ottimo incantatore, non per niente ho il miglior maestro che potessi desiderare, ma ancora non si fida a farmi fare gli incantamenti più potenti.» ridacchiò.

«E poi sarei io il delinquente, eh? A questo punto, io andrei. Devo mettermi in cerca di Ilirea.»

«Pensavo dovessi trovare il grimorio di Eleril.»

«Può aspettare. Posso studiarlo mentre voi fate pratica con l’Adamantio: dubito riuscirete a forgiare fin da subito un’arma perfetta. Potrebbe richiedere del tempo, e ne approfitterò per studiare il grimorio.»

«Capisco. Allora ci rivediamo con la formula.» sorrise.

«Assolutamente sì!»

Estese la sua coscienza oltre la città e la vallata, arrivando a vedere con il suo occhio mentale la caverna in cui si erano nascosti elfo oscuro e draghi, seduti pazientemente ad aspettarlo. Salutò il vecchio amico e datore di lavoro, entrò nel suo stato di calma e si dislocò. 

«Che sorpresa! Non mi aspettavo certo di rivederti così presto e rilocare con la magia!» sussultò il Cavaliere corrotto.

«Dobbiamo andare.»

«Che è successo?» si preoccupò, alzandosi di scatto e portando la mano alla spada.

«Niente, tranquillo, solo un cambio di programma.»

Il mezz’elfo spiegò cosa era successo nella bottega del fabbro e poi dislocò se stesso e gli altri tre presenti nella grotta al rifugio creato sotto la sabbia. Da lì uscirono in superficie e camminarono quasi un’ora in direzione sud, per non rischiare di allertare le sentinelle con l’incantesimo che il biondo stava per usare.

«E ora?»

«Ora stai zitto.» rispose serio Siirist, nelle sue parole tutta la cordialità e simpatia tipiche della calma assoluta.

Piegò un ginocchio e toccò con il palmo nudo la sabbia gelida dell’immenso deserto, il Cerchio d’argento che risplendeva forte, tutto il suo Flusso nell’incantesimo. Espanse il colore dell’osservazione della sua Ambizione, unendolo alla magia che penetrava a fondo nel terreno e si estendeva rapidamente verso tutte le direzioni eccetto quelle che riportavano alla Yaara Taure. Passarono trenta minuti. Per quanto abile e potente fosse il Cavaliere d’Inferno, il deserto di Dalmasca era immenso ed egli lo stava esaminando fino ad una profondità di cinquemila metri. Finalmente trovò ciò che stava cercando. Sorrise e alzò la testa, riaprendo gli occhi, l’ubicazione delle porte dell’antica città impressa nella sua mente.

«Trovata.»

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola PER LE VIE DI ARCADIA. Un altro breve capitolo focalizzato su Gilia e Alea che sarà pubblicato giovedì 31.

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** PER LE VIE DI ARCADIA ***


PER LE VIE DI ARCADIA

 

Ci era andata a cena! Non era possibile, non voleva crederci, quella deficiente era andata a cena con quel tizio! Gilia era più nero del suo drago per la rabbia, forti scariche azzurre che gli circondavano l’intero corpo.

‹Dico sul serio, tingiti i capelli biondi e sostituisci delle fiamme ai tuoi fulmini e, in questi giorni, potresti passare per Siirist.›

Ma Corvinus, troppo intento a essere arrabbiato con Alea, era sordo alle prese in giro di Asthar. Era andata fuori a cena con Tidus! Questo voleva dire lontani dal palazzo imperiale, giù nella parte moderna della Città della Macchine che era diventata Arcadia. Gilia stava odiando quella città. Da quando vi erano arrivati, Alea aveva iniziato a comportarsi come una sgualdrina, cedendo a tutte le lusinghe di quel ghiacciolo dai capelli bianchi e flirtando come una tredicenne idiota. Ma ciò che odiava anche di più della capitale imperiale, era la sua grandezza. La città originale, ora diventata il palazzo imperiale, sorgeva in cima alla collina al centro della moderna Arcadia, e solo quella era almeno tre volte Imperia. Ma ciò che si estendeva sotto... Non esistevano parole per descriverne l’enorme vastità. E in quella gigantesca quantità di strade, viali, vicoli, e macchine volanti che sfrecciavano per i cieli della città, a qualunque altezza, da dieci metri dal suolo a ottocento, tra le cime dei grattacieli che guardavano dall’alto persino la residenza imperiale, sarebbe stato impossibile trovare due minuscoli bipedi come Alea e il suo vice. Specie quando l’elfa gli impediva di individuarla con il suo occhio mentale. Bastarda. Se davvero era tutto innocente con quello lì, perché aveva bisogno di nascondersi?! Il Cavaliere d’Incubo, assieme al suo fidato drago nero, era andato in quel labirinto di strade sopraelevate e non per trovare la sua vecchia compagna d’addestramento. Il suo capitano gli aveva proibito di andarsene in giro volando, in quanto ciò avrebbe potuto allarmare la popolazione che era a conoscenza della presenza dei Cavalieri e dell’esistenza della Setta dello Scorpione, per quanto non sapessero delle Reliquie. Bastardo pure lui. Come avrebbe dovuto fare, allora, per trovare la sua amica?! A quella domanda, il suo capitano aveva risposto che era un problema suo, ed era ritornato a felicemente bere la sua amata mielassa. Quell’elfo scansafatiche e ubriacone, per quanto simpatico, sapeva dare sui nervi a Gilia, specie in momenti come quello. Come fosse diventato capitano, lo ignorava totalmente, contava solo che, in quanto a forza combattiva, fosse degno del suo rango, per quando la Setta avesse attaccato.

Camminava su uno dei vicoli sopraelevati, proprio sotto alla strada energetica che utilizzata dal treno. Cento metri sotto di lui vi era la strada terrena, una di quelle laterali che si connetteva al viale principale che collegava l’ingresso della città con il palazzo, e dal quale partivano gli altri due grandi viali, quello per l’aeroporto e quello per il porto. Come ad ogni ora del giorno, tutta la città era indaffarata, con persone che camminava da tutte le parti. La loro vita proseguiva tranquilla, mentre, da un momento all’altro, sarebbero tutti potuti essere in pericolo mortale se gli Scorpioni avessero attaccato, mentre lui si affannava tanto per trovare la donna traditrice di colui che li avrebbe salvati tutti.

‹Ingrati. Siirist è fuori ad imparare come salvarvi tutti e a voi nemmeno importa.›

‹Innanzitutto non sai che Alea ha già tradito Siirist, e poi che è questa storia che li salverà o idiozie simili?›

‹Siirist è il Cavaliere d’Inferno, e questo è sufficiente a capire la sua importanza. Quell’alato era così forte che nemmeno ci si crede, e l’unico che potrebbe contrastarlo è proprio Siirist, che ne ha ora i poteri e conosce i segreti di tutti gli Anziani più potenti. Se Raiden volesse, potrebbe distruggere tutta questa città, e noi non potremmo farci niente. E che significa quel “già”?! Anche tu, allora, credi che lo tradirà!›

‹No, beh, insomma... È una possibilità di cui tenere conto.›

‹E come fai a restare così calmo?!›

‹Perché sono un drago e non me ne importa niente. Queste questioni di “legami”, “fidanzamenti”, “relazioni”, “tradimenti”... Non le capisco e non mi interessa capirle, per quanto comprendo che, se Alea si unisse a Tidus, Siirist ne sarebbe dispiaciuto, e questo non mi fa piacere. Solo trovo stupido creare tutti questi problemi attorno alla semplice attività sessuale. Io dico che dovresti trovarti una donna e non pensare più ad Alea.›

E ancora ritornava a toccare quell’argomento. Anche se ne avesse avuta una, non avrebbe mai smesso di preoccuparsi di Alea e di Siirist. Siirist era come un fratello per lui, da quando il biondo era partito, Gilia ne aveva sentito la mancanza sempre di più. Era stato il suo primo, vero amico, l’unica persona del suo stesso sesso vicina alla sua età con la quale aveva avuto un rapporto stretto. Considerando che l’unico altro ragazzo con cui era cresciuto era stato suo cugino, la cosa era anche comprensibile. Era Siirist, con il suo modo di fare cazzone, il suo spirito positivo, la sua allegria, spensieratezza e il completo menefreghismo di qualunque regola o imposizione del Consiglio o della morale stessa, che lo aveva aiutato a riprendersi. Gilia non ricordava di aver provato mai un dolore così grande come quando aveva dovuto dire addio a Deria e prendere atto che quell’uovo nero come la disperazione lo aveva scelto. Ma la vicinanza del “teppista” lo aveva risollevato, proprio come Alea era riuscita ad aprirsi e perdere il suo modo di fare gelido. E come lei se ne era innamorata, lui ci si era affezionato in un modo che andava addirittura oltre i legami di sangue. Non avevano lo stesso cognome, ma Gilia avrebbe volentieri chiamato l’amico Corvinus, piuttosto che quella lurida serpe traditrice di Albecius. Non sapeva spiegarselo, ma in quei quattro anni che avevano diviso la stanza, al moro non era parso di fare conoscenza di Ryfon, piuttosto gli era parso, ogni giorno di più, di ricordare cose che già sapeva, di ricordare che aveva conosciuto il biondo da sempre. E Alea... Si sentiva con lei libero come lo era solo stato con Deria, non si stancava mai della sua compagnia, avrebbe sopportato con lei le pene più atroci. Per trent’anni erano stati loro due, solo loro due, insieme. Avevano studiato, si erano allenati. Sì, all’inizio c’era stato anche quell’Otius, l’inutilità fatta a Cavaliere, colui che aveva avuto l’impudenza di dormire nel letto centrale, nel letto che era stato di Siirist. All’inizio sia Gilia che Alea avevano compreso le intenzioni del Consiglio, d’altronde il povero ragazzo aveva perso compagna di addestramento, alla quale era molto affezionato, e Maestro, ma dopo soli due mesi non gli avevano più rivolto la parola, causa anche il comportamento del rosso. Non li aveva mai amati granché, anzi era ben risaputo che non sopportasse il trio di Althidon, specie il Cavaliere d’Inferno, ma sia Corvinus che Ilyrana si erano aspettati che, dopo gli eventi di quella fatidica notte, Otius si dimostrasse un compagno di addestramento più aperto. Invece li aveva sempre ignorati, continuando a mangiare da solo, andando a letto e svegliandosi sempre prima di loro. Se Siirist si sarebbe arrabbiato e gli avrebbe messo nel sonno la mano in una bacinella d’acqua calda, Gilia e Alea avevano totalmente ignorato il bastardo dai capelli rossi. E, così, si erano ritrovati un peso, un peso che aveva osato prendere il posto del loro Siirist, di suo fratello, dell’amato di lei. Quando finalmente erano finiti i cinque anni di addestramento e lui fu messo nell’ottava brigata e Alea nella decima (e l’inutile testa rossa nella seconda), avevano continuato a stare sempre insieme, prima per circa sette mesi sul Gagazet, poi con Adeo a migliorare le loro capacità mentali, poi ancora con Althidon e Eimir, e Syrius, Alea solo per quanto riguardasse la specializzazione in acqua. Dopo Gilia aveva anche imparato tutti i segreti di terra di Adamar, mentre la fanciulla veniva istruita dal Cavaliere d’argento. E avevano viaggiato. Erano stati insieme altri due anni, viaggiando per Tamriel, imparando cose sempre nuove, vedendo posti differenti e con la speranza di ritrovare il loro amico dallo spirito solare e il suo drago rubino. Ma questi era scomparso. La Gilda dei Ladri, vennero a sapere, aveva fatto di tutto, ma il ragazzo si era come volatilizzato. Ma loro lo avevano cercato. Avevano passato quasi ogni momento insieme, avevano dormito vicini quando non c’era spazio e dovevano riscaldarsi senza usare troppa magia, si erano divisi il cibo, avevano combattuto schiena contro schiena. Se Siirist era il fratellino con il quale era cresciuto, Alea era la sorella che aveva perso da piccolo e che aveva ritrovato. E mai e poi mai, e questo Asthar doveva ficcarselo nella sua zucca dura, avrebbe permesso a quei due di avere dei problemi nella loro relazione. Erano perfetti insieme. Quando Siirist stava per partire e Alea non si era fatta viva, aveva visto la devastazione che gli aveva preso cuore e mente, esattamente come era stata la fanciulla nei mesi a venire, quando, dopo ogni giorno passato con il sorriso in volto e l’aria solare, era sempre andata a dormire piangendo lacrime silenziose. Quei due erano fatti l’uno per l’altra, erano come un drago e un Cavaliere, erano i suoi fratelli incestuosi (ridacchiò al pensiero) e lui, Gilia Corvinus, in veste di fratello maggiore, avrebbe preso a pedate quell’ostinata della sua sorellina se necessario, tutto per farle vedere cosa stava distruggendo.

Gilia, tallonato da un Asthar grande quanto un mastino, stava arrivando alla fine della via Térentus Septim, dove si trovavano i migliori ristoranti dell’intera città. Il nome derivava da uno degli Imperatori del passato che era stato un ghiotto smisurato. E “smisurato” aveva un duplice senso, poiché era stato l’Imperatore più grasso della storia: un metro e settanta per oltre quattrocento chili. Il Cavaliere d’Incubo stava camminando davanti ad un ristorante con una grande vetrata, il Nido della rondine, quando, al suo interno, li vide. La faccia gli diventò tutta rossa, mentre scariche elettriche gli nascevano dalle dita e si estendevano per tutto il corpo. Alea era una visione. Vestita con uno dei suoi abiti migliori (non riusciva a credere che se lo fosse portato ad Arcadia), lungo e bianco, con alcuni pizzi sulla parte esterna del seno, i quali avevano alcuni punti trasparenti. Gilia ricordava perfettamente come l’elfa glielo avesse mostrato felice, chiedendogli di aiutarla a scegliere cosa indossare per Siirist quando fosse tornato.

‹Di certo non quello, visto che lo avrò polverizzato!›

I suoi capelli erano tirati su in una elaborata acconciatura, tranne che per due ciocche che scendevano giù e andavano a posarsi sulla parte superiore del seno, mostrata in una scollatura perfetta, non troppo evidente ma sufficiente per stimolare pensieri piccanti. Agli occhi si era messa dell’ombretto, e al collo aveva una collana di oro bianco e verde con, al centro, uno smeraldo dello stesso colore dei suoi magici occhi. Gilia ringraziò Asthar di essere un Incubo e non un Inferno, perché era sicuro che, fosse invece stato il drago rubino, ora lui si sarebbe trasformato in un draconiano. La bocca si muoveva nel formulare parole, nel sorridere, mentre le labbra lucide della fanciulla riflettevano la luce del lampadario. E Tidus, quel ghiacciolo dai capelli di neve, la ascoltava, rispondeva, rideva insieme a lei, con le braccia appoggiate al tavolo e la testa in avanti, a non molta distanza da quella dell’elfa. Ah, no, non era possibile! Pure gli orecchini! Alea non metteva mai gli orecchini, forse l’aveva fatto una, due volte, e ora, ora li stava indossando?! Erano degli orecchini di oro bianco con incastonati dei piccoli smeraldi...

Tutto d’un tratto, la furia di Gilia si placò, e si limitò a guardare i due che aspettavano che i camerieri portassero loro la cena mentre parlavano allegramente. Si rilassò, tutta la magia involontaria richiamata nel corpo che si estingueva. Si girò di centottanta gradi, appoggiandosi al vetro e scivolando a terra.

‹Che succede?› domandò incerto Asthar.

‹Succede che il tuo Cavaliere è un idiota. Sicuro di aver scelto bene?› disse accarezzando la testa del drago nero.

‹A volte me lo chiedo, ma poi mi rispondo sempre di sì!› rise l’Incubo.

Il moro si alzò e, assieme al suo compagno mentale, ritornarono al palazzo.

 

Alea ritornò in camera due ore dopo. Aprì la porta e accese la luce. Se lo ritrovò davanti ma non mostrò alcun segno di sorpresa. Richiuse la porta e si levò il soprabito. Subito dopo slacciò la collana e tolse dai lobi gli orecchini.

«Perché te ne sei andato? Mi stavo aspettando un Ruggito della tigre nel ristorante da un momento all’altro.» disse tranquilla l’elfa, incominciando a togliersi il lungo vestito bianco.

«Te ne sei accorta?» chiese un po’ in imbarazzo Gilia.

«Gilia caro, con tutta la magia che stavi sprigionando, chiunque se ne sarebbe accorto.» rispose scuotendo la testa, con un tono pieno di compassione.

Lo trattava pure come un idiota! Non che non se lo meritasse.

«Lui non se ne è accorto.»

«Perché io non ho voluto che se ne accorgesse.» rispose con aria di ovvietà.

Giusto. Quella sera Corvinus non smetteva di passare da idiota.

«Ti dispiace?» chiese lei, alzando le sopracciglia.

«Oh, scusa.»

Il moro si voltò per dare modo all’elfa di togliersi il reggiseno.

«Non hai risposto alla mia domanda iniziale: perché te ne sei andato?»

Per tutta risposta, Gilia attirò a sé uno degli orecchini. Anche senza vederla, sentì che la altmer aveva sorriso.

«Come se non li riconoscessi. “Non sono esattamente uguali ai tuoi occhi, ma non puoi essere troppo puntiglioso quando le cose le rubi anziché commissionarle, e comunque ti donano parecchio”, ricordo benissimo le sue parole.»

Il sorriso di Alea si fece anche più grande, Gilia lo sentiva come sentiva il calore del sole in una bella giornata di fine primavera.

«Davvero pensavi volessi tradirlo? Puoi girarti ora.»

«Devi ammettere che il tuo comportamento era un po’ ambiguo!» protestò voltandosi.

«D’accordo, ammetto che stavo un po’ flirtando, però non mi sarei mai spinta oltre. Ne avevo bisogno, mi mancava e mi manca troppo, avevo bisogno di distrarmi un po’. E poi... Mi faceva piacere avere qualcuno che ci provava con me. Lo so, mi dispiace, mi sono comportata da stupida e immatura, ma con Siirist ho fatto tutto io! È stato bello, per una volta, avere qualcuno che dimostrava di sua iniziativa di essere interessato a me. L’hai visto anche tu, ho dovuto tirare fuori i sentimenti da Siirist con le tenaglie!»

Non aveva tutti i torti.

«Vuoi dire che Tidus non ha mai provato a fare niente di più?»

«Oh no, non ho detto questo. Qui fuori ha provato a baciarmi, ma ho gentilmente declinato.»

«Come ha reagito?»

«Si è messo a ridere e si è dato dell’idiota. Mi ha chiesto di comportarmi come se tutto questo non fosse successo e ci siamo salutati con una stretta di mano.» disse tranquillamente.

«Almeno non sono l’unico stupido della serata.»

«Dobbiamo trovarti una donna.»

«Scusa?!»

«Magari staresti meno a pensare a me e Siirist.»

‹Ha!› lo derise Asthar.

«Inoltre pensa a come reagirà Siirist quando torna: “Ancora non ti sei fatto la ragazza?! Ma quanto sei stupido? Stuuupido!”»

Gilia scoppiò dal ridere nel sentire l’elfa fare la voce più profonda e fare la caricatura di Ryfon. Si alzò in piedi e si avvicinò alla altmer, prendendola con la destra per la testa e stringendola a sé. Le diede un bacio sulla fronte e se ne andò per la notte, il suo fido drago accanto come un’ombra

 

 

~

 

 

Il prossimo capitolo si intitola LA CITTÀ PERDUTA; niente più mezzi capitoli, si ritorna alla solita pubblicazione settimanale di domenica. Dopo più di 400mila anni, la grande città fondata da elfi e nani viene riscoperta. Quali segreti custodisce al suo interno?

Ritorna all'indice


Capitolo 56
*** LA CITTÀ PERDUTA ***


LA CITTÀ PERDUTA

 

«Qui.» disse convinto Siirist.

Erano a settecento chilometri a sud ovest da dove il mezz’elfo aveva sondato il deserto. I draghi erano in volo e i Cavalieri sulle selle. Ryfon richiamò tutto il suo Flusso in entrambi i palmi, i Cerchi d’argento che brillavano, creando due correnti dalla forza di 500mila douriki ciascuna. Fece scattare le braccia verso l’alto e, in una violenta esplosione, la sabbia che egli aveva preso di mira fu sparata verso l’alto, e la grande colonna raggiunse i due rettili a trecento metri di altezza. Rorix si lamentò dei granuli che gli erano entrati nelle narici e negli occhi. Ridacchiando, il biondo si scusò. La colonna di sabbia continuò ad estendersi verso il cielo che si faceva sempre più scuro, trasportando tutti i detriti che avevano sommerso la mitica Ilirea. Dopo tre minuti, si era creata una profonda voragine larga abbastanza per permettere ai due draghi di discendere insieme. Erano a millecinquecento metri di profondità, che toccarono terra. Siirist non aveva problemi a vedere con le sue iridi rosse, ma gli occhi elfici di Glarald avevano smesso di essergli d’aiuto ottocento metri più in alto, perciò si era dovuto aiutare con un incantesimo organico misto a luce. Avevano davanti una porzione di un muro titanico: di marmo nero dei Beor, il portone a due ante era chiuso per metà, sabbia che ostruiva completamente il passaggio. Solo la barriera spaziale alimentata dal Flusso attorno all’indice destro che il mezz’elfo aveva eretto impediva alla sabbia di richiudere completamente il pozzo che aveva creato. Ora c’era la questione di come entrare nella città. Era chiaro che essa pure fosse completamente sommersa, e Siirist non voleva neppure pensare a dover creare gallerie su gallerie. In quel modo non avrebbero mai trovato la formula dell’Adamantio, che già sarebbe stato cercare un ago in un pagliaio anche se la città fosse stata in superficie. Il mezzo demone ringhiò infastidito; se non fosse stato in assoluta calma, avrebbe anche sprigionato ardenti fiamme. Richiamò tutto il suo Flusso nel palmo sinistro e a esso appoggiò il destro: in quel modo, avrebbe creato un incantesimo da dieci milioni di douriki, più che sufficiente per sbarazzarsi di tutta la sabbia nella città. Trattandosi questa volta di un incantesimo complesso, fu costretto ad articolarlo con le parole della Vera lingua dopo quasi un minuto di concentrazione.

«Che tutta la sabbia che occupa Ilirea scompaia.»

Alle parole, unì il suo potere spaziale più potente, quello che utilizzava in uno dei suoi incantesimi predefiniti più pericolosi: il potere del Vuoto. Esso cancellava tutto ciò che vi entrasse in contatto, semplicemente annullando lo spazio. Era un incantesimo di Adamar che, però, egli non era in grado di utilizzare, data la mancanza di potere. Per farlo, avrebbe dovuto utilizzare svariati amplificatori e avere molte gemme cariche di energia da cui attingere forza. E lanciato un unico incantesimo, l’Anziano si sarebbe ritrovato completamente privo di forze. Questo, per fortuna di Siirist, non era il suo caso, e per quanto la complessità dell’incantesimo richiedesse un uso molto grande del Flusso, non consumava, come sempre, che un unico douriki energetico al suo lancio. Da oltre l’anta aperta, apparve il nero del Vuoto che consumava la sabbia che bloccava l’accesso alla città, scomparendo veloce come era apparso. E la via era libera.

«Quel tuo incantesimo è quasi terrificante.» disse tra l’impressionato ed il timoroso il Cavaliere corrotto.

«Sì, ma è difficile da controllare. Per usarlo così su larga scala, occorre, come hai visto, un lungo periodo di concentrazione, che non sempre mi posso permettere. Preferisco usarlo solo con il Confine assoluto o gli altri incantesimi predefiniti. Inoltre sono sempre costretto ad entrare in stato di calma assoluta prima di lanciare una magia spazio-temporale, spesso non conveniente se paragonato alle arti demoniache.» rispose con tono piatto.

Senza contare l’immenso dispendio energetico che richiedeva un incantesimo di Vuoto. Perché eliminare completamente dallo spazio un nemico quando poteva tranquillamente, e con un richiamo di Flusso incredibilmente minore, bruciarlo vivo? E anche in quel momento tutto il suo Flusso era impegnato solo a mantenere la barriera spaziale che impediva alla sabbia di ricadere, il Cerchio d’argento sul palmo destro che brillava talmente forte da trasformare la mano in una torcia. Sdoppiò il suo Flusso e lo incanalò attraverso il braccio sinistro, e anche l’altro Cerchio d’argento si illuminò.

«Che la Polvere di diamanti crei una barriera tra la città e la sabbia.»

Alzò la mano verso l’alto e da essa partì una potente folata di vento che portava con sé minuscoli frammenti di ghiaccio che in poco creò una cupola bianco-celeste a duecento metri d’altezza. Siirist sigillò anche la porta con il ghiaccio diamantino e annullò del tutto le barriere di spazio che aveva eretto, sia quella di Vuoto dentro Ilirea, sia quella di spostamento nel pozzo. Ed esso si riempì in appena dieci secondi, generando un grande boato che rimbombò per tutta Ilirea.

«Tanto per uscire userò la dislocazione.» spiegò.

Ampliando enormemente il suo occhio mentale, Siirist ebbe una panoramica generale dell’intera città, almeno venti volte più grande di Rivendell, e scelse diversi punti strategici in cui generare delle colonne di ghiaccio che fungessero da specchi, la più vicina a dove si trovava lui a solo un metro di distanza. Allora generò una sfera di luce che gli richiedeva 100 douriki costantemente impegnati per mantenerla, ma, avendola amplificata usando entrambe le mani, essa aveva ottenuto un potere di 10000 douriki. La mise accanto alla colonna di ghiaccio e da essa partì un potente raggio che andò ad incontrare la seconda colonna, poi la terza. Nel giro di un minuto, l’intera città  sotterrata era illuminata a giorno, complice anche la volta di ghiaccio diamantino che Siirist aveva in seguito modificato per renderla uno specchio gigante. Glarald batté le mani impressionato.

«Devo ammettere che mi stupisci sempre di più. Per quanto sia stato io a supervisionare i tuoi allenamenti e i tuoi studi, rimango sempre meravigliato. Hai completamente padroneggiato i segreti dei quattro Anziani più forti, bravo.»

«Non quelli di Eimir. Conosco tutti i suoi segreti sulla stregoneria, ma tutto ciò che riguarda le invocazioni mi è inutile se non trovo un portale per Oblivion.» rispose senza scomporsi, impassibile, il suo stato di calma assoluta ancora attivo.

Si mise in marcia percorrendo il lungo viale che un tempo doveva essere stato meraviglioso. Ai lati erano costruiti degli edifici dall’aspetto interessante, era evidente come l’architettura altmer e nanica si fossero influenzate a vicenda.

‹Non trovi ironico come due draghi stiano ora felicemente camminando nella città costruita proprio come difesa da noi?› ridacchiò Rorix.

‹Sì.› rispose il Cavaliere con tono piatto.

L’Inferno sbuffò: non sopportava il biondo quando era in stato di calma assoluta, perché tutto il suo senso dell’umorismo scompariva, concentrato com’era solo su ciò che era importante: trovare la formula dell’Adamantio, trovare un portale per Oblivion, rivedere Alea. Almeno l’elfa era ancora nei suoi pensieri, per quanto al terzo posto, e non era diventato un automa tutto dovere. Siirist si fermò di colpo, facendo fare lo stesso agli altri tre che lo seguivano.

«Che succede?»

Per tutta risposta, Ryfon attrasse a sé l’oggetto che aveva colto la sua attenzione, afferrando al volo l’ascia. La guardò attentamente, notando il colore indefinito della lama, le innumerevoli pieghe che erano state date al metallo, senza dubbio mithril, a giudicare dal colore, per contenere il Cristallo, ciò che le dava quell’aspetto spettrale, quasi trasparente, e qualcos’altro che non riuscì ad identificare. Era qualcosa di duro, qualcosa che gli pareva fosse organico. Cosa poteva essere così resistente da non decomporsi dopo tutti quei millenni? Il mezz’elfo rigirò l’arma che stava impugnando, notando la semplicità della fattura, esclusa la misteriosa lega che dava vita alla lama: il taglio di essa era quasi rettangolare, solo la parte del filo era appena più lunga e ricurva; l’asta che la reggeva era di acciaio ben temprato, e l’impugnatura era spoglia: un tempo doveva essere stata rivestita da pelle, molto probabilmente, ma ora si era dissolta.

«Questa è l’arma di un nano. La lama è... qualcosa che non ho mai visto. Sarà mica... Adamantio?» Glarald era estasiato.

Siirist non fiatò.

‹Rorix.›

‹Te lo scordi.›

‹Avvicina la zampa.›

‹Chiedi per favore almeno! E esci dal tuo stato di calma assoluta, mi dai suoi nervi e mi dai i brividi quando sei così apatico!›

Siirist fece come detto e si trovò improvvisamente orripilato da ciò che voleva fare al suo compagno.

‹No, avevi ragione, come tutte le volte che sei in quello stato. Solo il tuo modo di chiederlo non era molto gentile. Fai pure.› permise il drago rubino, porgendo la zampa anteriore destra.

Ryfon sorrise, felice di avere un compagno mentale così incredibile, e menò un colpo che penetrò senza il minimo problema la corazza invulnerabile costituita dall’intreccio di scaglie rubine. Il biondo non si era aspettato tanta facilità e ferì il drago più di quanto avesse voluto.

‹Ahi!› ringhiò l’Inferno.

‹Scusami tanto!›

Il mezz’elfo gettò via l’ascia di Adamantio e pensò a guarire la zampa di Rorix: l’ascia era arrivata fino all’osso, tagliando attraverso scaglie, carne e muscolo come Lin dur avrebbe tagliato un filo di seta. Guarito l’arto del drago, Ryfon si rimise in piedi e richiamò a sé l’ascia: non aveva nemmeno una traccia di sangue sul filo.

«Ha la caratteristica del Cristallo di rimanere sempre perfetta: non perde il filo e non si sporca, tanto che il sangue scivola via. Questa è una bella cosa, non so dire quanto odi dover sempre pulire e affilare le mie katana. Un conto è lucidare e prendersi cura di una spada, un conto è dover lavorare per mantenerla mortale come dovrebbe essere.» commentò il biondo.

«Questa sarebbe un’ottima arma da mettere sotto sigillo.» osservò l’elfo oscuro.

«Preferirei avere spade, ce ne saranno sicuramente, ma anche un’ascia può tornare utile. Basterà rivestire l’impugnatura e sarà come nuova. E bisogna trovare un portale per Oblivion, ti ricordo.»

«Mal che vada, andrai a Oblivion dopo essere ritornato a Vroengard.» rispose Glarald.

«Preferirei farlo prima, ma sì, al limite faccio così.»

I portali per Oblivion erano una cosa rara, Siirist sapeva che ce ne era uno a Rivendell, nel palazzo del principe, uno nelle sedi dell’Università Arcana di Imperia e Zanarkand e ad Arcadia, sia nell’Università che nel palazzo imperiale. Ma in tutti i casi avrebbe dovuto rivelare chi fosse, e questo gli avrebbe impedito di continuare a viaggiare in libertà. Continuarono a camminare, seguendo il grande viale, ed incominciarono a trovare sempre più armi sparse a terra: spade, asce, mazze, martelli, frecce, lance, flagelli, falci... Qualunque tipo di arma, in qualunque stile o dimensione possibile, che elfi o nani avessero mai forgiato, utilizzato o anche solo concepito era lì. Nella grande piazza, nelle strade che si diramavano da essa, negli edifici che i quattro andarono ad ispezionare. E il numero di armi aumentava più i quattro si avvicinavano a ciò che capirono essere stato il Palazzo dei Due Re, la residenza in cui erano vissuti i sovrani della città. Ilirea era stata una città stato, nata dalla collaborazione dei due popoli alleati ma poi separata dalla Yaara Taure e dai Beor. I due capi della città si erano chiamati re e avevano governato insieme. Siirist finalmente capì che cosa ci facevano tutte quelle armi a terra, e perché la città fosse improvvisamente caduta.

«C’è stato un massacro. Le due fazioni hanno preso le armi e si sono massacrate tra di loro.» spiegò.

«È quello che stavo pensando anche io. Ma perché?»

«Sappiamo che la guerra con i draghi è terminata quando gli elfi strinsero il patto che condusse alla nascita dei Cavalieri e i nani, offesi, si ritirarono nei Beor.»

«Forse Ilirea era ancora in piedi a quel tempo e quando i nani sentirono del tradimento degli elfi, si rivoltarono contro di loro.» azzardò l’elfo oscuro.

«E sono rimaste solo le armi perché i corpi dei loro possessori si sono decomposti da tempo.»

Arrivarono alle due porte del Palazzo dei Due Re. Esso era un edificio immenso, che pareva essere stato completamente ricavato da una montagna che continuava molto verso il basso, più in profondità di quanto Siirist potesse vedere. Loro quattro si trovavano su un ponte finemente scolpito, per quanto gli altorilievi fossero oramai indecifrabili, che collegava il palazzo al resto della città. E sotto di loro, un abisso nero. L’antica residenza delle due maestà aveva una facciata divisa in numerose figure, tutte perfettamente squadrate. Alcuni buchi la attraversavano, dove un tempo dovevano esserci state le finestre. Entrarono per le porte gemelle, i battenti scomparsi, ed arrivarono ad un cortile oramai morto. E fin da subito si notava la differenza in stile: a destra la parte altmer, a sinistra la parte nanesca. Per quanto gli edifici del resto della città fossero un po’ un misto dei due stili, era prevalente quello elfico, mentre nella parte sotterranea della città, accessibile da scale pubbliche o anche da alcune case che avevano intere sezioni nella zona del seminterrato, era più di spessore lo stile dei nani. Siirist sperava che la formula dell’Adamantio non fosse da qualche parte nella sezione sotterranea, poiché gran parte di essa era oramai crollata. E, comunque, era più probabile che si trovasse nel palazzo, ammesso che effettivamente esistesse ancora, motivo per cui ci erano andati.

«E ora?» domandò al Cavaliere più anziano.

«Bella domanda. È ugualmente possibile che si trovi nella metà elfica come in quella nanica.» rispose incerto.

«Se solo sapessi cosa cercare, sarebbe tutto più semplice. Ma la formula potrebbe essere incisa su una lastra di pietra o direttamente nella roccia delle pareti, in una targa di metallo, o, Obras ce ne scampi, scritta su un foglio di carta. In quel caso potremmo anche andarcene.»

‹Puoi cominciare dalla supposizione della roccia: puoi sentire su tutto il palazzo se ci sono delle incisioni.›

‹Ci vorrà un’eternità e chi sa quante altre scritte troverò? Immagino che il palazzo sia protetto da innumerevoli incantamenti.›

‹Hai un’idea migliore?›

Siirist odiava quando Rorix aveva ragione quasi quanto il drago odiasse lui in stato di calma assoluta, che per ovvie ragioni assunse. La sua espressione cambiò, gli occhi che diventarono quasi morti, mentre la sua percezione dell’ambiente circostante cresceva esponenzialmente. Si mise su un ginocchio e appoggiò la mano nuda a terra. Anziché attivare un incantesimo, il mezz’elfo optò di inserire direttamente il suo Flusso nella pietra del palazzo, e in quel modo ebbe una idea migliore di ciò che stava accadendo. Dopo cinque minuti che restava immobile, vide qualcosa di così scioccante da farlo uscire dal suo stato di calma.

‹Che succede?!› si allarmò il drago.

‹Non te lo posso dire, devi vederlo con i tuoi occhi.› rispose alzandosi e entrando nel palazzo.

Siirist aveva raggiunto un perfetto controllo dei suoi poteri mentali e neppure Alea nuda lo avrebbe potuto distrarre dal suo stato di calma assoluta. Ma quello che aveva visto aveva risvegliato qualcosa di sopito dentro di lui, qualcosa che stuzzicava la sua vera essenza come niente mai in tutta la sua vita. Era come gli aveva detto la Volpe Grigia: prima di essere un guerriero o un mago, egli era un ladro. E questa volta non si trattava di combattere come un ladro, questa volta si trattava di ciò per cui una persona diventa un ladro. Sorrideva come poche altre volte nella sua vita, bava che gli cadeva dalle labbra per essere andato in iper salivazione. Era troppo bello. Il cuore gli batteva forte, quasi non riusciva a respirare e tremava dall’eccitazione. Non riusciva a smettere di sorridere come un idiota, un risolino ebete che gli saliva di tanto in tanto dalla gola.

‹Si può sapere che accidenti hai visto?!›

‹Aspetta, aspetta... Ci siamo quasi... hehehe...!›

Più che stuzzicato, si sentiva come se quello che aveva visto lo avesse sbattuto sul letto, gli avesse strappato i calzoni e avesse incominciato a fargli un pompino. E arrivarono alla sala del trono. Essa era grande e completamente spoglia se non per numerose armi e due maestosi troni che si trovavano accanto ad una grande colonna squadrata al centro della sala. Uno era completamente nero, scolpito nel marmo dei Beor, dalle forme precise, lineari, squadrate, come era tipico dei nani, decorato con diamanti neri, bianchi e zaffiri di varie forme e dimensioni; quello accanto era una meraviglia di oro giallo, rosso, bianco e verde, il primo e l’ultimo i più prevalenti, dalle forme più morbide e tondeggianti. Accanto ai troni vi erano quattro oggetti meravigliosi: una grande ascia a due mani ma ad una lama, la quale aveva una forma più aggraziata delle solite arme naniche, la lama leggermente ricurva e, nella sua parte più lunga, cinquanta centimetri. La parte non letale dell’ascia era di oro nero e argento, con numerosi diamanti neri incastonati, un grande zaffiro infondo. Accanto vi era una splendida corona dall’aspetto pesante e massiccio, di oro nero e onice, con zaffiri, perle nere e diamanti bianchi a decorarla. Ai piedi dell’altro trono, invece, vi era una spada a due mani, l’elsa prevalentemente di oro giallo, bianco sulla parte dell’impugnatura e un po’ di oro nero sulla guardia a croce che si mischiava a quello giallo. Due diamanti bianchi erano incastonati infondo ai bracci della guardia, uno splendido diamante verde sul pomolo. Accanto, vi era una corona, molto più elegante e leggera di quella dei nani, di oro giallo, bianco, verde e rosso, con incastonati diamanti bianchi, smeraldi, rubini e turchesi. Rorix capì.

‹Quelle due spade e quelle corone devono valere, sia per il loro effettivo valore che per la loro importanza storica, almeno mezzo milione di monete d’oro ciascuna! Ora capisco perché ti sei eccitato tanto!›

‹Che, per quella robetta?›

Rorix guardò sconvolto il suo Cavaliere. Questi si avvicinò alla colonna dietro i troni e premette una delle pietre, facendo scomparire uno dei suoi lati nel pavimento, rivelando una serie di scale a chiocciola.

‹Non dirmi che...!›

‹Hehehe...!›

Siirist corse giù per le scale, obbligando gli altri tre a seguirlo, i draghi che si fecero grandi quanto merli che scendevano volando. Volavano quanto i Cavalieri correvano, e passarono circa venti minuti in quel movimento centrifugo che avrebbe fatto girare la testa a chiunque: ma non a Siirist, troppo concentrato sul suo obiettivo.

‹Quanto manca ancora...?› chiese Rorix con la nausea.

Scesero, scesero e scesero ancora, per quella che parve un’ora, quando, finalmente, le scale si interruppero e la strada si fece di nuovo piana. Siirist si prese un secondo per riprendersi, e poi seguì il lungo corridoio, mentre Glarald si appoggiò ad una parete per evitare di cadere e i draghi si schiantarono a terra.

«Muovetevi o non vi aspetto!» disse tra l’impaziente, l’eccitato, il nervoso e l’arrabbiato Ryfon.

Gli altri tre emisero un grugnito infastidito, ma fecero come detto. E dopo tre minuti, arrivarono ad una porta. Siirist si fermò e fece dei respiri profondi.

«Sappiate che ho attivato un incantesimo oltre questa porta che illumina l’intera stanza. E fidatevi, è enorme. Il soffitto arriva fino a poco sotto il pavimento della sala del trono, quindi capite da soli quanto è alto.»

E aprì la porta. Di fronte a loro apparve la massa più grande e vasta di ricchezze che si fosse mai vista prima, con montagne di oro di vario colore, argento e pietre preziose che arrivavano così in alto da arrivare quasi a toccare il soffitto. Lingotti, monete, statue, piatti, bicchieri, vassoi, anelli e monili vari, armi e armature decorative. Tutto ciò che poteva essere fatto usando i vari metalli e pietre preziose era lì. Siirist rideva come un bambino a cui era stato dato un giocattolo nuovo, in quel caso un giocattolo davvero bello, mentre gli altri tre erano a bocca aperta e senza parole.

‹Quanto dicevi che potevano valere quelle armi e quelle corone di sopra?› chiese con aria curiosa a Rorix.

Come un papero in un lago, Siirist si buttò di testa nel mare di ricchezze, affondando come tra sabbie mobili. Allora richiamò il suo sangue demoniaco, e i suoi occhi diventarono rossi. Usando il suo potere di volo, si tenne “a galla” e fece finta di nuotare, prima a stile libero, poi a dorso. Si immerse e ne riuscì, alcune monete in bocca, e le sputò, facendole levitare, e dando l’impressione di sputare un getto d’acqua durante una spensierata nuotata. Ridendo come mai in vita sua, si sollevò in aria, roteando in avanti su se stesso, salendo sempre più in alto e rimanendo sulla stessa asse. La sua risata da pazzo era così forte da riecheggiare in tutta la sala.

«Intuisco tu sia felice di questa scoperta. Complimenti, sei ora l’uomo più ricco di tutta Tamriel. Non abbiamo contatti con gli altri continenti, ma azzarderò a dire anche che sei il più ricco di tutta Gaya.»

«Ma non capisci?!» Siirist gli volò incontro, rimanendo ad un metro da terra, la sua faccia vicina a quella dell’elfo oscuro perché aveva il corpo quasi perfettamente orizzontale.

«Che c’è da capire oltre al fatto che sei ricco? Certo, molte di queste gemme possono essere così pure da contenere svariati quantitativi energetici, ma a parte questo, non vedo che altro ci sia di stupefacente in questa trovata.»

«Che cos’è che i nani amano più delle loro barbe?» domandò con il tono da presentatore di un quiz a premi in sferovisione.

Glarald si illuminò, capendo finalmente. E anche lui sorrise enormemente. Non quanto Ryfon, è chiaro, ma comunque ci andava vicino.

«Portando loro in dono anche una minima parte di questo immenso tesoro, apriranno subito le loro porte, e se glielo chiedo anche i loro culi, e riporteranno le loro brutte facce barbute in superficie. Non sarà la mossa più onorevole di questo mondo, ma è un modo come un altro per unirli alla causa contro gli Scorpioni!»

«Realizzando così la profezia dell’unione di tutte le razze! Siirist, sei un genio!»

«Per quanto lo sappia benissimo e ami dirmelo da solo, è sempre bello sentirlo da altri. E poi sì, certo, sono ricco! Hahaha!» e ricominciò a ridere.

‹Fai poco il gradasso, che hai pensato ai nani solo dopo. Il tuo sguardo di sopra quando sei uscito dal tuo stato di calma assoluta poteva solo essere “soldi” o “fica”, non “bipedi bassi e pelosi”.› lo riprese Rorix.

‹Ah, dettagli!› gli rispose infastidito il Cavaliere biondo.

«Va beh, adesso torniamo alle questioni più alla mano.»

Riacquistò il suo stato di calma assoluta e si mise nuovamente con la mano appoggiata a terra. Dopo un’ora e mezzo aveva sondato millimetro per millimetro l’intero Palazzo dei Due Re, se non per un punto che aveva trovato inaccessibile. Riferì ciò agli altre tre e questi concordarono che poteva essere un luogo protetto da sigilli anti-magia che probabilmente custodiva la formula segreta. D’altronde i guardiani di quel palazzo avevano trovato più importante proteggere quel luogo misterioso che il loro immenso tesoro: qualcosa sotto doveva esserci. Con la dislocazione, Siirist riportò se stesso e gli altri al piano “terra”, in una stanza non molto distante dalla sala del trono, e con un incantesimo di Vuoto fece sparire una parte della parete che impediva di essere ispezionata, scoprendo così altre scale discendenti. Ma per la felicità di tutti, erano dritte e non a chiocciola, e non andavano più giù di dieci metri. Quando le ebbero percorse tutte, arrivarono, dopo altri tre metri, ad una pesante porta di mithril, percorsa da varie rune di protezione.

«Pare servano le chiavi. Queste rune sono potenti, difendono le porte da qualsiasi tipo di magia, e ho il sospetto che ci siano le stesse a ricoprire anche le pareti della stanza che c’è dall’altra parte.» disse Glarald, un po’ alterato.

«Per fortuna ho la magia del Vuoto, che niente può fermare.» disse soddisfatto Siirist, creando la sfera nera attorno alla mano destra dopo essere entrato in stato di calma.

L’elfo oscuro scosse la testa.

«No, se leggi bene, gli incantamenti sono scritti in modo da repellere qualsiasi forma mistica. Sebbene non si fossero immaginati un incantesimo potente come il tuo Vuoto, i maghi che hanno inciso queste rune hanno fatto in modo di proteggersi da qualsiasi cosa un potenziale invasore potesse utilizzare.»

Siirist diede un’occhiata alle scritte elfiche degli incantamenti e ringhiò infastidito, costretto a dare ragione al Cavaliere corrotto.

«Se non posso intervenire direttamente sulle porte e i muri, posso provare con lo Sconvolgimento spaziale e influenzare indirettamente lo spazio in cui si trovano.»

Glarald scosse ancora la testa.

«Potrebbe funzionare, ma sarebbe correre un rischio troppo grande. Ammesso che possa superare le difese degli incantamenti, rischieresti di rovinare qualunque cosa sia all’interno di questa stanza. Metti che la formula è incisa direttamente su una parete: se la rompi con lo Sconvolgimento spaziale, come la mettiamo poi?»

L’elfo aveva ragione, e Siirist si imbestialì ulteriormente, uscendo dallo stato di calma e ringhiando forte, i suoi occhi che ancora si tingeva di rosso. E sorrise.

«Se è in grado di divorare il marmo nero dei Beor, queste semplici porte di mithril incantate saranno un giochetto.»

Richiamò la più alta forma di energia demoniaca attorno alla sua mano sinistra, e sul palmo comparve una fiamma nera. Era un potere difficile da controllare, non uno che gli piaceva molto usare perché gli mieteva la riserva energetica.

«Tsukuyomi!»

La fiamma prese la forma di una katana e si solidificò, permettendo al mezzo demone di impugnarla propriamente. Con tre rapidi colpi di ittouryuu, il biondo dagli occhi rossi creò un varco nelle porte, e la porzione metallica tagliata cadde a terra con un pesante clang. La spada nera ritornò ad essere fiamma e si dissolse nel nulla.

«Fatto.»

«Effettivamente nessun incantamento può resistere ad un potere divino.» ammise Glarald.

Il mezz’elfo creò una sfera di luce e la lanciò verso il soffitto, dal quale illuminò l’intera stanza. E lì, su una lastra di pietra, erano incise delle parole, da un lato nella lingua degli elfi, dall’altra in quella dei nani. Ma Ryfon non se ne curò nemmeno, superandola per raggiungere quattro pilastri ricoperti di rune elfiche posizionati in modo tale da formare un quadrato inscritto ad una circonferenza tracciata da altre rune. Siirist aveva già visto quella costruzione e sapeva bene cosa fosse. La prima volta era stato a Vroengard, durante il suo terzo anno di addestramento, assieme ad Alea, Gilia, Evendil e Althidon. E accanto una seconda lastra di pietra incisa, più piccola, che riportava dieci righe, ognuna composta da cento quarantaquattro parole. Siirist le lesse tutte, imprimendole a fondo nella sua mente.

«Sì, è questa, è la formula!» esultò Glarald dopo aver letto le prime righe.

«Lasciala perdere e vieni qui.» rispose Siirist.

Sorrideva soddisfatto, già pregustando la sfida che lo aspettava, il suo sangue demoniaco che ribolliva, gli occhi rossi avvolti da un’aura azzurra che sprigionava scintille. Una fiamma azzurra si generò dal palmo sinistro del mezzo demone, che fu estinta dalla sua mano chiusa in una morsa determinata.

«Questo è un portale per Oblivion!» disse incredulo Glarald.

«E questi sono i sigilli per domare gli Esper.» aggiunse il biondo, indicando la lastra che aveva memorizzato.

 

 

~

 

 

Il prossimo capitolo si intitola IL VERO NOME. In uno dei piani di Oblivion Siirist farà la conoscenza di un essere particolare che avrà qualcosa di interessante da rivelare a lui e al suo drago.

Si tratta di uno dei due capitoli che io abbia odiato scrivere di più in assoluto, quindi se sembra sbrigativo (specie quando appaiono gli Esper), lo so, ma non ho potuto fare altrimenti per tante ragioni (sia inerenti al mondo della storia che a me come scrittore).

Ritorna all'indice


Capitolo 57
*** IL VERO NOME ***


IL VERO NOME

 

Glarald era stato a guardare con somma ammirazione i sigilli degli Esper mentre Siirist si era occupato di attivare il portale. Non lo aveva mai fatto personalmente, ma era stato diverse volte a Oblivion quando era ancora a Vroengard, perciò aveva visto i responsabili farlo ancora e ancora. Prese due chiavi, due cristalli dalla forma romboidale, e ne diede uno all’elfo oscuro. Infine, preparate le coordinate del portale, lo attivò. Al centro dei quattro pilastri si creò lo squarcio dimensionale e dall’altra parte apparve un mondo dalla terra desolata, il cielo coperto da nubi scure e un temporale in atto.

«Non mi sarei aspettato altro dal piano dell’Esper di Levias.»

Siirist non era mai stato personalmente nel primo piano di Oblivion, ma Gilia sì, e ciò che aveva ora di fronte agli occhi corrispondeva perfettamente alle descrizioni dell’amico. Tutti e quattro entrarono nella dimensione intermedia tra la loro e quella degli dei e lo squarcio alle loro spalle si richiuse. Ryfon strinse saldamente il cristallo nella mano prima di metterlo nella tasca destra dei calzoni. Poi portò la portò a Lin dur, stringendo la guardia e la parte di fodero che vi era a contatto. Sentì sotto al guanto la catena che gli aveva regalato Viola tanti anni prima. Non era importante come la Collana del Giuramento, ma teneva molto a quel gioiello. Non si era mai perdonato il modo in cui era rimasto immobile nel vedere la ragazza trucidata da quel mostro. Quando lo avesse rincontrato, avrebbe pensato anche a lei e non solamente ad Evendil; strappargli il cuore e bruciargli le carni sarebbe stato anche per la moretta, oltre che per il mezzo bosmer. Un ringhio gli salì dalla bocca, mentre avvertiva il cambio di toni nei colori, e il tutto aveva un’apparenza più sfumata. Chiuse gli occhi ed espirò, liberando tutta la sua foga. Era pazzesco come il solo pensare a Raiden risvegliasse il suo animo draconiano. Doveva smettere di perdere tempo, doveva urgentemente studiare il grimorio di Eleril: da quando aveva raggiunto il 100% di legame con Rorix, la sua natura bestiale si era manifestata con sempre maggior facilità. Una volta gli era bastato posare lo sguardo su una sua ala per ricollegare l’immagine all’alato traditore e indurre la trasformazione in draconiano. Cinque anni in quelle condizioni, Siirist non sapeva quanto tempo sarebbe passato ancora prima che non avesse avuto più la forza di reprimere la sua parte animalesca. Accelerò il passo.

Il primo daedra che incontrarono era un bikeros, una creatura a quattro zampe con quattro escrescenze ossee che spuntavano dalle spalle e puntavano in avanti. Del livello della tigre, era un daedra che poteva essere di quattro elementi, ma quello che avevano davanti, dal manto grigio cenere, era di fulmine, non per niente si trovava nel primo piano. Il grimorio di Eimir gli aveva insegnato tutto ciò che c’era da sapere sui 2398 daedra differenti che l’Anziano aveva messo sotto sigillo, e di bikeros questi ne aveva tredici. Senza battere ciglio, Siirist richiamò il Flusso vitale, incanalandolo attraverso il suo palmo sinistro, facendo brillare il Cerchio d’argento. In un istante analizzò la composizione chimica del terreno desolato, trasformandolo a livello molecolare in sabbia ferrosa. Puntò in avanti la mano e la serrò a pugno: contemporaneamente quattro spunzoni di sabbia ferrosa trapassarono il daedra in specifici punti che lo immobilizzarono completamente, lasciandolo alla mercé del Cavaliere. Questi si tolse il guanto destro ed una ferita apparve magicamente sulla punta dell’indice, il sangue che apparve come una perfetta linea rossa qualche istante dopo. Con il dito tracciò il sigillo della tigre nell’aria, segnando i dieci cerchi concentrici che contenevano le sessanta rune che rappresentavano l’essenza del mondo, contemporaneamente pronunciando un’evocazione di sottomissione. Quando ebbe finito di disegnare il sigillo, esso si rimpicciolì e si andò ad imprimere sul collo del bikeros, marchiandolo a vita. Quel metodo di sigillatura era la fonte del segreto dell’invocazione istantanea di Eimir; come Siirist aveva pensato anni prima, la storia che essa fosse legata ai dodici sigilli tatuati sul corpo dell’Anziano era solo una menzogna atta a sviare i tentativi di altri di scoprire il suo segreto. Siirist aveva messo il suo primo daedra sotto il sigillo di un’invocazione istantanea. Quando avesse visitato gli altri piani, avrebbe dovuto richiamare anche i daedra che aveva già sotto il suo controllo per modificare i sigilli che aveva già posto e renderli istantanei. Ma prima di andare ai piani di Hashmal, Ifrit, Fenrir, Bahamut e Siiryll c’era tempo. Intanto era in quello di Adrammelech, del quale non possedeva alcun daedra, e si sarebbe occupato di conquistarne diversi prima di raggiungere l’Esper.

Dieci daedra più tardi, Ryfon e i suoi compagni raggiunsero una sorta di labirinto formato da pareti rocciose e con il terreno sabbioso, che era risaputo essere la tana del custode del piano. Lui e Rorix vi entrarono decisi, mentre Glarald e Vadraael rimasero indietro. Si erano difesi quando erano stati attaccati, ma mai si erano fatti avanti ad aiutare Siirist e Rorix. Come l’elfo oscuro aveva varie volte ripetuto, erano le loro guide, niente di più. Il mezz’elfo sapeva bene che non avrebbe ricevuto alcun aiuto durante il suo scontro con Adrammelech, come con nessun altro Esper. Erano solo lui e Rorix, ma era sicuro delle sue abilità.

‹Buon per te, io sono un po’ nervoso. Non sappiamo nulla degli Esper, non sappiamo se i nostri attacchi funzioneranno.› ammise l’Inferno.

il Cavaliere lo accarezzò sulla testa squamosa, mai rallentando il suo passo. Furono attaccati da altri daedra, alcuni di fulmine, alcuni di vento, in rari casi anche qualcuno di terra. Siirist non sprecò tempo e energie nel metterli tutti sotto sigillo, solo quelli che gli interessavano. Così vicini alla tana dell’Esper erano oramai tutti di livello drago, ma il mezz’elfo sapeva tutto a proposito degli avversari che si erano trovati davanti, e a differenza di anni prima, quando il solo sapere che un daedra era del livello del drago gli avrebbe fatto venire voglia di porlo sotto sigillo, ora sapeva quali gli sarebbero ritornati utili e quali no. Prima di raggiungere Adrammelech, in ogni caso, Siirist aveva ottenuto altri trdici nuovi daedra. E finalmente lo videro.

L’Esper si trovava al centro del labirinto, seduto a gambe incrociate sopra ad un cumulo di sabbia. Aveva il corpo che pareva composto da un’armatura, tutto verde smeraldo ricoperto da decorazioni rosso-arancio. La testa pareva quella di una capra, due corna e una barbetta all’apparenza metallica. Sulla schiena aveva due ali che parevano scheletriche, in quanto prive di piume, ma della stessa composizione del resto del corpo, un’armatura verde e rossa. Era un essere eretto sulle zampe posteriori, con una coda da cavallo arancione che arrivava all’altezza delle ginocchia; le mani terminavano in pericolosi artigli. A occhio e croce era alto sui nove, dieci metri.

«Adrammelech, potente emanazione di Levias e guardiano del primo piano di Oblivion. Io sono Siirist Ryfon, Cavaliere d’Inferno. Sono qui per reclamare il tuo potere.»

La risposta dell’Esper raggiunse i due invasori da tutte le parti. Esso non aprì la bocca, ma non comunicò direttamente con la mente dei suoi sfidanti, tanto che lo sentirono con le loro orecchie. Era una voce come non ne avevano mai sentita, né maschio né femmina, eterna e potente. Parlava sfruttando la mente, era chiaro, ma facendo passare la sua telepatia attraverso l’ambiente circostante.

«Miserevole mortale, cosa ti fa pensare di avere il diritto di disturbarmi nel mio riposo? Cosa ti fa credere di essere in grado di assoggettarmi al tuo volere?»

«Il fatto che conosca le cento quarantaquattro rune necessarie a sigillarti.»

Attorno all’Esper si creò un forte turbinio carico di saette che sollevò molta della sabbia, ed il custode prese il volo, levitando di dieci metri oltre il cumulo sul quale era precedentemente seduto.

«Vattene finché sei in tempo, mortale, poiché la mia ira non si placherà fino a che non sarai polvere.»

Siirist aveva già gli occhi tinti di rosso. Si tolse la tunica e le ali uscirono dalla schiena mentre i suoi capelli ottenevano la tonalità del sangue. Ghignò, rendendo visibile una zanna appuntita. Portò la sinistra al fianco opposto e la strinse attorno all’elsa di Lin dur, sguainandola. La sentì vibrare, la sentì pronta allo scontro. Evendil era con lui, non poteva fallire.

‹Sei pronto?› chiese al drago.

‹Vai!›

Unirono le loro menti e divennero un solo pensiero in due corpi. Rorix, al massimo della sua grandezza, volò verso l’Esper, mentre il Cavaliere correva, un potente incantesimo d’acqua pressurizzata attorno alla lama argentata. Adrammelech bloccò i due attacchi simultanei con la stessa difficoltà richiesta a Siirist per grattarsi il naso. L’Esper abbassò la testa, osservando i due nemici con occhi infuocati. Liberò un potente tifone che li scagliò via.

«Patetici mortali.»

Attorno al guardiano si creò una tempesta di scariche elettriche verdi che liberò addosso ai suoi nemici. Siirist fece in modo di indirizzare verso di sé anche l’attacco che doveva essere per Rorix e fu sbalzato contro una parete di roccia. Cadde faccia in avanti nella sabbia, dove rimase inerme con la pelle annerita, bruciacchiata e fumante.

‹Siirist!›

‹Eh... Questo qui non scherza... Fortuna che sono parte bestia del fulmine!›

‹Sì, ma senza le tue barriere magiche saresti morto comunque! Il suo potere è in grado di superare anche la tua resistenza demoniaca!›

‹Heh... È un bene che sia un demone in grado di usare la magia, allora.› tossì sangue.

Grazie al sangue derivante dalla famiglia reale aveva avuto la resistenza necessaria per resistere al potente lampo, grazie alla sua metà vampirica si incominciò subito a rigenerare. Ma un attacco di un Esper non era cosa così semplice da vincere e nemmeno il suo potere rigenerativo era sufficiente a guarire completamente le bruciature sul suo corpo. Dovette attingere alla magia organica per velocizzare il processo e al diamante di Lin dur per recuperare le forze. Si rialzò a fatica, ma si rialzò. Rimase in ginocchio con il fiatone mentre guardava Adrammelech che lo fissava interessato.

«Nessun mortale è mai sopravvissuto ad un mio fulmine. O dovrei dire che di nessun mortale è mai rimasto niente se non cenere dopo un mio fulmine.»

«Ah, ma io sono speciale!» rispose con tono beffardo.

L’emanazione del Figlio della Tempesta parve divertito perché un suono inquietante che ricordava una bassa risata rimbombò attraverso i muri e il terreno. Persino nell’aria che Siirist e Rorix respiravano.

«Molto bene...»

Adrammelech ignorò il drago e liberò dal suo corpo un turbine di lame di vento. Il mezz’elfo entrò in stato di calma assoluta e creò la sua barriera impenetrabile, il suo Confine assoluto, una sfera di Vuoto attorno a lui che annullava tutto ciò con cui essa venisse in contatto. Metà del suo Flusso nel palmo destro era impegnato a tenere attivo quell’incantesimo. Ma ciò che aveva davanti non era un avversario comune, bensì un’emanazione divina, e quel vento non era il frutto di una magia, un’evocazione o un potere demoniaco, quanto un potere divino. E riuscì a penetrare il Confine assoluto. Nell’istante in cui Ryfon se ne accorse, si dislocò, evitando di essere fatto a pezzi.

Poiché sei resistente al fulmine, ha deciso di utilizzare il vento. Sfrutta questa opportunità per utilizzare il tuo fuoco. disse Glarald.

Purtroppo nemmeno il fuoco d’Inferno può competere contro il suo potere.fece notare il mezzo demone.

No, ma tu possiedi un potere divino di gran lunga superiore.

Siirist non riusciva a credere di dover ricorrere al fuoco nero già dal primo piano. Di questo passo non sarebbe nemmeno arrivato al quarto e avrebbe esaurito la sua riserva energetica. Ringhiando, rinfoderò Lin dur e concentrò tutta la sua energia demoniaca sul palmo sinistro. Quanto avrebbe voluto che il Cerchio d’argento amplificasse pure i poteri demoniaci, gli avrebbe reso la vita molto più semplice. Rorix intanto aveva incominciato ad esalare le sue più potenti fiammate, cercando di contrastare le ventate del grande Esper. Il fuoco d’Inferno non era un potere divino, ma derivava comunque da Hanryu, perciò non era poi tanto lontano. E Rorix era forte, molto forte e abile, tanto che rendeva il suo respiro ancora più ardente utilizzando la sua magia draconica. In qualche modo pareva che il drago avesse trovato un modo di controllare la sua magia istintiva, ma in realtà sapeva che gli mancava ancora qualcosa per averne pieno controllo e utilizzarla in tutta la sua devastante potenza.

 

‹Che stai facendo?›

All’interno della sua torre, Siirist sentì una voce che non aveva sentito da oltre trent’anni: la propria. Si voltò e vide il falso che lo fissava. Per anni era rimasto addormentato e imbavagliato, ma ora era sveglio ed era libero di parlare.

‹Che cosa vuoi?› ringhiò il vero.

‹Aiutarti.›

‹Scusa?!›

‹Se muori tu, muoio anche io, è logico che non sia nel mio interesse vederti sconfitto.›

‹Di che parli?›

‹Non hai padroneggiato il fuoco nero, sai solo creare una Tsukuyomi e lanciare una patetica scusa di un Amaterasu. Il tuo Susanoo è ben lontano dall’essere completo e il kyuutouryuu è solo una fantasia.› ghignò malefico.

Il vero ridusse gli occhi a due fessure.

‹Vorresti dire che tu hai padroneggiato le sacre arti del fuoco nero?›

‹Solo le prime due, il Susanoo è forte ma non perfetto e anche per me il kyuutouryuu è impossibile, specie senza le tue katana ad amplificare il mio potere. Ma di certo posso fare meglio di te.›

‹Sparisci.›

‹No!› gridò.

Nella sua voce tutta l’arroganza che il vero aveva imparato a detestare era scomparsa: vi erano solo rabbia e paura.

‹Guarda bene! Rorix sta per perdere! Non possiede il fuoco nero, non può nulla contro un Esper! E tu devi occuparti di comporre le rune per il sigillo, perciò non puoi stare ad utilizzare alcun potere, sia magico che demoniaco. L’Esper è immortale, anche se tu avessi padroneggiato tutte e quattro le arti, il momento che le dovessi interrompere per porlo sotto sigillo ti sconfiggerebbe. Si sta spazientendo e tra poco incomincerà a fare sul serio: allora vi ucciderà senza nemmeno sforzarsi.›

Siirist ci rifletté. Aveva ragione.

‹Cosa proponi?›

‹Apri questa gabbia e ti aiuterò. Io creerò un Susanoo forte abbastanza da immobilizzare Adrammelech mentre tu lo metti sotto sigillo.›

‹Sarei pazzo a fidarmi di te. Anche se quello che dici è vero, aprire la tua gabbia sarebbe peggio di morire. E spiegami perché dovresti essere così bravo con le arti sacre.›

‹Pensi che sia stato semplicemente a dormire tutto questo tempo?! Sono stato in meditazione, facendo pratica sulle arti sacre. Io posso aiutarti! Ma devi aprire questa gabbia!›

Siirist si avvicinò. Osservò bene la gabbia che teneva rinchiuso il suo lato demoniaco.

‹D’accordo. Ma le catene restano. E appena avremo sconfitto Adrammelech, la richiudo.›

‹Va bene.›

 

L’occhio sinistro di Ryfon assunse un’espressione sadica, mentre la fiamma sul suo palmo si faceva immensa. Era nero profondo, così oscuro che dava la sensazione di risucchiare la luce dell’ambiente, che dava l’impressione a chi la guardava di lentamente perdere la propria coscienza. Ma non emetteva alcun calore, quasi sembrava fredda, pareva portasse con sé il gelo della morte. Rorix si distrasse per un momento, venendo atterrato e malamente ferito. Ma non poteva credere a ciò che sentiva. La sua mente e quella del Cavaliere erano state separate, ma da questi percepiva un’indole malvagia come mai fino a quel momento. Da quel fuoco nero percepiva la stessa oscurità che aveva sentito nel fuoco di Raiden durante l’attacco alla Rocca, qualcosa che il mezzo demone non era mai stato in grado di fare.

«Susanoo!»

Di fronte all’Esper si creò il gigante di fuoco nero, che difese con il suo potente scudo Rorix da un tifone accompagnato da lampi verdi che, altrimenti, lo avrebbe fatto a brandelli. Ma, da dentro la sua mente, il vero Siirist notò che lo scudo era diverso da quello che gli aveva mostrato Raizen, diverso da quello usato da Raiden durante l’assalto alla Rocca. Non era il vero Scudo di Yata, eppure era resistito all’attacco dell’Esper. C’era da vedere se avrebbe funzionato anche contro gli Esper più forti.

«Amaterasu!»

La grande fiamma nera sulla mano sinistra del mezzo demone non si era estinta, ed aveva ottenuto le sembianze di un drago marino, liberato contro l’Esper. Rorix vide come, invece, la mano destra avesse incominciato a tracciare in aria il sigillo di Adrammelech, dodici cerchi concentrici ciascuno contenente dodici rune. Il potente Esper, di fronte a due delle sacre arti del fuoco nero, si trovò in difficoltà, e presto cadde in ginocchio, permettendo al mezzo demone di apporre il sigillo.

«Mortale... Il mio potere è tuo.» disse con un ringhio di rabbia.

Siirist sorrise.

 

‹Prego.› disse il falso, la gabbia che veniva richiusa.

 

‹Che cazzo hai fatto?! Sei fuori di testa?!› ruggì Rorix.

‹Calmati, non c’era altro modo.›

‹E se ti avesse nuovamente posseduto?!›

‹Non è successo. Tranquillo, stavo attento, tenevo le sue catene sotto controllo mentre componevo il sigillo.›

«Avete ragione tutti e due. Era l’unico modo, Siirist, è vero, ma era comunque un grande rischio. Sconsiglio di ricorrere ancora alla tua seconda coscienza.» disse Glarald.

Come promesso, lui ed il drago tigrato li avevano attesi fuori dal labirinto, ma era chiaro che avesse osservato la battaglia mentalmente.

«Pensate davvero mi sia piaciuto? Ma era necessario. Fino a che non sarò in grado di utilizzare le arti sacre in maniera impeccabile come ha dimostrato di saper fare lui, temo che dovrò aprire ancora la gabbia se la situazione lo richiede. Questi Esper sono potenti, se non avessi il fuoco nero per contrastarli, non avremmo speranze. Temevo potesse finire così, ma speravo che, almeno, le mie altre abilità non si rivelassero così totalmente inutili.»

«Forse è meglio abbandonare l’idea di conquistare gli altri Esper. Ne hai già uno, e solo questo si rivelerà un assetto molto potente in battaglia.»

«No! C’è qualcosa qui, qualcosa che devo scoprire. Non so bene cosa sia, ma l’ho percepito il momento che sono entrato in Oblivion.»

«D’accordo. Anche io ho la sensazione che sia necessario proseguire, ma non a costo della tua vita.» disse la Guida.

«Allora cercherò di non morire.» sorrise.

Utilizzando la chiave dimensionale, i quattro ritornarono a Ilirea. Siirist subito si mise al lavoro per preparare le coordinate per il secondo piano, ed il portale per il dominio di Mateus apparve di fronte a loro. Siirist non era mai stato nemmeno lì, ma era esattamente come l’aveva descritto Alea: un immenso oceano con qualche isoletta qua e là. I due Cavalieri e i loro draghi attraversarono lo squarcio che si richiuse alle loro spalle. I draghi presero il volo con i bipedi seduti sulle selle, ed incominciarono a sorvolare quel mondo quasi interamente sommerso.

«Questo è il piano più sconosciuto di tutti. Trattandosi di un mondo oceanico, nessuno sa dove si trovi la tana di Mateus.» disse poco contento Glarald.

«Nemmeno Eimir lo sa. Dai, almeno per i prossimi piani sappiamo dove andare, con questo ci divertiremo a cercare.»

«Se lo si può chiamare “divertimento”...» mormorò l’elfo oscuro.

‹Ha ragione. Trovare Mateus sarà impossibile: forse è meglio tornare a Ilirea e andare al piano di Sharok.›

‹No, mi rifiuto di non avere alcun daedra d’acqua. Sei ore. Se tra sei ore non ci sarà la minima traccia di Mateus, lascerò perdere.›

‹D’accordo.›

I draghi continuarono a volare, sotto di loro solo acqua e poche isole. Siirist era entrato in stato di calma assoluta, il suo colore dell’osservazione al massimo del suo potere legato alla sua magia d’acqua che lo avrebbe aiutato a trovare le presenze di grossi daedra. In cinque ore ne sigillò sedici, molte volte trovatosi costretto a far affiorare le sue prede in superficie per poterle indebolire e sigillare. Sette di esse erano di livello drago. L’ultima ora era quasi scaduta quando Siirist perse la pazienza.

«Questo mare è infinito in profondità, non riesco a raggiungerne il fondo con i miei sensi. Mateus è di certo lì, ma dovremmo scendere noi stessi per verificare.»

«Non la trovo una saggia decisione.»

«Nemmeno io. Già l’affrontare un Esper è un suicidio, farlo nel suo territorio sarebbe anche peggio. E contro Mateus non ho nemmeno il vantaggio di essere resistente ad uno dei suoi poteri.»

«Vuoi cercare di attrarlo in superficie?»

Siirist annuì.

«Se non ci riesco, ce ne andiamo.»

Richiamò entrambe le sue correnti energetiche, intrecciandole insieme e unendole al suo Flusso vitale. Unì il suo fulmine demoniaco con il suo fuoco d’Inferno, dando forma ad una delle due varianti di una delle sue tecniche originali, la seconda delle sue arti demoniache. Non era ancora perfezionata, tanto che per controllarla perfettamente doveva utilizzare le parole della Vera lingua come se fosse un incantesimo complesso.

«Arte della Folgore. Che in cielo si accumulino le nubi tempestose portatrici di distruzione.»

Il cielo sereno, limpidissimo e intonso se non per qualche candida nuvola bianca, divenne in poco buio, pesanti nubi nere e rosse che lo coprivano. Da esse si vedevano pericolose scariche rosso rubino. Tutto il cielo, lontano fino a dove Siirist poteva vedere, era ora tetro ed elettrizzato.

«Che un possente lampo cada nell’acqua ed uccida tutte le forme di vita con cui entri in contatto.»

Ryfon non aveva alcun timore a formulare la frase con tale certezza, perché sapeva che nessun daedra, per quanto forte, sarebbe resistito a quel potere. E Mateus, l’unico essere in grado di resistere e rendere vano l’incantesimo, dunque uccidere lo stesso mago, era fuori dalla portata dell’attacco. Un colossale fulmine cadde sulla superficie dell’oceano. In un istante la sua energia si propagò in profondità e larghezza, illuminando per un attimo l’acqua, donandole una luce rubina. Trenta secondi dopo la superficie dell’acqua era cosparsa dei corpi di un numero incalcolabile di daedra.

«Se questo non richiama l’attenzione del custode del piano, non so cosa lo farà.»

Difatti neanche un secondo dopo, ci fu un’esplosione acquatica e dalla superficie uscì il potente Esper, che guardò furioso verso i trasgressori. Siirist sorrise soddisfatto, abbandonando il suo stato di calma assoluta. Ora più che mai, che era in groppa a Rorix, era necessario unire le loro menti, e il drago non era compatibile con la calma assoluta. Mateus era anche più grande di Adrammelech, almeno il doppio, e aveva l’aspetto di un tritone, la parte di pesce che ricordò a Siirist i megalodon attorno a Vroengard, il busto coperto da una splendente corazza argentata e dorata, l’elmo chiuso sul viso degli stessi colori che lasciava uscire solo la lunga chioma biondo pallido che scendeva fino alla pinna dorsale all’altezza dei suoi lombi. Aveva quattro braccia, le due a destra che reggevano un tridente e una spada, le due sinistre un’ascia e uno scudo. Sarebbe stata una battaglia pericolosa, dopotutto erano contro l’emanazione del dio della guerra Tenma.

«Miserabili umani, pagherete per ciò che avete fatto ai miei sottoposti.» disse la sua potente voce.

Come quella di Adrammelech, non era né maschile né femminile e proveniva dal basso, dall’oceano, grande, potente, impetuosa come il mare in tempesta. Mateus si immerse in acqua e nuotò rapido verso il punto esattamente sotto i draghi.

«Noi ci allontaniamo, fate attenzione.» disse Glarald.

Vadraael volò rapidamente verso l’alto, muovendosi allo stesso tempo verso sinistra. Un grande getto d’acqua partì verso Rorix, solidificandosi e diventando un pericoloso dardo di ghiaccio. Lavorando come una coscienza sola, Rorix esalò il suo più potente respiro, mentre Siirist lo potenziò con un incantesimo combinato di vento e fuoco. Il dardo si sciolse, ma non completamente, arrivando a colpire l’Inferno. Almeno l’attacco combinato di drago e Cavaliere era stato sufficiente a smussarne la punta, perciò era stato un semplice attacco contundente, per quanto avesse fatto male. Il drago perse la forza di volare e precipitò. Inesorabile, il possente Esper uscì dall’acqua e mosse il suo tridente verso Rorix, che lo evitò solo grazie alla dislocazione del biondo. Riapparvero ad un centinaio di metri di distanza, Rorix che faticava a riprendersi. Il mezz’elfo aveva il braccio puntato verso l’alto, il Flusso sdoppiato e incanalato attraverso il palmo della mano e tutte e cinque le dita, per un potere complessivo di un milione e 500mila douriki.

«Arte della Folgore: Temporale di distruzione!»

Nel lanciare l’incantesimo che aveva annientato ogni forma di vita nel mare in tutta l’area, Siirist aveva pensato bene di rendere quella magia un incantesimo predefinito. In cielo si crearono le stesse nubi cariche di energia ed un potente lampo ne uscì, andando a colpire inesorabilmente l’Esper, che accusò ulteriormente il colpo a causa dell’acqua. Parve indebolito dalla terribile tecnica del mezzo demone, e per un momento non si mosse. Ma si trattava pur sempre di un Esper, di un essere in possesso dei poteri del dio del mare. Non sarebbe finita così facilmente.

‹Ora, liberami!› intimò il falso Siirist.

Senza pensare, il vero fece come detto e aprì la gabbia nella sua mente, lasciando l’intero controllo del proprio corpo alla sua coscienza demoniaca, restando però accanto alla gabbia e pronto a richiuderla. Con un incantesimo slegò i lacci che lo assicuravano alla sella e volò via, diretto rapido verso Mateus.

«Creazione oscura: triplice katana!»

Sfruttando il segreto più grande di Syrius, la creazione tramite l’elemento oscuro, Siirist creò tre katana. Sfruttando le conoscenze di Syrius e Aulauthar, Ryfon era riuscito a raggiungere la creazione anche con l’elemento fuoco, e aveva deciso di dare ai tre elementi incantesimi predefiniti che formassero armi specifiche, così da rendere il processo magico più semplice. E la sua arma di oscurità era una katana. Solitamente ne creava una con tanto di fodero, con la quale usava tecniche di ittouryuu a estrazione, oppure poteva unire il fodero all’elsa e dare forma ad una grande falce. Mai fino a quel momento aveva creato tre katana, perché mai ne aveva avuto bisogno. Aveva sempre avuto le sue katana di Hellsteel con sé, dopotutto. E ora gli sarebbero veramente servite. Per quanto il falso avesse utilizzato tutto il quantitativo di Flusso moltiplicato per tre per creare quelle katana, non erano niente paragonate alle spade contenenti le sue penne. Mateus si riprese e attaccò Siirist con spada e ascia.

«Susanoo!»

In un istante il gigante di fuoco nero apparve con il suo scudo alzato, a parare l’attacco altrimenti letale. Rorix si spostò sul fianco dell’Esper e lanciò una serie di sfere di fuoco esplosive che danneggiarono, seppur lievemente, il nemico. Il Susanoo attaccò con un fendente della sua enorme spada, parata dallo scudo di Mateus: proprio ciò che il falso Siirist stava aspettando. Uscì dalla protezione della terza arte sacra, portando la terza spada (fino a quel punto stretta nella destra assieme alla seconda) alla bocca e mettendosi in posizione per sferrare una delle ottantasei tecniche segrete dello stile a tre spade, i Nove colpi diamantini. Con rapidi e sconvolgenti avvitamenti su se stesso, attaccò l’Esper tre volte con ogni katana, lasciando ad ogni taglio un profondo solco che si infiammò a causa del fuoco nero apposto attorno alle lame. Non c’era niente da fare, l’unica cosa che riusciva a scalfire gli Esper era il fuoco nero, e per quanto annientasse la riserva di energia demoniaca all’interno del corpo del mezzo demone, era l’unica soluzione. Completati i Nove colpi diamantini, le tre katana di oscurità si dissolsero nel nulla ed il mezz’elfo prese a comporre nell’aria il sigillo che avrebbe posto Mateus sotto il suo controllo. Ma l’Esper era ancora lontano dall’essere sconfitto, così il vero Siirist riprese il controllo della parte destra del proprio corpo,  mantenendo il sigillo vivo e tenendolo pronto all’uso, mentre al falso rimase solo il lato sinistro. Sul suo palmo si formò una grande fiamma nera.

«Amaterasu!»

Lanciò due draghi di fuoco nero, e subito dopo creò una Tsukuyomi, con il quale utilizzò quattro potenti colpi di ittouryuu. Sotto i continui attacchi dei due draghi di fuoco nero, del gigante, dell’Inferno e del mezzo demone, Mateus finalmente cedette e fu posto sotto sigillo.

«Il mio potere è al tuo servizio, mortale...» disse mentre sprofondava negli abissi.

 

Siirist chiuse la gabbia, imprigionando nuovamente il falso.

‹Facciamo una bella squadra, non trovi? Potresti anche lasciarmi un po’ più libero.›

‹Non ci casco. Mi sei utile, tutto qui, ma solo quando siamo in pericolo mortale, almeno sono sicuro non mi tradirai.›

‹Sei meno stupido di quanto pensassi inizialmente.› ghignò, gli occhi che brillavano d’odio.

 

Siirist ritornò in sella a Rorix e sospirò, accasciandosi su se stesso.

«Hai usato molte delle arti sacre, questa volta. Quanto ancora potrai andare avanti?» chiese Glarald, appena arrivato.

«Un’altra battaglia simile e avrò completamente esaurito la mia energia demoniaca.»

«Stavo pensando ad una cosa.»

«Dimmi.»

«Per ora stai facendo affidamento solo sul fuoco nero per sconfiggere gli Esper, ma come farai contro Fenrir? Molto probabilmente ne è immune. Anzi, è possibile che lui stesso lo utilizzi.»

Ryfon abbassò la testa. Non ci aveva riflettuto. Effettivamente avrebbe avuto senso se l’Esper di Obras ne avesse posseduto il potere.

«Ci penseremo quando raggiungeremo il settimo piano. Per ora abbiamo appena completato il secondo.»

Ritornarono ad Ilirea e il mezz’elfo subito incominciò ad armeggiare per aprire il portale per il piano di Sharok. Rorix insistette che sarebbe stato meglio riposare prima di andare contro un altro Esper, e Glarald era dello stesso parere, ma Siirist non voleva sentire ragioni. Si sentiva come chiamato da Oblivion e non poteva fermarsi solo al secondo piano. Sapeva che c’era qualcosa che lo stava attendendo, e lui non aveva intenzione di indugiare. Il primo piano era dedicato a Levias, il Figlio della Tempesta, ed era stato un luogo brullo, desertico, e con il cielo sconvolto da lampi. Aveva senso. Il secondo piano era dedicato a Tenma, dio dei mari, ed era un oceano infinito. Anche quello aveva senso. Allora perché il terzo piano, dedicato a Deraia, dea dell’amore e del desiderio, era una putrida e malsana palude? Siirist non ci era mai stato, così pure i suoi vecchi compagni di addestramento. Aveva sentito che i daedra che ci vivevano erano molto potenti, e ne aveva avuto conferma leggendo il grimorio di Eimir, in quanto avevano tutti poteri legati al veleno. Quando era ancora alla Rocca aveva chiesto di andarci, ma gli era bastato sapere che vi erano presenti dei goblin, cugini di quelli del piano di Fenrir, che aveva cambiato idea. Tra tutti i daedra in suo possesso, quello stupido e rumoroso sciamano goblin era quello che più detestava, non c’erano dubbi. Per quanto si fosse aspettato di trovare un posto in cui daedra velenosi potessero svilupparsi, non avrebbe mai creduto che il piano della dea della bellezza fosse così putrido. Si guardò intorno e cominciò a tossire. L’aria era così malsana da avere effetto pure sul suo corpo. Ma egli aveva combattuto contro Sesshoumaru, il cui veleno era uno dei più potenti in tutta Hellgrind, ed aveva sviluppato un incantesimo atto a neutralizzarlo. Lo applicò a se stesso, Rorix e i due corrotti.

«Così non dovremmo avere problemi a respirare questi fumi, ma comunque è meglio non farsi attaccare da alcun daedra, non possiamo sapere quanto possano essere forti i loro veleni.»

Il primo daedra che incontrarono era un lungo serpente a due teste dalla scaglie nere e viola. Prima di sputare il suo veleno, dilatò entrambi i colli come un cobra, e i marchi che mostrava parevano formare due teschi, uno per collo. Siirist innalzò una barriera di luce che deflesse i getti corrosivi, e con una lama di luce decapitò una delle teste. Poi innalzò l’acqua della palude da cui era uscita la creatura e la congelò, intrappolando la sua preda. Tracciò in aria il sigillo del grifone e lo applicò al daedra, ponendolo sotto il suo controllo.

Lungo la strada, i quattro passarono accanto al villaggio di alcuni goblin e Siirist, quasi terrorizzato, si allontanò di fretta, per il divertimento del suo drago. Dopo tre ore di cammino e dodici daedra catturati, i quattro mortali raggiunsero un gigantesco lago dall’acqua putrida, tra il nero, il viola ed il verde, che emanava fumi tossici così fastidiosi da bruciare le vie nasali del mezz’elfo e farlo lacrimare. Da esso uscì un gigantesco mostro che pareva un drago alato, un wivern, un cugino del wivern di fuoco che Siirist già possedeva, ma immensamente più grande e potente.

«Benvenuti mortali, benvenuti al cospetto di Sharok, signore della putrefazione! I miei più vivi complimenti per aver sconfitto Adrammelech e Mateus, ma la vostra strada termina qui!»

La voce, come sempre tra il maschio e la femmina, proveniva dal lago. A differenza dei toni solenni usati dai due Esper precedenti, Sharok era più sullo scherzoso.

«E così quello è Sharok...» disse Glarald.

Ma la sua voce non pareva convinta. E Siirist era perfettamente d’accordo. Evitò una bomba acida lanciata dal cosiddetto Esper e richiamò tutto il suo potere nella mano sinistra.

«Arte della Vampa: Canto del leone!»

Dalla mano del mezz’elfo proruppe una potente fiammata azzurro elettrico con riflessi violacei con le fattezze di un leone ruggente che morse via un’ala del wivern. La divorò e prese la forma di un leone in tutto e per tutto, rimanendo sospeso in aria. Quello era il primo incantesimo vivente di Siirist. Leggendo i grimori, aveva scoperto che per un mago di alto livello era sempre consigliato creare un famiglio, un incantesimo vivente particolare che si evolvesse con lui, una sorta di parte della sua anima, una sua seconda personalità. Siirist, per questo, aveva scelto il leone, ed erano ormai dieci anni che il felino fiammante cresceva con lui. Aulauthar aveva una fenice, Syrius uno squalo, Althidon un serpente alato, Evendil un falco, Adamar un topo.

Immediatamente Siirist compose le settantadue rune del sigillo del drago e mise sotto sigillo il daedra. Una grande risata si sentì provenire dal lago. Più essa risuonava, più perdeva ogni parvenza di voce maschile, divenendo in tutto e per tutto quella di una donna. Il grande leone di fuoco azzurro di Siirist, camminando sull’aria, si posizionò accanto al suo mago, sovrastandolo con i suoi due metri e mezzo di altezza e ringhiando, Rorix lo stesso. Glarald e Vadraael si erano allontanati ed erano intenti ad osservare. Dalla superficie di acqua vischiosa uscì la figura di una donna, alta circa un metro e ottanta, completamente nuda e dalle forme suadenti, la pelle pallida, le lunghe unghie delle mani appuntite e verde scuro come i capelli che le arrivavano al sedere. Gli occhi erano gialli e guardavano Siirist con interesse. Se non per i colori inconsueti, quella sarebbe stata una delle donne più belle che il mezz’elfo avesse mai visto, e di certo era la più sensuale. C’era qualcosa in lei che emanava attrazione sessuale e Ryfon sentì il suo membro indurirsi istantaneamente. Lottò con tutte le sue forze mentali e di magia organica per rilassarsi, ma l’irrigidimento rimase. L’Esper sorrise con fare provocante, mordicchiandosi il labbro inferiore. Ringhiando, il mezzo demone usò anche la forza di volontà derivata dall’Ambizione per placare le sue voglie.

«Da quanto sapevi che quel misero wivern non ero io?» chiese divertita.

«So riconoscere un daedra, grazie.»

«È uno dei più potenti del mio piano. Il tuo famiglio è forte, Cavaliere d’Inferno.»

«Si tratta pur sempre di uno dei miei incantesimi migliori. Perché sei una donna? Gli altri Esper non avevano sesso.»

«Se vuoi posso anche essere uomo.» disse, ottenendo un corpo e una voce maschile.

Nel vederne i due grossi peni, Siirist fece una smorfia.

«No grazie.»

La versione maschile di Sharok sorrise e ritornò ad essere donna.

«La mia signora, Deraia, è la dea del piacere e della lussuria. Io non ho sesso, come tutti gli Esper, ma ho il potere di cambiare questa condizione a seconda di chi ho davanti.»

«Interessante. Ora preparati, ho intenzione di conquistare pure te.»

«E va bene. Nessuno viene mai a reclamare il mio potere, l’eternità sa essere molto lunga quando ci si annoia. Per questo ti propongo un patto: io non uso tutta la mia forza e tu non usi il fuoco nero, d’accordo? Voglio divertirmi per un po’ almeno.»

La proposta era allettante. A Siirist avrebbe fatto comodo risparmiare energia demoniaca. Accettò e Sharok sorrise. I suoi artigli si allungarono e partì all’attacco, cercando di squartare il petto del mezz’elfo. Ma il suo movimento era stato lento, aveva tenuto fede alla parola data e aveva utilizzato solo una parte delle sue capacità. Ryfon la evitò e sguainò Lin dur, partendo poi all’attacco. Il famiglio e Rorix emisero entrambi una fiammata dalle fauci, che si scontrarono quando l’Esper balzò, evitando il fuoco incrociato. Liberò dal corpo del miasma ad alta concentrazione che il mezz’elfo allontanò con una folata di vento dalla mano destra. Rorix arrivò alle spalle di Sharok e fece per azzannarla, il suo ardente fuoco attorno ai suoi denti acuminati, ma l’Esper lo evitò e con un semplice calcio sul muso lo spedì a terra. Il leone andò all’assalto, dando il tempo a Siirist di piantare Lin dur nel terreno ed estendere le braccia.

«Comandamento imperiale!»

Roventi fiamme rosso scuro pervasero l’area, e Siirist le raccolse tutte attorno alla punta di Lin dur, ripresa dal terreno e puntata verso l’alto. Avrebbe preferito continuare ad usare l’arte della Vampa e non il solo fuoco d’Inferno, ma l’argento della spada di Evendil avrebbe annullato il suo potere demoniaco.

«Imperatore del sole!»

Sulla punta della spada si creò una gigantesca sfera di fuoco rosso scuro che il mezz’elfo lanciò verso l’avversario. Questi la evitò, ma arrivò Rorix che, dall’alto, sparò una seconda sfera che indirizzò l’incantesimo concatenato del Cavaliere verso l’Esper, bloccato momentaneamente nello spazio da una magia di Ryfon. Sharok cadde nell’acqua e un istante dopo ne riuscì, furiosa ma al contempo soddisfatta.

«Ancora!» il suo urlo riecheggiò per tutta l’area.

A vederla così eccitata da un combattimento, Siirist ripensò a Kenpachi. Attorno alla lama di Lin dur comparvero delle fiamme di un celeste spento, glaciale, mentre alcune delle rune sulla lama si illuminarono. Quella era la personale variante del fuoco freddo di Althidon: a Siirist il viola non piaceva, senza contare che aveva la potenza del fuoco d’Inferno.

«Turbine di castigo!»

Il raggio di fuoco colpì Sharok in pieno, intrappolandola in un pesante blocco di ghiaccio, ma l’Esper si liberò senza il minimo problema, corrodendo la sua prigione. Il famiglio le fu addosso, le fauci attorno al suo braccio destro, mentre Rorix attaccò con un’incornata seguita da una zampata e subito un colpo di frusta con la coda e, per finire, una fiammata. Siirist alzò la spada verso l’alto, la lama che si circondava di scariche elettriche azzurre, mentre altre rune si illuminavano.

«Colpo imperiale!» esclamò, menando il suo fendente.

Sharok fu colpita duramente e volò di nuovo nel lago, dal quale uscì perfettamente in forze e attaccò Siirist con un potente colpo allo stomaco che lo mise in ginocchio. Con una nube acida estinse il leone e con i capelli, che si allungarono ed assunsero la forma di un mostruoso lupo, sottomise Rorix.

«Tutto qui, Cavaliere d’Inferno? Come promesso sto solo sfruttando una piccola parte del mio immenso potere, ma se serve posso limitarmi anche di più.»

Non ti sembra strano?chiese Glarald.

Siirist, in ginocchio, tossì sangue.

Che vuoi dire?

Voglio dire che avete avuto meno difficoltà con l’Esper del dio della guerra che con quello della dea dell’amore. Non ti pare strano? ripeté.

Abbiamo usato il fuoco nero.

Così come Mateus dava il massimo di sé. Sharok, invece, sta solo giocando. Pensa bene, che cosa rappresenta Deraia?

Siirist meditò sulle parole della sua Guida e sorrise. Ma certo. Deraia, la dea dell’amore, del piacere, della lussuria, del desiderio... E degli inganni, dei sotterfugi, dei complotti. Improvvisamente si ricordò del perché la odiasse, del perché ne evitasse il tempio a Skingrad.

‹Ce la fai a rialzarti? Ho un piano.› chiese a Rorix.

‹Sì, ma non posso durare ancora molto.› ringhiò.

L’Inferno si rimise sulle sue zampe ed esalò la fiammata più intensa che potesse richiamare. Sharok si voltò per contrastarla e Siirist ne approfittò per dislocarsi lontano dall’Esper.

«Arte della Vampa: Canto del leone!»

Il famiglio di fiamme azzurre prese l’avversario nelle fauci e lo portò verso il lago, dove Siirist si era già rilocato ed aveva incominciato a formulare un incantesimo per purificarne le acque.

«No!» gridò Sharok.

Ma se aveva avuto intenzione di fare sul serio, era troppo tardi. Toccò l’acqua limpida ed il suo corpo si dissolse in una nube tossica. In breve, tutto il lago ritornò ad essere inquinato. L’Esper uscì nuovamente dalle acque, questa volta battendo le mani.

«Complimenti, idea brillante. Mi avete sconfitta. Sono immortale, perciò non posso essere permanentemente uccisa, però sei riuscito a scoprire il mio punto debole, Cavaliere d’Inferno. Ma c’è ancora una prova che devi superare prima che ti conceda il mio potere.»

«Sarebbe?»

«Hai svelato l’inganno, uno dei territori della mia Signora. Ora devi occuparti dell’altro.» disse con tono provocante.

 

Due ore dopo, Siirist era steso a terra sul punto di morire. Era prosciugato. Non riusciva a credere di aver appena fatto sesso con un Esper! Era qualcosa da non credere, qualcosa di ridicolo. Il solo pensarci lo faceva ridere, come se fosse stato uno sogno o un racconto comico da quattro soldi. Eppure era appena successo. E non aveva più energie. Certo, ciò che aveva provato era stato oltre ogni immaginazione, meglio di tutto quello che aveva fatto nei suoi cinquantuno anni di vita, meglio di tutte le sue esperienze sessuali messe insieme. D’altro canto era stato con l’emanazione della stessa dea della lussuria, era scontato che fosse una cosa unica. Si sentiva come se la sua fame fosse stata placata per i prossimi dieci anni.

«Ci sai fare, va ammesso.» disse a malapena impressionata Sharok.

Ryfon non riuscì a rispondere. Nemmeno aveva la forza di muovere la bocca, figurarsi apporre il sigillo sull’Esper. Allora prese l’energia contenuta nel pomolo di Lin dur e si ristabilì in parte.

«Quindi ora ti posso mettere sotto sigillo?»

«Direi che è l’unica cosa che ci resta da fare, dopo le ultime due ore.» sorrise maliziosa.

«Sì, ascolta, se mai ti dovessi invocare, fammi il piacere di non fare menzione di cosa è accaduto, d’accordo?»

Sharok acconsentì e Siirist appose il suo sigillo, conquistando il suo terzo Esper. Soddisfatto, ritornò assieme agli altri tre a Ilirea.

«Adesso basta, è bene che ti riposi, puoi andare al piano di Zalera un’altra volta.» disse stufo Glarald, vedendo che il mezz’elfo era già andato ad impostare le coordinate per aprire il varco successivo.

«Ultimo piano, lo prometto.»

«D’accordo.» sbuffò.

Il regno di Zalera, emanazione di Sithis, era più che appropriato. Si trattava di una pianura infinita, dove la terra stessa era morta, sempre immersa nell’oscurità. I daedra che ci vivevano erano tutti non-morti, il mietitore che Eimir aveva usato contro Raiden era proprio un abitante di questo piano. Siirist vide creature scheletriche di varie forme e dimensioni, da bufali, a wivern. Per un po’ i quattro morali vennero seguiti da tre avvoltoi che circolarono sopra le loro teste, fino a che, spazientito, il mezz’elfo non li polverizzò. Lungo il loro cammino incontrarono due mietitori, ma essi furono gli unici daedra del quarto piano che Ryfon mise sotto sigillo. Eimir sconsigliava avere troppo a che vedere con loro, in quanto potevano essere pericolosi anche per i loro padroni.

I sigilli sugli avambracci di Siirist incominciarono a bruciargli e a brillare così forte da essere evidenti anche attraverso le sue maniche lunghe.

«Che sta succedendo?» si preoccupò Glarald.

«Non lo so! Ma mi fanno male!»

Tutto intorno l’aria divenne anche più fredda di quanto non lo fosse prima, ed il respiro produceva condensa. Con il settimo senso, Siirist percepì qualcosa di incredibilmente potente giungere da sopra le loro teste, e si guardò in alto, trovandosi faccia a faccia con il signore del piano. Esso era alto sei metri, il corpo che pareva un’armatura, le gambe unite in una cosa sola, la testa un teschio ed al braccio destro, da cui si estendeva un’ala, era legato un mantello. Dalla scapola sinistra pure si protendeva un’ala, ma notevolmente più piccola rispetto alla destra. La mano sinistra era artigliata. Discese a terra e, senza dire una parola, esalò una nube nera dalla bocca.

Tutto attorno a Siirist si distorse e si ritrovò con il viso a terra.

Si alzò, ritrovandosi in un mondo completamente diverso da quello che aveva visto qualche minuto prima. Era tutto bianco, ovunque guardasse, e aveva l’impressione di fluttuare nell’aria. Sentiva con il tatto di stare sopra ad un terreno, ma la sua vista lo ingannava perché lo vedeva identico in aspetto al cielo. Si guardò intorno, Rorix, Glarald e Vadraael erano tutti lì e, come lui, avevano gli sguardi dubbiosi.

«Mi perdonerete se vi ho trascinati qui contro la vostra volontà, ma Zalera possiede un unico potere, ed esso uccide istantaneamente. Non è un Esper che potrai assoggettare, Cavaliere d’Inferno.»

La voce era indubbiamente quella di un Esper. Essa pareva immobile nel tempo, antica come niente che Ryfon avesse mai percepito in vita sua. Alzò lo sguardo e vide un gigantesco serpente con tredici ali, sei paia e una in più, mordersi la coda e ruotare su se stesso a mezz’aria.

«Io sono Zordiak, custode della clessidra, emanazione di Garu, colui che è sempre stato e sempre sarà, colui il quale era ancor prima di Chaos, colui che fu testimone della nascita dei Gemelli.»

«Siamo nell’ottavo piano.» concluse Glarald.

«Grazie per averci salvato.» disse Siirist.

«Non è necessario ringraziarmi. Io vedo nel passato, nel presente e nel futuro. Io vedo il destino e ho visto che non era nel tuo morire in questo giorno e in questo luogo. Hai ancora molto da compiere, Salvatore dei sette.»

Sarhael tel’ sie. Così Zordiak si era rivolto a lui. Quello era il suo vero nome. Come lo sentì, avvertì una scarica di energia in tutto il corpo. Era come se avesse avuto qualcosa all’interno della mente che era stato sbloccato da quella conoscenza. Si capiva meglio, comprendeva meglio i suoi poteri, il suo destino. Ma non bastava. Per quante risposte aveva ricevuto, anche più domande gli avevano invaso la mente.

«Ar’ lle, Fimbrethil runia.» concluse, rivolgendosi a Rorix.

E tu, Duplice fiamma. Quello era il vero nome dell’Inferno, “Duplice fiamma”. Sentì che anche il drago fu sommerso da innumerevoli dubbi, proprio come lui.

«Aspetta, Zordiak, che cosa significano questi nomi?» chiese sconcertato Siirist.

«Non è mio compito rivelarlo, Cavaliere d’Inferno. Ma sappi questo: un intero è più forte di due metà. Ciò che un tempo era uno e divenuto due, dovrà ritornare ad essere uno, ma potrà solo quando i dimenticati saranno ricordati, i sette riuniti e il Cuore spezzato.»

«Cosa?! Che significa?!»

«Ora vi porterò al piano di Hashmal. Non ritornare qui, non ci sono daedra da catturare. In cambio ti do la mia benedizione, che ti permetterà di non risentire di alcun consumo di energia. Quando avrai esaurito la tua riserva, attingerai a quella di domani, poi dopodomani e così via. Quando lascerai Oblivion, tutta la stanchezza accumulata ti assalirà, quindi fai attenzione. Sconfitti i successivi Esper, chiedi loro di aprire i portali agli altri piani e non ritornare a Ilirea, altrimenti la mia benedizione svanirà.»

«No, aspetta...!»

Di nuovo il mondo fu deformato e Siirist e compagni si ritrovarono in un canyon, nel piano dell’emanazione del dio della terra Titano.

 

 

~

 

 

Il prossimo capitolo si intitola FENICE IN CATENE. Dopo Zordiak, c’è un altro Esper che desidera parlare con Siirist, ma quello che avrà da dire risulterà molto scoraggiante per il Cavaliere d’Inferno e tutto il resto di Gaya.

Come potrete immaginare, questo è il secondo capitolo che ho odiato scrivere per le stesse ragioni di questo che avete appena letto. L’idea del discorso dell’Esper che ho menzionato mi è venuta al momento mentre scrivevo... Tutt’ora mi sembra funzionare, ma non lo saprò per certo prima di arrivare alla conclusione di tutto. Spero di aver fatto la scelta giusta. Sono curioso di sentire i vostri commenti sulla scena finale del prossimo capitolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 58
*** FENICE IN CATENE ***


FENICE IN CATENE

 

Siirist non si mosse. Ciò che aveva appena scoperto era qualcosa di sensazionale. Solo dalla conoscenza del suo vero nome, sentiva una grande forza nel suo corpo. Sapeva chi fosse e questo gli dava un rinnovato vigore. Ma non riusciva a smettere di pensare a quella profezia che Zordiak aveva pronunciato. Che cos’era che un tempo era stato uno ed in seguito divenuto due?

«Siirist, come ti senti?»

Il mezz’elfo si accertò delle sue condizioni. La sua energia demoniaca era completamente ristabilita ed era perfettamente riposato. Stesso discorso valeva per Rorix. Rassicurò la Guida e montò in sella all’Inferno, pronto a partire alla ricerca della grande montagna rossa che era risaputo essere la dimora di Hashmal. I draghi decollarono e dall’alto videro legioni di guardie di ferro, le quali ricordarono a Siirist di Gilia. Il biondo ci pensò su e decise di catturarne qualcuna, e quattro sigilli della tigre più tardi, i daedra erano suoi. Li avrebbe in seguito armati con armi di Adamantio prese da Ilirea.

‹Dove pensi di custodire le tue armi sigillate?› domandò Rorix.

‹Non lo so, è qualcosa che dovrò decidere una volta che avrò visto tutti gli Esper. Di sicuro le voglio lasciare sotto la loro protezione, almeno sono sicuro che nessuno me le ruberà. Tra quelli che ho incontrato fino ad ora, l’unico di cui mi fiderei è Sharok, però è ancora tutto da vedere.›

Trovarono un ruscello dal quale bevevano alcuni daedra dall’aspetto erbivoro scorrere infondo al canyon, fuori da esso videro una sterminata prateria, a chilometri e chilometri di distanza videro che aveva inizio una fitta foresta pluviale. Ma essi continuarono per la zona arida del canyon che divideva la prateria da uno sconfinato deserto sabbioso. Siirist vide un verme gigante muoversi in esso e attaccare e divorare alcuni scorpioni giganti. Sorrise soddisfatto. Dalla lettura del grimorio di Eimir aveva imparato che la maggior parte dei daedra di Oblivion non era che lo specchio della fauna di Ruu, perciò era molto semplice trovare creature identiche nelle due dimensioni. Pensò che avrebbe voluto trovare un daedra behemoth e mettere quello sotto sigillo. Gli venne voglia di ritornare al Gagazet e affrontarne uno per vedere quanto facile sarebbe stato sconfiggerlo, a differenza dell’ultima volta. Sì, Evendil ne aveva ucciso un intero branco da solo, ma non con le sue forze, aveva semplicemente sottratto loro il Flusso e aspettato per vedere quanto tempo potessero resistere prima di morire. La sottrazione di Flusso era l’unica abilità dei grimori che il mezz’elfo aveva imparato ma non migliorato.

Quattro ore e nove daedra catturati più tardi (Siirist rintracciò pure i tre daedra di quel piano che già possedeva per modificare il sigillo e renderlo adatto per l’invocazione istantanea), i quattro mortali arrivarono alla montagna di Hashmal. Essa non era particolarmente alta, appena sopra i mille metri, ma dalla base incredibilmente larga. Era un unico blocco di pietra dal colore rossiccio e dalla forma trapezoidale, al centro di una gigantesca piana arida oltre il canyon. Alla base vi erano sei daedra di livello drago a cui Ryfon impose il sigillo e, una volta domati, fu con loro che Glarald e Vadraael attesero mentre il biondo e l’Inferno andavano ad affrontare l’Esper. Lo trovarono in piedi, già pronto a combattere. Era alto sei metri, con il volto di un leone, la criniera bianca e due grandi corna che uscivano diagonalmente dal capo. Il busto era coperto da pelo marrone chiaro, le zampe erano quelle di una capra e la vita e le cosce erano coperte da una sorta di armatura metallica. Le braccia terminavano in due grosse escrescenze dalla forma ricurva che quasi parevano chele, se non che le due metà erano rivolte nella stessa direzione.

«Vi stavo aspettando. Non sarò gentile come Sharok, spero siate pronti.»

Ad ogni parola, la terra tremò. Siirist scese da Rorix e cedette malvolentieri il posto al falso.

‹Solo perché ora abbiamo energia infinita, non vuol dire che puoi usare tutte le arti sacre che vuoi. Ricorda che, uscito da Oblivion, verrò assalito da tutta la stanchezza accumulata nello stesso momento. Trovo stupida l’idea di morire dopo aver conquistato tutti questi Esper!›

‹Sì, lo so, tranquillo.›

Ma come se non avesse sentito nulla, il falso partì subito con due Amaterasu per braccio, il Susanoo e tre Tsukuyomi.

‹Ecco, appunto.›

‹Non sembra vi serva il mio aiuto.› commentò Rorix.

‹No. Fino a che c’è energia demoniaca infinita e il fuoco nero si può usare senza limite, siamo pressoché invincibili. Anche se non voglio pensare a come sarà tornati a Ilirea.›

Hashmal utilizzò i suoi poteri di terra per deviare i quattro draghi di fuoco nero e balzò verso l’alto, ritornando rapido verso il mezzo demone e pronto a colpirlo con una “mano”; ma lo scudo del gigante di fuoco parò il colpo. Questi attaccò con la spada, deviata però dalla seconda sorta di chela e di nuovo con la prima l’Esper colpì il Susanoo mandandolo fuori equilibrio. Si preparò a schiacciare Ryfon ma questi, in stato di calma assoluta, si dislocò alle sue spalle.

«Colpo imperiale!»

L’attacco di fulmini rubini colpì l’Esper sulla schiena, ma nemmeno lo scalfì. Ciò che lo danneggiò furono i quattro Amaterasu che ritornarono a divorarlo. Hashmal ruggì di rabbia e sbatté il suo piede a terra, creando un muro di pietra che colpì i quattro draghi marini. Sorprendentemente, la terra eretta non fu incenerita all’istante, ma riuscì a portare le creazione della seconda arte sacra sessanta metri verso l’alto prima di venire consumata. Hashmal ruotò su se stesso e con le sue chele distrusse i muri di pietra e immediatamente caricò Ryfon, ma fu fermato dal Susanoo. Allora Siirist colse quell’opportunità per eseguire un’altra delle ottantasei tecniche segrete del santouryuu, la Nebbia argentata, che colpì l’Esper con una serie di rapidi colpi da tutte le direzioni possibili, squarciando miseramente il suo busto. Ryfon balzò indietro, infilò le Tsukuyomi nel terreno e lanciò un Temporale di distruzione di fulmine rubino e subito dopo un Canto del leone di fuoco azzurro. Le due arti demoniache non ebbero molto effetto, ma ebbero l’effetto di distrarre per un momento l’Esper per permettere ai quattro Amaterasu e al Susanoo di portare il nemico su un ginocchio. Con un ruggito, ammise la sua sconfitta e permise a Siirist di apporre il sigillo. Sorridendo soddisfatto, una volta che Glarald e Vadraael li ebbero raggiunti, il mezz’elfo chiese ad Hashmal di aprire il portale per il piano di Ifrit.

L’odore di cadavere putrefatto, zolfo e fuoco che giunse alle narici di Siirist fu pungente, ma al contempo piacevole. Il sesto piano era il primo in cui era mai stato e ritornarci dopo tutto quel tempo gli riportò alla mente molti ricordi. Era in quel luogo che aveva usato per la prima volta la Polvere di diamanti, tutt’ora, dopo il suo perfezionamento, il suo incantesimo di ghiaccio più potente. Accarezzò con la destra la spada al suo fianco con affetto e nostalgia. Per prima cosa chiamò a sé il cerbero, il centauro, il wivern, la salamandra e gli altri sette daedra catturati in quel piano per accertarsi delle loro condizioni e modificare il loro sigillo, poi si diresse verso il grande vulcano dentro al quale viveva l’Esper che Althidon gli aveva indicato anni prima. Nel tragitto, mise sotto sigillo diciassette daedra, sei dei quali di livello drago. Nel lato della montagna di fuoco si apriva una caverna dalla quale usciva un fiume di lava, la riva larga appena due metri. Rorix si rimpicciolì sufficientemente da appollaiarsi sulla testa del suo Cavaliere mentre questi si addentrava nella tana di Ifrit; Glarald e Vadraael rimasero fuori ad aspettarli assieme a due anime di fuoco, daedra dall’aspetto terrificante, creature antropomorfe di puro fuoco, nere, rosse e gialle ai bordi, alte tre metri con delle specie di antenne sopra alla testa, due occhi bianchi ma nessuna bocca. Secondo Eimir, erano tra i daedra di fuoco più forti. Siirist alzò il ginocchio per salire sopra ad un gradino naturale molto alto, proseguendo senza sosta verso l’Esper. Il fiume accanto a lui ribolliva e spesso pezzi magmatici ne saltavano fuori. Una volta arrivarono sulla gamba del mezz’elfo, ustionandolo, e questi, imprecando, eresse una barriera di luce attorno al proprio corpo. In venti minuti arrivò al centro del vulcano, una enorme sala il cui pavimento era quasi interamente una pozza magmatica, al centro della quale vi era una roccia su cui riposava Ifrit. Era lungo sui dieci metri, un essere a quattro zampe, dal pelo marrone e gli arti muscolosi. Quelli posteriori erano più corti rispetto agli anteriori, i quali terminavano con lunghi artigli blu. Dello stesso colore erano le grandi corna e le escrescenze ossee che gli uscivano dalle spalle. Aveva una grossa criniera infuocata ed il volto simile ad un lupo. Dormiva sonoramente prima dell’arrivo di Siirist e Rorix, al che aprì un occhio e ringhiò.

«E così sei arrivato. Ho sentito che quattro dei miei fratelli sono stati messi sotto sigillo da un mortale ed eccoti qui, pronto a sfidare anche me. Bene, ti concederò un minuto prima di attaccare, dopodiché ti farò scoprire quanto può veramente bruciare il fuoco divino del sommo Hanryu.» disse solenne, ad ogni sua parola, la lava ribolliva sempre più forte e la temperatura, già elevatissima, si alzava ad ogni secondo che passava.

‹Con il suo elemento, potrebbe essere più resistente al fuoco nero degli altri Esper, perciò credo avrò bisogno del tuo aiuto questa volta.› disse incerto Siirist.

‹Sempre pronto.› rispose Rorix.

Il drago volò via dalla testa del suo Cavaliere e assunse le sue vere dimensioni, ruggendo in volo. A quella vista Ifrit aprì la bocca con meraviglia.

«Non sapevo che tu fossi il Cavaliere d’Inferno! Mai oserei affrontare la discendenza del mio Signore; Cavaliere, apponi il tuo sigillo, la mia forza è tua.»

Siirist, che aveva già sguainato Lin dur, quasi la lasciò cadere nella lava ai suoi piedi. Era davvero stato così semplice catturare Ifrit?

«Dici sul serio? Non è uno scherzo, vero?» chiese dubbioso.

«No, le mie parole sono sincere.» rispose chinando il capo.

‹Ottimo!›

Il mezz’elfo creò il sigillo e con esso legò a sé l’Esper e chiamò mentalmente Glarald, il quale arrivò in breve con Vadraael. Ifrit aprì il portale per il piano di Fenrir e i quattro mortali vi entrarono.

«È incredibile come sia stato semplice ottenere il controllo di Ifrit.» commentò l’elfo oscuro.

«Lo so!» rispose esultate Siirist.

Energia demoniaca infinita, sì, ma risparmiarla faceva sempre bene, considerando che sarebbe ad un certo punto uscito da Oblivion e tutta la stanchezza lo avrebbe assalito in un istante. Il piano di Fenrir era, come quello di Zalera, avvolto nell’oscurità, ma non era, a differenza di questo, un luogo morto e freddo. Rispetto al calore presente nel sesto piano, tutto poteva considerarsi gelido, certo, ma niente era come la morte. Nel cielo era presente una luna piena, il simbolo di Obras, e la alta erba in mezzo alla quale i due draghi camminavano veniva smossa dal leggero venticello. Quel luogo calmava Siirist, lo faceva sentire a casa, era come se fosse nuovamente all’Akai goten. Disse a Rorix di dirigersi al villaggio di goblin dove aveva in passato preso il suo insopportabile sciamano, e l’intera tribù accolse i mortali con fastidiose urla. Ringhiando e tappandosi le orecchie con la magia organica, Ryfon modificò il sigillo del goblin, lo calciò e se ne andò. Per la strada incontrarono un branco di lupi d’ombra, daedra di livello grifone, e il mezz’elfo ne mise sei sotto sigillo. Una grande aquila avvolta da fulmini neri piovve dal cielo e fu messa fuori gioco da un lampo bianco del potente elemento Sacro creato da Evendil con la combinazione di fulmine e luce, lo stesso usato per la Folgore bianca. Un altro sigillo del grifone e l’aquila era del biondo. Si imbatterono in molte altre creature, otto delle quali furono catturate, prima di raggiungere un grande lago dalle acque nere, al centro del quale sorgeva un’isola dalla quale Siirist percepiva provenire una vasta energia che poteva solo significare Esper. I draghi sorvolarono la superficie oscura del lago e ritornarono a terra sull’isola, al centro di cui si trovava una radura in cui era beatamente sdraiato Fenrir. Era un lupo in tutto e per tutto, grande, molto grande, almeno sette metri alto e lungo sui venti. Il corpo pareva per metà solido, nella parte inferiore, mentre il dorso era tutto una fiamma, così come lo era la coda. Ma il colore era identico sia nel pelo che nel fuoco: nero profondo. Gli occhi pure erano neri: la sclera nero spento, l’iride profondo, la pupilla brillante e acceso. Erano fissi su Siirist, le labbra contorte in una sorta di ghigno. Si stiracchiò e si mise in piedi, dimostrando di essere anche più alto di quanto Siirist avesse supposto nel vederlo steso, e si avvicinò ai mortali che lo erano venuti a disturbare. Si avvicinò ai mortali, il suo passo ed il suo respiro impercettibili. Abbassò la testa in un ringhio appena udibile e fissò uno dei suoi occhi in faccia al mezz’elfo. Era un pozzo nero grande quanto un’arancia. Siirist sentì le gambe farsi improvvisamente deboli e dovette usare tutto il suo autocontrollo per non cadere a terra come una femminuccia; anche il suo potere di volo aiutò, e gli permise di concentrarsi per controllare la sua vescica.

«Ifrit ti ha donato il suo potere in virtù della discendenza del tuo drago da Hanryu, vero?» disse con la voce annoiata, studiando attentamente l’insignificante insetto che aveva di fronte.

Come per tutti gli Esper, essa non era né maschile né femminile, ma portava con sé un senso di mistero e di inquietudine che Ryfon non aveva mai provato in vita sua. Era come se l’intimidazione di tutti i demoni fosse racchiusa nelle sue parole. Deglutendo, annuì.

«Tipico da parte sua. Suppongo che anche io dovrei permetterti di apporre il tuo sigillo senza fare storie, vero?» sbuffò.

Si voltò e ritornò dove i quattro mortali lo avevano trovato, stendendosi nuovamente. Siirist non capiva, ma di certo non voleva obiettare.

«Sì, ehm... certo. Ma perché...? Se posso chiedere.» disse con una vocina stridula.

L’aria intorno a loro era così pesante che nemmeno Rorix pensò di sfottere il suo Cavaliere per la fifa che stava provando, poiché lui stesso non era messo meglio.

«Se il tuo drago è il discendente del Signore di Ifrit, tu sei il discendente del mio. Ma sappi che non sono il cagnolino che è mio fratello: ti concederò la mia invocazione, ma non potrai fare di me ciò che vuoi. Se invece vuoi che sia il tuo fedele schiavo... sconfiggimi. In tal caso, buon funerale.» ridacchiò maligno.

Siirist ci pensò bene. Adocchiò il fuoco nero di cui era composto l’imponente lupo e, di comune accordo con i suoi tre compagni, accettò la proposta dell’Esper e lo mise sotto sigillo.

«Ora sparite. E non invocarmi se non c’è da divertirsi.»

Fenrir aprì un portale che trascinò via i mortali dal suo piano, trasportandoli nel nono. La luce del sole era così in contrasto con l’oscurità del settimo piano che dovettero tutti e quattro chiudere gli occhi. Il cielo era limpidissimo, con nemmeno una nube nella grande tela azzurra, il caldo sole alto come a mezzogiorno. Erano in un mondo molto verde, con alte montagne, mari cristallini, foreste, fiumi. Era un paradiso incontaminato. Il piano di Bahamut, l’Esper nato dal potere di Raijin e Fujin, era un luogo che sarebbe potuto essere scambiato per una terra presente su Gaya; una per cui ogni popolo si sarebbe combattuto ferocemente pur di possedere. Quattro dei daedra che Siirist già possedeva erano di quel piano e, come sempre, li rintracciò come prima cosa e cambiò loro il sigillo, per poi mettersi alla ricerca di nuove prede. La prima che trovarono era, per la felicità del mezz’elfo, un daedra behemoth, che resistette sorprendentemente bene alla Tempesta di distruzione di elemento Folgore e la rispedì indietro come un terribile raggio fulminante azzurro. Gli occhi rosso sangue, Siirist alzò una mano avvolta da fulmini rubini e neutralizzò il colpo.

«Sono desolato, ma temo che il fulmine non ti sarà molto utile contro di me.»

Rorix volò, una grande bomba incendiaria pronta tra le sue fauci e il Cavaliere lo seguì, volando lui stesso, ad un’altezza di due metri dal suolo, Lin dur sguainata e attorniata da intense fiamme rosso scuro. Menò due colpi che ferirono profondamente la zampa anteriore destra del daedra, recidendogli alcuni tendini e facendolo cadere in ginocchio, mentre il drago lo azzannava al collo. Rorix era più piccolo, ma riusciva a tenere testa alla grande bestia e finì con il sottometterla. Ryfon preparò il sigillo del drago e lo impose sulla sua conquista. Si procurò altri dodici daedra, due di livello drago, prima di raggiungere una altissima montagna ricoperta lungo i lati da una lussureggiante vegetazione. A differenza della tana di Hashmal, questa era di forma più o meno cilindrica e del diametro non più grande di settanta metri. L’altezza era invece incalcolabile, in quanto la cima del monte si perdeva nell’alto del cielo.

«Sta arrivando. Io e Vadraael aspetteremo qui.» informò Glarald, mantenendosi a distanza di sicurezza.

Siirist annuì, tenendo gli occhi puntati verso l’alto, il sole che non lo accecava grazie ad un incantesimo. Una grande figura alata si parò davanti all’astro luminoso e volò rapidamente verso il basso. Siirist dislocò sé e Rorix fuori dalla traiettoria dell’Esper prima di venire schiacciati. Era alto circa venti metri, in piedi sulle zampe posteriori, le anteriori in tutto e per tutto simili a braccia, con una coda lunga quanto tutto il corpo. Era maestoso. Coperto da scaglie nere dall’apparenza metallica, dorate nella parte centrale del busto, scendevano in una linea gialla fino alla coda passando per quella che sarebbe stata la zona pubica in un mortale. Gli artigli di tutte e quattro le zampe erano giallo oro, come le linee che seguivano le sue due paia di corna ricurve che si estendevano dal viso fin dietro la nuca. Gli occhi bianchi, la faccia era simile a quella di un drago. Aveva grandi ali di piume metalliche dai colori del sole al tramonto e sulla schiena vi era una ruota dorata. Mosse la coda in una sferzata che mosse i venti. Teoricamente, Bahamut doveva avere poteri simili a quelli di Adrammelech, solo molto più grandi, quindi fulmine e vento. Forse anche una fusione dei due, un po’ come l’elemento Tempesta di Siirist.

«Bene arrivato, Cavaliere d’Inferno.» disse l’Esper con le braccia incrociate.

«Grazie.»

«Presumo tu voglia il mio potere, così come hai conquistato quello dei miei fratelli.»

Ryfon annuì. Bahamut rispose in eguale maniera e si mise in posizione, silenziosamente invitando il mezz’elfo ad attaccarlo.

‹Bene, apri questa gabbia e facciamola finita anche con questo qui.› disse avido di lotta il falso Siirist.

Il vero scosse la testa.

‹Che cosa?!›

Il settimo senso diceva al biondo che Bahamut, a differenza degli altri Esper che aveva affrontato (specie Mateus e, anche peggio, Zalera), non emanava uno spirito omicida. Egli non voleva veramente combattere, quanto mettere alla prova il Cavaliere per vedere se fosse degno di applicare il suo sigillo.

‹Questa volta me ne occuperò da solo. Anche tu stanne fuori, Rorix.›

‹Va bene.›

Come il drago si fu allontanato, il mezzo demone si tolse la tunica e generò una fiamma nera nella mano sinistra e creò la Tsukuyomi.

‹Fai come ti pare, ammetto che osservare la tua patetica incompetenza con le arti sacre è un divertimento!› rise il falso.

‹Stai zitto.›

In stato di calma assoluta, Ryfon fece riapparire il bavaglio sulla bocca della sua coscienza demoniaca e si trasformò in forma reale.

«Ali della fenice.»

Le sue nere ali vennero avvolte dalle fiamme dorate dell’elemento Radiante di Aulauthar, ingrandendosi e cambiando forma, con le penne tutte allungate, e prese il volo, scattando verso l’Esper, fiamme azzurre che circondavano la lama della Tsukuyomi.

«Arte della Vampa: Canto del leone.»

L’incantesimo vivente volò ruggendo verso l’avversario, prendendo completamente la sua forma animalesca dopo aver azzannato il braccio del signore del piano.

«Puoi fare di meglio.» disse Bahamut.

Con un movimento del braccio scagliò via il leone ardente e si slanciò verso Siirist in un colpo d’ali, la mano sinistra pronta a colpire con un poderoso pugno. Siirist lo evitò avvolgendosi nel suo fulmine demoniaco che gli diede un notevole incremento di velocità. Non aveva ancora raggiunto la velocità della luce, ma poteva muoversi al triplo della velocità del suono. La destra attorno all’elsa di Lin dur, la sguainò in posizione rovesciata e le rune della lama si illuminarono mentre essa veniva avvolta dalle splendenti fiamme di Aulauthar.

«Inferno purificatore!»

Attorno a Bahamut si generò un’esplosione di fiamme dorate che, però, non sortirono alcun effetto. E pensare che era fra gli incantesimi più potenti del Cavaliere d’argento, reso anche più efficace dall’immenso potere magico del Cavaliere d’Inferno.

«Tch!» fece infastidito, stranamente sentendo un po’ di irritazione anche in stato di calma assoluta.

Rinfoderò Lin dur e attorno alla destra concentrò il fuoco per l’Amaterasu che lanciò mentre anche il suo famiglio ritornava all’attacco. Il mezzo demone si rilocò alle spalle dell’Esper e lo colpì con un fendente, ferendolo con l’invincibile lama di fuoco nero della sua spada. Stava per menare un secondo colpo quando la coda di Bahamut lo prese in pieno sulle costole sinistre, mandandolo a schiantarsi a trecento metri di distanza contro una montagna. Parte di essa franò e crollò addosso al mortale, schiacciandolo. Da sotto le macerie, si rigenerò nel giro di qualche secondo grazie al suo potere demoniaco e in un’esplosione di fiamme azzurre, si sbarazzò delle rocce. Si rialzò e vide che sia il leone ardente che l’Amaterasu erano stati annullati e l’Esper era in piedi con il corpo a tre quarti e le braccia incrociate

‹Questo è perché la tua abilità nelle arti sacre è penosa: fosse stato un mio Amaterasu lo avrebbe divorato!›

‹Non ti avevo rimesso il bavaglio?› chiese con tono piatto.

La calma assoluta lo stava incominciando ad affaticare, perciò ne uscì. Piantò la Tsukuyomi nel terreno e allargò le braccia, dividendo il suo Flusso nei palmi e in ogni dito, così da avere un potere complessivo di un milione e mezzo per mano.

«Comandamento imperiale!»

Le intense fiamme azzurre ricoprirono l’area attorno al mezz’elfo, incenerendo istantaneamente tutta l’erba con cui entrarono in contatto, facendo fare la stessa fine anche a quella che si trovava solo vicina per via del calore. Alzò il braccio sinistro, richiamando tutte le fiamme, controllandole con la mano destra, mentre con la sinistra aggiungeva un altro milione e mezzo di douriki alla concatenazione. Come l’immensa sfera di fuoco fu formata, la compresse fino a che gli circondò la mano. Allora afferrò la Tsukuyomi con la destra e prese il volo, le sue ali dorate che lasciavano una scia luminosa. Bahamut continuava a rimanere immobile a fissare il mortale.

‹Che sta facendo?› si chiese incerto.

‹Non lo so, ma non ha ammesso la sconfitta, quindi non ti fermare ora.› lo incoraggiò il suo drago.

Siirist annuì e caricò il braccio sinistro, concentrando tutto il suo Flusso nel palmo e aggiungendo l’energia amplificata dal Cerchio d’argento per la terza fase della sua concatenazione.

«Pugno imperiale!»

Era la prima volta che usava quell’incantesimo in una vera battaglia dopo Zanarkand. Allora lo sforzo gli aveva strappato tutti i muscoli del braccio, del gran pettorale e del gran dorsale, e il potere magico non era stato nemmeno paragonabile a quello generato ora. Adeo gli aveva insegnato a disciplinare la sua mente e a controllare i suoi incantesimi; Syrius gli aveva fornito importanti conoscenze riguardanti l’elemento fulmine, che gli erano stati utili anche nello sviluppo del suo potere demoniaco; Aulauthar e Althidon gli avevano insegnato a gestire il fuoco in maniera impeccabile, fornendogli le conoscenze necessarie per sfruttare al meglio il fuoco d’Inferno e riuscire addirittura a fonderlo con il suo fulmine demoniaco, creando, così, un’arte demoniaca, la fusione di magia e poteri demoniaci; Evendil gli aveva insegnato a sdoppiare e controllare il Flusso. Tutti i suoi anni di studi erano concentrati in quel colpo, tutte le speranze riposte in quei sette grimori bruciavano azzurre con riflessi violacei. Portò la mano destra al fianco ad accarezzare Lin dur, facendo toccare la sua elsa con quella della Tsukuyomi. Siirist portò il braccio sinistro in avanti, liberando l’intensa onda fiammante che investì in pieno l’Esper nero. Ryfon si fermò in volo, le sue ali che, sbattendo, irradiavano luce con le loro fiamme dorate. Le fiamme dell’arte della Vampa continuavano a bruciare, nascondendo alla vista l’emanazione della Tempesta. Siirist non si illudeva di averlo sconfitto, però sperava che, almeno, dopo tutti quei colpi, avesse almeno accusato qualche danno. Ma il fuoco azzurro si dissolse e Bahamut ricomparve, nemmeno scalfito dopo un attacco da cinque milioni e mezzo di douriki con in aggiunta il suo fulmine demoniaco. Sorrise.

«Tutto qui, Cavaliere d’Inferno?»

«Certo che no!» ringhiò.

Sguainò Lin dur e richiamò tutto il suo Flusso nel palmo, incanalandolo attraverso la lama della spada. Sorrise nel sentire l’arma vibrare di gioia: d’altronde quello era un incantesimo di Evendil, un incantesimo per il quale la lama era stata incantata.

«Giudizio di luce!»

Gli amplificatori di Lin dur permettevano a quell’incantesimo di venire moltiplicato per sette, dando un potere complessivo di sette milioni, e Siirist sfruttò quell’energia per creare contemporaneamente quattordici spade di luce che subito direzionò verso l’Esper, trafiggendolo, per poi farle esplodere. Ma ancora Bahamut non si mosse, apparentemente le spade di luce non lo avevano nemmeno ferito; erano solo passate attraverso il suo corpo come fasci intangibili. Siirist ringhiò ancora, furioso e spazientito, e conficcò la Tsukuyomi nel terreno e rinfoderò Lin dur, preparandosi al suo incantesimo più potente che combinava l’elemento Sacro di Evendil con il Radiante di Aulauthar, sfruttando la componente comune di luce.

Si concentrò, richiamando la sua energia. Chiuse entrambe le mani a pugno, se non per l’indice ed il medio che mantenne dritti. Portò le braccia in avanti, indirizzandole diagonalmente verso il basso e sovrappose le dita della sinistra a quelle della destra. Il Flusso sdoppiato in entrambi i palmi, liberò una grande folata di vento che, in un turbinio, salì verso l’alto, incominciando ad ammassare pesanti nubi bianche e dorate. Allora piegò il busto in avanti e piegò il braccio sinistro, sollevando il gomito verso l’alto. Ebbe un leggero mancamento, la complessità dell’incantesimo che si faceva pesante sulla sua mente. Strinse i denti, mentre gocce di sudore gli rigavano la fronte. Bahamut lo fissava interessato con i suoi occhi bianchi. Il cuore che gli batteva a velocità sempre più elevata, il mezz’elfo continuò ad ammassare energia magica nel cielo attraverso i palmi e le quattro dita dritte. Una grande scarica elettrica dorata percorse le nubi splendenti, portando con sé un grande rombo. Il Cavaliere sdoppiò ulteriormente il Flusso, incanalandolo attraverso ogni dito.

«Così!» gridò Bahamut, portando le braccia lungo i fianchi e preparandosi all’impatto.

«Estinzione stellare!» esclamò battendo violentemente la mano sinistra sulla destra, formando una sorta di croce.

L’energia nel palmo sinistro passò attraverso il destro, amplificandosi ulteriormente e sommandosi a quella già presente, a cui si aggiunsero le altre dieci divisioni nelle dita, per un totale di dodici milioni di douriki. Dall’ammasso di nuvoloso discese un raggio di luce bianco/dorata che investì in pieno l’Esper, apparentemente estinguendolo. La luce rimase nell’aria anche dopo che l’incantesimo si era estinto, assieme al grande polverone che aveva generato. Quando poi tutto si fu disperso, si poté vedere un cratere dalla forma perfettamente cilindrica dal diametro di cinquanta metri e profondo una trentina; sul terreno si trovavano, qua e là, tracce di fiamme e scariche elettriche bianco/dorate. Ma al centro del cratere, in piedi e in perfetta forma, si trovava l’Esper. Con un colpo d’ali ne uscì ed atterrò a quattro zampe.

«Ora è il mio turno. Preparati!»

Affondò gli artigli nel terreno mentre la ruota sulla schiena incominciò a girare, generando scariche azzurre sempre più chiare, fino a che diventarono bianche, e nelle sua bocca si generò una sfera bianca di plasma.

‹Vuoi lasciarmi fare ora?› chiese quasi divertito il falso.

‹Prego!›

Il raggio devastante partì dalle fauci di Bahamut e si abbatté sullo scudo del gigante di fuoco nero, spazzandolo via.

‹Maledizione! Senza lo Scudo di Yata non c’è proprio speranza?! Chiedo scusa, non posso fare di più.› ringhiò rabbioso il falso.

‹Non importa.›

Il vero Siirist riprese il controllo del suo corpo appena in tempo e si dislocò, evitando per un soffio di venire ridotto a un ammasso di atomi. Ancora in stato di calma assoluta, puntò la mano sinistra in avanti, l’indice esteso, richiamando il Flusso attraverso il palmo e trasferendo l’energia attraverso il dito.

«Raggio di annullamento.»

Sulla punta dell’indice si creò una piccola sfera nera di Vuoto da cui partì un raggio dal diametro di un centimetro. Trapassò Bahamut da parte a parte, ma la ferita istantaneamente si rigenerò.

‹Pare funzionare.› osservò Rorix.

Non c’era bisogno di usare tanti incantesimi d’effetto, il Vuoto resta la tua tecnica più formidabile, te lo dico sempre. aggiunse Glarald.

Ma è difficile da tenere sotto controllo, ti rispondo sempre. rispose disinteressato.

Bahamut prese il volo e scattò verso il mezz’elfo che lo evitò dislocandosi.

«Onda di annullamento.»

Nel palmo aperto della sinistra si creò una sfera che sfruttava il potere complessivo di un milione e mezzo di douriki del Flusso sdoppiato. Da essa si liberò un potente raggio dal diametro di un metro diretto alla testa dell’Esper, ma questi lo annientò con una terribile folata di vento.

Proprio come Adrammelech.› ringhiò Rorix, usando la lingua degli elfi a causa dell’inserimento di Glarald nella conversazione.

Non dimentichiamoci che siamo al cospetto dell’emanazione della Tempesta. Il suo corpo è fisico, dunque il Vuoto lo può danneggiare, ma il suo potere può sempre dissiparlo. spiegò l’elfo oscuro.

Lo so da me.› rispose Siirist con voce piatta.

Cedette per un attimo il posto al falso, il quale liberò tre potenti Amaterasu per mano, e subito dopo il vero concentrò un milione e mezzo di douriki nella mano sinistra.

«Frattura dimensionale.» disse abbattendo un possente pugno a mezz’aria alla sua sinistra.

Apparve una crepa nel punto colpito, la quale si estese ed esplose. Da questa distruzione spaziale, si generò una possente scossa che ebbe effetto sull’intera area, generando dei forti terremoti. Bahamut perse l’equilibrio e non riuscì a difendersi dagli Amaterasu, che gli divorarono il braccio sinistro e attaccarono la zampa destra. Le fiamme nere che ancora gli bruciavano la spalla e la coscia incominciarono pian, piano la loro opera di consumo dell’intero corpo dell’Esper. Nuovamente Siirist moltiplicò per sei il suo Flusso, facendolo passare in tutte le dita e nel palmo della mano sinistra.

«Compressione.» disse stringendo il pugno.

Questa volta modificò lo spazio attorno all’Esper in modo da schiacciarlo, ma questi annullò la forza dell’incantesimo con un semplice battito d’ali. Ed un altro dei potenti incantesimi spaziali di Siirist era stato reso vano. Tutte le sue magie elementali erano inutili, persino la sua più potente; degli incantesimi spaziali solo il Vuoto pareva avere veramente effetto, ma solo se riusciva a colpire. Gli Esper erano veramente formidabili. Sorrise eccitato, il suo sangue che ribolliva oltre la piattezza della calma assoluta, la sua Ambizione che traboccava. Creò una seconda Tsukuyomi e, con quella che aveva già nella destra, partì verso l’avversario, preparandosi ad una tecnica di nitouryuu. Bahamut attaccò con una lama di fulmine fuso a vento, nell’aspetto identico all’elemento Tempesta del mezz’elfo, ma spaventosamente più potente. Questi la evitò con la dislocazione e colpì con sei rapidi colpi il busto dell’Esper, ferendolo gravemente, mentre il fuoco nero rimasto dopo i morsi degli Amaterasu aveva finito di consumargli la spalla ed era arrivato alla clavicola; la coscia era interamente andata e le fiamme erano al lavoro sull’osso e sul resto della “pelle” della gamba in entrambe le direzioni. Bahamut alzò il braccio destro e lo abbatté contro il mortale, ma il colore dell’osservazione della sua Ambizione più il settimo senso gli diedero tutto il preavviso necessario per evitare di essere schiacciato come un insetto sotto una aeronave. Allora la mano dell’Esper si aprì e questi la tese in avanti in segno di saluto.

«Eh?»

«Siirist Ryfon, ti sei mostrato degno del mio potere. Sarebbe un onore per me combattere al tuo fianco. Ora apponi il tuo sigillo.»

«Sul serio?!»

«Ti stavo solo mettendo alla prova. Se avessi voluto veramente sconfiggerti, saresti morto senza nemmeno avere il tempo di richiamare il tuo famiglio.»

«Non stento a crederci.»

Le Tsukuyomi si dissolsero e Siirist estinse il fuoco nero rimasto sul corpo dell’Esper, per poi creare nell’aria il sigillo da 144 rune che andò ad imprimere sul dorso della mano sinistra rigenerata del signore del piano. Questi si voltò e aprì uno squarcio dimensionale che collegava al decimo piano.

«Siiryll è desideroso di incontrarti, non farlo attendere.»

«D’accordo, e grazie.»

Il decimo piano era quasi un tutt’uno con il nono, al quale era collegato direttamente, non per niente Soho e la Coppia della Tempesta formavano la Triade di spada, la più importante forza del mondo divino. Siirist e compagni furono trasportati oltre le nuvole nell’alto dei cieli (così in alto che non si vedevano da terra) del piano di Bahamut, e tutto intorno a loro la luce era quasi accecante. Ma Ryfon se lo era già aspettato, poiché era già stato in quel piano. Purtroppo, a differenza degli altri nove, tutto l’ambiente era identico, candide nubi sotto i piedi ed un cielo tra l’azzurro ed il dorato, con nessun punto di riferimento per orientarsi.

«Come troveremo Siiryll?» domandò Glarald.

«Non ne ho la minima idea. Ma Bahamut ha detto che vuole incontrarmi, quindi potrebbe venire lui da noi. Io intanto ho alcuni sigilli da modificare.»

I quattro daedra già catturati in passato lo raggiunsero al suo richiamo mentale e modificò loro i sigilli. In seguito prese a vagare senza meta, sigillandone altri sedici. Erano in cammino da ore quando Siirist fu raggiunto dalla sensazione di una forte presenza. Accelerò il passo verso il punto da cui percepiva provenire quella forza fino a che raggiunse un ammasso di nuvole. Esse si diradarono e mostrarono Siiryll la fenice. Dal piumaggio prevalentemente dorato, le sue ali assumevano i colori dell’arcobaleno. Era alto sui venti metri, e Siirist indovinò avesse un’apertura alare intorno ai trenta. Il grande becco bianco aveva la forma di una lama dritta e gli occhi erano come oro fuso.

«Bene arrivato. Accomodati, abbiamo alcune cose di cui parlare.»

«Come Zordiak non ti vuoi far sigillare e invece mi vuoi parlare?»

«No. Ti voglio parlare perché non posso essere sigillato da te e te ne voglio spiegare la ragione.»

La possente voce dell’Esper portava con sé una calma immensa assieme ad una grande sofferenza, un agognante desiderio di pace con la consapevolezza di non poter riposare.

«Sto ascoltando.»

«Sai come ogni daedra può essere sigillato solo da una persona alla volta e se due invocatori possiedono lo stesso, significa che hanno due esemplari diversi della stessa specie. Lo stesso vale per noi Esper, possiamo portare solo un sigillo alla volta. Questa è la ragione per cui non puoi applicare il tuo.»

«Sei già sotto sigillo?!»

«Purtroppo sì. E temo che ci incontreremo di nuovo, Cavaliere d’Inferno, a breve, e saremo nemici. Non è mio desiderio combatterti, ma è ciò che sono costretto a fare a causa del mio sigillo.»

«Ma come può essere?! Sappiamo che nei tempi del mito, un angelo applicò il suo sigillo su di te, ma qualcun altro è stato in grado di farlo?»

«No, solo una persona in tutta la storia mi ha messo sotto sigillo.»

«Ma il sigillo scompare una volta che l’invocatore muore! Questo può solo voler dire...» protestò Glarald, interrompendosi solo dopo essersi reso conto della gravità delle conseguenze delle sue parole.

«Non può essere... gli angeli sono ancora vivi...!» disse orripilato Siirist cadendo in ginocchio.

«Non sono in molti, e sono quasi tutti in reclusione. Essi, come me, sono una emanazione diretta del mio signore Soho, perciò posso percepirli. Ma purtroppo uno, il mio padrone, non si è accontentato della sconfitta subita al termine della seconda era e intende schiavizzare nuovamente tutte le razze mortali.»

«Ecco cosa voleva dire Raizen: l’Architetto è questo angelo.» realizzò Ryfon con un filo di voce.

«Il suo nome è Azrael, era uno dei comandanti dell’esercito angelico ed il capo torturatore dei prigionieri. Tra tutti i figli della luce, egli era il più corrotto.» spiegò Siiryll.

«Perché ora? Perché ha atteso oltre quattrocento mila anni? Perché ha voluto recuperare le Reliquie della Luce? Con te conquistare tutta Gaya sarebbe stato semplice!»

«Hai visto da solo che il fuoco nero della famiglia reale dei demoni è in grado di contrastare persino noi Esper, in particolare me, in quanto è il mio completo opposto. Contro coloro in possesso delle sacri arti del fuoco nero, anche io sarei stato in svantaggio.»

«D’accordo, ma solo Raizen ha ciò che veramente serve per abbattere un essere della tua potenza! E lui non può lasciare Kami no seki! Comunque questo spiega perché ha voluto recuperare le Reliquie, non perché ha atteso tutto questo tempo.»

«Dopo il tentativo di invasione di Nirn da parte degli angeli e la creazione di Oblivion e di noi Esper da parte degli dei, gli angeli erano tutti molto provati dalla battaglia. Gli elfi sapevano che la fine della guerra non sarebbe stata la fine dell’ambizione degli angeli, perciò ritornarono a Nindoria per sterminarli, sempre guidati da Adorellan. Molti combatterono, ma alcuni si arresero e si nascosero.»

«E Azrael?»

«Egli mi invocò e insieme a lui combattei contro Adorellan con indosso l’Armatura ed armato della Spada. Naturalmente perdemmo, ma Azrael riuscì a legare la sua vita alla mia. Io sono immortale, dunque lo è diventato pure lui. L’unica cosa che Adorellan poté fare fu sigillarlo utilizzando la Guardia.»

«La Guardia?!» dissero insieme Siirist e Glarald.

I draghi pure espressero mentalmente la loro meraviglia.

«La prima Reliquia della Luce, la prima parte in cui la Spada fu divisa. L’Elsa è, in verità, solo l’impugnatura e l’assenza del giunto tra essa a la Lama ha reso la Spada inutilizzabile; per questo è stata riposta e custodita e non più usata come arma. Il potere della Guardia è riuscito a tenere Azrael in uno stato di semi morte fino ad un secolo fa, quando si è finalmente risvegliato. Ma il suo vero potere è ancora sigillato dalla Guardia impiantata nel suo cuore, dunque ha avuto bisogno di creare la Setta dello Scorpione per recuperare le altre Reliquie.»

«Deve comunque essere abbastanza forte da essere riuscito a sconfiggere Raiden.»

«Sì. Ma contro l’intero Ordine dei Cavalieri dei draghi e la possibile alleanza con la corte demoniaca, non potrebbe comunque resistere. Le Reliquie gli servono per liberare il suo potere, non solo per ottenerne di più. Certo è che, una volta ottenute le Reliquie, le userà.»

«Ho una domanda: come ha fatto Adorellan a dividere la Spada? Se essa è il sommo potere di Soho, non dovrebbe essere indistruttibile?»

Siiryll sorrise.

«Sai quanti tentativi sono stati fatti in passato di ricongiungere l’Armatura? La Spada, per via della mancanza della Guardia, era impossibile, ma un tempo le quattro parti dell’Armatura era tutte nello stesso luogo, eppure non è stata mai utilizzata dopo la morte di Adorellan.»

«In passato si cercò anche di riunire il Pomolo e l’Elsa, credendo che solo questo potesse ridare un po’ del suo potere alla Spada, ma fu impossibile riunirle. Non importava cosa si provasse, continuavano a rimanere due pezzi distinti. C’è un motivo particolare per questo?» aggiunse Glarald.

L’Esper sorrise anche di più.

«Il potere di Soho ha creato Spada e Armatura e solo il suo potere le può riforgiare o distruggere.»

«Quindi Azrael ha il potere di ricrearle, una volta ottenute tutte le Reliquie?» domandò Ryfon.

Siiryll annuì.

«Ma questo non spiega come Adorellan sia stato in grado di separarle. Non mi dire che non era un elfo ma un angelo?!»

«Dopo la creazione degli elfi, ci fu un periodo in cui il loro aiuto non era sufficiente ad aiutare gli umani a sfuggire agli angeli. Come vi ho già detto Azrael era il capo torturatore, incaricato di tutti i prigionieri. E spesso si divertiva a stuprare le donne. Gli angeli hanno vita eterna, non si riproducono, ma questo non significa che ignorano le vie del piacere. Gli dei videro in questo suo sadico divertimento un’opportunità per fermare gli angeli e Deraia lo rese fertile. In questo modo rese gravida una delle sue prigioniere, la sorella di uno dei condottieri degli elfi, che fu in seguito liberata. Ed il bambino a cui diede la luce fu chiamato Adorellan.»

«Adorellan aveva sangue angelico...!» disse a bocca aperta il Cavaliere corrotto.

«E la sua progenie, tenuta nascosta perché non potesse essere sfruttata per usare le Reliquie, lo ha mantenuto nel corso delle ere. Siirist Ryfon, ricorda la prima condizione della profezia di Zordiak. Ora ritornate a Ruu, mortali. La tua strada è ancora lunga prima di riuscire a fermare Azrael. Egli riunirà le Reliquie, è scritto nel fato, non cercare nemmeno di fermarlo. La mia speranza è che ci riesca solo dopo che hai acquisito tutto ciò che ti è necessario per poterlo affrontare.»

Il portale che riconduceva alla stanza segreta del Palazzo dei Due Re si riaprì e fece per risucchiare i quattro mortali.

«Sono quasi certo di poter affrontare un angelo, ma come posso andare contro il potere delle Reliquie riunite?!» protestò il biondo.

«La risposta ti diverrà chiara lungo il tuo cammino. Hm, sto incominciando a parlare come Zordiak.» ridacchiò.

Quelle furono le ultime parole che Siirist sentì.

 

 

~

 

 

Il prossimo capitolo si intitola LA MITICA FORMULA.

Ritorna all'indice


Capitolo 59
*** LA MITICA FORMULA ***


LA MITICA FORMULA

 

Siirist, Rorix, Glarald e Vadraael si ritrovarono nella stanza del portale. Lo squarcio dimensionale si richiuse e il biondo si sedette a terra con la schiena contro la parete.

«Non è questo il momento di riposare, Siirist! Dislocaci fuori da qui con questa lastra di pietra e poi, ritornati a Imladris, potrai riposarti quanto vuoi!» lo esortò l’elfo oscuro.

Il mezz’elfo guardò verso la sua destra, voltando il capo con seria difficoltà, vedendo la Guida di fronte ad una grande lastra incisa. Giusto, la formula dell’Adamantio, quasi se ne era scordato. Troppe cose erano accadute in Oblivion, troppe rivelazioni. Dal suo vero nome, allo scoprire che Siiryll era ancora sotto il sigillo di quell’Azrael. Espirò, liberando tutta la fatica che aveva in corpo, ed inspirò, richiamando l’energia dell’atmosfera. Era esausto. Glarald voleva che utilizzasse la dislocazione? Assolutamente no, era troppo stanco. Tutta la fatica accumulata lo aveva assalito: dall’uso incontrollato delle arti sacre, alla modifica di ventitré sigilli e la cattura di centotrenta nuovi daedra. Senza contare che erano circa passati tre giorni e aveva anche fame, sete e sonno arretrati. E ora che la benedizione di Zordiak era svanita, sentì come tutta la stanchezza di un mese assalirgli il corpo.

«Non esiste, ho bisogno di riposarmi.»

«Ti riposerai molto più comodamente a Imladris, dopo esserti rifocillato a dovere e un bel bagno caldo.»

Siirist grugnì. Come no, a Imladris l’unica carne che avrebbe trovato era quella degli elfi, la quale, doveva ammetterlo, gli stava sembrando allettante in quel momento. E le loro provviste erano esaurite. Vedeva molti problemi nel suo immediato futuro. Chi sa quanto sarebbe stato a Rivendell, quanto ci avrebbe messo a studiare il grimorio di Eleril, e in quel tempo niente carne, niente scontri quasi all’ultimo sangue, niente sesso. E ora era così stanco e affamato che avrebbe mangiato un’intera mandria di buoi. O anche qualche tenera altmer. Scosse la testa, momentaneamente reprimendo la sua fame.

«Ho capito, tieni.» disse l’elfo, generando una fiamma.

Siirist sorrise amaramente.

«Non riesco nemmeno ad usare il Banchetto di fiamme, è inutile.» scosse la testa.

«No, tu sei inutile. Ora usciamo da qui. Imprimi questo posto bene nella tua mente, perché ci dovrai tornare con la dislocazione.»

«D’accordo.»

Glarald si caricò Ryfon sulle spalle, un piccolo Rorix appallottolato nel cappuccio del suo Cavaliere, e si avviò verso le porte gemelle del Palazzo dei Due Re, il drago tigrato che lo seguiva a piedi. Quando ebbero attraversato il ponte e furono nella parte principale di Ilirea, il Cavaliere corrotto montò su Vadraael, il quale prese subito il volo. Arrivati alle porte della città, l’Inferno usò il suo possente respiro per sciogliere il ghiaccio diamantino che ne bloccava l’accesso, e Glarald pronunciò un’evocazione di terra che creò una galleria tra la sabbia dopo aver nuovamente sigillato l’ingresso. Arrivati in superficie, l’evocazione fu annullata e gli spiriti dei granuli di sabbia ritornarono a dormire, e la galleria svanì in un istante.

«È l’ultima volta che ti aiuto così spudoratamente. Sono la tua guida, niente di più. Il mio compito è osservarti e indicarti la giusta via.»

«Lo so, lo so, non c’è bisogno di ripetersi.»

I draghi atterrarono e incominciarono a camminare. Il sole era alto nel cielo, erano passati tre giorni da quando avevano raggiunto Ilirea. Hans e Bhyrindaar erano certamente preoccupati. Lo stomaco di Siirist brontolò.

«Ho bisogno di mangiare...» disse con tono disperato.

«Ci sono pochi animali in questo deserto, e quelli che troveremo non ti piaceranno.»

«Non mi interessa, mi basta qualcosa per alleviare la fame. Poi mi basta riposarmi fino a domattina e sarò pronto per tutte le dislocazioni che vuoi.»

Sì, ventiquattro ore di riposo e sarebbe stato in perfetta forma, a patto però che si riempisse pure lo stomaco.

«Ho capito.» disse sospirando Glarald.

Evocò degli spiriti della terra che crearono un rifugio nella sabbia, dentro al quale Siirist e Rorix si stesero. Il drago accese un bel fuoco per riscaldare l’aria.

«Io e Vadraael andremo a caccia, tu intanto dormi.»

Siirist gli sorrise per poi addormentarsi.

 

Si risvegliò quando fuori la notte era ormai scesa da qualche ora, l’odore di carne arrostita che gli invadeva le narici. Gli dava la nausea.

«Che hai lì?»

«Scorpione gigante. Non è il massimo, però è ricco di proteine.» rispose l’elfo, badando alla sua preda.

Lo sguardo di Ryfon si fece duro, gli occhi demoniaci e le pupille da draconiano.

«Non lo mangio. Non uno scorpione.»

«Non ha niente a che vedere con la Setta, quindi non fare troppo il delicato. Anche se forse può avere a che fare con il nome che si sono dati: sapevi che uno scorpione gigante al massimo della sua grandezza può anche uccidere un drago? Parlo di draghi di terra, non di alati, però rimane sempre uno dei pochi animali in grado di affrontare un drago.»

«Non mi interessa, non lo mangio.»

«Peccato, perché io di certo non torno là fuori a cercarti qualcosa di meglio.»

Siirist ringhiò. Non era il tipo orgoglioso, quello era Gilia, peggio ancora la nobile Ilyrana, l’orgoglio era qualcosa di stupido che si metteva in mezzo al buonsenso, ciò che veramente serviva ad un ladro, ma c’erano alcune cose che rendevano il mezz’elfo più testardo di un elfo completo. E tutto ciò che riguardasse lo scorpione, anche solo l’animale, era una di queste.

‹Non fare lo stupido e mangia. Fa schifo, non lo nego, però è veramente pieno di proteine. Una bella mangiata e un’altra dormita, e, al risveglio, sarai in grado di dislocarci tutti quanto ti pare.› gli disse calmo Rorix, cercando di convincerlo.

Quando il suo stomaco brontolò ancora e pure Glarald incominciava a sembrargli invitate, si convinse e affondò le sue zanne nell’esoscheletro del mostro.

«Andrebbe tolto prima.» fece notare il Cavaliere corrotto.

Forse lui ne aveva bisogno, con i suoi deboli denti elfici, di certo non il mezzo demone. In dieci minuti divorò completamente tutto ciò che gli era stato dato e si rimise a dormire, nauseato.

A giudicare dal sole, erano circa le undici di mattina quando i quattro uscirono dal loro improvvisato rifugio. Siirist entrò nello stato di calma assoluta e si dislocò nel Palazzo dei Due Re e si rilocò di nuovo accanto ai suoi compagni con la lastra di pietra incisa che riportava la formula dell’Adamantio. Glarald fece ritornare il rifugio al suo stato naturale e Siirist dislocò tutti alla grotta che avevano trovato vicino a Rivendell, da cui egli si dislocò fino alla bottega di Bhyrindaar, che quasi rovesciò il suo tè, mantenendo comunque un comportamento dignitoso, mentre Hans saltò.

«Ce ne hai messo di tempo! Ci stavamo preoccupando!» esordì l’umano.

«Immagino trovare Ilirea non sia stato semplice.»

«Semplice no, ma non ci è voluto molto. Abbiamo fatto una capatina a Oblivion e ho messo sotto sigillo sette Esper, insomma cose da tutti i giorni. Beh, eccovi la formula dell’Adamantio. Non l’ho letta tutta, l’ho subito portata qui, quindi sono curioso anche io di scoprire che cosa sia in verità.»

Le facce dei due fabbri erano impagabili.

«Tu hai fatto cosa a Oblivion...?»

«Nella stanza dove ho trovato questa lastra c’era anche un portale per Oblivion con un’altra lastra che riportava i dieci sigilli per domare gli Esper. Utile, no? Adesso mettetevi al lavoro, io devo andare a trovare qualcuno e poi ritorno subito.»

Siirist lasciò i due fabbri a bocca aperta e uscì, i suoi tratti somatici nuovamente resi totalmente elfici. Lasciò il distretto dei mercanti e ritornò alla statua del suo antenato. La guardò con aria di sfida.

«Neanche tu hai mai messo sotto sigillo degli Esper, eh?»

La superò e tirò dritto, oltrepassando il ponte che andava al quartiere ricco. Esso era largo quattro metri e lungo sessanta, ed ogni cinque, da entrambi i lati, scendevano delle cascate dalle acque multicolore. Infondo, nella vallata, si era formata una strana conformazione di ghiaccio multicolore. Il mezz’elfo pensò ancora che quella città fosse uno splendore. Il quartiere ricco non era perfettamente organizzato come quello dei mercanti, non era lineare, e diverse abitazioni, alcune più grandi di altre, ma anche la più piccola avrebbe potuto contenere mille persone se stipate, occupavano i vari spazi in maniera quasi casuale, ma sempre in perfetta sintonia con l’ambiente. Percorse le strade tortuose fino a che raggiunse la cima di una delle due colline. Si trattava di uno spiazzo infondo al quale si ergeva un edificio di pietra bianco sporco con venature verde smeraldo, attorno alla quale era stato eretto un muro di pietra identica, con un po’ d’edera a decorarlo. Il cancello era fatto di oro bianco e giallo fusi insieme, con gigli bianchi circondati da venti stelle a otto punte verde smeraldo a riempire gli spazi tra le sbarre. Si avvicinò e lo spinse, entrando nel cortile. La facciata della ricca residenza dava un’idea di grande eleganza e raffinatezza. Al centro vi era il portone d’ebano intarsiato, attorno al quale vi era una cornice di vetro multicolore, il quale formava una deliziosa immagine di armonia di colori. Vicino alla cornice, vi erano due mezze colonne scolpite, e al loro esterno la facciata si faceva più spessa. Altre due file di finestre decoravano i lati del palazzo, ciascuna composta da tre finestre, e sei si trovavano al piano superiore. Il resto del lato dell’edificio era di pietra uniforme. La porta si aprì ed uscirono tre guardie armate con un’armatura bianca e verde, nelle mani delle prime due vi erano delle lance, la terza, rimasta indietro, tendeva un arco. Siirist sorrise.

‹Anche avessero saputo chi fossi, suppongo avrei ricevuto la stessa accoglienza.›

«Fermo lì! Questa è la residenza del nobile Elisar Ilyrana! Ti conviene andartene, straniero!»

«Visto che ho proprio da parlare con lui, credo non lo farò.» rispose con tono di sfida prima di entrare in stato di calma.

L’arciere scoccò il suo dardo, il quale volò rapido verso il viso del mezz’elfo, fino a che si fermò completamente a mezz’aria il momento che questi disse “Ferma.”. I tre altmer di guardia sgranarono gli occhi. Parevano ben preparati nelle arti magiche, poiché erano rimasti così sorpresi dall’incantesimo dello sconosciuto: non era stata una magia di vento né una di terra, le due più comuni per fermare un oggetto in volo. Ancora meglio, dovevano essere così preparati nelle loro conoscenze di magia da aver riconosciuto la magia temporale utilizzata, la quale aveva congelato la freccia nel tempo. Mentre i tre erano intenti a capire con chi avessero a che fare, Ryfon evitò il dardo e proseguì. I due lancieri si ripresero e attaccarono, trafiggendo il trasgressore. Ma come questi ebbe pronunciato “Inconsistenza”, le lame gli passarono attraverso come se lui non fosse nemmeno stato lì. Passò oltre e con due rapidi colpi delle mani messe a taglio, tramortì gli elfi. L’arciere lasciò cadere l’arco a terra e preparò al contempo due incantesimi, uno di luce nella mano sinistra e uno di fulmine nella destra. E bravo, riusciva a generare due poteri così forti allo stesso tempo. Siirist gli andò ad analizzare il Flusso vitale, scoprendo che era di duecento, e che era stato ugualmente spartito per i due incantesimi. Gli occhi attenti del ladro, aiutati dalla vista elfica, videro chiaramente gli amplificatori ai polsi della guardia, le scritte elfiche che erano sui suoi guanti d’armatura per ben più che bellezza. Ryfon sorrise, avvicinando il suo Flusso a quello dell’avversario e temporaneamente inglobandolo. L’elfo, sconvolto, cadde in ginocchio, realizzando di non poter fare nulla quando le sue due magie scomparvero. Disperato, stava per sguainare la spada quando Siirist gli schiacciò la mente, facendolo cadere di faccia, svenuto. Gli restituì il Flusso ed entrò dalla porta aperta, abbandonando lo stato di calma. La richiuse e guardò bene l’atrio della villa: il pavimento era di marmo bianco lucido, ricoperto da preziosi tappeti dai colori scuri, tanto che la ricca pietra sotto era quasi invisibile; le pareti erano rivestite di pregiato legno lucidato, con sontuosi drappi ad adornarle e meravigliosi dipinti di paesaggi. Vi erano alcuni mobili, come cassettiere, tavolini, tutti di legno di alta qualità e reggenti oggetti di alto valore, come vasi di ceramica, candelabri di metallo prezioso. Sulla parete di sinistra era persino appesa una spada tempestata di gemme, mentre a destra vi era una porta di legno e vetro che permetteva di vedere l’armeria oltre essa. E certo, dall’altra parte dell’atrio c’erano anche altre venti guardie, tutti i loro incantesimi più potenti pronti al lancio, alcuni con l’energia magica che circondava le loro dita, altri con le lame delle spade avvolte in essa, altri con le frecce incoccate che crepitavano.

«Chi sei tu per credere di poter entrare così con tanta semplicità?»

«Qualcuno che ha neutralizzato i vostri amici lì fuori con la stessa difficoltà che ha nel mordere una mela. Adesso, se non volete farvi male, andate a chiamare il vostro padrone. Ho alcune faccende da sbrigare con lui, e sarei anche di fretta.»

«Riconoscerei quell’arroganza tra mille. Anche se sei vestito con degli stracci e sembri in tutto e per tutto un elfo, senza contare che sei appena ritornato dal mondo dei morti, non potrei mai scambiarti per qualcun altro.»

Elisar Ilyrana, in tutta la sua grandezza, passò in mezzo alle guardie che si separarono per fargli spazio. Era vestito con una splendida tunica rossa, al collo una collana di oro giallo con un rubino al centro, ai due medi degli anelli d’argento e d’oro giallo con altri due rubini. Effettivamente, confrontato con lui, Siirist pareva un barbone, con i suoi vestiti sporchi e lacerati in vari punti. Se fosse stato un normale umano, starebbe puzzando come una fogna. Per fortuna era tutto elfico in quel frangente, ma ciò non toglieva che aveva bisogno di un bel bagno caldo: persino Alea aveva incominciato a puzzare dopo dieci giorni sul Gagazet.

«Sai com’è, dopo tre giorni in Oblivion a catturare daedra, non puoi aspettarti di uscire fuori vestito come per andare a una festa.» rispose Siirist con lo stesso tono che poteva essere usato per dire “oggi mi sono svegliato e ho mangiato un panino”.

«Dovrei ucciderti per essere sparito in quel modo, ingrato bastardo.» rispose a denti stretti il padre di Alea.

«Oh? Nobile Ilyrana, non mi sarei mai aspettato un simile turpiloquio dalle vostre eleganti labbra!» lo derise spudoratamente Ryfon.

Il padrone di casa e tutte le sue guardie si prepararono ad attaccare quando Siirist mostrò ciò che teneva al collo.

«Davvero mi vuoi attaccare? Rischieresti di rovinare questa.»

Ilyrana sbiancò e comandò ai suoi uomini di rilassarsi. Si avvicinò al mezz’elfo, il quale aveva, intanto, riacquistato il suo vero aspetto. Lo afferrò per il bavero e lo sollevò, sbattendolo contro la parete.

«Hai la minima idea di quanto Alea sia stata in pensiero per te?!» disse a denti stretti, gli occhi che incominciavano a bagnarsi.

Tutto ciò che trattenne Ryfon dallo spezzare le braccia del vecchio elfo era il vedere quanto realmente tenesse a sua figlia. Stava per rispondere con tenerezza quando ricordò che, tutto sommato, quello che aveva davanti gli stava sui coglioni, perciò optò di continuare a deriderlo.

«Ah, quanti ricordi. Alla fine finiamo sempre così noi due, eh? Prima bisticciamo, poi mi metti con le spalle al muro e io ti dico “succhiami le palle, vecchio”.»

A differenza di quanto avesse potuto credere, Elisar non si infuriò, bensì lo lasciò andare e si mise a ridacchiare.

«E adesso che c’è?»

«Sei il solito insopportabile ragazzino che ho sempre desiderato prendere a pugni.»

«E questo ti fa ridere perché...?»

«Perché per quanto io ti voglia vedere in un letto d’ospedale, sei la persona di cui mia figlia si è innamorata. Se fossi cambiato anche un po’ non te lo avrei perdonato.» gli rispose, tendendogli la mano.

Se le guardie non avevano capito nulla di quella conversazione fino a quel momento, ora erano ancora più interdette.

«Oh, ma io sono cambiato. E la prossima volta che ti azzardi ad attaccarmi, ti cancello dall’esistenza.» rispose con aria di sfida, ricambiando la stretta.

«Ci mancherebbe anche che il Cavaliere d’Inferno, dopo tutti questi anni, non sia diventato più potente.» rispose soddisfatto.

«Siirist! Sei veramente tu?»

Elénaril era appena arrivata nell’atrio ed era corsa incontro al mezz’elfo, abbracciandolo.

«Sei più alto! Il tuo viso, per Soho sei anche più bello, e questi capelli? E i vestiti! Che ti è successo?! Elisar, dagli dei vestiti tuoi!»

«Elénaril, contieniti!» disse imbarazzato il suo compagno di vita.

«È un piacere rivedervi. Che le stelle vi proteggano.» rispose Ryfon con un inchino.

«No, che esse proteggano te, Cavaliere d’Inferno.» rispose la altmer, inchinandosi anche di più.

«Com’è che rispetti tanto lei e non me?»

«Credi possa dimenticare il modo con cui hai trattato Alea la prima volta che ci siamo visti? A volte lo sogno ancora la notte e penso solo di strapparti la carne dalle ossa. Quindi stai contento che sei ancora vivo.» rispose gelido.

Per una volta, l’arrogante elfo non seppe come ribattere e rimase in silenzio. Ma pareva felice delle parole del Cavaliere.

«Che hai da essere così contento? Hai sentito cosa ho detto?»

«Sono felice perché per quanto io non ti sopporti, almeno so che mia figlia è nelle mani di qualcuno che tiene veramente a lei.»

Le guardie furono mandate via e fu ordinato loro di non rivelare a nessuno al di fuori della residenza Ilyrana della presenza del Cavaliere d’Inferno, e questi fu accompagnato dai due nobili oltre l’atrio e lungo un corridoio che dava su varie stanze e che terminava con una elegante scala, la cui ringhiera di ferro battuto presentava motivi vegetali, da rami di foglie a diversi tipi di fiori. La scala curvava verso destra, e il soffitto della stanza sotto era così alto che essa si poteva vedere anche dal primo gradino. Era molto grande, rettangolare, con la parete di fondo, quella esattamente davanti a Siirist, completamente di vetro, in cui si apriva una porta finestra che dava su un grande balcone. Alla destra di questo scendeva una splendida cascata verde e dorata che, grazie al riflesso del sole, donava alla stanza un bagliore magico. Come al piano superiore, il pavimento era di marmo e ricoperto da pesanti tappeti, le pareti di legno decorate da drappi e dipinti. In ciascun lato del rettangolo si apriva una porta, quelle sui lati corti esattamente al centro, quelle sui lati lunghi nei punti opposti: la porta a vetri era verso sinistra, quella nella parete opposta dall’altra parte della stanza. Di fronte a questa vi era un pianoforte a coda in radica, divani e poltrone decoravano l’ambiente assieme a statue di ghiaccio, statue di marmo e armature decorative bianche e verde smeraldo appoggiate alle pareti. Al centro della parete opposta a quella di vetro si trovava un camino di granito, dentro al quale crepitava uno splendido fuoco che riscaldava tutta la sala. Sopra ad esso vi era un dipinto che ritraeva i tre Ilyrana. Altri dipinti mostravano splendidi paesaggi, incantevoli tramonti, una bellissima bambina che non poteva essere che Alea, Alea da grande, come l’aveva conosciuta Siirist, in varie pose, come appoggiata alla ringhiera del balcone con la cascata verde e d’oro al lato durante un tramonto, in groppa a Eiliis, seduta sotto un albero mentre leggeva un libro, abbracciata al padre, abbracciata alla madre, un dipinto dei suoi genitori insieme, tre di Elisar, tre di Elénaril, uno di Alea con Siirist e uno di Siirist da solo. Il mezz’elfo rimase a bocca aperta nel vedere gli ultimi due. Puntò il dito.

«E quelli?»

«Li ha fatti Alea, ha insistito perché li mettessimo su.» rispose Elisar, evidentemente non molto felice della cosa.

Ryfon si avvicinò a quello di lui e Alea, rivedendo la scena del capodanno in cui aveva finalmente trovato il coraggio di chiederle di ballare. Lei era incantevole. Non gli piaceva però vedere come fosse più basso di lei, anche se di poco.

‹Ora le cose sono cambiate, hehe. Tu aspetta, amore mio, manca poco ormai.›

Quella di solo lui lo ritraeva seduto sopra alle mura nere della Rocca a mezzogiorno, uno dei suoi posti preferiti per pensare. Aveva lo sguardo sereno e rilassato. Quanto era passato da quando aveva avuto quell’espressione l’ultima volta? Rideva e sorrideva, sì, ma l’innocenza e la spensieratezza che aveva avuto prima dell’attacco di Raiden erano state qualcosa di diverso. No, a pensarci bene, le aveva perse già da quando era stato in missione a Zanarkand. Non poteva dire di voler tornare indietro, il Siirist ritratto in quel dipinto era inutile, non sarebbe stato in grado di salvare nessuno, sia per mancanza di conoscenze, sia per immaturità. I suoi anni a Skingrad con la Volpe e a Hellgrind lo avevano formato, lo avevano reso qualcosa in grado di sopportare il peso delle sue responsabilità. Egli era il Salvatore dei sette, per quanto non sapesse esattamente chi fossero questi “sette”, e non aveva il tempo di essere il ragazzo a cui aveva detto addio assieme a Vroengard. E non se ne pentiva, non lo rimpiangeva. Ciò che temeva era come lo potesse trovare Alea: ella si era innamorata del Siirist nel dipinto, e lui ora era un’altra persona. Poteva insultare Elisar quanto voleva e poteva comportarsi come aveva sempre fatto, ma, di fatto, lui era cambiato.

«Sei così narcisista da stare a fissare il tuo stesso ritratto piuttosto che guardare quello di Alea?» chiese con la sua solita vena di disprezzo Elisar.

Siirist ridacchiò e si avvicinò a lui. Fece per sedersi sul divanetto quando fu fermato dall’altmer.

«Se credi di sederti sul mio divano sporco in quella maniera, sei più stupido di quanto pensassi. Io e Elénaril ti aspetteremo qui, vogliamo sapere tutto ciò che hai fatto in questi anni e che scusa avevi per non farti vivo nemmeno una volta con Alea, ma prima ti vai a fare un bagno e ti cambi i vestiti.»

Ryfon ammise che aveva ragione e si congedò dai padroni di casa. Seguì un servo oltre la porta opposta alla scalinata da cui era arrivato al salotto e fu accompagnato lungo un corridoio in una stanza per gli ospiti. Essa era accogliente e lussuosa come il resto della residenza, composta da un salotto privato che divideva bagno e camera da letto. Conteneva una libreria con diversi libri per passare il tempo, come romanzi e poesie, un divano, una poltrona, una sedia e una scrivania. Le pareti del bagno erano di un marmo tra il bianco ed il giallo, il pavimento dello stesso colore misto a rombi verde smeraldo, con il gabinetto, il lavandino, una doccia con funzione di sauna e una vasca circolare in cui ci si poteva stendere completamente, volendo. Il mezz’elfo notò come non ci fosse l’idromassaggio; gli elfi si stavano sì evolvendo e avvicinando alle comodità moderne, ma non con tanta fretta (e usavano la magia per alimentare tutto, come si faceva alla Rocca, niente Materia). Due specchi decoravano le pareti marmoree, uno sopra il lavandino, uno, ben più grande, opposto alla doccia. La camera da letto aveva due poltrone, un armadio e due comodini ai lati del letto a due piazze. Il servo disse che il Cavaliere era libero di scegliere qualunque vestito avesse voluto dall’armadio. Questi lo ringraziò e gli disse che poteva andarsene. Si incominciò a svestire, slacciando prima di tutto la cintura di Lin dur e la Collana del Giuramento. Poi pensò che i suoi abiti erano, in ogni caso, da buttar via, quindi tanto valeva non perdere tempo a spogliarsi: si avvolse in un improvviso turbine di fiamme e li ridusse a cenere e si diresse alla vasca, che riempì con un incantesimo d’acqua anziché perdere tempo ad usare i rubinetti. Prese alcune delle schiume da bagno lì presenti e le spremette, utilizzando dallo stato di calma assoluta una magia di tempo per velocizzare il loro processo di espansione. In pochi secondi aveva davanti a sé uno splendido bagno caldo pieno di bolle rosa, celesti e dorate che ne coprivano la superficie. Sorrise soddisfatto ed entrò, sentendosi rinvigorire fin da subito.

‹E intanto noi stiamo in una grotta fredda.› gli fece notare Rorix.

‹Zitto, che non accusi il freddo. E poi non fosti tu, un tempo, a dire che i draghi selvaggi vivono in grotte e che a te non serve altro? Dovresti essere felice, goditi la tua grotta! Io preferisco il lusso di questo palazzo.›

‹Con i soldi che otterrai a rivendere solo una parte di quel tesoro a Ilirea, potresti farti costruire un palazzo mille volte questo qui!› rispose l’Inferno dopo aver ammesso che il suo Cavaliere aveva ragione.

‹E perché dovrei? Tornerò a Vroengard e mi daranno una minuscola stanza in cui vivere per il resto della mia vita.› disse non molto felicemente, soffiando via la schiuma che gli era finita in faccia.

‹Pensi davvero che ci tornerai?› chiese dubbioso.

‹Tu che vuoi fare?›

‹Lo sai, dove vai tu, vado io. Ma se devo essere sincero, non voglio essere intrappolato alla Rocca. Voglio girare il mondo. Ma capisco che tu hai bisogno di una “casa”.›

‹Girare il mondo mi pare un’ottima idea. È proprio qualcosa da fare dopo aver sconfitto gli Scorpioni.›

‹Che pensi di fare con questo Azrael?›

‹Non lo so. Siiryll ha detto che è destino che la Setta riunisca le Reliquie, quindi non c’è molto da fare a proposito. Direi che la mia unica speranza è riuscire a controllare le sacre arti del fuoco nero alla perfezione, e questo include il kyuutouryuu, sperando che sia sufficiente. Certo, considerando che nemmeno Raizen sa usare il kyuutouryuu, pensare che ci riuscirò io è essere ottimisti, per usare un eufemismo.› rispose poco convinto.

Ci fu del silenzio durate il quale il mezz’elfo prese una spugna ed incominciò a strofinarsi via tutto lo sporco, il suo naturale profumo che si faceva sempre più forte.

‹Come sta Glarald?›

‹Il solito, aspetta. Non dice molto, sta seduto in silenzio e con gli occhi chiusi. Suppongo stia parlando con Vadraael.›

‹Credi sia una buona idea portarlo qui?›

‹Io non credo sia una buona idea dire che sei un demone, ma tanto so lo farai uguale.›

‹Mi sorprende non mi abbiano chiesto di te.›

‹Erano così sorpresi e felici di rivedere il “fidanzato” di loro figlia, che per un momento l’essere il Cavaliere d’Inferno è diventato secondario.›

‹Ma dopo mi chiederanno di certo perché non siamo insieme. Dovrei dire la verità? Dovrei dire che ti ho lasciato con un drago e un Cavaliere corrotti?›

‹Te l’ho detto, ma pare tu non voglia sentire, il mio avviso è non menzionare Glarald e Vadraael. Puoi dire che mi hai lasciato fuori dalla città, sì, ma non che sono in compagnia.›

‹Oppure potrei venire a prenderti.›

‹Non la trovo una saggia idea. Per quanto siano i genitori di Alea, non darei mostra della dislocazione. Anzi, trovo che tu abbia esagerato abbastanza prima con le guardie, mostrando i tuoi incantesimi spaziali e temporali! Specie l'Inconsistenza, quella te la potevi risparmiare! È un tuo incantesimo originale, la prossima volta usa il Vuoto e siamo tutti felici, eh!›

‹Speravo che nel vedermi così potente si arrendessero. E spiegami quale sarebbe il problema, comunque? Sono i genitori di Alea, non sono nemici, posso anche mostrare i miei poteri. Di certo non ne svelerò i segreti, ma non vedo il danno se sanno che so creare il Vuoto o anche le mie arti demoniache.›

‹Fai come ti pare. Fossi in te, qualche segreto me lo terrei, comunque.› sbuffò.

Uscì dalla vasca venti minuti dopo e si asciugò con un incantesimo di aria calda mentre camminava verso la camera da letto. Aprì l’armadio e tirò fuori tutti gli abiti contenuti all’interno. Optò per quello rosso. I calzoni erano rosso scuro, mentre la tunica di un brillante rubino, gli orli dorati. Indossò un paio di stivaletti rosso scuro, quasi violaceo, che arrivavano dieci centimetri oltre la caviglia. Erano morbidi, vellutati all’interno. Lui era abituato a stivali da viaggio e con i quali poteva combattere; doveva ammettere che era un piacevole cambiamento. Rimise la Collana del Giuramento al collo, ma lasciò Lin dur dov’era, le due gemme della catena di Viola che riflettevano la luce che entrava dalla finestra. Ritornò al salotto circa mezz’ora dopo che l’aveva lasciato. Nel vederlo, Elisar diventò livido, mentre Elénaril ridacchiò.

«È curioso che tu abbia scelto proprio quell’abito, tra tutti i vecchi vestiti di Elisar che ti abbiamo fatto mettere a disposizione.»

«Non sapevo avessi fatto mettere pure quello.» disse a denti stretti l’uomo.

«Mi è dato sapere il perché?»

«È quello che indossava quando mi ha donato la sua Collana.» sorrise la donna.

Siirist ne fu colpito e non aggiunse altro mentre si accomodava su un divano. Ilyrana si schiarì la voce prima di parlare, visibilmente imbarazzato. Il mezz’elfo si stava divertendo come un matto.

«Vogliamo sapere tutto. Che cosa hai fatto dopo che si sono perse le tue tracce, dove sei stato, dove si trova ora Vulcano e perché tutta questa segretezza?»

Prima di rispondere, Ryfon si guardò intorno incerto.

«Quello che sto per dirvi è della massima segretezza. Potremmo andare in un posto più privato?»

«I miei servitori sono legati a me, tutto quello che dirai non lascerà questo palazzo, nemmeno se fosse re Aesar in persona a esigere di dirgli che cosa hanno sentito.» lo assicurò il padrone di casa.

Il mezz’elfo decise di fidarsi e incominciò a raccontare. Disse loro cosa era veramente significato essere stato morso dall’alato che aveva invaso la Rocca, disse loro dello stato draconiano e dell’Ambizione. Raccontò del suo allenamento con la Volpe Grigia e della sua fame crescente, motivo per cui aveva deciso di andare a Hellgrind. Spiegò come lì si fosse allenato a controllare la sua indole demoniaca (pensò bene di evitare di menzionare l’harem) e avesse imparato tutte le tecniche dei demoni. Disse loro della sua conoscenza assoluta dei sette grimori con cui era partito da Vroengard e di come avesse migliorato alcuni incantesimi. Entrò nel dettaglio riguardo a Oblivion e di come avesse messo sotto sigillo sette Esper (decise di omettere anche il modo in cui aveva conquistato Sharok), rivelando di aver trovato Ilirea e la formula dell’Adamantio, sulla quale Hans e Bhyrindaar stavano al momento lavorando, mentre lui doveva pensare a trovare il grimorio di Eleril e imparare i suoi segreti, soprattutto come controllare lo stato draconiano. Per finire aggiunse la ciliegina sulla torta del tesoro della città perduta, e quello gli sembrò aumentare la stima che Elisar provava per lui. Ma ancora una cosa non convinceva i due, per quanto era palese che avessero molto da digerire.

«Perché rimani ancora nascosto? Perché non ti fai sentire da Alea?» chiese quasi disperata Elénaril.

«Non posso ancora tornare alla Rocca. Se dicessi ai Cavalieri che devo studiare il grimorio di Eleril, capirebbero e mi lascerebbero fare, ma una volta finito, vorrebbero che ritornassi al mio posto. C’è qualcosa che non vi ho detto a proposito di Oblivion, cioè che Siiryll è ancora sotto sigillo. Suppongo sappiate che l’unico ad aver messo sotto sigillo la fenice di Soho fu un angelo in seguito alla Grande Guerra e questo angelo è il capo della Setta dello Scorpione. Un’altra cosa che ho appreso in Oblivion è stato il mio vero nome. Per ovvie ragioni non ve lo dirò, ma è qualcosa che mi porta a credere che l’unico modo per sconfiggere la Setta dello Scorpione sia andare ancora per la mia strada. C’è una leggenda a Hellgrind che dice che un giorno verrà colui che è legato a tutte le razze e le riunirà. L’Imperatore Raizen mi ha detto che è mio compito andare dai nani e fare tutto ciò che sia in mio potere per farli ritornare in superficie, perché questo sarebbe realizzare la profezia.»

«E il Consiglio si rifiuterebbe di credere ad una leggenda dei demoni.» concluse Elisar.

Siirist annuì.

«Per quanto la tua storia mi possa sembrare fuori dal mondo, non mi sognerei mai contraddire l’uomo capace di porre sotto sigillo sette Esper. Per tutto il tempo che dovrai passare a Imladris, la mia casa sarà aperta per te, ti aiuteremo a mantenere la tua presenza qui un segreto. Ma ancora non ci hai detto perché non contatti Alea.»

«Perché se la sentissi niente mi impedirebbe di abbandonare tutto e volare da lei. E al momento ci sono questioni più importanti in ballo.»

Entrambi i nobili sorrisero, Elénaril aveva le lacrime agli occhi.

«Ti chiedo scusa per aver pensato che non fossi cambiato, sei molto maturato, invece.» disse Elisar.

«Vi ringrazio.» rispose Siirist, rivolgendosi a lui per la prima volta con tono rispettoso.

«Vai a prendere il tuo drago adesso, è strano vedere un Cavaliere senza la sua altra metà.»

«Chiedo scusa per l’interruzione, nobile Elisar, ma c’è un uomo alla porta che insiste di entrare.» arrivò un servitore.

«Di chi si tratta?»

«L’assistente di Bhyrindaar. Dice di avere importanti questioni di cui parlare con il Cavaliere d’Inferno.»

«Non sapevo gli avessi detto che saresti venuto qui.»

«Non l’ho fatto. Avrà tirato a indovinare.»

«Potrebbe avere a che fare con la formula dell’Adamantio. Fallo accomodare e prepara del tè.» ordinò Ilyrana.

«Come desiderate.»

Un minuto dopo Hans scese le scale di corsa, il fiatone che gli dava problemi a parlare.

«Eccoti, finalmente! Sono stato a cercarti per tutta la città. Per fortuna mi sono ricordato che tieni al collo la Collana del Giuramento di Alea Ilyrana, perciò ho pensato di venire a cercarti qui.»

«E hai pensato anche di dire che dovevi parlarmi, vero? Se non fossi stato qui mi avresti solo sputtanato.»

«Sapevo che eri qui, ho percepito la tua energia magica davanti alla porta d’ingresso.»

«Sei bravo!»

«E i Cavalieri lo sono anche di più. Se non vuoi che ti scoprano, ti conviene andare ad eliminarla.»

«Dimmi che avete scoperto sull’Adamantio.» tagliò corto, già immaginandosi i cazziatoni di Glarald.

Il servitore entrò con il tè e appoggiò le tazze sul tavolino, per subito riempirle. Elisar fece cenno al fabbro di accomodarsi, ma non pensò di interrompere la conversazione. Hans felicemente si bagnò la gola con la bevanda calda.

«È sì formato da Cristallo e mithril, e ciò che lega i due insieme è un osso di drago.»

Siirist sgranò gli occhi per la sorpresa, così come fecero i due Ilyrana che, chiaramente, comprendevano la lingua degli umani.

‹Che cosa?!› pure Rorix, in ascolto, rimase colpito.

Ma effettivamente aveva senso, Siirist aveva notato che all’interno delle lame trovate a Ilirea ci fosse una sostanza organica. E solo l’osso di un drago poteva rimanere integro per tutto quel tempo senza decomporsi.

«Questo spiega anche perché fossero così forti da tagliare le squame dei draghi. Bhyrindaar crede che sia possibile modificare la formula e utilizzare lo Hellsteel, ma è necessario che sia presente anche un fabbro demoniaco per lavorarlo.»

«Non sarà un problema.»

«E chiaramente sono necessarie le ossa di un drago. Non cominciamo da un alato, non vogliamo sprecarle durante i nostri esperimenti.»

‹Ehi, ehi, volete prendere le ossa di un drago alato? Siamo matti?!› si oppose Rorix.

Siirist diede voce alle proteste del suo compagno mentale.

«So che può sembrare assurdo, ma Bhyrindaar pensa che usare le ossa di un Inferno e unirle al sangue di Rorix possa rendere le armi più forti se legate a te. Il cimitero degli Inferno si trova nella Piana della Bonaccia, potreste andare lì a prendere delle ossa.»

«Come se i draghi ce lo lascerebbero fare!»

«Sì, questa parte potrebbe essere un po’ più problematica.» ammise Hans.

‹Se si tratta di un drago morto allora va bene, temevo voleste ucciderne uno!›

‹Ti va bene? Qui si vuole usare il tuo sangue!› gli fece notare il Cavaliere.

‹Pensaci bene, io sono il tuo drago. Se le tue armi fossero forgiate con le mie ossa, avreste un legame insuperabile. Poiché, per ovvie ragioni, non possiamo usare le mie ossa, useremo quelle di un altro Inferno e le intingeremo con il mio sangue così da renderle le “mie” ossa.›

‹Capisco la logica, ma resta il problema di andare nella terra sacra degli Inferno e trafugare i loro antichi cadaveri.›

Hans si fece scappare una risatina nervosa. A Siirist non piaceva, l’aveva sentita fin troppe volte a Skingrad e sapeva che non precedeva mai niente di buono.

«E ci sarebbe un’altra cosa riguardante le ossa di Inferno... Bhyrindaar vuole quelle di un drago in particolare.»

«Pure?!»

«Tyron, dico bene?» disse Elisar, con un perfetto accento, qualcosa di inaspettato, considerando il suo disprezzo per gli umani e che Alea aveva un forte accento elfico quando parlava nella lingua degli umani.

Hans annuì. Certo, aveva senso.

«E quanto dello scheletro di Tyron vi serve?» chiese preoccupato Siirist, temendo di sapere la risposta.

«Parecchio. Per tre spade, un’armatura e qualche altra arma, gliene serve parecchio. È bene portarglielo tutto, così che possa scegliere le ossa più adatte.»

«Immaginavo.» sospirò preoccupato il Cavaliere.

«Intanto pensiamo al drago terrestre e al fabbro demoniaco.»

«Il fabbro posso portarlo qui anche subito, volendo. No, ritiro ciò che ho detto. Potrei andare a Hellgrind subito, ma non so quanto ci metterei a convincerlo a venire qui. È testardo, il tipo.»

«Chi è?»

«Si chiama Totosai, è il miglior fabbro in tutta Hellgrind e lavora esclusivamente per la corte imperiale. All’apparenza può sembrare stupido e incapace, ma fidatevi, i suoi lavori sono i migliori.»

«Se può servire del tempo per portarlo qui, è meglio che prima ti procuri le ossa di un drago terrestre.»

«E dove le dovrei prendere, sentiamo?»

«I draghi terrestri sono comuni in certe zone di Tamriel. So di uno che ha fatto la sua tana a Dalmasca, nell’estremo ovest, non molto distante dal confine con la Yaara Taure. Ma cambia vestiti, non ti perdonerò mai se rovini quelli che hai addosso ora.» comunicò Elisar.

«Ottimo, allora è deciso.» esclamò soddisfatto Hans, finendo il suo tè.

‹Da Cavaliere dei draghi a cacciatore di draghi.› scosse la testa preoccupato Siirist.

‹Se è niente come un drago marino, sarà dura, per quanto anche quelli non si avvicinano nemmeno lontanamente alla mia maestosità.›

‹Sei il solito arrogante. Poi dicono a me.›

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola LA TOMBA DEL CAVALIERE. Rorix combatterà un drago terrestre e Siirist andrà finalmente alla luogo di riposo del suo antenato, dove troverà qualcosa di inaspettato.

Ritorna all'indice


Capitolo 60
*** LA TOMBA DEL CAVALIERE ***


LA TOMBA DEL CAVALIERE

 

Siirist si dislocò nella grotta doveva aveva lasciato i suoi compagni di viaggio dopo aver recuperato Lin dur e essersi cambiato i vestiti. Rorix aveva già pensato bene di informare Glarald e Vadraael degli sviluppi a villa Ilyrana. Per quanto preoccupati, questi erano d’accordo con il piano.

«Verrete con noi?»

«No, dovrai affrontare da solo questo drago terrestre. Ma possiamo aiutarti per quanto riguarda Totosai. Se ci riporti a Hellgrind ora, potremmo incominciare a convincerlo a venire qui.»

«E io potrei approfittare per prendere le katana che ho lasciato a palazzo.»

Così Siirist rilocò tutti e quattro nella caverna che i due corrotti avevano usato come casa per diversi anni e da lì aprì un occhio mentale con il quale analizzò la sala del trono. Vedendo un punto libero, spostò se stesso e gli altri tre lì. I gridi di sorpresa di tutti i presenti riempirono la sala. Kenpachi già aveva sguainato una spada ed era pronto a combattere, un sorriso maniacale che gli deturpava il viso, l’occhio dorato che indicava l’inizio della sua trasformazione.

«Non ora, maestro. Schiacciamento.» mormorò ancora in stato di calma assoluta.

Il licantropo si ritrovò inchiodato al pavimento da una gravità cento volte più forte. Cercò di rialzarsi, e ci stava anche riuscendo, ma Siirist incrementò la pressione a mille volte, e il demone dovette desistere.

«Ben tornati, non mi aspettavo di rivedervi così presto.» esclamò felice Raizen.

«Nonno, ho alcune questioni da discutere con voi.» rispose il mezzo demone, uscendo dallo stato di calma assoluta.

«D’accordo. Andiamo per una passeggiata.»

Ryfon si affiancò al possente alato ed insieme abbandonarono la sala del trono. Il mezzo demone raccontò di cosa gli era successo, della cattura degli Esper, del modo curioso in cui Fenrir aveva subito accettato di farsi mettere sotto sigillo, del suo vero nome e di Azrael.

«È quello che temevate anche voi, vero?»

L’Imperatore annuì serio, i suoi occhi che parevano quelli di un cielo in tempesta. Era preoccupato e pensieroso. Per quanto potente, anche il discendente di Obras si sentiva in pericolo al pensiero di un angelo con indosso l’Armatura di Luce e armato della Spada. Senza contare che aveva a sua disposizione Siiryll.

«A proposito del mio vero nome, il Salvatore dei sette. Che cosa credete significhi?»

«Quando apparve Eleril, il quale era il sesto dei Cavalieri d’Inferno, io credetti che fosse lui il predestinato della profezia. Invece egli si limitò a far integrare completamente gli orchi nella società umana e visitò, il primo dopo la formazione dell’Ordine dei Cavalieri, il regno dei nani. Tronjheim è ancora chiusa al mondo esterno, ma è grazie ad Eleril che, almeno, Orzammar ha aperto le sue porte. Ignorò completamente i demoni. Per cinquemila anni, fino a questo momento, ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di strano, invece ora capisco che lui aveva portato perfettamente a compimento il suo ruolo: egli si era occupato di sei popoli, l’ultimo dei quali è quello degli angeli. Questo spiegherebbe come aveva fatto a creare quel suo incantesimo in grado di contrastare il fuoco nero.»

«Non capisco.»

«Nemmeno io. Queste non sono che le supposizioni di un vecchio, stanco demone, Siirist. Tutto ti si chiarirà quando avrai letto il grimorio di Eleril, ne sono certo. Fino ad allora, pensa che il tuo compito è anche quello di riportare pace agli angeli.»

«Ma non sono in guerra! Non sappiamo niente di loro da due ere!»

«Non avere pace non significa necessariamente essere in guerra, Siirist.»

Il mezzo demone meditò sulle parole del saggio alato.

«Visiterai il tuo harem?»

«Non ne ho veramente bisogno dopo Sharok, ma già che ci sono, non avrebbe senso non approfittarne. Rimarrò fino a domani mattina.»

«Ne saremmo tutti felici, in particolare Akira-kun e Tomoko-kun.»

«Grazie.»

 

Il giorno dopo, subito dopo una bella colazione preparata dalla bakeneko e dopo aver passato la notte nel suo harem, Siirist e Rorix ritornarono a Dalmasca, mentre Glarald rimase con Vadraael per cercare di convincere Totosai a collaborare con Bhyrindaar. Con le sue katana legate alla sella dell’Inferno, Siirist osservava dall’alto il grande deserto. Ci erano andati passando prima per il rifugio che il mezz’elfo aveva creato durante il viaggio con Glarald, dopodiché si erano rilocati nel cielo sopra di loro, avvolti da un incantesimo di invisibilità. Rorix volava verso ovest, il suo Cavaliere che teneva la sua coscienza il più possibile aperta, mentre nel suo stato di calma assoluta, per riuscire a trovare l’ubicazione esatta della loro preda. Dopo due ore di volo, Ryfon la trovò. Se dalle menti dei draghi marini aveva percepito una grande ferocia assieme ad un’acuta intelligenza, per quanto non sviluppata in razionalità come quella degli alati, il drago terrestre era ancora più sotto nella scala evolutiva. Esso non aveva nemmeno un barlume di intelligenza, tutto ciò che il mezz’elfo poté sentire era un ammasso di istinti famelici, una rabbia ed una impazienza come mai le aveva sentite. Rorix gli disse che era simile a come era lui quando si trasformava in draconiano, e ciò diede i brividi al Cavaliere.

Si trovavano a camminare in una zona che aveva ormai poco di sabbia, più che altro una landa rocciosa. Si intravedevano molte rocce di varie forme e dimensioni presenti sopra al terreno della stessa composizione, e, tramite la sua magia di terra, il mezz’elfo percepiva che sotto i suoi piedi erano presenti innumerevoli cunicoli. Dentro a uno di questi si trovava il drago. Pareva avesse percepito la loro presenza, in quanto si stava ritirando sempre più in profondità. Tentativo inutile. Siirist puntò in avanti la mano sinistra, il Flusso richiamato nel palmo e in ogni dito.

«Rivoluzione terrestre.»

La terra nell’area designata dal mago si sollevò e si girò su se stessa per poi depositarsi al lato che profondo cratere appena formato.

‹Vogliamo andare?›

‹Non trovo sia un’ottima idea andare dritti nella sua tana. Non puoi cercare di attirarlo qui?› obiettò Rorix.

‹Visto che non è Skimir, mostrare le gambe non servirebbe a molto.›

‹Solo se vuoi fartele mangiare.› ridacchiò l’Inferno, pensando al drago fucsia di Adeo.

Ryfon si avvicinò al cratere e alzò il braccio.

«Soffio glaciale.» disse liberando dal palmo un vento gelido che lasciò uno strato di brina sulle pareti di pietra.

Non ci volle molto prima che il drago terrestre uscisse dalla sua tana, fuggendo al freddo minore della superficie. Sbucò da un cunicolo una decina di metri più in basso di dove si trovavano drago alato e Cavaliere, e li guardò con occhi furiosi.

‹Adoro come siete a sangue freddo.›

Il drago terrestre era lungo sui novanta metri, con una coda quasi altrettanto lunga che terminava in una lama dalla forma di una testa di freccia. La testa era enorme, con fauci capaci di ingoiare due buoi interi, le zanne lunghe come spade, le scaglie color sabbia che riflettevano la luce del sole. Gli occhi erano due pozzi d’oro e brillavano di una luce famelica. Il dorso era spinato e le corte zampe erano ridicole se confrontate al resto del corpo: era come guardare un bassotto più pericoloso e incazzato. Si mosse con piccoli movimenti delle zampe posteriori, spostando la coda ad ogni ondulazione del bacino. Ringhiò mentre preparava il suo balzo e saltò fino al livello a cui si trovavano le sue, secondo lui, prede.

‹Niente Vuoto o fuoco nero contro un nemico che non voglio polverizzare e solo incantesimi perforanti avranno un vero effetto contro le sue scaglie.›

Ripensò agli Scorpioni affrontati a Zanarkand, come alcuni avevano facilmente trafitto alcuni dei draghi con i loro incantesimi. A quel tempo Siirist non era stato competente abbastanza da capire bene il livello dei nemici, ma, con il senno di poi, capì bene la loro potenza: riuscire a superare l’incredibile resistenza magica fornita dalle scaglie non era cosa da poco. Quelli erano stati tutti mistici specializzati nell’eliminazione dei draghi, dotati di amuleti incantati appositamente per superare le scaglie draconiche. Lui e Rorix erano stati molto fortunati a sopravvivere. Sorrise nel pensare che lui stesso era ora ben più forte di quanto lo erano stati quegli Scorpioni: a lui non servivano amuleti, solo il suo immenso potenziale magico. Mosse il braccio sinistro verso destra, portando la mano parallela al terreno, con l’indice ed il medio estesi; incanalò 20000 douriki attraverso ciascun dito e attorno ad esse si formò un’aura di luce dorata.

«Frusta dorata!»

Estese il braccio e in contemporanea un raggio di luce guizzò come un serpente verso la testa del mostro; questi evitò di essere decapitato grazie ad un balzo e a una fiammata. L’incantesimo di Ryfon si estinse, lasciandolo con un senso di fastidio e eccitazione.

‹Non così in fretta!›

Tentò ancora, e di nuovo il drago neutralizzò il suo attacco con un respiro infuocato; la terza Frusta dorata fu afferrata dalle poderose fauci e si spezzò con un suono simile a quello del vetro infranto. Il mezz’elfo stava per passare a metodi drastici quando fu fermato dal suo compagno mentale.

‹Se non ti dispiace, questa volta vorrei essere io quello a combattere da solo.›

‹Ma posso farcela benissimo! Non devo far altro che colpirlo e lo divido in due!›

‹Lo so, ma sono un drago alato, un Inferno: sento il bisogno di eliminare personalmente questo insulto al nome dei draghi.›

‹Come ti pare. Ma fai attenzione, è più grosso di te.› rispose in un sospiro, ritirandosi.

‹Ti prego di non insultarmi.› rispose in un ringhio selvaggio.

Rorix si ingrandì al massimo della sua stazza; con le quattro zampe forti contro il terreno, dilatò le ali e ruggì, la sua coda che sferzava l’aria. Il drago terrestre parve un minimo intimorito dalla presenza del suo “re”, ma consapevole della sua superiorità fisica, si fece avanti.

‹Patetico essere inferiore.› ringhiò l’Inferno.

Con un colpo d’ali, Rorix sfrecciò verso l’avversario, caricandolo con una testata; subito dopo aver inferto il colpo, portò indietro il busto e mosse la coda per frustare l’altro rettile. Ma questi gli azzannò la coda, negando l’attacco. Rorix ringhiò rabbioso nel sentire la carne perforata; le sue resistenti scaglie lo avevano salvato dal ritrovarsi senza un quarto di coda, ma anche esse potevano essere facilmente perforate dalle zanne di un altro drago, anche di uno inferiore come il terrestre. Si girò su se stesso e attaccò con un’artigliata e poi un morso, liberando in contemporanea il suo ardente respiro. Il drago terrestre fu costretto a lasciare la presa e balzò via, espirando lui stesso la sua fiammata, che venne facilmente negata dal fuoco rosso scuro dell’Inferno. I suoi occhi rubini risplendevano di una luce rabbiosa e eccitata; Siirist percepiva dal compagno mentale un mare di sensazioni del tutto nuove. Rorix mosse la coda, facendo piovere gocce di sangue che sciolsero la roccia dove atterrarono. Ryfon sorrise soddisfatto: le zanne di quel drago terrestre avrebbero costituito delle armi meravigliose. I due draghi si lanciarono in un terribile scontro fisico, scambiandosi testate, artigliate, colpi di coda, morsi e fiammate. Rorix non usava alcuna magia draconica, troppo incentrato nell’usare le basilari funzioni di un drago. Dopo appena due minuti era evidente che fosse in vantaggio. Il drago terrestre era più grande, ma l’essere un Inferno conferiva a Rorix una forza tale da metterlo più che alla pari con l’avversario, inoltre era preparato nelle tecniche draconiche sviluppate dall’Ordine e l’essere munito di ali lo rendeva più agile. Ma l’altro era una bestia feroce, un animale famelico che più veniva messo con le spalle al muro, più si faceva ostinato. Dimostrava una grande resistenza ed era stato in grado di prolungare lo scontro più di quanto il Cavaliere si fosse aspettato.

‹Teh, io l’avrei già messo al tappeto.› disse un po’ spazientito.

‹Se aggiungi solo un’altra parola ti strappo la testa.› rispose in un ruggito l’Inferno.

Siirist rimase un attimo interdetto nel sentire la risposta del compagno mentale, non avendo mai sentito una rabbia e una ferocia simili provenire da lui. Sorrise e scosse la testa, finalmente comprendendo appieno il desiderio dell’amico, e andò a sedersi con la schiena contro una roccia. Rorix piombò dall’alto sul terrestre, menando un’artigliata con la zampa mancina, ma il nemico la evitò e fece scattare le fauci, azzannando l’ala sinistra sul punto di legatura con la schiena. L’Inferno ruggì di dolore nel sentire il suo arto di volo venire quasi strappato via e si contorse per affondare le sue zanne nel cranio nemico. Finalmente questi collassò e il drago rubino gli cadde sopra.

‹Serve una mano?›

L’Inferno non rispose, semplicemente liberò un incantesimo dalle sue fauci che obbligò la bocca del defunto rettile ad aprirsi. Si allontanò, l’ala sinistra piegata in maniera innaturale.

‹Vieni, te la guarisco.›

‹Grazie.›

Quando Rorix fu rigenerato, Siirist si avvicinò all’imponente cadavere, pensando sul da farsi.

‹Dislocarlo a Rivendell è impensabile.›

‹Concordo, è troppo grande per farlo entrare nella bottega di Bhyrindaar. E farlo a pezzi non è una buona idea, credo sia meglio tenerlo intero per permettere a lui e Totosai di lavorarci al meglio.›

‹Hai ragione, non sappiamo quali siano le parti più adatte, potremmo finire con il separare ossa che vanno tenute insieme.›

‹E se lo riportassimo nella sua tana? Totosai, tanto, non può entrare a Rivendell, potremmo allestire una bottega sotto terra.›

Siirist soppesò le parole del drago alato, infine decise di rilocare il cadavere sotto terra e ritornare a Rivendell per consultare il fabbro elfico. Lo trovò a leggere alcuni appunti; Ryfon notò la meravigliosa grafia, piccola e nitida, evidentemente il frutto di secoli e secoli di incantamenti.

«Ah, ben tornato! E quale onore essere al cospetto del grande Inferno. Che le stelle vi proteggano, Vulcano. Queste devono essere le vostre spade demoniache, le vostre “katana”.» disse Bhyrindaar in un inchino, notando il drago appollaiato sulla testa del Cavaliere poi osservando le tre spade ricurve che il mezz’elfo teneva lungo il fodero nella mano sinistra.

«Sì, sono queste, ma non le ho dovute usare. Ci siamo procurati un drago terrestre di novanta metri. L’ho lasciato nella sua tana perché non trovavo un modo efficace di portarlo qui. Abbiamo pensato fosse comunque una buona idea trasferirsi lì per lavorare sull’Adamantio, in quanto il fabbro demoniaco non potrebbe entrare in città senza essere notato dalle guardie e da tutti i cittadini.»

«Sono d’accordo, anche se non posso dire di essere felice di lavorare sull’Adamantio in una fucina improvvisata.» rispose pensoso.

‹Ah! E Totosai! Conoscendolo sarà impossibile a convincerlo a lavorare in condizioni simili!›

‹Non che la sua fucina sia tanto diversa, è sempre sotto terra. Però è fuori di testa, quindi chi sa che gli salterà in mente?› concordò Siirist.

E gli balenò in mente un’idea.

«E se voi e Hans andaste a Hellgrind? Sono certo che Raizen non avrà problemi e vi assicuro che non c’è niente di strano.»

«Andare a Hellgrind? Ammetto che non è qualcosa che avrei mai pensato di fare, sono vecchio io e, purtroppo, ho molti preconcetti contro i demoni. Ma sto pur sempre per collaborare con uno, perciò ritengo che conoscerli meglio possa solo giovare al lavoro. D’accordo, se l’Imperatore Raizen non ha problemi ad accogliere me e Hans nel suo palazzo, andremo a Hellgrind.»

Siirist annuì e si concentrò sull’anello d’argento intarsiato che teneva sul mignolo destro che gli era stato donato da Glarald.

Come va con Totosai?› chiese all’elfo oscuro.

Va sorprendentemente bene. È estasiato all’idea di lavorare su un nuovo materiale e il pensare di forgiare armi con ossa di drago lo sta caricando molto. Ma non vuole lasciare la sua fucina.

Fa niente, anzi meglio, perché Bhyrindaar e Hans verranno lì. Ho bisogno che informi Raizen di questa cosa.

Va bene.

La comunicazione telepatica fu chiusa e Siirist sospirò: comunicare a distanza era complesso e faticoso. D’un tratto divenne più consapevole della Collana del Giuramento che teneva al collo e gli venne voglia di contattare Alea. Si trattenne, dicendosi che mancava ormai poco.

«Glarald sta parlando con Raizen, ma sono sicuro che non ci saranno problemi. Sarebbe bene che voi e Hans prepariate da subito i vostri bagagli, perché non c’è da perdere tempo.»

Bhyrindaar lo guardò con uno sguardo curioso e sospettoso.

«Glarald?»

«Ah, giusto, non ve ne ho parlato. È un elfo oscuro che ha riacquistato il suo senno, un Cavaliere addirittura. L’ho conosciuto a Kami no seki, è legato a me per via dei nostri veri nomi. Mi ha aiutato molto nei miei studi durante la mia permanenza a Hellgrind.»

La bocca dell’altmer si serrò e posò il suo sguardo su Lin dur al fianco destro del mezz’elfo.

«Il destino ha uno strano senso dell’umorismo.» disse voltandosi e scomparendo nel retrobottega.

Siirist aggrottò la fronte, non capendo cosa fosse appena successo, e solo il suo grande rispetto per il fabbro lo trattenne dal sondargli la mente e avere la risposta ai suoi dubbi. Scrollò le spalle e, con il consenso del fabbro che gli disse le avrebbe messe in uno dei suoi bagagli, lasciò le katana nel retrobottega. Uscì dal negozio e si diresse alla residenza Ilyrana. Si sedette nel salotto ed un servitore gli portò un bicchiere di nettarina. Siirist osservò la versione analcolica della mielassa, ripensando a quanto la sua amata la adorasse. Ma per lui era troppo dolce, perciò chiese del sale e del limone. Dopo una spruzzata del liquido acido e un pizzico di sale, il mezz’elfo bevve soddisfatto.

‹Ho fame.› disse Rorix.

‹Non sei l’unico. È quasi ora di cena e non abbiamo pranzato.›

‹E io ho combattuto.›

‹Avresti potuto lasciare fare a me.›

‹Da quando sei diventato così abile con la magia, sei diventato arrogante. Non sei invincibile, lo sai?› disse spazientito, ma il suo era più un tono preoccupato che uno arrabbiato.

«Ben tornato! Hai avuto problemi con il drago? Ah, Vulcano, che piacere vederti!» disse Elénaril entrando nella sala.

Aveva cambiato vestiti e ora indossava un lungo abito di seta dorato con ricami verdi che mostravano motivi floreali. Era indubbiamente una donna splendida, degna di essere la madre di Alea. I suoi capelli erano dello stesso colore di quelli della figlia, ma gli occhi erano azzurri, del colore della gemma che adornava la collana di oro verde che teneva al collo. E sotto di essa ve ne era una più piccola, un laccio di cuoio con un cilindro di argento intarsiato, al centro del quale si trovava un piccolo smeraldo, identico a quello che aveva Siirist al collo; Alea aveva ripreso gli occhi dal padre.

«Grazie. No, nemmeno ho fatto niente, a dir la verità, ci ha pensato Vulcano. Ma che eleganza, è un’occasione speciale?»

«In verità sì. Tra due ore torna Alea, a cui sono stati concessi due giorni di licenza, e ceneremo insieme. Sei un ospite più che gradito, ma immagino tu preferisca non rimanere. Se decidi di andare via, io e Elisar manterremo il tuo segreto come promesso. Ma ti prego, resta, la faresti realmente felice. E non credere che sarà facile per noi mentirle se dovesse menzionarti.»

Siirist sgranò gli occhi, senza parole. Per qualche secondo si dimenticò pure di respirare. Non poteva crederci. Se fosse rimasto lì, a breve avrebbe potuto rivedere Alea. E non dopo qualche anno, ma in due ore!

‹Dai, restiamo a cena, che ti costa?›

Stava per rispondere quando sentì la coscienza di Glarald raggiungerlo tramite l’anello al mignolo.

Raizen sarebbe felice di accogliere il famoso Bhyrindaar e Totosai sta già allestendo la sua grotta per riceverlo. Se sono pronti, puoi anche portarli qui subito.

D’accordo. Verrò appena sono pronti e mi porto anche il grimorio di Eleril.

Espirò a occhi chiusi, combattendo contro tutti i suoi desideri.

«Mi dispiace, ma ogni secondo è prezioso. Devo andare a prendere il grimorio di Eleril e poi portare Bhyrindaar e Hans a Hellgrind, dove cominceranno a lavorare sull’Adamantio. Mi spezza il cuore, ma non posso distrarmi. Giuro che quando questa guerra con la Setta sarà conclusa non lascerò più Alea sola, ma ora ci sono cose più importanti in ballo.»

La altmer sospirò.

«Temevo avresti risposto così. Va bene, come desideri. Capisco anche che vedervi per qualche ora e poi non vedervi per chi sa quanto tempo ancora possa essere difficile, per cui non diremo niente.»

«Invece no, ditele che sono stato qui perché ho un messaggio importante che voglio le passiate: Siiryll mi ha detto che le Reliquie saranno riunite, è inevitabile, per cui sia lei che Gilia non devono fare gli eroi e farsi ammazzare per proteggere la Corazza.»

«Non c’è altro che vuoi le diciamo?»

«La amo e mi manca da morire. Appena la vedo non la lascerò in pace e la terrò chiusa in camera da letto per giorni.» rispose senza nemmeno rendersi conto delle sue parole.

Sbiancò nel realizzare cosa avesse detto alla madre della donna interessata.

«Che cosa vorresti fare a mia figlia, insulso depravato?!»

Magnifico, e pure il padre aveva sentito.

«Avanti, Elisar, non è che sia una sorpresa! Ricordi quando Aulauthar ce lo disse?»

«Come no! Volevo andare a Vroengard a uccidere questo bastardo!» rispose a denti stretti.

Ah! Aulauthar! Maledetto! Siirist ricordava che il giorno dopo lui e Alea avevano fatto sesso la prima volta (“fare l’amore” l’aveva chiamato lei), il Cavaliere d’argento aveva detto di volerlo dire agli Ilyrana, e l’aveva fatto sul serio! Dannato! Bastardo! Stronzo! Che il suo corpo si potesse riempire di piaghe e gli venisse una diarrea cronica che lo avrebbe costretto al bagno per una settimana intera! Rorix rise nel sentire le maledizioni lanciate dal suo Cavaliere.

Ilyrana si avvicinò al mezz’elfo e gli mise una mano sulla spalla. I loro sguardi si incrociarono e Siirist vide che l’altmer era ora serio. Pure lui era vestito elegantemente, con una tunica di seta argentata e bianca, e diversi gioielli, i suoi lunghi capelli biondo scuro agghindati in una elaborata acconciatura che lasciava il suo viso completamente libero.

«Fai in fretta quello che devi fare, Alea ha bisogno di te.»

«E io di lei. Vedrete che la renderò felice. Ora potreste gentilmente mostrarmi dove si trova la tomba di Eleril?»

«Nell’antico palazzo dei Ryfon, ti accompagno.»

«Esiste ancora? Ma immagino che stia cadendo a pezzi, ormai. Quasi, quasi lo faccio restaurare, di certo i soldi non mi mancano ora.» ridacchiò.

«Sarei più che felice di rivedere il ritorno dei Ryfon.» disse Elisar.

Siirist sorrise, ripensando a quanto l’anziano elfo avesse dimostrato di odiare la sua famiglia. Il nobile accompagnò il mezz’elfo fuori dalla sua residenza, ed insieme percorsero la strada che scendeva dalla sommità della collina, con il Cavaliere che mascherava la sua presenza, il cappuccio del mantello alzato a coprirgli il viso e il drago nascosto dietro alla nuca.

«Mi fa un effetto vedere come entri perfettamente nei miei vecchi vestiti. Prima la tunica rossa, ora  questi.»

Siirist si guardò, dalla punta degli stivali di cuoio conciato e magicamente indurito, ai calzoni neri, la tunica grigio scuro e il mantello nero con l’interno di soffice lana che nascondeva Lin dur. Alzò una mano, guardandosi il palmo coperto di cuoio marrone scuro. Era vero, tutto gli calzava a pennello senza nemmeno il bisogno di modificare niente con la magia. Scesero la strada e raggiunsero quella principale che collegava le due colline del quartiere ricco: sulla prima erano costruite sedici ville, sulla seconda ve ne erano sette, incluso il palazzo del principe.

«Attenzione, Cavalieri.»

Ma Siirist non aveva avuto bisogno dell’avviso del padre di Alea, e aveva abbassato la testa.

«Nobile Elisar, cosa fate fuori con questo freddo? E chi è costui?»

Ryfon ringhiò mentalmente: aveva sperato di poter essere scambiato per un servitore, ma evidentemente la ricchezza dei suoi vestiti era apparente. Non conosceva nessuno dei due Cavalieri che avevano di fronte, ma senza dubbio loro avrebbero riconosciuto lui, e i draghi avrebbero sentito l’odore di Rorix. Siirist guardò di sfuggita i due umani che li avevano fermati e i loro rettili verde e azzurro. Gli umani avevano uno un’ascia e uno una daga ad accompagnare le loro spade e uno teneva uno scudo legato alla schiena, mentre l’altro aveva un arco con la faretra colma di frecce. Indossavano le loro armature, il Cristallo rivestito d’argento in tinta con i colori dei draghi, le visiere degli elmi alzati in forma di cortesia per parlare con uno dei principali esponenti della città.

«Un mio parente che è appena arrivato in città.» rispose prontamente Ilyrana.

«Ho saputo che vostra figlia verrà più tardi, spero vada tutto bene ad Arcadia.» disse uno dei due, il tono preoccupato.

«Almeno lì hanno Alea e Gilia! E pensare che Siirist dovrebbe essere uno dei nostri, invece è finito chi sa dove.» aggiunse l’altro.

Erano della sesta brigata. Il drago azzurro si avvicinò a Ryfon, annusando l’aria. Il suo Cavaliere concentrò l’attenzione sul biondo: il drago doveva avergli detto qualcosa.

«Chiedo scusa, potreste gentilmente abbassare il cappuccio e mostrare il vostro viso? Non ho afferrato il vostro nome.» disse.

‹Questa è tutta colpa tua!› si arrabbiò Siirist.

‹Perché, scusa?!› protestò Rorix.

‹Quel drago ti ha fiutato! Il mio odore è totalmente elfico, non sono io quello sospetto!›

«Voi due, che state facendo lì? Muovetevi, avete una ronda da completare!» disse la insolitamente non fastidiosa voce di Adeo.

I due Cavalieri sconosciuti si voltarono e guardarono il loro superiore. Uno cercò di protestare, ma il Cavaliere dal drago fucsia non volle sentire ragioni e ordinò loro di muoversi. Prima di scomparire dalla vista, drago azzurro e Cavaliere osservarono Siirist un’ultima volta con sguardo sospettoso. Siirist guardò Adeo, la testa alzata a sufficienza per vedere senza mostrare troppo il suo volto. Da quanto era lì? I suoi sensi erano stati all’erta da quando aveva lasciato la residenza degli Ilyrana, eppure non aveva minimamente percepito l’arrivo dell’altro Cavaliere. Era come se si fosse materializzato in un istante. No, non era assolutamente in grado di eseguire una dislocazione, sia per mancanza di conoscenza che di potere, senza contare che non percepiva alcuna magia attorno a lui. Allora ripensò a quello che gli aveva detto Hans, che il suo residuo magico era facilmente percepibile in tutti i posti in cui era stato a Rivendell. Eppure nessun Cavaliere era venuto a controllare. Ed era strano come solo uno dei draghi si fosse accorto di Rorix, e nemmeno ne era stato tanto certo. E ancora, quando era arrivato Adeo? E come? Il Cavaliere era vestito al suo solito modo eccentrico, con il suo mantello di seta bianco ricoperto da pizzi rosa, il suo grande boa fucsia attorno al collo che gli scendeva lungo la schiena. Sotto, almeno, era vestito in maniera decente, con una pesante tunica di lana grigio scuro, anche se i calzoni bianchi erano un pugno nell’occhio, per quanto fossero secondari rispetto al mantello e al boa. Ryfon era contento fosse inverno, altrimenti si sarebbe subìto una delle magliettine indecorose che l’altro Cavaliere amava tanto indossare. Per quanto non avesse l’armatura, pure Adeo era armato con la sua spada. Si avvicinò, il trucco azzurro sugli occhi e il leggero rossetto rosa sulle labbra lo rendevano inguardabile per il Cavaliere d’Inferno che represse un conato di vomito.

‹Ehi, invece di fare il solito, osserva bene quel trucco, non è normale. Non ti sembra che emani dell’energia?› disse Rorix.

Siirist ci fece caso e notò lo stesso. Sì, nella parte del grimorio di Adeo che spiegava l’alchimia, aveva letto di alcune pozioni che si potevano applicare sul corpo.

«Perdonate il disturbo, nobile Elisar. Continuate pure per la vostra strada, non sarete più interrotto. Buona serata.»

 

Adeo guardò Elisar e Siirist allontanarsi e abbassò lo sguardo sulla fiala ormai vuota che teneva nella destra guantata.

‹Questa è una sorpresa.›

‹Sokor ha quasi notato la presenza di Rorix, dovresti rivedere la formula della tua pozione.› concordò Skimir nella sua tenera voce.

‹Sia lui che Noster sono migliorati molto negli ultimi tempi, dovrei parlare con il capitano per farli promuovere.›

‹Finalmente Siirist sta andando al palazzo dei Ryfon.›

‹Sì, sono stanco di offuscare la sua presenza, non vedo l’ora che se ne vadano lui e Rorix.› disse con uno sbadiglio, riponendo la fiala in una delle tasche interne del suo mantello.

 

La cima della collina era completamente piatta e lì sorgeva il palazzo del principe di Rivendell. Elisar accompagnò Siirist lungo una strada che portava ad un lato del colle e raggiunsero i miseri resti di un muro di pietra bianca con venature rosso scuro e rosso brillante. Una delle colonne che avevano un tempo sostenuto il cancello era ancora in piedi, e in cima ad essa vi era un leone alato rampante di marmo rosso, miracolosamente rimasto integro anche dopo tutti quegli anni.

«Un tempo era una reggia maestosa, seconda solo al palazzo reale. Purtroppo ora tutto ciò che era sopra terra è un ammasso di macerie e la zona interrata è quasi del tutto collassata.» spiegò Elisar.

«Più che farla restaurare, dovrei farla ricostruire.» disse insicuro il legittimo proprietario di quel rudere.

«La tomba di Eleril è da questa parte.»

Ilyrana condusse l’ultimo Ryfon oltre ciò che un tempo doveva essere stato un giardino splendido, mentre ora era solo un luogo lasciato alla natura. Nel lato della collina si apriva una porta di metallo con incise diverse rune elfiche, con a sinistra una colonna con in cima un drago rampante che aveva perso ali e testa. Della colonna di destra erano rimaste solo macerie

‹Spero di non finire così anche io contro Azrael.› disse scherzoso Rorix.

Ma la voce aveva anche un che di serio. Siirist cercò di aprire la porta, ma non ne voleva sapere di muoversi. Stava per dare sfogo al suo fastidio e cancellarla con il Vuoto quando fu come colpito da una scossa elettrica e, tutto d’un tratto, sapeva come fare. Appoggiò la mano destra nuda ad un cerchio al centro della porta; il Cerchio d’argento vi entrò in risonanza e si illuminò, facendo risplendere tutti gli incantamenti e facendo scattare i meccanismi di apertura.

«Bene. Io ora torno a casa ad aspettare Alea. Tu fai quello che devi fare. Sei più che bene accetto se decidi di restare per cena, ma non insisterò oltre.»

«Grazie.»

Siirist e Rorix entrarono nella porta che si richiuse alle loro spalle. Si trovavano in una stanza circolare che si illuminò in un istante. Al centro di essa vi era un rialzamento con sopra un sarcofago di marmo bianco. Dietro ad esso vi era un’armatura rosso rubino sopra ad un manichino, due spade nei loro foderi, una lancia ed un arco appesi alla parete, accanto ad una mensola che reggeva diversi liberi divisi in due gruppi: uno di sei e l’altro di quindici. Siirist li guardò con occhi sgranati.

‹I cinque grimori veri dei precedenti Cavalieri d’Inferno e tutti i grimori di Eleril!›

Prese l’ultimo dei primi sei grimori, il vero di Eleril, e lo aprì. Non gli interessavano gli altri, quelli che riportavano i suoi appunti, le sue impressioni sui suoi studi, le sue analisi: voleva i fatti completi. Lo aprì e sentì un brivido lungo la schiena mentre il coperchio del sarcofago volò via. Siirist lanciò un urlo di meraviglia e terrore, più quest’ultimo, che lo fece sembrare una ragazzina. Era simile a quelli che ricordava era stato solito lanciare Hermeppo. Anche Rorix lanciò mentalmente un urlo, mentre un ruggito di sorpresa uscì dalla sua bocca, ma tutta la paura svanì dalla sua mente, impegnato com’era a deridere il suo Cavaliere. Da dentro il sarcofago si sentì uno sbadiglio e Eleril si mise a sedere, stropicciandosi l’occhio destro, l’unico che aveva. Guardò verso destra, in direzione dei due che lo avevano svegliato, la bocca impastata. Lo sguardo di Siirist era attratto dall’orbita vuota, e non si accorse della pelle che si stava ricostruendo. Il non-morto guardò verso Rorix e annuì, per poi fissare il mezz’elfo che aveva un’espressione di terrore in volto. Sorrise in maniera sadica e scoppiò a ridere.

«Haha, dovresti vedere che faccia hai! Speravo proprio di fare questo effetto su di te!»

Si interruppe in preda alla tosse. Siirist si riprese di colpo e si infuriò.

«Che cosa?!»

«Ah, i miei polmoni non si sono ancora rigenerati del tutto... In ogni caso, piacere, settimo Cavaliere d’Inferno, io sono il Cavaliere d’alba Eleril.»

«Come accidenti fai ad essere vivo?!»

«Lo sono fino ad un certo punto, e solo fino a che rimango in questa tomba. Ho predisposto un incantesimo che mi riportasse in vita quando il mio successore fosse giunto, anche se non mi sento completamente in forze, strano... Va beh. – scosse la testa. – È per aiutarti a studiare il mio grimorio che può essere molto difficile. Lo stato draconiano e il mio elemento Alba non sono da sottovalutare. Come ti chiami? Quanto tempo è passato? A che elemento sei affine? E che cosa sei? Hai un aspetto a metà tra l’umano e l’elfico. Che, sei un sangue misto? Devono essere cambiate molte cose, ai miei tempi un elfo non si sarebbe mai unito ad un umano. A meno che il tuo genitore umano sia un Cavaliere, certo, questo spiegherebbe tutto, se no un’unione simile non avrebbe molto senso.»

«Parli molto per essere uno che non ha i polmoni ancora completamente rigenerati...» rispose Siirist con voce piatta.

«Nah, ora sono a posto. Però ho la gola secca... Dammi dell’acqua.»

«Non ce l’ho!»

«Allora creala. Ne sei in grado, spero?» chiese con tono serio.

Siirist generò una bolla d’acqua nella destra e la lanciò contro l’elfo risorto, infradiciandolo.

«Ehi!»

L’occhio sinistro, appena riformatosi, spinse l’acqua fuori dall’orbita. Eleril si gratto la testa pelata.

«Hai un bel caratterino... Immagino tu sia affine al fuoco.»

«Prima mi spaventi a morte e ci ridi sopra, poi ti metti a darmi ordini in quella maniera con aria superiore. Puoi anche morire (di nuovo) per quel che mi riguarda.»

Eleril rise e si dissetò con un incantesimo che generò dell’acqua fresca nelle mani messe a coppa.

«Scusa, hai ragione. Dimmi tutto. Per favore.»

«Sono passati cinquemila anni dalla tua morte e la guerra con i demoni è terminata con un trattato di pace desiderato dall’Imperatore Raizen.» disse dopo un sospiro ad occhi chiusi.

«Sì, me lo ricordo, ci ho combattuto. Era forte, non mi sorprende che sia diventato Imperatore. Senza l’elemento Alba non me la sarei mai cavata. Sono felice che ora il mondo sia in pace.»

Siirist deglutì, fissando con ancora un po’ di timore e incertezza quella sorta di zombie. La negromanzia era una branca proibita della magia organica, qualcosa che creava esseri incapaci di pensiero. No, quel risorto non aveva niente a che vedere con ciò che il mezz’elfo aveva letto sulla negromanzia. Si avvicinò al sarcofago a piccoli passi, la pelle d’oca che gli ricopriva tutto il corpo. Si sedette sul bordo della grande bara di pietra, torcendo il busto per guardare in faccia il suo antenato. Trasse un profondo respiro per calmare i nervi ed affrontare la conversazione in maniera consona al suo ruolo di Cavaliere d’Inferno.

«Non esattamente, ora ti spiego. Ma prima è il caso mi presenti: mi chiamo Siirist Ryfon. I miei genitori non sono né elfi né Cavalieri, ma discendo da te, questo è chiaro.»

«Come...?»

«Tuo nipote si innamorò di una umana e usò un incantesimo per abbandonare la sua lunga vita elfica, mandando la casata Ryfon in rovina. Una delle tante conseguenze di ciò è la presa di potere dei Kelvhan di Ellesmera, che sono ora la famiglia reale della Foresta Antica. Il mio nome è elfico perché è stata tradizione di famiglia dare un nome elfico ai figli maschi, mentre il mio aspetto è questo di un mezz’elfo perché Aulauthar, uno dei membri del Consiglio, ha dovuto applicare su di me il Sigillo di sangue, e per renderlo più forte ha risvegliato il mio sangue elfico.»

«Il Sigillo di sangue? È roba seria, fu proibito dal Consiglio quando io ero ancora un capitano. Perché lo ha fatto?»

«Questa stanza è completamente isolata dal mondo esterno, quindi non vedo il problema nel mostrartelo anziché dirlo.» disse perlustrando mentalmente l’area e percependo l’energia di magia spaziale che permeava le pareti.

Siirist si allontanò dal sarcofago e si tolse il mantello e la tunica, rimanendo a petto nudo davanti al Cavaliere risorto che lo guardava con aria seria e richiamò il suo sangue demoniaco. I suoi occhi si tinsero di rosso sangue e i suoi denti diventarono affilate zanne mentre i capelli cambiavano colore. Le ali si spiegarono e le unghie si affilarono.

«Sei un demone.»

«Come ti ho detto sono nato un umano con in me una minima parte di sangue elfico. La mia famiglia, gli ultimi dei Ryfon, è una semplice famiglia di contadini ora. Ma trentatré anni fa, a metà del mio quarto anno di addestramento, fui morso da un demone, un ibrido di bestia del fulmine e vampiro, che mi ha trasformato. Per questo Aulauthar ha utilizzato il Sigillo di sangue, per contenere la mia indole demoniaca.»

«Significa che hai due coscienze.»

«Sì, è una lunga storia.» rispose riacquistando il suo aspetto da mezz’elfo, ma mantenendo gli occhi rossi.

«Hai il tuo lato demoniaco completamente sotto controllo?»

«Sì, sono stato trentuno anni a Kami no seki. Raizen ha grande stima di te, sai? Lì ho imparato le tecniche di spada dei demoni e a controllare i miei poteri e la mia fame, e Raizen stesso mi ha allenato nell’uso dell’Ambizione e a utilizzare la sacre arti del fuoco nero.»

«Un membro della famiglia reale, eh? Interessante... Che colore di Ambizione possiedi?»

«Il colore del re.»

«Ottimo! Ora dimmi perché sei stato attaccato da un demone, mi hai detto prima che siamo in un periodo di pace.»

«Non ho mai detto questo. Ho detto che la guerra con i demoni è terminata, ma c’è un altro pericolo. Un angelo ha formato un gruppo chiamato Setta dello Scorpione che comprende esponenti di tutte le razze, eccetto gli elfi che non siano oscuri, che mira a riunire le Reliquie della Luce. Il comandante in seconda di questa Setta è chiamato Raiden, ed è il nipote di Raizen, un traditore di Hellgrind che è fuggito portandosi via i Gambali di Luce. È lui che mi ha morso, un ibrido di bestia del fulmine e vampiro.»

«I Gambali erano a Hellgrind?!»

«Dopo la guerra, si è deciso di spartire in maniera quasi eguale le Reliquie, e prima dell’arrivo della Setta il Pomolo era custodito a Vroengard, l’Elsa a Ellesmera, la Lama a Zanarkand, l’Elmo qui a Rivendell, la Corazza ad Arcadia, i Gambali a Kami no seki e i Guanti a Tronjheim.»

«He, chiami Imladris alla maniera degli umani. Che cos’è questa Zanarkand? E i nani sono ritornati?»

«Zanarkand è una città fondata circa centocinquanta anni fa e vi governa un ramo cadetto della famiglia Septim. I nani non sono ritornati, ma insistettero perché fosse data anche a loro una Reliquia in nome dell’equità. Credendo che ciò li avrebbe aiutati a ritornare in superficie, l’Ordine acconsentì, ma da allora non se ne è più saputo niente. Però, grazie a te, Orzammar è aperta agli stranieri, per quanto sia impossibile andare oltre e Tronjheim rimane isolata al mondo esterno.»

«Stupidi nani, hanno la testa più dura del loro marmo nero. Non vivono quanto gli elfi, ma la loro memoria è più lunga della nostra, e non in senso positivo. Hai detto che un angelo è a capo di questa Setta; ne sei certo, lo hai mai visto?»

«No, ma ne ho parlato con Siiryll, che è ancora sotto sigillo.»

«Hai incontrato Siiryll?!»

«Ho messo sotto sigillo tutti gli Esper ad eccezione di Zalera, Zordiak e, chiaramente, Siiryll.»

«Mi prendi in giro.»

«Ho trovato Ilirea, dove era custodita una lastra di pietra che recava i sigilli per catturare gli Esper. Inoltre ci ho trovato la formula dell’Adamantio, motivo per cui ci sono andato, e una montagna di tesori che mi rendono facilmente la persona più ricca su Tamriel. Ho intenzione di restaurare villa Ryfon e riportare in auge il nostro nome.»

«Ecco che volevo sentire! Non riesco a credere che i miei discendenti siano degli agricoltori umani...»

«Io ora devo andare. Devo portare Bhyrindaar, il più grande fabbro elfico, a Kami no seki. L’Adamantio è una lega di Cristallo e mithril fusi ad un osso di drago e ora lui e Totosai, il miglior fabbro demoniaco, cercheranno di modificarne la formula utilizzando le ossa di un drago terrestre che il qui presente Vulcano ha ucciso. Ma tornerò subito, dammi un’ora.»

«Un’ora per andare a Kami no seki? Scherzi, vero?»

«Per andarci, in verità, mi bastano cinque secondi, ma devo portare Bhyrindaar e il suo assistente Hans, poi portare il cadavere del drago, magari devo discutere con Raizen... E sarebbe anche ora di cena e non mangio da stamattina.»

«Sai utilizzare la dislocazione spaziale? Quanto hai di legame con il Flusso?» capì l’altmer.

«Centomila e due Cerchi d’argento.» rispose mostrando le mani e richiamando energia in modo che i Cerchi si illuminassero abbastanza da brillare oltre i guanti.

«Ambizione del re, fuoco nero e due Cerchi d’argento, anche se hai un legame con il Flusso minore di quello che avevo io, per quanto ora lo senta ridotto e inizio a capirne la ragione. E sei un mio discendente, quindi hai il mio sangue. Tutto questo è interessante, sono curioso di vedere cosa potrai combinare con l’elemento Alba. Vai e torna presto, abbiamo molto di cui discutere.»

«D’accordo. Ah, senti... Mangi? Voglio dire, hai bevuto prima, ora non so se devi anche mangiare.»

«Per quanto stia ora parlando e la mia meravigliosa chioma sia finalmente ricresciuta, io non sono vivo, Siirist. Prima ho bevuto perché avevo la gola arida, ma non è un bisogno fisico. Per dislocarti dovrai uscire dalla tomba, come hai detto giustamente prima, gli incantamenti la pongono in una dimensione a sé. Non sei l’unico esperto di magia spaziale.»

«Capisco. A più tardi.»

Rorix si fece piccolo abbastanza da nascondersi tra cappuccio e collo e Siirist si voltò verso la porta. Stava per uscire quando un pensiero lo trattenne.

«Senti... Sai come ti ho detto dell’Adamantio, no? Che è formato da ossa di drago?»

«Sì?»

«Per gli esperimenti, Bhyrindaar e Totosai useranno il drago terrestre che ho menzionato prima, ma mi è stato detto che le armi costruite con le ossa di un alato sarebbero più efficaci, quelle di uno in particolare, per cui pensavo di andare al cimitero degli Inferno...» esitò.

Eleril sorrise, gli occhi chiusi, e annuì.

«Credo che Tyron sarebbe felice di aiutare.»

«Grazie.»

Siirist lasciò la tomba e si diresse al quartiere del mercanti. Entrato nella bottega di Bhyrindaar, trovò lui e Hans già pronti. Erano vestiti con abiti da viaggio e ciascuno aveva con sé una borsa. Dietro di loro vi era una montagna di valigie.

«Porta quelle a Kami no seki con la dislocazione e porta anche il drago terrestre. Noi intanto lasceremo la città e, una volta fuori, dislocherai anche noi. Trovo sia meglio rendere noto che ce ne andiamo, anziché sparire in modo sospetto.»

«Sono d’accordo.»

I due fabbri uscirono mentre Siirist trasportò sé e la montagna di bagagli nella grotta di Glarald sotto il Palazzo rosso e da lì andò alla tana del drago terrestre e portò pure quello nella maestosa caverna sotto al palazzo reale dei demoni. D’altronde se essa aveva potuto contenere l’immenso corpo di Vadraael, il cadavere del drago terrestre ci sarebbe entrato senza problemai. Allora ritornò alla piccola grotta dove Cavaliere e drago corrotti lo avevano atteso assieme all’Inferno mentre lui era entrato la prima volta a Rivendell. Lì decise di aspettare i due fabbri, e si sedette con la schiena contro la parete rocciosa, Rorix raggomitolato sulla sua pancia.

‹Incredibile, non avrei mai creduto di parlare con Eleril...›

‹Ti invidio, anche io vorrei incontrare Tyron.›

Accarezzò la testa del drago rubino e levò gli occhi al cielo che si faceva sempre più buio. E in quella tela blu scuro, vide apparire la sagoma bianca di un drago che conosceva bene, diretta alla capitale della regione altmer. Sorrise nell’intravedere i capelli biondi che si muovevano nel vento. E non resistette alla tentazione.

 

 

~

 

 

Piccola nota: in uno dei primi capitoli, Hans dice a Siirist che la sua nuova spada di Vetro si spezza contro uno scudo di Cristallo ma aveva facilmente tagliato uno scudo di mithril. Hm. Errore mio. Inizialmente non avevo pensato di dare un grande ruolo ai nani, perciò avevo reso il loro materiale piuttosto debole. Cambiamento: con la forza da comune umano che aveva (e ha tutt’ora, solo la sua vita è quella di un elfo), Hans non avrebbe mai potuto far rompere una spada di Vetro contro uno scudo di Cristallo, l’avrebbe semplicemente danneggiata sul filo, mentre lo scudo sarebbe rimasto perfetto, e la stessa cosa accadrebbe in uno scontro tra Vetro e mithril. A livello di resistenza, mithril e Cristallo sono pressoché uguali, ma il Cristallo risulta migliore perché è molto più leggero e più capace di sopportare incantamenti amplificatori (il mithril ne può avere fino a x5, il Cristallo fino a x7). L’Hellsteel è forse superiore, non in quanto a materiale, ma per via del metodo di lavorazione. È anche molto pesante, e una katana bene affilata e brandita da qualcuno con una grande forza (ad esempio Raiden) potrebbe facilmente tagliare Cristallo o mithril. Mithril e Hellsteel sono metalli (leghe), dunque possono essere tagliati e piegati; il Cristallo è un pietra, è diamante magicamente lavorato, perciò può essere tagliato e infranto, non piegato. Chiaramente per danneggiare qualsiasi di questi materiali è necessaria l’applicazione di una forza molto elevata.

 

Un’altra cosa: qualcuno si ricorda se ho menzionato il nome della precedente famiglia reale degli elfi, quella altmer prima della presa di potere dei Kelvhan di Ellesmera?

 

Il prossimo capitolo si intitola UN MOMENTO INFINITO che sarà pubblicato il 26 luglio. Eleril rivelerà a Siirist il segreto del suo elemento Alba e cosa succederà tra Siirist e Alea?

Ritorna all'indice


Capitolo 61
*** UN MOMENTO INFINITO ***


UN MOMENTO INFINITO

 

Alea, in groppa a Eiliis, era diretta a casa. Siirist fece per raggiungerle con una magia di levitazione, non volendo rivelare i suoi poteri demoniaci, ma Rorix lo bloccò.

‹Non fare cose azzardate! Hans e Bhyrindaar stanno venendo qui e devi portarli a Kami no seki. Pensi davvero di poter andare da Alea e vederla solo pochi minuti? Se davvero vuoi vederla, lo fai dopo, la vai a trovare a casa. Ma non ora, hai gente che aspetta.› lo rimproverò.

‹Hai ragione. No, non devo andarla a trovare, ma vederla mi ha fatto venire voglia. Spero che quei due si sbrighino, più aspetto e più rischio di andare da lei.›

Eiliis virò e si diresse verso la posizione del mezz’elfo e dell’Inferno, al che i due rimasero spiazzati.

‹Dannazione, devono aver notato la tua presenza magica.›

‹Alea è diventata ancora più brava se ha percepito così poco, nemmeno io ne sono in grado. Dannazione, che faccio adesso?›

La dragonessa bianca atterrò e l’elfa scese dalla sella. Si guardò intorno con aria incerta. Siirist, da dentro la grotta, la osservò, la sua presenza completamente eliminata con la furtività. Per fortuna anche Rorix aveva imparato a farlo.

‹Per Obras-sama, quanto è bella.› disse senza altre parole in mente.

Era da levare il fiato, indubbiamente, con i suoi fluenti capelli di seta che le arrivavano al bacino, davanti due trecce le incorniciavano il viso e sulla nuca alcuni dei capelli erano intrecciati in maniera complessa, formando una riga verticale che passava in mezzo a quattro coppie di linee ricurve. Era vestita con un abito verde chiaro e bianco, Raama tel’ arvandorea che le pendeva al fianco sinistro, una sorta di asta al destro. Il suo arco era assicurato alla sella della dragonessa.

‹Vediamo chi è più bravo adesso con la mente.›

Richiamò il suo sangue demoniaco ed entrò nello stato di calma assoluta prima di attaccare la mente dell’amata, penetrandola senza alcuna difficoltà. Dopotutto era una coscienza che conosceva bene, l’unica precauzione che doveva prendere era non farsi scoprire.

Non c’è nessuno qui.› disse l’antipatica voce di Eiliis.

Almeno, mentre parlava con il suo Cavaliere, sapeva essere più simpatica. E Siirist che se l’era sempre immaginata acida.

Eppure mi era sembrato di percepire la sua magia... Ma immagino sia impossibile.

Impossibile proprio no, non sappiamo dove sia, potrebbe anche essere qui a Imladris. Ricorda che qui si trova il grimorio di Eleril. Ammesso che sia vivo, chiaro.disse perfida.

Ah, allora se la ricordava bene!

Smettila! Una grotta? Ehi, ma che...?

‹Dannazione!›

Siirist si ritirò dalla mente di Alea appena in tempo, evitando di essere identificato, e si schiacciò contro la parete della grotta, facendo ritornare i suoi occhi azzurri.

‹Se ti dislochi lascerai un residuo magico inconfondibile, e allora avrà la conferma necessaria che sei stato qui. E se scappi, chi sa cosa andrà a pensare. Io dico che dovresti restare qui e affrontarla da uomo.› consigliò Rorix.

‹Mi sa che hai ragione...› sospirò.

Alea marciò inesorabilmente verso la grotta e si trovò Siirist seduto a gambe incrociate, con Rorix appollaiato sulla testa.

«Mi hai beccato.»

Gli occhi dell’elfa si dilatarono e bagnarono e si lanciò sul mezz’elfo, stringendolo forte e sbattendolo con la schiena a terra. L’Inferno volò via indignato.

«Non avevo pianificato di incontrarti oggi, quindi non ho nessuna Collana del Giuramento. Scusa.» disse semplicemente.

Alea si staccò e lo guardò con uno sguardo indecifrabile. Ma mista a tutte le altre emozioni c’era senza dubbio rabbia. E molta, anche. Caricò il braccio destro e assestò un pugno colossale che lanciò l’altro contro la parete opposta della grotta.

«Dopo più di trent’anni è tutto quello che hai da dire?!»

‹Ha ragione, sai?›

‹Taci.›

«Scusa, è che non so come comportarmi. Veramente non mi aspettavo di vederti e speravo di evitarlo. Mi dispiace, davvero, ma devo andare e non posso stare qui con te. Non immagini quanto sia difficile per me andarmene ora, dopo pochi momenti che ci siamo rivisti.» disse cercando di rimanere calmo mentre si giustificava.

«Perché dovresti andartene?! Che stai facendo, che hai fatto tutto questo tempo?!»

«Noi ritorniamo un’altra volta, allora, eh!»

Siirist guardò oltre Alea e vide Hans insieme a Bhyrindaar.

«Ci dispiace interrompere la vostra riunione.» disse l’altmer.

«Mastro Bhyrindaar, che fate qui?»

«Giovane Alea, è sempre un piacere graziarsi della vostra presenza. Siamo qui perché il Cavaliere d’Inferno ci deve accompagnare alla capitale di Hellgrind per lavorare sulla sua spada.»

«Che cosa?!»

«Ho ancora Forza del vento con me, e ormai mi va stretta.» spiegò tranquillamente il mezzo demone.

‹Sei il solito deficiente. Perché non lasci perdere il tuo atteggiamento da duro e ammetti che scoppi dalla gioia nel rivederla?›

‹Taci.›

«Hellgrind? Perché Hellgrind?»

«Chiedo scusa, davo per scontato che sapeste della situazione del Cavaliere d’Inferno.»

«Certo che lo sa. Alea, noi dobbiamo veramente andare. Quanto resti qui a Rivendell?»

«Fino a domani nel primo pomeriggio.»

«Allora ritornerò più tardi, dopo cena. Ora sono affamato e se ti sto troppo vicino rischio di mangiarti. E non sto usando un gioco di parole. Ti prego di non dire a nessuno che mi hai visto. Voi due siete pronti? Andiamo.»

E dislocò sé, Rorix, Bhyrindaar e Hans. Riapparvero nella vecchia caverna di Glarald ma i due fabbri non fecero nemmeno in tempo a stupirsi degli effetti del potente incantesimo spaziale che Siirist aveva mentalmente controllato la sala del trono e si era rilocato lì, portandosi dietro gli altri.

«Bene arrivati, gentili ospiti, e ben tornato, Siirist, vi stavamo aspettando. Vista la differenza di orario tra Hellgrind e Alagaesia, noi abbiamo già mangiato, ma vi possiamo far recapitare del cibo nelle vostre stanze. Immagino voi siate vegetariano, mastro Bhyrindaar?»

I fabbri si guardarono intorno meravigliati. Come Siirist, si erano certamente sempre immaginati il palazzo dell’Imperatore dei demoni un posto più terrificante, quando invece era molto simile ad un edificio umano o altmer, ed i suoi abitanti erano tutti tranquilli ed eleganti. A parte Kenpachi che, in forma reale, era già saltato contro il suo vecchio allievo, solo per ritrovarsi schiacciato a terra da una gravità intensificata.

«Affrontami, per una volta!» ringhiò una volta riacquistata la sua forma umana.

«Ora non ho tempo, perdonami maestro. Ojii-sama, come avete giustamente detto, questi sono mastro Bhyrindaar e mastro Hans, il suo assistente e mio vecchio amico. Se ci fate condurre alle stanze che sono state loro assegnate, vi raggiungeremo subito dopo per aver mangiato. E aggiungo che non mangio da ieri, per cui sono terribilmente affamato.»

«Sembri nervoso. È successo qualcosa?» domandò, il suo intenso sguardo che penetrava l’anima del nipote adottivo.

«Niente di grave, grazie per la considerazione, ma vorrei mangiare in fretta, ho alcune faccende da sbrigare a Rivendell.»

«Va bene.»

Due servitori che parlavano la lingua degli umani andarono incontro ai non demoni e li accompagnarono all’ala del palazzo riservata agli ospiti, mentre Siirist si dislocò a Ilirea. Andò nella sala del tesoro e cercò per mezz’ora fino a che trovò un turchese che avesse la stessa colorazione dei suoi occhi. Prese anche un lingotto d’argento purissimo e ritornò all’Akai goten, andando subito da Bhyrindaar.

«Quanto vi ci vuole a preparare una Collana del Giuramento?» chiese, mostrando i materiali al fabbro.

«Un’ora, se volete un lavoro fatto per bene. Ho portato del cuoio con me da Imladris, è in una delle valigie che avete dislocato. A pensarci bene potrebbe volermici più tempo, visto che non conosco la fucina di Totosai e devo andare a presentarmi. E avrò bisogno di una lacrima.» sorrise.

Siirist usò la creazione di luce per far apparire dal nulla una fiala di vetro e ci mise dentro una sua lacrima che fece scendere con la magia organica. Essa sarebbe stata inserita nel turchese per dare un significato maggiore alla Collana. 

«Grazie.»

Siirist mangiò e attese. Si fece un bagno e meditò, cercando di calmarsi, ma niente riusciva a tenere sotto controllo i suoi nervi. Era agitatissimo, il solo pensare di stare per andare da Alea gli dava i crampi allo stomaco. Se prima con lei si era mostrato tranquillo, era solo perché era stato in realtà troppo nervoso. Nel cenare si era ingozzato, mandando giù a forza il cibo, lottando contro la sua mancanza di appetito. Ma sapeva che, con Alea, gli sarebbe ritornato, e in maniera molto pericolosa, per cui si era obbligato a mangiare. Due ore dopo, uno dei servitori del fabbro elfico gli portò la Collana appena fatta. Il cilindro d’argento mostrava un’incisione di due draghi alati che si univano, formando un cuore con i loro colli, e motivi floreali li circondavano. Al centro del cuore si trovava il turchese intagliato a forma romboidale.

‹È molto bella, vai tranquillo. Spero di non rivederti fino a domani.› lo rassicurò Rorix.

‹Buonanotte.› rispose Siirist prima di dislocarsi.

Dalla grotta fuori Rivendell, passò alla camera da letto che Elisar gli aveva assegnato. Lì si cambiò d’abito, togliendosi il kimono e rimettendo quello elfico rosso che aveva inizialmente scelto. Con un’analisi mentale, ebbe il quadro di tutta la casa e uscì dalla stanza, incamminandosi lungo il corridoio e raggiungendo il salotto. Lì trovò Alea seduta sul divano accanto alla madre, mentre Elisar era seduto su una poltrona. Nessuno parlava.

«Hai rimesso quei vestiti.» osservò Ilyrana.

«Mi è sembrato appropriato.» rispose con una falsa faccia tosta.

In verità riusciva a stento a non sudare. Voleva correre da Alea, stringerla, baciarla, accarezzarla, annusarla, divorarla... No, divorarla no. Represse i suoi istinti demoniaci e strinse la collana che teneva nella tasca destra dei calzoni. Alea nemmeno aveva alzato lo sguardo, essendo evidentemente arrabbiata per essere stata lasciata come un’idiota.

«Capisco che ti sei fatto vivo con i miei genitori.» disse a bassa voce, il tono gelido.

«Sì.»

«Eppure non volevi farti vedere da me.»

«È complicato. Ho molte cose da fare ancora.»

«E non hai il tempo di farmi sapere se sei vivo o no?! Hai la capacità di dislocarti! Non importa se hai da fare, puoi andare e venire da Arcadia quanto ti pare!» alzò la voce.

«Non posso farmi scoprire dall’Ordine, non posso ancora tornare a Vroengard.» disse forzandosi a mantenere un tono calmo.

«Potevi contattarmi con la telepatia a distanza!»

«Sentirti mi avrebbe impedito di resistere all’impulso di tornare da te.»

«Hai la minima idea di quanto sia stata in pensiero per te?! Hai idea di quanto abbia sofferto, pensando a cosa potesse esserti successo? Sei sparito, da quando sei andato a Luka non si sono più avute tue notizie! E ora ti rivedo, salti fuori da una grotta come se niente fosse! Mi avresti guardata volare con Eiliis senza neanche chiamarmi se non mi fossi accorta di te?!»

«E perché ti sei accorta di me?!» rispose spazientito Siirist, stanco del tono accusatorio dell’elfa.

«Ho sentito una irregolarità nel Flusso e la presenza della tua impronta magica.»

«E secondo te che stavo facendo?! Stavo per volare da te, ma Vulcano mi ha fermato. E aveva ragione a farlo, non sarei dovuto venire qui ora. Ci sono troppe cose in ballo, non ho tempo di stare a badare a te, che neanche capisci quanto mi stia distruggendo il non starti accanto. Non è passato giorno, anzi secondo che io non ti abbia pensata, che non mi sia chiesto come stessi e cosa stessi facendo. Ancora mi sveglio la notte e mi guardo a sinistra, pensando di trovarti a dormire nel letto accanto al mio. Non c’è niente per me come il tuo tocco, o anche solo la tua presenza, ma non ho la libertà di fare ciò che mi pare, ho un dovere verso tutta Tamriel, anzi tutta Gaya. Tu non ti immagini nemmeno chi sia dietro alla Setta dello Scorpione e quanto siamo tutti in pericolo. E indovina un po’, l’unico che può fare qualcosa sono io. E pensare che un tempo trovavo ridicolo come tutti consideravano il mio ruolo di Cavaliere d’Inferno.»

Strinse forte la Collana del Giuramento in tasca e la lasciò andare, tirando fuori la mano. Di certo non era quello il modo in cui la voleva donare ad Alea, non dopo uno scambio così furioso di urli che pareva facessero a gara a quale fosse più forte. Il corpo dell’elfa incominciò a liberare una folata di vento che prese la forma di un piccolo vortice. Raramente Siirist l’aveva vista liberare magia involontaria. La temperatura della stanza si alzò, influenzata dall’aria calda emanata dalla altmer. No, di certo quello non era il modo in cui si era immaginato di far dono della sua Collana. Anzi, stava incominciando a pensare di non volerlo più fare. Ma allontanò quel pensiero ridicolo, sapendo che era solo frutto della rabbia del momento. Sbuffò ed estese il suo Flusso a toccare quello di Alea, strappandoglielo via. Il mini tornado di aria calda si dissolse, lasciando Alea perplessa.

«Non riesco a credere che abbiamo fatto una scenata simile davanti ai tuoi genitori... Ora ti restituisco il Flusso, ma prometti di stare calma. Vieni con me.»

Senza capire cosa le fosse successo, Alea seguì Siirist alla sua stanza, lasciando Elisar impassibile e Elénaril un poco preoccupata. Siirist si sedette sul letto, mentre Alea rimase in piedi. Continuava ad avere uno sguardo interrogativo.

«Per l’amor di Obras-sama, smetti di fare quella faccia! Ti ho sottratto il Flusso vitale, è uno dei segreti di Evendil. È così che era in grado di affrontare Raiden. Ma ha una durata massima di cinque minuti perché, senza legame con il Flusso, si muore. E contrariamente a ciò che pensi, mi stai ancora a cuore, quindi farti morire non è nelle mie aspirazioni.»

Alea si riprese e osservò il suo uomo.

«Hai detto “Obras”. Dunque ora sei un demone?»

«Dopo più di trent’anni a Kami no seki, più di metà della mia vita, è inevitabile assimilare la cultura dei demoni.»

«Quindi sei stato lì tutto questo tempo.»

«Non c’era altro modo per imparare a controllare il mio lato demoniaco. Ora sono perfettamente in grado di attingerne i poteri, anzi ho sviluppato due elementi che combinano il mio fuoco magico con il mio fulmine demoniaco e un terzo che unisce fulmine demoniaco e vento magico. L’Imperatore Raizen mi ha anche insegnato a sfruttare l’Ambizione e a utilizzare il fuoco nero. Ora mi manca solo di studiare il grimorio di Eleril per imparare a controllare lo stato draconiano e il suo elemento Alba, che ne parlava spesso.»

«“Ne parlava”?»

«Ah, lascia perdere. Senti, mi dispiace davvero. Ora non so con che forza possa riuscire ad andarmene di nuovo.»

«Devi? Hai detto tu stesso che ti manca solo di studiare il grimorio di Eleril.» disse sedendosi accanto a lui.

«Sì, ma per farlo devo rimanere qui. Non ti posso dire il motivo, ma non posso portarlo via dalla sua tomba. E comunque sarei assegnato qui, sono nella sesta brigata, no?»

«Sì, ma hai la dislocazione. Con l’Ordine che lo sa, puoi venire a trovarmi quanto vuoi.»

«È vero, ma ancora non posso. Mi manca solo il grimorio di Eleril per quel che riguarda i miei studi, ma ho ancora faccende da sbrigare. Ti posso assicurare che sono della più grande importanza, altrimenti non starei lontano da te, amore mio.»

Alea sorrise e arrossì un poco nel sentirsi chiamata a quel modo.

«Come sta Gilia?»

«Sta bene. Gli manchi.»

«Si è trovato una donna?»

«Hahaha! No, ma sapevamo entrambi che lo avresti detto.»

Siirist portò un braccio intorno alle spalle dell’amata e la strinse a sé.

«Ce ne hai messo di tempo. Per Soho, sei sempre stato lento.» si lamentò con un filo di voce, mentre lacrime di gioia le scendevano lungo le guance.

Siirist sorrise, sorrise come non aveva mai fatto in vita sua. Il suo primo furto, la prima volta che aveva visto Keira nuda, spiandola dalla finestra, la prima volta che aveva fatto sesso, la scoperta di essere il prescelto dell’uovo di Rorix, la sua ammissione alla Gilda, le sue risate con Gilia, le giornate passate con Evendil che gli insegnava le vie del misticismo, la sua prima volta con Alea, la loro vacanza nell’albergo a Zanarkand sotto i fuochi d’artificio. Tutti quei ricordi gioiosi impallidirono confrontati a ciò che provava al momento. Con rammarico notò come certe emozioni erano morte in lui da quando aveva visto Evendil morire, ed era diventato un’altra persona, proprio come aveva riflettuto nel guardare il suo ritratto nel salotto. Ma il solo stare con Alea lo aveva riportato a come era un tempo stato. Desiderò che il tempo si fermasse, così da poter rimanere con lei il più a lungo possibile. Sorrise furbo, gli occhi che brillavano della loro luce dispettosa.

«Dammi un secondo.» si staccò dall’elfa e si mise in piedi.

Lei si asciugò gli occhi e lo guardò incerta. Egli sorrise nell’appoggiare il palmo sinistro sul dorso destro, mentre i due Cerchi d’argento, carichi di energia, si illuminavano, il Flusso diviso in dodici. Con il potere complessivo di dodici milioni di douriki, Siirist diede voce alle parole che aveva pensato, il concetto alla base del suo incantesimo forte nella sua mente.

«Che la concezione del tempo cambi per me e Alea, che ci sembri che tutto attorno a noi sia immobile.»

Lo sforzo causatogli dall’incantesimo lo privò di tutte le forze e cadde a faccia in avanti sul letto. Fisicamente non aveva problemi, ma era mentalmente provato. Quello non era certo un incantesimo da utilizzare in maniera sconsiderata. Alea lo guardò insicura.

‹Avrà funzionato?›

‹Sì, ha funzionato! Tomoko e Akira stavano parlando e ora sono come congelati!› ridacchiò Rorix.

Con il loro legame mentale, anche stando dalle parti opposte del continente riuscivano a comunicare tranquillamente.

‹E tu perché sei normale?›

‹Visto che siamo legati mentalmente, forse ha avuto effetto anche su di me? Immagino anche Eiliis sia “scongelata”.›

«Stai bene?»

«Sì, ma usare un incantesimo temporale su così larga scala non è stato semplice. Dopo questa sera, non so quanto tempo passerà prima che ti riveda. Voglio che duri il più possibile.» disse a fatica.

Lei lo baciò con tenerezza, ma non passò molto prima che il bacio diventasse uno passionale e carico di desiderio. Siirist era stato con le sue concubine, ma non le aveva mai veramente desiderate; Alea (si sperava) era invece rimasta senza sesso per tutti quegli anni, perciò la sua voglia doveva essere anche più grande. Fecero l’amore per ciò che potevano sembrare ore, lo fecero fino a che anche i resistenti corpi dei due Cavalieri alimentati a magia organica non ce la facevano più. E Alea era stata insaziabile: Siirist aveva dovuto richiamare la sua energia demoniaca per continuare. Quando lo aveva fatto ed i suoi occhi erano diventati sanguigni, Alea aveva momentaneamente distolto lo sguardo, ma subito si era ripresa e lo aveva baciato sulle palpebre, prima di stringerlo più a sé, con le braccia e con le gambe. Con il fiatone, Ryfon rotolò sulla schiena e guardò l’orologio: erano passati appena cinque minuti da quando aveva “rallentato il tempo” (era più che altro una velocizzazione di sé e Alea), quando invece lui e la sua amata vi avevano dato giù per circa tredici ore. Nel sentire la mano dell’elfa accarezzargli il petto, il mezz’elfo fece per saltare via, ma la sua mancanza di forze non glielo permise.

«Vorrai scherzare, spero?! Non ce la faccio più, ormai mi hai prosciugato! Un altro po’ e verrò sangue!»

«Non si possono nemmeno fare le coccole adesso...?» chiese con vocina offesa, distogliendo lo sguardo.

Ma Siirist la conosceva abbastanza bene da sapere che il desiderio di coccole era solo una parte di quello che ella aveva veramente in mente. Scosse nuovamente la testa e notò come le lancette dell’orologio avessero ripreso a muoversi normalmente. Alea stava attorcigliando una ciocca di capelli attorno al suo dito, studiando attentamente il notevole cambiamento nell’aspetto fisico del suo amato.

«Che ne pensi? Li ho fatti crescere a Hellgrind e ancora non ho deciso se tagliarli o no.»

«Eh...» rispose con una smorfia ed un verso dal suono poco convincente.

«Se vuoi che li tagli lo faccio, tranquilla.»

«Non lo so... Fammici pensare.»

Con la mente Siirist raggiunse uno dei servitori e gli disse di portare due bicchieri di mielassa, uno dei quali condito con limone e sale come piaceva a lui. Quando arrivò e bussò alla porta, Alea saltò sorpresa, quasi aspettandosi suo padre. Siirist si alzò e prese il vassoio, ringraziando il servo. Richiuse la porta e lo appoggiò su un tavolo, allora afferrò i calzoni rossi che Alea aveva buttato a terra.

«Sai che questi sono gli abiti che tuo padre indossava il giorno in cui donò la sua Collana a tua madre? E tu li hai buttati via in modo così indecoroso.» disse scuotendo la testa.

«No, non lo sapevo.»

Siirist le porse il bicchiere senza sale.

«Perché i bicchieri?»

«Voglio brindare. A noi e a questa. L’ho appena fatta fare da Bhyrindaar, mi perdonerai se non ho una custodia.» rispose estraendo la Collana dalla tasca.

Alea perse la presa del suo bicchiere che cadde verso terra, rovesciando il suo contenuto. Ma Ryfon magicamente trattenne il tutto.

«Non è molto di buon auspicio se rovini così il brindisi.»

 

Il giorno dopo, Siirist restò con Alea fino a che ella fu costretta a ritornare ad Arcadia. Gli si spezzava il cuore a pensare che non l’avrebbe più rivista per chi sa quanti anni, ma si fece forza. Come Eiliis fu scomparsa alla vista, Elisar si rivolse a lui.

«Sono felice tu abbia deciso di tornare qui ieri. Per quanto ora possa essere dura per voi esservi detti addio, sapere che stai bene l’ha tranquillizzata. Non l’ho vista così felice in anni, da quando sei partito da Vroengard.»

«È stato Bhyrindaar a creare quella Collana, vero?» chiese Elénaril.

Ryfon annuì.

«Spero ti farai vivo con lei, d’ora in poi.» aggiunse.

«Purtroppo può essere rischioso. Ci contatteremo solo in caso di estremo bisogno, ma con lei in mezzo a tanti Cavalieri, c’è il rischio che la nostra conversazione venga intercettata. Ora scusatemi, ma ho un appuntamento con il grimorio di Eleril»

 

«Ti trovo felice. È successo qualcosa di bello?» domandò l’elfo risorto.

«Sì, ma non sono qui per chiacchierare.» sbuffò, leggendo il grimorio del primo Cavaliere d’Inferno.

«Sei noioso. Sei un mio discendente, voglio conoscerti meglio! A proposito di discendenze, sai che Elduril è un nostro antenato? Anche se ancora il cognome non era Ryfon. Dopotutto si parla di oltre trecento generazioni prima di me.»

«Il primo Cavaliere d’Inferno sorse all’inizio della terza era, vero? Più o meno 400 millenni fa.»

«Sì, la terza era è stata la più lunga della storia di Tamriel. Tante cose sono successe allora, dalla fondazione dell’Ordine dei Cavalieri, alla migrazione di molti umani e anche alcuni elfi verso altri continenti. E ora, sei Cavalieri d’Inferno più tardi, ci sei tu. Direi che sia anche ora che Tamriel diventi più unita, e credo che sotto la tua guida ciò sia possibile, Salvatore dei sette. Ma sto divagando, stavo parlando di discendenze. Il grimorio di Elduril è quasi inutile, te lo puoi leggere un’altra volta, ora prendi quel libro laggiù.»

Siirist fece come detto e aprì la prima pagina capendo subito di avere un albero genealogico al rovescio, che cominciava con la scritta “Eleril Ryfon”, sotto i nomi dei suoi genitori e così via. Ciò che il mezz’elfo subito notò era che non era il lato paterno ad essere l’interesse del sesto Cavaliere d’Inferno, dunque non le origini della famiglia Ryfon, bensì le origini della madre. Seguì le linee che la collegavano ai suoi genitori, e da lì la linea che la univa alla nonna di Eleril, poi al bisnonno, e ancora a suo padre, suo padre, la madre di questo, ancora la madre di lei, il padre, la madre, il padre, la madre, la madre, altri quattro padri. E l’ultimo nome, quello presente in fondo all’ultima pagina del diario, era Adorellan Ancano.

«Non so se è ora sapere comune, ma Adorellan era il figlio di...»

«Un angelo, lo so. Il suo nome è Azrael ed è lui a guidare la Setta dello Scorpione.»

«Ah...»

«Non posso credere di avere il sangue di quel maledetto...!»

«Non importa, ciò che conta è che hai in te il sangue di un angelo, che ti permette di creare e di utilizzare il fuoco bianco di Soho. E se unito all’elemento oscuro, ne nasce il mio elemento Alba.»

«Fuoco bianco?»

«Che, pensavi che solo Obras avesse un fuoco particolare nato dall’unione del suo potere con quello di Hanryu? Vedendo il fuoco nero, Soho ne creò la sua versione. Come ho detto, quando affrontai Raizen me la cavai solo perché avevo il mio elemento Alba, che è al livello delle sacre arti del fuoco nero. Ora voglio proprio vedere se ti riesce di unire il fuoco nero con il fuoco bianco, sarebbe una bella trovata. Altro che la tua arte della Vampa. Immagina, è anche possibile che tu possa utilizzare le sacre arti in quel modo, dando vita a poteri inimmaginabili. Sarebbe andare oltre i poteri dei due dei, sarebbe come ricreare l’essenza di Chaos.»

Le parole dell’elfo colpirono Siirist. Ripensò alla profezia di Zordiak, a ciò che era stato uno ed era divenuto due. Ne parlò con l’altro Ryfon.

«Profezia interessante. Ora che ho in mente i Gemelli, mi viene spontaneo pensare a Chaos che si è diviso in due e a te che ne riunisci i poteri, ma dovrò pensarci meglio. “I sette riuniti e il cuore spezzato”... Tu sei il Salvatore dei sette, questo immagino abbia a che vedere con i “sette” della profezia, mentre non ho la minima idea di che cosa sia questo “cuore”.»

«Cosa significa “i sette riuniti”?»

«Penso che devi unire tutti i popoli di Tamriel. Compresi gli angeli, che devi far uscire dal loro isolamento e dalla loro segretezza.»

«E dove accidenti li trovo?!»

«Nessun problema, te lo dico io.»

«Eh?!»

«Come credi abbia imparato ad utilizzare il fuoco bianco? Sono stato dagli angeli, me lo hanno insegnato loro. Quando sarai pronto, ti dirò dove trovarli, ma prima hai molto altro da fare. Ora riprendi pure il grimorio di Elduril, io sono stanco, il mio incantesimo di resurrezione non è onnipotente, adesso ho bisogno di dormire. Ci vediamo domani.»

 

 

 

~

 

 

In futuro troverete la scritta PMI: significa VIP. Nel mondo della storia non esiste l’inglese, perciò “VIP” non avrebbe senso, invece abbiamo PMI, cioè Persona Molto Importante. Non suona altrettanto bene, lo so, ma pace! Tanto non verrà usata spesso. Nei primi capitoli ho, invece, usato parole oggi “italiane” di derivazione inglese e mi continua tutt’ora a dare fastidio.

 

Il prossimo capitolo si intitola IL CIMITERO DEGLI INFERNO che sarà pubblicato domenica 29. Siirist inizia a lavorare ad un modo per sfruttare le sue varie abilità in maniera più efficace, i tre fabbri a Kami no seki hanno perfezionato l’Adamantite ed è ora che Inferno e Cavaliere vadano a procurarsi le ossa di Tyron.

Ritorna all'indice


Capitolo 62
*** IL CIMITERO DEGLI INFERNO ***


IL CIMITERO DEGLI INFERNO

 

«Cos’hai lì?»

Siirist era seduto a gambe incrociate con la schiena appoggiata al sarcofago bianco, il suo grimorio in grembo mentre era intento a disegnare un cerchio su una pagina. Su quella dopo incominciò a tracciare alcuni dettagli più nello specifico, segnando i punti di interesse. Il suo antenato aveva appena deciso di svegliarsi e sbirciare da dietro. Si era chinato a sufficienza che il Ryfon più giovane ne aveva il fiato sul viso. Era grato che l’elfo avesse perso tutto il suo odore di cadavere, sostituendolo con quello di limoni, molto simile a quello del suo discendente.

«Un sigillo anti magia? Interessante.»

«Sì, ma non basta. Voglio che crei un’area in cui sia impossibile usare alcuna magia, stregoneria o potere demoniaco.»

«Invocazioni?»

«Anche quelle vorrei escludere, ma poi non potrei sbarazzarmi del sigillo.»

Eleril osservò meglio gli appunti del mezz’elfo e notò come il sigillo era formato da spade invocate e piantate nel terreno a formare la circonferenza e i punti importanti al suo interno.

«Fino a che me ne parlassi tu, non avevo mai sentito di armi sotto sigillo, ma se tutto è come invocare un daedra, non credo sia impossibile per te creare un sigillo anti arti mistiche che, però, ti permette di rimandare a Oblivion le armi del sigillo. Credo basti applicare su di esse degli incantamenti appropriati. Ma sei sicuro di voler creare una tecnica simile?»

Siirist sospirò e chiuse il suo grimorio. Si voltò per guardare l’altmer resuscitato in volto e questi si sedette sul bordo del suo sarcofago.

«Stavo riflettendo che possiedo troppe capacità. Quasi non so che farmene, non so come gestirle. Pensavo che il modo migliore fosse utilizzare diversi riequipaggiamenti.»

«Vai avanti.» disse interessato.

«Eimir non ha molto potere magico e nemmeno un’enorme forza fisica come Aulauthar e Syrius, eppure è al loro livello, sia grazie alle sue straordinarie abilità di stregone, sia grazie alle sue invocazioni istantanee che comprendono anche oggetti, oltre a daedra. Non è solo il fatto che può contare su un arsenale incalcolabile, il suo potere è più che altro incentrato sulle sue armature. Ne ha alcune che gli aumentano la forza fisica, alcune che incrementano la velocità, lo proteggono dai vari elementi, molte sono incantate con vari tipi di amplificatori magici e stregati. A seconda della situazione usa diverse armature che gli forniscono diverse abilità.»

«Ma tu non hai bisogno di mezzi simili. La tua forza fisica è superiore a quella di qualunque Cavaliere, il tuo potere magico è così alto da permetterti qualunque incantesimo. Perché vorresti usare i riequipaggiamenti?»

«Te l’ho detto, per darmi modo di sfruttare tutte le mie capacità al meglio. Ad esempio potrei avere un riequipaggiamento in cui non uso armi, ma solo tecniche corpo a corpo, uno improntato esclusivamente su magia e stregoneria, uno basato sulle invocazioni e le invocazioni organiche, uno lento ma devastante che usa armi pesanti, uno rapido e agile, uno in cui uso solo specifici tipi di incantesimi, uno in cui ne uso altri. O potrei averne uno in cui non uso alcuna mia abilità ma sfrutto armi a Materia; sarebbe in questo riequipaggiamento che utilizzerei il sigillo anti arti mistiche e poteri demoniaci.»

«Non posso dire che la tua sia un’idea stupida, ma sei vuoi improntare il tuo metodo di battaglia sui riequipaggiamenti, devi pianificarli tutti molto bene.»

«Lo so. Quando mi insegnerai l’elemento Alba?»

«Non prima che avrai padroneggiato lo stato draconiano. Sei qui solo da un anno, abbi pazienza. Io ho impiegato tre secoli per perfezionare tutte le mie abilità.»

«Io non ho tutto questo tempo.»

«Allora è un bene che ci sia io ad insegnarti e facilitarti l’apprendimento. Ora fai quello che ti dico e andrà tutto bene.»

«Ora devo andare, è quasi ora di cena.»

«In compagnia degli Ilyrana... Ti ho mai detto che, ai miei tempi, gli Ilyrana erano nostri sottoposti? Quando nacqui, la famiglia Ryfon era la più potente di Imladris e di tutta la Foresta Antica, mio padre era il Cancelliere del re, come il suo prima di lui e così via per ventisette generazioni di Ryfon. Fu mio fratello, quando divenne il signore del casato, ad elevare gli Ilyrana. Da quello che mi hai detto, ora si sono sostituiti a noi. Capisco che sono ora anche più influenti del principe e che siano addirittura tenuti in considerazione dai Kelvhan di Ellesmera. Spero che l’erede di Elisar sia in grado di mantenere la posizione che hanno ora e che non rovini il casato come fece mio nipote con quello dei Ryfon.»

«Sono sicuro che Alea ne sarà capace.»

«E chi ha parlato di Alea?»

«Hai detto l’erede di Elisar, e lei è la sua unica figlia.»

«Per ora, ma è solo questione di tempo prima che lui e Elénaril abbiano un altro figlio. Alea è un Cavaliere dei draghi, non può avere titoli. Mio figlio succedette a mio fratello, e da lui discendi tu, Siirist, ma io non fui mai il signore del casato Ryfon. Oppure potrebbero essere i figli tuoi con Alea a succedere gli Ilyrana e restaurare il nome dei Ryfon, chi lo sa.»

«Stavo riflettendo su questo... Cosa farò dopo aver sconfitto Azrael?»

«Ne parli come se fosse certo.»

«L’alternativa è che muoio, quindi l’unico caso in cui io abbia un futuro è se lo sconfiggo.»

«Giusto. Esponi i tuoi dubbi.»

«Voglio dire, non mi sento di voler ritornare a vivere alla Rocca. Uccido il cattivo e poi passo la vita incatenato al servizio dell’Ordine? Mi piace la vita che avevo a Kami no seki. Aggiungici Alea e Gilia, è in quel modo che voglio vivere, non alla Rocca.»

«Non nascondo che sarebbe noioso. Non lo era per me, ma io vivevo in un periodo di guerra. Non dico che la guerra sia bella, e l’unico motivo per cui si combatte è per raggiungere la pace. Ma che cosa diventa un guerriero durante un periodo di pace? Un mercenario può usare i soldi guadagnati per comprarsi della terra e mettere su famiglia, forse, cambiare vita. Ma questa non è una libertà di cui puoi godere tu. Tu dovrai sempre vivere la vita del guerriero, e la vita di un guerriero in periodo di pace è un’esistenza priva di senso. Ma sono sicuro che troverai le risposte ai tuoi dubbi. Ricorda, sei il Cavaliere d’Inferno, e la vita di tutti quelli che ti hanno preceduto è stata insolita rispetto agli altri Cavalieri. Qualcosa succederà.»

Siirist sorrise e si congedò dal suo antenato che ritornò a dormire. Il Ryfon più giovane uscì dalla tomba e si guardò intorno in modo circospetto, non volendo che nessuno lo individuasse. Era già un anno che faceva avanti e indietro dalla residenza degli Ilyrana alla tomba di Eleril due volte al giorno, e più lo faceva, più correva il rischio di essere scoperto. Erano quasi le otto di sera, la cena sarebbe stata quasi in tavola e Elisar non amava attendere. Siirist intraprese il viale principale, diretto al ponte che collegava le due colline del quartiere ricco quando ebbe la sensazione di essere spiato e seguito. Si fermò ed estese il suo colore dell’osservazione, affinando il settimo senso al massimo. No, niente. Qualunque cosa fosse stata, era sparita. Il cappuccio che gli copriva completamente il viso, abbassò la testa e riprese a camminare.

 

‹Ti sei fatto quasi scoprire. L’allievo supera il maestro?› disse la dolce voce del drago fucsia.

‹Ne sarei solo felice, ma non dargli troppo credito, Skimir. La temperatura si sta pian, piano alzando, tra poco non sarà più il momento di indossare mantelli e cappucci. Già l’estate scorsa è stato quasi impossibile nasconderlo, non posso dire di essere felice di doverlo rifare. Le sentinelle stanno incominciando a notare la figura sospetta che va ogni giorno da villa Ilyrana alle macerie di villa Ryfon, io posso nasconderlo solo fino ad un certo punto: anche con un’illusione, se lui non ne è al corrente, rischierebbe di renderla inutile. Se non si sbriga, non ci vorrà ancora molto prima che venga scoperto.› sospirò Adeo.

‹Puoi sempre parlarne con il Consiglio.›

‹Forse con Aulauthar e gli altri tre, anche se non sono molto sicuro di Syrius, ma rimangono gli altri sei. E con un voto di maggioranza, gli verrebbe senza dubbio ordinato di prendere il suo posto qui a Rivendell o di ritornare a Vroengard.›

‹Lo so, infatti dovrebbe essere una soluzione estrema, da attuare appena prima che venga scoperto.›

‹La terrò in considerazione.›

 

Siirist andò subito ad unirsi agli Ilyrana per la cena, nella sala adiacente al salotto, congiunta ad esso tramite la porta a vetri sotto alla scalinata. Un grande lampadario di cristallo e oro pendeva dal soffitto al centro della sala. Sotto ad esso vi era un lungo tavolo rettangolare che avrebbe facilmente accomodato quaranta persone, un focolare identico a quello del salotto nella stessa posizione, e tra esso e la parete che divideva il salotto vi era una porta che dava sulle cucine al piano superiore. Dipinti di nature morte decoravano le pareti, assieme ad altre statue di ghiaccio, incantate così da non sciogliersi mai. Elisar era seduto a capotavola, con Elénaril alla sua destra. Siirist si accomodò di fronte alla donna. I servitori gli porsero un bicchiere di mielassa da una brocca già corretta con sale e limone e gli portarono una tagliata di vitello al rosmarino, una insalata mista di lattuga, pomodori, carote e cetrioli e degli spiedini di maiale arrosto e condito con pennellate di miele. Siirist doveva veramente complimentarsi con i servitori di casa Ilyrana che, nell’ultimo anno, avevano imparato in maniera magistrale a cucinare la carne. I padroni di casa, invece, si sfamavano con un’insalata identica a quella del mezz’elfo, una frittata con zucchine, melanzane grigliate e un passato di verdure. Elénaril chiese a Siirist di passare il cesto del pane. Egli lo fece, per poi porlo ad Elisar e prendere una pagnotta lui stesso.

«Sono felice vi siate abituati ad avere carne a tavola. Mi sentivo in colpa all’inizio per infliggervi un supplizio simile.»

«Non preoccuparti. È nel nostro migliore interesse, dopotutto. Non vorremmo certo che inizi a mangiare noi.» sorrise Elisar.

Ryfon si era ritrovato costretto a rivalutare il padre di Alea. In quell’anno di convivenza aveva visto lati del suo carattere che apprezzava grandemente. Alla sua richiesta di carne non aveva esitato, per quanto inizialmente, durante i pasti, avesse storto il naso all’odore; due volte i Cavalieri erano venuti a controllargli la casa e lui lo aveva nascosto e protetto. Lo aveva anche aiutato a ripassare la lingua dei nani, studiata anni addietro a Vroengard ma oramai dimenticata, per quando fosse andato ai Beor. Aveva creduto in lui e nella sua missione. Elénaril gli aveva raccontato storie di Alea di quando era piccola, gli aveva parlato delle prime lettere che la figlia le aveva mandato quando aveva capito di essersi innamorata di lui, gli aveva insegnato a suonare il pianoforte e insieme avevano letto tutte le poesie, i romanzi ed i libri in generale che Alea aveva sempre amato fin da piccola.

Siirist ridacchiò alla battuta di Elisar e accettò di buon grado la fetta di torta di mele che uno dei servi gli porse. Il mezz’elfo aveva finalmente capito dove la sua amata avesse imparato a prepararla.

 

Siirist si era appena fatto un lungo, caldo e rilassante bagno. I sali nell’acqua avevano alleviato le sue fatiche, sciogliendo i suoi muscoli e restituendogli le forze. Con l’asciugamano attorno alla vita, si guardò nello specchio, i lunghi capelli asciugati con una magia di vento che gli cadevano sulle spalle e scendevano fino ai fianchi. Si passò le mani sui lati della testa e li portò tutti dietro la schiena, lasciando il petto libero. La cicatrice al collo e le quattro alla spalla destra erano le uniche imperfezioni sulla sua pelle liscia, se non per pochi peli nella zona del pubica e sul basso ventre. Si guardò bene nello specchio, incentrando il suo sguardo sul riflesso dei suoi occhi. Li vide brillare, vide il loro azzurro farsi più intenso, innaturale, mentre le pupille si allungavano. Sentì un formicolio per tutto il corpo, e la sua pelle si spezzò, assumendo la consistenza di scaglie. Il petto divenne rosso, mantenendo il suo normale aspetto più scendeva, fino a raggiungere la zona pubica che era composta da normale pelle. Dalle spalle ai gomiti, le scaglie rimanevano rosee e diventavano rubine solo dall’avambraccio alle estremità delle dita artigliate, proprio come le gambe dal ginocchio in giù. Il suo viso cambiò leggermente forma, con il naso più schiacciato e le labbra più sottili. Sentì bussare. Prima di rispondere, prese il controllo della sua voce e diede il permesso di entrare senza emettere alcun ringhio draconico. Elénaril sobbalzò nel vederlo.

«Chiedo scusa per questo aspetto, non ho ancora perfezionato la forma draconiana.»

«La tua coscienza è ancora intatta, però.»

«Sì, ma non per molto. La forma draconiana è più pericolosa della mia indole demoniaca. Se mi lascio andare ai miei istinti demoniaci, ucciderò, sì, ma solo per appagare la mia fame. Come draconiano, invece, sarò solo affamato di distruzione. Entrare in forma draconiana è come dare in pasto la mia coscienza ad una bestia feroce. Non imparare a controllarla equivale a lasciare la bestia in una gabbia e prima o poi la distruggerà e se ne libererà. Invece devo imparare a domarla: devo entrare nella gabbia e sottometterla alla mia volontà fino a che non diventa docile ed inoffensiva. In questo momento nella mia mente è in atto una battaglia tra me e questa bestia e più rimango in forma draconiana incompleta, più la bestia diventa forte. Al momento non posso restare così per più di cinque minuti senza perdere il controllo. E in termini di utilità non posso che sfruttare il 40% di ciò che può offrire una trasformazione perfetta. sospirò, riacquistando il suo abituale aspetto da mezz’elfo.Che cosa volete?» chiese con un sorriso.

«Ti ho portato qualcosa. Ma prima... posso?»

La altmer sorrise e si sedette sul bordo della vasca da bagno, dietro a Siirist che si era accomodato su uno sgabello. Prese i capelli del Cavaliere ed incominciò ad intrecciarli, creando, dopo dieci minuti, una lunga e sottile coda che si appoggiava sul resto della chioma. Diede forma anche a due treccine che partivano dalle tempie e andavano fino alla nuca, dove si univano alla coda.

«Hai dei capelli bellissimi, sarebbe un peccato tagliarli. Eppure...»

«Eppure...?»

«Non lo so, non trovo ti donino.»

«Credo Alea la pensi allo stesso modo. Quando mi ha visto pareva incerta.» ridacchiò.

Elénaril sorrise.

«Vieni.»

Siirist seguì la donna fuori dal bagno e vide che aveva lasciato una scatola di legno intarsiato sopra ad un tavolino nel salotto privato della sua stanza. Era poco più di quaranta centimetri nei lati lunghi e sui dieci su quelli corti, di un’altezza di dieci. Il coperchio era tondeggiante e nella parte centrale guadagnava due centimetri di altezza.

«Che cos’è?»

«Qualcosa di molto importante. Aprila.»

Siirist aprì la scatola e dentro la trovò riempita con un cuscino nero con ricami bianchi. Al centro si trovava un pugnale dritto a doppio filo. La lama era divisa in due, le due parti separate da mezzo centimetro di spazio in tutta la lunghezza. Era bianco avorio e l’elsa nero pece, con una guardia circolare molto piccola, nera sotto e bianca sopra, dove si congiungeva con l’impugnatura. Sulla lama, in rune elfiche dello stesso nero dell’elsa, era scritto Vee’ dina vee’ daer.

«Silenziosi come le ombre.»

«È il motto della mia famiglia. Il nostro emblema è un assassino che impugna un pugnale.» spiegò Elénaril.

«Grazie, ma perché?»

«Prendilo come un segno di accettazione da parte mia nella nostra famiglia. Intendo nella mia. Credo che, con il tuo carattere, ti sentiresti più a tu a tuo agio come un Hasterien che un Ilyrana, poiché discendiamo da una stirpe di assassini e non siamo sempre stati nobili, a differenza degli Ilyrana.»

«Eppure anche loro erano nobili minori un tempo.»

«Vero, ma con la caduta dei Ryfon, sono gli Ilyrana che hanno preso il loro posto tra le grandi case della Foresta Antica.»

«Grazie mille, davvero, significa molto per me.»

«Sono io che devo ringraziarti. Sei molto importante per Alea, le hai dato qualcosa che temevo non avrebbe mai trovato.»

«Per colpa dell’educazione impartitale da Elisar.»

«... Sì.»

«Sono io che dovrei ringraziare voi, tutti e due, per aver dato vita ad Alea. È grazie a lei che sono la persona che sono. È stato con lei in mente che sono riuscito a superare tutte le difficoltà che ho finora incontrato.»

L’elfa abbracciò il Cavaliere e si congedò.

 

«Finalmente dopo due anni l’hai completato! Il sigillo di 666.» constatò felice Eleril, esaminando il grimorio del suo discendente.

«Sì. Ora manca solo di far incantare le spade.»

Tra le armi di Adamantio di Ilirea, vi erano 971 spade. Siirist ne aveva accuratamente scelte 666, tutte ad una mano o una mano e mezzo, dritte, alcune a doppio filo e altre a uno. Aveva lavorato sodo nel creare la teoria dietro al sigillo anti arti mistiche e poteri demoniaci: si trattava di un cerchio composto da spade con all’interno, disseminate sul terreno, altre spade: 333, posizionate in specifici punti come ad esempio la circonferenza, creavano il sigillo, l’altra metà era utilizzabile per combattere. Le uniche due forme di misticismo possibili all’interno dell’area del sigillo di 666 era il rimandare le spade a Oblivion con una contro-invocazione e una speciale tipologia di dislocazione legata alla seconda metà di spade. Toccandone una, Siirist aveva la capacità di rilocarsi accanto a qualsiasi altra delle 332 spade. Ora mancava solo di portare le spade a Kami no seki e farle incantare; avrebbe anche dovuto far incantare le altre migliaia di armi per poterle manipolare con la telecinesi, come faceva Eimir.

Eleril era rimasto molto impressionato dal lavoro del giovane Ryfon. Ma ancora più da lodare era come questi avesse finalmente perfezionato lo stato draconiano. Con esso, poteva raddoppiare il bonus di douriki fisici ottenuto da Rorix per un tempo limite di dieci minuti; ora tutto ciò che doveva fare era allenarsi per estendere quel limite di tempo. Tre anni passati a Rivendell, tre anni spesi a soffrire nel ripensare al breve momento che aveva passato con Alea, per poi doverla guardare volar via.

L’elemento Alba di Eleril era una fusione di luce e oscurità, i due elementi a cui l’elfo risorto era affine, una particolarità unica nel suo genere in tutta la storia della magia; il Cavaliere d’Alba non era considerato il più forte mai esistito per niente. Creava una sfera di luce argentea dai grandi poteri, ancora più devastanti se al posto della magia di luce si utilizzava il fuoco bianco di Soho. Ma Siirist non poteva utilizzare la variante divina perché prima sarebbe dovuto andare a visitare gli angeli che gli avrebbero dovuto risvegliare il sangue angelico con un rito simile a quello utilizzato da Aulauthar. Secondo Eleril non mancava a Siirist più di un altro anno prima che imparasse ad utilizzare l’elemento Alba completamente magico e potesse passare ad apprendere la versione con il fuoco bianco. Con lo stomaco che brontolò dalla fame, il mezz’elfo lasciò la tomba dell’antenato e ritornò alla casa di Alea per il pranzo. Si era appena seduto a tavola quando sentì l’anello d’argento al mignolo destro entrare in risonanza con la mente di Glarald.

«Credo sia il caso che vieni a Hellgrind appena possibile: l’Adamantite è completata.»

Siirist avrebbe voluto divorare tutto il cibo che aveva davanti, ma per rispetto ai nobili Ilyrana evitò. Mezz’ora dopo si congedò e si dislocò istantaneamente. Quando apparve nella fucina di Totosai, lo trovò a battere con il suo lungo martello su una lama in lavorazione, Bhyrindaar era impegnato a scrivere qualcosa mentre Hans lucidava una lama di pugnale appena terminata.

«Bene arrivato. Sarai felice di sapere che è finita.» disse l’umano dai capelli candidi, porgendogli la lama che aveva in mano.

Siirist si complimentò per l’ottima pronuncia della lingua dei demoni e accettò l’oggetto letale. Era pesante, più pesante dell’Adamantio, con l’Hellsteel che aveva una massa più densa del mithril. Solo quella lama doveva essere sui dieci chili. Siirist indovinò 8.7. Come l’Adamantio, aveva un colore indefinito, ma l’aggiunta di Hellsteel rendeva il risultato finale più scuro rispetto alla versione con il mithril.

«Ora ci mancano solo le ossa di Tyron per potervi forgiare delle armi senza eguali e un’armatura allo stesso livello, Cavaliere d’Inferno.» sorrise l’elfo.

«Temo che il vostro lavoro non si limiti solo a quello.» rispose il mezzo demone, mostrando il suo grimorio.

Elfo e umano lessero avidamente tutti gli appunti (con tanto di immagini dettagliate) riguardanti i riequipaggiamenti, mentre il vecchio demone continuava a martellare noncurante.

«Ci serviranno molte più ossa di drago terrestre. Ormai quello che ci hai portato tre anni fa è quasi esaurito.» disse Hans.

«Può bastare per il riequipaggiamento del Guerriero?»

«Solo per l’armatura, la spada e lo scudo, forse solo armatura e spada.»

«Cavaliere d’Inferno, volevo anche dirvi che con Totosai ho lavorato su una variante dell’argento che può neutralizzare tutti i poteri demoniaci ad eccezione del vostro.» disse Bhyrindaar.

«E come si fa?»

«Usando le tue penne, chiaramente. Apri le ali, ragazzo.» disse Totosai, avvicinandosi.

«Quante ve ne servono?»

«Una per spada e una per la quantità di argento che verrà applicata su ciascuna spada.» rispose il demone.

«D’accordo. Intanto occupatevi del riequipaggiamento del Guerriero. Quante penne serviranno per l’argento dell’armatura?» rispose togliendosi la tunica e aprendo l’ala destra.

«Daccene una decina, tanto per essere sicuri.» rispose Hans.

«D’accordo, tenete. Io adesso vado al nido degli Inferno. Vi lascio i miei appunti sui riequipaggiamenti. Credete possiate procurarvi tutti i materiali?» disse strappando le pagine dal grimorio.

«Non dovrebbe essere un problema fintanto che ci procuri ossa di drago. Sei proprio sicuro delle dimensioni delle armi del Distruttore?» disse Hans, leggendole.

«Assolutamente. Allora vi saluto.»

 

‹Sei pronto?›

Rorix alzò la testa e fissò i suoi occhi rubini in quelli azzurri del suo Cavaliere. Siirist si sedette sulla sedia accanto al suo letto, sul quale era steso il drago, e guardò fuori dalla finestra.

‹In questa meravigliosa stagione, sarebbe bello ritornare a Rivendell in volo e godersi la vista della città in tutto il suo splendore. Ti dirò che la tua dislocazione mi sta facendo sentire inutile.›

Ryfon rise e accarezzò la testa squamosa.

‹Non posso dislocarmi da nessuna parte se non ci sono stato prima. Inoltre è pericoloso rilocarsi in un luogo che non è stato preparato appositamente, lo sai. Quando torneremo a Vroengard lo faremo insieme, come drago e Cavaliere.›

‹Voglio ritornarci da Hellgrind.›

‹Così arriviamo dalla direzione della baia a sud est?›

‹È il punto più incantevole attorno all’isola, con il suo mare cristallino e le isolette dell’arcipelago. Direi che l’alba sia il momento più appropriato per fare il nostro trionfale ritorno, con il sole alle spalle e tutto...›

‹Non ti facevo così romantico.› commentò il mezz’elfo con un tono di ilarità.

‹Romantico? Ho detto “trionfale”, non hai sentito?› si indispettì il rettile..

‹Sì, sì... Ora andiamo.›

Siirist prese la piccola sella e la mise sulla schiena del compagno mentale, legandola bene sotto al ventre. Dislocò entrambi fuori dalla capitale altmer e l’Inferno assunse dimensioni da cavalcata, con la sella che magicamente si adattava in grandezza. Il Cavaliere si sedette su di essa ed il drago calciò da terra sbattendo le ali. In tre ore raggiunse il nord est di Cyrodiil, oltre Chorrol, alle pendici dell’altopiano della Piana della Bonaccia, duecento metri più in alto. Tra essa ed il massiccio del Gagazet vi era il crepaccio che Siirist ricordava aver intravisto durante il suo viaggio con Althidon, Evendil ed i suoi due amici per andare sulla montagna ad allenarsi. Lì gli Inferno avevano fatto il loro nido. La stagione degli amori era fine settembre, perciò Ryfon ed il suo compagno mentale erano quattro mesi in anticipo. Non avrebbero dovuto incontrare troppi Inferno, almeno era quello che sperava il biondo.

‹Ci sono io con te! Vedrai che non avremo problemi, anche se ne incontrassimo a centinaia!›

‹Ma se anche tu sei nervoso, lucertola timorosa!›

‹Ha parlato il mezza sega, altro che mezzo demone!›

Ma tutti i bisticci terminarono quando il drago rubino raggiunse il limite di Cyrodiil: erano proprio di fronte all’ingresso della vallata. Larga sui cinquanta metri, la parete di destra, che segnava il bordo della Piana della Bonaccia, era di duecento, quella di sinistra, le pendici del Gagazet, era incalcolabile. I due entrarono nel territorio dei sovrani della razza dei draghi, l’Inferno addomesticato che si muoveva con passo guardingo, il mezz’elfo, seduto sulla sella, che si guardava intorno. Sentì una presenza ostile e innalzò una barriera nel momento in cui vide esplodere alla sua destra, all’interno di una caverna, delle violente fiamme rosso scuro. Due occhi rubini brillarono all’interno dell’oscurità, sollevandosi in contemporanea all’estensione del collo, ed il drago che li possedeva fece capolino dalla sua tana. Per un momento Siirist perse la sua concentrazione e stava per far disperdere lo scudo di luce che circondava lui ed il compagno mentale. Pure Rorix rimase scioccato. Siirist ricordava bene come Evendil gli avesse detto che i draghi addomesticati dei Cavalieri avessero un aspetto più addolcito rispetto a quelli selvaggi e non poteva certo considerarsi felice di fare la prima esperienza con un drago selvatico proprio con un Inferno. Non aveva niente a che vedere con i draghi terrestri o quelli marini e nemmeno con Rorix che, ormai, aveva raggiunto la sua forma adulta e l’unica cosa che poteva continuare a crescere era la sua stazza. Il suo Inferno aveva scaglie rosse di un brillante rubino sul petto, l’addome, la gola, il sotto della coda e le zampe e rosso scuro, come le sue fiamme, sulla schiena e lungo la coda, di un colore che scemava in maniera uniforme fino a raggiungere la parte color rubino. Le quattro zampe avevano cinque dita artigliate nella stessa posizione di quelle di una mano umanoide. Le sue ali membranose erano rosso scuro nella parte ossea, mentre la pelle era rubina e, quando l’ala era alzata a coprire il sole, creava una luce tendente al rosso. La lunga coda terminava con un ingrossamento osseo, utilizzabile come mazza, che, però, era difficilmente notabile dalla distanza. Il lungo collo terminava con una testa possente, grandi fauci e una mandibola forte. E sul capo vi era l’orgoglio di Rorix, le sue nove corna, che, dopo vari stadi, erano finalmente tutte cresciute. Avevano la forma di sciabole, belle e lisce, dalla forma precisa. Le due più indietro, sulla nuca, erano le più grandi ed a contatto con esse vi era la seconda coppia, dalla eguale forma ricurva, ma un terzo più piccole, sia in lunghezza che in larghezza. Le altre due coppie erano allineate in modo da formare un triangolo che terminava con il nono corno, appena venti centimetri quando il drago era nelle sue vere dimensioni, della forma di un pugnale ad un filo con la lama, rivolta in avanti, appena ricurva. L’Inferno selvatico era tutta un’altra faccenda. La differenza di colorazione delle scaglie non era così omogenea e poteva avere striature rosso scuro anche sulla zampe. La punta della coda era notevolmente più grossa e da essa spuntavano delle escrescenze ossee appuntite, come quelle che gli percorrevano la colonna vertebrale, piccole sulla coda e sul collo, poi sempre più grandi verso il centro della schiena, la più imponente lunga almeno quattro metri. Le dita delle zampe erano quattro, con il quinto artiglio che spuntava dal tallone. Le corna erano più grosse e dalle forme seghettate, la mandibola pure era ricoperta di punte acuminate, che la rendevano più minacciosa di quella di Rorix, senza contare le grosse zanne bianche che spuntavano dalla bocca anche quando essa era chiusa, due paia dietro e un paio di fronte, proprio sotto le narici. Ma la differenza più terrificante erano gli occhi. Rorix, se paragonato a tutti i draghi dell’Ordine, aveva occhi più feroci, li aveva sempre avuti, anche da cucciolo, ed il modo in cui Zelphar aveva sempre trattato lui o Eiliis o persino l’Incubo Asthar, era stato differente. Come Althidon con Siirist, Zelphar era sempre stato severo con il suo allievo combina guai, lo aveva sempre punito, spesso fisicamente. Ma in ogni sua azione, vi era sempre stata della titubanza, come se il drago millenario fosse stato istintivamente timoroso del cucciolo dalle scaglie rosse. Ma la sensazione di pericolo che si provava nel guardare gli occhi dell’Inferno selvatico era qualcosa del tutto nuovo. Guardava i due intrusi dall’alto, da un’altezza di settanta metri, quasi quanto la grotta che era la sua tana. E non aveva nemmeno esteso il collo. Ogni suo passo scuoteva il terreno ed il suo profondo ringhio era come il rombo di un tuono distante. La sua massa era così imponente che il mezz’elfo non riuscì nemmeno a calcolarla tutta, soprattutto perché la sua attenzione era tutta sui suoi occhi ardenti. Tra gli sguardi dei due vi erano sui cento metri di differenza, se si teneva conto dell’altezza di Siirist seduto sulla sella a nove metri di altezza da terra ed il collo di circa quaranta metri che si estendeva dai settanta metri al garrese del gigantesco rettile. I due metri di collo di Rorix facevano poco per accorciare le distanze.

‹Questo ci mangia vivi, se vuole.› disse l’Inferno addomesticato, immobilizzato per la paura.

Siirist cercò di richiamare il Flusso vitale e di entrare nel suo stato di calma assoluta, cercando di creare il suo potere del Vuoto. Tutto inutile, la vista di quel drago gli impediva di concentrarsi a dovere. L’Inferno selvatico aprì le sue fauci e Cavaliere e compagno mentale temettero, per un momento, che volesse esalare la sua fiammata. Invece emise un suono, una sorta di ruggito che portava con sé ciò che sembrava essere una parola.

‹Hai sentito bene?›

‹I draghi sanno parlare?!›

‹Lo chiedi a me? Tra i due dovresti essere tu l’esperto di draghi. L’ultima volta che ho controllato le mie ali erano piumate, non membranose.›

Il drago ancora parlò, per quanto ciò suonasse strano ai due moscerini che aveva di fronte. Spazientito uscì completamente dalla sua grotta e si diresse verso la zona interna del nido. Piegò il suo lungo collo e guardò in direzione degli altri due e nuovamente emise quei suoni misti ai suoi ringhi. Dopo diversi ascolti, e dopo aver realizzato che, ad ogni ripetizione, la componente di ringhio si faceva più intensa e spazientita, Siirist pensò di capire “Faal”.

‹Che vorrà dire? Pensi che voglia che lo seguiamo?›

‹Ancora una volta mi chiedi qualcosa che, a rigor di logica, dovresti essere tu a sapere.›

‹Scusa se mi sono schiuso per te e sono cresciuto con le lingue parlate alla Rocca e non con quella del mio nido che scopro per la prima volta ora esistere.›

‹Non ci hanno mai detto niente a Vroengard a proposito di un linguaggio dei draghi. Forse nemmeno loro ne sanno niente, d’altronde l’Ordine non si immischia mai con i draghi selvatici se non quando essi fanno dono delle loro uova. E in quei casi le comunicazioni sono svolte con la Vera lingua.›

‹Forse alcuni draghi selvatici la conoscono.›

‹Ma questo purtroppo no. Per ora non ci ha arrostiti, quindi proviamo a seguirlo.›

Rorix si incamminò dietro al drago circa quindici volte più grande di lui, camminando a debita distanza della mazza chiodata che erano gli ultimi sei metri della sua coda. Camminarono sotto a grotte che si aprivano su entrambe le pareti del crepaccio, per lo più vuote, ma da alcune di esse spuntarono alcune teste e poi ne seguirono i corpi degli Inferno che le abitavano. Essi si accodarono ai due che erano passati sotto, formando una processione in mezzo alla quale Rorix si sentiva insignificante. Entrarono in un lungo corridoio naturale che passava sotto al Gagazet e camminarono per qualcosa come sei ore.

‹Dove accidenti stiamo andando?› chiese Siirist che si sentiva perso.

‹Stiamo andando nella parte nord est di Spira. È una zona del Gagazet inesplorata. Ora so il perché, è il vero nido degli Inferno, e nessuno che ci si sia avvicinato è mai sopravvissuto per raccontarlo.›

Ryfon si complimentò con il compagno mentale per l’ottimo senso dell’orientamento.

‹È uno dei miei compiti più importanti, dopotutto.›

Quando ritornarono all’aria aperta era ormai buio. Siirist aveva incominciato ad avere fame già da un paio d’ore, senza contare che aveva iniziato a spazientirsi, più che altro per la sensazione di oppressione che gli dava lo stare sottoterra per un lasso di tempo così lungo. L’aria fresca fu un vero sollievo. Si trovavano all’interno di una gigantesca area tra il massiccio del Gagazet e l’Oceano Eltheric a nord di Tamriel. L’Inferno che li aveva guidati ringhiò qualcosa che, ancora, bipede e drago addomesticato non compresero.

Dice che siete arrivati.

La voce che risuonò nelle menti di Siirist e Rorix era indubbiamente di origine draconica, di un Inferno. Era la voce più antica che avessero mai sentito in un drago, era più simile a quelle degli Esper che a quelle di Skryrill o Moreus. La foresta e la torre mentali di Siirist tremarono quando l’uragano che era la voce dell’Inferno le colpì.

Non siate timorosi e avvicinatevi. Io sono il guardiano del nido. Secondo le vostre concezioni, bipede, potrei essere considerato il capo del branco di Inferno. Ma noi non abbiamo ruoli simili, siamo creature libere che non si piegano alla volontà di nessun altro. Tutto ciò che gli altri Inferno provano nei miei confronti è rispetto, come rispettano la nostra terra sacra. Che cosa vogliono il nostro dono ed il suo Dovahkiin?

Di fronte a loro si trovava un drago così grande da far impallidire quello incontrato all’ingresso del crepaccio. Come minimo aveva un’altezza al garrese di duecento metri, un collo sui novanta, un corpo intorno agli ottocento con una coda di seicento ed un’apertura alare intorno ai duemila metri. Era ora nel nido degli Inferno che Siirist apprezzò veramente per la prima volta la capacità dei draghi addomesticati di adattare le loro dimensioni.

Parlate la lingua degli elfi.

La penso, non la parlo. Noi dov siamo fisicamente incapaci di parlare le lingue di voi bipedi. Solo la nostra ci è possibile, la lingua che tutti i doni dei dovah all’Ordine dei Dovahkiin non conoscono.

Perché l’avete imparata?

Qualcuno deve pur farlo. I bipedi non conoscono la nostra lingua, sarebbe difficile donare uova senza una lingua comune.

Perché non ho mai sentito di una lingua dei draghi?! protestò Rorix.

Come la lingua degli elfi amministra la vostra magia, la lingua dei dov controlla la nostra. Hai certamente notato che la tua magia funziona in modo differente da quello del tuo Dovahkiin, dono, in un modo istintivo, quasi come un ruggito o una fiammata. Deve essere stata difficile da imparare a controllare. E questo è perché non parli la nostra lingua. L’Ordine dei Dovahkiin non è a conoscenza dell’esistenza della nostra lingua perché gli è sempre stata tenuta nascosta. Abbiamo fatto loro dono delle nostre uova, non dei nostri segreti. Chiedo scusa se la decisione dei dov abbia comportato delle difficoltà per te, dono.

La posso imparare?

Sì, ma dovresti restare qui per molto tempo. Tu sei bene accetto, dono, ma il tuo Dovahkiin non lo è. Potrà far parte del Patto, ma rimane un bipede.

Non importa. Se vuoi rimanere qui, io posso andare. Tanto non saresti bene accetto a Tronjheim, quindi gioca quasi a nostro favore.

Quindi vai dai nani ora?

Appena ho la mia spada.

Accetto. Ma prima io e il mio Cavaliere abbiamo qualcosa da fare, tornerò appena possibile.

Sei sempre il bene accetto, dono.

Abbiamo un altro favore da chiedervi, o saggio guardiano del nido. disse Siirist.

Dimmi, Dovahkiin.

Il motivo per cui siamo qui è perché sarebbe nostra intenzione prendere lo scheletro di Tyron, il vostro sesto dono all’Ordine.disse dopo qualche momento di esitazione.

Nelle menti di drago addomesticato e Cavaliere si scatenò una terribile tempesta. Si sentirono come schiacciati da una forza inarrestabile, la forza mentale di quel drago era qualcosa di mai provato prima. Se avesse voluto, li avrebbe potuti annientare con solo la sua furia: nemmeno Adeo avrebbe potuto far niente, Ryfon ne era certo.

Perché vorreste commettere un sacrilegio simile?! tuonò.

Ne ho pure parlato con Eleril, il suo Cavaliere, che è d’accordo. So che sembra assurdo, ma ha creato un incantesimo per ritornare in vita e assistermi nello studio del suo grimorio. Saggio guardiano, le ossa di Tyron miste al sangue di Vulcano darebbero vita alle armi più potenti mai create. E io ne ho bisogno per combattere il nemico di tutta Tamriel.

Vorreste ricreare le armi forgiate con le nostre ossa della dannata Ilirea?!

L’Inferno gigantesco pronunciò qualche parola nella sua lingua e tutti i draghi intorno ruggirono furiosi. Siirist non aveva bisogno del settimo senso per capire che tutti si erano fatti ostili nei loro confronti.

Sono un Cavaliere, non un Ammazzadraghi! Le mie armi non saranno mai rivolte contro un drago alato e nemmeno contro un drago marino, sacro alla famiglia reale dei demoni. Non posso dire lo stesso dei draghi terrestri, ma voi stessi cacciate quelle bestie senza controllo. Le armi in Adamantio sono incredibili e io sto andando contro un nemico che possiede ali resistenti a spade di Cristallo e un altro che presto avrà la forza di Soho. Ho bisogno dell’equipaggiamento migliore che possa avere. Il mio antenato Eleril Ryfon, sesto Cavaliere d’Inferno, ha dato il permesso di usare le ossa del suo compagno mentale. Ora chiedo che voi facciate lo stesso, o saggio guardiano del nido.

Il custode disse qualcosa e tutti gli Inferno selvatici si calmarono. Dopo ci fu qualche minuto di silenzio, infine acconsentì.

Seguitemi.

La luna era alta nel cielo, piena, e forniva una certa luce spettrale all’area, per cui a Siirist bastavano i suoi occhi elfici per vedere senza dover richiamare il sangue demoniaco. Rorix seguì il guardiano del nido con tutti gli occhi rubini degli altri Inferno su di loro. Per stare al passo con il drago millenario, il cucciolo era costretto a correre. In venti minuti raggiunsero i limiti della piana rocciosa e videro nelle pareti del massiccio del Gagazet un sentiero, se così si poteva chiamare, visto che era sufficientemente largo per far passare due draghi delle dimensioni del custode. Per loro era un sentiero, a Siirist pareva un viale imperiale. Altri dieci minuti e arrivarono ad un’altra vallata, solo che questa era disseminata di ossa. Erano tutte colossali, si sarebbe potuta costruire una reggia all’interno delle costole di quei resti mastodontici. Molte ossa spuntavano appena dal terreno, alcune erano persino parte delle pareti che delimitavano la vallata. Solo sei scheletri, dalla parte opposta a dove si trovavano loro, erano mantenuti perfettamente. E l’ultimo era qualcosa di unico.

‹Tyron visse 3027 anni. Non riesco a credere che possiamo crescere così tanto.› disse Rorix scuotendo la testa.

Siirist non riusciva nemmeno a capacitarsi delle dimensioni di quello scheletro. Solo la testa era così grande che avrebbe potuto ingoiare intero Rorix e altri cinque di lui. Ripensò alla fontana nella piazza centrale di Rivendell, a come, in verità, Tyron sarebbe stato grosso quanto tutta la città, anzi anche di più. Di nuovo lodò la capacità dei draghi addomesticati di adattare le loro dimensioni. E pensare che esistevano altre famiglie draconiche ancora più grandi degli Inferno, per quanto meno forti.

‹Una grandezza simile è pure insostenibile: per mantenersi non so quanto avrebbe dovuto mangiare. Senza contare l’impossibilità ad essere cavalcato, la mobilità è quasi inesistente, e una sella grande a sufficienza è impensabile!› osservò Rorix.

A confronto pure il guardiano del nido era insignificante. Eppure da quello che Siirist percepiva dal contatto mentale doveva avere ben più di duemila anni.

Quante delle sue ossa desideri, ToorDovahkiin?

Adesso state usando troppo della vostra lingua, guardiano.

Significa Cavaliere d’Inferno.

Capisco. Non so. Di sicuro non tutte, ma vorrei comunque portare via tutto lo scheletro, così che i fabbri possano decidere quali ossa usare. Quelle inutilizzate saranno restituite, ve lo assicuro.

D’accordo. Attendo la sua restituzione. Chiedo solo di non utilizzare le ossa del teschio. So che le zanne sono preziose nella costruzione di armi-ammazza-dovah, però non utilizzate il resto delle ossa della sua testa.

Come desiderate.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola AGAR HYANDA che verrà pubblicato giovedì 9 agosto. Finalmente viene forgiata la spada da Cavaliere di Siirist, ma qualcuno interferirà nella sua creazione... 

E ricordate tutti che alle 15:10 gioca la pallanuoto! Facciamo tutti il tifo per i campioni del mondo!

Ritorna all'indice


Capitolo 63
*** AGAR HYANDA ***


AGAR HYANDA

 

Siirist e Rorix apparirono con il colossale scheletro del sesto dono all’Ordine fuori dalle mura di Kami no seki. Esso era troppo grande per entrare nella caverna dei corrotti o per stare nel giardino del palazzo. Ryfon ne portò un femore alla fucina di Totosai ed i tre fabbri rimasero a bocca aperta nel vedere l’osso più lungo di cento metri.

«Almeno ne avremo a sufficienza per molte creazioni.» constatò Bhyrindaar.

«Siirist, ho letto che vuoi un’armatura, una spada ad una mano e mezzo, due ad una mano e tutte e tre con la lama della stessa lunghezza, un arco, sei lance, due mazze e quattro asce. Solo questo osso ci basta per tutta l’armatura. Potremo usare le ossa di Tyron anche per altri riequipaggiamenti.» propose Hans.

«No, esse sono solo per il Cavaliere. Ciò che avanza dello scheletro lo riporto al nido. Potete usare le zanne, ma non toccate il resto del teschio.»

«A giudicare dalle dimensioni del femore, credo che una zanna per arma sia tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Nemmeno si noterà la loro mancanza.» disse Totosai con il suo solito tono svampito.

Però i suoi occhi brillavano di una luce nuova. A differenza dei due fabbri di Rivendell, egli aveva lavorato con zanne e ossa varie tutta la sua vita. Da quando aveva messo le mani sulle ossa del drago terrestre, Siirist lo aveva visto lavorare con una foga e una motivazione nuova. E ora che aveva davanti le migliori ossa di drago esistenti, egli riconosceva più che bene la loro qualità. Era chiaro che non vedesse l’ora di cominciare a martellare.

«Ottimo. Prima che cominciate a lavorare con le ossa di Tyron, però, vi prego di finire di forgiarmi il necessario per il Guerriero. Voglio andare a cacciare altri draghi terrestri e essi sono il miglior modo per testare la nuova Adamantite. Io e Rorix ora andiamo a mangiare, resteremo qui a Dimora degli dei per un po’.»

 

Rifocillatosi a dovere, Siirist ricompensò Tomoko per averla svegliata a quell’ora improponibile della notte con un paio di ore di godimento, prima di addormentarsi insieme nel letto del mezzo demone. Era stata la prima volta che faceva sesso da quando aveva rivisto Alea e per quanto mangiasse sempre più carne, aveva incominciato a sentirne di nuovo il bisogno.

Si svegliò con il suono di Rorix che rosicchiava le ossa del toro che aveva mangiato per cena, proprio quando la bakeneko ritornò nella sua stanza con un vassoio ricco di cibo. Per quanto pure l’ora di pranzo fosse passata, la gatta sapeva bene che il suo padrone amava mangiare dolce appena svegliato, e per compensare i due pasti, aveva preparato una vera abbondanza di pietanze. Siirist incominciò a salivare il momento che vi posò sopra gli occhi. L’anno prima, Tomoko era andata a Zanarkand ad imparare un po’ della sua cucina. Siirist aveva fatto arrivare a Glallian una lettera in cui, oltre a dirgli di mantenere il suo segreto, lo informava della gatta e del suo desiderio di imparare a preparare le pietanze che più piacevano al suo padrone. Il granduca non aveva avuto problemi a far prelevare la demone da Nibelheim e portarla al suo palazzo. E ora i sei mesi di studi della bakeneko mostravano i loro frutti. Frittelle con sciroppo d’acero e marmellata di frutti di bosco a lato, riscaldata in modo da renderla quasi liquida. Pane tostato e inzuppato nello sciroppo d’acero con fette di pancetta affumicata. Spremuta d’arancia, crostatine di crema e fragole, una torta di mele, pane tostato con uova strapazzate, mini salsicce con attorcigliate fette di pancetta affumicata. Pesche sciroppate, una macedonia di pesche, albicocche, ciliegie, uva, fragole e banane, melone e cocomero. Il tutto accompagnato da diverse pagnotte e un piatto di salumi e formaggi ricoperti di miele. La frutta era tutta elfica, una vera prelibatezza nell’Impero Septim, dove costava oltre dieci volte quella coltivata nelle terre degli umani. Con i canti elfici, essa cresceva di molto ed era sempre dolcissima e succosa; inoltre ogni frutto era privo dei semi, perciò non era necessario perdere tempo a toglierli. Il mezz’elfo aveva imparato ad apprezzarla già a Vroengard, ma quella che aveva mangiato a Rivendell era stata tutta un’altra cosa. Per la sua felicità, Raizen aveva trovato il modo di importare frutta da Ellesmera.

Finito di mangiare, Siirist mandò giù una bella tazza di tè nero con miele e limone. Quando si sentì soddisfatto, prese Tomoko e la riportò a letto per altre quattro ore. Quando ebbe finito, le diede un bacio sulla fronte e andò sul suo terrazzo e bearsi della vista dei ciliegi in fiore. Richiamò i suoi istinti draconici, trasformando le pupille e allenandosi a mantenere la forma draconiana per un periodo di tempo sempre maggiore.

‹Stai indossando la Collana del Giuramento. Non ti senti in colpa a rimetterla subito dopo tutte le cosacce che hai appena combinato con Tomoko?›

‹Fottiti. Con il bisogno represso che avevo, mi sarei dovuto passare tutto l’harem, invece non l’ho fatto. Mi manca così tanto che mi fa sentire male pensare che anche le ore per noi sono diverse. Dannato fuso orario›

‹Potresti ritornare a Vroengard, almeno avresti la stessa ora sua.› scherzò Rorix.

‹Haha, divertente.› rispose ironico.

‹Oppure puoi andare a Zanarkand.›

‹Quella non sarebbe un’idea malvagia. Però prima devo andare ai Beor. Se, dopo che ho finito con i nani, non hai ancora finito di imparare la lingua dei draghi e a controllare bene la vostra magia, credo proprio che andrò a Zanarkand. Voglio ringraziare Glallian personalmente per il favore che mi ha fatto con Tomoko. E voglio anche vedere come sta.›

‹E Keira.›

‹Senza dubbio. Lei e la sua famiglia.›

‹E puoi procurarti armi a Materia per il riequipaggiamento del Pistolero.›

‹Esatto. Grazie al grimorio di Adeo so creare Materia e con le gemme del tesoro di Ilirea, ne potrò creare delle potentissime, ma mi mancano le armi con cui utilizzarle. Quasi, quasi vado prima a Zanarkand...›

‹No. La cosa più importante è parlare con i nani, non creare armi a Materia. Il Pistolero è secondario. Io studio con gli Inferno, tu vai a Tronjheim. Chi finisce prima aspetta l’altro. Io rimarrò al nido, tu puoi andare a Zanarkand. Ma il momento che abbiamo entrambi finito mi vieni a prendere e andiamo dagli angeli.›

‹Giusto, non ci stavo pensando... Eleril ha detto che mi manca più o meno un anno a perfezionare l’elemento Alba privo di fuoco bianco, ma senza di te dovremo posporre la seconda fase. Credi sia saggio perdere tempo così?›

‹Sì, perché sono entrambe cose fondamentali per riuscire a vincere. Ricorda, “i sette riuniti”. Se essi sono davvero tutti i popoli, dovrai sia andare a Tronjheim che ritrovare gli angeli. E credo sia meglio che io impari la magia draconica il prima possibile.›

‹Sì, hai ragione.›

Siirist uscì dallo stato draconiano e sospirò. Lo lasciava sempre affaticato, mentalmente e fisicamente, ma si stava abituando. Si sedette a terra a gambe incrociate con la schiena perfettamente dritta e incominciò gli esercizi di meditazione di Adeo.

‹Io vado a volare.› gli disse l’Inferno.

Il Cavaliere annuì prima di diventare completamente assorto nel suo mondo interiore. All’interno della sua torre ne aveva eretto una ancora più piccola in cui viveva una versione della sua coscienza in scala con la seconda torre. Dentro ad essa ve ne era una terza, poi una quarta, una quinta, una sesta, fino ad una decima. Siirist aveva esplorato i livelli della sua psiche sempre più a fondo, imparando a conoscersi meglio. Da quando aveva appreso il suo vero nome, aveva ottenuto un controllo sulla sua mente ben maggiore rispetto a prima, ma nonostante ciò, non aveva che scoperto dieci livelli mentali. Adeo aveva scritto nel suo grimorio di averne cinquantasette, e chi sa a quanto era arrivato in quegli anni.

Un’ora e mezzo dopo, Tomoko richiamò la sua attenzione e gli disse che la cena era quasi pronta e che la corte lo attendeva nel salone. Con un impeto di fame, Siirist affondò le zanne nel collo della serva e bevve qualche sorso abbondante di sangue prima di rilasciarla.

«Perdonami.» disse imbarazzato, pulendosi la bocca.

«Non fa niente, Siirist-sama. Sono felice vi siate trattenuto e non abbiate continuato.»

«È naturale per un vampiro volere sangue puro e non solo carne, Siirist-sama. Consiglio di aggiungerne alla vostra dieta. Il sangue di maiale sarebbe l’ideale, è molto simile a quello umano.» disse l’appena giunto Akira.

Doveva essere accorso il momento in cui si era accorto di cosa stava succedendo. Siirist si immaginò come avrebbero reagito gli Ilyrana se si fosse messo a bere sangue di maiale a tavola, oltre che mangiarne le carni. Ma forse non sarebbe stato troppo male, in quanto avrebbe significato sprecare ancor meno l’animale ucciso. No, sarebbe comunque stata una scena improponibile per degli elfi; lo avrebbe dovuto bere da solo in camera sua.

«D’accordo. Tomoko, fammene avere una caraffa a tavola.»

«Come desiderate, Siirist-sama.» rispose in un inchino.

«E vieni qui.» disse con un tono pieno di affetto.

Le appoggiò la mano sul collo e la guarì. Non le aveva invaso la mente, ma aveva utilizzato il trucco di Alea, che la altmer aveva insegnato ad Evendil, di inserire direttamente la corrente di Flusso vitale nel punto da rigenerare.

«La prossima volta che ti attacco, sperando che non ci sia, hai il permesso di attaccarmi. Anzi, ora ti ordino di ribellarti il più possibile e non stare lì a farti mangiare.»

«Lo sconsiglio. Avere una preda che oppone resistenza può solo stimolare i nostri istinti da cacciatore.» obiettò Akira.

«Allora, Tomoko, fatti dare da Bhyrindaar un pugnale rivestito di argento. Se dovessi attaccarti, pugnalami con esso e neutralizzerai i miei poteri demoniaci. Basta solo che eviti il cuore. Akira, fai munire di un pugnale identico tutte le mie concubine.»

I due demoni si inchinarono e Siirist raggiunse la tavola del nonno adottivo.

«Konbanwa, Ojii-sama.» si presentò all’Imperatore.

Questi ricambiò il salito e Ryfon si sedette sul suo lato sinistro, quattro posti più in là. Quella sera non era un ospite d’onore e il suo rango non gli permetteva sempre di sedere al lato d’importanza dell’Imperatore, dopotutto. Quel posto era occupato da Kikyou, e accanto a lei vi era Alucard. Tra il padre del vero Raiden ed il suo sostituto sedeva Kaede che felicemente accolse suo “fratello”.

«Ben tornato.»

«Grazie, è bello essere qui.»

«Cosa hai fatto in questi tre anni?»

«Ho perfezionato lo stato draconiano e imparato un nuovo elemento. Ho anche conquistato sette Esper di Oblivion!»

«Incredibile! Vuoi combattere dopo?» sfidò eccitata.

«Ma sì, sarà un buon esercizio dopo cena.»

«Me, me! Affronta me!» disse già pronto Kenpachi.

Si era alzato in piedi e aveva messo un piede sul tavolo. Siirist guardò alla sua sinistra, undici posti più in là, e vide il suo vecchio maestro di spada che brandiva la sua katana in aria, il suo solito sorriso maniacale che gli deturpava il viso e l’occhio che brillava di una malata luce dorata. Altri tre demoni erano impegnati a trattenerlo e impedirgli di avventarsi sul mezzo demone.

«D’accordo, vi affronterò entrambi. Ma, in tal caso, dovrò mostrare un po’ di impegno. Non ve la prendete con me se vi fate male.»

«Kenpachi e Kaede allo stesso tempo? Sei sicuro, Siirist?» chiese sorpreso e interessato Raizen.

«Sì, nonno. Mi darà modo di vedere bene quanto sono migliorato. Ma niente fuoco nero, Kaede, può essere pericoloso se lo usiamo.»

«È solo un vantaggio per me, fratellone, visto che non ho a disposizione le arti sacre.»

«Allora dopo cena Siirist, Kaede e Kenpachi ci intratterranno con un duello!» proclamò Raizen.

Tutta la sala esultò, ma Bhyrindaar si oppose. Tutti gli sguardi caddero su di lui, a tre tavolate di distanza da quella sopraelevata dell’Imperatore, dove sedeva accanto a Hans e Totosai.

«Per quale ragione ti opponi, mastro Bhyrindaar?» chiese gentilmente Raizen.

Tutta i presenti, che avevano incominciato ad insultare l’elfo, si azzittirono. Dopo più di trent’anni, quella voce dava ancora i brividi a Siirist. Era lo stesso tono che l’Imperatore aveva utilizzato la prima volta che lo aveva visto. In essa era inserita la sua Intimidazione, e tutta la paura che ne derivava attanagliava chi la sentiva, metteva le radici nelle loro menti e nei loro corpi fino a che pure le ossa sentivano brividi di freddo. L’altmer deglutì prima di rispondere.

«Stiamo lavorando sulle spade del Cavaliere d’Inferno, forgiate con le ossa del grande Inferno Tyron. Chiediamo di posticipare il duello fino a che siano complete. Con esse il Cavaliere d’Inferno potrà sfruttare veramente al meglio tutte le sue capacità. Sono sicuro che lo scontro si rivelerà molto più interessante, Maestà.»

Raizen rifletté sulle parole dell’elfo, infine acconsentì. Le voci della sala ricominciarono a farsi sentire, ed alcune dicevano che sarebbe stato interessante vedere cosa avrebbe combinato il mezzo demone con queste spade, altri si lamentavano, affermando di voler vedere subito lo scontro. Tra questi vi era, ovviamente, Kenpachi.

«Ti affronterò sia ora che dopo!»

Siirist sospirò. Alzò la mano e, in stato di calma assoluta, la puntò in direzione del licantropo.

«Spinta onnipotente.»

Per avere veramente effetto contro la forza devastante del demone, Siirist doveva ricorrere alle sue magie spaziali piuttosto che a quelle di vento. Creò una repulsione talmente forte da scaraventare via Kenpachi e farlo sbattere contro la parete di marmo rosso. Ancora, se il materiale non fosse stato quello eccellente che era, si sarebbe sbriciolato per la forza dell’impatto.

«E con le sue spade, la forza sarà decuplicata.» sorrise Bhyrindaar.

Il licantropo si rialzò con difficoltà, ma la sua espressione di feroce gioia era solo più accentuata.

«Interessante! Va bene, aspetterò.»

«Decuplicata? In che modo?»

Siirist decise di adottare la lingua elfica per non rivelare troppo i segreti delle sue spade. Dei presenti, solo Raizen e Glarald capivano, e chiaramente Hans, ma egli era l’assistente dell’altmer, perciò era già a conoscenza di ciò che questi stava per dire.

«Su alcune delle ultime armi di Adamantite che abbiamo forgiato, Hans ha applicato degli incantamenti. Il materiale è risultato così resistente da poter sopportare amplificatori fino a 10x. Sorpassa di gran lunga il Cristallo ed è pure meglio dell’Adamantio, che ne ha solo fino a 9x.»

«Bene, molto bene! Credete possano esserci delle interferenze con l’amplificazione dei poteri demoniaci con le mie penne?»

«Non dovrebbero, ma dobbiamo verificare prima di poterlo dire con certezza. Tra due giorni avrete la spada e l’armatura del Guerriero, Cavaliere d’Inferno. Allora potrete andare a cacciare qualche drago terrestre; al vostro ritorno avrete le vostre spade.»

 

Il mattino dopo, terminata un’abbondante colazione e dopo due ore a letto con Tomoko e altre due concubine, Siirist e Rorix volarono nei cieli di Kami no seki, allenandosi in combinazioni di attacco dalla sella. A pranzo Siirist mandò giù il cibo con qualche buon bicchiere di sangue di maiale, e dopo, in stato draconiano, si allenò con l’elemento Alba, per la grande sorpresa di Raizen. Rorix volò via dalla città per tutto il pomeriggio, ritornando solo la sera con un bue gigante tra le zampe. Animale tipico di Hellgrind, poteva essere sia domestico che selvaggio. Aveva il pelo marrone e tre grossi occhi rotondi; Totosai ne aveva uno addomesticato, ma esso era appena un vitello. Quello catturato dall’Inferno era almeno dieci volte più grande.

‹Ne ho cacciati due. Uno l’ho mangiato sul posto, questo qui è per domani.›

‹Ottimo lavoro.›

Il giorno seguente, intorno a mezzogiorno, Siirist andò alla fucina di Totosai. La sua prima armatura era pronta. Era una veste di pelle di drago, nera come la notte, con una corazza rivestita d’argento che lasciava la spalla sinistra (dove si trovava un’imbottitura di pelle di drago) completamente libera, mentre la destra era perfettamente ricoperta e protetta. Vi era una protezione per il gomito destro ed il guanto di pelle era ricoperto da alcune placche di Adamantite. Il guanto sinistro, invece, era più grosso ed arrivava oltre metà avambraccio, il gomito era imbottito. Il polso aveva una mobilità perfetta e la mano forniva una presa ottimale. Le gambe erano protette da stivali di pelle imbottita e rivestita di Adamantite che arrivavano oltre le ginocchia e la zona tra la vita e la coscia era ricoperta da un gonnellino di maglia di Adamantite rinforzato da alcune placche. La maglia era nera, ricoperta da un argento dal colore modificato, le placche dell'abituale colore grigiastro del metallo prezioso. Accanto all’armatura vi era una spada, la lama nero profondo di un metro e venti, l’elsa di venti centimetri argentata e l’impugnatura rivestita da seta nera. Lo scudo, circolare, dal diametro di mezzo metro, era completamente nero.

«Abbiamo applicato gli incantamenti che hai specificato e non ci sono stati problemi con la penna. Ora manca solo che applichi il tuo sigillo. Come hai richiesto, tutta l’armatura è un pezzo unico.» spiegò Hans.

Bhyrindaar e Totosai erano troppo impegnati a progettare le spade per distrarsi.

«Ottimo. A che punto siete con le armi di Ilirea?»

«Abbiamo incantato 117 delle 666 spade e altre quattordici spade, nove lance, undici asce, due scudi.»

Siirist annuì e diede una pacca al suo vecchio datore di lavoro; prese il suo armamentario in Adamantite e le armi di Adamantio che non facevano parte del Sigillo di 666 e dislocò tutto nella sua stanza. Ora iniziava la parte complessa. Se si fosse semplicemente dovuto occupare di porre sotto sigillo le armi, non sarebbe stato difficile, ma ciò che doveva fare era legare spada e scudo all’armatura. Un’invocazione richiedeva qualche secondo tra l’apertura del portale e la completa materializzazione di ciò che veniva richiamato da Oblivion, e a Siirist quel tempo andava bene se cambiava riequipaggiamento, ma non voleva che tutte le armi di un unico riequipaggiamento fossero così lente ad apparire. Eimir aveva risolto questo problema, creando un suo sigillo personale che poneva le armi in una posizione subordinata rispetto all’armatura. In questo modo le armi erano in un limbo tra le due dimensioni e potevano materializzarsi e smaterializzarsi in un istante. Inoltre, così, si evitava di aprire più portali e si risparmiava energia. Siirist non ci aveva mai provato, e doveva fare tutto per bene, se no rischiava di rovinare per sempre le armi appena create. Prima di farlo, decise che fosse meglio provare a mettere sotto sigillo qualcosa di più banale, così ritornò alla fucina e prese una spada e un elmo di Hellsteel dai mucchi accatastati. Ritornò in camera e prese gli oggetti in Adamantite e da lì si dislocò a Ilirea. Attivò il portale per Oblivion, impostando le coordinate per il sesto piano. Percorse le terre infuocate di Ifrit con elmo e spada di Hellsteel che gli levitavano accanto, la spada di Adamantite impugnata, lo scudo imbracciato e l’armatura stretta tra il petto e le braccia incrociate. Le armi di Adamantio seguivano, comandate telepaticamente. Raggiunse l’Esper che lo salutò con piacere.

«Ti spiace se custodisco qui le mie armi?»

«Nessun problema, padrone, sarei felice di proteggerle.»

«Mille grazie.»

Con la magia di terra, creò una stanza cubica dal lato di cinquecento metri sotto al lago di magma percorsa da scaffali ogni due metri. Su alcuni appoggiò le armi slegate dagli equipaggiamenti dopo averle messe sotto sigillo, in altri creò dei manichini. Incominciò a lavorare sui sigilli, tracciando i cerchi con il suo sangue, e ne disegnò uno a terra, uno sull’armatura, uno sulla spada ed uno sullo scudo. Mise l’armatura su un manichino al centro del grande sigillo dell’aquila a terra, appoggiò la spada e lo scudo ad una rastrelliera vicina. Allora mise sotto sigillo elmo e spada e incominciò a tracciare il sigillo personalizzato di Eimir. Dopo quattro tentativi (già dopo il primo sarebbero stati inutili se Siirist li avesse dovuti realmente utilizzare), il mezz’elfo capì esattamente come fare e applicò i sigilli di legame anche ad armatura, spada e scudo di Adamantite. Quando ebbe finito ritornò a Ilirea, da lì alla caverna di Glarald e poi alla fucina di Totosai.

«Allora?» chiese Hans.

«Potrei avere la vostra attenzione, per favore?»

Bhyrindaar e Totosai, richiamati dal mezzo demone, si voltarono. Senza nemmeno dar loro il tempo di chiedere che volesse, egli aprì il portale per Oblivion, i cinque cerchi neri concentrici del sigillo dell’aquila che apparvero sotto i suoi piedi. In due secondi i suoi vestiti furono trasferiti a Oblivion mentre l’armatura li sostituì. Quando la ebbe addosso alzò le braccia e spada e scudo apparvero in una nube di luce nera, la spada stretta nel pugno sinistro, lo scudo saldo sull’avambraccio destro. I fabbri esultarono e Siirist rimandò le sue armi a Oblivion, e si ritrovò con i suoi vestiti di prima.

«Vi lascio altre penne e vado a cacciare qualche drago!»

Era risaputo che il deserto di Dalmasca ospitasse svariati draghi terrestri, così come le radure di Ivalice e Spira. Non molti se ne trovavano a Condoria, ma qualcuno era anche lì. Altri draghi terrestri si erano stanziati nel nord di Alagaesia, oltre il regno elfico, un luogo che si contendevano pure con i draghi alati; lì si trovava addirittura il nido dei Custodi. Siirist pensò che quello potesse essere il luogo più semplice in cui trovare un drago, e si dislocò con Rorix a Rivendell. Da lì, i due, invisibili, volarono oltre la regione collinare degli altmer e uscirono dal regno di Aesar. Il primo drago lo incontrarono ad un’ora dal tramonto. L’ingresso della sua grotta era grande abbastanza da far passare tre Rorix a grandezza completa.

‹Stavolta resti tu indietro. Anzi, un po’ vanne a cercare qualcun altro.›

Siirist saltò giù, utilizzando una magia d’acqua per camminare sulla superficie della pozzanghera in cui il suo compagno mentale era atterrato. Gli stivali di cuoio marrone nemmeno produssero uno schizzo. Quando il drago decollò, però, la pozzanghera esplose e Ryfon fece appena in tempo a produrre una barriera di elemento acqua attorno al corpo che impedisse agli schizzi di bagnarlo. Nonostante fosse fine maggio, così a nord la temperatura poteva essere più fredda che fresca a quell’ora del giorno, così alzò il cappuccio del mantello da viaggio marrone scuro. Sotto indossava una tunica di cotone beige e dei calzoni di cuoio e cotone dello stesso colore degli stivali. Alla vita aveva legata una cinta di cuoio che reggeva un borsellino con dentro sette monete d’oro, undici d’argento, cinque di bronzo e sei di rame. Al collo teneva la Collana del Giuramento, all’indice destro l’anello della Gilda dei Ladri, coperto dal guanto di cuoio che arrivava a metà avambraccio, come quello sulla sinistra. Tutto sarebbe stato sostituito dall’armatura del Guerriero e sarebbe finito a Oblivion sul manichino, grazie al sigillo dell’aquila tracciato lì, che permetteva una sostituzione. Eimir aveva studiato molto prima di riuscire a trovare il modo di sostituire le sue armature ai vestiti di tutti i giorni. Prima di allora si era trovato costretto a restare nudo prima di un’invocazione, altrimenti le sue armature finivano sopra ai vestiti. L’interno della caverna era buio pesto e per vedere Siirist dovette richiamare il sangue demoniaco. Scese per cinque minuti in profondità e girò due angoli prima di arrivare all’antro del mostro. Questi notò immediatamente l’arrivo del bipede e liberò una fiammata. Siirist alzò una mano e la divise in due.

‹No, niente magia di fuoco. Ora uso il Guerriero e le abilità associate.›

Richiamò l’armatura da Oblivion nel momento in cui annullò il flusso magico dalla sinistra, torcendo il busto. La spada apparve nella sinistra e lo scudo sul braccio destro, ricevendo in pieno le fiamme arancione scuro del drago. Gli incantamenti su di esso creavano una barriera sufficientemente grande da coprire tutto il corpo del suo possessore e questi partì alla carica, fulmini rubini che circondavano la lama nera. Sì, ne sentiva già il potere, sentiva già gli amplificatori e la sua penna funzionare all’unisono per potenziare la sua arte demoniaca. Il drago interruppe il suo respiro e fece per azzannare il mezz’elfo, ma questi abbassò lo scudo e sollevò la spada verso l’alto, i fulmini che si facevano sempre più intensi.

«Sentiero scintillante!» disse portando la spada indietro e menando un montante con il filo falso.

Sul terreno venne tracciata una brillante linea rubina che passò sotto al gigantesco corpo del drago, percorrendolo in tutta la sua lunghezza. Emanò delle forti scariche ed esplose, colpendo il rettile, e facendolo ruggire di rabbia e dolore. Anche la grande resistenza alla magia delle scaglie di drago, solitamente vulnerabili solo ad attacchi perforanti e studiati appositamente, non servì a niente. Era come se anche gli incantesimi lanciati attraverso la spada portassero con sé la forza dell’osso draconico al suo interno. Prima che il drago potesse muoversi all’attacco, Siirist alzò la spada verso l’alto, nuovamente avvolgendola in fulmini rubini.

«Colpo imperiale!»

Menò il fendente prendendo di mira la zampa sinistra dell’avversario, e la grande lama di Folgore che ne scaturì la tagliò di netto. Il drago ruggì furibondo e perse l’equilibrio, mentre rivoli e schizzi di sangue cadevano dalla spalla a terra, facendo fumare la roccia. Per non cadere, il drago mosse la zampa posteriore in fuori e in avanti per bilanciarsi meglio. Furioso, l’imponente rettile ringhiò ancora più forte e rivolse i suoi profondi occhi verde scuro contro la sua preda. Quella era la prova che i draghi terrestri non erano che bestie senza cervello, solo governate dalla propria rabbia e dalla fame. Consci della loro forza, non provavano paura contro un bipede nemmeno quando era palese che potesse essere pericoloso; gli unici esseri in tutto il creato che temevano erano i loro cugini alati. Persino un drago marino avrebbe capito che non sarebbe stato saggio affrontare qualcuno che gli aveva amputato una zampa.

‹Stupida bestia.›

Siirist, il braccio sinistro teso avanti, alzò di poco il polso, appena sollevando la mortale lama nera, scariche rosse che la circondavano. Il drago portò la coda sotto al busto e la puntò a terra, sostituendola alla zampa perduta. Mosse qualche passo traballante, il suo caldo sangue che cadeva a terra dove scioglieva la roccia in una nuvola di vapore, mentre continuava a fissare il mezz’elfo con una voglia di sangue impareggiabile. Il settimo senso del ladro gli scuoteva l’intero corpo, addirittura peggio che contro Mateus e Zalera. Percepiva odio, rabbia, e desiderio di distruzione.

Di nuovo il mostro esalò il suo respiro, illuminando l’intera caverna con la sua intensa luce, e Siirist poté vedere le scaglie nere del drago che si facevano verdi sul dorso. Il mezz’elfo evitò il flusso di fiamme con un balzo a sinistra, la spada che roteava attorno al corpo e i fulmini rossi che si intensificavano sempre più. Interruppe il movimento quando la punta era rivolta a terra.

«Sentiero scintillante.» e menò un montante con il filo dritto.

Dal colpo partì una scarica rubina che percorse il terreno, arrivando sotto al corpo del drago. Esplose, fulminando il rettile che accusò il colpo e cadde di lato sulla spalla priva di zampa. Siirist gli fu addosso con un movimento istantaneo e allungò la lama di Adamantite sfruttando il suo elemento Folgore e tranciò l’altra zampa anteriore del mostro. Questi ruggì spaventosamente e fece per azzannare il bipede con uno scatto in avanti del lungo collo, ma si ritrovò, invece, una letale lama rosso brillante nelle fauci che gli passò al cervello. L’imponente rettile stramazzò a terra, sangue che sgorgava dalla bocca come una cascata. Siirist già amava quella spada. La potenza che aveva percepito era qualcosa di nuovo, finalmente era capace di sfruttare al meglio la sua arte demoniaca e ne era più che eccitato. Lo voleva fare ancora. Portò il cadavere del drago caduto (zampe amputate comprese) alla grotta di Glarald e ritornò subito alla tana della sua vittima.

‹Tu che mi dici?›

‹Ne ho trovati tre. Uno è andato e un secondo ci è vicino, ma insieme sanno essere fastidiosi. Un aiutino non mi dispiacerebbe.›

Siirist si dislocò accanto al compagno mentale e, privo di scudo, afferrò la spada con entrambe le mani e volò rapido verso il basso, piantando la lama nel cranio di uno dei nemici. Penetrò senza nemmeno incontrare resistenza. Era fin troppo facile. L’Inferno finì l’altro mostro squarciandogli la gola. Solo allora Ryfon pensò di guardare il cadavere del primo drago terrestre eliminato dall’alato e vide che era il più grosso di tutti, lungo almeno il doppio di tutti gli altri. E Rorix lo aveva ucciso tutto da solo, e mentre era impegnato a combatterne altri due. Impressionante.

‹E con questo abbiamo quattro draghi. Dovrebbero bastare per un po’, non vogliamo ucciderne troppi senza ragione.›

Portate le spoglie a Kami no seki, Siirist e Rorix ritornarono a Rivendell. Siirist amava la vita all’Akai goten, ma gli piaceva anche stare nella casa in cui era cresciuta Alea. Trovò Elisar nel salotto intento a leggere un libro.

«Buonasera.»

«Altrettanto, Siirist.»

«Elénaril?»

«Nelle sorgenti termali.»

Siirist guardò verso la porta della parete opposta alla vetrata. Oltre essa si raggiungeva una piscina con vicino varie vasche di acqua termale. Il mezz’elfo pure aveva avuto modo di godere di quelle specialità che villa Ilyrana offriva. Eleril gli aveva raccontato che villa Ryfon, un tempo, possedeva una piscina sotterranea con un mosaico d’oro sul fondo in una sala dal soffitto a volte affrescato e una parete di vetro multicolore che dava sulla vallata. E a fianco della camera a volte ne era stata ricavata una con diverse vasche in cui le acque delle sorgenti termali di Rivendell erano state fatte confluire. Villa Ryfon aveva un tempo avuto le migliori terme della città, un’altra cosa perduta con la caduta del casato. Siirist pensò a quanto gli sarebbe piaciuto avere quelle meraviglie tutte per sé e per Alea, e poterci passare tutto il tempo che volevano, e fare l’amore in ogni angolo della casa. Si voltò verso Elisar, ripensando alla questione presente. Si sedette su una poltrona accanto al divanetto su cui era accomodato l’altmer. Il soffice cuscino verde smeraldo accolse il suo sedere e la sua schiena in un lieto abbraccio. Il padrone di casa mise via il libro e dedicò tutta la sua attenzione al mezz’elfo.

«Villa Ryfon è abbandonata, è oramai un rudere. È possibile per me reclamarla oppure ci sono dei procedimenti di mezzo che ignaro?»

«A dir la verità, ho sentito dieci anni fa qualcuno dei nobili dire di voler acquistarla e restaurarla.»

«Allora vi chiedo di comprarla voi.»

Alzò la mano ed il Cerchio d’argento si illuminò tanto da brillare oltre il guanto. Una montagna di tesori dislocati da Ilirea apparve sul pavimento del salotto, arrivando fino al soffitto e poi cadendo verso il basso, ottenendo una forma uniforme dall’altezza di mezzo metro.

«Questo dovrebbe coprire la spese. Quando non mi dovrò più nascondere dall’Ordine, andrò a riportarla come era un tempo e anche meglio. Per ora assicuratevi che nessuno la porti via al suo legittimo proprietario.»

 

Dopo cena, Siirist si fece un lungo bagno e andò a dormire. Il giorno dopo ritornò di buon’ora a Kami no seki, sperando di trovare almeno una spada pronta. Invece ad accoglierlo fu una lancia. Era la prima delle sei lance che aveva commissionato per il riequipaggiamento del Cavaliere, asta di due metri, lama di cinquanta centimetri. Questa aveva i contorni ricurvi ed era divisa in tre sezioni: la prima, di dieci centimetri, era ciò che separava la parte centrale dall’asta; da essa si apriva fino a raggiungere una larghezza di quindici centimetri. La parte centrale, lunga trenta centimetri, era dieci centimetri nel suo punto più stretto. La punta era l’esatto capovolgimento della prima parte. La peculiarità della lama era che era incantata in modo da potersi dividere in tre e formare così un tridente. Tra l’asta e la lama era legato un nastro di seta rosso rubino che terminava in due estremità. L’intera arma era rossa, di diverse tonalità come lo erano le scaglie di Rorix, tutte le sfumature che si mischiavano fra loro. L’asta era cilindrica e perfettamente levigata, ma le incisioni argentate degli incantamenti creavano una presa non scivolosa.

«Perché la lancia? Dov’è la mia spada?»

«Ci servi tu per le spade. Ho pensato ad un modo di forgiarle che le renderà potentissime, ma non è qualcosa che possiamo fare noi. E porta qui la spada elfica.» disse Totosai.

«Di che parla?»

«Useremo le vostre tre katana come basi, trasportando le loro anime in queste spade nuove. Sarebbe anche una buona idea utilizzare Lin dur. Il vostro legame con lei è forte, usarla nella spada primaria la renderebbe veramente senza paragoni.» spiegò Bhyrindaar.

Siirist aggrottò la fronte. L’idea di perdere Lin dur, il ricordo di Evendil, lo sconvolgeva. Ma era anche vero che non l’avrebbe più utilizzata in battaglia e che gli sarebbe mancata. In questo modo avrebbe risolto il problema.

«D’accordo.»

Il mezz’elfo ritornò a Rivendell e prese Lin dur. Ritornato a Kami no seki la consegnò con riluttanza nelle mani del fabbro che l’aveva forgiata. Questi la prese e fece attendere gli altri cinque minuti, il tempo che gli serviva per rimuovere tutti gli incantamenti.

«Andiamo.» disse Totosai.

Siirist seguì i tre fabbri verso una porta nascosta nel buio e scese le scale con Rorix steso sulla pancia sul capo de Cavaliere, la sua coda che sferzava nell’aria. La discesa durò cinque minuti e per ogni secondo, Ryfon continuò a sentire sempre più freddo. Infine raggiunsero una sala circolare con al centro un pozzo. Da esso uscivano lingue di fuoco nero, così scuro che rendevano il buio del resto della stanza quasi chiaro.

«Che cos’è questo posto?» chiese Hans incredulo.

«Questa è la Forgia infernale, dove Asura forgiò le sue nove spade di Ragnarok, ricavate dai resti della bestia mitologica. Ci troviamo vicini alla Bocca dell’Inferno, l’accesso alla dimora di Obras.» spiegò Totosai.

«Il luogo in cui alloggiò Hanryu, da cui deriva il nome della razza dei discendenti del dio drago.» concluse Bhyrindaar, la meraviglia nei suoi occhi.

«Beh, io non vedo niente, qualcuno potrebbe gentilmente accendere una luce?» disse l’umano.

Siirist richiamò il Flusso nel palmo sinistro e lo unì alla sua energia magica, imprimendo nell’incantesimo il potere dell’elemento luce. Una sfera bianca ne uscì ed esplose, inondando tutta la sala della sua luce. Ma attorno alla Forgia, l’oscurità continuava a regnare inesorabile. Era come se quelle fiamme assorbissero ogni fonte di luce. Siirist non aveva mai visto fuoco nero come quello; era molto più intenso di qualunque fiamma avesse mai generato lui, e pure quelle di Raizen parevano raggi di sole a confronto.

«Le tue spade saranno forgiate qui dentro. Il fuoco nero non riscalda, ma arde inesorabilmente. Drago, dovrai esalare il tuo respiro nella Forgia e Siirist, dovrai utilizzare il tuo potere del fuoco nero per creare una barriera attorno ai nostri corpi: non vorrei venire incenerito.» disse il demone.

Siirist e Rorix annuirono. L’Inferno volò via dalla testa e ottenne le dimensioni di un cavallo. I tre fabbri appoggiarono a terra tutti i materiali che si erano portati: le tre katana di Siirist, Lin dur, un grande secchio metallico che conteneva argento “demonizzato” fuso, tre secchi con Hellsteel fuso in cui erano state sbriciolate tre penne del mezzo demone, polvere di Cristallo e la polvere ottenuta sbriciolando tre zanne di Tyron alle quali era stato fatto assorbire del sangue di Rorix. Infine vi era una lastra metallica che riportava la forma di una lama, dentro alla quale tutti i materiali sarebbero stati fatti colare. Rorix liberò il suo respiro nel pozzo di fuoco nero che assorbì istantaneamente le fiamme rosse, diventando insolitamente caldo. Siirist lo manipolò perché non entrasse in contatto con la pelle dei fabbri, ma li circondasse e basta, e Bhyrindaar mise la lastra in mezzo alle fiamme nere. Hans aveva mischiato le due polveri con l’Hellsteel e aveva colato il metallo grigio scuro nella forma, e si occupò di separare la lama di Lin dur dall’elsa mentre Totosai faceva lo stesso con la prima katana rossa e nera e Bhyrindaar si occupava di riempire perfettamente la forma per la lama. Quando il composto di Hellsteel, Cristallo e zanna di drago fu pronto, l’elfo tolse la lastra metallica da sopra le fiamme nere. Siirist manipolò quelle che vi si erano attaccate e le fece rientrare nel pozzo. Bhyrindaar incominciò a canticchiare nella lingua elfica parole che Siirist non riuscì a sentire bene. Il primo rudimentale aspetto della lama si solidificò a sufficienza perché Totosai potesse lavorare il metallo, piegandolo su se stesso diverse volte e poi sempre appiattendolo su un piano da lavoro accanto alla Forgia. Bhyrindaar inserì la lama rossa e nera della katana nella forma per la lama e su di essa colò una seconda mandata di Adamantite fusa. Di nuovo tolse la forma dalla Forgia e ricominciò a mormorare, intonando le parole del suo inno mistico. Siirist, concentrato a impedire che il fuoco nero non incenerisse nessuno, percepì l’energia mistica evocata dall’elfo pervadere la stanza e concentrarsi nel metallo fuso e Rorix continuava a fornire calore alle fiamme nere. Il primo blocco di Adamantite, che Totosai aveva molto rapidamente ma con estrema maestria ripiegato e appiattito cento volte, era largo dieci centimetri, lungo un metro e spesso quattro millimetri. Quando Bhyrindaar gli consegnò una seconda lama incandescente, che conteneva la lama della prima katana di Siirist, il demone ricominciò la sua operazione di piegatura e appiattimento. Di nuovo l’elfo colò l’Adamantite fusa nella forma, solo che questa volta lo fece sopra alla lama di Lin dur. Ancora canticchiò, ancora diede il risultato a Totosai. Quando i tre blocchi di Adamantite furono pronti, Hans si occupò di incantarli, incidendo in essi le scritte elfiche che avrebbero avuto la funzione di amplificatori per gli incantesimi di Siirist. Egli non aveva voluto alcun incantamento che liberasse incantesimi predefiniti come li avevano avuti Lin dur o la sua Beleg runia, ma solo amplificatori, e questo Hans fece. Con la consapevolezza che Siirist avrebbe forse creato una versione dell’elemento Alba che univa fuoco nero e fuoco bianco, il fabbro umano li scrisse in modo tale che gli incantamenti di luce si unissero agli amplificatori per l’arte della Vampa che faceva da tramite con l’elemento oscuro. Allo stesso tempo gli amplificatori dell’arte della Vampa si univano a quelli dell’arte della Folgore, dell’elemento Radiante di Aulauthar, dell’elemento Incubo di Syrius e dell’elemento Sacro di Evendil. Questi ultimi erano legati agli amplificatori ancora presenti su Lin dur, della quale Siirist poteva anche usare gli incantesimi predefiniti. Mentre l’umano lavorava, gli altri due fabbri si occupavano di creare le altre due spade. Anche per esse furono creati tre blocchi di Adamantite, due vuoti e uno contenente una katana. Quando Hans ebbe finito di incantare tutti e nove i blocchi, divisi attentamente in tre gruppi, li fusero e li unirono, mischiandoli all’argento, con Bhyrindaar che canticchiava. Egli si occupava di unire i blocchi con l’argento e Totosai pensava a temprare l’oggetto finito. Al termine del lavoro, Siirist si ritrovò davanti tre lame identiche, ognuna lunga un metro e mezzo, larga cinque centimetri e spessa quattro millimetri. Erano dritte e a doppio filo, la punta un triangolo isoscele, il loro colore rosso era, come le scaglie del drago, di diverse tonalità, e gradualmente passava dal rosso scuro della coccia al brillante rubino della punta. Il passaggio di tono era armonioso, quasi impercettibile, naturale, un lavoro superiore a quello fatto su Beleg runia in ogni aspetto. Solo a guardarle, Siirist ne sentiva l’energia, sentiva una connessione tra sé e loro tre.

«Adesso manca l’ultimo strato di incantamenti e che trovi un nome per la primaria.» gli disse Bhyrindaar.

‹E ti prego, trovane uno migliore di “Fiamma potente”. C’è il mio sangue lì in mezzo.›

‹Hai ragione, c’è il tuo sangue. Ora manca il mio.›

‹Eh?›

Siirist si tagliò sul polso destro e con un incantesimo organico fece schizzare fuori la sua linfa vitale come una fontana. Essa inondò le tre lame e, per la meraviglia di tutti tranne che quella del mezzo demone, esse assorbirono il sangue, brillando come gli occhi del loro proprietario quando era in preda alla fame e la stava soddisfacendo. Le lame smisero di brillare quando tutto il sangue che era entrato in contatto con loro era stato prosciugato.

«Non repellono lo sporco ed il sangue come fa di solito il Cristallo... Lo bevono...!» disse quasi terrorizzato Hans.

«Non ho mai visto una reazione simile al potere demoniaco del loro proprietario, nemmeno con le katana del conte Alucard.» disse Totosai.

«Un simile desiderio di sangue... Queste sono spade pericolose.» constatò Bhyrindaar.

«Sono perfette.» sorrise maligno Siirist, i suoi occhi che brillavano.

‹Non potrei essere più d’accordo.› esclamò il falso, seduto a terra nella sua gabbia con la schiena contro il muro.

«Credo che “Agar irma” sia un nome appropriato.» disse, voltandosi verso l’elfo.

«Un nome di malaugurio.» lo avvisò Bhyrindaar.

«Non potete dire che non sia adatto.»

«Cosa significa?» chiese il demone, che non comprendeva le parole della lingua elfica.

«“Brama di sangue”.» spiegò Hans.

«Azzeccato sì, ma rimane di cattivo auspicio. È un nome malvagio, non qualcosa che un Cavaliere dei draghi dovrebbe dare alla sua spada.»

‹Perché non Agar hyanda? L’idea del sangue rimane, e dire “lama” anziché “brama” la fa suonare meglio. E visto che in esse è stato mischiato il nostro sangue, è vero che le lame sono di sangue.› suggerì Rorix.

‹No, preferisco “Brama di sangue”.› disse la sua il falso Siirist.

‹Tu stai zitto! Siirist, che ne pensi? “Lama di sangue” come ti suona?›

«Rorix suggerisce “Agar hyanda”. Può andare. Mastro Bhyrindaar, date alla spada primaria il nome Agar hyanda, è la mia decisione definitiva. Ora vado a riposare, controllare il fuoco nero per tutto quel tempo mi ha affaticato.»

«“Lama di sangue”» disse Hans a Totosai, prima che questi potesse chiedere una traduzione.

 

Non se ne era accorto, concentrato com’era sul suo compito di manipolare il fuoco nero e con il pensiero fisso di ottenere le sue spade, ma Siirist era rimasto con i fabbri tutto il giorno ed era stato già buio quando era ritornato in superficie. No, a giudicare dalla fame che provava, forse erano addirittura passati due giorni, se non più. La brama di sangue delle sue nuove spade lo aveva contagiato e si era fatto portare una caraffa di sangue che finì in un minuto. Allora chiese a Tomoko di permettergli di bere direttamente dal suo collo e lei acconsentì, ma non prima di impugnare il suo pugnale d’argento da usare in caso il mezzo demone si fosse lasciato andare ai suoi istinti. Passò tutta la notte facendo sesso con la gatta, bevendo dal suo collo di tanto in tanto, in preda ai suoi desideri, ma mai perdendo il controllo. Il giorno dopo la bakeneko gli disse che quella era stata la notte più meravigliosa della sua vita e che Siirist non era mai stato così intenso. Se farsi bere del sangue era ciò che serviva per renderlo così energetico, sarebbe stata felice di farlo ogni volta. Ma Siirist non rispose, solo le chiese di andare a preparare la colazione. Uscì in terrazza e si appoggiò alla ringhiera.

‹Che ti succede? La scorsa notte non ti riconoscevo nemmeno più. Eri in preda ad un desiderio che non hai mai provato, eri addirittura più intenso che con Alea. Forse Bhyrindaar ha ragione, quelle spade sono pericolose. Da quando ci sei entrato in risonanza... Perché ci hai versato sopra il tuo sangue?›

‹Non lo so... Ho sentito come il bisogno di farlo, è stato un impulso... Io...›

«Siirist-sama.»

Drago e Cavaliere si voltarono verso Akira.

«Che c’è?»

«Le spade sono pronte.»

Siirist seguì il suo servo alla sala del trono, dove tutta la corte era riunita. Lì, ai piedi della sedia dell’Imperatore, vi era un mobile su cui era appoggiata una cintura di pelle di drago rossa rivestita di placche d’argento, ognuna che nascondeva al suo interno un rubino circolare preso da Ilirea. Ai due lati della cinta pendevano due foderi, uno con una spada, uno con un pugnale. Un terzo pugnale era sul retro, assicurato orizzontalmente, con l’impugnatura nella direzione della spada. Essa aveva un’elsa d’argento di venti centimetri, la guardia era nella forma di un’ala piumata rivolta nella direzione del filo dritto. Nella direzione del filo falso vi era rivolta una seconda ala argentata, solo molto più piccola rispetto alla prima. Tra le due ali era incastonato un rubino circolare di eccellente qualità, grande quanto una noce. Una seconda protezione per la mano scendeva dalla guardia e andava ad unirsi al pomolo, un piccolo ingrossamento argentato dalla forma di una testa di Inferno con ogni corno e gli occhi fatti con un rubino. L’impugnatura era rivestita di seta rossa, fasci di diverse tonalità avvolti uno sopra l’altro. Le else dei pugnali erano uguali, solo più piccole di quella della spada, se non per la mancanza del rubino sulla guardia e la protezione per la mano. I foderi erano di Adamantite rivestita di pelle di drago rossa con placche d’argento e un rubino incastonato poco sotto la guardia. Sul fodero della spada le lettere elfiche, tracciate non orizzontalmente ma verticalmente alla maniera dei demoni, mostravano il nome dell’arma. Siirist indossò la cintura, la spada che pendeva al fianco destro. Sguainò Agar hyanda e vide che il suo nome era stato scritto anche sulla lama, a un centimetro dalla guardia, su entrambi i lati e in modo tale che le rune elfiche fossero leggibili sia se la spada era rivolta verso l’alto che verso il basso. Il nome era in argento, tutte le altre scritte lungo la lama erano quasi invisibili perché dello stesso colore rosso del punto in cui si trovavano. Altre scritte rosse erano presenti attorno alla mezza impugnatura: era attraverso esse che la spada poteva cambiare forma se stimolate con l’energia magica del suo possessore. Solo a tenere Agar hyanda in mano, Siirist ne percepiva l’energia. Era calma, come lo era un predatore prima di balzare sulla preda, ma sapeva che, al minimo contatto con del sangue, la brama si sarebbe risvegliata.

«Ora combattiamo!» disse felice Kenpachi.

«Lo sconsiglio. Quelle spade sono pericolose, non andrebbero usate se non in uno scontro mortale.» avvisò Bhyrindaar.

Aveva ragione. Solo nel sentire la voglia di lotta emanata dal licantropo, la spada aveva pulsato. La mano di Siirist aveva incominciato a tremare, scossa dal macabro desidero dell’arma.

«No, devo imparare a controllarle. Maestro, vedi di fare sul serio, altrimenti rischi di morire. Kaede, mi dispiace, ma non voglio rischiare di farti male. Se vuoi affrontarmi, lo faremo un’altra volta, non ora con queste spade.»

«Scordatelo, io combatto.»

«Anche io voglio partecipare. Più nemici hai, Siirist, più sarà facile per noi tenere sotto controllo la brama di sangue delle tue spade.» si aggiunse Sesshoumaru.

«Penso sia una buona idea. Ci sono anche io.» disse Glarald.

Desideroso di vedere il Cavaliere corrotto combattere seriamente, Siirist accettò. Uscirono tutti in giardino ed i servitori dei demoni sfidanti portarono loro le rispettive spade. Tutti e tre non persero tempo e passarono subito ad usare il santouryuu. Siirist sorrise. Portò la destra al pugnale sul fianco sinistro e lo estrasse: esso si trasformò, diventando una spada identica alla primaria se non per la protezione per la mano e l’impugnatura più corta, poi sia essa che Agar hyanda cambiarono forma, diventando katana. La protezione per la mano della spada primaria fu assimilata dalla guardia e le ali d’argento si avvolsero attorno alla lama, diventando una tsuba. Siirist passò la katana nella destra in bocca e portò la mano ai lombi, impugnando e sguainando il secondo pugnale. Pure esso si trasformò in katana e il mezzo demone fu pronto a combattere.

Trasformatosi, Kenpachi scattò verso il suo avversario e balzò, atterrando con un fendente destro. Siirist, con una movenza da stile della Volpe, piroettò sulla gamba sinistra. Sentì come la sua testa venire storta, strattonata dalla spada che teneva tra i denti che voleva tagliare il licantropo e versarne il sangue. Riuscì a farsi forza a malapena, finendo solo con il ferire profondamente il braccio destro del demone senza reciderglielo completamente. La lama rossa penetrò la carne dell’avversario e ne gioì, bevendo avidamente il suo sangue. Ryfon balzò via, portando la sua spada assetata lontana dalla sua preda. Kaede gli fu addosso in un lampo azzurro e le loro spade cozzarono. Siirist girò su se stesso e colpì con tutte e tre le spade insieme, sferrando una delle tecniche del santouryuu ougi che la bestia del fulmine parò egregiamente. Intervenne Sesshoumaru che liberò un’onda acida. Agar hyanda fu circondata da fiamme azzurre con riflessi violacei e il mezz’elfo creò un muro di fiamme con la sua arte della Vampa. Kaede attaccò con un doppio tondo dritto e Siirist fermò l’attacco con la sola spada destra. Con uno dei sette occhi mentali aperti, vide Glarald arrivare con energia di oscurità che lo circondava e il mezzo demone lo intercettò con il suo potere di tenebra, generando un braccio d’ombra dalla schiena che schiantò l’elfo oscuro a terra. Calciò via Kaede e balzò sull’altro Cavaliere, pronto a metterlo fuori gioco. Le sue braccia si mossero più di quanto avesse desiderato e la sua testa fu quasi strappata dal collo per la forza con cui la spada in bocca cercò di avventarsi sulla gola dell’elfo corrotto. Egli fu tagliato dall’occhio sinistro fino al fianco destro, orizzontalmente lungo l’addome e dal fianco sinistro alla spalla destra. Ryfon notò anche come le spade non solo assorbissero il sangue che rimaneva sulle lame, ma lo succhiavano via dal corpo delle vittime quando ne erano in contatto. Glarald cadde in ginocchio.

‹Queste spade sono meravigliose!› esultò il falso Siirist.

Ma il vero non ne era così entusiasta. “Brama di sangue” sarebbe stato più adatto come nome in fin dei conti. E questo non era un bene. Ritrasformò le spade nella destra e in bocca e le ripose nei foderi, rimanendo solo con Agar hyanda nella sinistra che aveva riassunto il suo aspetto di spada dritta.

«Credi di poterci battere con solo una spada?!»

Siirist guardò verso Kaede che aveva tolto la terza dalla bocca.

«Con questa spada sì.»

‹Non farti controllare dalla brama di sangue di Agar hyanda!› avvisò Rorix.

‹Fallo e uccidili! Sarà divertente.› urlò il falso come uno psicopatico.

Il vero capì allora da chi era provenuta quella brama di sangue. Come aveva iniziato a sentire dopo il suo ritorno da Oblivion alla conquista degli Esper, le due coscienze dentro la sua mente si stavano avvicinando sempre più. Ora lui doveva superare la voglia di distruzione della sua spada per sconfiggere il falso e rimetterlo al suo posto. In un’esplosione di fulmini azzurri fu addosso a Sesshoumaru, il più pericoloso dei tre, e lo attaccò alla testa, riuscendo all’ultimo a controllare la spada e girarla, colpendo con il piatto. Il demone cane fu sbattuto a terra e Siirist non ebbe il tempo di finirlo perché fu investito da un’onda d’urto generata da un fendente della raikou no bakemono. La tagliò con un sottano dritto rovescio. Kenpachi gli saltò addosso e lui gli piroettò intorno, colpendolo sulla nuca con il pomolo e subito calciandolo via. Entrò in forma di draconiano e infiammò la spada con l’arte della Vampa, mentre gli incantamenti facevano il loro lavoro e si illuminavano di azzurro. Liberò una lama fiammante contro la zia adottiva e in rapida successione affondò la punta nel terreno. Estrasse un blocco di pietraferro e lo scagliò contro Sesshoumaru. L’inugami non dovette far altro che sciogliere la terra magicamente indurita per continuare la sua carica. Altre scritte lungo la lama rossa si attivarono, brillando grigio chiaro, e il terreno divenne sabbia ferrosa che si sollevò e si mosse in base ai movimenti della spada, creando una barriera che si rigenerava ogni volta che veniva sciolta dal potere corrosivo del demone con i capelli argentati. Nel suo stato draconiano, Siirist era più incline a lasciarsi andare alla rabbia e vedere la chioma del suo vecchio maestro gli ricordò Raiden. Per un momento si lasciò andare alla brama di sangue di Agar hyanda e permise al suo braccio di scattare in avanti. Solo all’ultimo si riprese e riuscì a trafiggere l’inugami sulla spalla anziché nel cuore. Con ulteriore sangue assorbito, la volontà maligna della spada si fece anche più intensa e la sua presa sulla mente del mezz’elfo si fece più forte.

‹Siirist!› urlò Rorix.

Il richiamo del compagno mentale fu sufficiente a svegliare il Cavaliere per il tempo necessario per uscire dallo stato draconiano e ottenere la calma assoluta. Con essa riuscì a contrastare la brama di sangue di Agar hyanda e si dislocò via da Sesshoumaru. Lo vide piegarsi sul ginocchio. Proprio come Glarald, gli era bastato un colpo per cadere. Qualcosa non quadrava. Kaede gli era quasi addosso e, per evitare di farla entrare in contatto con Agar hyanda, generò un’onda di sabbia ferrosa con particelle d’argento. Essa la investì e la incollò al terreno. Con il fiatone, Ryfon rinfoderò la spada. Si tolse la cintura e la lanciò via da sé. Tutti i presenti erano in silenzio e attesero per vedere cosa avrebbe fatto. Solo Bhyrindaar si fece avanti, subito seguito da Totosai.

«È una spada maligna, lo sono tutte e tre.» affermò Bhyrindaar.

«Stupidaggini! Sono le mie migliori creazioni. Se impari a controllarle, saranno invincibili. Sei tu che sei troppo debole, ragazzino.» sputò Totosai.

«Non riesco a credere che Lin dur sia così fuori controllo.» scosse la testa il mezzo demone.

«È grazie a Lin dur che siete appena in grado di maneggiarle. Le altre due spade sono legate a Agar hyanda, se controllate lei, controllate tutte e tre. Sfruttate il legame con Lin dur e diventate padrone delle vostre spade.» disse l’elfo.

«Per ora le metto a Oblivion e non le tocco più per un po’.» rispose dislocandosi a Ilirea con la cintura.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola LA RIBELLIONE, che sarà pubblicato domenica 12. Il Consiglio inizia a non essere felice della sparizione di Siirist e decide di prendere la situazione in mano, rivelando di avere un modo per rintracciare ogni Cavaliere che fugge dal proprio dovere. La punizione per un Cavaliere traditore è la condanna a morte: come si risolverà la situazione?

Ritorna all'indice


Capitolo 64
*** LA RIBELLIONE ***


LA RIBELLIONE

 

«Questa situazione deve finire! Sono trentotto anni che Siirist è stato allontanato da Vroengard, trentasei che è sparito. Si è nascosto, è fuggito! E siete tutti a conoscenza del regolamento dell’Ordine: se un Cavaliere tradisce, viene giustiziato. Aulauthar, io sono stanco di sentire le tue ridicolaggini sul Cavaliere d’Inferno e la sua importanza. Io voglio trovare quel traditore e tagliargli la testa. Tu e i tuoi tre amici potrete anche opporvi, ma il Consiglio è sempre stato e continua a essere una democrazia e voi quattro siete in minoranza.» abbaiò Delmuth.

Il Cavaliere d’argento non aveva battuto ciglio durante tutto il suo discorso. Da quando il Consiglio si era riunito due ore prima, richiamato dallo stesso Delmuth, il dunmer non aveva mai smesso di parlare e l’altmer lo aveva fissato ininterrottamente con quei suoi occhi glaciali, quel suo sguardo penetrante. Quando il Consiglio aveva deciso di mandare quel delinquente di Siirist in missione a Zanarkand, il Cavaliere d’Inferno aveva commentato con la sua solita maleducazione che era strano non vedere il Consiglio schierato dietro ad Aulauthar o Syrius. E aveva avuto ragione. Per secoli i due erano stati rivali e si erano sempre combattuti, ma da quando era arrivato il settimo Cavaliere d’Inferno, il Cavaliere nero si era fatto sempre più remissivo e aveva incominciato a schierarsi dalla parte del vecchio rivale. Quindi era toccato a lui, a Delmuth, prendere le redini della situazione. Basta seguire ciò che dicevano Aulauthar e Syrius, Siirist era un traditore, una minaccia, e andava catturato e giustiziato. Il Cavaliere d’argento continuava a fissare nella sua direzione. Lo odiava! Non lo poteva sopportare più. Avrebbe goduto nel decapitare il diletto di quel maledetto e sbattergli in faccia la sua testa mozzata.

«E che cosa proponi di fare, Delmuth?» domandò con voce calma, piatta, disinteressata, mai battendo ciglio.

«Voglio usare il suo filatterio. Abbiamo aspettato anche troppo tempo.»

Come previsto nella Sala del Consiglio esplose una forte discussione. Solo tre non parlavano: Delmuth, Aulauthar e Adamar. Adamar... Aulauthar era il Consigliere che più odiava, ma il Cavaliere delle sabbie lo seguiva da vicino. Con quella sua pacatezza, quel suo silenzio... E sembrava stesse dormendo ora! Stava tranquillamente appoggiato con la schiena alla parete e gli occhi chiusi.

«Basta! Tutti coloro in favore di usare il filatterio alzino la mano.» impose Syrius.

Come previsto, lui, Aulauthar, Eimir e quella mummia di Adamar rimasero fermi. Delmuth alzò subito la mano, seguito da Xander e Ashemmi. Delmuth guardò verso gli ultimi tre e li vide titubare per un momento, ma anche loro seguirono. Con soddisfazione il dunmer guardò verso l’opposizione: Eimir manifestò la sua rabbia con una mandibola serrata e uno scatto della testa; Syrius abbassò la testa, Adamar era probabilmente morto e Aulauthar... Continuava a fissarlo dritto negli occhi. Ridusse gli occhi a delle fessure, incrementando il gelo emanato dal suo sguardo.

«Suppongo sia tutto.» disse con la sua voce calma.

Prima di rispondere, Delmuth guardò verso Eimir, una sensazione di soddisfazione che cresceva in lui. Non avrebbe mai dimenticato come, anni prima, il Cavaliere di Oblivion gli avesse puntato contro sei spade invocate. E ora era tempo di regolare i conti. Non lo avrebbe attaccato, no, ma avrebbe colpito il suo punto debole, la sesta brigata a cui teneva tanto. Represse a stento un risolino di gioia, era incredibile come in un unico giorno aveva dato inizio alla caccia del traditore e aveva la possibilità di danneggiare uno degli amici di Aulauthar. Era quasi troppo bello per essere vero.

«Noster, vieni avanti.»

Il Cavaliere richiamato entrò accompagnato dal suo drago azzurro e salutò i dieci Consiglieri con rispetto.

«Di’ ai miei colleghi cosa hai raccontato a me.»

«Saggi Anziani, il mio nome è Noster e appartengo alla sesta brigata. Ero in servizio a Rivendell tre anni fa quando ho incontrato una persona sospetta insieme al nobile Elisar Ilyrana. Sokor credette di sentire l’odore dell’Inferno Vulcano provenire da questo sconosciuto e stavo per verificare quando fummo interrotti da Adeo. Da quel momento abbiamo tenuto un’occhio su di lui e abbiamo notato che ha sempre interferito con chiunque si avvicinasse troppo a questo sconosciuto. Ritengo che Sokor abbia avuto difficoltà ad annusare Vulcano perché Adeo usò una delle sue pozioni.»

«E cosa staresti insinuando?!» sputò Eimir.

Ah, sì... Il Cavaliere di Oblivion era buono e calmo, ma se gli toccavi la brigata del suo diletto Bial... E considerando che Adeo era uno dei migliori nella divisione, perderlo sarebbe stato un duro colpo per loro. Delmuth sorrise.

«Adeo potrebbe essere un complice di Siirist. Va portato qui e interrogato.»

Eimir era lì per controbattere ma Aulauthar fu più veloce.

«Ma certo, mi pare un’ottima idea. Fallo portare qui, sarei felice di sapere cosa possa avere da dire.»

 

«Delmuth, è un piacere vedervi. Ho sentito che ho da ringraziare voi per la mia attuale posizione. Sono sicuro che se fate uscire gli altri e mi slegate, troveremo un modo più... piacevole di usare queste catene.» disse l’insulsa voce di Adeo.

Entro diciassette ore il Cavaliere dal drago fucsia era stato arrestato a Imladris e trascinato a Vroengard da un’unità della quinta divisione. Se la sesta era la protetta di Eimir, la quinta era la sua. E ora quell’imbarazzo per tutto l’Ordine era appeso per le mani al soffitto, incatenato e completamente nudo, tutto sporco del sangue dalle ferite che gli erano state inferte per indebolirlo. Se voleva entrargli in testa, non poteva averlo al massimo delle forze. Eppure sembrava tranquillo. Doveva stare al gioco e restare calmo anche lui.

«Sono felice di vedere che il tuo atteggiamento non è cambiato, Adeo, mi darà modo di provare più piacere in quello che sto per fare.»

«Voglio che siate consapevole del fatto che sono sia disposto a dare che a ricevere. Mi piace la pecorina, stare sopra e una bella 69.»

«Silenzio!» tuonò il dunmer, colpendo l’omosessuale con un potente pugno in faccia.

Gli spaccò lo zigomo e fece saltare qualche dente che sputò insieme a sangue.

«Sei debole, Adeo. Il tuo Flusso è insignificante, il tuo drago è poco più di un’iguana. Sai che le iguana hanno lo scroto viola? Molto simile alle scaglie del tuo Skimir.»

«Non ti azzardare a insultare Skimir o ti farò ingoiare la tua spada.» rispose Adeo.

Per un momento Delmuth ebbe un brivido, avendo l’impressione di avere a che fare con una persona diversa dal solito eccentrico che riempiva la Rocca di coriandoli e arcobaleni. La sua mente aveva tremato, come se si fosse trovava di fronte una presenza terrificante. Ma si riprese subito e deglutì. Lo colpì di nuovo.

«E che vorresti fare? Come ti ho detto, non hai potere. Senza le tue pozioni, il tuo orripilante boa e tutti i tuoi trucchetti da alchimista non sei niente. A meno che vuoi cercare di entrarmi in testa e controllare le mie azioni. Ti sfido a provarci.»

«Perché dovrei? So che non posso. Come so che voi non potete entrare nella mia. Ma il mio bel culetto è tutto libero, Delmuth. Mi avete pure fatto spogliare! Non ditemi che non c’è una ragione per questo, eh...?»

Era ritornato ad essere il solito.

«Dovevo assicurarmi che non nascondessi qualcosa sulla pelle. E guarda un po’, avevi qualche tatuaggio incantato che ti ho prontamente fatto rimuovere. Spero abbia fatto male.»

«Solletico. Posso sapere perché sono qui? Per quanto mi sentirei onorato dal sapere di aver colto la vostra attenzione, non credo che sia solo perché avete una perversa passione per il sadomaso, che io condivido appieno, se posso permettermi di dirlo.»

Delmuth si era stancato di sentire le porcherie di quel pervertito, perciò gli invase la mente. Ma la barriera che trovò era impenetrabile. Era un muro di... niente. Era uno spazio vuoto, tra il nero ed il blu con una leggera nebbia. E da essa uscì un’immagine di lui sodomizzato, con Noster che lo penetrava con lo smeraldo dal colore pallido che era il pomolo della sua spada. Cercò di abbandonare la mente dell’altro Cavaliere, ma un’immagine di quel maledetto apparve e gli schioccò un bacio dal quale partì un cuore di fumo fucsia. Esso lo investì e lo intossicò. Uscì dalla mente dell’incarcerato e cadde in ginocchio tossendo, sentendosi soffocare. Allora sentì un bruciore nel fondoschiena e dietro trovò Aulauthar che sorrideva felice mentre lo inculava.

Urlando si liberò dall’illusione. Furioso si avventò sul Cavaliere dal drago fucsia e lo prese per il collo.

«Ti credi divertente?! Credevi non mi sarei accorto di essere preda di una tua illusione?»

«Era chiaro che ve ne sareste accorto. Un’illusione così ovvia non poteva passare per realistica. Ho pensato che, tanto, dato il vostro grande potere mentale, vi sareste accorto di essere preda di un’illusione anche se mi ci fossi impegnato. Tanto valeva divertirmi a vedere la vostra faccia dopo un’immagine simile.»

Delmuth lo lasciò andare e si allontanò di qualche passo per ricomporsi. Poi si voltò di nuovo verso Adeo sorridendo.

«Sai, sento dire che Aulauthar è il più grande mago di luce, fuoco e vento in vita. Ma non è vero. Sì, è insuperabile nella luce e il suo elemento Radiante è encomiabile. Ma quando si parla di fuoco puro... Nessuno supera me.»

«Mah, non lo so... Non ho mai sentito dire che avete un potere di fuoco superiore a quello di Siirist. Immagino vi ricordiate cosa ha combinato il suo fuoco d’Inferno il giorno del furto del Pomolo.»

«Siirist non è un mago di fuoco, è solo un incompetente che si lascia controllare dalla sua magia. Io, d’altro canto, ho veramente padroneggiato l’elemento.»

Gli appoggiò una mano sul fianco ed incominciò ad accelerare le molecole sul suo corpo. In appena due secondi Adeo incominciò a strillare, coprendo il rumore della sua carne che veniva bruciata. Interruppe l’incantesimo dando modo all’altro di riprendersi.

«A tra poco.»

Lo lasciò a soffrire e uscì dalla cella. Ad un Cavaliere disse di volere Alea e Gilia richiamati a Vroengard per essere interrogati. Fu raggiunto da Eimir.

«Delmuth, stai esagerando. Torturare Adeo è troppo.»

«La maggioranza del Consiglio ha votato che Siirist va trovato e per farlo posso usare ogni mezzo.»

«Questa è follia! Con la Setta dello Scorpione che punta le ultime tre Reliquie, non dovremmo stare a combattere fra di noi!»

«Allora trovami quel traditore e chiudiamo la questione.»

Ah, era piacevole essere al comando finalmente. Non erano più Syrius o quel maledetto Aulauthar a dirigere il Consiglio: ora era lui il gallo nel pollaio.

«Sicuro di non essere un cappone?» urlò Adeo da dentro la cella.

Furioso, gli lanciò un incantesimo a distanza che gli carbonizzò la pelle di tutto l’addome, beandosi nel sentirlo urlare.

 

«Capitano, questo è inaccettabile!»

Nel palazzo del principe di Rivendell, Bial era seduto alla sua scrivania con Ren che gli urlava da due giorni. Era d’accordo, ma non si poteva fare niente. Il Consiglio aveva deciso di interrogare Adeo ritenendolo un complice nell’aiutare Siirist nella sua fuga e loro non potevano farci niente. Qualcuno bussò alla porta.

«Avanti.» disse Bial.

Entrò Noster e il capitano fece appena in tempo a trattenere il suo vice prima che saltasse al collo di quella spia.

«Mi dispiace, non avevo la minima idea di cosa Delmuth volesse fare. Mi ha sentito parlare con alcuni amici alla Rocca di questi miei sospetti e mi ha ordinato di dirgli tutto.»

«E ora Adeo è sotto tortura!» ruggì Ren.

«Questo dimostra solo la sua forza: riuscire a bloccare ogni tentativo di penetrazione mentale da parte di sei Consiglieri non è da tutti.» disse Bial.

«Sì, ma è solo questione di tempo prima che superino le sue difese.»

«Allora sta veramente nascondendo qualcosa!» esclamò Noster.

«Non lo so. Non so se stava nascondendo Siirist, ma se lo faceva, aveva le sue buone ragioni per farlo. Capitano, conoscete Adeo... Non è un traditore.»

«Noster, fuori di qui. Ritorna a Vroengard e fatti assegnare ad un’altra divisione, non ti voglio più nella mia. Non è negoziabile, fuori!» ordinò il capitano.

Noster lasciò la stanza di Bial e questi si voltò verso il suo vice dai capelli vermigli.

«Preparati, andiamo anche noi a Vroengard.»

 

«Non riesco a credere che ancora non siamo riusciti ad entrargli in testa. Quanto è forte questo ragazzino?! Ha appena centocinquanta anni!» disse rabbioso Delmuth, sbattendo una mano contro il muro.

Si voltò verso Adeo. Era a malapena cosciente, sangue rappreso su tutto il corpo che quasi formava una seconda pelle, metà dei denti tirati via, tutte le dita dei piedi strappate eccetto il quarto e quinto dito sul piede sinistro, le ginocchia erano state schiacciate, le mani mutilate avevano rimasto solo il pollice e il mignolo sulla destra e anulare sulla sinistra. Fino a dieci minuti prima aveva avuto anche il medio, ma il dunmer glielo aveva strappato quando l’altro glielo aveva mostrato piegando l’anulare. E il pene gli era stato bruciato completamente e rimaneva solo un moncherino.

«Una persona normale non si farebbe mai torturare così tanto.» scosse la testa Ashemmi.

«Perché no? Deve avere un segreto molto importante da custodire e con le sue conoscenze di magia organica, tempo un giorno di riposo e può rimettersi a nuovo.» rispose Xander.

«E io voglio sapere che cos’è questo segreto.» disse rabbioso Delmuth.

«Delmuth, Alea e Gilia sono appena arrivati.» comunicò un messaggero.

«Li andrò subito a incontrare. Voi cinque occupatevi di Adeo, distruggete la sua barriera mentale. Non dovrebbe mancare ancora molto.»

Ritornò alla sua stanza negli alloggi degli Anziani. Gli amici del Cavaliere d’Inferno non erano come Adeo, e contro di loro metodi diretti non sarebbero funzionati. Odiava ammetterlo, ma con il loro potenziale magico e con le conoscenze impartite da Aulauthar e i suoi amichetti, i due giovani Cavalieri lo avrebbero potuto sconfiggere in combattimento. Doveva essere subdolo.

«Bene arrivati. Prego, accomodatevi.»

I due giovani Cavalieri erano con i loro draghi ad attenderlo in piedi e si sedettero al suo invito.

«Posso offrirvi qualcosa da bere? È stato un lungo viaggio.»

Forse erano assetati, forse erano solo cortesi e rispettosi verso la sua posizione, accettarono i bicchieri di nettarina che il Consigliere offrì. Si chiese se avrebbero accettato anche sapendo che essa era stata corretta con una pozione narcotizzante che avrebbe steso chiunque l’avesse ingerita nel giro di un minuto insieme a tutti coloro a cui erano legati mentalmente. Draghi e Cavalieri caddero in un profondo sonno prima ancora che la conversazione aveva superato le formalità.

 

«Ascoltami bene, Ascal. Se Alea e Gilia sono stati richiamati dal Consiglio, significa che sono nei guai. Delmuth è impazzito, è fissato con Siirist, farà tutto ciò in suo potere per trovarlo. Se tieni ad Alea, aiutami.»

Bial e Ren avevano volato ad Arcadia per incontrare il comandante della decima divisione. Non rimasero sorpresi nel vederlo quasi disinteressato, ma il suo vice era di tutt’altro avviso.

«Capitano, se sono davvero in pericolo...!»

«Che vorresti fare, andare contro il Consiglio? Non si tratta solo di andare contro la gerarchia, stiamo parlando di sfidare i Consiglieri, i più potenti Cavalieri nell’Ordine.»

«Solo sei, e i quattro migliori non sono considerati. Ascal, io e te siamo tra i capitani più potenti, e con il supporto di Alea e Gilia possiamo vincere.»

«Cosa ti fa credere che Aulauthar, Syrius, Eimir e Adamar non aiuteranno gli altri sei?»

«Perché si sono sempre opposti al piano di Delmuth e continuano a farlo.»

«Ma come pensi reagiranno ad una ribellione? Un conto è non collaborare in un piano chiaramente sbagliato, un altro è mantenere l’ordine.»

«Capitano, se voi non farete niente, permettetemi almeno di andare con il capitano Bial e Ren.»

«Tu non ti muovi di qui.»

«Mi dispiace, dovrò disubbidire.»

Bial e Ren si voltarono e fecero per la porta seguiti da Tidus, quando furono richiamati da Ascal.

«Ah... Se il mio vice insiste così tanto, mi trovo costretto ad acconsentire.»

 

«Non potete tenerci qui dentro per sempre! E se entrate, siete finiti.» minacciò Gilia.

«Non potete fuggire dalle prigioni di marmo nero e tra un mese, senza cibo né acqua, morirete senza che facciamo niente.» disse tranquillo Delmuth.

Arrivò Xander che gli disse che erano riusciti a entrare sufficientemente nella mente di Adeo per scoprire che Siirist si stava rifugiando a villa Ilyrana e che era in grado di dislocarsi, perciò trovarlo sarebbe stato difficile. Però almeno sapevano di un luogo in cui aveva trovato rifugio e se avesse usato un incantesimo potente come la dislocazione, il filatterio lo avrebbe guidato dritto da lui.

«Torcete un capello ai miei genitori e ve ne farò pentire!»

«Quello che la mia amica troppo gentile vuole dire è che se fate loro del male, schifoso bastardo, ti farò soffrire ogni sorta di dolore possibile prima di sgozzarti come un maiale e darti in pasto ai megalodon al largo dell’isola.»

«Gilia, Gilia... Mi sarei aspettato un linguaggio simile dal tuo amico il Cavaliere d’Inferno, di certo non da te... Mi deludi. Mi saprai ridire quando riuscirai a uscire da qui.» sorrise.

Il suo mantello verde pallido che svolazzava, Delmuth lasciò le prigioni. Mancava poco perché ci rinchiudesse anche quel delinquente traditore e il suo drago irrispettoso. E poi avrebbe giustiziato entrambi. Fuori trovò ad attenderlo due altmer e un dunmer, tutti della quinta divisione.

«Andiamo a Imladris.»

 

«Capitano Bial, capitano Ascal, cosa fate qui?»

Bial non aveva voglia di avere a che vedere con un Cavaliere di pattuglia, specie perché poteva rivelarsi un nemico in più. Generò il suo elemento Danzante sotto ai piedi di quello, assimilandolo nel terreno, intrappolandolo fino alla testa per poi addormentarlo con un controllo mentale. Lui e i suoi tre compari cospiratori raggiunsero la Sala del Consiglio dove trovarono cinque dei sei che sapevano li avrebbero ostacolati: Xander, Elbereth, Felaern, Injros, Ashemmi.

«Dov’è Delmuth?»

«Capitano Bial, non è una sorpresa che tu sia venuto. Non posso dire lo stesso di te, Ascal. Comportamento inaspettato, devo dire.» disse Xander.

Bial non l’aveva mai sopportato. Molti li consideravano simili: lui l’unico umano tra i capitani, l’altro l’unico umano nel Consiglio. Ma Bial odiava quel paragone ed aveva sempre voluto vedere quella brutta faccia a terra. Portò la mano alla spada.

«Capitano, sfiora solo la tua arma e ci troveremo costretti ad arrestarvi. Ascal, tieni entrambe le mani bene in vista, non vogliamo gambi di rosa nel terreno.»

«State facendo un grave errore.» disse il capitano della decima brigata.

«Il Cavaliere d’Inferno è una minaccia che va fermata.»

«Non parlavo di quello, intendo come voi cinque abbiate focalizzato la vostra attenzione solo su me e Bial. Sì, il suo vice è pressoché inutile, ma non mettete il mio allo stesso livello.»

I cinque Consiglieri non fecero in tempo a difendersi.

«Stormo ghiacciato!»

La pioggia di aquile di ghiaccio investì i cinque nemici, dando il tempo a tutti e quattro i ribelli di sguainare le loro armi.

«Arroganza. È quella che vi ha sconfitto. Pioggia di petali. Frusta di spine.» disse Ascal.

La sua rosa in mano, la mosse e tutti i petali azzurri volarono verso i Consiglieri, ferendoli. Poi mosse il braccio ed il gambo della rosa si allungò fino a diventare una frusta.

«E tu sai molte cose sull’arroganza, immagino. Danza dei petali di ciliegio.» lo derise Bial, lasciando cadere la sua spada nel terreno.

«Se credete che basti questo per sconfiggerci, siete degli illusi. Ora morirete per alto tradimento!» affermò Elbereth.

I quattro ribelli furono scagliati fuori dalla Sala distruggendo una porzione del muro circolare da un’onda di suono, variante del vento, di Ashemmi. Non vennero fatti a pezzi solo grazie alla barriera di petali rosa di Bial. Ren alzò la spada nella posizione usata per il Re serpente, ma quando fece per pronunciare le parole dell’incantesimo, nessun suono uscì dalla sua bocca. Maledetta Ashemmi, aveva utilizzato la sua Interferenza! Felaern balzò in avanti, spada e ascia alla mano. Bial condensò i petali di luce nella forma di due lance corte e con esse affrontò il Consigliere. Injros trasformò la sua spada che assunse l’aspetto di un corno dorato dalla forma contorta. Fulmini azzurri si concentrarono attorno ad essa e la puntò verso Ascal.

«Corno di Ixion!»

Liberò il suo attacco mortale contro il decimo capitano e solo la barriera di Ghiaccio misto del suo vice lo salvò da morte certa. Ma il Corno di Ixion rimaneva uno degli incantesimi perforanti più potenti di tutto il Consiglio e riuscì facilmente a superare il muro di ghiaccio, ritardato solo di una frazione di secondo: tutto ciò che serviva ad Ascal per salvarsi. La spada di Xander si illuminò di luce bianca e liberò con un sottano dritto una serie di sfere luminose che circondarono i ribelli. Bial fece appena in tempo a proteggersi con i suoi petali per non subire l’impatto dell’esplosione. Ma Felaern non gli diede la possibilità di riposarsi e ritornò ad incalzarlo. Ren riuscì a trasformare la sua spada nel suo incantesimo vivente anche senza l’uso della voce e con esso attaccò Ashemmi. I draghi stavano avendo molte più difficoltà. Tidus assunse la sua forma del Drago di ghiaccio, con grandi ali glaciali e una coda. Volò verso Ashemmi per dare manforte a Ren e sconfiggerla per interrompere la sua manipolazione del suono che rendeva più difficile lanciare incantesimi complessi. Ma a fermarlo fu Elbereth che gli tranciò un’ala e lo trafisse nello stomaco. Ashemmi generò un’onda d’urto così potente da distruggere il Re serpente e Xander fu addosso a Ren, lanciando le sue bombe di luce bianca sulle gambe del vice-capitano, menomandolo. Bial si destreggiava egregiamente con le sue due lance, affondando, parando e deviando, attaccando di taglio. Le trasformava e ritrasformava, impugnando pugnali, spade, asce, mazze, guanti rinforzati... Variava costantemente il suo stile di lotta, proprio come gli aveva un tempo insegnato Eimir. Ma Felaern era secondo solo al Cavaliere di Oblivion quando si trattava di maestria di armi e con la sua magia degli armamenti era agile e imprevedibile come una scimmia, forte quanto un triceratopo e sinuoso come un serpente, e riuscì a disarmarlo e metterlo a terra. Con un ultimo sforzo, Bial rotolò all’indietro e investì l’avversario con la sua onda di petali. Essi si dispersero e la sua spada uscì dal terreno il momento che Elbereth lo trafisse sul petto, tra il cuore e la gola. Sarebbe morto a breve se non avesse utilizzato la forza della terra per mantenersi in vita. Pure Ascal cadde contro Injros. Per quanto fosse abile con la spada e la frusta, egli era un amante del combattimento a distanza e in quella situazione non gli era stato possibile utilizzare il suo incantesimo più potente, i Rovi di Sithis. Il Consigliere lo tagliò diagonalmente lungo il petto e cercò di trafiggerlo al cuore, mancando solo perché il decimo capitano saltò in alto. Così facendo il corno dorato di Injros lo trafisse nello stomaco. Bial lo vide stringere la mano sinistra sulla frusta; sapeva che aveva generato spine nell’impugnatura e che esse gli avevano bucato la pelle e gli stavano trasferendo l’energia che aveva accumulato nel tempo con i Rovi di Sithis. Bial sorrise nel sapere che, almeno per il momento, il collega non sarebbe morto. Ma ora tutti loro erano i balia del Consiglio ed i loro compagni mentali erano nella stessa situazione.

Apparvero a mezz’aria innumerevoli sigilli dell’aquila di diverso colore e da ognuno spuntarono spade e lance. Esse volarono dritte verso i cinque Consiglieri che, non aspettandosi un attacco simile, non risposero in tempo. Ognuno cadde in ginocchio, trafitto da almeno una decina della armi invocate. E se quello non era bastato a metterli fuori gioco, la voce di Aulauthar fu sufficiente a finirli.

«Inferno purificatore!»

I cinque membri del Consiglio furono avvolti nelle fiamme dorate dell’elemento Radiante del Cavaliere d’argento e ne vennero bruciati terribilmente. Aulauthar le estinse appena in tempo per evitare di ucciderli.

«State bene?» chiese Syrius.

Eimir corse verso Bial per accertarsi delle sue condizioni. I quattro ribelli furono guariti dagli spiriti della vita del Cavaliere di Oblivion e aiutati a rialzarsi.

«Scusate se ci abbiamo messo tanto, saremmo dovuti venire prima.» disse Aulauthar.

«Andate a liberare Adeo, Alea e Gilia. Fate curare Adeo da Alea e dite loro di andarsene da Vroengard. Questo è solo l’inizio, ora che noi quattro abbiamo apertamente opposto la decisione del Consiglio, scoppierà una guerra interna.» disse Adamar.

Bial e Ren andarono alla cella di Adeo, Ascal e Tidus a quella degli amici del Cavaliere d’Inferno. Arrivati dall’alchimista, lo trovarono ridotto in una condizione indicibile.

«Adeo, amico mio, che ti hanno fatto?!» esclamò orripilato Ren.

Ma quello, in uno stato di semi morte, non aveva nemmeno la forza di rispondere, quindi Bial tagliò le catene e lo portò fuori dalla cella. Accorsero gli altri due con i prigionieri soccorsi alle spalle.

«Alea, puoi fare qualcosa?»

«Sì, certo.»

In quaranta secondi Adeo era completamente rigenerato, ma debole, perciò Gilia si incaricò di portarlo via. Sopraggiunse Aulauthar che volle dire loro qualcosa prima della loro partenza.

«Delmuth sta usando il filatterio di Siirist per trovarlo, quindi non deve usare alcun misticismo.»

«Che cos’è questo... “filatterio”?» chiese Alea.

«Io lo so...» rispose debolmente Adeo.

«Non parlare!» si preoccupò Ren.

«Ve lo spiegherà lui. Ora pensate ad andarvene. Ho paura che questa guerra interna ci abbia esposto troppo e che la Setta dello Scorpione possa approfittarne per colpire. Voi due dovete pensare a diventare più forti. Alea, ho ricevuto il messaggio di tuo padre che mi diceva della chiacchierata tra Siirist e Siiryll, quindi la guardia delle Reliquie non è la nostra priorità. Nel caso non dovessimo vincere questa guerra interna, voi pensate a restare nascosti fino al momento giusto. Sarete fondamentali nello sconfiggere la Setta, non è un caso che siate diventati compagni di addestramento del Cavaliere d’Inferno. Ora andate. Sono sicuro Adeo avrà qualche suggerimento su come possiate diventare più forti.»

«Sicuro, capo. Gilia, vorrei i miei vestiti prima di andare via.»

«Neanche a me piace averti nudo contro la schiena, ma non è il momento.»

«Invece è necessario, i suoi vestiti hanno tutti una funzione speciale.» rispose Bial.

Due celle più in là trovarono Skimir e con lui tutti gli effetti personali del suo Cavaliere che il drago fucsia si incaricò di portare. Allora i tre fuggitivi uscirono dai sotterranei della Sala del Consiglio e volarono via dall’isola. L’ultima cosa che videro della Rocca era tutti i Cavalieri che si combattevano l’un l’altro, chi dalla parte di Aulauthar, chi da quella di Delmuth.

 

Una settimana era passata da quando Agar hyanda e le altre due spade erano state forgiate. Siirist ci si era allenato costantemente, cercando il modo di padroneggiarle. Ma ogni volta che le impugnava, non sentiva niente. Il momento che incominciava una sessione di duello di allenamento con qualcuno, invece, esse si risvegliavano. Più volte la testa di Akira aveva rischiato di abbandonare il collo. Erano delle spade che manifestavano la loro brama di sangue ogni volta che avevano davanti un avversario: più lo scontro era serio, più esse si alimentavano con gli spiriti battaglieri delle persone coinvolte e Siirist aveva più difficoltà a trattenere le sue braccia per impedire alle lame di ferire mortalmente. La cosa buona delle spade, almeno, era che esse rispondevano solo al tocco del Cavaliere d’Inferno, sicuramente per via del sangue suo e di Rorix. In quel tempo le altre cinque lance di ossa di Tyron erano state forgiate, ognuna che aveva una forma diversa sia dell’asta che della punta, tutta l’attrezzatura del riequipaggiamento del Guerriero era stata completata con l’aggiunta di un’ascia e una mazza e i riequipaggiamenti del Samurai e del Domatore erano pure completati. Il Samurai era composto da un kimono nero, un hakama grigio chiaro, un obi nero e tabi e zori ai piedi. Le vesti erano state create usando la seta dello tsuchigumo, un demone ragno di giganti proporzioni che abitava i monti a nord di Hellgrind, un materiale resistente quanto la pelle di drago. Automaticamente il Samurai veniva equipaggiato con due katana di Adamantite e una naginata, sempre di Adamantite, era pure stata legata al riequipaggiamento. Usando il Samurai, Siirist sfruttava le sue arti demoniache e magie di vento, oltre che i suoi poteri demoniaci al completo, compreso il fuoco nero, ma senza ricorrere alle arti sacre. Il Domatore era costituito da un kimono e hakama bianchi con un obi bianco alla vita, il tutto sempre di seta di tsuchigumo. Con esso, Ryfon sfruttava le invocazioni organiche di Eimir e semplici invocazioni di daedra.

Siirist era vestito con una tunica elfica verde chiaro e calzoni di una tonalità più scura, stivali e guanti marrone scuro. Una cintura di cuoio alla vita reggeva un borsellino con monete dell’impero Septim ed un altro con monete del regno elfico di oro giallo, bianco, verde e rosso. Il mantello da viaggio arrivava a venti centimetri dal terreno ed era assicurato con una spilla che ritraeva una testa di leone messa di lato. Al collo aveva la Collana del Giuramento e all’indice destro l’anello della Gilda. A salutarlo erano presenti, come sempre, Akira e Tomoko assieme ad altri diciotto dei suoi servitori.

«Trovo più saggio avere una spada al fianco, Siirist-sama. Qualcosa di semplice, ma almeno un’arma. Sarebbe sospetto vedere qualcuno viaggiare disarmato.» ammonì il vampiro.

«Intendo prendere una spada a Rivendell. Ma ora sto solo andando a salutare i genitori di Alea. Ci rivediamo il prima possibile, ma non prima che abbia convinto i nani a ritornare in superifice.»

Dislocò sé e Rorix al nido degli Inferno, in una piccola grotta che il mezz’elfo si era assicurato con il guardiano del nido sarebbe stata lasciata libera per permettere a lui di dislocarsi a piacimento. Abbracciò il suo compagno mentale e lo incoraggiò di fare il prima possibile perché non voleva essere separato da lui troppo a lungo.

‹Nemmeno io, amico mio.› rispose il drago.

Allora Siirist si dislocò alla grotta fuori da Rivendell e da lì andò a villa Ilyrana. Erano le sei di sera e non mancava molto all’ora di cena.

«Bentornato. I capelli ti stanno decisamente meglio così.» sorrise Elénaril, notando come il mezz’elfo fosse ritornato al taglio di capelli che aveva avuto quando si erano conosciuti.

«Grazie. Pensavo di stare qui per la notte. Partirò alle prime luci, è tempo che vada a Tronjheim.»

«Hai le tue spade?» domandò Elisar.

«Sì, ma non sono come mi sarei aspettato... È meglio non entrare nei dettagli.»

«Certo.» sorrise l’elfo.

Si sentì un forte bussare alla porta principale e tutti e tre si azzittirono. Siirist aprì un occhio mentale fuori dalla villa e vide uno dei membri del Consiglio, quello con il drago verde pallido che aveva cercato di attaccarlo dopo il resoconto della battaglia di Zanarkand. Con lui vi erano altri tre Cavalieri. Il Consigliere si voltò verso l’occhio mentale del mezz’elfo, percependolo. Sorrise maligno e incenerì il portone.

«Elisar, Elénaril, non fate niente e ordinate alle vostre guardie di non muoversi o verranno massacrate.»

«Siamo tuoi complici, verremo incolpati comunque. Vai.» sorrise la madre di Alea.

A Siirist non piaceva quel sorriso, era uno che aveva già visto tramite i ricordi di Rorix, lo stesso che Glallian, rapito dal corridore infuocato, aveva mostrato a suo padre: un sorriso che voleva rassicurare ma che era pieno di consapevolezza dell’imminente fato. Non avrebbe permesso ai genitori della sua amata di venire uccisi da quel Consigliere.

«Potrai anche avere le capacità per sconfiggere Delmuth, ma se lo tocchi, sarai immediatamente considerato un traditore dell’Ordine. Non puoi permetterti di farlo, quindi vattene. Ora!» intimò Elisar.

«Tanto non puoi fuggirmi per sempre, Cavaliere d’Inferno!»

Delmuth, apparve all’inizio della scalinata con la spada che trapassava da parte a parte una delle guardie. Il mezz’elfo era lì per incenerirlo ma fu fermato da Elisar.

«Avanti, usa la dislocazione. Tanto ti troverò.»

«E come?» chiese, cercando di prendere tempo.

«Il Consiglio ha i suoi metodi per rintracciare i Cavalieri traditori.»

Siirist richiamò il sangue demoniaco e andò in stato di calma assoluta. Assaltò la mente del bosmer per cercare di scoprire come lo avrebbe trovato, ma l’unica cosa che riuscì a vedere prima di venire cacciato fuori dalla testa di Delmuth fu che il venire rintracciato aveva a che vedere con l’emanazione della propria energia interna. Questo voleva dire che usare le arti mistiche avrebbe rivelato la sua presenza, e forse anche i poteri demoniaci lo potevano compromettere.

«Come diavolo hai fatto a entrarmi nella mente, ragazzino?!»

«Sono cambiate un po’ di cose in questi anni.» rispose sicuro di sé.

«Credi di potermi sconfiggere?»

«So di poterti incenerire insieme ai tuoi amichetti. Aspetta, io ti conosco... Tu sei il cazzone che ci provò con Alea al nostro primo capodanno!» disse notando un altmer con il drago turchese.

«Non farlo! Ora vattene!» ordinò Elisar.

Con il suo obiettivo in mente, Siirist si decise.

«Se fai loro del male, mi implorerai di ucciderti prima che abbia finito con te.» minacciò con un ringhio.

E si dislocò.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola TRA LE SABBIE DI DALMASCA e sarà pubblicato domenica 19. Senza drago e senza poter usare alcun misticismo, Siirist si trova a vagare nell’immenso deserto di Dalmasca in direzione dei Beor. Lungo la strada farà la conoscenza di una persona interessante.

Ritorna all'indice


Capitolo 65
*** TRA LE SABBIE DI DALMASCA ***


TRA LE SABBIE DI DALMASCA

 

Andò alla tana del primo drago terrestre ucciso. Aveva bisogno di un luogo sicuro in cui rilocarsi per non rischiare di finire in mezzo a qualcuno o qualcosa e non poteva rischiare di condurre Delmuth a Ilirea. Non sapeva come, ma il Consigliere aveva modo di rintracciare ogni suo uso di arti mistiche. Era sufficiente che Siirist accendesse una fiammella che il bosmer lo avrebbe trovato. Il che era un problema perché Siirist voleva mangiare ma, anche se avesse trovato qualche animale, non lo avrebbe potuto cuocere. Persino i draghi non mangiavano carne cruda! Il mezz’elfo si sarebbe dovuto abbassare al livello di un comune animale. Lo stomaco gli brontolò. Se Delmuth e i suoi lo avessero trovato, avrebbe seriamente considerato fare di loro il suo spuntino. Di certo sapeva che non poteva dislocarsi a Kami no seki, perché se quel vecchiaccio che aveva sempre cercato ogni scusa per incriminarlo portava di fronte al Consiglio la prova che il mezzo demone si era rifugiato a Hellgrind, sarebbe indubbiamente stato marchiato come traditore. Almeno per il momento decise di dormire un po’.

 

Quando Siirist uscì dalla tana del drago, a giudicare dalla posizione del sole, erano circa le sei del mattino. Supponendo che Delmuth e scagnozzi non avevano viaggiato di notte, il mezz’elfo aveva circa due ore prima che i suoi inseguitori, in groppa ai loro draghi, lo raggiungessero. Doveva muoversi. Qualunque mezzo il fastidioso bosmer stava usando per rintracciare il suo residuo magico anche a distanza, lo avrebbe condotto a dove aveva passato la notte, quindi più terreno macinava, più era al sicuro. Incominciò a correre, ma dopo dieci chilometri ci ripensò. Non sapendo quando e quanto avrebbe mangiato, era meglio risparmiare le forze.

Non aveva la minima idea di dove fosse se non che era nel deserto di Dalmasca e che si stava muovendo verso sud, sud-est. La sua speranza era di essere nella direzione di Rabanastre che avrebbe dovuto raggiungere, camminando, in una ventina di giorni. Sarebbe stata una gran perdita di tempo prezioso, non riusciva a credere a quanto potesse essere fastidioso il Consiglio. Era intorno alle undici quando sentì nel cielo dietro di lui l’inconfondibile suono del battito d’ali draconiche, e i quattro al suo inseguimento iniziarono la loro discesa, atterrando a una decina di metri da lui.

‹Magnifico.›

«Che ne è stato di Elisar e Elénaril?» chiese leggermente preoccupato.

Ma si impose di restare tranquillo: dopotutto i due erano tra i più importanti esponenti della società elfica. Non potevano essere uccisi senza delle ripercussioni, un Cavaliere nella posizione di Delmuth non si sarebbe permesso di...

«Li ho uccisi, naturalmente.»

Il filo di pensieri di Ryfon fu troncato con la forza che un boia mette nella sua ascia. Si ammutolì nel sentire come l’Anziano avesse detto una cosa così terribile con tanta calma e naturalezza.

«Erano complici di un traditore dell’Ordine e hanno intralciato le nostre indagini. Come membro del Consiglio, ho il potere di decidere di eliminare qualcuno anche importante come lo poteva essere il nobile Elisar Ilyrana.»

Siirist non volle sentire altro. Richiamò il sangue demoniaco e entrò in stato di calma assoluta, così da avere il potere mentale più grande che gli era possibile. Poi, con una magia organica, trasformò le sue iridi, facendo loro ottenere una forma a spirale turbinante, e fissò l’Anziano negli occhi.

I due furono trasportati nell’illusione creata dal mezz’elfo, un mondo arido e dal cielo rosso sangue, con una gigantesca luna con al centro un occhio a spirale che piangeva sangue. Delmuth era completamente nudo e incatenato ad una croce impalata sul terreno, con Siirist in piedi di fronte a lui.

«Un’illusione mentale.»

«Mi pare evidente. No, è inutile che cerchi di liberartene. Vedi, il mio non è solo un attacco mentale, in quanto si tratta pure di un attacco fisico portato tramite gli occhi. Questa è una delle tre illusioni finali di Adeo, il frutto di una mente malata, se devo essere sincero. Bisogna essere dei veri sadici per andare a creare una tecnica del genere. Questa illusione è strutturata per permettere all’utilizzatore di infliggere livelli di dolore infinito alla sua vittima per quanto tempo si desideri: benvenuto nella Dannazione eterna.»

«Che cosa vuoi dire?»

«Qui io controllo tutto, spazio e tempo compresi. In realtà, il momento in cui annullo questa illusione, ritornerò all’istante preciso in cui ti ho attaccato. Bada, ho detto “ritornerò”. Singolare. Perché tu sarai... Onestamente non so nemmeno come descrivere lo stato in cui ti troverai quando avrò finito con te.» disse con tono piatto, dettato dalla calma assoluta.

Ma nemmeno quello stato di assoluto autocontrollo riusciva ad evitare il lieve tono di furia omicida nella sua voce.

«Cosa intendi farmi?»

«Ti avevo avvisato che, se li avessi toccati, mi avresti supplicato di ucciderti prima che avessi finito con te. Mi hai fatto così tanto incazzare da portarmi ad usare una tecnica che mi ero ripromesso avrei usato solo contro il demone che uccise Evendil.»

Delmuth stava per rispondere quando vide apparire nella mano di Siirist una lama incandescente che questi gli infilò nella fronte. Il bosmer strinse la bocca e strabuzzò gli occhi per il dolore.

«Tranquillo, non morirai. Qualunque cosa io ti faccia, non morirai, ma sentirai solo male.»

Il mezz’elfo fece comparire nella sua mano una seconda lama che infilò nel basso ventre della sua vittima. Felicemente lo vide trattenere a stento un grido. Altre lame apparvero, altre lame trafissero. Alcune erano lunghe, alcune erano corte. Siirist ne mise una sotto al ginocchio, una fra le costole, una in un occhio, con una staccò tutte le unghie della mano destra prima di infilarla nel polso dell’elfo. Ad ogni supplizio ricevuto, questi faceva sempre più fatica a non urlare, il suo occhio sinistro strabuzzato così forte che sembrava volesse scoppiare, le vene del viso e del collo tutte tirate, muco che colava dal naso, sangue dalla bocca serrata dopo che si era morso il labbro. E tremava, sempre più vigorosamente.

«Nella realtà, quando una persona raggiunge un certo margine di dolore, qualunque pena venga inflitta dopo non viene avvertita. È chiaro che non funzioni così in questo mondo. Anzi, tutto si accumula e mai smette di far male. E forse dovrei anche aggiungere che tutto ciò che faccio provoca cento volte più dolore di quanto ne arrecherebbe in realtà. Mi complimento con te per non aver emesso nemmeno una sillaba fino ad ora. Sei veramente meritevole della tua posizione nel Consiglio.»

Con l’ennesima lama, Siirist tagliò lievemente la pelle dell’indice sinistro dalla punta al palmo. Poi tracciò una seconda linea a pochi millimetri di distanza e le unì con un taglio sulla base del dito. Afferrò il lembo di pelle e tirò, scuoiandolo. E finalmente Delmuth urlò. Si contorse e urlò, urlò più forte di qualunque persona Siirist avesse mai sentito. Era un urlo di dolore e sofferenza inimmaginabile, qualcosa di impossibile nel mondo reale. D’altronde il cervello era automaticamente portato a spegnersi raggiunta una certa soglia di dolore, ma non lì, non nel mondo della Dannazione eterna. Siirist infilò la lama sotto al mento dell’elfo sofferente, facendola passare dalla cavità orale fino al cervello. E quello continuò a strillare. Gli scuoiò il resto del dito prima di passare alle altre, poi al resto della mano e al braccio. E quello urlava e si dimenava, lacrime miste a sangue che scendevano da entrambi gli occhi, mentre quello ancora intatto seguiva i movimenti del suo torturatore con una paura fuori dal mondo. Siirist sorrise. Era proprio per quello che glielo aveva lasciato, voleva che vedesse, in quanto vedere era anticipare, e l’anticipazione portava con sé terrore e anche più dolore. Quando Siirist ebbe finito, il dunmer era irriconoscibile: nemmeno un lembo di pelle rimasto, entrambi gli occhi spappolati da lame, tutte le sue terminazioni ridotte a moncherini (e le parti di corpo cadute a terra continuavano a trasmettere ogni sensazione ricevuta), lame incandescenti che lo trafiggevano ovunque. In tutto il Consigliere aveva in sé 947 lame. Delmuth aprì gli occhi.

«Ben svegliato.» gli disse amabilmente Siirist.

Di nuovo, l’elfo era incatenato ad una croce, nudo, ma altrimenti immacolato.

«Sono intero...!»

«Hm... no. Ascolta bene, non lo senti?»

L’elfo aggrottò le sopracciglia, insicuro. Il mezz’elfo sorrise e indicò alla sua sinistra. Il Consigliere si voltò e vide in lontananza un se stesso mutilato e urlante.

«Ma come...?»

«Tutto quello che hai provato fino ad ora è stata solo un’ora di torture. Il nome della tecnica è Dannazione eterna: abbiamo solo cominciato.»

Indicò a destra. Delmuth si voltò e sgranò gli occhi per l’orrore e la paura, vedendo una fila sterminata di sé.

«Tanto per essere chiari, il dolore inferto ai “te” precedenti si accumula. L’unico motivo per cui ora non stai a strillare è perché io ho impedito che le sofferenze provate da quello laggiù venissero passate. Volevo che mi ascoltassi con mente lucida per capire bene la spiegazione. Ora...»

Delmuth prese ad urlare e contorcersi come un folle, il dolore che lo aveva appena investito di nuovo.

«Come ho detto prima, controllo lo spazio, perciò vedi di stare fermo, se no non posso lavorare bene... Ecco, così, bravo. E adesso vediamo se riesco a infilarti dentro mille lame...»

Con il corpo completamente immobilizzato non dalle catene che lo legavano alla croce ma dalla volontà di Siirist, Delmuth non poté far altro che guardare con orrore la lama incandescente che si avvicinava al suo occhio destro. Ma questa volta Ryfon non la infilzò nel bulbo, invece prese la palpebra con la destra e la tagliò di netto.

 

Gli occhi di Siirist persero la loro forma a spirale e Delmuth, sangue che gli colava dagli occhi spenti, dalle narici, le orecchie e la bocca, cadde a terra faccia in avanti. Insieme a lui collassò pure il suo drago.

«Che cosa hai fatto...?» chiese impaurito l’elfo cazzone.

Siirist guardò verso quello alla sua sinistra, un bosmer con un drago verde oliva.

«Tu... Tu sarai il testimone delle mie abilità. Ritorna al Consiglio e di’ loro cosa sono capace e disposto a fare e che ci ripensino la prossima volta prima di mandarmi contro qualcuno.»

Controllò la sabbia e con essa creò una prigione per elfo silvano e compagno mentale. Tutti e tre i suoi avversari non nascosero bene la loro meraviglia nel vedere il vecchio delinquente usare con tanta maestria uno degli incantesimi di punta di Adamar. Ma rimasero anche più sorpresi quando lo videro usare un’invocazione istantanea con degli oggetti quando si riequipaggiò con il Guerriero. Spada alla mano, balzò verso l’altmer e lo trafisse al basso ventre. Estrasse la spada e stava per mozzargli il capo quando quello alzò la mano sinistra (la destra era premuta contro la ferita) in segno di resa.

«Aspetta, sono vivi!» disse piangendo.

Siirist interruppe il suo attacco e la spada sparì. Portò la mano alla gola del nemico e lo sollevò. Gli sondò la mente e vide che, effettivamente, gli Ilyrana non erano stati uccisi, ma rinchiusi nelle prigioni del palazzo principesco.

«Sei sincero.» disse aprendo la mano.

L’elfo cadde a terra sul sedere.

«Tornate a Rivendell e fateli liberare. Ora sparite. E sarà meglio che nessuno mi insegua più, o non sarò gentile come questa volta.» disse voltandosi verso sud e incamminandosi.

«E Delmuth...?»

«È vivo, anche se rimarrà un vegetale per un secolo o due. O forse più, non lo so. La sua mente è devastata, e a causa del legame lo è anche il suo drago. Sinceramente non mi interessa.»

Senza curarsi del Cavaliere e del suo drago intrappolati nella sua prigione di sabbia, Ryfon se ne andò, sapendo che nessuno degli inseguitori presenti avrebbe avuto la stupidità di andargli dietro.

 

Camminò per cinque giorni, dormendo solo poche ore la notte, perché sempre all’aperto e senza alcuna difesa. All’alba del sesto era oramai stremato. Non aveva mai mangiato se non la carne non cotta di uno scorpione gigante al secondo giorno che aveva ucciso con un pugno. Se cotta la carne del mostro faceva schifo, cruda era anche peggio. E il fatto che fosse stata accompagnata da una bella bevuta di urina non aiutava. Anche se era quasi sicuro che il Consiglio, dopo il resoconto dei tre Cavalieri, non lo avrebbe più perseguitato, aveva deciso che fosse comunque più saggio non usare le arti mistiche e i poteri demoniaci. Anche se non lo inseguivano, da quel poco che sapeva il Consiglio poteva localizzarlo e non era una cosa che voleva.

Giunta sera, stava per collassare e arrendersi al bisogno di dislocarsi a Kami no seki quando vide in lontananza un fuoco. Allora fece appello alle sue ultime forze e riuscì a crollare accanto all’accampamento, ai piedi di una delle guardie.

«Ehi tu, vattene, non vogliamo estranei qui!»

«Acqua... cibo...» chiese debolmente.

«Ho detto di andartene, non hai sentito?!» intimò la guardia, colpendolo con l’estremità contundente della lancia.

«Posso pagare...»

«Cosa succede qui?»

Siirist alzò appena la testa per vedere di chi fosse la nuova voce e vide un uomo sulla sessantina ben vestito. Doveva essere quello che aveva assoldato il mercenario di buon cuore. Ripeté il suo appello.

«Ma certo. Tu, aiuta questo povero ragazzo, portalo alla mia tenda.»

«Come volete.» grugnì la guardia.

Con difficoltà Siirist riuscì a stare con la schiena dritta quando si fu seduto sul cuscino senza svenire. Scostò il bicchiere d’acqua che gli era stato versato e prese la caraffa, svuotandola in poco.  Notò un pulsante sulla maniglia e lo premette: la caraffa si riempì automaticamente grazie ad una Materia inserita nel fondo.

Si trovava in una tenda arredata in modo incredibilmente lussuoso, con sontuosi tappeti a ricoprire tutto il terreno sabbioso, due bei letti separati da una tenda e un basso tavolo al centro che era stato imbandito con numerose pietanze. Attorno ad esso erano seduti lui, il suo salvatore e quella che il mezz’elfo suppose fosse la nipote di quest’ultimo. L’uomo aveva un viso amabile e una folta ma corta barba grigia come i capelli. Aveva un fisico che mostrava la sua età, ma era chiaro che un tempo era stato forte. Lei era aggraziata, giovane e carina, con lunghi e lucidi capelli neri, occhi nocciola, una bella carnagione olivastra e un bel corpo, non troppo generoso, non troppo poco. Siirist suppose fosse tra i sedici e i diciotto anni. Sopra ad un comodino Ryfon notò una spada a una mano e un arco con una faretra contenente venti frecce. L’arco soprattutto lo interessò, il colore grigio cenere del legno era inconfondibile e la sua forma perfetta era qualcosa che non si poteva ottenere con la lavorazione manuale: quello era un arco cantato dagli elfi e ricavato da alcuni degli alberi della Yaara Taure. Gli archi di ferrocorteccia erano rinomati per la loro gittata, ma erano molto difficili da piegare per via della loro durezza. Si chiese se fosse un ricordo di gioventù di Lorgren o se questi fosse ancora in grado di tenderlo.

«Prego, mangia pure, straniero, sembri affamato.»

Siirist non se lo fece ripetere. Prese una bistecca con le mani e la divorò in pochi e grossi bocconi, un intero sfilatino che passò nel grasso della bistecca prima di mangiarlo e tutti gli spiedini che erano stati serviti. Svuotò la damigiana di vino e mangiò tutte le costolette che gli altri due non avevano fatto in tempo a prendere. Lo guardarono con espressioni indecifrabili.

«Chiedo scusa. Dove posso andare a lavarmi?»

«C’è una bacinella proprio lì...» indicò l’uomo.

Siirist si alzò e andò a darsi una sistemata, notando che anche la bacinella si riempiva utilizzando una Materia d’acqua. Tra il viaggio e il modo in cui aveva mangiato, era uno schifo. Quando ebbe finito ritornò accanto al tavolo ma non si sedette.

«Chiedo umilmente perdono per il modo indecente in cui mi sono appena comportato, specie di fronte ad un’elegante fanciulla come voi. Ma non mangiavo da quattro giorni e avere appetito mi può far diventare... aggressivo, quindi è sempre bene che mangi. Vi ringrazio per avermi sfamato, accettato questo oro come pagamento.» disse estraendo una moneta da mille guil.

«Ma assolutamente no, straniero! Siamo felici di aiutare una persona bisognosa e le tue parole sono tutto ciò che desideriamo come ricompensa. Abbiamo molto altro cibo, se vuoi possiamo prepararne di più.» disse amabilmente il vecchio.

Anche la ragazza sorrise, fissando i suoi splendidi occhi scuri in quelli azzurri del mezz’elfo.

«Per quanto sono sicuro che la vostra offerta fosse solo una gentilezza, ho paura di dirvi che sì, sono ancora affamato. Ma vi prego, non vi alzate, se mi dite dove posso prendere il cibo, me lo cucino da solo.»

 

Dopo cena, il vecchio Lorgren mostrò a Siirist le latrine e la tenda in cui era stata preparata una vasca da bagno che fu riempita usando una Materia d’acqua la cui temperatura poteva essere regolata. Il mezz’elfo vi entrò e si lavò bene, felice di togliere tutto lo sporco e la polvere. Il suo soccorritore gli aveva anche fornito alcuni dei suoi vestiti mentre aspettava che i propri fossero lavati e asciugati. Sarebbero stati pronti per l’indomani. Quindi con una tunica e dei calzoni dorati che gli stavano un po’ corti e larghi alla vita, Siirist ritornò alla tenda di Lorgren e Nissa e si stese sulla pila di cuscini che la ragazza aveva preparato per lui. Non gli era sfuggito come la moretta lo guardava: occhiate interessate ma innocenti. Doveva pensare che il mezz’elfo non fosse più vecchio di lei di molto, quando in verità era più vicino al nonno che a lei.

«Sono per sempre in debito con voi.» disse Siirist prima di addormentarsi.

 

Il giorno dopo Siirist fece colazione con Lorgren e Nissa e si preparano per partire, ma, usciti fuori, trovarono ad aspettarli una sorpresa: i sei mercenari con le loro spade puntate.

«Siamo a metà strada, dieci giorni di viaggio per Alexandria, dieci per Rabanastre. Mi dispiace, vecchio, ma vogliamo le gemme.» disse uno.

«E la ragazza.» aggiunse un secondo.

«Sì, ci daranno un ottimo prezzo nelle case di piacere dei bassifondi di Rabanastre.»

«Ma dovremo insegnarle qualcosa noi prima di consegnarla.» disse un quarto con un sorrisetto maniacale.

Lorgren strinse la nipote impaurita. Siirist sbadigliò.

«E tu, straniero, dacci tutto ciò che possiedi.»

Siirist rimase in silenzio, muovendo gli occhi verso quello che gli aveva appena parlato.

«Avanti, ragazza, vieni qui o uccidiamo te, tuo nonno e il biondino.»

Quello doveva essere il capo. Siirist lo studiò attentamente, osservando tutti i punti deboli nella sua armatura di acciaio. Pareva orchesco, ma era così sporca che era difficile esserne certi. Nissa, piangendo, uscì dall’abbraccio del nonno e si avvicinò al rapitore.

«Non muoverti, vecchio, o le tagliamo la gola. Anche tu, straniero, non fare scherzi.»

«Ma che vuoi che faccia, è disarmato!»

Siirist posò il suo sguardo su tutti e sei i mercenari, tutti morti che ancora non ne erano consapevoli. Avrebbe potuto ucciderli schiacciando loro la mente, ma non voleva rivelare troppo delle sue capacità: un abile guerriero era più comune che un abile mistico, specie uno giovane (almeno all’apparenza) come lui.

«Lorgren. Ieri vi ho detto di essere per sempre in debito con voi. Non mi è molto conveniente avere un impegno del genere con una persona. Se risolvo questa situazione, possiamo considerare il debito estinto?» chiese calmo.

«Ma certo! Ma cosa puoi fare?»

«Haha, sentitelo, vuole fare l’eroe!»

«Ma stai zitto. Bella collana, dai qui.»

L’imbecille fece il colossale errore di cercare di toccare il regalo di Alea. La mano destra di Siirist afferrò e stritolò il polso sinistro di quel mercenario, sbriciolandoglielo. Ma quello era evidentemente stupido al punto di non capire solo da quel gesto quale fosse la forza della persona che aveva di fronte, perciò lo attaccò con un affondo. Siirist ruotò il busto, facendo passare la lama a pochi millimetri dal petto. Alzò il ginocchio sinistro e abbassò la mano corrispondente, colpendo all’unisono la mano del nemico, spaccandogli le dita e facendogli perdere la presa della spada. Il mezz’elfo la afferrò e immediatamente lo trafisse nella gola. A giudicare dalle dimensioni e dal peso, Siirist suppose si trattasse di acciaio di Arcadia, e per quanto non fosse trattata con molta cura, il filo era perfettamente affilato. Si era procurato una buona spada, bene. Estrasse l’arma dal cadavere e mosse quattro passi prima di alzare il braccio e portare la lama a proteggere la schiena contro l’attacco di un secondo mercenario. Distese il braccio, portando la punta verso l’alto, sbilanciando l’avversario; senza interrompere il suo movimento ruotò di 360° aprendo un profondo solco lungo la gola di quello. Puntò la spada verso il capo dei mercenari che aveva preso Nissa e le teneva la lama alla gola.

«Lasciala andare.»

«No! Muoviti e la uccido!»

«D’accordo, vai, allora.»

«No, tu ora muori per quello che hai fatto ai miei uomini. Se opponi resistenza, non esiterò a ucciderla.»

«Sembra tu abbia sopravvalutato il mio buon cuore. Tengo più alla mia vita che a quella della ragazza. Se ve ne andate ora non farò niente: meglio rapita che morta. Se mi fai attaccare, risponderò: meglio lei che me. Decidi.» rispose, pronto a bloccare ogni movimento del corpo dell’uomo se avesse veramente cercato di ucciderla.

I quattro mercenari rimasti si guardarono e annuirono. Salirono sui chocobo che avevano già preparato, con Nissa su uno tutto per sé, e galopparono via. Siirist attese cinque secondi prima di camminare senza fretta verso la tenda, piantando la spada nella sabbia. Ne uscì con l’arco di ferrocorteccia nella destra e la faretra appoggiata alla spalla sinistra, mentre camminava si occupò di incordare l’arco. Estrasse due frecce e le incoccò. Alzò il braccio destro, l’arco posto orizzontalmente, e con quattro dita della sinistra tese la corda, piegando senza alcuno sforzo la ferrocorteccia. Calcolò la distanza e la forza del vento e lasciò andare. Le frecce sibilarono in aria prima di colpire i bersagli dietro al collo. Un istante dopo un terzo mercenario venne ucciso e subito dopo il quarto.

«Fatto. Voglio sperare Nissa sappia montare bene un chocobo e sia in grado di ritornare qui da sola.»

«Sì... grazie...»

«Io sto andando verso sud e Rabanastre è una sosta che avevo in mente. Sarei felice di scortarvi fino a lì.»

 

Per quanto fosse ora in sella ad un chocobo e non a piedi, il viaggio andò alla stessa velocità di prima ed in dieci giorni, come aveva detto il mercenario, arrivarono a Rabanastre. Siirist si era tenuto la spada di acciaio di Arcadia e Lorgren insistette per dargli dieci monete d’oro. Con esse, Siirist aveva sui quarantamila guil. La Città delle Macchine non era impressionante come lo era Zanarkand, ma di certo era un posto che non si poteva dimenticare facilmente. Era sopraelevata di circa cinquanta metri dal deserto e circondata da alte mura, presenti per difenderla dalle tempeste di sabbia più che da un’invasione. Tutto era di un colore metallico sul rosso-marroncino. Siirist lasciò Lorgren e Nissa alle stalle fuori dalla città e salì la lunga scalinata che lo portò al grande cancello di metallo verde e grigio. Superato esso si trovò in un lungo viale alberato, al cui termine vi era un grande parco da cui si diramavano le strade per l’aeroporto, il quartiere basso e il quartiere alto. Siirist andò in quest’ultimo, salendo un’ulteriore scalinata. La pavimentazione di pietra e metallo sotto i piedi era perfettamente piana e le strade larghe e decorate con diverse piante rigogliose rendevano Rabanastre una bella città. Ryfon andò al primo albergo e prese una camera per la notte. Si informò anche al bancone dove avrebbe potuto acquistare un’automobile e dove si trovavano dei buoni negozi di abbigliamento. Lasciata la sua spada in camera e pagate tre monete d’argento, quindi, il mezz’elfo ritornò per strada e si diresse al primo negozio, dove comprò tre paia di pantaloni, sette di mutande e calze, cinque magliette a maniche corte, due felpe con il cappuccio, un paio di scarpe e un altro mantello da viaggio e un borsone nero. Pagò 1790 guil, piegò gli abiti, li mise nella borsa e la andò a lasciare in camera. Di nuovo uscì dall’albergo ed andò ad un concessionario dove rimase incantato a guardare le automobili, mezzi che non aveva mai visto. Le più avanzate e costose erano piccole aeronavi di categoria A, capaci quindi di volare, ma a lui non interessavano e si limitò a guardare quelle che viaggiavano bene in mezzo al deserto e lungo terreni rocciosi e in mezzo alla neve. Dopo un’ora passata a controllare specifiche tecniche, ne scelse una da 34250 guil che il proprietario del concessionario gli disse sarebbe stata consegnata al deposito fuori dalla città, accanto alla grande scalinata d’ingresso. Era del colore della sabbia, con i vetri verde scuro e riflettenti dall’esterno; aveva la forma di un trapezio isoscele, quattro ruote motrici, ognuna chiodata per muoversi bene sui  terreni instabili; il motore alimentato da tre Materia sferiche della grandezza di una mela, quattro sedili e le portiere che si aprivano verso l’alto. L’ultima spesa di Siirist fu l’acquisto di provviste per il viaggio, frutta, pane, carne secca e acqua. Quando ebbe finito con le compere, Siirist era rimasto con poco più di duemila guil. Ritornò in albergo e si fece una doccia, dopodiché indosso alcuni dei vestiti nuovi, i pantaloni blu scuro, la maglietta celeste e le scarpe bianche con i bordi blu. Scese al ristorante e ordinò una grigliata mista, un’insalata e un bicchiere di vino rosso. Stava mangiando un pezzo di pane cotto a legna quando il palco nella sala aprì il sipario. Tutti i presenti iniziarono a esultare e Siirist non mancò di notare che erano per la maggior parte uomini. Diversi fari si accesero e illuminarono una splendida ragazza dalla pelle chiara, belle curve, capelli castano chiaro che arrivavano a metà collo e intensi occhi azzurri. Ai capelli aveva legate delle lunghe piume colorate, le quali costituivano anche il suo abbigliamento. Era agghindata in maniera provocante, le lunghe piume che lasciavano intravedere a sufficienza per stuzzicare la mente senza scadere in nudità. Siirist già prevedeva uno spettacolo pervertito atto ad eccitare i presenti, cosa inaspettata in quel tipo di albergo d’alta classe. Ma fu contraddetto quando la musica iniziò a suonare e la ragazza a danzare. Era veramente brava. Aveva movimenti aggraziati e agili, muoveva le piume che teneva in mano, alzava una gamba e ruotava sull’altra mentre inclinava il busto all’indietro. Era una danza elegante ed erotica e, sorprendentemente, così ipnotizzante che Ryfon mangiò la sua cena senza nemmeno accorgersene. Ordinò una fetta di millefoglie e pagò il conto. Stava per andarsene quando il suo udito elfico gli permise di sentire una parte di conversazione tra un uomo dai capelli neri laccati e pettinati all’indietro e un altro leggermente sovrappeso e vestito in maniera esageratamente ricca. E quello che sentì non gli piacque per niente. Li vide entrare in una porta vicino al palco dove si andò poi ad appostare un terzo uomo. Era imponente, con la testa calva e occhi glaciali. Gli occhi del ladro notarono senza sforzo il rigonfiamento all’altezza dell’ascella sinistra che significava l’armadio teneva una fondina con una pistola. Molto bene, Siirist aveva lasciato le sue a Kami no seki e aveva proprio voglia di studiare un’arma a Materia. Si avvicinò furtivamente alla testa pelata e gli premette un punto verde sulla gola. Quello si accasciò e terra e il mezz’elfo gli sottrasse la pistola. Era grigio scuro, con una bocca di fuoco di nove millimetri. Estrasse il caricatore e vide la barra di carica della Materia quasi al massimo. Tolse l’alimentatore dell’arma e vide che era di un colore azzurro chiaro. Pareva emanasse energia di luce, ma con le Materia era sempre difficile percepirne bene la funzione. Rimise tutto a posto e oltrepassò la porta. Entrò in un corridoio infondo al quale vi era il camerino della ballerina. Sapendo già cosa avrebbe trovato dall’altra parte della porta, non si preoccupò di bussare.

«E tu chi credi di essere?!» esclamò l’uomo dai capelli laccati.

L’altro non era solo un po’ sovrappeso, ma orribilmente flaccido. Teneva ancora alle dita i suoi anelli e ricordava al mezzo demone un grosso maiale. Stranamente gli fece venire fame, e questo gli diede la nausea. La ballerina era in ginocchio, nuda, e stava per fare qualcosa che Siirist non avrebbe mai augurato a nessuno di fare con un individuo come quello.

«Tu, vestiti, ti porto via da qui.» le disse.

Lei lo guardò con occhi spenti. Pareva una persona del tutto diversa da quella che aveva visto sul palco, dove era stata sensuale non tanto per come era stata vestita e per i suoi movimenti, quanto per il suo sguardo. Era una ballerina brava perché si vedeva quanto amasse farlo, ma ora che era obbligata a prostituirsi, sembrava morta.

«Se credi di poterla passare liscia ti sbagli di grosso!» si arrabbiò leccata di mucca.

«Stig, che sta succedendo? Mi hai promesso di poter fare ciò che voglio con lei per tutta la notte! Rivoglio i miei soldi!»

Siirist non ci pensò due volte prima di premere il grilletto con la pistola rivolta al ginocchio destro di quel maiale su due zampe. Un proiettile di luce azzurrina ne partì e bucò la rotula di quell’animale, facendolo cadere a terra urlante e piagnucolante.

«Potrebbe essere tua figlia. Dovresti vergognarti.»

L’uomo chiamato Stig stava per reagire, ma Siirist fu più veloce e gli premette un punto verde. Fece lo stesso al maiale che si azzittì. Porse la destra alla ballerina e la aiutò ad alzarsi.

«Vestiti, ti porto via da qui.»

«Non posso, ho un debito da pagare.» rispose difficilmente trattenendo le lacrime e riacquistando un minimo di vitalità.

«Che tipo di debito?»

«Mio padre deve molti soldi a Stig, quindi mi ha data a lui per dieci anni. Ormai ne mancano solo due, quindi...»

«Conoscendo il tipo, non ti lascerà mai andare.»

Prese il borsellino che conteneva le monete del regno elfico e le buttò addosso a quella feccia addormentata.

«Sono un po’ a corto di guil, quindi gli ho dato le mie corone elfiche, sono in tutto 20000, una bella somma. Se è furbo se le farà bastare e non ci darà più problemi. La mia etica mi impedisce di ignorare una fanciulla in difficoltà, quindi vestiti e vieni con me. Sto viaggiando verso sud, ti posso lasciare al primo villaggio che incontriamo, se vuoi.»

«Io... Grazie.»

Si vestì in fretta e Siirist la accompagnò alla sua stanza dopo averla camuffata con un’illusione.

«Purtroppo quello Stig ha visto la mia faccia, quindi saprà rintracciarmi qui. Dobbiamo andare, tu porta la borsa con i miei vestiti, è più leggera di quella delle provviste.»

La ragazza annuì ed i due lasciarono l’albergo. Raggiunsero i cancelli della città, che restavano sempre aperti in una Città delle Macchine e che erano presenti a Rabanastre solo in caso di tempeste di sabbia, e scesero la lunga scalinata. Svelto, Siirist inserì la chiave magnetica della sua automobile nell’apposita fessura e sentì da dentro il rialzamento della città muoversi il meccanismo che avrebbe portato fuori la sua vettura. Lo scompartimento si aprì ed il veicolo era pronto ad essere attivato. Il settimo senso avvisò il mezz’elfo del pericolo prima ancora di sentire la voce dell’uomo.

«Non così in fretta.»

Siirist e la ragazza si voltarono di scatto, il mezz’elfo che puntò la pistola, ritrovandosi di fronte ventidue uomini. Venti erano armati di fucili, uno era Stig, l’ultimo un uomo indossante un elegante completo blu scuro sopra ad una camicia bianca e una cravatta a righe trasversali blu scuro e di una tonalità più chiara, tendente all’azzurro. Aveva lunghi capelli biondo pallido e due occhi furiosi. Ryfon capì all’istante che quello era il più pericoloso di tutti e che doveva essere il motivo per cui Stig era già sveglio dopo la pressione del punto verde.

«Oh no, Alding, il mago al servizio di Stig...» disse impaurita la ragazza.

Siirist suppose si trattasse di qualcuno abile nella magia organica o nella mente per aver potuto risvegliare il suo datore di lavoro. Sentì la sensazione di qualcuno che cercava di invadergli la mente e sorrise.

 

Alding odiava essere svegliato. Andava a dormire presto e si svegliava tardi. Era così che si svolgeva la sua giornata. Aveva bisogno di tredici ore di sonno per mantenere le sue capacità mentali al meglio, e ora il suo riposo era stato interrotto. L’avrebbe fatta pagare a quel ragazzino! Fu sorpreso nel ritrovarsi in un’intricata foresta da cui non riusciva ad uscire. La difesa mentale di quello sconosciuto era impressionante, non se lo sarebbe immaginato. Ma non poteva perdere, lui era un laureato dell’Università Arcana che aveva ottenuto pieni voti in controllo mentale. Mosse qualche passo in quel bosco intricato, con i rami spinati che gli tagliavano il viso. Strinse i denti mentre un rivolo di sangue gli scendeva lungo la guancia. Si fermò di colpo, avendo come l’impressione che qualcosa si era mosso fra i cespugli a qualche metro da lui. Poteva essere quel giovane che aveva osato portare via Sylgja? Continuò a camminare finché il suo piede non prese una radice e cadde faccia in avanti. Fece per rialzarsi quando sentì un caldo respiro sulla nuca. Alzò la testa e vide un feroce e gigantesco lupo dal pelo grigio scuro e nero che lo fissava con occhi dorati. Terrorizzato, Alding saltò indietro ed il lupo incominciò a ringhiare e mostrare i denti, avvicinandosi minacciosamente. Si rimise in piedi e mosse qualche passo indietro, sempre tenendo d’occhio la bestia che aveva di fronte. Si fermò solo quando sentì del movimento dietro e voltò lentamente la testa, una goccia di sudore che gli rigò la fronte. Vide uscire dai cespugli una grossa lince. Fece per correre verso destra quando vide arrivare un enorme leone, il più grosso di tutti. E dietro vide stagliarsi la sagoma del ragazzo.

«Al termine del cammino di tua vita, ti ritrovasti in una selva oscura, che la via della vita era finita.» sentì proclamare con tono solenne.

Il ragazzo uscì dalle tenebre e sorrise, accarezzando la criniera del leone. Le tre fiere si avvicinarono, chiudendo Alding in una tenaglia di zanne e artigli.

«Ti piacciono i miei guardiani? Ho pensato che belve feroci fossero la cosa più adatta per una foresta.»

Guardiani? Quel ragazzino aveva creato guardiani mentali? Era un’abilità della più grande maestria, l’Arcimago dell’Università era a malapena in grado di creare un guardiano della sua mente, e niente così terribile e feroce come le fiere che aveva ora di fronte. Quel ragazzo era molto più di quanto avessero immaginato. Doveva avvisare Stig, doveva...!

 

Il mago dai lunghi capelli biondo pallido cadde faccia in avanti nella sabbia del deserto. Tutti guardarono verso di lui con occhi sgranati dalla paura.

«Ora che la vostra arma segreta è fuori uso, continuerete a cercare di fermarmi o ci lasciate andare?» chiese gentilmente Siirist.

«Sei stato tu?» domandò con voce carica di terrore Stig.

«Tecnicamente no, sono state le mie protezioni mentali. Io ho solo guardato.»

«Fuoco, fuoco! Sparate quel bastardo!» urlò in preda al panico.

«Io ritirerei quell’ordine, fossi in te.»

Stig si pietrificò quando vide che tutti i suoi scagnozzi avevano i fucili puntati verso di lui.

«Che sta succedendo?!»

«Non è molto difficile controllare le azioni di persone senza una buona difesa mentale. Ora andatevene.»

«Aspetta.»

Sylgja si fece avanti e prese la mano di Siirist che impugnava la pistola. Il mezz’elfo capì.

«Ne sei sicura?»

Le labbra serrate e gli occhi rossi per le lacrime e la rabbia, ella annuì.

«Hai mai ucciso nessuno prima?»

Scosse la testa.

«Allora ti consiglio di ripensarci. La prima volta che togli la vita a qualcuno, non importa quanto meschino, è qualcosa che ti tormenterà per molto tempo. Io non ho dormito bene per un mese e mezzo.»

«Ho desiderato farlo per otto anni.» rispose a denti stretti.

«Posso solo immaginare. Ma sei ancora in tempo: una volta che premi il grilletto, non si torna indietro.»

Ella annuì e strinse forte la mano di Ryfon. Egli sospirò e lasciò la presa della pistola. Impose agli uomini di deporre tutte le loro armi e ritornare in città. Sylgja si avvicinò a Stig mentre il mezz’elfo metteva le due borse sui sedili posteriori dell’automobile. Stig stava per correre via quando Siirist lo bloccò dopo aver preso il controllo del suo corpo. Andò a raccogliere fucili e pistole per metterli nel portabagagli e Sylgja era ormai a un metro dall’uomo che l’aveva fatta soffrire per tutti quegli anni. Piangendo alzò la destra, mettendo la canna della pistola a contatto con la fronte del suo violentatore.

«No... ti prego...» iniziò a piangere.

Sylgja colpì con il calcio della pistola, buttando il verme a terra.

«Sarà meglio che non fai niente a mio padre, intesi?»

«Ti ho lasciato un buon rimborso, quindi non hai di che lamentarti. Fai come dice la ragazza o te la dovrai vedere con me, intesi?» minacciò freddamente Siirist.

Stig annuì con forza. Sylgja si morse il labbro per la rabbia e lo calciò sulle costole prima di raggiungere il mezz’elfo che si era già seduto nella vettura.

«Hai fatto bene.» le disse.

Inserì la sua chiave nell’apposita fessura e premette un pulsate. Il quadro si accese e furono pronti a partire. Non aveva mai guidato un’automobile, ma, al momento dell’acquisto, aveva sondato la mente del venditore per imparare tutto ciò che c’era da sapere a riguardo. A livello teorico sapeva tutto, ora c’era da vedere come se la cavava in pratica. Ingranò la marcia, premette l’acceleratore, e l’automobile uscì dal deposito che si richiuse. Gli interni erano comodi, di pelle beige, con un poggia braccio tra i due sedili, sia davanti che dietro. La leva del cambio aveva un’impugnatura ergonomica, il volante aveva una bella forma sotto le mani del mezz’elfo. Gli piaceva. Andava ad una velocità di 80 km/h, i fari che illuminavano una vasta area di fronte al veicolo.

«Non è molto saggio guidare di notte in mezzo al deserto, potrebbero spuntare fuori mostri all’improvviso.» avvisò Sylgja con una vocina piccola.

«Sarebbe più saggio fermarsi e dormire? Saremmo dei bersagli facili.»

«Perché mi hai fermata?» disse cambiando violentemente discorso.

«Hai fatto tutto da sola.»

«Solo perché me l’hai detto tu.»

«Quando si uccide qualcuno, non si torna indietro. Fidati, non vuoi una vita simile.»

«Quante persone hai ucciso?»

«Diciannove intenzionalmente. Sette non intenzionalmente.»

«Hai mancato il bersaglio o qualcosa?»

«No, le ho trucidate. Ma non ero in me. Ora smetti di fare domande di cui non vuoi sentire la risposta.»

Sylgja rimase in silenzio per un po’.

«Come hai ucciso Alding?»

«Non lo ho ucciso, gli ho solo distrutto la psiche. Con degli abili guaritori potrà ritornare normale, ma non avrà più le sue abilità mentali.»

«Sembrava morto.»

«Ma non lo era. La vera forza è quella che ti permette di sconfiggere un nemico senza togliergli la vita.»

«Anche se lo odi dal più profondo?»

«La strada della vendetta non è bella. Lo so perché la sto seguendo e c’è una persona che voglio massacrare spietatamente. Ma io mi sono già macchiato le mani. Tu, d’altro canto, non hai questo fardello. Non valeva la pena caricarti di esso per un verme come quel Stig, dammi retta.»

«Chi è questa persona che vuoi uccidere?»

«Basta con le domande. Dormi.»

Le invase la mente e la mise a dormire.

 

Passarono due giorni e raggiunsero un villaggio. Esso era composto da case con i muri di arenaria e tende. Aveva un misero muro di arenaria a proteggerlo contro gli assalti dei terribili mostri che vivevano nel deserto e parti di esso erano collassate. Aveva un aspetto molto arido e solo al centro si trovava un pozzo. Siirist chiese in giro se nessuno fosse disposto ad accogliere Sylgja, ma ricevette solo rifiuti.

«Siamo un villaggio povero, ti sembra possiamo permetterci di ospitare la puttana di un riccone delle Macchine?»

Ryfon ignorò l’insulto e ritornò alla sua vettura.

«Perché non mi vuoi portare con te?»

«È pericoloso.»

«Dove stai andando?»

«A sud.»

«Quanto a sud?»

«Parecchio.»

«Fino ai Beor?»

«Esatto.»

«Eh?! E che ci vai a fare?»

«Affari miei.»

«Sei uno scavatore?»

«Che cosa sarebbe?»

«Una persona che esplora gli antichi thaig del regno nanico e ne trafuga i tesori. I nani, un tempo, avevano sette grandi città nei Beor e da esse si diramavano un numero infinito di thaig, quartieri più o meno grandi. Solo quattro città sono ancora vive ora, tra cui la loro capitale Tronjheim e la loro “città-cancello” Orzammar. Tre città sono completamente abbandonate e così tutti i loro thaig.»

«Come sai queste cose?»

«Mio padre è uno studioso dei nani, visse cinque anni a Orzammar quando era giovane. È per questo che si indebitò con Stig, gli chiese in prestito dei soldi per una spedizione in un thaig appena riscoperto, ma essa fallì e mio padre rimase indebitato.»

«Quindi tuo padre è uno scavatore?»

«No! Ho detto che è uno studioso. La spedizione era solo per scoprire cose sulla storia dei nani che loro stessi hanno dimenticato. Gli scavatori sono solo dei predoni.»

«Capisco. E dove era diretta la spedizione?»

«A Kagrenzel, vicino alla costa ovest di Alagaesia, in mezzo ai picchi dei Beor. Si dice lì vivesse l’architetto che fece costruire le mura nere della Rocca di Vroengard. Sai che i nani hanno dimenticato come lavorare il marmo nero?»

«No, non lo sapevo. Quindi l’obiettivo della spedizione era di ritrovare il metodo di lavorazione? Sarebbe utile.»

«Portami con te!»

«Ti ho detto di no.»

«Ma perché? È difficile che trovi un posto che mi voglia accogliere, più ci avviciniamo al confine, più i villaggi sono poveri. So molte cose sui nani, posso esserti utile! So parlare la loro lingua. Sono un po’ arrugginita, però...»

«Anche io la parlo.»

«Ah... Come mai? Non molti la conoscono.»

«Sono uno dei pochi. Va bene, vieni con me, ma resti a Orzammar.»

«Perché, dove vorresti andare tu, scusa?»

«Tronjheim.»

«Che cosa?! Tu sei pazzo, nessun abitante di superficie può andare oltre Orzammar!»

«Dovranno fare un’eccezione per me.»

 

A metà pomeriggio raggiunsero un’oasi in cui era stata costruita una locanda. Era grande ed attirava tutti i viaggiatori che volevano passare il confine. Trovò diverse automobili e aeronavi parcheggiate sulla sabbia lì intorno. Siirist prese una camera e chiese due letti separati, ma era rimasta solo una con un letto matrimoniale. Guardò Sylgja e ci pensò su. Infine accettò.

«Mi dispiace, ho provato a prendere due letti, ma non ce ne erano più.»

«Non fa niente.» sorrise Sylgja.

Un sorriso amaro, il tipo che Siirist odiava vedere, specie su una bella ragazza.

«Quanti anni hai?» chiese mentre salivano le scale.

«Ventidue. E prima che puoi chiedere altro sì, avevo quattordici anni.»

«Non hai problemi a starmi vicino. Avrei pensato avessi una paura matta degli uomini.» disse aprendo la porta della camera.

Entrarono e appoggiarono le borse a terra. Lei si sedette e poi stese sul letto.

«Quando Stig mi prese, si occupò personalmente di “educarmi”. Mi violentò ogni giorno, dieci volte al giorno per un mese. Io urlavo e piangevo e lui mi picchiava. Alla fine, il solo pensare a un uomo mi faceva vomitare ed ero debole, a malapena riuscivo a stare in piedi. Ma a lui andava bene così, non mi voleva in piedi, mi voleva in ginocchio. Bastava che ne sentissi l’odore e iniziavo a tremare. Non piangevo perché avevo finito le lacrime, credo. L’altro giorno, quando gli puntavo contro la pistola, ho pianto per la prima volta in otto anni.»

«Come ti è passata la fobia degli uomini?»

«Pensò di “curarmi” con una “terapia intensiva”. Organizzò una grande festa nei bassifondi di Rabanastre a cui parteciparono umani e orchi, tutti uomini. Per farne parte dovevano pagare un argento a Stig. Mi passarono come un oggetto da uno all’altro. A un certo punto ricordo svenni mentre ne avevo cinque addosso. Mi risvegliai insanguinata e ricoperta di sperma rappreso. Non è molto piacevole, se te lo stai chiedendo.»

«Ti credo.» rispose disgustato.

«Sinceramente non so nemmeno con quanti uomini sia stata. A volte penso che se dovessi tornare da mio padre in queste condizioni, non mi vorrebbe accettare per come sono sporca.» disse tristemente.

«Se dovesse succedere, gli aprirò la testa con le mie mani, te lo prometto. È per lui che hai sofferto tanto, il minimo che potrebbe fare è mostrare un po’ di gratitudine.»

«Sei gentile... in una maniera insolita e sbagliata. Sei il primo uomo gentile che abbia mai incontrato.» disse con gli occhi lucidi e un sorrisetto.

«C’è un negozietto al piano terra, vado a vedere se c’è qualcosa che ti possa stare.»

Scese di sotto e vide un bel vestito bianco lungo. Era semplice, ma era sicuro che sarebbe stato bene a Sylgja. Si controllò il borsellino e pensò che poteva permettersi di spendere 220 guil, perciò lo comprò. Si prese anche un boccale di birra al bancone e ritornò in camera. Sentì il rumore della doccia provenire dal bagno. Si stese sulla parte sinistra del letto e pensò agli Ilyrana e a Delmuth. Non si pentì minimamente di come aveva ridotto l’Anziano, anzi lo avrebbe rifatto altre mille volte. Allora pensò a Stig e a come quell’animale si sarebbe meritato una fine simile a quella del Consigliere. Se non fosse che non voleva rischiare di usare la magia, si sarebbe dislocato a Rabanastre e avrebbe usato la Dannazione eterna anche sull’uomo dai capelli che parevano leccati da un bovino. E poi gli avrebbe tagliato la gola e appeso per i piedi per farlo dissanguare come il maiale che era. Sospirò. L’acqua della doccia si fermò e dopo qualche minuto Sylgja uscì dal bagno con un asciugamano a coprirle il corpo.

«Senti, stavo pensando... Non ci siamo presentati. Stiamo insieme da tre giorni ma non ci siamo nemmeno detti i nostri nomi. Io sono Sylgja, Sylgja Orla. Tu?»

«Sapevo già il tuo nome, l’ho sentito nei pensieri di quel mago Alding. Puoi chiamarmi Alvor. Non è il mio nome, ma preferirei non dirlo.»

«Ma che, sei un ricercato?»

«Sì. Ma non come se ne vedono di solito.»

«Sei pericoloso?» chiese un po’ intimorita.

«Mi pare evidente, visto come ho messo fuori gioco Alding. Se intendi sapere se sono il tipo che si mette a rapinare, minacciare e uccidere poveri indifesi, no, non sono pericoloso.»

«Perché sei ricercato?»

«Fai troppe domande. Ora il bagno è mio.»

 

Alle sette andarono a mangiare. Siirist aveva ancora più di 1500 guil, perciò potevano mangiare abbondantemente, considerando anche che, a pochi giorni di distanza, la moneta dell’Impero non sarebbe più servita. Si accomodarono ad un tavolo nel salone della taverna e diedero un’occhiata ai menu. La specialità pareva essere il piccione arrosto riempito di erbe aromatizzate. Siirist lo ordinò per entrambi assieme a delle bruschette con aglio e olio d’oliva e con olio e pomodori tritati per antipasto. Si fece portare una bottiglia di vino rosso e una damigiana d’acqua.

«Quanti soldi hai con te?»

«A sufficienza per mangiare stasera e per avere una bella colazione domani, tranquilla. Tanto saremo sempre in viaggio da qui ai Beor e i guil non ci serviranno più.»

Sylgja quasi pianse nel mangiare, in quanto era il pasto più buono che aveva mai avuto da quando Stig l’aveva comprata. L’aveva sempre tenuta, infatti, a pane e acqua, occasionalmente dandole della frutta, della verdura o qualche zuppa. Ancora a Siirist venne la voglia di andarlo a trucidare. Si coricarono presto, sapendo che sarebbe stato bene riprendere il viaggio alle prima luci dell’alba.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola LA FORESTA PROIBITA E GLI SPIRITI DEL MARMO. Alea e Gilia sono fuggiti da Vroengard portandosi dietro Adeo: che cosa faranno adesso?

Ritorna all'indice


Capitolo 66
*** LA FORESTA PROIBITA E GLI SPIRITI DEL MARMO ***


LA FORESTA PROIBITA E GLI SPIRITI DEL MARMO

 

Alea guardò fuori dalla finestra. Lei, Gilia e Adeo, con i draghi nascosti, si erano rifugiati a Rabanastre per permettere al Cavaliere convalescente di riprendersi. Non sapeva perché erano andati lì, era stata l’unica parola che Adeo aveva detto prima di perdere i sensi. Così ci erano volati. Una settimana, ormai, ci erano stati e l’elfa incominciava a spazientirsi. Fuori la moltitudine di strade e vialetti del quartiere basso di Rabanastre pullulava di gente.

«È una bella città, non pensi anche tu?»

Alea si girò.

«Sveglio, finalmente.»

Adeo accarezzò la testa di Skimir e si sedette su una sedia.

«Potevate anche prendere una stanza nel quartiere alto. Chi sa, magari incontravate Siirist.»

«Siirist è stato qui?!»

«Sì, ma non c’è più, è già partito per i Beor.»

«E tu come lo sai?»

«Perché io so sempre tutto, mia cara.»

La porta si aprì ed entrò Gilia con una busta di carta. In essa vi era molta frutta variegata e degli sfilatini appena sfornati.

«Ben svegliato.»

«Grazie.»

«Ora ci vuoi dire perché siamo venuti qui a Rabanastre?»

«Calmati, bellezza. Lo so, l’aria secca di questo deserto non fa molto bene alla pelle, ma cerca di sopportarlo, d’accordo?» disse sbattendo le ciglia.

Alea incominciava a capire perché Siirist non sopportasse quella persona.

«Siamo qui perché Rabanastre è al centro esatto dei due luoghi dove dovete andare voi due: Alea a nord, Gilia a sud. E no, non essere gelosa, non sto mandando Gilia a incontrare Siirist, sebbene anche lui dovrà andare ai Beor.»

«Che c’entra Siirist?» chiese Corvinus.

«Era qui.» spiegò la altmer.

«Che cosa?! Allora dobbiamo andare subito da lui!»

«Pazienta, giovane Cavaliere. Rivedrete Siirist quando sarà il momento.»

«Alea l’ha già rivisto una volta! Perché lei sì e io no?»

«Perché lei ci va a letto. Vuoi fare lo stesso?»

«No grazie.» scosse la testa convinto.

«Che vuoi che facciamo?» domandò la fanciulla tagliando corto.

«Gilia, esiste un incantesimo che ti ha insegnato Adamar che, però, non puoi usare, vero?»

Gilia parve capire subito.

«La formazione di marmo nero.»

«Precisamente. Adamar ha imparato a crearlo magicamente, ma a causa delle caratteristiche del marmo, una volta creato, è intoccabile magicamente, perciò rimarrebbe per sempre dove viene creato, quindi non molto utile in combattimento. E se ti dicessi che c’è un modo di imparare a gestirlo a piacimento? Almeno credo, non ne sono 100% sicuro.»

«Come?!» chiese di colpo.

«Esiste un antico thaig, un quartiere chiamiamolo, dei nani chiamato Kagrenzel. Fa parte dell’antica città Mzinchaleft, una delle sette grandi città dei tempi d’oro del regno dei nani. Ora è una città fantasma, in rovina. Ma questo non ti interessa, ti interessa il thaig Kagrenzel. In esso si dovrebbe trovare il metodo di lavorazione del marmo nero dell’architetto che costruì le nostre deliziose e per niente lugubri mura nere. Ripeto, non è una certezza, ma imparare i segreti di quel vecchio nano potrebbe fornirti il modo di controllare magicamente il marmo nero. Vale la pena provare, non credi?»

Gilia annuì vigorosamente.

«Alea... Onestamente non c’è niente che possa fare per aiutarti a potenziare le tue abilità. Esse sono già a livelli oltre la mia misera comprensione in fatto di magia. Il tuo elemento Bufera è ben oltre il Ghiaccio misto di Tidus e addirittura hai tre famigli differenti, qualcosa di rivoluzionario nella storia della magia, e quello che riesci a fare con i tuoi cigni è qualcosa di a dir poco sorprendente. Però c’è un diverso tipo di abilità che potresti imparare e che ti sarebbe molto utile. Senza contare che ritengo sarebbe molto appropriato per te.»

«Dimmi.»

«Ti interesserebbe scoprire i segreti dell’elemento Natura di Ascal? Già ti ci vedo, circondata da un mare di petali di rosa... Quasi, quasi mi fai diventare etero!» ridacchiò.

«Cosa ne sai?»

«So che Ascal non crea nulla, semplicemente alimenta la crescita di piante con un incantesimo di elemento acqua e terra che serve a far crescere rapidamente le piante, controllarle e poi farle ritornare allo stadio di seme. Il suo segreto sono i semi che ha raccolto nella Foresta Proibita. In quanto abitante della Foresta Antica, suppongo tu ne abbia sentito parlare.»

«Certamente.»

«Di che si tratta? Il nome non mi sembra molto invitate.» commentò Corvinus.

«Si trova nell’estremo ovest della Foresta Antica, tra Ellesmera e il mare. È una porzione di foresta che anticamente fu il campo di battaglia tra due grandi stregoni, i cui spiriti evocati trasformarono la vegetazione. Ho sentito solo storie su quel posto e nessuna è piacevole.»

«Pensa ai Rovi di Sithis di Ascal. Quelle sono piante che crescono naturalmente nella Foresta Proibita. E c’è anche di peggio. Il mio consiglio è di non ferirti in nessuna maniera quando ci vai, perché ci sono piante che sono attirate dal sangue. E alcune assorbono il fuoco, perciò non cercare di bruciarle. Te ne parlo perché con il tuo elemento Bufera hai il metodo migliore per neutralizzare la maggior parte delle piante e non farti ammazzare. Se non te la senti di andarci capisco.»

«No. Se posso sviluppare ulteriormente le mie capacità e, quindi, diventare un aiuto anche più prezioso per Siirist, lo farò.»

«Brava. Ora passiamo ai vostri draghi.»

«Che c’entrano i draghi?»

«Siirist si è separato da Vulcano che è andato al nido degli Inferno a imparare a usare propriamente la magia draconica. I vostri draghi dovrebbero fare lo stesso e ritornare ai loro nidi. Alea, Eiliis ha ereditato da te una forte propensione alla magia, perciò le sue capacità istintive sono superiori alla media, ma questo non fa di lei una padrona della magia draconica.»

«Vorresti che ci dividessimo dai nostri draghi?» chiese esterrefatto Gilia.

«È solo un suggerimento, non siete obbligati a farlo. Ma come ho detto, Siirist e Vulcano l’hanno fatto.»

Se significa che diventerò più forte, lo farò.disse decisa Eiliis.

Mi mancherai.

Anche tu, ma rimarremo sempre legate mentalmente, non importa la distanza fra noi.

Alea si ricordò tutto d’un tratto di una cosa.

«Adeo, cos’è un filatterio?»

«Ah, giusto... È qualcosa che dovrebbe sapere solo il Consiglio, ma, come ti ho detto prima, io so sempre tutto. Poco dopo che un futuro Cavaliere ha superato la Prova, gli viene prelevato del sangue. Nel caso di quelli che non conoscono il loro legame con il Flusso, viene detto loro che è per effettuare un’analisi per scoprirlo, ma questa è solo metà della verità. Infatti esso viene prelevato anche a chi, come te, era già addestrato nelle arti magiche prima di entrare nell’Ordine. Esso viene messo in una boccetta incantata in modo tale da rivelare sempre la presenza del Cavaliere quando questi utilizza la sua energia spirituale. Se un Cavaliere, quindi, dovesse abbandonare l’Ordine, lo si potrebbe facilmente rintracciare. La magia è l’unione del Flusso alla propria energia spirituale, l’invocazione è il consumo puro di energia magica. Anche la stregoneria stimola la propria energia interiore perché essa viene utilizzata come esca per gli spiriti. Usare qualsiasi delle arti mistiche, quindi, permette al Consiglio di trovarti se decidi di tradire.»

«E l’alchimia?» chiese Gilia.

«No, l’alchimia è sicura. Per quanto essa sia considerata la quarta arte, ha poco a che vedere con le altre tre. Anche se... Ora che ci penso, usare un’arma a Materia esaurisce la carica energetica nella Materia e, solitamente, una persona comune deve sostituirla con una piena oppure farla ricaricare in una sede della Gilda dei Mistici. Però una persona capace di gestire la propria energia potrebbe ricaricarla da solo, come se riempisse una gemma. In questo caso il filatterio dovrebbe reagire.»

«Quindi usare armi a Materia è sicuro fintanto che non la si ricarichi?» precisò Gilia.

«Sì, esatto.»

«Perfetto. Andrò a comprarmi qualche arma a Materia, allora.» concluse.

«Perché?» chiese scioccata Ilyrana.

«Ora che anche noi siamo dei fuggiaschi, se la fazione di Aulauthar dovesse perdere, potrebbero usare i nostri filatteri per rintracciarci. Alea, anche tu dovresti prendere un’arma a Materia.»

«Mai.»

«Voi elfi, sempre così tradizionalisti... Eppure sei giovane!»

«Non insistere, io non userò mai un’arma a Materia.»

«Ha ragione lui, dovresti procurartene una.» disse Adeo.

«No!»

«Ottimo è deciso! Andiamo a fare compere. Lasciate che pensi io ai soldi.» disse entusiasta il Cavaliere dal drago fucsia.

«Ho detto di no!»

 

Dove Adeo si fosse procurato tutto quel denaro rimaneva un mistero, fatto sta che avevano comprato cose dal valore di circa venti monete d’oro. Gilia aveva acquistato dei pesanti stivali di cuoio marrone, dei pantaloni e una maglietta bianco sporco. Alla vita teneva la sua cintura con la spada, e al fianco destro aveva legato un’ascia alimentata a Materia. A tracolla aveva messo una cinta che reggeva sei Materia di riserva. Per evitare di venire cotto dal sole del deserto, si era preso un lungo mantello da viaggio bianco. Alea si era presa dei larghi calzoni bianco splendente nella moda del deserto e una corta tunica con dei ricami azzurri che le lasciava le braccia scoperte. Alla vita teneva la cintura con Raama tel’ arvandorea e il suo prolungamento e una seconda cinta che reggeva quattro Materia di riserva per la sua lancia. La teneva dietro la schiena, in una cinta a tracolla che aveva altre quattro Materia; era un’arma lunga mezzo metro ma che poteva essere allungata fino a raggiungere un metro e mezzo di lunghezza. La punta era di dieci centimetri ed era, come l’ascia di Gilia, alimentata a Materia. Ma a differenza della nuova arma del moro, la lancia non solo si poteva ricoprire dell’energia prodotta dalla sua Materia e, quindi, diventare più letale, poteva anche essere utilizzata come arma a distanza, un po’ come un fucile. Per finire, aveva scelto degli stivali sempre bianco splendente ed un mantello da viaggio dello stesso colore.

«Non riesco a credere di avere un’arma a Materia... Se mi vedesse mio padre...»

«E non piangere! Adesso andiamo a procurarci le provviste per il viaggio e altri oggetti utili.» disse saltellando Adeo.

 

Il giorno dopo, alle prime luci dell’alba, Alea e Gilia, assieme ai loro draghi nascosti nelle borse, lasciarono Rabanastre. Adeo aveva deciso di rimanerci con Skimir per “assicurarsi che tutto andasse per il verso giusto”, aveva detto, e si sarebbe anche occupato di custodire le selle degli altri due draghi. Sceso l’ultimo gradino, i due bipedi si guardarono.

«Non farti mangiare da una pianta carnivora.» scherzò Corvinus.

«Non rimanere sotterrato sotto detriti di marmo nero.» rispose a tono l’elfa.

Si abbracciarono e si incamminarono in direzioni opposte. Dopo cento metri, Alea pensò fosse sicuro lasciare uscire la sua dragonessa dalla borsa e questa felicemente ne volò fuori, grande quanto un canarino. Assunse le dimensioni di un mastino e camminò al fianco del suo Cavaliere.

Non dovresti volare al tuo nido?

Si trova su un’isola a nord, leggermente fuori Tamriel. Andiamo nella stessa direzione, non vedo perché non possiamo farlo insieme.

Ilyrana accarezzò felicemente la testa della sua compagna mentale. Camminarono fino a notte inoltrata quando raggiunsero un piccolo villaggio con gli edifici costruiti con arenaria e tende a coprire gli ingressi privi di porta e le finestre senza vetri. Al centro vi era un pozzo e da alcune delle case vedeva uscire luce. Lì Alea salutò la sua dragonessa che prese il volo e si diresse verso il suo nido, salendo in alto nel cielo, oltre le nuvole dove nessun bipede sarebbe potuto resistere al freddo senza l’ausilio del misticismo. L’edificio più grande era una locanda a due piani con una grande insegna di legno sopra all’ingresso; l’elfa scostò la tenda a scacchi bianca e giallo spento ed entrò.

«Un cliente? E una splendida fanciulla, per giunta! Un momento, voi siete un’elfa!» disse sorpreso il proprietario.

La sua espressione dimostrava più che ampiamente che non aveva mai visto un appartenente al popolo del nord di Alagaesia, e subito si affrettò per servire al meglio la nuova arrivata. Alea sorrise.

«Avete una stanza?»

«Certamente, anche più di una, se volete!»

«Grazie, una è sufficiente. Quant’è?»

«Tre bronzi. Vi faccio strada.»

Il locandiere condusse la altmer su per le scale a sinistra fino ad un corridoio su cui si affacciavano quattro porte.

«La chiave è all’interno, buonanotte. Volete qualcosa per colazione domani?»

«Della frutta, grazie. Buonanotte.»

Ma la notte non fu affatto “buona” per Alea, a cui venne un tremendo mal di pancia. Stringendosi il basso ventre, imprecò.

Proprio ora mi dovevano venire...? Non è giusto, una donna umana alla mia età smette di avere questi problemi!

Alea aveva sempre sofferto di dolori mestruali molto pesanti, ed essi erano stati uno dei motivi per cui si era specializzata in magia organica fin da piccola. E ora, per la prima volta da quando aveva imparato a neutralizzare i suoi dolori, li avvertiva. E non ne era felice. Era stata tagliata, presa a pugni, calci, aveva avuto le ossa rotte, gli organi spappolati... Ma la guerra era una cosa, l’inconveniente di essere una donna un altro. Odiava non poter usare la magia e si sentì una stupida per non sapere niente di alchimia. Si ripromise che, una volta tornata a Vroengard, avrebbe distrutto il suo filatterio. Strinse i denti e represse un urlo di dolore mentre anche la schiena incominciava a protestare.

 

Gilia si era accampato accanto ad alcune rocce ed aveva acceso un fuoco. Aveva usato un rotolo di carta draconica e dei fiammiferi presi a Rabanastre. La carta draconica era un prodotto alchemico che bruciava all’infinito senza consumarsi. Si chiese come si potesse vivere senza arti mistiche. Si strinse nel suo mantello e si addormentò con la schiena contro una roccia. Fu svegliato dai raggi del sole che gli inondarono il viso. Aprì gli occhi e si trovò davanti una lucertola gigante del deserto che saggiava l’aria con la lingua biforcuta. Trasse un respiro di sollievo, pensando a quanto avrebbe rischiato se fosse stato un animale carnivoro a sorprenderlo nel sonno. Si alzò in piedi e la lucertola girò la testa per fissare il suo occhio sull’umano: solo quello era grande quanto la testa del moro. Sbatté la doppia palpebra due volte e continuò a saggiare l’aria.

‹Alea è quella più preparata a comunicare con gli animali... Ah!› pensò infastidito.

In un modo o nell’altro riuscì a convincere la lucertola a dargli un passaggio fino a sud e le montò sulla schiena. Per fortuna le sue scaglie non avevano la durezza di quelle di Asthar e anche senza sella non si ritrovò con le gambe lacerate dallo sfregamento. Il rettile era velocissimo e Gilia dovette tenersi con tutte le sue forze per non cadere. Con l’aiuto della lucertola, avrebbe raggiunto i Beor in meno di una settimana.

 

Alea aprì gli occhi e si ritrovò chiusa in posizione fetale. Nemmeno ricordava essersi addormentata. Si mosse e fu di nuovo assalita dai suoi dolori.

Chi sa se c’è una farmacia in questo villaggio...grugnì.

Si mise a sedere e cercò di alzarsi, ma subito si accorse di non avere la forza di reggersi in piedi. Si chiese perché non aveva semplicemente interrotto il suo ciclo mestruale anni prima, dopotutto non aveva intenzione di avere figli ancora per molto. Forse era perché la faceva sentire veramente una donna, anche all’interno di quell’organizzazione di guerrieri, anche in mezzo a quella dannata guerra con la Setta. Tanto, finché ne annullava i dolori con la magia, non le arrecavano problemi, si era detta. Quanto rimpiangeva quella decisione. Prese le sue armi ed il mantello, camminò a fatica verso la porta della camera e scese al piano inferiore. Il locandiere era stato sostituito da una donna che le diede una cesta di frutta in cambio di due monete di bronzo e quattro di rame.

«Chiedo scusa, sono arrivata tardi ieri notte e non ho avuto modo di accertarmi delle dimensioni di questo villaggio; avete per caso un farmacista?»

«Certamente, uscite a destra e camminate sempre dritto per trenta metri, lo troverete sulla vostra sinistra, nobile elfa.»

«Grazie. Sto andando verso la Yaara Taure, mi sapete dire se ci sono carrozze, cavalli, chocobo o altri mezzi di trasporto che viaggiano in quella direzione?»

«Ogni quattro giorni passa una carovana che fa il giro dei villaggi del deserto. Oramai non ne sono rimasti molti, quasi tutta la popolazione di Dalmasca vive a Rabanastre o a Balfonheim. È solo questione di tempo prima che villaggi come questo diventino del tutto deserti.»

«Sono importanti per i viaggiatori, però, è bene che restino. Io, ad esempio, sarei stata in difficoltà se non fossi arrivata qui.»

«Di questi tempi ci si muove facilmente in aeronave o in automobile; gli unici ad usare ancora cavalli e chocobo sono quelli che vengono da Alexandria, che non è una Città delle Macchine. Sinceramente non capisco perché non siano Rabanastre o Nabreus la capitale di Ridorana.»

Dati i problemi fisici di Alea, ella non era in vena di stare a chiacchierare con una completa sconosciuta.

«Avete menzionato una carovana: quando passerà di nuovo e dove la posso trovare?»

«Peccato, è partita proprio due ore fa, dovrete aspettare altri quattro giorni, nobile elfa. Il biglietto costa un bronzo ogni sosta; la più vicina alla Yaara Taure è un villaggio a circa novanta chilometri dal vostro paese, nobile elfa. Potete trovare l’area di sosta infondo alla strada principale: arrivata alla farmacia, semplicemente continuate dritto e ci arriverete.»

«Grazie. Rimarrò qui fino a che ritorni la carovana, allora. A più tardi.»

E camminando a fatica, uscì dalla locanda. Avrebbe dovuto aspettare quattro giorni. Non tutto il male veniva per nuocere alla fine, in questo modo aveva modo di riprendersi dal suo ciclo. Ma non voleva lasciar fare al corso della natura, per cui si diresse il più in fretta possibile alla farmacia. Quando vi entrò le sembrò di essere nell’ufficio di Adeo nell’infermeria della Rocca, con varie ampolle e provette sugli scaffali, alcune contenenti liquidi, altre che avevano al loro interno ingredienti di ogni sorta. In uno vide la testa di una mosca delle paludi di Lindblum, grande quanto un’arancia. Ebbe un brivido di disgusto, la sua esperienza con la mosca demoniaca a Cheydinhal ancora impressa nella sua mente. Odiava gli insetti.

«Nobile elfa, benvenuta. Cosa posso fare per voi?»

«Qualcosa per i dolori mestruali...» disse a denti stretti.

«Mi sorprende che ne abbiate bisogno. Voi elfi non siete onnipotenti con la vostra magia?»

«Dammi una dannata pozione e stai zitto!» ringhiò.

Il farmacista fece un salto di paura e corse verso uno scaffale, da cui ritornò con una scatola. La aprì e mostrò delle specie di caramelle di colore bianco da una parte e rosa dall’altra.

«Cos’è questo? Ho chiesto delle pozioni.» le stava venendo voglia di ibernare quell’idiota.

Era di umore nero, peggio di come era stata solita sentirsi nel vedere Viola fare l’oca con Siirist.

«Nobile elfa, queste sono chiamate compresse effervescenti, sono una evoluzione dei prodotti alchemici, molto più pratiche di pozioni liquide. Ne mettete una in qualunque bevanda, aspettate che si sciolgano del tutto e bevete. Sono insapore e inodore. Ne dovete prendere una al giorno appena svegliata, a stomaco vuoto, fino a che non vi sia passato il ciclo mestruale.»

«Mi sono svegliata appena prima di venire qui, va bene prenderne una adesso?»

«Naturalmente.»

«In quanto tempo fanno effetto?»

«Dipende dal vostro corpo, varia da un minuto a cinque.»

«D’accordo, quanto?»

«Ventotto guil.»

La fanciulla estrasse una moneta d’argento dal borsellino che le aveva dato Adeo, vi rimise dentro il resto e se ne andò. Tornò il più in fretta possibile alla locanda e chiese un bicchiere d’acqua. Si sedette ad un tavolo e bevve la medicina. Neanche due minuti dopo sentì tutti i suoi dolori sparire. Saltò in aria per la gioia e si sgranchì. Allora andò a prendere una mela dal suo cesto di frutta e la mangiò felicemente.

 

In quei quattro giorni, Alea ebbe modo di esplorare il villaggio. Scoprì che era fra i più grandi rimasti, nonostante fosse un rudere di ciò che era stato prima della fondazione delle Città delle Macchine: da duemila abitanti, ne era rimasti meno di un centinaio. Le mura esterne erano quasi del tutto crollate come lo erano gli edifici abbandonati, le cui pietre gialle erano sommerse dalla sabbia dello stesso colore. Vi era un tempio dedicato a tutte le divinità in cui i pochi bambini che c’erano andavano a scuola. Alcune famiglie possedevano delle macchine in casa, come forni a Materia o anche sferoschermi che trasmettevano le notizie dell’Impero. Ma il nucleo del villaggio era certamente la locanda, il punto di ritrovo di tutti, specie, aveva saputo, durante i tornei di blitzball, in cui tutto il villaggio si riuniva per guardare le partite sullo sferoschermo gigante. Si ripromise di ritornare a quel villaggio in futuro con Siirist e si avviò verso la stazione della carovana. Si era aspettata una carrozza trainata da un cavallo, un chocobo o qualche altro animale addomesticato, invece si trovò un qualche modello di macchina da trasporto.

«Che diavoleria è questa?» chiese sconcertata.

«È un’automobile. Abbiamo una tabella di marcia da rispettare, signorina, quindi sali o sparisci.»

Il conducente, un grosso uomo dalla carnagione cotta dal sole, le braccia muscolose e coperte di peli, il petto massiccio pure nascosto da una maglietta marrone di peluria, aveva la testa quasi calva, occhiali da sole, un gilè bianco sul busto altrimenti nudo (se non per la coltre pelosa), una cicatrice sulla guancia sinistra e lunghi e larghi pantaloni bianchi nello stile del deserto. L’uomo con il busto più peloso che Alea avesse mai visto era Gilia, che aveva dei non troppo folti peli che coprivano parte dei pettorali e scendevano in una linea fino all’ombelico, dove lo circondavano per poi scendere fino alla zona pubica. Poi veniva Siirist, poi suo padre, Evendil e Althidon, questi tre elfi, di conseguenza completamente glabri. Il vedere quella sorta di incrocio tra l’uomo e l’orso non la aiutava di certo ad abituarsi all’idea di salire su una macchina.

«Allora? Senti, bellezza, non ho tempo da perdere, paga, sali e siediti, altrimenti vattene!»

Alea era troppo scioccata da quel petto villoso per aprirgli il cranio in due, quasi pensava fosse un qualche mezzo demone e che non fosse saggio combatterlo senza magia, perciò gli diede i suoi dieci guil e prese posto nel retro dell’automobile.

Prima prendo un’arma a Materia, ora salgo su una macchina da trasporto...pensò con disgusto.

Insieme a lei salirono altre due persone, un uomo e una donna che reggeva un neonato; altre sei persone erano già a bordo: una sacerdotessa di Fujin con due bambini, un maschio e una femmina, un guerriero armato con uno spadone a Materia che sedeva accanto ad una giovane donna con un paio di occhiali, una pistola alla vita e un diario, all’apparenza una studiosa con un mercenario come scorta, e per finire un uomo anziano. La donna guardò verso Alea con somma meraviglia.

«Voi siete un’elfa! Quale onore! Che le stelle vi proteggano.»

Alea la guardò e sorrise.

«E che la lama della vostra guardia del corpo resti affilata.» scherzò.

L’interessato era vestito con una maglietta verde a sottili righe verticali nere, lunghi e larghi pantaloni neri e pesanti stivali neri. I suoi guanti erano di cuoio e a tracolla teneva una cinta che passava sotto al coprispalla sinistro. Nella destra stringeva il suo pesante spadone e lo teneva con la punta appoggiata a terra, la lama a contatto con la coscia. Fissò i suoi penetranti occhi verdi in quelli di Alea e accennò un sorriso divertito.

«Avete capito la mia battuta? Non è comune per un umano che non usa le arti mistiche conoscere la lingua degli elfi, specie se si tratta di un mercenario. Senza offesa.»

«Nessuna offesa, aredhel. Io lavoro spesso all’interno della Yaara Taure, è solo normale che abbia imparato a parlare la vostra lingua.»

«Capisco.»

«Al momento stiamo andando alla Foresta Proibita per una ricerca. La conoscete, immagino.» disse la studiosa.

«Curioso, anche io ci sto andando.» rispose Alea.

Non sapeva perché, ma sentiva di potersi fidare di quei due.

«Potremmo viaggiare insieme! Il mio nome è Vaana, piacere di conoscervi.» disse la studiosa.

«Sarebbe una buona idea. Io sono Alea.»

«Jenssen.» aggiunse il mercenario.

«Come pensavate di raggiungere la Yaara Taure?» chiese la altmer.

«Abbiamo dei cavalli pronti quando lasceremo la carovana, sono solo due, ma io posso andare con Jenssen.» spiegò Vaana.

«Siete gentile, ma non vorrei causarvi un inconveniente simile.»

«Non è un problema, vero Jenssen?»

«Non per me. Inoltre avere un’elfa con noi faciliterà il nostro viaggio all’interno della Yaara Taure.» disse calmo il guerriero.

 

In due giorni l’automobile, ad una velocità media di sessanta chilometri orari, aveva passato nove villaggi ed entrambe le notti aveva sostato e i passeggeri avevano alloggiato gratuitamente nelle locande. Il decimo villaggio era quello a cui Alea ed i suoi due nuovi compagni scesero. Aveva una forma circolare, costruito in quattro cerchi concentrici, ma le rovine all’esterno dimostravano che, un tempo, vi erano stati molti più edifici a formare altri cerchi. Nella piazza centrale era in atto un mercato in cui Alea vide molte persone vestite con lo stile del deserto, quindi larghi pantaloni, gilè su un torso nudo per gli uomini, una maglietta larga senza maniche per le donne e lunghi mantelli con dei cappucci che, se indossati, lasciavano scoperti solo gli occhi, i cui colori erano prettamente chiari, spesso semplicemente bianco, ma erano presenti anche persone vestite in modo differente. Alcuni indossavano abiti delle Città delle Macchine, alcuni quelli delle piane di Lindblum. Il mercato pullulava di gente che comprava e vendeva, se Alea non avesse saputo altrimenti, avrebbe detto che quel villaggio era vivo come lo era sempre stato e che non fosse possibile fosse quasi in rovina.

«Da questa parte.» le disse Vaana.

Sia lei che Jenssen avevano indossato dei mantelli da viaggio, bianchi come quello di Alea, lo spadone del mercenario che spuntava fuori da un ritaglio all’altezza della scapola destra. Uscirono fuori dal quarto cerchio di edifici e lì trovarono un’altra automobile, grande abbastanza da sembrare una casa mobile.

«Non avevate detto che avremmo usato dei cavalli?» chiese nauseata l’elfa.

«Dottoressa Fianna, bene arrivata, vi stavamo aspettando. Questo signore deve essere la vostra guardia, ma chi è la signorina?»

Un uomo sulla sessantina, con pelle chiara, due vispi occhi azzurri, capelli grigi tendenti al bianco che gli adornavano la testa non più su delle tempie, due baffetti dello stesso colore sopra al labbro e vestito elegantemente con lo stile del deserto, una lunga tunica bianca intarsiata con fibra d’oro, con una collana d’oro bianco e giallo al collo, saltò agilmente giù dalla vettura.

«È un’elfa che abbiamo conosciuto venendo qui. Anche lei sta andando alla Foresta Proibita, abbiamo pensato di viaggiare insieme.» rispose Vaana.

«È raro per degli elfi andare in quella parte della Yaara Taure.» rispose dubbioso lo sconosciuto.

«Ho i miei motivi. Piuttosto non capisco perché Vaana ci stia andando.» rispose Ilyrana.

«Perché è un’ottima botanica e c’è qualcosa che voglio dalla Foresta Proibita. Un fiore. Il mio nome è Rahd Ahtar e sono il finanziatore di questa spedizione. Ma salite, parleremo mentre siamo in viaggio.»

«Mi era stato detto avremmo viaggiato a cavallo.» ripeté l’elfa.

«È solo una tortura per quelle povere bestie galoppare sotto questo sole; purtroppo voi elfi non volete macchine nelle vostre terre, perciò, giunti al confine, dovrete viaggiare sì a cavallo, ma fino ad allora ho pensato sarebbe stato più comodo per tutti viaggiare in questa casa mobile.»

«Ottima idea; avete della birra a bordo?» chiese Jenssen già salendo i gradini.

«Assolutamente, di ottima qualità e fresca.» rispose Ahtar.

Alea emise un verso di sconforto e salì riluttante sulla macchina da trasporto. Era almeno sessanta metri di lunghezza, quindici di larghezza e alta quattro metri. Aveva due lunghe serie di ruote cingolate, i vetri verde scuro della cabina di pilotaggio ad un metro dal suolo. L’interno era un salotto ben arredato, con un tappeto di pregiata fattura e comodi divani, una piccola cucina e persino uno sferoschermo. Un piccolo corridoio conduceva alle stalle infondo da cui Alea percepì la presenza di otto cavalli, e lungo esso si aprivano le porte per un piccolo bagno e tre camere da letto, una con un unico letto matrimoniale, due con quattro brande, come poté esaminare mentalmente la fanciulla.

«Prego, accomodatevi.» disse il finanziatore.

Alea si sedette su un divano beige, ancora in contatto mentale con i cavalli nelle stalle.

«Quei cavalli laggiù sono degli splendidi purosangue elfici, è un’offesa per loro viaggiare in una macchina come questa.»

«I migliori cavalli di Tamriel, ammetto che mi sono costati molto e che è uno spreco usare, invece, una casa mobile, ma è molto più comodo per noi viaggiare così. Voi elfi siete sempre troppo legati alle vostre tradizioni, ma guardate me, la dottoressa Fianna o il suo mercenario: come vedete, siamo tutti più felici di viaggiare in una macchina che a cavallo. Secondo me anche i Cavalieri dei draghi preferirebbero un’aeronave di prima classe alle selle dei loro draghi se potessero scegliere.» ridacchiò l’anziano.

«Non parlate di ciò che non potete comprendere, umano.» disse a denti stretti Alea, resistendo all’impulso di congelarlo.

Eiliis le mancava più di quanto le parole potessero descrivere, addirittura più di Siirist, e sentire un insulso umano paragonare una macchina ad un compagno mentale era troppo per lei.

«Chiedo scusa se vi ho offesa in qualche modo.» rispose l’uomo, i suoi occhi fissi in quelli di lei.

Ad Alea non piaceva quello sguardo; quell’uomo era furbo, chi sa cosa stava architettando. Pensò di invadergli la mente, ma poi cambiò idea.

«Avete detto di volere un fiore dalla Foresta proibita; che fiore, esattamente?»

«Un’orchidea di ghiaccio. Ha i petali celeste chiaro e riesce a resistere anche alle temperature più fredde, addirittura è in grado di sbocciare ad una temperatura di zero assoluto.»

Un fiore in grado di vivere anche in mezzo al mio elemento Bufera? Interessante.

«Fa solo questo? Mi sembra una piantina innocua se paragonata alle altre mostruosità presenti nella Foresta Proibita.» commentò la altmer.

«Non vi ho detto cosa fa se supera i venti gradi, infatti. Dottoressa Fianna, se volete essere così gentile.» sorrise.

«Un’orchidea di ghiaccio è un fiore meraviglioso con dei petali in grado di risplendere se la temperatura è bassa, ma oltre i venti gradi, diventa una pianta carnivora in grado di assorbire calore ed espellerlo sotto forma di acido.»

«Perché vorreste una pianta così pericolosa, signor Ahtar?»

«Sono un avido collezionista di rarità: possiedo un’intera mandria di cavalli elfici, gli otto che ho portato oggi non sono neppure i migliori, nel mio zoo personale ho un grifone, una ligre, un megalodon, un leopardo d’acciaio, una tarantola rossa dei Beor, un uccello arcobaleno e persino un drago terrestre. Ammetto che catturare il drago mi è costato molto e la gabbia in cui lo tengo mi è venuta a costare metà del mio patrimonio, ma ne è valsa la pena.»

Quest’uomo è un folle, tenere un drago terrestre come animale domestico...!

«Sto facendo costruire una serra in cui la temperatura sarà costantemente mantenuta allo zero assoluto grazie a delle Materia di ghiaccio: la voglio riempire di orchidee di ghiaccio.» concluse Rahd.

«E io sto venendo pagato cinquanta monete d’oro, quindi sono felice di far parte di questa spedizione.» disse Jenssen.

«Sono molti soldi.» commentò Alea.

«Il signor Ahtar mi ha dato cento monete d’oro. Purtroppo nessuno dei mercenari che ho contattato ha voluto sapere niente di andare nella Foresta Proibita se non Jenssen.» spiegò Vaana.

«Meglio, sono più soldi per me.» ghignò il guerriero dopo un profondo sorso di birra.

«Ma sapete che la Foresta Proibita non è un posto da sottovalutare? Da piccoli noi elfi sentiamo storie su quel luogo da non farci dormire la notte.»

«Ci siete mai stata, aredhel Alea?» chiese Jenssen.

«Non personalmente, no.»

«Io sì. Quando ne sono uscito, ho avuto incubi tremendi per settimane, è l’ultimo posto dove vorrei andare; il deserto di Dalmasca, il mare sabbioso di Condoria, le paludi di Lindblum, la piana rocciosa di Ivalice, il monte Gagazet, persino le terre di Hellgrind sono una passeggiata a confronto. Dite che da piccoli sentite storie sulla Foresta Proibita, vi posso assicurare che qualunque racconto non può rendere l’orrore che è quella foresta maledetta.»

«Allora perché ci volete ritornare?»

«Perché non ho niente da perdere e ci sono in ballo cinquanta ori. Avete idea di quanto possa fare con una somma simile?!»

«Buttereste via la vostra vita per denaro?»

«Si dia il caso che io sia duro a morire e che non la farò facile per quelle piante di ammazzarmi. Ma sì, sono disposto a correre il rischio per una ricompensa così generosa. Ma non è di me che dovete preoccuparvi, quanto di questa gracile botanica.»

«Ehi!» protestò Vaana.

«Sto solo dicendo la verità. La persona che più probabilmente morirà in quella giungla sei tu, dottoressa. Certo, io farò tutto ciò in mio potere per evitarlo, ma non aspettarti miracoli da parte mia.»

«Siete uno che viene al dunque, mi piace questo, Jenseen. Sareste interessato a lavorare per me? Le mie guardie prendono due ori al mese e gli alloggi che offro sono paragonabili alle stanze nella Stella dei mari di Zanarkand.» propose il ricco anziano.

«No grazie, mi piace il lavoro di mercenario.» rifiutò in un rutto causato dalla birra.

Alea non era mai stata tanto a contatto con semplici umani in tutta la sua vita, e l’unica persona di estrazione sociale bassa era stata Siirist. Ma in lui c’era quel qualcosa di speciale che lo rendeva il più nobile del mondo. Lo stesso non si poteva dire per quel mercenario e quel collezionista pazzo. La giovane botanica non le sembrava avesse molto a che spartire con gente simile, perciò si chiese perché stesse rischiando così tanto per quell’avventura? Era per i soldi, per la sua pura devozione al suo studio? No, era sicura ci fosse qualcosa di più. Fatto sta che Alea stava raggiungendo il suo limite di sopportazione e era lì per congelare l’intera macchina e tornarsene a Imladris.

 

Come un idiota non aveva tenuto la sua mente aperta e si era fatto cogliere di sorpresa da quel verme delle sabbie che era all’improvviso sbucato dal suolo e aveva inghiottito la lucertola gigante. Gilia a malapena era riuscito a saltare via. Aveva resistito appena all’impulso di lanciare il suo Ruggito della tigre di elemento Incubo, fusione di fulmine e oscurità, insegnatogli da Syrius. Con la sua ascia a Materia aveva ucciso il gigantesco mostro, ma ora si trovava a piedi in mezzo al deserto e il sole stava calando alla sua destra. Si sarebbe dovuto accampare nel bel mezzo del nulla con nemmeno un minimo di protezione. Non si prospettava una bella nottata. Senza contare che era affamato. Odiava non poter usare le sue arti mistiche. Tornato a Vroengard avrebbe distrutto il suo filatterio, quello era sicuro!

 

Alea non pensava avrebbe mai apprezzato così tanto gli alti e rigogliosi alberi della Yaara Taure. Dopo una settimana in mezzo agli umani e le loro nuove tecnologie, si era incominciata a sentire male. Ma niente di tutto ciò era presente nella Yaara Taure. La Yaara Taure era la sacra foresta degli elfi, la loro patria, il loro rifugio. Per quanto ella fosse una altmer della regione collinare, pertanto tecnicamente fuori dalla foresta, ella sentiva un certo attaccamento a quegli alberi maestosi. Era balzata fuori dalla casa mobile ed aveva corso sulla sabbia fino ad arrivare ad abbracciare il primo albero sul confine; era così maestoso che aveva dovuto aprire le braccia a 180° e appiattirsi con il corpo contro il tronco per cingerlo al meglio. Forse cinquanta di lei che si tenevano per mano sarebbero bastate a circondare tutto l’albero, ma nemmeno ne era tanto sicura. E pensare che quegli alberi erano giovani; se paragonati a quello in cui era stata costruita la città di Cleyra, essi erano dei ramoscelli.

«Aredhel, non volete scegliere quale cavallo usare?» la richiamò Jenssen.

Per quanto fosse un burbero, la fanciulla doveva ammettere che il mercenario era sempre attento a rivolgersi a lei con la giusta educazione, addirittura chiamandola “nobile elfa” nella sua lingua.

«Voglio lo stallone sauro, grazie.»

Quando i tre cavalli furono sellati e alle selle furono legate sacche con provviste, una tenda e un sacco a pelo, Alea e i due umani partirono. Finalmente aveva potuto dire addio a quella persona fastidiosa di Rahd Ahtar. Non sapeva che cosa fosse, ma lo trovava poco convincente. Vaana montava una puledra pezzata, Jenssen un castrone roano. Il mercenario era già stato nel regno elfico, perciò non era impressionato da quel paesaggio spettacolare, ma non si poteva dire lo stesso della botanica. In parte perché la Yaara Taure faceva quell’effetto a tutti gli stranieri la prima volta che la vedevano, in parte perché, in quanto botanica, era anche più interessata alle piante, Vaana, ad ogni passo della sua cavalla, voltava la testa e indicava con emozione che specie vegetale avevano appena superato. Jenssen non se ne curava, ma Alea ascoltò interessata; sapeva molto della vegetazione della Yaara Taure, ma non quanto la dottoressa e poteva imparare molte cose utili da lei per imparare a gestire l’elemento Natura di Ascal.

«Sapete altrettante cose sulle piante della Foresta Proibita?»

«So tutto ciò che riguarda le piante conosciute, ma non sono certo tutte le varietà presenti in quella foresta maledetta. A differenza del resto della Yaara Taure, esplorare la Foresta Proibita non è molto semplice.»

«No di certo.»

«La fonte di informazione più importante sulla Foresta proibita è un Cavaliere dei draghi, il capitano della decima brigata. Egli ha scritto un libro che tratta nel dettaglio cento specie diverse di piante.»

Alea girò la testa di scatto verso l’umana, ancora più interessata di prima.

«Non è che ne avete una copia qui con voi, vero...?»

«Certamente, me la sono portata per avere un riscontro.»

Alea sorrise come solo aveva visto fare a Siirist ogni volta che gli aveva concesso per la prima volta una nuova posizione sessuale. Scosse la testa nel realizzare che espressione da maniaca doveva avere in volto.

«Posso vederlo, per favore?»

Vaana aprì una delle borse della sua sella ed estrasse un pesante tomo che passò all’elfa.

«Molte grazie.»

Tu fai il bravo e segui tranquillamente gli altri due mentre io leggo. disse allo stallone.

Si immerse immediatamente nella lettura, trovandola assai raccapricciante e poco rassicurante se pensava che la meta del suo viaggio era proprio il luogo in cui tutte quelle piante mostruose si trovavano. Le sentinelle erano piante carnivore alte diversi metri che attaccavano qualsiasi cosa si muovesse anche solo di un millimetro; l’edera vampirica era all’apparenza una comune rampicante, ma il momento che percepiva del sangue ci si fiondava addosso per assorbirlo; le rose dell’aldilà erano rose bianche le cui spine privavano chi ne veniva in contatto di tutte le forze che, una volta catturata una preda, la stritolavano fino a prosciugarla di ogni goccia di sangue, arrivando a tingendosi di rosso (esse erano la base dei Rovi di Sithis di Ascal); le rose diamantine avevano i petali e le spine resistenti e affilate quanto una lama di Cristallo; l’orchidea di ghiaccio era la mostruosità che Vaana stava cercando per conto di quel vomitevole Ahtar; i funghi gassosi avevano l’apparenza di grossi porcini, ma se schiacciati, liberavano una forte nube tossica capace di uccidere qualunque essere vivente nel giro di pochi secondi e dopo una sola boccata. C’erano alberi con le lunghe foglie che erano vere e proprie lame, alghe che crescevano nelle paludi che uscivano dall’acqua per catturare le prede sulle sponde e trascinarle in profondità per divorarle. In due ore Alea finì di leggere ed ebbe un brivido come se fosse stata investita dalla più imperdonabile corrente del Gagazet.

«Vi avevo detto che è il posto peggiore di Tamriel. Non ditemi che ci stavate andando senza sapere esattamente a cosa andavate incontro, vero, aredhel?» chiese Jenssen.

«No, conoscevo solo le storie di quando ero piccola. Ma ho bisogno di andarci, sono convinta che in quella foresta maledetta si trovi qualcosa di molto importante.»

E non era solo perché aveva la possibilità di ottenere i poteri del suo capitano. Non sapeva spiegarselo, ma, da quando aveva messo piede nella Yaara Taure, si era come sentita spinta verso ovest, come se qualcosa la stesse chiamando.

 

Pure di notte gli era toccato camminare! Gilia era stanco, affamato, assetato e terribilmente innervosito. Era la prima volta che camminava nel deserto e aveva esaurito troppo rapidamente la sua Materia d’acqua, a volte stupidamente usandola per bagnarsi il viso. La vista dei Beor lo aveva inizialmente rallegrato e gli aveva rinnovato il vigore, ma in breve questa nuova carica di energia si era estinta quando aveva realizzato che il regno dei nani non pareva farsi più vicino anche dopo ore. Camminò otto giorni prima di abbandonare il deserto di Dalmasca, le sue provviste esaurite e la sua pazienza con esse. Quando avesse rivisto quel dannato Adeo lo avrebbe appeso per i piedi e lo avrebbe usato come esca per la pesca al megalodon. E se non avesse nemmeno trovato il segreto di controllare il marmo nero dopo tutta quella fatica, non solo si sarebbe divertito a invogliare i grandi squali delle acque di Vroengard, avrebbe pure fatto cadere quel dannato di Adeo nelle fauci di uno dei mostri marini.

Il terreno si era fatto roccioso, marrone e grigio scuro, a volte ricoperto da qualche sprazzo d’erba, ma la regione dei Beor non era certo da considerarsi un luogo ospitale. A qualche chilometro di distanza alla sua destra intravedeva l’oceano e pensò che un’abbondanza di acqua simile fosse uno spreco perché non bevibile. Aveva sentito di tribù nomadi che vivevano nei continenti lontani che odiavano il mare proprio perché i loro cavalli non ne potevano bere l’acqua, e la chiamavano “acqua velenosa”. Ma non doveva guardare a destra, doveva guardare dritto. E verso l’alto.

‹Adesso spiegami come dovrei scalare queste montagne per trovare Mzinchaleft.›

In una situazione normale avrebbe volato con una magia di vento, oppure usato uno dei suoi amati incantesimi di terra per muoversi lungo le pareti rocciose. Invece non poteva rischiare di usare la magia, perciò avrebbe dovuto lavorare fisicamente. Aveva 220mila douriki fisici, perciò non sarebbe dovuto essere troppo faticoso; d’altronde comuni umani che non dovevano avere più di 150 douriki erano in grado di scalare montagne, no?

Saltò con tutte le sue forze, Enedome ithil stretta in pugno. Quello non gli sembrava proprio l’uso più appropriato per la sua spada da Cavaliere, ma non vedeva altre possibilità. Raggiunta un’altezza di trecento metri affondò l’arma nella roccia per usarla come appiglio; ora veniva la parte difficile. Piantò i piedi sulla montagna e spinse con forza verso l’alto, estraendo la spada dalla roccia e infilandocela di nuovo dieci metri più in alto. Ripeté l’operazione varie volte finché raggiunse una sporgenza. Lì vide uno degli animali dei Beor, una capra-ragno, un essere con il corpo di capra, ma otto zampe. Da quello che sapeva, essa era in tutto e per tutto uguale ad una capra normale, sia in abitudini che in sapore della carne. E Gilia ricordava che, ai tempi della sua vita a Cheydinhal, amava la carne di capra.

«Cibo!» disse con voce da indemoniato.

L’animale percepì il pericolo e fuggì agilmente su per la montagna.

«Vieni subito qui! Devi essere il mio pranzo!»

 

In tre giorni di viaggio, Alea, Vaana e Jenssen raggiunsero la Foresta proibita. Ahtar li aveva lasciati nella zona più ovest del deserto di Dalmasca, appena prima della regione rocciosa dove la casa mobile non poteva muoversi, e da lì i tre si erano mossi praticamente verso nord, leggermente piegando a sinistra verso ovest. Già molti chilometri prima di raggiungere l’area maledetta, Alea aveva avvertito qualcosa che non andava nell’aria. Nonostante non stesse usando la magia, la sua predisposizione per essa le consentiva sempre di avvertire presenze mistiche e per quanto non fosse una stregona del calibro di Gilia, si sentì male ad avvertire una corruzione simile. Dire che la Foresta Proibita era stato il campo di battaglia di due grandi stregoni del passato non rendeva minimamente l’idea. Eimir aveva spiegato a lei e all’amico la differenziazione dei vari spiriti, che lui aveva scoperto essere divisi in nove categorie che aveva chiamato Folletti, Spiritelli, Principati, Potestà, Virtù, Dominazioni, Troni, Cherubini e Serafini. Ora lei non era la miglior stregona sulla piazza, ma era certa che nessuno degli spiriti che infestavano quella terra maledetta fosse sotto al livello di un Trono.

«Tutto bene, aredhel?»

«Voi non sentite niente, Jenssen?»

«Che succede?» chiese Vaana.

Alea li guardò stralunata, invidiosa della loro tranquillità: non avere predisposizioni mistiche aveva i suoi vantaggi, quello era certo. Lei stava a sudare e ansimare, i due umani avevano la stessa preoccupazione di due persone a cavallo in una prateria in una fresca giornata di fine primavera.

«Se state già così, aredhel, non voglio immaginare come vi sentirete quando entreremo veramente nella Foresta Proibita.»

«Che succede?!» insistette la scienziata.

Nemmeno cento metri più avanti, i cavalli si rifiutarono di avanzare. Jenssen, che evidentemente se l’era aspettato, smontò il momento in cui l’animale si fu fermato, ma Vaana prese a calciare.

«Perché non si muove?!»

«Dottoressa, scendi, è inutile. I cavalli percepiscono il pericolo meglio di noi e quelli elfici in particolare. Da qui proseguiamo a piedi. Aredhel? Aredhel!»

In due balzi fu accanto al sauro di Alea per prenderla al volo mentre scivolava di lato giù dalla sella.

«Aredhel, state bruciando!»

Normalmente Alea avrebbe neutralizzato gli effetti negativi degli spiriti con una magia, ma per allontanare spiriti di quel livello, avrebbe dovuto impiegare un grande potere magico che avrebbe fatto impazzire il suo filatterio. Si sentì una completa idiota. Possibile che senza la sua magia fosse così incapace? Nemmeno in quelle tre settimane sul Gagazet con Siirist, Gilia e i lupi si era sentita così impotente. Non era neanche in grado di resistere con le sue forze all’influenza degli spiriti. Il suo malessere era talmente grande da richiamare l’attenzione della sua compagna mentale.

Alea, smetti di essere così testarda e usa un incantesimo!

Ormai non so quanto sarebbe efficace, rischierei solo di alimentare gli spiriti. Non sono una stregona abile abbastanza da controllarli. Questi sono Serafini, ne sono certa.

E non solo, erano Serafini di decadenza. Dopo gli spiriti della morte, quelli della decadenza erano i più pericolosi. Con essi si potevano causare malesseri della peggior natura, far avvizzire persone e oggetti fino a farli diventare solo un mucchietto di polvere.

Alea!

Fammi un favore e smetti di urlare. Ho bisogno di contattare Gilia, ma non ne ho le forze. Aiutami.

Con il sostegno di Eiliis, la altmer sfruttò la spilla d’argento che aveva regalato al Cavaliere d’Incubo per il suo cinquantesimo compleanno per una comunicazione telepatica a distanza.

 

Finalmente un sentiero! Era ripido e spesso le rocce sotto i suoi piedi cedevano, ma con l’aiuto di Enedome ithil usata come bastone (altro uso improprio di una spada da Cavaliere), Corvinus lo riusciva a salire. Dopo aver felicemente pranzato con quella capra-ragno, il moro si era avviato verso sud. Non aveva la minima idea di dove avrebbe trovato Mzinchaleft e il non poter usare una magia di terra per rintracciarla lo mise ancora di più di cattivo umore. Pensò di appendere Delmuth e gli altri cinque dannati membri del Consiglio per i piedi accanto ad Adeo per divertirsi con i megalodon quando la spilla d’argento che teneva sulla cintura della spada gli trasmise la frequenza mentale di Alea. Allora aprì la sua coscienza e sentì che quella dell’elfa era debole. Qualcosa non andava.

Che succede?!

Serafini di decadenza.

Quelle tre parole erano nella sua lista delle dieci cose che non avrebbe voluto sentire mai. Eimir aveva stretto un legame con delle Potestà di decadenza e solo quelli erano più potenti e pericolosi di tutti gli altri spiriti evocabili dal Cavaliere di Oblivion messi insieme.

D’accordo, mantieni la calma, ora cerco di aiutarti.

I Serafini non avevano attaccato Alea direttamente, dopotutto non erano stati evocati e gli spiriti, se non sollecitati da uno stregone, erano innocui; ma la loro vicinanza e alta concentrazione poteva avere un effetto negativo su qualcuno dall’alta propensione mistica come lo era Ilyrana. Ma restava il fatto che gli spiriti non si fossero manifestati con ostilità, quindi non c’era il bisogno di dissiparli, quanto di dissipare i loro effetti di riflesso. Era convinto che, con l’aiuto di Asthar, sarebbe stato in grado di farlo, ma non a quella distanza dall’elfa.

‹Io sono con te.› gli disse l’Incubo.

Alea, ora pronuncerò un comando di stregoneria che tu dovrai ripetere con me. Esso servirà a dissipare gli effetti degli spiriti della decadenza e sarà un’evocazione per gli spiriti della vita per rimetterti in sesto e difenderti in futuro dall’influenza degli spiriti della decadenza, capito?

Sì...› rispose debolmente.

È importante che apri la mente al massimo e che uniamo il più possibile le nostre coscienze, così che i miei spiriti evocati possano passare a te. Memorizza queste parole, le dovremo dire insieme: spiriti della decadenza, abbandonate il mio corpo; spiriti della vita, sostenetemi e difendetemi dalla rovina. Senti bene il significato profondo della mia evocazione.

Sì, lo sento.

Ora entra in completa sintonia con Eiliis, sarà più efficace così.

Entrambi i Cavalieri unirono le loro coscienze con i rispettivi draghi e si aprirono il più possibile tra di loro: nella valle dell’area interna della mente di Alea apparve il maniero di quella di Gilia. Insieme ripeterono le parole di comando della stregoneria e gli spiriti evocati dal moro passarono alla bionda. Corvinus ruppe la fusione di coscienze con l’amica e cadde a terra con una terribile fatica che gli assaliva la mente. Trasmettere dei Cherubini di vita era stata l’operazione mistica più complessa che avesse mai eseguito, anche peggio del creare il suo famiglio di elemento Incubo. La testa gli girava e cadde con il busto verso destra.

Meglio?› chiese con un filo di energia.

Sì, grazie... Se il Consiglio sta usando i nostri filatteri, ormai saprà con esattezza dove siamo dopo una stregoneria di così alto livello.

Era inevitabile.

Dopo che hai scoperto il segreto del marmo nero, dovresti venire anche tu qui; diventeresti uno stregone migliore di Eimir.

Gilia sorrise e diede mentalmente un bacio sulla fronte della “sorellina” prima di addormentarsi stremato.

 

Alea aprì gli occhi e si ritrovò nel suo sacco a pelo accanto ad un fuoco scoppiettante. Era notte.

«Ben svegliata, aredhel. Vi trovo meglio.»

Jenssen era seduto su uno sgabello pieghevole e stava badando al fuoco.

«La febbre è passata, grazie.»

«Avete fatto preoccupare la nostra dottoressa, sapete?»

Alea si mise a sedere e vide Vaana stesa in posizione fetale. Aveva il pollice in bocca e un’espressione di paura. Nonostante dormisse, stava lacrimando.

«Non ha di che preoccuparsi, è immune a ciò che mi ha colpito: gli effetti di riflesso degli spiriti colpiscono solo chi ha un’alta propensione al misticismo. Non sono una grande stregona, per quanto mi sappia destreggiare anche nella seconda arte, ma sono una maga di alto livello.»

«Lo so, ho sentito di voi, arme’ Alea Ilyrana.»

L’elfa scattò in piedi e guardò preoccupata verso la scienziata.

«Come conoscete il mio nome?»

«Tranquilla, lei non sa chi siete. Conosco una spada da Cavaliere quando la vedo, e la vostra dimostra che avete un drago bianco. Aggiungete il vostro essere una altmer alla vostra bellezza, è evidente chi siete. Siete famosa, sapete? Voi come il Cavaliere d’Incubo e il Cavaliere d’Inferno.»

«Siamo famosi? E come?»

«È da circa dieci anni che storie su di voi hanno fatto il giro di Tamriel. Nasce tutto dal Cavaliere d’Inferno che abbandona Vroengard in fiamme. Alcune dicono che sia stato lui a bruciarla, altre che siete stati invasi da dei demoni e che il Cavaliere d’Inferno sia andato al loro inseguimento. Da quando si sa della Setta dello Scorpione, la storia più accreditata è che siano stati loro ad attaccare la Rocca e che ora Siirist stia dando loro la caccia.»

Alea sorrise nel sentire quanto le storie fossero effettivamente azzeccate.

«Poi ho sentito anche gente dire che non c’è stato niente di ciò e che il Cavaliere d’Inferno sia volato via per una donna e che sia scappato da Vroengard per sfuggire l’ira della sua giurata compagna di vita Alea Ilyrana. Ci sono molte versioni di questa teoria, ma, a giudicare dalla vostra faccia, immagino non le vogliate sentire.» rise.

Alea era un po’ meno divertita.

«Fatto sta che si sente da anni parlare di un Cavaliere vagabondo che ha lasciato l’Ordine e che i suoi due amici siano alla sua ricerca. Non ve lo ricordate, ma io vi ho già vista, vent’anni fa, quando voi ed il Cavaliere d’Incubo visitaste Alexandria. Ero uno dei bambini dell’orfanotrofio; non ho mai dimenticato il vostro volto, per me eravate come una dea, Deraia incarnata.»

«Siete gentile. Ricordo l’orfanotrofio di Alexandria, mi dispiace se non vi ho riconosciuto.»

«Avevo otto anni ed ero molto più gracile di ora. Ora basta rivangare il passato, è meglio dormire.»

 

L’aria fresca del mattino accarezzava il viso di Gilia. La notte aveva sognato di volare su Asthar, perciò non si era reso subito conto di essere tra le grinfie di un’aquila gigante, un altro degli esemplari di fauna dei Beor. Aveva un piumaggio marrone/dorato e grosse zampe artigliate, grandi abbastanza da intrappolarlo completamente in una sola.

‹Ci mancava anche questa.›

Quel viaggio era stato una tortura dopo l’altra. Non c’era spazio a sufficienza per sguainare Enedome ithil o la sua ascia a Materia, perciò decise di utilizzare un incantesimo. Tanto il Consiglio lo avrebbe già potuto localizzare sui Beor a causa della stregoneria usata per salvare Alea, un altro misticismo non avrebbe fatto male. Beh, forse all’aquila sì.

«Zanna d’incubo.»

Alzò la mano posizionata a lama e attorno ad essa si concentrarono le scariche nere dell’elemento Incubo. Esso utilizzava l’elemento oscuro per amplificare il potere perforante del fulmine, a discapito del suo potere elettrificante. Il Cerchio d’argento si illuminò e divenne una circonferenza di luce argentea in mezzo ad una mano completamente annerita, avvolta dall’energia magica; dalle dita si allungò una lama di cinque metri che trapassò il grande rapace. Entrambi caddero verso il basso ma Gilia utilizzò un incantesimo di levitazione per evitare di sfracellarsi al suolo. Prese al volo il corpo senza vita dell’uccello e tornò a terra. Lì accese un fuoco con una magia e fece colazione con ciò che voleva inizialmente farla con lui. Quando ebbe finito pensò che non c’era due senza tre, perciò appoggiò il palmo a terra e utilizzò un incantesimo per rintracciare l’antica città dei nani. Dieci minuti dopo si mise in marcia soddisfatto.

 

La vegetazione si era iniziata a fare più lugubre, gli alti e fieri e rigogliosi alberi erano diventati sempre più secchi e grotteschi. Nel giro di cinque minuti, Alea si era ritrovata in un posto che a stento riusciva a credere fosse la Yaara Taure. I tronchi neri e morenti, i rami cadenti e spogli vennero sostituiti da specie di alberi del tutto nuovi e diversi dalle querce maestose che era abituata a vedere in quella parte di Alagaesia. Il terreno era a tratti duro, a tratti putrido, l’aria puzzava di cadavere in decomposizione. C’erano alberi dai tronchi viola, rossi, verde vomito, giallo muco, nero morte. Le foglie pure avevano le forme ed i colori più bizzarri ed esse come i rami pareva volessero agguantare gli intrusi e strappare loro la carne dalle ossa. Forse era solo un gioco di luci, ma l’oscurità sembrava avvolgere ogni cosa, dalle lunghe foglie a sciabola, ai fiori per terra. Alea non ricordava essere mai stata in un luogo così minaccioso, era come se gli alberi e tutte le altre piante fossero arrabbiati. Aveva la sensazione di essere osservata. Aprì la sua mente ma non trovò alcuna presenza. Ebbe un brivido.

«Tranquilla, aredhel.» le disse il mercenario.

Però aveva sguainato il suo spadone e teneva il pollice pronto sull’interruttore per la Materia. Alea pensò bene di fare altrettanto. Raama tel’ arvandorea non sarebbe stata una buona idea senza il sostegno della sua magia, perciò impugnò la sua nuova lancia e la estese in tutta la sua lunghezza. Anche lei aveva il dito sul pulsante di attivazione della Materia. Vaana si muoveva lentamente e guardandosi intorno con aria estasiata, terrorizzata, interessata e disgustata. Era quasi divertente vedere il suo animo di scienziata combattere con i suoi istinti di persona sana di mente. Certo, tutto il divertimento svaniva quando l’elfa ripensava di essere nella stessa situazione dell’altra donna.

«Attenzione!» disse in un sussurro e alzò il braccio Jenssen.

Ai loro piedi Alea vide strisciare ciò che inizialmente scambiò per un serpente, ma poi vide essere una liana. Notò che il mercenario le stava facendo qualche segno con le mani e gli occhi e intuì volesse che gli penetrasse la mente.

‹Queste liane avvertono i movimenti e sono suscettibili ai suoni. Hanno la forza necessaria per stritolare persino un adamanthart e romperne il guscio. Dobbiamo prestare molta attenzione. Riferitelo alla dottoressa.›

Alea fece come detto e tutti e tre rimasero immobili. Gli adamanthart erano mostri simili a tartarughe che abitavano le spiagge di Ivalice e Condoria che davano sul mare interno di Tamriel. Erano il corrispettivo dei behemoth del Gagazet in quanto a pericolosità e i loro gusci erano così resistenti da essere poco sotto alle scaglie di drago. Se quelle liane erano capaci di romperli, la altmer non voleva pensare a cosa avrebbero fatto a lei.

‹Le posso bruciare se necessario o rischio solo di peggiorare le cose?›

‹No, il fuoco va bene contro queste liane, sebbene il ghiaccio sia più efficace con la maggior parte delle piante. Ma se tagliate una liana, la parte recisa si muoverà autonomamente e ne avrete create due. Quindi non lo fate per nessuna ragione.›

‹Mi sembrate un esperto in materia.›

‹Uno dei miei compagni di spedizione è stato ucciso da una liana la prima volta che venni qui. Eravamo in dodici, solo io ne uscii vivo.› spiegò il mercenario.

‹Mi dispiace.›

‹Non è necessario, non eravamo amici.›

Mentre la liana continuava a serpeggiare tra i loro piedi, Alea vide con orrore come Vaana non fosse più in grado di mantenere la posizione scomoda in cui si era bloccata. E perse l’equilibrio, cadendo di lato. Si era appena mossa che il rampicante saettò verso di lei per stritolarla. L’elfa aveva già unito il Flusso alla sua energia magica e stava per liberare una grande fiammata, ma Jenssen era stato più rapido. Con il piatto della spada avvolta dalle fiamme colpì la liana che prese rapidamente fuoco. Alea la vide dividersi e la parte risparmiata dalle lingue ardenti si era ritratta rapidamente, sparendo nel sottobosco. Il guerriero aveva premuto il pulsante sull’impugnatura del suo spadone il momento immediatamente successivo al suo attacco e la lama aveva perso il suo mantello fiammeggiante. Alea era rimasta impressionata. Quella Materia di fuoco era veramente potente, doveva avere almeno duemila douriki di potere di emissione. Per quanto una Materia potesse essere utilizzata anche come sostituta della magia e inserita all’interno del corpo per dare la possibilità al suo possessore di sfruttare capacità “magiche”, per contenerla bisognava avere un complessivo di energia spirituale superiore al potere della pietra alchemica. Per quello erano funzionali le armi a Materia che permettevano di generare grandi poteri anche senza un adeguato allenamento interiore. Ma mai Ilyrana aveva visto un uso così preciso di un’arma a Materia: le fiamme non avevano nemmeno scalfito il corpo della botanica.

«Quanto è potente quella Materia?»

«Ha un’emissione di cinquemila douriki al secondo. Ha una carica complessiva di centomila douriki. Questo mi permette di usarla per venti secondi. Ora ne sono rimasti diciannove. Ne ho due di ricambio, per fortuna. Ma non siamo in questa terra maledetta nemmeno da un’ora e già l’ho dovuta usare; è bene che ci sbrighiamo, specie perché non voglio dovermi accampare per la notte in mezzo a questa giungla assassina.»

«Secondo il Cavaliere Ascal, si possono trovare molte orchidee di ghiaccio nei pressi di stagni.» disse Vaana.

Seguirono il sentiero muovendosi con cautela in mezzo a cespugli pieni di spine, liane che calavano dagli alberi, piante carnivore e altre possibili morti atroci finché trovarono un laghetto dall’acqua non troppo contaminata. E sulle sponde cresceva un’orchidea, con i suoi petali tra il celeste e il bianco. Vaana si avvicinò per coglierla.

«Attenzione alle alghe.» avvisò Jenssen.

La scienziata puntò la sua pistola e liberò energia di ghiaccio con cui fece risplendere il fiore. La tagliò con delle forbici prese da una tasca dei pantaloni e la mise in un contenitore di vetro tirato fuori dallo zaino. Tra circa tre ore e mezzo sarebbe stato buio.

«Ora possiamo andare. E sarà meglio fare in fretta.»

Quanto vorrei saper usare la dislocazione spaziale.

Alea sentì un movimento attorno ai piedi e pensò che fosse una nuova liana, ma questa volta si trattava proprio di un serpente. Alzò la sua lancia, pronta ad attaccare, quando ne vide arrivare un altro, un terzo e un quarto. Erano tutti diversi, di dimensioni differenti, costrittori e velenosi.

«Ma che bella sorpresa, bambolina! Tu sei la donna del Cavaliere d’Inferno!» disse una voce acuta e maniacale.

La altmer si voltò e vide un elfo oscuro dagli insoliti capelli bianchi anziché grigio cenere, con gli occhi rosso scuro, ma la pelle pallida, grigiastra e l’aura maligna che emanava lo identificavano chiaramente come tale. Aveva la testa piegata di lato, quasi a contatto con la spalla destra, un tatuaggio bianco sotto all’occhio destro che rappresentava un serpente attorcigliato e uno scorpione rosso sulla guancia sinistra. Alea rabbrividì. Il nemico sorrideva con una gioia sadica, gli occhi illuminati da una luce perversa, e dall’occhio destro scendeva quella che sarebbe dovuta essere una lacrima, invece era un liquido violaceo. Indossava un lungo abito elfico bianco e nero e alla vita aveva una cintura che reggeva sul fianco destro un pugnale il cui pomolo era costituito da un serpente d’argento arrotolato su se stesso attorno ad un diamante nero. Attorno ai piedi, alle gambe, al busto, alle braccia e persino in mezzo ai lunghi capelli nivei si muovevano innumerevoli serpenti.

«Hihihihihi! Fammi sentire come urli!» rise con un tono inquietante.

 

Trovare l’ingresso di Mzinchaleft non era stato facile nemmeno dopo averne trovato l’ubicazione tramite l’uso della magia terrestre, in quanto era coperta da macerie. Era grazie ai resti di ciò che pareva essere stato un terrazzo che Gilia aveva trovato ciò che stava cercando. Si era infatti ricordato che i nani, per quanto avessero sempre amato vivere sotto terra, un tempo erano stati soliti uscire anche in superficie e avevano costruito grandi terrazzi panoramici. Ma li avevano distrutti tutti e non erano più tornati in superficie in seguito al tradimento degli elfi. Era sceso lungo le scale di pietra che si erano ancora mantenute ed aveva saltato per evitare i tratti crollati fino a che raggiunse una gabbia metallica. Dentro trovò una leva e, incuriosito, la azionò. Nessuna parola gli venne in mente per descrivere la sua meraviglia nello scoprire che gli antichi nani avevano inventato un ascensore! Ma non poteva essere a Materia come quelli dei moderni umani, sia perché la Materia, appunto, era stata scoperta nemmeno duecento anni prima, sia perché per ottenerla bisognava lavorare alchemicamente una pietra preziosa carica di energia magica. E i nani non potevano usare la magia. E dopo chi sa quanti millenni, ancora quell’ascensore funzionava! Ma non era nella migliore delle condizioni, quello era sicuro, in quanto l’impatto dell’arrivo a terra non fu dolce. Gilia volò in aria e andò a sbattere la faccia contro la parete metallica. Si alzò dolorante, massaggiandosi il naso.

‹Non me ne sta andando bene una da quando ho lasciato Rabanastre...›

Nei resti di Mzinchaleft era buio pesto. Gilia tirò fuori una torcia a Materia dalla sua borsa e il fascio di luce lo aiutò a muoversi in mezzo alla rovina di quella che era un tempo stata una delle sette grandi città. Trovò la strada bloccata diverse volte e dovette spostare i massi, facendo attenzione a non far crollare tutto, e proprio per quell’evenienza teneva un incantesimo pronto. Sperava solo di non doverlo liberare: far scoprire al Consiglio la sua presenza nei Beor era un conto, dire che era a Mzinchaleft era un altro. Non sapeva quanto ci avrebbe messo prima di trovare i segreti di quell’architetto nanico, perciò non voleva avere Cavalieri alle calcagna.

Stava camminando da quasi un’ora quando il pavimento sotto di lui cedette e lo fece precipitare nel vuoto. Cercò di usare un incantesimo di levitazione, ma sentì che la magia era bloccata da qualcosa. Conosceva quella sensazione, era come stare troppo vicino alle mura nere della Rocca e nelle prigioni sotto la Sala del Consiglio. Era circondato da marmo nero.

‹Maledizione.›

Cadde ininterrottamente per circa duecento metri. Toccò terra con il piede sinistro e sentì la gamba spezzarsi, con la tibia ed il perone che gli bucarono la pelle ed uscirono di lato. La gamba si piegò di novanta gradi in quella posizione innaturale ed il Cavaliere sbatté la schiena a terra. Reggendosi il ginocchio, lanciò un grido di dolore che rimbombò per tutta la grotta.

‹Gilia! Vengo subito!› si allarmò Asthar.

‹Non essere ridicolo, ci metteresti due giorni ad arrivare qui da Condoria. Tu resta lì a studiare la lingua dei draghi e a imparare i vostri Ruggiti. Me la caverò da solo. In un modo o nell’altro. Non ti azzardare a venire qui o ti disconosco come mio drago!›

Interruppe la comunicazione telepatica per non sentire più le preoccupazioni del compagno mentale e cercò di rialzarsi. Per lo meno il marmo nero non gli toglieva la sua forza fisica e se l’era cavata con solo una gamba e qualche vertebra rotte. Di un umano comune, da quell’altezza, non sarebbe rimasto molto. Però doveva curarsi in fretta, o rischiava di rimanerci davvero. A causa dell’esposizione delle ossa, stava perdendo sangue e se non l’eccessiva perdita, ci avrebbe pensato il dolore lancinante a farlo svenire. E poi chi sa che sarebbe successo. Quando realizzò che non si sarebbe alzato in piedi (in piede), incominciò a trascinarsi, sforzandosi di rimanere lucido. Si pentì di non aver preso alcuna Materia o pozione di guarigione. Che poi per una frattura esposta come quella, avrebbe avuto bisogno di accompagnare una pozione ad un trattamento medico. Forse una Materia sarebbe bastata se aveva lo stesso effetto di un incantesimo come quelli Alea, ma non valeva la pena pensarci: non aveva niente del genere. Con la torcia nella mano destra, illuminò l’ambiente e vide che si trovava in una galleria di marmo nero. Più che una costruzione, pareva una cava. Si trascinò per molto tempo, faticando sempre di più e sentendosi sempre più debole, lasciandosi dietro una scia di sangue. Stava per perdere i sensi quando vide una parete di pietra grigia sostituirsi al marmo nero e lo spazio che doveva essere stato un tempo riempito da una porta. Lodando la Tempesta, Corvinus si allontanò dal marmo nero e usò un incantesimo di cura a cui combinò un’evocazione di Cherubini di vita. La gamba fu rigenerata, le vertebre riassestate e pure il suo normale quantitativo di sangue venne ristabilito. Rimase steso a terra a riprendere fiato. Quando si sentì finalmente in forze si alzò a sedere ed esplorò quelle nuove rovine naniche che aveva appena trovato. Lo stomaco gli brontolò e si accasciò a terra con la schiena contro il muro. Disperato, attinse direttamente alla sua riserva magica per acquietare i suoi bisogni fisici. E a proposito di bisogni fisici, si slacciò i calzoni e orinò contro una parete incisa con rune naniche. Giusto per curiosità, le lesse. Rimase a bocca aperta nel leggere appunti che parlavano dell’estrazione del marmo nero.

‹Sono un idiota.›

Corse (ancora un po’ zoppicante) di nuovo nella cava e percorse alcune gallerie fino a che raggiunse una grande area dove vide oggetti da lavoro e altre lastre di pietra con scritti degli appunti. Poi tutt’intorno sentì la presenza degli spiriti del marmo nero e rimase in ascolto. Si sedette a gambe incrociate per meditare ed entrare in contatto con i Serafini per capire meglio la loro essenza.

Non sapeva bene quanto tempo esattamente fosse passato da quando aveva iniziato a comunicare con gli spiriti, i quali parevano risiedere proprio in quel luogo, il punto in cui si era originariamente formato il marmo nero, quando sentì un rumore di passi alle spalle.

«Vengo mandato qui per trovare il Cavaliere d’Inferno che sappiamo essere venuto ai Beor, invece trovo te. Non posso dire che mi dispiaccia.» disse una voce conosciuta.

Gilia aprì di scatto gli occhi, un’espressione furiosa in volto. Si alzò e si voltò, Enedome ithil già in mano, nella sinistra la torcia che illuminò colui che aveva parlato. Davanti a lui si trovava un uomo alto e dalla corporatura esile, vestito elegantemente con una camicia bianca, pantaloni, stivali e la mantellina sulle spalle che arrivava a metà busto rossi, colore identico ai corti capelli e gli occhi. Sorrise, i denti bianchi che parevano un tutt’uno con la pelle pallida. Era cambiato molto fisicamente, sembrava deperito, cadaverico, ma Gilia lo avrebbe riconosciuto in mezzo a mille.

«Ci si rivede, cugino.» disse lo spettro.

 

 

 

 

~

 

 

 

 

È giunto il momento della verità per Gilia e anche Alea si ritrova contro l’avversario più forte che abbia mai affrontato. Il prossimo capitolo si intitola IL POPOLO DELLA PIETRA e ritorneremo un po’ indietro nel tempo, di una settimana, a quando Siirist e Sylgja arrivano ai cancelli di Orzammar.

Ritorna all'indice


Capitolo 67
*** IL POPOLO DELLA PIETRA ***


IL POPOLO DELLA PIETRA

 

La strada era lunga e in salita. E più saliva, più era chiaro che faceva freddo. Era estate, ma le nevi incominciarono ad essere onnipresenti una volta superati i quattromila metri. E ancora la cima di quelle montagne imponenti non accennava a mostrarsi. Si perdevano nel cielo, tra le nubi.

«Fortuna il sistema di riscaldamento dell’automobile.» commentò Sylgja.

E aveva ragione. Salire con un cavallo o un chocobo sarebbe stata una tortura sia per loro che per gli animali. La neve era mezzo metro di profondità e Siirist era stato obbligato a rallentare di molto l’andatura. Sylgja sbadigliò e prese una banana dalla borsa sul sedile posteriore. La vettura si bloccò e si infossò da una parte.

«Che succede?»

Ryfon ringhiò e represse appena i suoi istinti draconiani e il suo sangue di demone. Quando pensò che non aveva vestiti invernali, dovette voltare la testa per impedire che la ragazza vedesse la trasformazione dei suoi occhi.

«Pare dovrò scendere e spingere, l’auto sembra bloccata. Sai guidare?»

«Se mi ricordo ancora come si fa sì, ma sei in grado di farcela?»

«Stai tranquilla, la forza non mi manca.»

«Ti gelerai.»

«Lo so, per questo non ho esattamente l’espressione più felice in volto.»

«Vedo.»

Ella finì la sua banana e passò sul sedile di sinistra subito dopo che Siirist fu sceso dalla vettura. Gli venne voglia di levitare il veicolo, ma si trattenne. Cercò di spingere mentre la ragazza premeva sull’acceleratore, ma l’automobile aveva preso una buca profonda e la ruota era bloccata. Sbuffando e battendo i denti, Siirist rientrò nella macchina e guardò la ragazza.

«Io non scendo a spingere sicuro!»

«No, non è questo... Hai presente come ti ho detto che il mio falso nome è Alvor?»

«Sì...? Vuoi finalmente dirmi chi sei in realtà?»

«È necessario, visto che, se no, potresti spaventarti a vedere la forza che sto per mostrare. Il mio nome è Siirist Ryfon e sono un Cavaliere dei draghi.»

«Il Cavaliere d’Inferno!» disse con gli occhi sgranati.

«Hai sentito di me?»

«Sì, sei famoso!»

«Ah... Dovrei ritornare a Skingrad e vedere se se ne sa niente lì... Va beh, il punto è che adesso sollevo questa dannata auto e salto su per questa montagna fino a che non ritroviamo una strada decente. Sei pronta?»

«Sì!» rispose eccitata.

Siirist scese dalla vettura, chiuse lo sportello e strinse con le mani due delle punte della ruota posteriore destra. Richiamò il sangue demoniaco e andò in forma di draconiano. Detto fatto, sollevò la macchina e saltò con essa. In cinque minuti aveva scalato un chilometro. Rimise la vettura a terra e entrò sul posto del passeggero. Alzò il riscaldamento al massimo e si strofinò le spalle e le mani.

«Non puoi usare una magia per tenerti caldo?»

«Potrei, ma è meglio di no. Non sono molto in buoni rapporti con il Consiglio degli Anziani al momento e non so come, ma se uso le arti mistiche scoprono dove mi trovo. E non è una cosa che voglio al momento.» disse tra i tremiti e i battiti dei denti.

«Chiaro. La cosa positiva è che finita questa salita siamo ai cancelli di Orzammar.»

«Ottimo! Vai, guida.» disse immaginandosi il calore che ci potesse essere all’interno della terra.

Sylgja premette l’acceleratore e la vettura si mosse, scalando il sentiero costeggiato a sinistra da uno strapiombo e a destra da una parete di roccia. Quaranta metri più su, la strada curvava a gomito e dava su un grande spiazzo dove trovarono altre automobili e anche alcuni modelli più piccoli di aeronavi. Lì vi era pure il grande accampamento dei Cavalieri assegnati a proteggere i Guanti dalla Setta. Il Cavaliere d’Inferno avrebbe dovuto evitare di venire riconosciuto; era un bene Rorix non fosse con lui. Sylgja parcheggiò ed i due scesero. Andarono al portabagagli e incominciarono a scegliere le armi che si sarebbero portati; Siirist indossò la cintura con la spada a cui assicurò pure la pistola che aveva preso al buttafuori pelato. Prese anche un fucile caricato con una Materia giallo/arancio, sperando che fosse di fuoco, più come portafortuna che altro. Sylgja si armò con due pistole, una con una Materia giallo brillante, l’altra celeste chiaro come quella di Siirist, e due fucili, entrambi caricati con una Materia verde pallido. Pronti, corsero verso l’ingresso della città prima di congelare. Nell’alta parete rocciosa si trovava un’imponente porta di mithril a due ante, larga sei metri, alta venti. Ai lati vi erano due nani, legata alla schiena tenevano una enorme ascia bipenne a due mani, che lo sarebbe stata anche per qualcuno della statura del mezz’elfo, alla vita avevano una faretra per le frecce delle balestre che reggevano in mano, un dardo già caricato. La loro armatura era pesante e massiccia, di mithril rivestito di argento. Era nera, con ritratta un’ascia rossa. Indossavano entrambi dei mezzi elmi da cui spuntavano le loro lunghe e folte barbe; avevano occhi piccoli e vispi. Sulle spalle e attorno alla vita tenevano delle pesanti pellicce.

«Chi siete, viaggiatori? Perché desiderate accesso a Orzammar?»

«Non siamo qui per Orzammar, ma per incontrare il vostro re a Tronjheim.» rispose Siirist.

Le due guardie risero.

«Parli la nostra lingua, straniero. Per quanto lodevole, questo non ti garantisce l’accesso a Tronjheim e un incontro con il re.»

«Neanche se dicessi che ho trovato Ilirea e voglio donargli la corona e l’ascia del re nano della città perduta? Ora fateci entrare, stiamo morendo di freddo qui fuori. Potreste gentilmente indicarmi quale sia la taverna migliore? Attenderemo lì una notifica da parte del re.»

«“Il Boccale dorato”.» rispose in maniera distratta una della guardie.

«Molte grazie.»

Siirist e Sylgja oltrepassarono le grandi porte metalliche e si ritrovarono nel vestibolo della città vera e propria. Lì vi erano le stalle e gli alloggi delle guardie assegnate al cancello e dovettero camminare per vari chilometri lungo poco illuminate strade tortuose che scendevano sempre più in profondità prima di poter vedere la magnificenza e la maestosità di Orzammar; Siirist calcolò che erano in tutto scesi al massimo di soli quattromila metri dal cancello della città. Erano su un balcone da cui partivano due strade, una per il quartiere più ricco, a destra, uno per quello più povero, a sinistra. Ryfon, seguito dalla ragazza, intraprese la strada di destra, raggiungendo molte bancarelle che circondavano la piazzetta. La metà era gestita da nani che vendevano armi, armature e gemme; l’altra metà era di proprietà di umani, che si occupavano di vendere frutta, verdura, cereali e altri mezzi di sostentamento che richiedevano la luce del sole per crescere. Tutti i prodotti in vendita erano di qualità superiore a ciò che si trovava nel mercato del distretto più povero. L’illuminazione era fornita da torce dalla fiamma debole e quasi eterea, le stesse che avevano illuminato la lunga e tortuosa strada che li aveva condotti lì, e dai fiumi e dalle cascate di lava che passavano accanto alla città: erano passati da un freddo insopportabile ad un caldo elevatissimo. Ma al mezz’elfo andava bene così, a lui piaceva il caldo.

Siirist e Sylgja superarono la piazza e trovarono la taverna che la guardia aveva consigliato loro. Appena entrarono notarono come molti mobili erano ad altezza umana, tanto che dei clienti, quasi nessuno era un cittadino. Si sedettero e ordinarono un bicchiere di birra ciascuno. Siirist aveva spesso sentito parlare della specialità della birra nanica, perciò era curioso di provarla. Sylgja ne prese un sorso e fece una smorfia; Ryfon la imitò e dovette ammettere che, effettivamente, era forte. Ma non era male.

«Ci vuole uno stomaco forte per bere questa roba.» disse qualcuno alle spalle del mezz’elfo.

Era un umano dalla carnagione cotta dal sole, con brillanti occhi verdi e una cicatrice bianchissima che gli attraversava la faccia dalla guancia destra al sopracciglio sinistro, passando sopra al ponte del naso. Pareva un guerriero, a giudicare dall’equipaggiamento: vestiti di pelle indurita, una cintura con una spada e un pugnale, una cinta a tracolla con sei grandi tasche. Sull’avambraccio sinistro teneva una qualche sorta di cosa metallica con quella che pareva una bocca di fuoco che puntava in direzione della mano.

«Possiamo fare qualcosa per te?»

Con la coda dell’occhio, Siirist teneva d’occhio i quattro compagni dello sconosciuto, seduti al loro tavolo, anche loro equipaggiati per andare in guerra.

«Vedi, il nostro problema è che abbiamo finito con l’ordinare più cibo di quanto ci potessimo permettere, perciò te ne saremmo grati se ci potessi fare un piccolo prestito.» sorrise, mostrando un dente d’oro.

I suoi amici stavano sghignazzando.

«Purtroppo anche io sono un po’ carente in quanto a denari. A giudicare dai prezzi che ci sono qui, temo finirò tutto quello che ho rimasto solo per questo pasto.» rispose dando un’occhiata al menu.

«Allora puoi non ordinare per te. Questa delicata ragazza non sembra il tipo che mangia molto, tanto.»

E fece l’errore di accarezzare la guancia di Sylgja. Siirist stava per affossargli la faccia con un pugno quando la ragazza si alzò con la pistola in mano e la puntò alla fronte dello sconosciuto.

«Non ti sembro più tanto delicata, eh?»

Ryfon rise tra sé e sé.

«Voi, umani! Niente problemi nella mia taverna!» urlò il nano al bancone.

La porta della taverna si aprì ed entrarono quattro nani equipaggiati come le guardie fuori dal cancello, uno di loro aveva la balestra assicurata alla cintura, gli altri le stavano imbracciando. Si fermarono accanto a Siirist e Sylgja, non dando il tempo ai cinque attaccabrighe di reagire all’azione di Orla. Uno di loro era un ufficiale, probabilmente il capitano della guarnigione di Orzammar, a giudicare dalla sua aria autoritaria e dalla sua armatura leggermente più elegante rispetto a quella degli altri.

«Voi siete i nuovi arrivati?» chiese.

«Sì. Lasciateci finire le nostre birre e saremo subito con voi.» rispose Siirist.

«No, verrete immediatamente.»

«Non credo: un boccale è 23 guil, non mi piace sprecare soldi.» disse sorseggiando la sua bevanda.

«In nome di re Glorgur, vi ordino di seguirci, umani. Se opporrete ancora resistenza, vi trascineremo con la forza.» disse il capitano, e tutti e quattro i soldati puntarono le loro balestre.

«Sylgja, stai in dietro.»

Ella annuì convinta e si allontanò.

«Non lo ripeterò: lasciami finire questa birra e verrò con voi. Minacciami ancora, nano, e ti farò ingoiare la tua barba. Ti posso assicurare che non sono qualcuno che vuoi provocare.» disse prima di prendere un altro sorso.

Il capitano fece un gesto con la mano e due soldati si avvicinarono per agguantarli. Siirist fissò il suo sguardo in quello dell’ufficiale e si avvolse nel potere della sua Intimidazione e del colore del re combinato; facendolo traboccare dal corpo ma non facendolo esplodere, esso dava al mezz’elfo un’aura intimidatoria come poche, e grazie al suo potere demoniaco si cibava della Paura di tutti i presenti per potenziare ulteriormente la sua forza. L’intera stanza incominciò a tremare e i nani sgranarono gli occhi.

«Ho detto che non ho ancora finito.» rispose prendendo un’altra sorsata.

Ne prese altre due, la seconda eccezionalmente lunga, e appoggiò il boccale sul tavolo. Poi prese la birra di Sylgja, visto che ella non la voleva, e, una volta finita anche quella, si alzò.

«Adesso possiamo andare.»

Prese la sua borsa alla quale aveva legato il fucile. Sylgja gli si avvicinò e, affiancati dai nani che nascondevano al meglio il loro timore nei riguardi del biondo, lasciarono la locanda. Il capitano delle guardie precedeva di qualche passo e condusse i due stranieri verso una strada situata tra i due quartieri che proseguiva dritta verso il cuore della montagna. Era di pietra grigio scuro, liscia, affiancata da torce. In pochi minuti avevano lasciato la gigantesca caverna in cui era stata costruita Orzammar ed erano entrati in una galleria dall’aspetto lugubre. La strada che saliva la prima collina per arrivare a Rivendell era pure per lunghi tratti scavata nella roccia, ma le gallerie erano sempre illuminate magicamente e le pareti erano abbellite; non era lo stesso con lo stile dei nani, che pareva amassero molto il buio. La sola luce era quella arancione-grigiastra delle deboli fiamme ai lati della strada larga quattro metri, situate in una sorta di davanzale, un incavo che percorreva le pareti per tutta la loro lunghezza, ed il centro di essa era completamente al buio. Siirist non aveva problemi a vedere con i suoi occhi da elfo, che riuscivano a vedere distintamente sfruttando anche quella debole luce che c’era, ma lo stesso non si poteva dire di Sylgja, così il mezz’elfo la prese per mano e le disse di stargli vicina.

I quattro nani, da quando avevano lasciato la locanda, non avevano aperto bocca, ed il loro silenzio aveva influenzato persino i due stranieri. Un po’ era anche la sensazione di soffocamento che dava essere così sotto terra senza nemmeno un filo di luce naturale, perciò Ryfon si era ritrovato a pensare per passare il tempo. La prima cosa su cui riflesse furono le torce che illuminavano la strada, come potessero continuare a bruciare per tutto quel tempo e come l’ossigeno non veniva consumato. La prima ipotesi era un uso di magia, ma la scartò perché i nani erano incapaci di usarla perché non dotati nel Flusso; non era possibile che fosse una stregoneria e nemmeno si trattava di alchimia tradizionale. Teoricamente poteva essere il risultato di un uso di Materia, ma da quello che sapeva i nani non le usavano. Rimase a ponderarci per circa mezz’ora, prima di venire distratto dalla prima irregolarità nella galleria, una strada trasversale che si allungava a destra, anche essa larga quattro metri con le solite torce dalla debole fiamma ai lati.

«Dove va quella strada?» chiese.

«Questa galleria, la Via della Penitenza, chiamata così perché chi la percorre ha il tempo di pensare alle proprie colpe prima di raggiungere la capitale, collega direttamente il cancello con Tronjheim; da essa si diramano anche le cinque strade per le altre città, anche se tre di esse sono in disuso, oramai, proprio come questa: essa va a Mzinchaleft, una delle tre città fantasma. Circa un chilometro più avanti, le torce sono completamente spente e alcune parti di soffitto sono crollate.» spiegò il capitano.

Continuarono a camminare per gli dei solo sapevano quanto tempo ancora. Sylgja non proferiva una sillaba di lamentela, ma Siirist la sentiva decelerare e a volte perdere un battito nel suo passo.

«Se sei stanca ci possiamo fermare.» le sussurrò.

«No... sto bene.» rispose con il fiato pesante.

«La mia amica è stanca, dobbiamo sostare per un po’.»

«Sua durezza re Glorgur sta aspettando, non ci fermeremo solo perché una ragazza umana è stanca.» rispose il capitano.

Siirist piantò i piedi e trattenne Sylgja.

«Invece ci fermeremo, siamo intesi? Se avete da ridire, provate pure ad attaccarmi. Tronjheim è tutto avanti, ci arrivo benissimo anche senza di voi.»

I nani misero mano alle loro asce legate alla schiena o alle balestre assicurate alla coscia e Siirist sfiorò la sua spada con la destra. Si avvicinò ai quattro soldati, mettendosi tra loro e la ragazza.

«Chi sei, umano?»

L’attenzione del ladro gli permise di captare la sottile esitazione nella voce del capitano: aveva capito di avere a che fare con qualcuno al di fuori della norma e che non fosse prudente attaccare senza pensare. Era chiaro che non sapesse che cosa fosse l’Ambizione, perché se l’avesse riconosciuta, sarebbe stato molto più timoroso nei confronti di Ryfon.

«Non ho mai detto di essere umano. Ora dacci cinque minuti e poi ripartiremo.»

Il nano acconsentì e con i suoi sottoposti andò ad aspettare qualche metro più avanti. Tutti e quattro rimasero in piedi, pronti a ripartire. Siirist ebbe modo di confermare la veridicità della leggendaria resistenza dei nani. Sylgja, invece, si sedette a terra con la schiena alla parete e si tolse le scarpe per massaggiarsi i piedi.

«Scusa.»

«Non preoccuparti. È normale, è la prima volta che cammini così tanto in otto anni.» le rispose  slacciandosi la cintura e sedendosi accanto a lei.

Rimase con la gamba sinistra piegata, il piede accanto al sedere, il braccio appoggiato sul ginocchio, la mano che impugnava la pistola, la gamba destra distesa e la mano che stringeva il fodero della spada sotto alla guardia.

«Cinque minuti sono passati.» gli fece notare il capitano.

Aveva spaccato il secondo, preciso come un orologio di Esthar. Ma Sylgja non era per niente pronta a rimettersi in cammino, come Siirist capì dal suo sospiro, perciò, rimessa la cintura con la pistola tra essa ed i lombari, il mezz’elfo si caricò la ragazza sulla schiena dopo che ella ebbe preso la borsa.

«Scusa ancora...» disse con una voce piccola.

«Non preoccuparti, sono forte, ricordi?»

Ella distese la testa in avanti e gli diede un bacio sulla guancia.

«Grazie.»

Siirist sorrise e seguì i nani. Camminarono per un paio d’ore e Ryfon incominciò a spazientirsi. Era ridicolo che non avessero un mezzo di trasporto per percorrere quella strada infinita (c’era da ammettere che il nome della galleria era azzeccato, comunque), e se ci stavano mettendo così tanto, come aveva fatto la notizia del loro arrivo giungere così rapidamente al re per far arrivare quattro messaggeri a chiamarli nemmeno venti minuti dopo il loro ingresso in città?

«Ci vuole ancora molto? Non abbiamo nemmeno fatto in tempo a ordinare da mangiare alla taverna che ci siete venuti a prendere e ora stiamo camminando per ore e la strada sembra non finire.»

«Tronjheim si trova nell’estremo sud di Alagaesia, dove i Beor toccano il mare. Ci vorranno due giorni di cammino per arrivare. Noi nani possediamo la capacità di comunicare attraverso la roccia; in questo modo la notizia del vostro arrivo e del vostro possesso dei tesori di Ilirea è stata comunicata istantaneamente a re Glorgur. Noi siamo soldati di Orzammar, non siamo venuti a prendervi da Tronjheim.»

Questo spiegava la velocità con la quale erano stati richiamati, ma Siirist rimase assai infastidito dal sapere che il viaggio avrebbe richiesto due giorni. I nani potevano anche avere la resistenza necessaria per riuscire a marciare due giorni di fila senza mangiare o riposarsi, ma Siirist aveva bisogno di mangiare, altrimenti sarebbe diventato pericoloso, specie con una bella ragazza che gli premeva il seno contro la schiena, e per quanto dotato fisicamente, non aveva una resistenza nemmeno lontanamente paragonabile. E pure Sylgja aveva bisogno di mangiare e dormire, per non parlare di altre esigenze fisiche.

«Non so come voi nani ragioniate, ma noi abbiamo bisogno di mangiare, dormire e andare in bagno. Non esiste che cammineremo ininterrottamente per due giorni. Hai detto che lungo questa galleria si aprono le strade per le altre due città ancora in vita: possiamo sostare alla prima per la notte. Non che si riesca a distinguere il dì dalla notte qui sotto, chiaro.»

«Ci è stato ordinato di portarvi immediatamente al cospetto del re, quindi smetti di protestare, straniero. Avete già avuto una sosta di cinque minuti, fattela bastare.»

Non solo Siirist aveva scoperto che i nani erano resistenti come dicevano le storie, ma aveva anche testato quanto potessero essere testardi: più duri della pietra, narravano i racconti. E per Obras se avevano ragione!

‹Se ci fossi io lì li avrei già lessati dentro a quelle loro armature!› disse Rorix.

‹Ehi! Come stai? È da un po’ che non ci si sente.›

Siirist era felice di risentire la voce del suo compagno mentale; si accorse improvvisamente di quanto gli mancasse.

‹Io sto bene, decisamente meglio di te. Ora sto mangiando un bisonte tigrato, una vera prelibatezza del Gagazet, e dopo andrò a dormire.›

‹Stronzo, sempre a rigirare il coltello, eh?› si adirò, di colpo felice di non avere più quella lucertola fastidiosa in mezzo ai piedi.

‹Si capisce. Dai, stai tranquillo e non lasciarti prendere dalla rabbia.›

Si salutarono e Ryfon sbuffò.

«Ti peso?» chiese preoccupata Sylgja.

«No, tranquilla. Però inizio ad essere stufo di questa camminata. Passami qualcosa da mangiare, per piacere.»

«Che vuoi?»

«Carne secca.»

«Manzo o una salsiccia?»

«Dammi una salsiccia, va’.»

Senza nemmeno pelarla, il mezzo demone la addentò, strappandola con le sue zanne con estrema facilità.

«Senti, mi dispiace disturbare, ma io dovrei...» disse Sylgja.

«Sai che anche io?» rispose Ryfon che aveva perfettamente capito cosa intendesse dire la ragazza.

«Nani, qui la natura chiama. Va bene se vi sporchiamo la strada o c’è qualche modo di uscirne, magari?»

Il capitano sbuffò.

«Tra cinque chilometri raggiungeremo la biforcazione per Mzulft, la seconda delle città fantasma.»

«Al passo dei nani, cinque chilometri sono tanti, non ce la farò a trattenermi ancora per molto.» bisbigliò Sylgja.

«Tieniti forte, chiudi gli occhi e non te la fare addosso, per favore.»

Siirist richiamò il sangue demoniaco e si trasformò in draconiano prima di scattare in avanti al massimo della velocità che sarebbe stata sopportabile per Orla.

«Aspetta! È pericoloso da soli!»

Il mezz’elfo sentì il richiamo del nano ma non se ne curò. In poco meno di un minuto raggiunse la strada laterale, anche essa sulla destra, e la percorse. Cinque minuti più tardi, si ritrovò a fare lo slalom tra le macerie ed infine raggiunse la rovina della città.

«Fammi scendere, non ce la faccio più!» urlò Sylgja.

Siirist si fermò ed ella si lasciò andare. Cadde a terra per il giramento di testa ma si rimise subito in piedi, seppur barcollando. Andò dietro ad una roccia e fece ciò che doveva fare.

«E non sbirciare!»

Siirist ridacchiò ed andò pure lui a slacciarsi i pantaloni dietro ad una roccia. Mentre si liberava contemplò ciò che rimaneva dell’antica città. Era parzialmente illuminata grazie ad uno strano cristallo che brillava di luce propria, quello che rimaneva degli edifici mostrava costruzioni di pietra e metallo, molte tubature che avevano probabilmente, un tempo, trasportato aria o acqua calda. Siirist capì che i nani erano tecnologicamente avanzati, seppur in maniera diversa dagli umani, e che Orzammar non mostrava affatto ciò di cui erano capaci. Rifletté su come l’assenza di magia portasse un popolo a sviluppare metodi alternativi. Si sgrullò e si riallacciò i pantaloni. Continuò ad osservare l’antica città, guardando i ponti che portavano in profondità, le pozze d’acqua stagnante. Si avviò per i vicoli, scostando le macerie quando gli sembravano sufficientemente stabili, saltando da una parte all’altra quando la strada era crollata.

Stava per tornare da Sylgja quando il settimo senso lo mise in allarme: c’era qualcosa nelle vicinanze, qualcosa di grosso e cattivo. Era al di fuori dell’illuminazione fornita da quegli strani cristalli, perciò la vista elfica non era sufficiente per vederlo, ma il ladro non ne aveva bisogno. Lo avvertiva chiaramente, era largo sui sette, otto metri e lungo almeno un centinaio. Si muoveva velocemente usando innumerevoli zampe pelose lunghe un metro ciascuna. Il resto del corpo era viscido e la testa aveva una bocca rotonda del diametro di un metro, con una serie di piccoli e acuminati denti al suo interno, disposti come numerosi cerchi che partivano dalla bocca fino alla gola. Siirist riuscì a percepire persino quei dettagli perché il mostro si muoveva con la bocca aperta, risucchiando dentro l’aria con le grandi tenaglie che aveva ai lai delle fauci. Se era riuscito a risucchiare così i suoi sensi, Ryfon non voleva nemmeno pensare a che avrebbe fatto con il suo corpo, o peggio con quello di Sylgja, verso cui si stava dirigendo. Mise la mano alla spada. Il mostro sollevò la parte anteriore del corpo, entrando nella zona illuminata. Aveva un colore tra il marrone, il blu scuro ed il nero. Dilatò le tenaglie e la bocca, facendola diventare larga due metri. La ragazza se ne accorse e lanciò un urlo proprio quando la poderosa sferzata generata dal sottano ad estrazione del Cavaliere colpì l’animale: questo fu tagliato in due e cadde a terra. Ma il settimo senso del ladro lo allarmò anche di più.

«Sylgja, corri!»

La ragazza non se lo fece ripetere e corse verso il mezz’elfo mentre un intero sciame di mostri identici a quello appena ucciso ne uscirono dal corpo e puntarono verso i due bipedi. Siirist ringhiò e stava per lanciare il Pugno di fuoco d’Inferno quando vide arrivare da dietro un oggetto dalla forma ellittica con attaccata una cordicella infiammata. Esplose con un poderoso boato che fece tremare la caverna e da esso si liberò una nuvola di fuoco.

«Venite subito qui!» urlò uno dei soldati.

Gli stranieri non se lo fecero ripetere e corsero dai nani appena arrivati.

«Ti avevo detto che è pericoloso!» lo rimproverò il capitano.

«Cos’è quell’affare?! L’ho tagliato in due e ne sono scappati fuori i figli!»

«Non sono figli, ma cloni. Quello è un millepiedi delle profondità, l’unico modo di liberarsene è usare il fuoco. Se lo si taglia, si divide e si moltiplica. Per quanto la tua mossa sia stata errata, mi complimento per essere riuscito ad uccidere un esemplare di quelle dimensioni in un colpo, è stato impressionante.»

Siirist guardò come il mare di fuoco avesse completamente sbarrato l’ingresso alla galleria, così che i millepiedi che non erano stati bruciati non potevano passare.

«E quell’oggetto che avete lanciato?»

«Una granata. Ma ora basta domande, le fiamme si estingueranno tra poco e se ci trovano così vicini, potrebbero anche entrare nella galleria.»

«E non è qualcosa che vogliamo.»

«Per quanto più pericolosi se vengono incontrati nelle miniere, i millepiedi giganti sono meglio di questi più piccoli perché non possono entrare nelle gallerie. Ora andiamo, presto.»

Tutti e sei corsero via da quello che rimaneva di Mzulft e in un quarto d’ora furono di nuovo sulla strada principale. Sylgja cadde in ginocchio, esausta. Siirist si accovacciò per permetterle di aggrapparsi alle sue spalle e, con le mani strette a sorreggere il sedere di lei, si rialzò.

«Sei stato veramente fenomenale prima.»

«Figurati, quello era niente. Se non fossero arrivati loro avrei liberato uno dei miei incantesimi preferiti, il mio Pugno di fuoco, allora sì che avresti visto qualcosa di spettacolare. Ma sono contento di non averlo dovuto fare.»

«Altrimenti il Consiglio degli Anziani ti avrebbe rintracciato, giusto?»

«Sì, ma tra il farmi scoprire e il lasciarti mangiare da quel mostro, non avrei esitato a usare la magia.»

«Grazie.» e lo baciò ancora.

«Vedo che il tuo ripudio per gli uomini è completamente passato.»

«Solo con te.»

Siirist finì lì la conversazione.

«Chiedo scusa, avrei una domanda.» disse Ryfon.

«Dimmi.» rispose il capitano.

«Nelle rovine di Mzulft ho visto tubature metalliche, cancelli senza maniglie o serrature che mi fanno pensare fossero automatizzati e ho visto anche i resti di alcune cose metalliche con tanto di facce. Non mi direte che l’avanzamento tecnologico raggiunto dai vostri antenati è stato perduto, vero? Perché Orzammar non mi sembrava per niente sviluppata come lo doveva essere stata Mzulft.»

«Quello che dici è vero. Orzammar non presenta nessuna tecnologia perché non vogliamo che voi abitanti di superficie rubiate i nostri segreti. I nostri ingegneri hanno scoperto come sfruttare il vapore per muovere le nostre macchine, è per quello che vengono usate le tubature. Le macchine con raffigurati dei volti sono automaton, dei guardiani automatizzati. Per ovvie ragioni non dirò come funzionano.»

«Eppure non avete dei mezzi di trasporto che ci permetterebbero di raggiungere Tronjheim più velocemente e comodamente.»

Il nano scoppiò in una grassa e profonda risata, accompagnato dai sottoposti. Siirist non se la sentì di unirsi alle risa, bensì storse il naso in una smorfia infastidita. Almeno era riuscito a scoprire qualcosa sulla tecnologia nanica. Era interessante, parevano aver trovato un sistema del tutto privo di magia. Pure le Materia erano un prodotto derivato della magia, perciò la tecnologia umana era tutta basata sulle scienze degli elfi. Pensò se anche i popoli degli altri continenti avevano sviluppato tecnologie proprie. Ciò che lo interessava di più era vedere un automaton attivo, forse il loro modo di “pensare” era simile ai bot delle Città delle Macchine, ma non riusciva a capire come potessero avere le facoltà di muoversi autonomamente senza alcun uso di magia.

Dopo quaranta minuti, Sylgja si era addormentata ed il suo respiro tranquillo sul collo di Siirist gli trasmetteva un senso di pace. Un’ora più tardi, anche lui incominciò ad avere sonno.

«Ho bisogno di riposarmi, mi dispiace ma ho troppa fame e mi sta venendo sonno.»

«Tra un quarto d’ora dovremmo arrivare alla biforcazione per Raldbthar, una delle città ancora vive. Possiamo fermarci per mangiare alla taverna, ma mi dispiace di informarti che non hanno letti. Noi nani possiamo camminare per giorni senza riposo, per questo non abbiamo mezzi di trasporto e non ci sono locande lungo la strada.»

«Mi accontenterò di mangiare decentemente.»

La deviazione per Raldbthar era a sinistra e la città che trovarono era impressionante. Come Mzulft, si trovava in una caverna di dimensioni maestose, ma palesemente innaturale, in quanto scavata dai nani per fare spazio alla costruzione, la volta cosparsa del cristallo luminoso che irradiava una luce verde pallido. Appena usciti dalla Via della Penitenza, si trovarono un muro di mezzo metro che li separava da una fossa dalle pareti levigate infondo alla quale era costruita una piazza. A destra vi era una strada che scendeva fino alla piazza al cui centro vi era un albero molto strano, con il tronco di legno nodoso, il “fogliame” composto dai cristalli verde pallido che irradiavano luce. Attorno alla base vi era una panca di pietra ottagonale. Siirist vide arrivare verso di loro due costrutti metallici dalle fattezze di una persona, alti quanto lui, che si muovevano grazie ad una sfera al posto delle gambe. Riconobbe il “viso” di quelle macchine che liberavano vapore dalle spalle come lo stesso dei resti che aveva visto a Mzulft. Quelli dovevano essere degli automaton. Esaminarono i nuovi arrivati, specie i due non nani, e si allontanarono.

«C’è una taverna in quel vicolo.» disse il capitano.

«Quelli erano automaton, vero?»

«Sì, due sfere, una delle tipologie di automaton.»

In giro per le strade Siirist vide alcuni soldati equipaggiati come quelli che li stavano accompagnando alla capitale, se non che qualcuno aveva un martello da guerra anziché un’ascia. Un paio erano invece armati con un’ascia con una lama ad una mano con un piccolo scudo circolare sull’avambraccio sinistro. Arrivati alla taverna, Siirist ebbe un momento di esitazione. Se Orzammar era strutturata per accogliere gli abitanti di superficie ed effettuare scambi, lo stesso non si poteva dire per le altre città. Il nano più alto era al massimo un metro e trenta e la porta era un metro e sessanta, il soffitto solo qualche centimetro più alto. Siirist aveva trenta centimetri di troppo.

«Spero tu veda da solo quale sia il problema.»

Il capitano grugnì ed ordinò ad uno dei sottoposti di portare fuori due menu e di far preparare un tavolo in mezzo alla strada. Ryfon notò dei nani che lo osservavano curiosi e timorosi da dietro le finestre e gli angoli degli edifici.

«Non preoccuparti, il soffitto del palazzo reale è molto più alto.»

«Si spera, non voglio dover stare accucciato tutto il tempo.»

Il mezz’elfo adagiò la ragazza a terra e la svegliò dolcemente. Ella aprì lentamente gli occhi e se li stropicciò sbadigliando.

«Siamo a Tronjheim?» chiese con voce impastata dal sonno.

«Magari. Stiamo facendo una sosta per mangiare.»

Il soldato consegnò i menu agli stranieri e Siirist lesse che molti piatti erano incentrati sul nug. Che cosa fosse un “nug”, non ne aveva la minima idea.

«È una sorta di maiale. È molto piccolo e cieco e vive sottoterra.» gli spiegò il capitano.

Siirist ordinò la “Barba di Glorgur”, un piatto con comprendeva un nug intero cotto in rosmarino nero e servito con funghi delle profondità. Chiese anche un boccale di birra e pregò Obras che ciò che stava per mangiare non facesse schifo. Pensò bene di rivolgere una preghiera anche a Titano. Sylgja prese lo stesso e in quindici minuti avevano i loro piatti, depositati sopra a quattro tavoli messi uno sopra l’altro. Mangiarono da in piedi con i nani che li osservavano meravigliati. Doveva essere la prima volta che vedevano persone così alte.

‹Mi stanno urtando il sistema nervoso tutti quegli sguardi. Richiama Agar hyanda e massacrali!› incitò il falso Siirist.

All’interno della sua torre, il vero andò alle sbarre che trattenevano la sua altra coscienza e le colpì violentemente.

‹Stai zitto.›

Quando lui e Sylgja ebbero finito di mangiare, il capitano pagò il taverniere e tutti e sei ripresero il cammino. Dopo ore e ore, raggiunsero finalmente la fine della galleria. Per quanto era irritato, Ryfon aveva voglia di possedere e divorare la ragazza che teneva sulle spalle, ma si placò quando entrò nella capitale dei nani. Tronjheim aveva una forma cilindrica e scendeva in profondità per numerosi livelli. A tre metri di altezza da dove si trovava l’accesso alla galleria vi era il soffitto in cui un gigantesco cristallo luminescente era stato intagliato per avere la forma di un pugno chiuso. La sua luce arrivava molto in profondità, ma non era sufficiente ad illuminare fino in fondo. Siirist guardò giù e vide che altri cristalli luminescenti adornavano le pareti del cilindro e il livello più basso; ad occhio e croce il cilindro era più di un chilometro profondo: considerando l’altezza a cui si trovava Orzammar, la base di Tronjheim non doveva essere di tanto sotto al livello del mare.

Lungo i bordi del cilindro vi erano delle scale a chiocciola che il capitano intraprese e gli altri seguirono. Ogni venti metri vi era un pianerottolo che interrompeva la scala che portava ai vari livelli della città; loro scesero fino al penultimo, il settantaseiesimo, dove si trovavano il palazzo reale, il tempio di Titano ed una galleria opposta al palazzo. Solo le gallerie delle miniere erano più in profondità. La porta a doppia anta del palazzo era alta diciotto metri e larga quattro, di legno scuro; ai suoi lati vi erano due imponenti statue di pietra raffiguranti due nani che impugnavano uno un’ascia bipenne a due mani, l’altro un martello da guerra a due mani e li reggevano davanti a sé, il fondo dell’asta che arrivava ai loro piedi. Il portone si aprì ed uscirono due guardie che indossavano un’armatura nera che ritraeva due asce rosse, uno aveva un piccolo scudo rotondo assicurato al braccio sinistro e aveva un martello da guerra ad una mano sul fianco destro, l’altro aveva una grossa ascia singola a due mani legata alla schiena. Comandarono i quattro soldati che avevano accompagnato gli stranieri di ritornare a Orzammar e a questi di venire al cospetto di sua durezza re Glorgur. Siirist e Sylgja salutarono i loro accompagnatori ed entrarono nell’atrio del palazzo. Sotto i loro piedi vi era un tappeto rosso, lungo le pareti statue di nani. Esse, a differenza delle due colossali fuori, non erano grossolane, ma perfettamente scolpite e ognuna con la testa circondata da una corona. Siirist suppose fossero i vecchi re dei Beor.

«Io devo andare in bagno...» si lamentò a bassa voce Sylgja.

«Non sei l’unica.»

E questa volta non doveva solo orinare. Siirist sperò di non dover perdere troppo tempo con il re e di riuscire a convincerlo in fretta a mandare fuori le sue armate in cambio di alcuni dei tesori di Ilirea. Dopo un corridoio di centocinquanta metri, raggiunsero una immensa sala poligonale con quindici lati al cui centro si trovava una statua dipinta nera e rossa con una corona nera a cingerle il capo. Tutta la sala, che altri non era che un’anticamera, era contornata da statue di re passati, nessuna dipinta. Ryfon suppose che quella al centro fosse la raffigurazione di Glorgur, ed il vedere gli stessi colori delle guardie cittadine lo aiutò a giungere a quella conclusione. Al centro di ogni lato vi era una porta, sopra alla quale, sullo stipite di pietra, era incisa un’effige. In una a destra e in quella esattamente opposta al corridoio da cui erano appena giunti vide un’ascia rossa su sfondo nero. Altri stemmi erano un martello nero su sfondo argentato, un pugno verde su sfondo bianco, una montagna marrone su sfondo nero. Siirist non si curò di guardarle tutte e seguì le due guardie di palazzo oltre la porta opposta al corridoio di ingresso, arrivando, così, alla sala del trono. Dall’altra parte della stanza, seduto sul suo trono di marmo nero, vi era un nano dalla testa pelata e la folta e lunga barba rosso-bruna. Attorno al capo reggeva una corona di oro giallo e nero, decorata con cristalli luminescenti. Alla sua destra era in piedi un altro nano che indossava un’armatura nera con raffigurata un’ascia rossa, ma di fattura molto più pregiata di quella delle guardie; pure lui aveva una ricca barba del colore del re, lunga fino alla pancia. Appoggiata al trono vi era una grande arma a due mani che terminava con la lama dalla forma di un triangolo rettangolo con l’ipotenusa che costituiva il filo da una parte, mentre a contatto con il lato lungo vi era un unico blocco rettangolare con gli angoli smussati che dava l’idea di una pesante mazza. L’ascia/mazza era di metallo nero, sicuramente argento modificato in qualche maniera (non magica) a rivestire il mithril, e pareva molto antica. Per quanto non avesse i soliti fronzoli delle armi elfiche, aveva un che di nobile. Nella sala Siirist vide altri dodici nani equipaggiati con eleganti armature e circondati da sottoposti che indossavano armature dello stesso colore dei loro signori. Siirist aveva studiato a Vroengard che il popolo dei nani era diviso in tredici clan e che, alla morte del re, ne veniva eletto uno nuovo scegliendo fra i capi-clan. Suppose che quello in piedi accanto al sovrano fosse il suo erede.

«Umano, sii grato per avere la possibilità di ammirare Tronjheim. Tu e la tua amica siete gli unici non-nani in tutta la storia ad entrare in questo palazzo.» disse Glorgur con voce profonda.

«È un onore, maestà.»

«Sei stato convocato qui perché hai affermato di conoscere l’ubicazione della città perduta di Ilirea. È vero?»

«Quanto lo è che sono qui di fronte a voi, maestà. Sarei più che felice di dirvi come ho trovato la città e accordarci su che cosa voglio in cambio di alcuni dei suoi tesori, ma prima io e la mia amica avremmo bisogno di usare il bagno. Dato il vostro avanzamento tecnologico, suppongo ne siate provvisti e che non usiate più vasi da notte. Quella è una scomodità che ancora affligge Hellgrind, purtroppo.»

Un nano con un’armatura argentata e celeste e una barba biondo scuro elegantemente intrecciata rise. Fu seguito da altri quattro nobili. Il re, invece, non parve apprezzare lo spirito dello straniero.

«Che cosa sai di Hellgrind?»

«Un po’ di cose. Ma l’importante è che io devo andare in bagno, altrimenti rischio di fare un macello in questa vostra splendida sala del trono.»

«Vostra durezza, possono venire nelle mie stanze.» disse il nano dalla barba bionda.

«Nessuno ha chiesto il tuo parere, Orik. Straniero, rivelami subito l’ubicazione di Ilirea. Non ci sono nemmeno da considerare le tue richieste, quel tesoro è mio di diritto. Ora parla o non avrete più il benestare della mia ospitalità.»

Le guardie di palazzo impugnarono le armi.

«Vedo che qui c’è stato un piccolo fraintendimento... Chiedo scusa per non essermi presentato, il mio nome è Siirist Ryfon. Sono il discendente dell’antica casata di Rivendell e il settimo Cavaliere d’Inferno. Il mio drago non è con me al momento perché si sta allenando al suo nido per padroneggiare la magia draconica, ma non pensiate che non sia in grado di farvi tutti a pezzi senza di lui. Ora tu farai come ti dico, nano, o non vedrai nemmeno una moneta del tesoro di Ilirea. E dimmi dove sta il bagno perché devo cagare.»

La sala esplose in grida di protesta, tra cui Siirist sentì Orik dire “Interessante.”, che furono sovrastate dall’urlo furioso di Glorgur.

«Arrestateli! Eliminate la donna, catturate il Cavaliere e obbligatelo a rivelare l’ubicazione di Ilirea. E poi uccidetelo!»

Come aveva supposto Ryfon, il re dei nani non era stato contento di sapere di avere un Cavaliere nel suo palazzo. Ma non poteva farci niente, doveva andare in bagno, era stanco e affamato: tutto questo lo rendeva irritato.

«Cavaliere d’Inferno!»

Siirist si girò verso Orik che lo aveva richiamato e lo vide lanciargli una collana. Le guardie del palazzo lo avevano quasi raggiunto quando prese in mano il ciondolo; Glorgur se ne accorse e non ne fu affatto felice e ordinò ai suoi uomini di impedire ad ogni costo al Cavaliere di indossarlo. Solo quello fu sufficiente per convincere il mezz’elfo ad indossare la collana sopra a quella di Alea.

«Fermi lì!» ordinò Orik.

Le sue guardie impugnarono le armi e così fecero quelle degli altri clan.

«Il Cavaliere d’Inferno indossa una collana che reca il sigillo del clan Alftand, questo lo pone sotto la mia protezione. Vostra durezza, attaccarlo sarebbe infrangere la legge, come ben sapete.»

«Orik...!» ringhiò il re.

Siirist sorrise compiaciuto.

«D’accordo, come vuoi, Orik. Allora io, nel nome del clan Dorrak, sfido il clan Alftand. Mio figlio Durin sarà il mio campione; chi sarà il tuo, Orik?»

«Presumo che il Cavaliere d’Inferno possa andare.»

«Osi infangare la sacra tradizione del Guanto d’acciaio facendo partecipare un non-nano, un Cavaliere dei draghi per giunta?!»

«Non c’è nessuna legge che vieta la partecipazione di un non-nano al Guanto d’acciaio. Ora, se mi permettete, vostra durezza, vorrei spiegare al Cavaliere d’Inferno le regole del duello.»

«E noi abbiamo entrambi bisogno di andare in bagno, quindi vorremmo ritirarci, grazie.» aggiunse Siirist.

 

 

 

~

 

 

 

Se a volte notate una differenza nei colori, è perché, per qualche arcana ragione, quando uso il convertitore html del sito, incasina le parti scritte in colori diversi. Un verde piuttosto simile a quello che uso quando scrivo è presente, ma non c'è alcun blu che sia come il mio, perciò mi dispiace, ma a volte ci saranno quelle scritte in quel blu/violetto orrendo.

Date un’occhiata a queste due storie, perché ne valgono veramente la pena, specialmente la seconda, e lasciate qualche recensione a delle scrittrici che meritano. http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=145229

 

Il prossimo capitolo ha un titolo che ancora voglio considerare provvisorio perché mi fa veramente schifo, perciò non lo scriverò. Dopo essersi inimicato il re e quasi tutti i clan nobiliari, Siirist se ne sbatte altamente e va ad una taverna di Tronjheim dove fa la conoscenza di una persona insolita e si ubriaca.

Ritorna all'indice


Capitolo 68
*** IL DISONORATO ***


IL DISONORATO

 

«Ah...!» sospirò con aria beata Siirist.

Seduto sul gabinetto di pietra nel bagno della sua stanza, il mezz’elfo si liberò dopo tre giorni. Quei funghi delle profondità avevano avuto uno strano effetto su di lui e avevano rimosso ogni blocco intestinale. Era stato come un fiume in piena. Di nuovo maledisse il suo olfatto sviluppato che lo fece star male.

‹Avranno qualche deodorante o mi tocca lasciare questa stanza così puzzolente? Una candela! Sarà profumata?›

Trovò dei fiammiferi con cui la accese. In breve ne sentì uscire l’odore di muschio.

‹I deodoranti elfici sono meglio, ma tra il muschio e la diarrea non c’è paragone.›

Sperava di stare bene con lo stomaco e di non doversi sistemare con una magia organica. Di sicuro avrebbe evitato i funghi delle profondità in futuro. Era felice di constatare che anche i nani avevano scoperto l’acqua corrente e si lavò le mani al lavandino, ma per farlo dovette piegare in avanti il busto. Il soffitto era a malapena alto abbastanza da permettergli di stare eretto, benché doveva abbassarsi quando passava sotto alle porte, ma tutte le comodità erano pensate per l’altezza dei nani. Per sedersi sul gabinetto aveva dovuto distendere le gambe in avanti. Quando uscì dal bagno, trovò Sylgja seduta sul suo letto a baldacchino. La stanza, come ogni altra del palazzo, aveva il pavimento, il soffitto e le pareti di pietra levigata. Era di un colore insolito, Siirist non riusciva bene a identificarlo. Complessivamente poteva sembrare marrone scuro, o grigio scuro, con venature di entrambi i colori. Ma alla luce delle lanterne di vetro giallo trasparente, che contenevano i cristalli luminescenti, la pietra assumeva un colorito ocra. Sul pavimento vi erano tappeti celesti che raffiguravano un sole argentato. Il letto a due piazze era sul lato sinistro della stanza, dalla parte opposta vi era un caminetto con vicino due sedie di legno duro senza cuscini, al centro vi era il corto ma largo corridoio che fungeva da anticamera e conduceva alla porta, lungo il quale vi era anche la porta per il bagno, e opposto all’uscita, sulla parete della stanza vera e propria che si trovava tra letto e camino vi era un dipinto che rappresentava un qualche antico nano. Sotto ad esso una cassettiera su cui Siirist aveva appoggiato le sue borse. Notò che solo una era ancora rimasta sopra al mobile, l’altra era a terra. Effettivamente le aveva lanciate lì di fretta prima di correre a infestare il bagno.

«Non hai una stanza tua?» chiese alla ragazza.

«Mi mancavi.»

Siirist adocchiò una delle sedie di legno. Non parevano per niente comode, e lui ora voleva solo sentire qualcosa di soffice sotto a schiena e sedere, per cui andò pure lui sul letto. Si sedette sul bordo e si stese sulla schiena. Era stato un illuso a pensare di trovare un materasso soffice.

«Ma è fatto di pietra pure questo?»

Sospirò. Ma era troppo stanco per alzarsi. Sylgja rise. Stava per dire qualcosa quando fu interrotta da qualcuno che bussò alla porta. Il Cavaliere le chiese di andare ad aprire e a entrare fu il nano chiamato Orik. Aveva tolto la sua armatura e indossato degli abiti da tutti i giorni. Alle gambe aveva dei calzoni molto stretti di tessuto argentato e sul busto indossava una tunica celeste imbottita. Arrivava poco sopra al ginocchio dove formava una specie di minigonna. Alla vita aveva una cintura marrone che reggeva una daga sul fianco sinistro, ma forse per lui era più una spada ad una mano. Come tutti i nani che aveva visto, Orik aveva una corporatura massiccia ma muscolosa. La loro era una corporatura sproporzionata, larga come quella degli umani, ma all’apparenza più tozza, per via dell’altezza inferiore rispetto alle altre razze. Le braccia avevano la stessa lunghezza delle gambe, tutti gli arti lunghi circa cinquanta centimetri, ma mani e piedi erano della grandezza di quelli di Siirist. Il busto doveva essere sui cinquanta centimetri ed il collo, quasi inesistente ma spesso, faceva sembrare il capo un tutt’uno con il tronco. In tutto Orik era alto sul metro e venti. Aveva, però, dei bei capelli biondi simili a quelli di Siirist in colore e pettinatura.

«State meglio con lo stomaco, Cavaliere d’Inferno?» chiese con un sorriso.

«Sì, grazie.»

«Non potevate semplicemente usare una magia?»

«Teoricamente sì. Ma al momento non mi conviene usarla per motivi che preferisco tenere per me.»

«Rispetterò questo desiderio. Suppongo vogliate sapere che cosa sia successo nella sala del trono e cosa sia il Guanto d’acciaio.»

«Ora che mi sono liberato dei funghi delle profondità sono tutto orecchi!»

Orik rise.

«Ma prima devo spiegarvi come funziona la nobiltà nel nostro regno.»

«So che il trono non viene passato direttamente da padre in figlio, ma che, alla morte del re, vi è una votazione all’interno dei tredici clan. Spesso l’erede del precedente re finisce con il succedere il padre, ma non è detto. Quel Durin che dovrò affrontare in questo “Guanto d’acciaio” è l’erede del re come capo del clan, ma non ha nessun diritto al trono se non votato. A Vroengard studiamo un po’ della vostra storia e cultura, è per questo che parlo la vostra lingua.»

«Molto bene, mi fate risparmiare tempo. Ma capisco non siete a conoscenza del Guanto d’acciaio.»

Siirist scosse la testa.

«Esso è un duello sacro in cui vengono chiamati a testimoni i nostri antenati e il sommo Titano. Vincerlo porta grande onore al clan e aver partecipato in un Guanto d’acciaio e esserne usciti vincitori significa molto durante un’elezione.»

«Dunque se io sconfiggo Durin, voi siete quasi assicurato come successivo re?»

«Esatto. Ma non solo, in quanto campione del clan regnante, se Durin dovesse perdere, Glorgur perderebbe la faccia e sarebbe obbligato ad abdicare. Certo, in teoria potrebbe venire anche rieletto, nessuno lo vieta, ma è qualcosa che non accadrebbe mai secondo il nostro costume.»

«E cosa mi costringe a partecipare a questo duello?»

«Consideratelo un ringraziamento. Accogliendovi nel mio clan, vi ho salvato nella sala del trono.»

«Se le guardie mi avessero attaccato, le avrei potute massacrare, volendo. Ho detto che non mi conviene usare la magia, non che non ne sono capace. E voi non avete idea di cosa io sia in grado di fare con le arti mistiche.»

«Posso anche credere che sareste in grado di uccidere tutto il popolo nanico, Cavaliere d’Inferno, ma so che non lo fareste e non lo farete. Siete qui per una ragione, e commettere un genocidio non vi aiuterà a raggiungere il vostro scopo.»

«Siamo d’accordo. E non crediate che prenderei commettere un genocidio così alla leggera.»

«Non ho mai detto che siete un omicida, ho solo supposto una possibilità.»

«Arrivate al dunque.»

«Il dunque è che siete qui per aiuto e io posso fornirlo. Non sono come gli altri clan, men che meno come re Glorgur: io mi interesso delle questioni in superficie. Guardate il mio emblema, rappresenta un sole. Il mio clan era un tempo a capo di Alftand, città da cui deriva il nostro nome. Essa era una città insolita per il regno nanico, perché costruita prevalentemente in superficie. Da quando gli elfi si sono alleati con i draghi e noi ci siamo ritirati in profondità, il mio clan ha perso prestigio, ma più che altro il suo senso di libertà. Io, come mio padre prima di me e suo padre prima di lui, così via fino al mio antenato Glorrak che è lì rappresentato nel dipinto, desidero ritornare a vivere sotto al sole. Come ho detto, mi interesso delle faccende in superficie e so dell’esistenza della Setta dello Scorpione. Il re ha bollato coloro che hanno abbandonato i Beor per unirsi alla Setta come degli infedeli che hanno voltato le spalle a Titano e ha chiuso lì la questione. Io so che non è così semplice e che essi sono un pericolo per tutti noi. Non possiamo continuare a tenere la testa sotto la pietra e far finta che tutto ciò che accade oltre i cancelli di Orzammar non ha a che fare con noi. Il vostro antenato, il Cavaliere d’Alba Eleril, ha contribuito ad instaurare un minimo di comunicazione tra il nostro regno e la superficie con l’apertura di Orzammar alle altre genti, ora voi potete fare di più. Ma non con Glorgur sul trono. Aiutatemi a prendere la corona e vi giuro sulla tomba di mio padre che avrete il sostegno dei nani contro la Setta dello Scorpione.»

Siirist lo fissò in silenzio. Al collo ancora aveva la catena con lo stemma degli Alftand. E capì. Aveva ottenuto un legame con i nani. E non solo, vincendo il Guanto d’acciaio si sarebbe pure assicurato truppe per combattere contro la Setta.

«Ditemi come funziona il Guanto d’acciaio.»

Orik sorrise.

«Esso è una competizione di forza. Noi nani non usiamo le arti mistiche, per cui sconsiglio anche a voi di usarle. Non esiste regolamento che le vieti, ma farebbe più una buona impressione sul pubblico se vi attenete ai modi dei nani, specie perché siete un non-nano.»

Ryfon annuì. Non avrebbe avuto problemi se si trattava di uno scontro di forza: per quanto un nano fosse superiore ad un umano comune in termini di forza bruta, non avrebbe potuto nulla contro il Cavaliere d’Inferno ed i suoi 350mila douriki fisici. Sarebbe stato come combattere contro una farfalla.

«Vi dico che l’arma ancestrale del clan Dorrak è un’ascia a due mani ad una lama fatta di marmo nero. Anche con la vostra grande forza e resistenza fisica, essa vi potrebbe dividere in due come un millepiedi contro un nug.»

D’accordo, forse sarebbe stato un po’ più difficile che affrontare una farfalla. Ma era più agile e veloce. Per di più aveva armi di Adamantite e Adamantio che avrebbero potuto contrastare il marmo nero. Parare il colpo e portare lo scontro ad una sfida di forza gli avrebbe garantito una vittoria facile. Ma questo solo se si fosse ritrovato costretto a ricorrere alle arti mistiche per invocarle.

«Durin è un abile berserker e possiede una gemma dell’anima di elevato potere.»

«Conosco i berserker, ci ho avuto a che fare quando ho affrontato degli Scorpioni. Ma non so che sia una gemma dell’anima.»

«Pietre estratte dalle profondità della terra, molto vicino al Flusso vitale. Esse ne sono pervase e riescono a neutralizzare qualsiasi attacco che sfrutti il Flusso vitale. Inoltre sono usate per muovere i nostri automaton e, se provviste dell’adeguato meccanismo, possono fungere da cuore per un golem.»

«Un golem? Conosco incantesimi di terra che ne creano, mi state dicendo che si possono formare anche senza magia?»

«Con una gemma dell’anima come cuore, sì.»

Il duello si stava prospettando sempre meno semplice. Siirist sorrise eccitato, il suo sangue demoniaco che iniziava a ribollire. Dovette fare tutto il possibile per impedire ai suoi occhi di tingersi di rosso. Gli giunse l’odore amplificato dai suoi sensi demoniaci di Sylgja e fu pervaso dal desiderio. Chiuse gli occhi e represse a forza ogni impulso.

«Tutto bene?» si preoccupò Orik.

«Sì. Solo altre due domande: quando si svolgerà il duello e devo necessariamente uccidere Durin?»

«Domani prima di cena. Dopo vi sarà un banchetto in onore del vincitore. Immagino dovrò far rimuovere i funghi delle profondità dai vostri piatti.»

«Sicuro. Non avete risposto alla seconda domanda.»

Orik sospirò.

«Quella è una questione difficile. Di norma il duello finisce con una morte, questo è vero, ma non è obbligatorio. Quando un vincitore è deciso, egli può scegliere anche di risparmiare l’avversario. Ma questi perde tutto il suo onore e deve dedicare la sua vita al servizio del vincitore. Non è una bella fine, sarebbe come ucciderlo, ma anche peggio, perché gli togliereste il privilegio di venire sepolto accanto ai suoi antenati. Essendo voi un abitante della superficie, poi, Durin sarebbe costretto a lasciare i Beor per seguirvi. Non preoccupatevi di un’eventuale vendetta da parte sua, comunque, Durin è un nano della pietra più dura: possiede troppo onore per andare contro le leggi del Guanto d’acciaio. Per quanto alla faccia del popolo nanico lo avrebbe perso, nel suo cuore lo manterrà sempre, questo è sicuro.»

«Se io gli ordinassi di tornare alla sua vita qui?»

«Si toglierebbe la vita. La sua sola ragione di esistenza, voi, non lo vuole e qui non avrebbe più niente. Meglio ucciderlo in combattimento.»

«Vedrò sul momento. Se si rivela un guerriero degno di nota, ucciderlo sarebbe uno spreco.»

«Questo sta a voi decidere. Sono felice abbiamo raggiunto un accordo. Sono ansioso di vedervi combattere domani, Cavaliere d’Inferno.»

Orik lasciò la stanza. Sylgja guardò Siirist impressionata.

«Che discorsi seri. Quanto credi che possa farti male un nano, o grande Cavaliere?»

«Se la sua ascia raggiunge la mia pelle, parecchio. Fosse solo quella non mi preoccuperei; il problema è questo golem. Una gemma che contiene il potere del Flusso... Qualcosa di simile potrebbe rivoluzionare il mondo! Il concetto è simile a quello delle Materia, ma più profondo, e per di più è qualcosa di naturale e non artificiale come le Materia!»

«Va beh. Io vado a farmi un bagno e poi a dormire, ci vediamo più tardi.»

Si alzò e si stiracchiò. Così facendo mise in evidenza il petto. Siirist ringhiò mentre i suoi occhi diventavano rossi. La ragazza sentì il rumore e si girò curiosa. Il mezzo demone abbassò la testa.

«Non è niente, vai.» disse prima che lei avesse il tempo di aprire bocca.

‹Ti rendi conto che è la prima ragazza attraente con cui passi tanto tempo che non cerchi di portarti a letto? Ricordi cosa è successo con la tua ultima compagna di viaggio?›

‹Forse sei tu che non ricordi, lucertola troppo cresciuta, visto che all’inizio stavo sempre a cacciare Tomoko fuori dalla mia stanza a pedate. È stato solo dopo l’incidente con le concubine di Raiden che ho accettato di farlo con lei.›

‹E poi non hai esitato a rifarlo.›

‹Era necessario. Io sto perdendo ogni cognizione del tempo qui sotto, non ho un orologio e non vedo il sole. Ancora non capisco come garantiscano il ricambio d’ossigeno, non vedo buchi per l’aria. Quanto è passato da quando siamo entrati a Orzammar?›

‹Tre giorni.›

‹Quindi sono sei da quando ho lasciato Rabanastre. Sono più di venti giorni che non faccio sesso! Non posso passare troppo tempo qui o finisce male.›

‹E a meno che vuoi unirti ad una nana, Sylgja è l’unica possibilità che hai.›

‹Già... Oppure uso la dislocazione per tornare a Kami no seki.›

‹Ma certo, fai scoprire al Consiglio che viaggi tranquillamente a Hellgrind. Sarebbe meglio tornare a Rabanastre e trovare una donna umana lì.›

‹Che palle. Voglio tornare da Alea e stare con lei, sono stanco di dover reprimere a forza la mia fame. Lo scontro di domani deve essere soddisfacente, oppure rischia solo di eccitarmi senza placarmi. E ho bisogno di mangiare tanta carne. A te come procede?›

‹Mah, così... I Ruggiti dei draghi sono più complessi della magia elfica. Ci sono specifici gruppi di tre parole da usare per usare coscientemente la nostra magia. Ad esempio d’istinto ero in grado di respirare ghiaccio, controllare l’acqua, Asthar è addirittura così affine con la terra, come Gilia, da essere in grado di creare frecce con la modificazione della consistenza del terreno. Ne ho parlato con il guardiano, mi ha spiegato che ci sono Ruggiti che riescono a fare queste cose, ma per il momento sto imparando quelli basilari. Dovresti vedere il mio Ruggito di fuoco: il mio respiro è iper potenziato! Stranamente è rosso con i riflessi neri, ma io non dovrei possedere il fuoco nero.›

Siirist rimase in silenzio. Grazie al legame mentale, sentiva cosa stava pesando nella mente del suo compagno.

‹Il tuo vero nome.›

‹È “Duplice fiamma”. Credi sia possibile che io stia sviluppando il fuoco nero?›

‹Sarebbe fantastico, ma lo trovo improbabile.›

‹Pure io, ma nemmeno il guardiano sa spiegarsi perché le mie fiamme, quando uso il Ruggito, assumo un colorito nero. E più padroneggio il Ruggito, più il nero si fa presente. Ricordi cosa disse un tempo Evendil, che, forse, se io avessi avuto il fuoco nero, tu avresti potuto imparare ad usarlo, così come hai scoperto il segreto del fuoco d’Inferno?›

‹Stai pensando che la situazione è rovesciata e ora che io ho il sangue di Obras, esso abbia influenzato anche te?›

‹Sembra assurdo, ma può essere una spiegazione. Con la magia non si sa mai. Ti saprò ridire se il mio respiro diventa veramente fuoco nero, per ora è il mio normale fuoco con solo il colore modificato: è ancora caldo e non brucia incessantemente ogni cosa.›

‹Sì, fammi sapere, sono molto curioso.›

Siirist si stese. “Duplice fiamma”. Poteva davvero voler dire che Rorix era in grado di generare il fuoco d’Inferno e il fuoco nero? Decise di andare per una passeggiata per chiarirsi le idee. Le stanze dedicate al clan Alftand erano tutte decorate con i colori del casato. Siirist vide in esse statue degli antichi capi clan, una sala comune per i soldati al servizio di Orik, una elegante sala da pranzo e una sala comune per la famiglia nobiliare. Uscì dalla porta principale e si trovò nell’anticamera a quindici lati e sopra alla porta vi era il sigillo del sole argentato su sfondo celeste. Lasciò il palazzo reale e salì verso metà del cilindro in cui era costruita la città di Tronjheim. Trovò una taverna e vi entrò. Dovette abbassare di molto il busto per passare attraverso la porta, ma almeno poteva stare eretto quando fu all’interno, per quanto la testa strusciava sul soffitto. I nani all’interno lo guardavano tutti meravigliati, proprio come a Raldbthar, dove gli abitanti non erano abituati a vedere umani e forse mai ne avevano visti fino a quel momento. Non che Siirist fosse veramente umano, chiaro. Si sedette su uno sgabello al bancone, ma per lui era più come una sedia.

«Un boccale di birra, per favore.»

«Gialla, rossa o nera?» chiese l’oste un po’ interdetto.

Birra nera? Era quasi curioso di provarla, ma dopo l’esperienza con i funghi delle profondità, decise di evitare le abitudini culinarie di quel popolo che per lui potevano risultare insolite. Scelse una gialla, o bionda, come avrebbero detto gli umani. Siirist prese il bicchiere e si guardò intorno e notò come tutti gli occhi fossero su di lui.

«Non avete mai visto un non-nano, vero?»

La maggior parte della gente non rispose, ma alcuni scossero la testa. Sorrise e bevve un sorso. All’improvviso si ricordò di non possedere monete naniche e che di sicuro lì non accettavano guil come a Orzammar.

‹Merda.›

Iniziò a pensare di contattare Sylgja e dirle di comunicare a Orik il suo inghippo quando la sua attenzione fu richiamata da un respiro caldo alla sua sinistra.

«Ehi, gambe-lunghe!»

Siirist si voltò e vide un nano con capelli a spazzola e una corta e incolta barba rosso fuoco. Ma i baffi erano lunghissimi e tenuti in due trecce che gli arrivavano oltre metà busto. Aveva gli occhi vuoti e il fiato puzzava di alcool. Era ubriaco. E pesantemente, pure.

«Cosa posso fare per te?»

«Sai reggere l’alcool?»

«In tutta sincerità non lo so. È da molti anni che non bevo fino al punto di ubriacarmi.»

«Vuoi scommettere che riesco a resistere più di te?»

«Ti sei accorto di essere già ubriaco, vero?»

«Ha! Potrei continuare a bere tutto il giorno senza problemi!»

«E come fai a definire quando è giorno e quando è notte? Non ho visto orologi da nessuna parte e il sole è quasi un lontano ricordo per me.»

Il nano rise profondamente. Sembrava il rombo di una valanga.

«Il giorno finisce quando ho mangiato e bevuto a sazietà, ho scopato e vado a dormire perché ho sonno.»

Non si poteva dire che quel nano non conoscesse le sue priorità. Se non avesse avuto un angelo da sconfiggere e una terra da salvare, Siirist avrebbe probabilmente voluto vivere una vita come quella descritta dal nano. Sorrise e ridacchiò.

«Bella risposta.»

Il nano ghignò.

«Allora? Vuoi accettare la mia sfida di bevuta o no?»

Per quanto il giorno dopo il mezz’elfo aveva in programma un duello con il miglior guerriero dei Beor e che affrontarla con i postumi di una sbornia non fosse l’idea più brillante del mondo, accettò. Quel nano già gli stava simpatico, non se la sentiva di dirgli no. E poi non era nella sua natura rifiutare sfide, specie quelle divertenti come una gara di bevuta.

«Erthic, prepara la birra!» comandò lo sfidante con tono spavaldo.

Ma l’oste si limitò a guardarlo torvo.

«Hai già bevuto abbastanza per oggi, Oghren, e mi devi cinquanta incudini.»

Siirist guardò la tavola dei prezzi dietro il taverniere e vide che ogni bicchiere di birra costava cinque incudini. Questo voleva dire che quell’Oghren aveva già bevuto dieci boccali! Dopo due alla taverna di Orzammar, Siirist si era sentito appena leggero di testa, con dieci sarebbe finito in coma etilico e probabilmente sarebbe morto soffocato dal proprio vomito! Invece quel nano era saldo sui piedi e nemmeno un po’ dondolante. Forse non aveva fatto tanto bene ad accettare la sfida.

«Chi perde paga il conto dell’altro; che dici, biondino?»

Siirist diceva che non gli conveniva, ma non voleva ritirarsi. Raggiunse mentalmente Sylgja e le disse di far mandare da Orik qualcuno con i soldi necessari per coprire le spese. Inizialmente ella si sentì strana nell’udire la voce del mezz’elfo nella testa, ma subito acconsentì.

«Dico che ci sto.»

Se avesse usato una magia organica, si sarebbe potuto mantenere sobrio in eterno. Ma non solo in quel modo avrebbe dato modo al Consiglio di scoprire la sua ubicazione, avrebbe anche barato. E sentiva che si stava divertendo come non faceva da molto.

«Hai sentito, Erthic? Ora dacci questa birra!»

Il locandiere scosse la testa e sospirò.

«Spero tu abbia i soldi, straniero.»

Siirist annuì e sollecitò Sylgja. Oghren salì su uno sgabello ed i due mandarono giù un boccale di birra. Siirist appoggiò il suo, vuoto, sul bancone e vide l’altro che sorrideva. L’aveva finito a velocità impressionante. Il mezzo demone si sentì pervadere dall’eccitazione della sfida e sorrise estatico.

«Dovrò cominciare a fare sul serio anche io!»

Sei boccali più tardi, Siirist era ubriaco fradicio. Cadde dallo sgabello e cominciò a ridere come un pazzo. Con difficoltà si trascinò sopra ad una delle panche ad un tavolo vuoto e si sedette in maniera strana perché c’entrava a malapena. Ridendo come un macigno che rotolava giù per la montagna, Oghren lo raggiunse. Si guardarono e continuarono a ridere.

«Ho vinto.»

«Sì...» rispose Siirist con un biascico incomprensibile.

Una nana si alzò da un tavolo e andò al bancone.

«Ah, sì, so proprio cosa fare con un bocconcino simile... La coprirei di sugo di more rocciose come un nug e poi... hehehe!»

Per quanto il mezz’elfo non trovasse quella donna bassa e tozza per niente attraente, dovette ammettere che l’idea in sé era geniale. Avrebbe felicemente cosparso Alea di qualche cosa di dolce e l’avrebbe leccata tutta... Prese a sghignazzare alle parole di Oghren.

«E quella lì, e quell’altra...»

Il nano indicò una donna con corti capelli castano spento tenuti raccolti con un naso schiacciato, un’altra con lunghi boccoli rossicci con grossi zigomi, una che era semplicemente una palla, un’altra con dei seni e dei fianchi troppo grandi per il resto del corpo... In parole povere, ogni nana presente nella taverna. Anche ad un sorso di birra di distanza dallo svenire, Siirist riuscì a capire che il suo compagno di bevuta era uno che si accontentava di tutte. Questi si alzò, singhiozzò e ruttò. Si prese un momento per trovare l’equilibrio (finalmente l’alcool aveva incominciato ad avere effetto anche su di lui) e camminò verso la cameriera grattandosi la natica destra. Siirist lo osservò con un risolino demente e un’espressione ebete stampata in volto.

«Sei indegno.»

Siirist si girò e guardò chi avesse parlato. Sbatté più volte le palpebre per mettere bene a fuoco e con l’aiuto delle poche capacità di ragionamento rimaste che gli fecero notare che la persona che aveva parlato aveva usato la lingua degli umani, capì che aveva davanti Sylgja. Siirist non si trattenne più e le saltò addosso. La sbatté sul tavolo e incominciò a baciarla in bocca, su tutto il viso e il corpo. Lei cercò di ribellarsi ma il mezz’elfo era troppo forte. Rorix non ce la faceva più e impose la sua chiarezza mentale al Cavaliere, per poi ritirarsi nella propria coscienza. Ryfon subito si riprese a saltò via dalla ragazza.

«O grande Obras, che cosa ho fatto. Sylgja, scusa, scusa, scusa e immensamente scusa.»

«Sei sobrio?» chiese incredula.

«Sì, Rorix, lui... È una cosa di legame mentale, se un Cavaliere è sotto l’influsso di un’illusione, il suo drago lo può aiutare ad uscirne e viceversa. Un’ubriacatura è più o meno la stessa cosa. E ora ho i postumi.»

Si sdraiò sulla panca per evitare di vomitare, la testa martellante stretta tra le mani.

«Taverniere, quanto vi deve il mio amico?» chiese Sylgja.

«325 incudini.» rispose con tono arrabbiato.

«Quanto accidenti hai bevuto?!» sbraitò.

«Non è tutta roba mia. Devo anche pagare per quel porco che ci sta provando con tutte.» alzò debolmente la mano per indicare.

«Non mi aspettavo una cifra simile, mi dispiace, ne ho duecento. Andrò subito a prendere il resto.»

Il taverniere annuì severo.

«Per la barba dei miei antenati e le tette delle madri dei miei discendenti, amico mio, non avevo idea che in superficie ci fossero donne simili!» grugnì Oghren.

‹E anche di meglio.›

Siirist subito pensò ad Alea, ma ritenne non fosse una buona idea dar voce ai suoi pensieri, sia perché sarebbe stato offensivo nei confronti di Sylgja, sia perché non avrebbe voluto schiacciare la testa di una persona simpatica come Oghren. Ma sapendo che il nano avrebbe subito fantasticato sulla sua elfa, ne sarebbe stato costretto sicuramente.

«Dimmi... Hai mai bevuto dalla sua coppa, se sai cosa intendo...? Hehehe!» sghignazzò come un maiale.

«Chiedo scusa! Parlo anche io la lingua dei nani!» si indignò.

«Ah, perdonami, bellezza. Hai mai lucidato la sua spada, se sai cosa intendo...? Hehehe!»

Conoscendo il caratterino della ragazza, Siirist non si sorprese nel vedere il nano messo in ginocchio da un calcio nelle parti basse. Sylgja uscì furente. Facendo i conti, Oghren era anche stato fortunato: un’affermazione del genere con Alea sarebbe stata seguita da una lancia di ghiaccio non volle pensare dove.

«Hehehe, mi piace una donna che morde...» disse rialzandosi a fatica.

Siirist non volle neanche chiedere. Lo aiutò a sedersi sulla panca opposta alla sua e continuarono a chiacchierare.

«Allora? Non mi hai risposto: hai mai imburrato il bronto, hai mai pizzicato i funghi, hai mai...?»

«Supponendo tutte queste allusioni siano modi per dire “fatto sesso”, la risposta è no. Ho una donna. E prima che tu possa dire niente, quando prima le sono saltato addosso è perché ero ubriaco e non ero in controllo delle mie azioni.»

«Perché sei sobrio adesso?»

«Magia.»

«Argh! Sei un mago?! Ho sentito che siete in grado di trasformare la gente in rospi.»

«Volendo, con le giuste conoscenze di magia organica.»

«Ma non funzionerebbe su noi nani.»

«Ah no?» alzò le sopracciglia per la sorpresa.

«Noi nasciamo nella profondità della terra, siamo resistenti alle emissioni del Flusso vitale.»

«Oh, mio peloso amico, se volessi saresti cenere.»

Il nano non amò l’affermazione.

«Non tollererò un insulto simile, umano! Sono un guerriero, alle offese rispondo con la mia ascia!»

«Mi piace il tuo spirito, Oghren, ma fidati: tu non vuoi affrontarmi in combattimento. Se non mi credi domani vieni a vedere il Guanto d’acciaio. No, aspetta, i non appartenenti ai tredici clan possono assistere?»

«Tutti gli abitanti delle quattro città possono assistere a un duello del Guanto d’acciaio. Ma cosa c’entra con te?»

Siirist mostrò l’amuleto che teneva al collo.

«Domani, come campione di Orik del clan Alftand, affronterò Durin, figlio di re Glorgur.»

Oghren sgranò gli occhi e aprì la bocca. Alcune persone che avevano sentito caddero in silenzio e ben presto, per imitazione, tutta la sala era muta. Poi Oghren scoppiò a ridere e fu accompagnato da molti.

«Ridi quanto vuoi. Domani avrai la prova.»

«Non nego che sia strano vedere un gambe-lunghe oltre Orzammar, ma pensare che partecipi nel Guanto d’acciaio? E contro Durin, per giunta... Per diritto di nascita, tutti i nobili fanno parte della casta dei guerrieri, ma Durin è uno dei pochi che se lo merita. In tutta sincerità, preferirei baciare il fondoschiena di un bronto piuttosto che essere sotto il comando di uno di quegli indegni nobili con una scopa nel culo, ma Durin è qualcuno per cui mi getterei nelle profondità della terra se me lo chiedesse.»

«Parli come se fossi davvero un appartenente alla casta dei guerrieri, Oghren! Ora sei solo un ubriacone disonorato!» lo derise il taverniere.

«Sta’ zitto, Erthic!»

«Cos’è successo?» si interessò Siirist.

«Ho perso un duello del Guanto d’acciaio e sono stato risparmiato.»

«Ho sentito che, in tal caso, lo sconfitto deve vivere al servizio del vincitore.»

«Sì, ma il mio caso era un po’ differente. Io amavo una donna che era stata promessa a un altro, così l’ho sfidato e ho perso. Lui non mi voleva intorno a sua moglie, perciò non ha voluto i miei servigi.» rispose con voce quasi triste e molto arrabbiata, l’espressione seria.

Non era per niente come il maiale rumoroso e ubriacone che Siirist aveva trovato divertente.

«E non ha avuto nemmeno le pietre per togliersi la vita.» rise il taverniere.

Siirist immaginò che quella fosse un’espressione nanica per indicare i testicoli.

«Ti ho detto di stare zitto! Ho perso il mio onore, ma non le mie capacità! Potrei spezzarti in due come scoreggio appena svegliato!»

«Vorrai dire tutto il giorno! Hahaha!»

Al taverniere si aggiunsero tutti i presenti. Offeso e arrabbiato, Oghren lasciò la taverna. Siirist si alzò e fece per seguirlo.

«Tu non ti muovi da qui, straniero! La tua amica deve ancora ritornare con il resto dei miei soldi!»

«Lo farà che io sia qui o no. Prova a fermarmi, se ne hai il coraggio, ma non posso garantirti una bella fine.»

Uscì “fuori” e si guardò intorno. Vide il suo nano amico e lo raggiunse.

«Io trovo che questa faccenda della perdita d’onore sia un’idiozia. Non sono il tipo che va a criticare le usanze degli altri popoli, ma rispondimi: tu ritieni che Durin sia un ottimo guerriero, perderesti la tua stima per lui dopo che sarà stato sconfitto da me?»

«No, ma anche io trovo le nostre tradizioni stupide. E tanto non vincerai. Durin ti taglierà in due con la sua ascia di marmo nero.»

«Hai ancora la tua ascia?»

«Sì, ma non posso usarla. Bandito dalla casta dei guerrieri, non mi è permesso portare armi. Mi è stato concesso di tenerla solo perché era l’ascia di mio padre, altrimenti me l’avrebbero requisita come hanno fatto con il resto delle mie proprietà. Fu Durin a chiedere a suo padre di fare questa eccezione per me.» sorrise.

«Capisco. Vorresti farmela usare nel mio scontro di domani?»

«Credi che darei la mia arma per farla usare contro Durin?»

«Non credi che la mia vittoria con la tua arma ti possa far riacquistare il tuo onore, anche solo in parte? E se Durin è veramente il grande guerriero che sento dire, non lo ucciderò. Sarebbe uno spreco e mi farebbe comodo uno come lui.»

«Che vuoi dire?»

«Immagino tu non sappia della guerra in atto in superficie. In questo momento è più una guerriglia, ma è solo questione di tempo prima che diventi una vera e propria guerra aperta. Orik ha detto che, se diventa re, mi fornirà l’esercito dei nani per unirsi alla guerra.»

«Chi sei, umano?»

«Non sono umano.» rispose scostando i capelli.

«Un orecchio a punta! Sei un elfo?! Ho sentito dire che gli elfi assomigliano alle donne!»

«Non posso negarlo, ma io non sono nemmeno un elfo. Son un po’ un misto. Forse un giorno ti racconterò per bene la mia storia. Ora fammi vedere la tua ascia.»

«D’accordo, mi hai convinto.»

Camminando, avevano raggiunto la casa di Oghren, una piccolissima stanza scavata nella roccia con un letto, un camino e una pentola accanto ad esso e un gabinetto nell’angolo. Siirist notò l’assenza di una vasca da bagno, cosa che spiegava l’odore che accompagnava il nano. Questi tirò fuori da sotto il letto una custodia di legno pregiato ma invecchiato e mal conservato. La aprì e dentro Siirist vide una magnifica ascia interamente in mithril, impugnatura e lama. Era a due mani e ad una lama, la quale era a forma di trapezio rettangolo, con un’altezza di venti centimetri e il lato corto a contatto con l’asta; a metà di essa vi era uno spazio che formava una seconda impugnatura. Stranamente, il metallo era stato decorato, cosa inusuale per i nani, e presentava figure di battaglia.

«La custodia è trasandata, ma vedo che l’ascia è lucida e bene affilata.»

«La curo ogni giorno prima di andare a letto.»

«Domani non rimarrai deluso, te lo assicuro.»

 

Quando Siirist ritornò nella sua camera nell’ala degli Alftand, vi trovò Sylgja.

«Stavo ripensando a quando mi hai assalito.»

«Scusa, ero ubriaco.»

«No, intendevo dopo. Quando ti sei ripreso. Hai detto “o grande Obras”. Affermazione insolita, se non da parte di un demone. C’è qualcosa che non mi hai detto, Siirist?»

«Sei sveglia.»

«Lo so.» sorrise soddisfatta.

Il biondo si assicurò che la porta fosse chiusa a chiave.

«Non spaventarti, d’accordo?»

Ella annuì e il mezzo demone si tolse la maglietta, rimanendo a torso nudo. Occhi e capelli si tinsero di rosso, le sue zanne crebbero, gli artigli si affilarono e le ali si distesero, per quanto fu costretto a tenerle verso il basso perché se no sbattevano contro il soffitto. Prima che Sylgja potesse urlare, Siirist le fu addosso e le tappò la bocca.

«Ti avevo detto di non spaventarti. Ora ti lascio andare e ti spiego tutto, non sono interamente un demone. Ma prometti di stare calma, sono sempre io. Se ti avessi voluto mangiare, lo avrei già fatto.»

Lei annuì, ma aveva ancora gli occhi terrorizzati. Quando fu liberata dalla presa dell’uomo, si allontanò d’istinto da lui. Ryfon riassunse la sua forma da mezz’elfo.

«Vedi questa cicatrice? Nonostante abbia usato ogni incantesimo possibile è rimasta. È il segno di un morso. Il motivo per cui abbandonai Vroengard fu perché venni trasformato in demone da un mezzo vampiro, mezzo bestia del fulmine. Ora sono come lui e all’inizio avevo difficoltà a controllare la fame. Ma ora ho imparato e il segreto è mangiare molta carne animale, combattere e avere rapporti sessuali. È circa un mese che non ne ho, per questo, intossicato dall’alcool, ti ho aggredita. È una fortuna che Rorix mi abbia fermato, altrimenti avrei rischiato di morderti, e non intendo per trasformarti, ma per mangiarti. Ma sappi che non lo farei mai! Sono in completo controllo dei miei istinti, solo che dopo quasi un mese di astinenza e sei boccali di birra nanica, quel controllo è andato a far visita a qualche casa di piacere. E non dovresti avere tanti pregiudizi sui demoni: anche io li avevo, ma ho vissuto per trentatré anni a Hellgrind alla corte dell’Imperatore. Sono delle persone incredibili. Alcuni sono degli psicopatici, non lo nego, ma non è certamente un posto in cui ci si annoia. E sì, ci sono anche demoni malvagi, come quello che mi ha morso e altri, ma non è solo una questione di demoni. Stig è un umano, ma vuoi dire che è una persona buona?»

«È la persona più viscida e meschina che abbia mai conosciuto.»

«Appunto, e io, un demone, ti ho salvata. Tecnicamente sarei un mezzo demone, perché ho in me sia energia magica che demoniaca. È una lunga storia, in ogni caso non sono da considerare un demone completo. E la mia forma umana è quella di un mezz’elfo perché sono originariamente nato umano, ma la mia famiglia discende da un casato nobile di Rivendell. Per aiutarmi a controllare il mio lato demoniaco, Aulauthar, il Cavaliere d’argento, ha risvegliato il mio sangue elfico, donandomi questo aspetto.»

«Wow.»

«Già. Non se ne trovano come me in giro.»

«No di certo.» sorrise.

A Siirist non piaceva quel sorriso.

«Dicevi che il sesso ti aiuta a controllarti.»

«Sì, ma non voglio farlo con te.»

«È perché sono stata con tanti uomini? Anche tu mi trovi “sporca”?» disse tristemente.

«Io sono l’ultimo che potrebbe parlare. I signori dei demoni hanno harem per soddisfare i loro bisogni. Il mio ha oltre mille femmine di demone. Non ti voglio perché amo una persona e sono stanco di andare con altre donne dietro le sue spalle. E sei così giovane! Quando impedii a quel maiale flaccido di metterti le mani addosso gli dissi che doveva vergognarsi perché potresti essere sua figlia: lo stesso con me, anzi potresti essere mia nipote! Sembro giovane, sembro avere la tua stessa età e forse anche meno, ma ho cinquantotto anni. Mi dispiace, ma proprio non posso fare niente con te, mi sembrerebbe sbagliato.»

«Ma hai un aspetto giovane e bello, quindi quello non è un problema. Il tuo avere una persona che ami lo è. Sono felice per te, spero di trovare lo stesso un giorno.»

«Io al momento non sono molto felice, ci siamo visti una volta in trentotto anni, tre anni fa. Mi manca da impazzire e sto soffrendo come un cane.»

«Mi dispiace.»

«Ora è meglio che tu vada o rischio di saltarti addosso.»

«Quanto rischio c’è che tu lo faccia se non ti sfoghi sessualmente?»

Siirist pensò di mentire, ma poi decise di essere sincero.

«Tanto. Normalmente mi dislocherei a Hellgrind e visiterei il mio harem... La dislocazione spaziale è una magia che permette di scomparire da un punto e riapparire in un altro istantaneamente, ovunque nel mondo.» spiegò quando vide che la ragazza non aveva capito.

«Forte!»

«Sì, solo un Cavaliere del Consiglio, un maestro di magia spazio-temporale, ha scoperto come effettuare la dislocazione e me l’ha insegnata. Molto utile, specie per soddisfare il mio bisogno carnale. Ma ora non posso usare la dislocazione senza far scoprire al Consiglio dove mi trovo, e con un incantesimo potente come la dislocazione, saprebbero con esattezza da dove mi sono dislocato e dove mi sono rilocato. E sapendo che sono a Hellgrind senza essere a conoscenza di tutta la storia, penserebbero che ho perso contro il mio lato demoniaco e sarebbero guai.»

«Quindi ora non puoi andare al tuo harem.»

«No.»

«Per quanto pensi dovrai ancora stare prima di poter ritornare a Hellgrind?»

«Per l’harem? Bella domanda.»

«Sappi che se hai bisogno di me in quel senso io sono disponibile. Sarei anche felice di farlo, per una volta, con qualcuno di gentile e che non sia sopra i cinquant’anni. Intendo in aspetto fisico, scusa, non sono abituata a immaginarmi un sessantenne con un aspetto da ventenne.»

Siirist rise.

«Se pensi che stai per lasciarti andare alla fame, dimmelo. Ma tranquillo, non ci proverò più con te per rispetto del tuo amore per Alea.»

«Grazie.»

«Ora vado a dormire. Mi hai svegliata prima quando mi hai chiamata con i tuoi problemi monetari, alcolizzato irresponsabile. Almeno ti sono passati tutti i postumi della sbornia. Altro intervento del tuo drago?»

«No, solo il mio potere rigenerativo da demone. Non è, a differenza degli altri, dipendente dalla mia volontà, anche volendo non posso fermare la mia rigenerazione se non con una magia organica. Spero che il Consiglio non possa rintracciare anche l’energia demoniaca.»

«Anche fosse, che ti importa? Non potrebbero venire qui a Tronjheim.»

«No, ma renderebbero la partenza più difficile. Come minimo troveremmo due Consiglieri davanti a Orzammar con tutti i Cavalieri appostati.»

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola IL GUANTO D’ACCIAIO.

Ritorna all'indice


Capitolo 69
*** IL GUANTO D'ACCIAIO ***


IL GUANTO D’ACCIAIO

 

Il giorno successivo fu interamente trascorso da Siirist ad abituarsi al peso dell’ascia di Oghren, mentre Sylgja fu accompagnata da una delle guardie di Orik ad esplorare Tronjheim. Quando il capo del clan Alftand venne a chiamare Siirist per informarlo che era ora di prepararsi, gli portò una lunga tunica celeste e argentata.

«Avevo pensato di farvi forgiare un’armatura, Cavaliere d’Inferno, e vi assicuro che i miei fabbri l’avrebbero completata per tempo, ma poi ho riflettuto sarebbe stata inutile. Anche il nostro miglior mithril risulterebbe essere come un foglio di carta contro l’ascia di marmo nero di Durin.»

«Ho un’armatura in grado di resistere anche al marmo nero.»

«Impossibile, solo le scaglie e le ossa di drago hanno una durezza paragonabile al marmo nero. E voi non avete alcuna armatura.»

Ryfon rise al pensiero che Orik aveva proprio indovinato il materiale che costituiva la sua armatura, ma quello non era un segreto che avrebbe divulgato con tanta semplicità.

«La posso richiamare con un’invocazione. Se serve, lo farò, altrimenti penserò a evitare i colpi di Durin. Sono più agile e veloce di lui, non sarà difficile. Non posso contare sulla forza perché c’è stato un cambio di programmi e non userò una delle mie armi che sarebbero in grado di competere con l’ascia di Durin, ma avrò questa ascia di mithril. È stata forgiata da un vero maestro, ma, come avete detto voi, Orik, nemmeno il miglior mithril può competere con il marmo nero. Se le nostre armi dovessero cozzare, la sua taglierebbe la mia come un coltello nel burro.»

«State dando per scontato di essere di molto superiore a Durin.»

«Lo sono e lo sapete anche voi, altrimenti non avreste puntato così tanto su di me.»

Il nano sorrise.

«Avete detto di aver affrontato dei berserker, ma sapete bene cosa comporta entrare in quello stato?»

«No, ho solo notato che i nani che lo usavano correvano più veloce di quanto le vostre gambe corte, senza offesa, dovrebbero consentire e saltavano più in alto di quanto vi dovrebbe essere possibile.»

«Con l’adeguato allenamento, riusciamo ad incanalare la nostra energia spirituale nei nostri corpi e con essa renderci fisicamente più forti. Ma non è qualcosa di così semplice, so che anche alcuni umani hanno questa capacità. La nostra abilità è unica perché con la nostra corrente energetica stimoliamo la produzione di adrenalina. Essa ci rende più reattivi e più aggressivi. Entriamo in uno stato di frenesia difficilmente controllabile, delle vere macchine da guerra. Diventiamo insensibili al dolore e non ci fermiamo fino a che il nemico è annientato. O siamo morti noi. Durin ha un’innata capacità di controllo sullo stato di berserker, dunque non diventa un idiota privo di controllo, ma mantiene il suo sangue freddo e un certo istinto di sopravvivenza, quindi non arriverà al punto di sacrificarsi pur di menare un colpo mortale. Beh, non per via della frenesia, almeno, ma lo farà pur di vincere se non vede altro modo.»

«Quindi un berserker ha i riflessi più sviluppati, una enorme forza fisica, una naturale propensione alla lotta e insensibilità al dolore. E in tutto questo Durin riesce anche a mantenere una mente lucida. Sembra un nemico di tutto rispetto. Ma purtroppo per lui io non sono il primo scemo che passa. Voi nani non sapete niente dei Cavalieri dei draghi se non di Eleril. Sì, lui è considerato il Cavaliere più forte della storia, ma fino ad ora le mie gesta non sono state scritte. Io sono superiore persino al mio antenato, e non lo dico per vanità, ma perché lo so, conosco i suoi segreti. Ho 350mila douriki fisici e sono un maestro arcano: questo significa che ho padroneggiato ogni branca della magia, elementale, organica e spazio-temporale. Sono un maestro della mente, un ottimo stregone e possiedo altri poteri che preferisco non rivelare. Senza contare le mie armi e i miei innumerevoli daedra. Quando dico che sconfiggere Durin non sarà un problema, dico sul serio. Preferisco non usare alcuna arte mistica, comunque, perciò lo affronterò solo con questa ascia. Se il suo stato berserker e il suo golem dovessero rivelarsi troppo difficili da battere, ma lo dubito altamente vista la mia forza fisica, userò la magia o l’invocazione che più si addice alla situazione. E vi assicuro che solo una mia tecnica sarà sufficiente a metterlo fuori gioco, e non ci sono gemme dell’anima, resistenze naniche alla magia o armi di marmo nero che tengono.»

«Sono sinceramente impressionato. Vi immaginavo potente, ma... Mi avete tolto le parole di bocca. Durin ha oltre duemila douriki fisici e con lo stato berserker li può decuplicare. Ma se davvero avete 350mila douriki... Ogni preoccupazione che potevo avere è sparita. Attendo di brindare alla vostra vittoria, Cavaliere d’Inferno.»

Siirist guardò il nano lasciare la stanza e sorrise. Durin poteva anche decuplicare la sua forza, ma il mezzo demone in forma demoniaca ne aggiungeva altri 150mila per un totale di 500mila e la forma draconiana gli raddoppiava il bonus di Rorix, portandolo a 600mila, per quanto quello fosse solo per un tempo limitato. Siirist non aveva assolutamente nulla di che preoccuparsi. Giusto dell’ascia di marmo nero, ma sapeva che non lo avrebbe mai nemmeno sfiorato. Si vestì con la tunica che il nobile nano gli aveva donato ed uscì dalla stanza, l’ascia di Oghren stretta nella destra sull’impugnatura all’interno della lama. Sentì dei passi dietro di sé che zompettavano e capì si trattava di Sylgja.

«Sei pronto?»

«Ne dubiti?»

«No. Come hai mangiato?»

«Leggero. Non voglio rischiare di stare male quando non mi posso guarire e il mio potere rigenerativo non ha effetto su tutto, come i funghi delle profondità hanno così gentilmente dimostrato.»

La ragazza rise.

«Quanto credi ci metterai a batterlo?»

«Spero tanto. Ci andrò leggero, voglio vedere quanto è realmente valido come guerriero.»

«Se ti vedo in difficoltà devo preoccuparmi?»

«No, perché sai che se faccio sul serio lo anniento. Il marmo nero annulla poteri mistici e demoniaci, è vero, ma non resiste contro poteri divini. C’è una cosa che non ti ho detto ieri, cioè che il demone che mi ha morso è il nipote dell’Imperatore. Forse non lo sai, ma l’Imperatore è il discendente di Obras e questo significa che ho in me sangue divino. Grazie ad esso la famiglia reale è in grado di usare il fuoco nero, un fuoco che non emana calore ma brucia inesorabilmente tutto ciò con cui entra in contatto fino a che non ne rimane nulla. Lo stesso vale per il marmo nero. Le mura nere della Rocca ne sanno qualcosa, una porzione è stata divorata da uno degli attacchi di quel demone. Se volessi, potrei sbarazzarmi facilmente di quell’ascia. Quindi tranquilla, non sarò mai veramente in difficoltà. Ma non voglio rivelare troppo dei miei poteri, e soprattutto non voglio far sapere in giro che sono un demone, quindi userò certe tecniche solo se strettamente necessario.»

«Capito, allora non mi dovrò mai preoccupare.» sorrise felice.

«Certo che no.» e le accarezzò la testa.

Alla porta che conduceva all’anticamera con quindici lati vi era uno degli uomini di Orik nella sua armatura argentata e celesta che disse al Cavaliere che lo avrebbe accompagnato all’arena dove si sarebbe svolta la sfida. Uscirono dal palazzo e camminarono verso la galleria opposta al palazzo reale: era altra tre metri con ai lati dell’ingresso due nani di pietra di quattro metri che cozzavano le proprie armi, una un’ascia bipenne a due mani, uno un martello da guerra a due mani. I tre vi entrarono e camminarono per una buona mezz’ora lungo quella galleria illuminata dalle deboli fiamme delle torce naniche. Ancora Siirist non aveva capito come l’ossigeno non venisse consumato. Con una magia di vento lo avrebbe capito subito, ma non avrebbe lanciato un incantesimo solo per soddisfare una sua curiosità. Nella remota eventualità in cui avrebbe dovuto usare un misticismo durante la battaglia, avrebbe successivamente lanciato un incantesimo per capire come l’ossigeno venisse costantemente reintrodotto sotto terra. Altrimenti lo avrebbe chiesto a Orik. In ogni caso, dopo il Guanto d’acciaio avrebbe capito un altro dei tanti segreti dei nani. Intanto aveva realizzato cosa fosse che produceva le fiamme delle torce, e si trattava proprio delle gemme dell’anima. Dalle fiaccole, infatti, percepiva la debole emanazione del Flusso. Sorrise per aver risolto il mistero.

Quando uscirono dalla galleria, si ritrovarono in una stanza quadrata riccamente arredata con il soffitto alto quattro metri. Lì vide il re che conversava allegramente con alcuni nobili.

«Potete tranquillamente scommettere su mio figlio: è il miglior guerriero dei Beor, non può perdere contro uno insulso Cavaliere dei draghi della superficie. Per di più discendente di quegli effeminati orecchie a punta!» rise profondamente, accompagnato dai suoi interlocutori.

Il silenzio cadde improvvisamente quando i presenti si accorsero dell’arrivo del mezz’elfo.

«Credevo questo fosse un duello d’onore, non sapevo ci si scommettesse sopra. Ah, giusto, dimenticavo l’amore che voi nani avete per le ricchezze: sicuri di essere fedeli di Titano e non di Sithis? Dimmi, soldato, Orik ha scommesso qualcosa su di me?» chiese Siirist alla guardia che lo aveva condotto lì.

«I partecipanti non possono scommettere, ignorante della superficie. Altrimenti starei incrementando le mie ricchezze.» gli rispose invece Glorgur.

«C’è nessuno che abbia puntato su di me anziché Durin?»

Nessuno rispose.

«Soldato, dai alla mia amica delle incudini: sarà lei a scommettere. Spero questo sia consentito.» chiese al re.

«Solo se avete i denari, ma ne dubito.»

«A questo posso provvedere io, vostra durezza. Io non scommetto, ma nessuno mi vieta di prestare i miei soldi, dico bene?» intervenne l’appena giunto Orik.

«E nessuno poi vieta a me di fare dono delle vincite a Orik.» concluse sorridendo Sylgja.

Alftand annuì.

«Orik, vi devo parlare.» gli disse il suo campione.

«Va bene, vi accompagno alla vostra stanza di preparazione.»

Entrambi intrapresero un corridoio sul lato sinistro della sala alto tre metri che finiva in una stanza dal soffitto, purtroppo, di due metri. Di nuovo Siirist si ritrovò con la testa scomodamente troppo vicina alla pietra.

«Nessuno ha puntato su di me.»

«Meglio, più vincite per me!»

«Non è quello il punto. Gli altri capi clan non sembrano molto felici della mia partecipazione. Siete sicuro che la mia vittoria vi garantirà lo stesso potere all’interno dell’elezione che se fossi un nano?»

«Quello che dite è vero. Difatti temo non basterà e che avrò bisogno di qualche altro favore da parte vostra per garantirmi la corona. Ma credo anche che molti abbiano scommesso su Durin per sicurezza. Anche se pensano di perdere, il solo scommettere su uno straniero può macchiare la loro reputazione. E se Durin dovesse vincere, cosa che entrambi sappiamo essere impossibile, e loro avessero scommesso su di voi, perderebbero il loro onore. Non perché hanno scommesso sulla persona sbagliata, chiaro, ma perché hanno dubitato dell’erede del re, dell’orgoglio dei Beor contro un non-nano. Capite che questa è una situazione eccezionale che non si è mai presentata nella storia del Guanto d’acciaio.»

«Certo. Spero solo che basti vincere per darvi la corona, non ho tempo per altri “favori”.»

«Intanto il farmi avere la corona e l’ascia del re di Ilirea aiuterebbe, assieme ad alcuni dei suoi tesori, come avevate detto a Glorgur. Non pretendo certo di averne tutte le ricchezze, trovo che sia giusto che chi ha riscoperto la città ne tenga i suoi tesori.»

«Bene, è una cosa che avrei fatto comunque, quindi non sarebbe un problema per me. Ma capite che fino a che mi è sconsigliato, diciamo, usare la magia, non potrò darvi i tesori di Ilirea. La città è irraggiungibile senza misticismo e non voglio rischiare di usare incantesimi di alcun genere solo per darvi qualche tesoro.»

«Mi direte mai perché non volete usare la magia?»

«Forse dopo il duello. L’arena è oltre quella porta?» chiese indicando l’unica altra porta oltre a quella da cui era entrato.

«Sì. Ora vi lascio alla vostra preparazione. Verrete chiamato quando sarà ora.»

«D’accordo.»

Il nano uscì e lasciò Siirist nella stanza spoglia se non per due panche lungo le pareti a formare un angolo retto. Non avendo l’ausilio della magia organica che lo aiutava a bloccare tutti i suoi bisogni fisici andò nel piccolo bagno adiacente per orinare così da non rischiare di sentirne la necessità durante il duello. Non riusciva a credere che avrebbe sentito così tanto la mancanza della magia. Non era stato così difficile quando aveva quasi distrutto il suo legame con il Flusso dopo la battaglia di Zanarkand, ma ora dopo lo studio dei grimori degli Anziani la magia era diventata veramente una parte del suo essere.

Attese steso sulla panca, perché stare seduto era impossibile per via della bassezza del mobile, fino a che la porta opposta a dove si trovava lui si aprì ed apparve un nano.

«È ora.»

Siirist si alzò e lo seguì per un corridoio lungo almeno un centinaio di metri. Oltre esso si trovava l’arena. Essa era enorme, larga almeno duecento metri, forse lunga un chilometro, era difficile dirlo con certezza. E era alta. Il soffitto doveva essere la stessa altezza di quello nel cilindro e anche lì vi era un cristallo luminescente. Lungo le pareti erano costruiti degli spalti che Siirist capì essere situati alla stessa altezza dei vari livelli di Tronjheim, e lungo tutti gli spazi tra essi vi trovavano altri cristalli luminescenti. Avrebbe voluto vedere Oghren nella folla, ma era impossibile: gli spalti erano gremiti. Dovevano essere presenti migliaia e migliaia di nani, qualche centinaio, forse più di un milione. Quella era molto probabilmente tutta la popolazione delle quattro città rimanenti del regno nanico. Nel lato corto da dove era appena apparso lui lo spalto più basso era occupato dai nobili, con re Glorgur seduto su un trono di marmo nero al centro. Siirist vide che dall’altra parte dello stesso lato del rettangolo vi era Durin, che indossava la sua armatura con i colori del suo casato, sull’avambraccio sinistro aveva un piccolo scudo circolare e brandiva in mano la temibile ascia di marmo nero. Il nano era a circa centocinquanta metri di distanza, ma l’attenta vista del ladro unita ai suoi occhi elfici gli permise di identificare una cintura alla vita che aveva diverse grosse tasche. In una doveva esserci la gemma dell’anima con il meccanismo per animare il golem, nelle altre... Forse “l’orgoglio dei Beor” aveva più assi nella manica del previsto. Bene, il mezzo demone aveva proprio bisogno di divertirsi un po’. Sorrise eccitato e aprì e chiuse più volte le dita della mano sinistra. Un annunciatore si fece avanti dallo spalto della nobiltà e usando un lungo corno vuoto che gli fungeva da megafono parlò a tutta l’arena.

«Popolo della pietra, è con gioia che vi presentiamo questo duello. Esso non è solo uno scontro d’onore e fama, ma uno di orgoglio, un orgoglio che noi eletti di Titano ci portiamo da millenni, da quando fummo traditi dai miserabili elfi che si allearono con i nostri peggiori nemici, i draghi! Alla mia destra, in rappresentanza di suo padre re Glorgur e di tutto il clan Dorrak abbiamo Durin figlio di Glorgur del clan Dorrak, la Roccia dei Beor! E chi meglio di lui può quest’oggi rappresentarci in questa battaglia? In lui sono riposte le nostre speranze e che Titano gli dia la forza di sconfiggere il nostro comune nemico! Perché ad affrontarlo, in rappresentanza di Orik del clan Alftand, vi è Siirist Ryfon, discendente degli elfi e Cavaliere dei draghi!»

La folla esplose e cominciò contemporaneamente ad urlare incoraggiamenti per Durin e auguri di morte per Siirist. Questi si irritò e balzò sullo spalto dei nobili. Tutti i presenti rimasero stupiti da quel gesto: dopotutto aveva facilmente saltato sui dieci metri con una semplice spinta della caviglia destra.

«Chiedo scusa, vorrei aggiungere alcune cose. Innanzitutto, come potete benissimo sentire, parlo la vostra lingua: questo perché a Vroengard ci viene insegnata, perché rispettiamo la vostra cultura, per quanto ne sappiamo poco. Fino a ieri, infatti, non sapevo cosa fosse il Guanto d’acciaio. Ma come potete tutti notare, sto usando un’ascia di mithril di fattura nanica, e lo faccio per rispettare le vostre tradizioni, come non userò nemmeno la magia. Poi fate poco gli ipocriti, che le mura nere della Rocca non si sono costruite da sole: se odiaste i Cavalieri così tanto, non le avreste costruite, ma a quanto pare il denaro può comprarvi anche le convinzioni. Quarto, non sono il discendente di qualche elfo qualsiasi, bensì di Eleril Ryfon, il sesto Cavaliere d’Inferno, colui che via ha riaperto al mondo esterno, per quanto si tratti solo di Orzammar. E non dite che i commerci con la superficie non vi abbiano giovato. E quinto, non sono un semplice Cavaliere dei draghi, io sono il settimo Cavaliere d’Inferno, e mettetevelo bene in testa!»

Nessuno rispose per un po’, ma il suo udito acuto parve sentire la risata di Oghren qualche centinaio di metri più in alto. Sorrise. Nel ritornare sul suolo dell’arena, fu accompagnato da urli negativi.

‹Difficili da accontentare questi nani. Se fossi lì darei loro fuoco.› commentò Rorix.

‹È proprio per questo modo di fare di voi draghi che ce l’hanno tanto con voi.› lo rimproverò.

‹Neh... Come hai detto tu, si fanno comprare anche le convinzioni, quindi non si meritano il mio rispetto.›

‹Tu non dovresti stare a imparare la lingua dei draghi?›

‹Voglio assistere allo scontro. Fai bene a non usare la magia, e non solo per via del Consiglio.›

‹Lo so, l’ho capito ora. Per convincerli davvero devo batterli al loro gioco, anche se posso essere messo in difficoltà. Ho tenuto conto delle abilità personali di Durin e so di poterlo battere facilmente con solo le mie doti fisiche, ma non so quanto sarà potente questo suo golem e che cosa abbia in quelle altre tasche. E se fossero tutti golem?›

‹Mi provvederesti con un bello spettacolo. Ricorda le tecniche della Volpe.›

‹Sì, credo proprio che mi saranno molto utili. Peccato che abbia una delle armi meno appropriate per esse, ma improvviserò.›

‹Intendevo le tecniche di movimento più che quelle di combattimento. Sfrutta la furtività e resta sempre nei suoi punti ciechi.›

‹Cosa farei senza di te?›

‹Probabilmente saresti sposato con Keira e staresti sfruttando Hermeppo per farti coltivare la vigna. E in un modo o nell’altro ti saresti appropriato di tutte le ricchezze dei Vaan.›

Siirist rise a quella supposizione: non era del tutto errata. Gli sarebbe piaciuto sapere come sarebbe andata la sua vita se Evendil non fosse mai passato per Skingrad.

‹Ora concentrati sulla battaglia.›

Ryfon annuì e guardò il suo avversario. Lo vide inginocchiato e con la sinistra priva del guanto corazzato che toccava terra. Aprì un occhio mentale accanto a lui e lo sentì pronunciare una sorta di preghiera.

«Pietra, dai forza al mio braccio e direzione alla mia ascia. Che essa colpisca il mio nemico e il suo sangue sia un tributo alla tua grandezza.»

Siirist sorrise. Si chiese quanto fosse forte la sua mente. Forse avrebbe potuto illuderlo e finirla lì. Ma in quel modo non avrebbe convinto i nani e, soprattutto, non si sarebbe divertito. Però dopo aver usato la Dannazione eterna, gli era venuta voglia di provare le altre due tecniche finali di Adeo. In quella situazione l’Esercito eroico sarebbe stato grandioso. Sì, aveva deciso: quella sarebbe stata la sua arma segreta se si fosse trovato in difficoltà. Anzi no, i nani non avrebbero capito che non si trattava di magia e avrebbero pensato che stava infrangendo la promessa. Decise che avrebbe usato il colore dell’armatura dell’Ambizione. Non era uno stupido e non andava in battaglia sottovalutando l’avversario. Sapeva che Durin gli era inferiore, ma non sapeva che marchingegni potesse nascondere. Quella cintura del nano non gli piaceva. Finché non sapeva che cosa nascondesse, non poteva essere completamente sicuro di vincere con la sua sola forza fisica. E gli venne un’idea. Sorrise furbo.

‹Geniale.› concordò il drago.

«Se tutti volete per favore fare silenzio, daremo inizio al duello. I partecipanti sono pronti?» esclamò l’annunciatore.

Durin aprì gli occhi e si alzò. Indossò il suo guanto, guardò verso la tribuna nobiliare e annuì. Siirist fece lo stesso.

«Allora cominciate.»

La folla esplose ma le urla durarono poco perché interrotte dal suono frastornante di un gigantesco gong che Siirist non capiva da dove provenisse. Ma non ebbe il tempo di cercare di scoprirlo perché vide l’aura rossa del berserker avvolgere il suo avversario che subito partì alla carica. Era velocissimo. Ma agli occhi di Siirist rimaneva lento come una tartaruga e più importante ancora, il suo corpo era al livello dei suoi riflessi. Aprì e strinse la mano sinistra, scrocchiando le falangi nel movimento. Con la destra strinse l’impugnatura superiore dell’ascia, ma non troppo forte per non rischiare di piegare il metallo. Nel giro di pochi secondi Durin gli fu addosso, ma il ladro si mosse quasi pigramente, evitando la lama di marmo nero. Paragonato ai pannelli rotanti con cui si era allenato durante i due anni con la Volpe Grigia, il nano era lento. E dopo Skingrad il mezzo demone aveva vissuto a Kami no seki doveva aveva studiato con Sesshoumaru e Kenpachi e aveva duellato con Akira e Kaede. Il nano non era nulla. Alzò il ginocchio destro e con esso colpì il petto dell’avversario, piegandogli l’armatura verso l’interno. Velocissimo spostò la gamba e menò un poderoso calcio sulla schiena. Fece volare il nano in avanti, ma quello intensificò la sua aura rossa e affondò la sua ascia nel terreno per frenare il volo. Come aveva detto Orik, Durin manteneva tutta la sua lucidità e doveva essere veramente esperto per aver usato una mossa simile. Siirist sorrise eccitato, il suo sangue demoniaco che ribolliva e che voleva uscire in superficie. Ma lo represse e i suoi occhi rimasero azzurri. Non appena ebbe rimesso i piedi a terra, Ryfon lo vide mettere mano alla sua cintura. Tirò fuori una sfera metallica, premette un pulsante e la lanciò in avanti: da essa partirono fasci di energia che staccarono pezzi di pietra e attorno alla sfera si formò un golem di otto metri per tre. Dall’energia che percepiva, Siirist suppose centomila douriki. Quella stupida, piccola gemma dell’anima aveva più o meno lo stesso quantitativo di Flusso vitale che aveva lui con il suo legame?! Che oltraggio! Portò il busto in avanti, spinse sulla parte anteriore del piede sinistro e balzò in avanti, scivolando lungo il terreno, sollevato di pochi millimetri. Arrivò in un istante sotto al golem e lì fece forza sul piede destro e saltò verso l’alto con la gamba sinistra sollevata. La abbassò come un martello su un’incudine e colpì con il tallone la testa del costrutto roccioso. Quella non era roccia indurita con la magia, ma comune pietra, per quanto fosse naturalmente resistente, quello andava ammesso, e non fu sufficiente per evitare che venisse sbriciolata e l’intero corpo del golem cadde a pezzi. Ma Durin non perdeva tempo ed era subito saltato con l’ascia impugnata con entrambe le mani e sollevata sopra la testa. Siirist se lo vide arrivare addosso il momento in cui il golem era crollato.

‹Merda.›

Si era stupidamente lasciato esposto: a mezz’aria, senza magia o poteri demoniaci, era in balia dell’avversario. D’istinto portò in avanti la destra che reggeva l’ascia per parare il colpo, ma si ricordò appena in tempo che sarebbe stato inutile, la lama di marmo nero l’avrebbe tagliata insieme alla sua mano e poi tutto il suo corpo. Riuscì a ruotare il busto in modo da calciare il piatto della lama nera e spingersi via dalla traiettoria dell’attacco nemico. Arrivò a terra e si voltò solo per vedersi arrivare addosso due pietre. Non parevano granate, non avevano micce accese, ma il suo settimo senso gli urlava pericolo. Impugnò l’ascia nella sinistra e distese il braccio in un movimento rovescio con cui prese le pietre sul piatto della lama e le lanciò via senza applicare forza su di esse o tagliarle. Nel vederle generare un’esplosione e una vampata al solo contatto con il terreno dell’arena, capì di essersi comportato correttamente. E Durin lo incalzò di nuovo. Mentre evitava i suoi numerosi colpi, controllava che il nano avesse sempre entrambe le mani sull’ascia nera e al contempo il golem che si riformava. Pareva essere indistruttibile finché il suo cuore rimaneva attivo. Ma non osò nemmeno pensare di distruggerlo. I due sassi che erano esplosi avevano causato un’oscillazione nel Flusso vitale, così Siirist aveva capito che si era trattato di gemme dell’anima. Non voleva nemmeno immaginare che sarebbe successo se avesse fatto esplodere una gemma dell’anima con centomila douriki di potere. Forse poteva cercare di appropriarsene e reindirizzare l’energia all’interno del Flusso al centro del pianeta.

Con l’avambraccio destro entrò in contatto con l’asta di marmo nero dell’arma di Durin e spinse con forza verso il basso, sbilanciando il nano. Subito partì con un gancio destro che lo colpì dritto in faccia, spaccandogli il naso. Ecco che succedeva ad avere barbe così folte da impedire di tenere elmi chiusi. Non che avrebbe fatto alcuna differenza, con la sua forza Siirist avrebbe piegato pure il mithril non incantato.

‹Patetico.› ridacchiò Rorix.

‹Ricorda che è contro di me, è naturale che non abbia speranze. Ma resta pur sempre un guerriero formidabile. Non fare l’errore dei nani, non credere che sia un misero perdente indegno di nota solo perché ha avuto la sfortuna di andare contro il tuo Cavaliere. Lui resta il guerriero più forte dei Beor e lo dimostra il fatto che si stia rialzando. È tenace e resistente.›

‹Se questo è il meglio che hanno da offrire, lasciali pure a marcire sotto le loro montagne.›

‹Io penserò a mostri come Raiden e Azrael e ci sono pure Alea e Gilia e gli altri per affrontare gli Scorpioni di più alto rango. Ma contro la gran parte dell’esercito della Setta, Durin risulterebbe essere un avversario formidabile. Non so se hai notato, ma nello stato di berserker ha la forza di Akira.›

‹Ma Akira può usare il Juyo e se non c’è il sole di mezzo può liberare i suoi poteri. Non paragonarli, è un offesa per Akira.›

Siirist evitò con degli agili saltelli i pugni del golem e saltò via all’indietro, sempre mantenendosi a pochi centimetri da terra, quando il nano ritornò per falciarlo in due.

‹Senti che silenzio. La situazione è tutta in tuo favore e quegli idioti non sanno che dire. Se fosse il contrario li sentiresti urlare, desiderosi di vederti morto e l’annunciatore li starebbe incoraggiando. Invece dai un’occhiata a quegli stupidi nobili.›

Siirist non staccò i due occhi che aveva in testa dal suo avversario, ma ne aprì uno mentale sulla tribuna dove sedevano gli esponenti più importanti della società nanica. Erano tutti impietriti eccetto Orik che sorrideva gongolante.

‹E bravo lui: vince il trono e tanti bei soldoni.›

Con la destra Siirist afferrò l’asta dell’ascia nemica e alzò il braccio, sollevando il nano. Con ancora Durin attaccato, menò un colpo orizzontale alle gambe del golem che cadde a terra e prima che potesse rigenerarsi, strappò l’arma di marmo nero dalle mani dell’avversario e la lanciò via. Poi con il dietro della lama dell’ascia di Oghren colpì la parte posteriore delle ginocchia di Durin, mettendolo a terra. Si prese un istante per sentirsi soddisfatto prima di menare il colpo finale alla nuca del nano, sempre usando la parte contundente. Allora si avvicinò al golem e affondò la mano destra nel punto dove sapeva trovarsi la gemma dell’anima. La estrasse e il costrutto cadde a pezzi senza più modo di ricostituirsi.

«Hai perso, ma ti risparmio la vita, Durin figlio di Glorgur. Sei un guerriero di tutto rispetto e mi inchino al tuo valore. Mi sei più utile vivo che morto; spero di poter contare sulla tua lealtà.»

Siirist andò verso gli spalti e di nuovo si avvicinò al megafono.

«Durin ha perso, questo significa che ora la sua vita è mia. Ma non voglio sentire nessuno infangare il suo nome dicendo che è un insulto alla razza dei nani, che è debole o idiozie simili. La sua forza è rimasta invariata, è sempre il prode guerriero che osannavate dieci minuti fa. Purtroppo per lui è finito con l’affrontare me. Se qualcuno di voi crede che egli sia debole, prego, venite pure avanti, sarei felice di mostrarvi come un mio pugno sarebbe in grado di sbriciolarvi ogni osso in corpo, mentre lui è addirittura riuscito a rialzarsi in piedi. Oppure potete affrontare direttamente Durin: vi assicuro che l’esito sarebbe lo stesso. Detto questo, dedico la mia vittoria a Orik del clan Alftand.»

Si allontanò dal megafono e si rivolse al re.

«Se avete qualcosa da ridire, sapete dove trovarmi. Orik, io torno alla mia stanza. Sylgja, andiamo.»

La ragazza, che era stata al fianco del nano biondo, corse felice verso di lui. Si complimentò grandemente, ma niente batteva le grasse risate di Rorix che rimbombavano nella testa del Cavaliere.

‹Smettila, il mio discorso poco fa era diretto anche a te.›

‹Ma io non ho cambiato la mia opinione su di lui, non sono così stupido: l’ho sempre considerato un povero illuso che andava al macello e ora rido per come è stato ridicolizzato.›

‹Non era il mio intento. È un guerriero di grande valore che va tenuto in alta considerazione.›

‹Mah, per me resta un pulce che posso schiacciare con una zampa. Nemmeno hai avuto bisogno di rubargli la cintura come avevi pensato di fare all’inizio.›

‹Io non sono tanto più grande.›

‹No, ma tu potresti opporre un po’ di resistenza.›

‹Ma inevitabilmente perderei anche io. Ricorda che la mia forza è dovuta a te. Il nostro legame mi dà automaticamente 100mila douriki, ma non solo, è anche grazie ad esso che sono riuscito ad incrementare tanto la mia forza fisica. Un umano ha i suoi limiti, un Cavaliere non ne ha.›

‹Come pure un demone maggiore, soprattutto gli alati. Non è solo grazie a me che sei quello che sei. E il tuo potere non è solo la tua forza fisica. Non dimenticare l’Ambizione, la magia e il tuo sangue di demone.›

‹La magia che è amplificata dai tuoi Cerchi d’argento. È perché sono il tuo Cavaliere che ero a Vroengard quando Raiden ha attaccato e mi ha trasformato in demone. Senza di te anche io non sarei nulla.›

‹Resta l’Ambizione, quella è solo tua ed è un potere che da solo vale quanto tutti gli altri. Ora smetti di paragonarti a quel nano. Se ci tieni tanto che ne rispetti il valore va bene, lo farò. Ora non piangere perché ti ho insultato l’amichetto, d’accordo? Io torno a studiare.›

Siirist scosse la testa. Sentì dei passi che risuonavano di armatura avvicinarsi di corsa verso di lui. Si fermò e si voltò, trovandosi davanti Durin.

«Cavaliere d’Inferno, vi ringrazio per le vostre parole di prima, ma non cambiano il fatto che io abbia perso contro di voi nel Guanto d’acciaio. So che nessun guerriero dei Beor potrebbe sconfiggermi, come so che nemmeno tutti noi insieme potremmo niente contro di voi. Lo so perché ho visto come avete giocato con me. Quella non era tutta la vostra forza, senza contare che non avete usato la magia. Ma le mie parole non sono scuse, accetto la mia sconfitta: avete detto che vi sono utile, sono a vostra completa disposizione, la mia vita è vostra.»

«Mi accontento di molto meno, qualche anno al massimo. Se il tuo onore è stato perduto contro di me, sono sicuro che avrai modo di recuperarlo nelle battaglie a venire. E fidati, ce ne saranno. Quando saranno terminate e non avrò più bisogno della tua assistenza, voglio che tu sia libero e felice. E se vorrai tornare qui e riottenere il suo posto all’interno del tuo clan, farò in modo che accada, te lo prometto.»

«Le vostre parole scaldano e sciolgono le pietre del mio cuore. Andrò a prendere i miei effetti personali dalla mia vecchia stanza del clan Dorrak e mi taglierò la barba, poi sarò a vostra disposizione in qualsiasi momento.»

«Perché ti devi tagliare la barba?»

«Un guerriero sconfitto e disonorato non può tenere la barba. Nei miei trecento cinque anni non l’ho mai tagliata. Ho combattuto duecento novanta Guanti d’acciaio, uno ogni mio compleanno da quando ho quindici anni. Questo è stato il 291esimo.»

«Mi spiace averti rovinato la carriera.»

E senza aggiungere altro, Siirist e Sylgja ripresero il cammino verso la stanza assegnata al mezz’elfo.

«Sai, credo di aver trovato un compito per te.» le disse.

«Sarebbe?»

«Dovrai insegnare a Durin la nostra lingua, se non la sa già. Ma ho l’impressione che nessun nano che non sia di Orzammar parli una lingua al di fuori della loro.»

«Chi lo sa, forse Orik, interessato com’è alle questioni di superficie.»

«Sarebbe da chiederglielo.»

 

I due rimasero stesi sul letto del mezz’elfo per una buona quarantina di minuti a chiacchierare del più e del meno quando qualcuno bussò alla porta. Siirist diede il permesso di entrare e vide un nano dai capelli rosso-bruno che scendevano alle orecchie vestito con abiti eleganti e completamente privo di barba, nemmeno un pelo sfuggito al rasoio, entrare. Ryfon non lo avrebbe mai riconosciuto se non avesse saputo che Durin si sarebbe tagliato la barba.

«Il banchetto in vostro onore è pronto.»

«Buono a sapersi, stavo avendo un certo appetito.»

«Giù le mani.» disse scherzosa a bassa voce Sylgja.

Era bello come avesse accettato con facilità il suo essere un demone. Se ripensava a come si era comportata Alea, che quasi non lo aveva salutato quando aveva lasciato la Rocca, ancora gli veniva un colpo al cuore. I due non-nani uscirono dalla stanza e andarono nel salone di ricevimento del clan Alftand. Lì Siirist vide molti nani riuniti e distinse tutti i colori dei tredici clan ad eccezione del rosso e nero dei Dorrak. Quando lo videro lo festeggiarono, ma li ignorò.

«Orik, mi aspettavo una festa privata. Cosa ci fanno tutte queste persone che mi hanno addirittura scommesso contro? Almeno re Glorgur ha avuto la decenza di non presentarsi.»

«Considerando che sono loro che hanno pagato questo banchetto con i soldi che hanno perso, era solo doveroso invitarli.» sorrise.

Siirist rise e così fecero gli undici nobili, ma essi non erano elfi (o Sesshoumaru) e non erano capaci di nascondere le loro vere emozioni come non erano in grado di abbandonare le loro tradizioni. Le loro risate, false come solo lo era stato lui da giovane con Miya, furono seguite da occhiatacce di sdegno verso il nano sbarbato che seguiva il festeggiato. Ryfon si adirò.

«Ma siete sordi o stupidi?! Vi ho detto che non dovete pensare a Durin come a una nullità! Se credete che non sia più un prode guerriero, prego!, fatevi pure avanti.»

Nessuno rispose. Ma almeno persero i loro falsi sorrisi.

«Come pensavo. Orik, dove mi siedo io?»

«Proprio qui, al centro, alla mia sinistra. Mi perdonerete se ho preteso il posto alla vostra destra: voi sarete pure il vincitore del duello, ma era pur sempre in nome mio.»

«Certamente. Alla mia sinistra sederà Sylgja e accanto a lei Durin. Non mi interessa a chi fossero originariamente assegnati questi posti, dovranno spostarsi.»

«Mi pare giusto.» acconsentì il nobile Alftand.

Ryfon notò alcuni sguardi di dissento ma non se ne curò; il nano sbarbato non la pensò allo stesso modo.

«Cavaliere d’Inferno, vi sono grato per il vostro trattamento, ma non sono meritevole di un posto di onore così vicino a voi. Lasciatemi sedere ad un altro tavolo.»

«No. Se quei damerini hanno un problema con me possono convocare un altro Guanto d’acciaio. Tu starai accanto a Sylgja e non voglio più sentire storie. E chiamami Siirist.»

«Sei comandino, eh?» scherzò la ragazza.

«Sono abituato con i miei servitori: sono pur sempre un signore dei demoni. E comunque a Hellgrind il posto d’onore è alla sinistra dell’Imperatore che siede al centro, quindi ai miei occhi sei tu quella nel posto più di riguardo e non Orik.»

«Ma grazie.» si inchinò allargando le ginocchia e abbassando la testa.

«Avete una lingua bizzarra, avrei giurato di aver sentito “Hellgrind” tra le parole.» commentò Orik.

«Mai bizzarra quanto la vostra. Parole come i nomi di alcune delle vostre città, Mzulft, Mzinchaleft... Ancora non mi spiego come abbia imparato a pronunciarle.» rispose evitando la domanda.

Orik stette al gioco e non insistette più sul perché il suo campione avesse menzionato la terra dei demoni e rise alla sua battuta. Tutti i convitati presero posto e stavano per incominciare a mangiare quando si sentì della commozione oltre la porta.

«Fuori dai piedi!» esclamò una voce che Siirist aveva imparato ad apprezzare in poco tempo.

La porta si spalancò con una delle guardie di Orik che volò dentro e finì sulla tavolata.

«Ar! Non mi hai detto di essere un Cavaliere dei draghi, quello d’Inferno addirittura!, sporco figlio di un nug!»

«Non lo trovavo necessario. Ti ho detto che avrei vinto e così è stato.»

«Se avessi saputo la verità avrei puntato anche dei soldi! Senza offesa, Durin, tu sei stato forte. Non credevo ti avrei mai visto sbarbato.»

«Vedo che tu hai ancora la tua barba, Oghren.» gli rispose lo sconfitto.

«Tecnicamente questi sono baffi. Li ho tenuti perché mi stanno bene, non mi riconoscerei senza. Ma la barba è tenuta corta e dopo dieci anni continuo a tagliarla in ricordo del mio disonore.»

«Se avessi veramente un senso di onore ti saresti tolto la vita quando fosti cacciato da Thjyr.»

«Morire è noioso. Ci sono troppi divertimenti a rimanere in vita. Ho visto il Flusso vitale, sono stato giù nelle miniere: non ci sono tette lì in mezzo e, anche peggio, non c’è birra.»

«Ho sentito di come ti sei ridotto, un povero ubriacone. Bevi per dimenticare come hai perso il tuo posto in società? Sei lo zimbello di Tronjheim.»

«Bevo per dimenticare, sì, ma purtroppo ho bevuto così tanto che non ricordo più cosa dovevo dimenticare! Hahaha! E fai poco il gradasso, sbarbato, che ora non sei più la “Roccia dei Beor”: sei come me, un disonorato sconfitto nel Guanto d’acciaio. Almeno agli occhi di queste facce da bronto stitico. Io so bene che rimani il guerriero che eri ieri, proprio come io sono il guerriero che ero prima di sfidare Thjyr. Anche se questi idioti sembrano non volerlo capire. Io... – si voltò per afferrare l’asta dell’ascia di una guardia di Alftand, strapparla alle mani del suo possessore e atterrarlo con una spazzata alle gambe che la sollevò da terra. Gli diede un calcio con una gamba circondata da aura rossa da berserker e lo mandò volando fuori dalla sala da pranzo. – non... – parò il colpo di un’ascia a una mano di un secondo soldato e lo disarmò con facilità prima di saltare con il ginocchio alzato e schiacciargli la faccia. – mi muovo... – intercettò l’attacco di una terza guardia e ne schiacciò l’arma contro il pavimento, spezzandole la guardia e sbilanciandola. Con il dietro dell’ascia colpì il ventre corazzato del soldato, arrivando a piegare di poco sia l’ascia che la corazza. Questi venne sollevato e scagliato oltre la porta addosso alla prima guardia che aveva interrotto la sua conversazione con Durin. – da qui! Almeno fino a che quell’incrocio tra un bronto e una sanguisuga di roccia del Cavaliere d’Inferno mi restituisce la mia ascia.»

«Non ero uno “sporco figlio di un nug”? Ora sono il prodotto di un bronto e una sanguisuga di roccia? La vedo dura accontentare tutti questi fatti.» disse Siirist in un sorso di birra gialla, divertito dalla scena tra i due nani “disonorati”.

«Perché, dai ascolto a quello che dico?»

«Sii felice, almeno qualcuno lo fa.» disse casualmente Durin.

«Contando tua sorella siamo a due. Sto migliorando.»

Siirist percepì la rabbia del nano sbarbato prima ancora che questa esplodesse. Riuscì a trattenerlo appena in tempo prima che si avventasse su Oghren e lo facesse a pezzi, ma non fu veloce abbastanza per evitare che, nella sua foga, Durin rovesciasse tutto il tavolo.

«Hai ragione, perdonami, sono stato molto sconsiderato con le mie parole. Siamo a tre, c’è anche tua madre.» annuì come a chiedere perdono.

Siirist non riusciva a capire se era più divertito dalla battuta lui o Oghren stesso. Fatto sta che nell’ilarità si lasciò sfuggire Durin e tra le mani si ritrovò solo fumi rossi lasciati dalla scia del nano sbarbato che si buttò con le mani al collo dell’altro. I due rotolarono a terra e si pestarono nell’indignazione generale. Ciò che colpì più Siirist era sentire qualcuno dire che Durin non aveva una madre e una sorella. Quell’affermazione lo fece imbestialire.

«Durin, fermo.»

Il nano sbarbato obbedì all’istante e incassò gli ultimi due pugni senza muoversi e senza protestare. Oghren si riprese dalla foga della lotta e si rese conto che l’avversario non avrebbe continuato. Guardò Siirist e, per una volta, parve pensare un attimo.

«Figlio naturale di un bronto e una sanguisuga di roccia poi adottato e cresciuto da un nug, perché non te ne stai zitto? Così mi togli il divertimento!»

«Incredibile, non sapevo fossi in grado di pensare anche tu.» disse falsamente impressionato Durin.

«Mi deludi, mi aspettavo qualcosa di meglio da te, Oghren.» gli disse Ryfon.

«Scusa, ero di fretta.» concordò il nano.

«Durin, ho sentito dire che non hai una sorella e una madre. Eppure dalla tua reazione direi che hai entrambe.»

Il nano sbarbato rimase in silenzio per un po’.

«No, è vero, io non ho né madre né sorella. Non ho una famiglia. Io sono Durin figlio di nessuno appartenente a nessun clan.»

«Ecco, vedi? Quello è proprio il tuo modo di pensare che va cambiato. Orik, vi chiedo scusa, ma non ho lo stomaco di continuare a stare in presenza di queste persone ancora a lungo, gradirei ritirarmi nella mia stanza.»

«Naturalmente.»

«Oghren, vieni con me, ti restituisco la tua ascia. Ma prima da’ un bel pugno in testa a Durin da parte mia: non voglio più sentirgli dire che non ha una famiglia, e questa è la sua punizione.»

«Con piacere, hehehe!»

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola PER INCORONARE UN RE. Siirist ha vinto il Guanto d’acciaio, ma i dodici clan non sono ancora convinti e non si decidono ad eleggere Orik: che altro dovrà fare Siirist?

Ritorna all'indice


Capitolo 70
*** PER INCORONARE UN RE ***


PER INCORONARE UN RE

 

Il giorno dopo Siirist attese nella sala del trono assieme a Sylgja e Durin perché la riunione dei tredici clan nella stanza adiacente si concludesse. Quando i nobili a capo dei rispettivi clan uscirono dalla stanza, Siirist non vide in Orik la faccia vittoriosa che avrebbe voluto vedere.

«Cosa si è deciso?»

«Niente. Le elezioni sono sempre lunghe e una decisione non viene raggiunta senza il voto di tutti e tredici. Può capitare che qualcuno che voglia il trono si astenga dalla votazione appositamente per impedire a qualcuno che ha già i restanti dodici voti per prendere tempo e cercare di corrompere gli altri capi. Ma alla fine, quando tutti hanno votato, si va a maggioranza.»

«Avete la testa dura quanto le vostre tanto amate pietre, lo sapete, vero?»

«Purtroppo sì.» rise.

Ma quella di Siirist non voleva essere una battuta di spirito.

«Quindi vi bastano sette voti quando tutti hanno espresso un parere?»

«Proprio così. Al momento ne ho tre: il mio e altri due. Nessun altro ha espresso un parere, ma è chiaro che Glorgur non avrà alcun sostegno.»

«Questo è bene.»

«No, è positivo, non “bene”. “Bene” sarebbe avere i miei sette voti su tredici. Sono sicuro che con i tesori di Ilirea potrei far pesare di più la mia rivendicazione alla corona. Esigo sapere perché non volete usare il misticismo, Cavaliere d’Inferno.»

«Andiamo nelle vostre stanze, non voglio che nessun orecchio di troppo senta.»

Orik acconsentì e i quattro, scortati da due guardie in bianco e celeste, ritornarono nell’area riservata al clan Alftand. Siirist spiegò che per vari motivi aveva dovuto lasciare Vroengard per un po’, ma erano già passati trentotto anni e alcuni membri del Consiglio stavano sospettando che avesse tradito l’Ordine, così avevano dato inizio ad una caccia all’uomo e che ogni uso di energia spirituale, in un modo che ignorava, avrebbe rivelato al Consiglio dove trovarlo.

«Capisco. Potete comunque giurare che, appena vi sarà possibile andare ad Ilirea, ci farete dono dell’ascia e della corona del re e di una parte del grande tesoro?»

«Sì. Vi darò ricchezze dal valore di un milione di guil. Non so quanto sia la conversione in incudini.»

«Considerando la vostra magistrale vittoria contro il qui presente Durin, la vostra parola dovrebbe bastare per convincerli che dite il vero. Ma noi nani preferiamo ricchezze ora ad una promessa di ricchezze, per quanto siamo sicuri che verrà mantenuta.»

«Quindi cosa dovrei fare?» sospirò Ryfon.

«Le sette grandi città hanno ognuna un tesoro di particolare importanza, quasi un oggetto sacro. I quattro delle città ancora vive sono chiaramente al sicuro, ma i tre delle città morte sono, ahimè, andati perduti.»

«E io dovrei ritrovarli per voi.»

«Sarebbe gradito, sì. Specie per quanto riguarda il tesoro di Alftand, che mi farebbe felice non solo per la prospettiva della corona, quanto mi restituirebbe uno dei tesori di famiglia.»

«Ditemi cosa devo cercare.» disse scuotendo la testa: voleva solo uscirsene da sottoterra.

Per quanto ci fosse, in qualche modo, ricambio d’ossigeno, si sentiva soffocare. Il non vedere la luce del sole da giorni lo stava innervosendo e la presenza costante di un soffitto gli faceva venire paura che potesse crollargli addosso con tutto il peso delle montagne. E lì solo una dislocazione lo avrebbe salvato, oppure il Confine assoluto.

«L’incudine ingemmata di Alftand, il grande corno d’avorio di Mzulft e il segreto della lavorazione del marmo nero di Mzinchaleft.»

Nel sentire l’ultimo, gli occhi di Sylgja si illuminarono. Siirist temeva cosa le stesse passando per la testa.

«D’accordo, partirò appena sarò pronto.»

«Verrò con voi, Cavaliere d’Inferno.»

«Ti ho detto di chiamarmi Siirist e no, tu non vieni, resti qui.» disse prima a Durin poi a Sylgja.

La ragazza ridusse gli occhi a due fessure.

«Non puoi fermarmi.»

«Sai che posso e lo farò, se costretto. Può essere pericoloso, ricordi il millepiedi di Mzulft?»

«Ricordo bene come mi hai salvata. Io vengo, è qualcosa che mi interessa.»

«Scordatelo.»

«Quel segreto è il motivo per cui sono diventata una schiava. Ora voglio scoprire davvero se esiste, quindi non mi fermerai: è qualcosa che devo fare anche se mi uccide.»

La determinazione negli occhi della ragazza era così intensa da colpire Siirist nel profondo.

«D’accordo, Sylgja viene. Durin, aiutala a prepararsi con il necessario per la spedizione. Orik, ci serviranno provviste.»

«Lasciate fare a me, le troverete quando sarete pronti a partire.»

«Prima ho un dubbio che mi assilla da giorni e che voglio chiarire: come è possibile che l’ossigeno non venga mai a mancare qui sotto quando non ci sono ricambi d’aria?»

«È la roccia dei Beor: essa è traspirante, butta all’esterno l’aria consumata e allo stesso tempo ci porta aria fresca dalla superficie.» spiegò con un sorriso.

Finalmente aveva chiarito il mistero. Era una risposta molto più semplice di quanto si fosse aspettato e di certo qualcosa a cui non avrebbe mai pensato. Annuì e il nobile fece per allontanarsi, quando lo richiamò.

«Ah, Orik, avrei bisogno di cinque incudini, voglio andarmi a prendere una birra.»

«Prendetene dieci.»

«Grazie.»

«Dieci ti bastano per due birre. Non sette.» ammonì Sylgja.

«Non una parola di più e non ti portò sulla spedizione. Uhm, brava.»

Lasciò il palazzo e si diresse alla taverna di due giorni prima, per quanto pensare in giorni gli faceva così strano in un luogo dove il di’ e la notte erano inesistenti. Nel salire le scale a chiocciola del cilindro di Tronjheim, il mezz’elfo ebbe la sensazione di venire osservato. Compì una perlustrazione mentale, ma tutto ciò che trovò furono i cittadini che erano impegnati nelle loro faccende giornaliere. Immobile, con i piedi su due gradini diversi, continuò a guardarsi intorno, fino a che si scrollò di dosso quella sensazione fastidiosa e riprese il cammino.

Giunto alla taverna, fu nuovamente accolto da sguardi meravigliati, questa volta non perché fosse un “gambe-lunghe” a Tronjheim, ma perché era il Cavaliere dei draghi che aveva partecipato al Guanto d’acciaio e aveva sconfitto il più grande guerriero dei Beor.

«Non mi aspettavo di rivederti qui, o grande Cavaliere d’Inferno.»

«Io invece non posso dire di essere sorpreso di trovarti qui a bere, Oghren. Non fai altro?»

«Che altro c’è da fare?»

No, Siirist non riusciva proprio a vincere un’argomentazione con quel nano. Si sedette allo stesso tavolo e mise la gamba destra sulla panca per stare più comodo. Chiamò la cameriera per chiedere un boccale di birra gialla.

«Perché sei ancora a Tronjheim? Mi aspettavo che un abitante di superficie odiasse vivere sotto terra così a lungo, senza il vostro cielo.»

«E hai ragione. E pure l’odore non è dei migliori, specie quando ti sono vicino.»

«Felice che l’hai notato, vado fiero del mio aroma.»

«Mi ricorda le fogne di Skingrad, la mia città natale.»

«Potrei fare il bagno nelle fogne di una città umana. Dovresti andare a sentire quelle di Orzammar: la gente lì sa come si caga.»

Siirist ridacchiò. Diede cinque incudini alla cameriera che gli portò il suo boccale e bevve un sorso.

«Non dovresti ordinare la birra gialla: rischi di bere piscio.»

«Credo che me ne accorgerei.»

«Hehe, sfida accettata.»

Il mezz’elfo scosse la testa e prese un’altra sorsata.

«Per rispondere alla tua domanda, nano, sono ancora in questa fossa, senza offesa, perché ho un’ultima cosa da fare prima di ritornarmene in superficie.»

«E di che si tratta?»

«Devo solo andare in qualche posto e trovare qualche cosa.»

«Ci sarà da combattere?»

«È possibile.»

«Heh, vengo con te!» grugnì.

«E perché mai?»

«Pare che intorno a te ci sia da divertirsi e la mia ascia ha voglia di combattere. Dopo dieci anni l’hai portata in battaglia e l’hai a malapena usata. Ora è offesa e vuole farsi valere.»

Siirist trovò incredibile come quell’ubriacone fosse capace di sentire l’anima della sua arma. Ma non doveva essere tanto sorpreso, d’altronde il giorno prima lo aveva visto combattere contro le guardie Alftand: Oghren era certamente un guerriero di grande abilità. Si chiese come poteva essere quel Thjyr per aver sconfitto un portento simile.

«Non so se è una buona idea, ci sarà Durin.»

«Perfetto, allora lo scontro è assicurato!»

«È esattamente quello che voglio evitare.»

«D’accordo, prometto che ci combatterò solo dopo che avrò accertato che non c’è altro da uccidere.»

Ryfon fissò il nano.

«E va bene, prendi le tue armi dalla tua casa e vieni al palazzo reale appena sei pronto.»

 

Siirist stava affilando la spada di acciaio di Arcadia quando sentì bussare. Ad entrare fu Oghren che era stato accompagnato da uno dei soldati che aveva malmenato il giorno prima. Indossava dei vestiti anche più sporchi del solito, aveva l’ascia in mano e a tracolla teneva una corda con attaccato un grande otre.

«Mi prendi in giro. Non ti porti un’armatura ma dell’alcool?»

«Non ho un’armatura, mi è stata lasciata solo l’ascia, ricordi? E questa è se mi annoio.»

Siirist ridacchiò e scosse la testa: non c’era niente da fare.

«Siirist, io e Sylgja siamo... Cosa ci fa lui qui?» chiese Durin, la faccia che ricordava la versione pelosa di Alea intenta a guardare una cacata gigante di vacca ricoperta di mosche.

«Ci accompagnerà.»

«Spero vivamente voi stiate scherzando.» ora la sua espressione era quella che si poteva provare nel mangiare la suddetta cacca.

«Serissimo. È un ubriacone, ma ci sa fare quando si tratta di combattere. E poi lo trovo divertente.»

Il nano sbarbato strinse la mandibola, gli occhi impassibili.

«Come meglio credete.» e se ne andò.

Siirist legò la cintura con la spada che pendeva al fianco destro sopra alla sua tunica elfica verde chiaro, vi mise in mezzo anche la pistola, indossò i guanti, impugnò il fucile ed uscì dalla stanza, accompagnato da Oghren. Trovò Orik che lo aspettava con alcune sacche di provviste accanto a Durin e Sylgja. Lo sbarbato indossava un’armatura Alftand con un elmo leggermente troppo grande per lui. A tracolla aveva una cinta che reggeva un’ascia di mithril a due mani a doppia lama, entrambe a forma di trapezio isoscele con l’altezza di quindici centimetri, la base corta a contatto con l’asta. Era di buona fattura e forgiata con materiale di prima scelta. Su essa Ryfon notò essere impresso il sole Alftand: quella non era l’ascia di Durin. Con la perdita del suo onore, aveva perso il suo statuto nella casta dei guerrieri, dunque ogni sua arma gli era stata sottratta. Ma Orik gli aveva fornito una sostituta di tutto rispetto, anche se paragonata all’arma ancestrale dei Dorrak essa impallidiva. Sylgja indossava sopra ai suoi normali vestiti da abitante del deserto una veste di maglia di mithril che le stava corta e larga; alla vita aveva una cintura con le due pistole che aveva preso quando aveva lasciato l’automobile, a tracolla aveva una cinta a cui era stato legato un fucile e in mano reggeva il suo secondo fucile; sull’avambraccio sinistro reggeva uno scudo rotondo dal diametro di quaranta centimetri.

«Orik, potete fornire qualche pezzo d’armatura anche a Oghren? E io pure vorrei uno scudo, uno come quello di Sylgja o, anche meglio, più grande, diciamo sessanta centimetri?»

«Nessun problema.»

Diede l’ordine ad uno dei suoi sottoposti che subito corse via, sicuramente verso l’armeria. Siirist si rivolse a Durin.

«Non sto mettendo in dubbio la tua abilità con l’ascia e le tue doti da berserker, ma so che quando un guerriero si abitua a combattere in un certo modo, è dura cambiare stile. Fino ad oggi sei stato abituato ad usare la tua cintura con il golem e chi sa che altro: starai bene senza?»

«Sì, non vi dovete preoccupare. Ma vi sarei grato se mi deste anche qualche arma a Materia, quando lasceremo i Beor; Sylgja mi ha detto che ne avete molte di più fuori nel vostro mezzo di trasporto.»

«È così. Puoi prendere le mie, se vuoi.»

«No, è meglio che le teniate voi. Io non ci sono abituato, devo allenarmi per imparare a usarle, e avete detto che andare contro l’abitudine è difficile: voi siete abituato a usare la magia, immagino, e ora che non la potete usare, dovrete sostituirla con qualcosa.»

«Hai ragione.»

«Io potrei fornirvi delle granate.» propose Orik.

Siirist notò con piacere come Alftand si rivolgesse ancora allo sbarbato nella forma di rispetto, come se avesse ancora il suo onore. Ma se lo faceva perché veramente aveva una mentalità diversa dagli altri dodici nobili o se era solo per fare bella figura con colui che gli stava praticamente regalando la corona, rimaneva un mistero.

«Ve ne sarei riconoscente.» rispose Durin.

Orik fece un cenno ad un altro servitore che corse via nella stessa direzione del primo. In dieci minuti ritornarono tutti e due portandosi dietro tre elmi, diversi pezzi d’armatura e una cintura con legate delle granate.

«Anche le granate hanno al centro una gemma dell’anima?» chiese il mezz’elfo.

«No, una gemma dell’anima è difficile da scavare e costa molto. Le granate sono per lo più alimentate a polvere da sparo, e possono avere vari effetti, a seconda di cosa viene mischiato in mezzo alla polvere.»

Siirist non aveva la minima idea di cosa fosse questa “povere da sparo”, ma il tutto gli sapeva di alchimia.

«Sarei curioso di studiarla.»

«Il suo metodo di produzione è segreto, si tratta del tesoro di Raldbthar.»

«Sono un alchimista piuttosto abile, sono sicuro che, studiandola, riuscirei a capirci qualcosa. Oghren, hai trovato ciò che ti sta meglio?»

«Sì.» grugnì il nano dai lunghi baffi intrecciati.

Stava cercando di sistemarsi il mezzo elmo ma, spazientito, lo buttò via. Aveva indossato una corazza che arrivava a metà busto e metà braccio e aveva le protezioni per le spalle molto voluminose. Alle ginocchia aveva legato delle protezioni e alla vita un gonnellino di maglia. Dei parastinchi gli proteggevano la tibia, ma il polpaccio era privo di difese.

«Dovrà andare.» commentò Ryfon.

Oghren legò la sua ascia nella cinta a tracolla che gli era stata consegnata e si prese anche lui alcune granate.

«Queste liberano una nuvola di fuoco, queste una nube di fumo, queste generano solo un grande rumore, queste esplodono in una luce accecante.» spiegò uno dei servitori che aveva portato gli armamenti.

I due nani che avrebbero accompagnato Siirist e Sylgja presero un accendino a testa e tutti e quattro uscirono dal palazzo reale. Mentre salivano il pozzo cilindrico in cui era costruita Tronjheim videro alcune persone che lanciavano occhiate curiose.

«Io e Oghren non siamo più della casta dei guerrieri, non dovremmo poter indossare armi.» disse a bassa voce Durin.

«Non mi interessa. Oghren?» esclamò il mezz’elfo.

Per tutta risposta, il nano interpellato ruttò. Sylgja si fece aria davanti al naso, Durin chiuse gli occhi e serrò la mandibola, Siirist rise.

«Non avrei potuto dirlo meglio.»

Risalirono la lunga scala a chiocciola e arrivarono all’ingresso dell’interminabile galleria che raggiungeva Orzammar.

«Avrei sperato di percorrere questa strada per ritornare a Orzammar e uscire in superficie, non di fare avanti e indietro riportando dei tesori perduti a Tronjheim.» si lamentò Sylgja.

Ryfon le accarezzò la spalla: come era d’accordo. Incominciarono il lungo cammino, con Alftand che li aspettava per prima a destra, mentre Mzulft e Mzinchaleft erano a sinistra e si trovavano dall’altra parte della galleria. Dopo Alftand vi era una galleria a sinistra per Irkngthand e tra essa e quella per Mzulft a destra si apriva il passaggio per Raldbthar. Se necessario, si sarebbero riposati in una delle due città ancora vive. Camminarono per ore interminabili, con Oghren che faceva allusioni sconsiderate a Sylgja, lei che si offendeva e arrabbiava, Durin che rimaneva in silenzio e Siirist che perdeva la pazienza. Si fermarono spesso a riposare, più che altro per il bene della ragazza, e dopo gli dei sapevano solo quanto tempo, raggiunsero la galleria per l’antica sede del casato di Orik.

«Mi spiegate a cosa serve, poi, un’incudine ingemmata? Un’incudine è fatta per lavorarci sopra, non per fare da soprammobile carino.» commentò Oghren.

«Non è nel nostro interesse saperlo. Prima troviamo questi tesori, prima io e Sylgja possiamo tornare in superficie. Durin, spero ti ci abituerai presto.»

Alftand era l’esatto opposto di Tronjheim. Se la capitale era costruita verso il basso, la città morta tendeva verso l’alto. Tutte le città ad eccezione di Tronjheim avevano un tempo avuto terrazzi in superficie, ma da quello che poteva vedere Siirist, Alftand era strutturata per essere soprattutto una città alla luce del sole. Non per niente era stata la prima delle sette città ad essere abbandonata. Era costruita su piattaforme circolari, gli edifici erano sia sopra che all’interno di esse. Ogni piattaforma era collegata da dei ponti e da quella al centro si estendeva ciò che un tempo doveva essere stata un’altissima torre, ora distrutta. Camminarono su per i resti di un ponte che saliva con una pendenza di trenta gradi. Esso incredibilmente era ancora stabile, almeno nei punti in cui non era crollato, ma i quattro si mossero comunque con cautela. Salito il ponte e arrivati sulla prima piattaforma, Siirist notò pozzanghere attorno a tubature spezzate e rottami di automaton.

«Perché non ho visto automaton a Tronjheim?» chiese.

«Non sono sempre attivi. Se fate caso ad alcune pareti, vedrete degli scompartimenti metallici: è da lì che escono gli automaton quando percepiscono pericolo.» spiegò Durin.

«Ho fame...» si lamentò Sylgja.

Siirist annuì e diede l’ordine di accamparsi. Aprì una delle borse e prese una borraccia da cui trasse un profondo sorso. Lo fece seguire da un trancio di carne secca di nug. La ragazza gli chiese la borraccia e lui gliela passò; quando anche Oghren chiese di bere dell’acqua, il mezz’elfo ne prese un’altra dalla borsa.

«Non esiste che io tocchi con la bocca qualcosa che è entrato in contatto con le labbra di un altro uomo. Questa borraccia è per me e Sylgja, voi due userete quest’altra.»

«Non voglio la saliva di sbarbatello qui, preferisco la bellezza dalle gambe lunghe!»

«Lascia stare Sylgja.»

«E non fare l’ingordo! Hai detto di avere una donna fuori da questa montagne: lasciane anche per gli altri!»

«Ti ha detto di lasciarla stare: fossi in te farei come dice.»

Durin, evidentemente stanco delle parole volgari di Oghren, si era alzato e gli aveva puntato l’ascia contro. Il nano baffuto guardò lo sbarbato e nei loro sguardi Siirist vide gli animi di due guerrieri nati. Oghren prese un sorso dal suo otre e si alzò.

«Devo andare a pisciare.»

«Perché questo odio tra voi?» chiese Ryfon.

Durin si sedette con le gambe incrociate e l’ascia appoggiata sulle cosce.

«Non gli ho mai perdonato essere stato sconfitto nel Guanto d’acciaio. Eravamo grandi amici, era uno dei miei luogotenenti. Poi ha perso il suo onore. Per questo perse la sua posizione di guerriero, ma non il mio rispetto di amico. Per quello dovetti vederlo andare a sfidare Thjyr nel mezzo della piazza del quarto livello di Tronjheim. Era ubriaco. Thjyr e i suoi uomini si divertirono con lui, spingendolo da tutte le parti, picchiandolo. Alla fine lo lasciarono nudo in un vicolo. Ma dopo questo avvenimento non si diede per vinto e incominciò ad urlare insulti contro Thjyr per tutta Tronjheim e addirittura divulgò voci sul suo conto a Orzammar che raggiunsero persino gli umani di passaggio. Si è disonorato in modo imperdonabile e rifiuto di riconoscerlo come “Barba di fuoco” Oghren. Ora è solo un ubriacone che non merita il mio rispetto e il solo vederlo mi dà il voltastomaco.»

«Questo Thjyr deve essere incredibilmente forte per aver sconfitto Oghren.» commentò Siirist.

«Quanto un nug rigirato nel sugo. Thjyr, per tua informazione, “Roccia dei Beor”, è tutto ciò che ho detto di lui in passato. L’unico motivo per cui vinse fu quel veleno che mise nella mia birra che mi fece meno reattivo nel duello.»

«Lo eri perché eri ubriaco!»

«Prova a ripeterlo! Oh, hai mancato un pelo della barba: se vuoi ti aiuto a tagliarlo!»

Entrambi avevano le armi in pugno ed erano pronti a farsi a pezzi. Siirist si scambiò un’occhiata con Sylgja.

«Uno dei miei incantesimi consiste nell’incrementare la gravità attorno a un bersaglio. È uno dei miei incantesimi preferiti in circostanze simili. Non obbligatemi a usarlo, per favore, o sarà peggio per voi.» esclamò Siirist con falsa voce calma.

«Non ne vali la pena.» disse Durin, sedendosi e riponendo l’ascia dietro la schiena.

Oghren stava per rispondere quando vide il mezz’elfo alzarsi in piedi.

«Rialzati, Durin, la pausa è finita.»

I tre uomini lavorarono a spostare le macerie dalle strade mentre la ragazza rimaneva indietro a guardare. Impiegavano quasi un’ora ogni cinque metri. Se Siirist ripensava a come aveva trovato il tesoro nascosto e la stanza segreta a Ilirea, si innervosiva terribilmente. Con l’uso della magia avrebbe trovato tutto in dieci minuti e ora si starebbe rilassando nel suo harem nell’Akai goten. Quando i nani dissero di aver bisogno di riposo, il mezzo demone stava per arrendersi alla rabbia e fulminarli, ma si trattenne e concesse loro di fermarsi, ma lui continuò, più per disperazione che per altro: i suoi muscoli bruciavano ma nemmeno li sentiva. Voleva uscire da quelle gallerie, il suo malumore peggiorava ad ogni secondo e aveva bisogno di rivedere il sole e di sentire l’aria fresca sul viso. Se fosse uscito e avesse trovato la notte, probabilmente avrebbe imprecato contro gli dei e avrebbe distrutto una delle pareti rocciose che creavano lo spiazzo di fronte ai cancelli di Orzammar con un pugno. Non doveva pensare a questo, doveva solo trovare l’incudine ingemmata.

Dopo un tempo dalla durata ignota, perché Ryfon si sentiva solo più frustrato a tenere a mente il suo scorrere, i quattro avventurieri arrivarono ad una piazza che era stata già ripulita e quasi restaurata.  Un fuoco bruciava al centro. Qualcosa non quadrava e il settimo senso gli diceva che non gli sarebbe piaciuto ciò che stava per scoprire.

«Oh no...» grugnì Oghren.

Portò la sua mano sinistra oltre la spalla e la strinse attorno l’impugnatura secondaria della sua ascia; la estrasse dalla fondina della cinta a tracolla e portò la destra sull’impugnatura primaria, per poi farla seguire dalla mancina appena sotto. Durin pure aveva stretto la mandibola e impugnato la sua arma.

«Stai indietro.» disse Siirist a Sylgja.

Espanse il colore dell’osservazione e vide apparire i fantasmi di piccoli esseri che potevano essere scambiati per nani, se non per la pelle marroncina, la testa calva e i denti troppo appuntiti. Erano vestiti con stracci e qualche pezzo di armatura e brandivano armi nere, fatte di una qualche sorta di osso o esoscheletro e rinforzate con del metallo. Subito vennero affiancati dai fantasmi di frecce che saettarono accanto a loro, diretti ai quattro nuovi arrivati. Il mezz’elfo sguainò la sua spada e si mise in posizione per sferrare una tecnica di ittouryuu che avrebbe avuto abbastanza forza da spazzare via le frecce e, con un po’ di fortuna, reindirizzarle verso gli aggressori. Aveva nove secondi rimasti, otto. Sapeva quanti nemici e quante frecce sarebbero arrivati, conosceva le loro posizioni. Fece un passo di lato per avere meglio in vista il punto in cui avrebbe dovuto liberare il suo attacco. Sei secondi. Se solo avesse potuto usare la magia. Ruotò ancora di più il busto verso destra, la lama che sfiorava il suo fianco. Zero secondi. Eccoli. I nemici si riversarono nella piazza da un’apertura in un edificio dalla parte opposta. Correvano in maniera strana, zompettando come fossero in preda ad una qualche euforia, come camminassero su tizzoni ardenti, con le ginocchia che saltavano verso l’alto. E ecco arrivare le frecce, precise come i rutti di Oghren. Siirist attese un secondo e menò il suo tondo dritto rovescio in un’esplosione di emozioni avvolte attorno la lama e liberate dalla punta. Le frecce furono come colpite da un uragano e si dispersero. Una colpì una delle creature in una coscia, un’altra ne colpì una seconda nel petto. Altri cinque mostri, quelli più vicini, subirono le conseguenze dell’attacco del mezzo demone. Il resto degli aggressori parve esitare un momento ma ripartì subito alla carica. Sylgja sparò qualche colpo con il suo fucile, colpendo i nemici in testa, Durin e Oghren si circondarono della loro aura rossa e partirono alla carica, ma ormai erano rimaste poche creature e se ne sbarazzarono in breve. Era stato facile. Qualcosa continuava a non quadrare: le reazioni dei due nani quando avevano intuito la possibile presenza di quelle creature non era giustificata dalla misera forza che esse avevano dimostrato, e non serviva il settimo senso del ladro per dirgli che c’era dell’altro che non sapeva.

Aprì la mente per controllare che non ci fossero altri nemici nelle vicinanze e, assicuratosi di essere al sicuro, rinfoderò la spada. Gli arcieri si dovevano essere ritirati, almeno per il momento. Si complimentò con Sylgja per la mira e la prese per mano per proteggerla meglio in caso di un eventuale attacco a sorpresa mentre si incamminava verso i nani. Voleva sapere cosa fossero quelle creature.

«Non dovrebbero essere qui, dovrebbero essere più in profondità...!» disse quasi disperato Durin.

Ryfon vide che era terribilmente spaventato e Oghren era lo stesso. Questi prese il suo otre e ne trasse una lunga boccata. La passò allo sbarbato e Siirist rimase sorpreso nel vederlo bere. Sì, la situazione era certamente più grave del previsto.

«Cos’erano?»

«Dei maledetti leccapietre con il cervello più peloso del culo di un bronto.» rispose Oghren tra due profondi sorsi di birra.

«Gradiresti fornire una spiegazione più esplicativa, Durin?»

«Noi non conosciamo molto del mondo esterno e non siamo capaci di usare la magia, ma da quello che ci viene raccontato, sappiamo che a usarla si rischia di diventare dei mostri, mi sbaglio? Potrebbe benissimo essere un’esagerazione nata dall’odio e la mancanza di fiducia che noi nani proviamo verso gli abitanti della superficie.»

Siirist suppose che con “mostri” lo sbarbato si riferisse agli esseri corrotti dagli spiriti.

«No, non con la magia, ma con la stregoneria. Essa è l’arte di evocare gli spiriti che formano il mondo materiale e comandarli. Ma se sono troppo forti per la mente dello stregone, egli finirà posseduto e corrotto. Gli elfi diventano ciò che viene chiamato elfo oscuro, un umano diventa uno spettro.» spiegò Siirist.

Non fece domande perché era sicuro che Durin avesse una buona ragione per fare un parallelismo.

«Non ho ben capito, mi spiegherete un’altra volta. Tornando ai knurlock, le creature che abbiamo appena ucciso, essi sono nani trasformati. Noi non corriamo il rischio di venire corrotti da questi “spiriti” che avete menzionato perché non abbiamo doti magiche, ma non significa che siamo esenti da pericoli simili. Da quello che avete detto, immagino la superbia sia la causa di una possessione per uno stregone: per noi è la tentazione. Abbiamo scavato molte gallerie nelle profondità della terra, chiamate Vie Profonde. Esse servivano per collegare i thaig delle sette città che, chilometri sotto ai nostri piedi, erano molto più estesi dei thaig oggi rimasti. Il motivo della loro caduta sono i knurlock. Le gemme dell’anima grezze sono un agglomerato intenso di energia del Flusso vitale e se non maneggiate con cura, finiscono con l’attrarre i minatori che ci entrano in contatto diretto. Quando Oghren li ha chiamati “leccapietre” usava il termine più comunemente utilizzato per indicare un nano che è stato corrotto da un’esposizione diretta con il Flusso vitale, perché entrare in contatto orale con le gemme dell’anima grezze è uno dei modi più frequenti e pericolosi per venire corrotti. I knurlock si dividono in tre categorie: i genlock, che sono ora qui morti, gli hurlock e gli sharlock, ognuno più forte del precedente, ognuno nato da un’esposizione più forte al Flusso vitale. Gli hurlock hanno dimensioni più simili a quelle umane che alle nostre e gli sharlock... Nemmeno so da dove iniziare. Li riconoscerete per i loro urli acuti e hanno la capacità di muoversi istantaneamente. Pregate le vostre divinità protettrici che non li incontriamo. Ma tutti e tre hanno in comune la capacità di contagiare coloro che entrano in contatto con il loro sangue e la sola saliva  velenosi: uccidono o trasformano, a seconda se la persona è forte abbastanza da resistere. Ma io sceglierei la morte.»

«Prima hai detto che dovrebbero essere più in profondità.»

«Sì. Come ho detto, in tempi antichi hanno preso possesso delle Vie Profonde e per impedire loro di avanzare abbiamo sigillato i quattro livelli più bassi di thaig. Non so come, ma devono aver trovato un modo di salire fin qui. Abbandonare queste città e lasciarle incustodite è stata una pessima idea, c’è il rischio che anche Mzulft e Mzinchaleft siano invase da genlock.»

«Sperando siano solo genlock.» aggiunse Oghren con un tono di profondo timore.

No. Per quanto Siirist lo conoscesse da poco, aveva capito che Oghren non era il tipo da aver paura del nemico. Doveva esserci di più.

«Che succede se non sono solo genlock?»

«I genlock sono i ricognitori dei knurlock. Poche donne fanno parte della casta dei minatori dunque ancora meno finiscono con il diventare knurlock. E ogni donna si trasforma in una shelock, più o meno grande, in base al livello di esposizione. Esse sono preziose per i knurlock, dunque le difendono con tutte le loro forze.»

«Sono chiamate anche “madri di nidiata”. Sono orribili globi tentacolosi che non fanno che accoppiarsi con i maschi knurlock per produrne di nuovi. Sono le uniche femmine con cui non mungerei mai la branta.»

Siirist suppose che la “branta” fosse la femmina del bronto (animale che era diventato curioso di conoscere) e che quella fosse l’ennesima allusione al sesso del nano dai lunghi baffi intrecciati. Ma quello non era il momento di pensare agli animali che vivevano nelle viscere dei Beor.

«Quindi se incontriamo altri tipi di knurlock...» iniziò a dire il mezz’elfo.

«Significa che c’è una shelock ad Alftand e quindi si sono stabiliti qui. E questo può solo voler dire un’invasione.» concluse per lui Durin.

«Che cosa vogliono? Sono intelligenti? Si basano solo sull’istinto?»

«Vogliono mangiare e hanno una naturale tendenza ad andare in alto, questo significa che vogliono salire in superficie. Sono immortali, non hanno bisogno di sostentamento, ma sono sempre affamati.»

«E i loro gusti non sono per i nug.» disse Oghren.

«Nani e altri bipedi, immagino.»

«Ma non le donne. Hanno un minimo di intelligenza, se catturano le donne le trasformano in shelock.»

«Non voglio diventare tentacolosa...» piagnucolò Sylgja.

Ryfon la rassicurò con una stretta sulla spalla.

«Non è detto che la contaminazione da esposizione al Flusso abbia effetto anche sugli umani.»

«Allora non voglio essere mangiata!» protestò ancora.

Il biondo ridacchiò.

«Per ora continuiamo, abbiamo l’incudine ingemmata da trovare. Se incontriamo altri knurlock, li uccideremo come abbiamo fatto con questi genlock e è senza dubbio che ce ne siano di più, visto che gli arcieri di prima sono scappati.» disse il mezz’elfo.

Riprese il cammino e si diresse verso l’apertura da cui erano usciti i nani corrotti. I vicoli, che più che altro parevano corridoi, erano stati già sgombrati dalle macerie (quasi, quasi Siirist si sentiva di ringraziare i knurlock) e l’illuminazione era scarsa e dovuta ai cristalli luminescenti. Siirist non aveva problemi a muoversi con i suoi occhi elfici e immaginò che pure i nani fossero abituati a vedere nella penombra. L’unica in difficoltà era la ragazza umana, che il mezz’elfo tenne accanto a sé. Siirist teneva la mente aperta e notò diverse coscienze primitive che correvano verso il punto da dove erano passati poco prima e si dirigevano verso la piazza. Non riusciva a credere di essere stato tanto stupido.

«Tutti indietro, abbiamo aperto la strada ai genlock che ora stanno ritornando alla piazza!» esclamò.

Sollevò Sylgja e partì di corsa. Raggiunse la piazza in meno di un minuto e vide gli ultimi genlock del gruppo che aveva percepito andare oltre la strada che lui e i nani avevano liberato dalle macerie. Stava per afferrare la sua pistola ma fu preceduto da Sylgja che sparò un colpo del suo fucile, colpendo la creatura sulla schiena e facendola capitolare. Siirist sorrise e fece qualche altro passo prima di liberare il colore dell’intimidazione e investire i nemici. Essi svennero tutti. Posò Orla a terra e sguainò la sua spada. La passò nei colli di tutti i genlock, recidendo loro la colonna vertebrale. Si voltò verso i due nani avvolti dall’aura rossa appena giunti e chiese loro se quello era un metodo efficace per ucciderli. Alla loro risposta affermativa ripose la spada.

«Può andare anche per un hurlock. Non per uno sharlock, quelli vanno proprio fatti a pezzi, e piccoli, altrimenti si rigenerano. E non conosco altro modo per eliminare una shelock al di fuori del fuoco.»

Ryfon pensò con nostalgia al suo amato fuoco d’Inferno. Forse era il caso di provare quel fucile che si era portato dietro e vedere se davvero sparava colpi di fuoco. Era odioso quanto fosse difficile percepire l’energia di una Materia.

‹Se fossi lì non ci sarebbero problemi.› gli disse il suo compagno mentale.

‹No. Mi manchi, sai?›

‹Anche tu. C’è il rischio tu abbia bisogno di usare la magia.›

‹Lo so, ma è la mia ultime soluzione. Chi sa se un’illusione di fuoco può bastare?›

‹Non lo so, forse un’illusione reale sì.›

‹Quella viene dopo la magia in quanto a ordine di utilizzo. Mi affatica troppo, usarla in aperta battaglia sarebbe difficile.›

‹Ma se pensavi di usare l’Esercito eroico contro Durin!›

‹Era diverso! Era un unico nemico e pensavo solo a quanto sarebbe stato fico!›

‹Idiota.›

‹Intanto controllo se questo fucile spara davvero fuoco.›

Lo slegò dalla borsa e lo imbracciò. Si ricordò quando era stato anni prima a Kvatch e il capitano delle guardie gli aveva insegnato come usare quelle allora innovative armi. Ora pareva che chiunque nell’Impero Septim possedesse armi a Materia. Puntò il fucile contro uno dei cadaveri di genlock e premette il grilletto; dalla bocca partì una sfera di fuoco che investì il nano corrotto, ricoprendolo completamente di intense fiamme che gli ardevano la carne, riempiendo l’aria di odore di bruciato. Il mezzo demone sorrise soddisfatto: non era la sua arte della Vampa o nemmeno il suo più basilare fuoco d’Inferno, ma poteva andare.

‹Non c’erano altri fucili con la stessa Materia?› chiese Rorix.

‹Sì.›

‹Valli a prendere.›

Siirist guardò verso la strada che con poca fatica ma tanto tempo aveva sgomberato. Sospirò e incominciò a lavorare per bloccarla di nuovo con le pietre cadute, aiutato dai nani.

«Sbrighiamoci a trovare questa incudine ingemmata. Quando l’avremo trovata, Durin, tu dovrai tornare a Tronjheim per darla a Orik e dirgli della presenza di knurlock qui a Alftand, sperando che ci siano solo genlock. Noi tre proseguiremo: se ci sono genlock, o altri, qui, è possibile che abbiano invaso anche le altre due città abbandonate. Oghren, ti incarico di proteggere Sylgja, ti lascio il mio fucile e lei ti insegnerà come usarlo. Mentre voi vi dirigete a Mzulft, io correrò il più veloce possibile a Orzammar e andrò a prendere altre armi a Materia di fuoco (ce ne sono altre quattro) dall’automobile per poi tornare subito da voi. Nel caso non tornassi indietro prima, fermatevi alla deviazione per Mzulft, non proseguite oltre.» disse durante il lavoro.

«Va bene.»

Quando ebbero finito, i quattro si rimisero in cammino. Ritornarono al punto in cui si erano fermati per correre di nuovo alla piazza e proseguirono. Dove non vi erano cristalli luminescenti, ci pensavano dei falò ad illuminare la altrimenti oscurità assoluta. Durin spiegò che erano i knurlock ad accenderli. Quell’informazione risultò interessante per Siirist: nonostante vivessero nelle profondità e subissero delle mutazioni fisiche, la loro vista rimaneva quella dei normali nani. Gli vennero in mente almeno qualche dozzina di modi diversi di sfruttare quella debolezza dei knurlock, ma nessuno era utilizzabile senza l’ausilio del misticismo e al tempo stesso in presenza degli altri. Con un incantesimo di oscurità avrebbe, infatti, potuto privare l’ambiente della sua illuminazione, ma permettere ai suoi compagni di vedere. Avrebbe potuto estinguere i fuochi manualmente e muoversi nel buio (grazie al settimo senso o alla sua vista da demone non avrebbe avuto problemi), ma gli altri tre sarebbero stati vulnerabili. Allora pensò di creare un’illusione che avvolgesse i nemici in un’apparente oscurità. Non riusciva mai a capire perché la soluzione delle illusioni fosse sempre fra le ultime che gli veniva in mente quando il grimorio di Adeo era stato quello studiato per primo. Ma lui rimaneva un mistico improntato sulla magia e non uno stregone o un utilizzatore della mente, era solo naturale pensare alla magia come lo era alla spada. Si ripromise di utilizzare le tecniche mentali come arma primaria in uno dei suoi riequipaggiamenti futuri.

‹Puoi anche provare a schiacciare la mente di questi insulsi esseri e farli combattere l’uno contro l’altro.› suggerì Rorix.

Mai come in quel momento drago e Cavaliere si pentivano di non stare insieme e di nuovo l’Inferno aveva interrotto i suoi allenamenti per vegliare sul suo compagno mentale. Ma non come nel Guanto d’acciaio, questa volta con una vera apprensione che gli attanagliava la mente, così forte che Ryfon la sentì cozzare con la propria psiche.

‹Se serve rilocami immediatamente al tuo fianco.›

‹Se finisce che devo usare la magia, faccio prima a bruciarli anziché usare una dislocazione. Oppure semplicemente uso i miei poteri demoniaci: dubito altamente che i nani li sappiano distinguere dalla magia; sappiamo per certo che un uso di energia magica attira l’attenzione del Consiglio, ma non è detto che anche l’energia demoniaca lo faccia, è solo un sospetto. Se costretto, andrò per i poteri demoniaci, con le scintille del fulmine posso anche dar vita a fiamme, volendo, anche se non posso controllarle senza magia.›

‹Se finisci con il doverli usare, spero che il Consiglio non rintracci anche energia demoniaca, sarebbe peggio che usare la magia.›

 

Camminarono per almeno qualche altra ora, come disse Rorix che osservava lo spostamento del sole nel cielo, e quando esso fu calato oltre i monti che circondavano il nido degli Inferno, consigliò al suo Cavaliere di sostare e riposarsi. Egli annuì mentalmente ma attese di trovare un posto adatto prima di dar l’ordine di fermarsi. Quando raggiunsero un anfratto che un tempo doveva essere stata una piazzetta fra qualche edificio vicino, comunicò agli altri la sua decisione di accamparsi. Essa fu accolta con gioia da un’esausta Sylgja, ma i due nani si opposero fermamente. Era chiaro avessero una paura innata dei knurlock, non tanto di quelli incontrati ma di quelli che rischiavano di incontrare, e non avrebbero certo dormito bene in quel luogo.

«Meglio, così non vi addormenterete durante i vostri turni di guardia. Accenderemo dei fuochi lungo la strada, così che non potranno coglierci di sorpresa.»

Fecero come detto dal mezz’elfo e accesero diversi falò usando la nederite, una pietra altamente combustibile ma che mai si esauriva, che i nani usavano per i loro focolari. Poiché gli sharlock erano capaci di muoversi lungo le pareti, la nederite fu affissa anche lungo esse e un grande viale illuminato proteggeva ora gli avventurieri da un’eventuale imboscata. Posizionarono quattro ciocchi di nederite vicino alla parete di fondo e con essa crearono il fuoco del loro accampamento e presero le provviste da una delle sacche. Mangiarono pressoché in silenzio, compreso Oghren, tutti in ascolto per un possibile attacco, Siirist che teneva settimo senso e colore dell’osservazione all’erta, la mente estesa per percepire coscienze in avvicinamento e diversi occhi mentali che osservavano direttamente le buie strade dell’antica città.

Ad un certo punto Durin guardò verso l’altro nano.

«Ti manca mai essere un guerriero? Non hai mai fatto nulla per riacquistare il tuo onore.»

«A volte. Poi bevo e passa tutto.» disse secco, chiudendo lì la breve conversazione.

Ma Siirist notò che, da quando avevano lasciato la piazza, il nano dai lunghi baffi intrecciati non aveva toccato più il suo otre, e dubitava che fosse perché l’aveva già svuotato. Quando tutti ebbero mangiato, divisero i turni di guardia in tre e Oghren fu il primo a rimanere appostato. Il nano sbarbato stese la sua coperta accanto ad una parete e si addormentò subito. Era evidente il suo addestramento marziale che gli permetteva di dormire a comando, poiché in guerra bisognava sfruttare ogni secondo possibile per riposare. Bene, significava anche che si svegliava al minimo segno di pericolo.

Accanto alla parete opposta, Sylgja aveva preparato il suo giaciglio ma era chiaramente troppo impaurita per dormire, così Siirist stese la sua coperta accanto a quella della ragazza e la prese fra le sue braccia. Ella si addormentò in poco con lui che le accarezzava il capo. Con il settimo senso a fior di pelle, anche il ladro si addormentò, conscio del fatto che i suoi istinti lo avrebbero svegliato al primo segno di pericolo. L’ultimo suono che sentì fu quello di un affettato battito d’ali che si allontanava, che confuse con quello delle proprie ali nel suo sogno.

 

 

 

~

 

 

 

Ups. Mi sono dimenticato di aggiornare ieri! Scusate tanto!

Il prossimo capitolo si intitola LE VIE PROFONDE e Siirist scoprirà i limiti della sua resistenza.

Ritorna all'indice


Capitolo 71
*** LE VIE PROFONDE ***


 

LE VIE PROFONDE

 

Siirist si svegliò a causa di un rumore che pareva il crollo del soffitto e trovò Durin di guardia. Sembrava tranquillo, come se quel rumore assordante non lo intimorisse. Il mezz’elfo spostò lo sguardo... e capì.

«Che succede?» chiese preoccupata Sylgja, svegliandosi.

«Torna pure a dormire, è solo Oghren che russa.»

«Come se fosse possibile...» commentò infastidita.

Sbadigliò, si stiracchiò e si mise in piedi. Aveva ragione, quel rumore era insopportabile. Siirist aveva sempre odiato il russare delle persone e fra i ricordi più odiati di quando era ancora alla Rocca erano le notti insonni causate da Gilia, fino a che Alea, dall’alto della sua perfezione elfica e la sua amabilità paragonabile ad un’arpia di ghiaccio con il ciclo mestruale e una spina infilata nella spalla, gli aveva lanciato un incantesimo organico per impedirgli di russare. Considerando il caratterino della altmer i primi tempi che avevano incominciato a vivere insieme, il moro era stato fortunato a non ritrovarsi ibernato in un blocco di ghiaccio. Siirist ancora tremava a ripensare a come fosse stata la sua amata prima di aprirsi con i due umani. Ma il suo fascino non aveva impiegato molto per colpire, hehe!

Si mise a sedere con le gambe incrociate e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, osservando con espressione vuota il nano che felicemente era steso sulla schiena, la braccia aperte ai lati, l’otre nella sinistra e l’ascia nella destra e la pancia che si alzava e abbassava ad ogni inspirazione ed espirazione, il tutto accompagnato da quel rumore cavernoso come il brontolio dello stomaco di Rorix.

«Fa più rumore del barrito di un olifante.» disse Durin.

«Ho sentito di questi olifanti, ma non ne ho mai visto uno. Sono come elefanti ma molto più grossi e con quattro zanne, vero?» chiese Ryfon.

«Forse. Potrei rigirare la domanda a voi: gli elefanti sono come gli olifanti ma molto più piccoli e con... Quante zanne?»

«Due.» ridacchiò il mezz’elfo.

«Gli olifanti vivono nelle vallate in mezzo ai Beor. È già tanto che sappiamo degli animali che vivono in superficie all’interno del nostro territorio, non aspettatevi che possiamo aver sentito delle creature che abitano il resto di Tamriel.»

«Hai ragione, scusa. Ci sono olifanti anche a Ivalice. Purtroppo quella è l’unica terra di Tamriel dove non sono ancora stato.»

«Avete fatto menzione di Hellgrind quando siete venuto ad incontrare mio padre.»

Siirist sorrise nel sentire il nano riferirsi a Glorgur a quel modo: doveva aver capito di smettere di dire di non avere una famiglia, almeno non quando era in presenza sua.

«Sì, sono stato anche lì. Ti racconterò tutto quando avremo lasciato Orzammar.»

«Come desiderate.»

Il biondo vide come Sylgja stesse cercando di dar fastidio a Oghren, punzecchiandolo e solleticandolo. Stava per passare a maniere più estreme come il rovesciargli addosso il contenuto del suo otre, ma il nano sbarbato la fermò.

«Non è consigliabile farlo: Oghren non ama che si sprechi la sua birra, specie quando ne è rimasta poca e anche se a farlo è una donna. Nel sonno avvertirebbe che qualcuno gli sta toccando l’otre e ti scambierebbe per un ladro: guarda bene cos’ha nella destra, non è lì solo per bellezza.»

Alla vista della lama perfettamente affilata dell’ascia, Sylgja annuì e si allontanò per tornare a sedersi.

«Dove posso andare a fare pipì?» chiese al mezz’elfo.

«Sto controllando. Ne ho bisogno anche io. Durin, voi nani come vi comportate con i bisogni fisici?»

«Dipende. Oghren non ha problemi a ruttare, scoreggiare o anche orinare davanti a tutti. Almeno ci risparmia la vista delle sue defecazioni. Io mi trattengo da certe cose in pubblico, anche se ci sono occasioni in cui i rutti fanno parte del nostro costume, come ad esempio durante i banchetti di grande importanza dove si beve molta birra e è comune che tutti ci ubriachiamo. Considerando che Oghren è sempre ubriaco, trovo normale che rutti sempre.»

«Capisco. Qualche consiglio su dove andare ora?»

«Dopo il cambio di guardia e prima di addormentarsi, Oghren voleva orinare qui sul posto, ma gli ho detto di andare in quell’edificio dove ero precedentemente andato anche io. C’è una latrina non ridotta troppo male e ancora utilizzabile.»

Siirist aprì la mente e si assicurò che non ci fosse alcun pericolo. In ogni caso accompagnò la ragazza e dopo che lei aveva fatto i suoi bisogni, lui fece lo stesso. Al loro ritorno, Orla incominciò a preparare qualcosa da mangiare (non che le sue abilità culinarie fossero da lodare, visto che per otto anni aveva passato i giorni a ballare, intrattenere gli “amici” di Stig e dormire, ma ora voleva imparare) mentre Siirist organizzava le loro cose per ripartire. Quando il cibo fu pronto, una calda zuppa preparata con pezzi di carne di bronto e verdure sia dei Beor che importate tramite il mercato di Orzammar, Durin svegliò l’altro nano e tutti e quattro mangiarono.

«Prossima volta metti un po’ meno sale.» consigliò il mezz’elfo.

«Me ne sono accorta...» rispose Sylgja facendo una boccaccia.

Oghren mandò giù tutto come il bidone che era, ma Siirist era sicuro che avrebbe mangiato anche gli escrementi di un cinghiale della Yaara Taure se conditi adeguatamente.

Si rimisero in marcia e spensero e raccolsero la nederite che avevano disseminato. Impiegarono qualche ora, ma esplorarono tutta Alftand. Niente, dell’incudine ingemmata non c’era traccia.

«Potrebbe essersi rotta? Forse è davvero una causa persa.» suppose Sylgja.

«Speriamo di no. Fortuna che abbiamo anche un’altra ragione per continuare a esplorare.» rispose Siirist indicando i resti scheletrici di qualche creatura.

«Ah, le tracce del passaggio di knurlock, che piacere.» ironizzò Oghren.

«Sembrano goblin di caverna. Sembra i knurlock abbiano trovato qualche cosa con cui soddisfare la loro fame senza dover raggiungere le nostre città.» analizzò Durin.

Alla parola “goblin”, Ryfon ebbe un brivido. Ma guardando gli scheletri, non avevano niente a che vedere con i daedra a cui il mezz’elfo era abituato.

«Sono piuttosto freschi.» osservò.

«Devono essersi portati le provviste per il viaggio. I knurlock sono soliti catturare le loro prede vive se non le vogliono mangiare subito.» spiegò il nano sbarbato.

«Così le possono portare con sé e ucciderle quando necessario. Capisco, sono furbi.»

«E si stanno preparando per un’invasione. Quei merdosi rifiuti di millepiedi dei genlock si portano dietro le provviste solo quando devono esplorare per molto tempo. Stanno studiando Alftand, il resto dei knurlock deve essere in avvicinamento.» concluse Oghren.

Era serio e concentrato, l’otre al suo fianco e non in mano: quello doveva essere il suo lato guerriero, colui che Durin aveva un tempo chiamato amico.

«Siirist, vi ho detto che i knurlock sono nani corrotti, giusto? Quando umani o elfi vengono corrotti, che succede?» chiese il nano sbarbato.

«Se non riprendono il controllo dei propri corpi, il loro volere è annientato da quello degli spiriti. Gli spiriti sono la parte immateriale del mondo materiale, cose inconsistenti che sono a metà tra il nostro mondo e il nucleo del Flusso. Essi desiderano avere un corpo materiale per muoversi a piacimento. E quando lo fanno di solito non sono gli esseri più socievoli che potete conoscere.»

«Quindi non sono più considerabili umani o elfi?»

«Mentalmente no, almeno fino a che (se) riescono a riprendere possesso delle loro menti.»

«Ecco un’altra diversità nelle nostre corruzioni, allora. I knurlock rispecchiano i lati negativi dei nani e ne alimentano i desideri. Noi amiamo mangiare, essi mangiano di tutto. Amiamo combattere, essi sono aggressivi. Ma più di tutto...»

«Amate le cose preziose! È possibile che l’incudine ingemmata sia stata presa da loro!» capì Sylgja.

Durin annuì e Oghren grugnì.

«Suppongo dovremo andare nelle Vie Profonde, allora.» sospirò Siirist, la destra che stringeva il fodero sotto la guardia della spada.

‹Forse è il caso di andare a prendere gli altri lanciafiamme. Adesso, magari?› suggerì Rorix.

‹Se finiamo con l’affrontare un’intera orda di knurlock, qualche altro stupido fucile non sarà sufficiente, specie con i nani che non li sanno usare. Ora tu pensa a imparare la lingua dei draghi, io mi occupo dei problemi qui ai Beor. Ricorda che non si torna a Vroengard finché hai fatto, quindi smetti di distrarti.›

Rorix si arrabbiò al modo di rispondere del suo Cavaliere e si ritirò, interrompendo ogni comunicazione telepatica. Il mezz’elfo sospirò ancora e si incamminò lungo le strade di Alftand che sempre più discendevano, seguito dagli altri tre.

Più andavano in profondità, più le pietre che costituivano la città nanica diventavano antiche e sporche, fino a che raggiunsero, attraverso una via laterale, una galleria che tutto pareva tranne che roccia. Siirist si sentì come all’interno dell’intestino di un mostro gigantesco e l’odore pure dava quell’impressione.

«Che roba è?» chiese analizzando la sostanza organica attaccata alle pareti, il pavimento e il soffitto.

«Quasi, quasi rimpiango lo sperma...» mormorò schifata Sylgja.

«Ti avevo detto di non venire...»

Lei fece una linguaccia.

«Per tutte le rocce friabili e le barbe degli antenati.» disse poco felice Durin.

«E i capezzoli delle antenate...» aggiunse Oghren.

«Anziché imprecare, spiegate cos’è questa schifezza.»

«Residui di nidiata. Siamo vicini ad un nido di knurlock.» spiegò il nano sbarbato.

«No, il nido è stato spostato. Questi liquami di sedimentazione sono secchi e se osservi bene vedi che formano una scia.» corresse l’altro.

Durin tornò indietro fino a dove la galleria non era rivestita da schifezze knurlock e mise una mano nuda sulla pietra.

«Questa galleria va verso nord.»

«Mzulft?» suppose Sylgja.

«È probabile.»

«I knurlock servono le shelock, giusto?» si assicurò Ryfon che aveva un’idea.

I due nani annuirono.

«Possibile che abbiano portato l’incudine ingemmata a lei?»

«No. La servono con cibo e protezione, ma qualunque knurlock trovi un tesoro, specie i genlock, che mantengono più le caratteristiche istintive dei nani, se lo tiene per sé. Spesso si combattono per il possesso.» rispose Durin.

Siirist ringhiò furioso, il che allarmò i due nani, ma il mezzo demone non se ne curò. Sperava che trovando il nido dei knurlock potesse trovare l’incudine. Entrò in stato di calma assoluta e ampliò al massimo il colore dell’osservazione assieme a innumerevoli occhi mentali. Purtroppo le mura del thaig erano numerose e spesse e più distanza il Cavaliere metteva tra sé e i suoi punti di osservazione, più ciò che vedeva appariva confuso. Quando infine ebbe concluso la sua perlustrazione, aveva trovato diciannove gruppi di genlock, alcuni pure accompagnati da quelli che pensò fossero hurlock. Quelli che aveva visto più chiaramente non avevano con sé l’incudine, ma non poteva esserne certo per gli ultimi otto. Comunicò la notizia ai compagni e tutti concordarono che fosse saggio andare a controllare di persona. Con qualche dislocazione, Ryfon avrebbe finito tutto nel giro di un minuto, invece gli toccava perdere tempo prezioso a camminare attraverso i bui cunicoli dei quartieri abbandonati. I nani avevano acceso delle fiaccole di nederite e il mezzo demone usava la sua vista da vampiro, con la ragazza stretta a sé.

Dopo qualche minuto che camminavano il più silenziosamente possibile, il settimo senso disse a Siirist che c’erano guai in avvicinamento e che erano armati e pericolosi. Apparvero quattro genlock e due hurlock. Questi erano imponenti, alti e muscolosi come Gilia, ma con la pelle putrefatta e in decomposizione. Erano privi di orecchie, non avevano il naso ma solo un buco e le labbra erano secche e giallastre. Ma i loro occhi erano vivissimi. Erano dei pozzi neri, ma Siirist ne sentiva lo sguardo penetrante, come quello di una bestia feroce appena messa in gabbia.

«Quei cosi erano nani? Sembrano più umani trasformati.»

«Puoi chiederglielo, se vuoi. Magari li puoi invitare a bere un boccale di birra o vi potete intrecciare la barba a vicenda.» ironizzò Oghren, l’ascia alla mano.

«Non hanno barba.»

«Nemmeno tu, se è per questo. Forse potete provare con i peli del culo, ammesso che ce li abbiate.»

Il nano corse verso i knurlock e falciò i primi genlock con un colpo della sua possente ascia. Un secondo attacco fu bloccato dalla spada di un hurlock, ma Oghren si circondò della sua aura rossa e spazzò via l’avversario.

«Non sembrano tanto forti.» commentò Siirist.

«Perché sono contro Oghren. È lo stesso discorso che con noi due. Dovessero invadere le nostre città, in pochi sopravviverebbero.» puntualizzò Durin.

Giusto. Siirist annuì e continuò a guardare come il berserker falciava i knurlock. Quando saltò in aria con l’ascia sollevata oltre la testa, l’asta a contatto con la schiena, e la abbassò di colpo per tagliare in due l’ultimo hurlock, Ryfon ne sentì la forza dell’impatto anche a distanza. Il nano ritornò a terra pesantemente piegando le sue corte gambe. Scosse la sua arma per togliere il più possibile del sangue e delle interiora rimasti attaccati e la ripose dietro la schiena. Il mezz’elfo ringraziò che le sue armi, le sue vere armi, si liberassero automaticamente dello sporco.

«Dovresti pulirla meglio: conosci il rischio che comporta avere vicino sangue di knurlock.» lo ammonì Durin.

«E tu sai bene che ne sono immune.» rispose sbattendo il pugno contro la spalla sinistra.

Dorrak annuì e pronunciò un verso di consenso.

«Che significa?» chiese Siirist.

«Che qualche anno fa ho avuto un incidente con un sharlock e sono stato corrotto. I nostri guaritori mi hanno salvato in tempo e sono riusciti a rallentare il processo, ma sono irrimediabilmente infetto. È solo questione di tempo prima che la corruzione mi contamini tutto e mi uccida. Sperando che lo faccia e che non mi trasformi in uno di loro.» disse indicando oltre la spalla.

«Quanto tempo hai?»

«Un secolo? Due? Chi lo sa, ma sicuramente non arriverò a compiere il mio 500esimo compleanno. Peccato, è un’occasione di grande festeggiamenti e c’è sempre molto da bere.»

«Immagino i vostri guaritori non abbiano metodi molto efficaci come i nostri.»

«Se parli di magie, no. Usano piante o estratti di roccia.»

«Io potrei fare qualcosa per aiutarti. Ma non ora, non voglio dover usare la magia. Dici che hai almeno cento anni prima di essere in pericolo, quindi non c’è fretta.»

«Te ne sarei grato. Lo sarei stato di più dieci anni fa.» grugnì.

Siirist ricollegò a quel tempo il giorno in cui Oghren combatté il Guanto d’acciaio.

«C’entra qualcosa con la tua sconfitta contro Thjyr?»

L’interessato grugnì ancora.

«Era stato infettato solo da qualche mese. Durante il loro duello ebbe una fitta e non riuscì a muoversi. Thjyr ne approfittò.» spiegò Durin.

«Non avevi detto che Thjyr ti aveva avvelenato la birra? E scusa, non potevate interrompere il duello? Hai perso per cause esterne.»

«Nessuno sa che sono ancora infetto, solo io, il nostro sbarbatello qui e il suo guaritore personale. E deve rimanere così. E per quanto riguarda il veleno, sì, c’era pure quello di mezzo. Ma anche con i miei riflessi rallentati avrei vinto, se non fosse stato per la corruzione. Se non mi avesse avvelenato lo avrei fatto in due molto prima della mia fitta.»

Ryfon annuì. Finalmente aveva capito come il nano dai baffi di fuoco avesse perso. Gli pareva strano che potesse esserci qualcuno al suo livello, visto che egli era appena sotto a Durin, se non un suo pari, il quale era considerato il migliore dei Beor.

Ripresero il loro cammino e si imbatterono in altri due gruppi di knurlock prima di fermarsi a riposare. Durin si sedette con le gambe incrociate e la schiena contro una parete, gli occhi chiusi a meditare; Sylgja preparò uno spuntino per sé e gli altri; Oghren pulì la sua ascia e la affilò con una cote sferica ottenuta da un diamante.

«Ha un nome?» domandò Siirist.

«Barbarossa, il flagello delle donne, hehe.» ridacchiò nella sua voce profonda. 

La risatina finale che il nano era solito utilizzare quando parlava di argomenti inerenti al sesso fece supporre al mezz’elfo che si stesse riferendo al suo pene e non all’ascia.

«Carino. Parlavo dell’ascia.»

«Hehe. Fossi una donna avresti più da dire oltre a “carino”, hehe. Lei si chiama Orgoglio.»

«Bel nome.»

«Quando re Glorgur mi permise di tenerla, Thjyr disse che era appropriato, “almeno me ne sarebbe rimasto un po’”. Dannata verruca di goblin. Avresti dovuto vederlo prima della mia fitta, se la stava facendo sotto come una bambina. Quando lo sfidai, fu suo padre ad accettare per lui: quel pelo del naso di un troll aveva troppa paura persino per parlare. Non riesco a credere abbia una barba più lunga della mia. Almeno i miei baffi sono più belli. La tua spada ha un nome?»

«Si chiama Agar hyanda, significa “Lama di sangue” nella lingua degli elfi. No, non è questo pezzo di acciaio scadente. La mia spada è da un’altra parte al momento.»

«È un nome forte. Sarebbe stato sprecato per quell’immondizia.»

«Ho preso questa spada da un bandito nel deserto. Non è nemmeno paragonabile alle mie armi. Forse un giorno te le mostrerò.»

«Sarei curioso di vedere la spada del Cavaliere d’Inferno.»

«E l’arma di Glorgur? Immagino anche quella abbia un nome.»

«Di quale parli?»

«Una sorta di arma a metà tra...»

«Quella non è l’arma di mio padre: Fermezza è l’arma del re, l’arma che intendiamo dare a Orik.» interruppe Durin.

Lo nascondeva bene, ma Siirist ebbe la sensazione che non fosse molto felice della situazione in cui era immischiato a causa delle leggi dei nani.

«Deve essere dura per te collaborare contro tuo padre.»

«Mio padre ha perso il diritto al trono quando il suo clan ha perso il Guanto d’acciaio. Anche se volessi e fossi libero dal vostro servizio, non ci sarebbe nulla che potrei fare per aiutarlo nell’elezione.»

«Parlando esclusivamente di desideri, lo vorresti rivedere eletto?»

Durin rimase in silenzio per qualche tempo.

«No. È stato un buon re, anche se voi ne avete visto solo i lati peggiori, e per questo chiedo scusa da parte sua, ma mi rendo conto ora che non è ciò che cui il nostro popolo ha bisogno. Ha proseguito nella politica dei suoi predecessori, sostenendo l’orgoglio dei nani e tenendo a cuore le nostre tradizioni. Ma ora che vedo Alftand e i thaig sotto di essa... Non siamo più quelli di una volta, e parlo di ancora prima della guerra contro i draghi. È tempo che la nostra gente si riscatti, è tempo che ritorniamo in superficie e mostriamo a tutti la tempra dei nani. Ma prima dobbiamo smettere di fuggire dai knurlock: dobbiamo riconquistare questi thaig e riportare il nostro regno al suo antico splendore. Mio padre non è il re adatto per farlo, ma credo che Orik lo sia. Quindi, se fino ad ora vi ho aiutato solo per il mio obbligo verso di voi, ora avete il mio pieno sostegno per dare la corona al clan Alftand.»

Siirist era felice di sentire quelle parole.

«Bene. Ora in marcia.»

«Finito! Tenete!» disse felice Sylgja, mostrando gli spuntini che aveva preparato.

«Dobbiamo...?»

Offesa, la ragazza tirò il piatto in faccia al mezz’elfo. Il suo carattere gli ricordava sempre più Alea. Oghren raccolse quell’insalata mista di tutto da terra e ne mangiò qualcosa.

«Più maionese. Altrimenti non c’è male.» commentò con aria soddisfatta.

Sylgja fece una linguaccia a Siirist e questi scosse la testa, evitando di puntualizzare la sua avversione per la maionese. Camminarono lungo altri corridoi di pietra, lontani dallo schifo organico che segnava il passaggio della madre della nidiata e arrivarono ad un covo di knurlock diverso dagli altri. Era un accampamento. Era stato fuori dal campo percettivo di Ryfon quando aveva utilizzato la sua Ambizione e non aveva avuto modo di accorgersi di tutti quei mostri. Poi, per ragioni a lui ignote, aveva dimenticato di tenere la mente aperta per trovare forme di vita e aveva usato il settimo senso solo come campanello d’allarme in caso di un’imboscata. Circa un centinaio di genlock e una trentina di hurlock guardarono all’unisono verso di loro e misero mano alle loro armi. Siirist notò come molti dei secondi avevano spade (spesso a una mano) anziché asce e mazze (anche a due mani) come i genlock. Possibile che fossero davvero stati dei nani? E da dove prendevano tutte le loro armi? Erano diverse da quelle di fattura nanica e Ryfon era più che certo che nei Beor non esistessero così tante spade.

«Almeno non ci sono sharlock.» disse Durin, impugnando la sua ascia.

«Già...» concordò Oghren, facendo altrettanto.

Siirist non sapeva se voleva o no incontrare uno sharlock. Il suo animo battagliero voleva, ma la sua prudenza no. Se i due nani, che non avevano alcun problema a sbarazzarsi di hurlock, erano così intimoriti dagli sharlock, doveva esserci una ragione. E forse combatterci senza misticismo non sarebbe stata una buona idea. Ma perché si preoccupava tanto? Era impossibile che avessero una forza anche lontanamente paragonabile alla sua, altrimenti i nani sarebbero stati già annientati dai loro corrispettivi corrotti.

Il mezz’elfo si mise davanti a Sylgja e ordinò ai due nani di proteggerla. Entrambi annuirono e lei puntò il suo fucile. Il ladro sguainò la sua spada, rallentando il suo respiro. Le sue emozioni avvolte attorno alla lama e il settimo senso che gli tremava in tutto il corpo, si lanciò verso i nemici, gli occhi chiusi.

‹Come una foglia nel vento.›

Sentì la presenza di un genlock davanti a sé che portò giù la sua daga in un fendente. Leggero sui piedi, Siirist fece un passo laterale a destra e lo superò, la sua spada casualmente posizionata a tagliare a metà l’avversario, la forza del Juyo che le permise di attraversare carne e ossa come fossero burro. Un’ascia arrivò verso di lui; mise forza sul piede destro e arrestò il suo movimento, inclinando il busto indietro e spostando il peso sul piede sinistro: il filo tagliente gli passò a millimetri dalla tunica. Alzò la gamba destra in un calcio che colpì il genlock sotto al mento, sollevandolo da terra e spezzandogli il collo. Poi subito il mezzo demone si chiuse su se stesso e compì un giro di 360 gradi, liberando l’energia attorno alla sua lama in un tondo dritto manco che falciò venti genlock. Ne sentì due arrivargli addosso, ma con un occhio mentale aveva già visto la ragazza che prendeva la mira, dunque non se ne curò; i genlock caddero con due fori fumanti nelle loro tempie destre. Quattro hurlock gli corsero incontro, le loro spade alzate. Agile come un serpente, il ladro guizzò attraverso i colpi dei primi tre e affondò la sua spada nella gola del quarto prima ancora che potesse portare il suo attacco. Siirist lasciò andare la sua arma quando si accorse dell’arrivo di una lama seghettata dalla forma di una saetta che gli avrebbe altrimenti lasciato un moncherino; era anche possibile che la qualità delle armi nemiche non fosse sufficientemente alta da essere in grado di perforare la sua pelle resistente, ma perché correre rischi inutili? Essa passò tra il pomolo e il suo palmo. Mise tutta la sua forza nella gomitata che diede all’indietro e le interiora dell’hurlock esplosero da fuori la sua schiena. Con la sinistra afferrò al volo la spada del knurlock e con la destra riprese quella di acciaio di Arcadia. Con ciascuna arma bloccò i colpi degli altri due hurlock e aprì le loro guardie per sbilanciarli. Mise le braccia in posizione e liberò una tecnica di nitouryuu che falciò quasi tutti i genlock. La ventata arrivò ai suoi tre compagni, ma aveva già perso la sua forza tagliente. Altri quattro hurlock arrivarono alle spalle del mezz’elfo che, accucciato, roteò su se stesso con la spada estesa, tagliando il primo all’altezza delle ginocchia. Esso cadde di lato e Siirist si rialzò sferrando un calcio laterale che lo colpì in pieno stomaco, scagliandolo via contro due dei suoi simili. Il terzo fece per menare un fendente ma Ryfon inarcò la schiena e poggiò la mani a terra, sollevando le gambe; afferrò la spada del knurlock in mezzo ai piedi e con un colpo di reni e uno slancio dei polsi si mise per un istante in verticale prima di eseguire un salto dietro raggruppato, al termine del quale piantò l’arma sotto al mento del suo proprietario. La lama gli spuntò da sopra la testa e Siirist ritornò a terra e riprese in mano la spada di acciaio di Arcadia. La guardò per un momento e fece una smorfia: la lama era rovinata. Per quanto fosse uno dei migliori materiali utilizzati nelle armi bianche degli umani, l’acciaio di Arcadia non era adatto a sopportare la forza dei colpi portati dal mezzo demone, colpi che riuscivano ad amputare arti con facilità, e le emozioni che egli vi avvolgeva intorno con il Juyo la stavano corrodendo. Sylgja si sbarazzò dei rimanenti knurlock a suon di fucilate e Siirist rimase a studiarsi la spada.

«Non avevo idea vi poteste muovere così, Siirist! Come immaginavo, con me non avete dimostrato nulla delle vostre capacità.» disse sorridendo e scuotendo la testa Durin.

Il mezz’elfo non gli rispose, continuando a guardarsi la spada. Raccolse da terra una di quelle degli hurlock, cercando di capire di cosa fosse fatta. Erano di osso rinforzato da metallo. Da dove avessero preso le ossa e che tipo di lega fosse, non lo riusciva a capire.

«Uno di voi due mi sa dire da dove si procurano le armi? E non voglio più sentir dire che gli hurlock sono nani che sono stati contaminati più dei genlock. Guardateli, hanno chiaramente la corporatura di umani. Questo spiegherebbe il loro numero minore rispetto ai genlock e l’uso di armi tipiche degli umani.»

«Ci avete detto che sfruttano le shelock per riprodursi. Avete detto che una shelock è più o meno grande in base all’esposizione al Flusso. E se fosse che le shelock sono di razze diverse? Basterebbero due umani contaminati, un uomo e una donna, e si avrebbero orde di hurlock.» azzardò Sylgja.

Siirist rimaneva sempre impressionato dalla sua mente acuta.

«Non sappiamo che dire. Nessun umano si avventura per le Vie Profonde, sarebbe impossibile per un knurlock corromperli. Però è vero che tutti i nani che sono stati visti trasformarsi sono diventati genlock. È sempre stato supposto che la differenza tra i diversi knurlock fosse dovuta ad una diversa esposizione al Flusso vitale.» scrollò le spalle lo sbarbato.

Oghren annuì e grugnì. Un sospetto giunse alla mente di Siirist.

«Quanto vanno in là le Vie Profonde?»

«Non lo so... I thaig più antichi sono stati sigillati in tempi immemori e tutto ciò che li riguardava è andato ormai perduto.» rispose pensoso Durin.

«Pensi sia possibile che vadano oltre i Beor e che in qualche punto sbuchino fuori nell’Impero umano?»

I nani si guardarono.

«Lo trovo improbabile, ma non lo escluderei. Ripeto, non lo sappiamo.»

«Potrebbe essere che, scavando, gli antichi nani neanche si fossero resi conto di non essere più nella regione dei Beor.»

«Al di là dei Beor non c’è la roccia traspirante, non ci sarebbe ossigeno da respirare.»

«Sono sicuro che i vostri ingegneri avrebbero trovato il modo di ovviare al problema.»

«Se davvero i thaig vanno oltre i Beor, sarebbe una scoperta sensazionale.»

«Che tu dovrai riportare a Orik, motivo in più perché dobbiamo sbrigarci a trovare l’incudine... Mi spieghi che stai facendo?»

Siirist si girò verso Sylgja e la vide armeggiare in un ammasso di oggetti brillanti. Si girò con addosso dei guanti d’armatura d’oro giallo intarsiato e rivestito di gemme, una collana pure di oro giallo che reggeva zaffiri e una pesante ascia da cerimonia, di oro giallo, nero e rosso, imbastita di pietre preziose di diverso colore e taglio. Siirist non aveva notato quell’ammasso di ricchezze perché erano state custodite dentro un forziere fatto di... carapace nero?.

«Vuoi scommettere che l’incudine sta qui in mezzo?» sorrise la ragazza.

I due nani si precipitarono a controllare, ma Ryfon si interessò più al forziere. Confermò che si trattava di carapace, ma non aveva la minima idea di che cosa potesse essere. Aveva studiato molto degli animali, comuni e mostruosi, che abitavano Tamriel, ma come al solito, la fauna delle viscere dei Beor rimaneva ignota. Era nero lucido, con rilievi che sembravano naturali, come se l’animale li avesse avuti quando il guscio faceva ancora parte del suo corpo.

«Voi due, mi sapete dire che cosa sia questo?»

I nani guardarono il carapace nero. Scossero la testa. Siirist iniziò a supporre che le ossa delle armi dei knurlock fossero prese dallo stesso animale. Rimaneva il mistero del metallo. Ferro? Rame? Stagno? Oppure era una lega? Non riusciva a determinarlo in base al peso e al colore, perché l’insolito osso cambiava tutti i parametri che l’assistente di Hans aveva imparato nei suoi anni a Skingrad. Avrebbe potuto capire di che si trattasse con una magia di terra, ma di nuovo si rifiutò di usare la magia solo per soddisfare la sua curiosità.

«Hem-hem.» tossì per finta Sylgja per richiamare l’attenzione degli altri tre.

Si voltarono a guardare verso la ragazza e la videro reggere un grande rubino dal colore tra il rosso e il rosa tagliato in modo da sembrare un’incudine. Sui lati erano incastonate gemme sferiche di ogni colore e sulla parte superiore vi era un sole d’argento. I due nani (specie Durin) sgranarono gli occhi e spalancarono le bocche per lo stupore e l’ammirazione. Siirist, come Cavaliere, si sentì soddisfatto, come ladro sentì la saliva che iniziava ad accumularsi in bocca. Era quasi un peccato avesse dovuto restituire quella meraviglia a Orik, si immaginava già un museo in villa Ryfon con splendidi trofei.

«Beh, Durin, sai che fare. Purtroppo il piano di andare a prendere gli altri lanciafiamme è un po’ andato in rovina, ma la tua parte rimane uguale: corri da Orik con l’incudine e digli di quello che abbiamo scoperto, della possibilità che gli hurlock fossero umani e della teoria della presenza di thaig nel sottosuolo del resto di Alagaesia.»

«Vi servirà parecchio fuoco contro gli sharlock e la shelock.» ammonì Durin.

«In un modo o nell’altro ce la caveremo. Non ho intenzione di perdere tempo a tornare su, andare a Orzammar e ritornare qui. Di’ a Orik di preparare una grande spedizione, bisogna esplorare le Vie Profonde e sbarazzarsi una volta per tutte dei knurlock. Digli di interrompere ogni operazione dei minatori fino a prova contraria. Quando i guerrieri avranno ripulito i thaig dai knurlock, i minatori e gli ingegneri potranno lavorare per risistemarli, ma non possiamo rischiare di avere altri “leccapietre”. Io intanto penserò ad un modo per impedire il desiderio di “toccare” le gemme dell’anima grezze.»

«D’accordo.»

Lo sbarbato prese l’incudine ingemmata e corse via.

«Starà bene da solo?» si preoccupò Sylgja.

«Non si farà ammazzare tanto facilmente, specie con un tesoro simile tra le mani. Non sarebbe “onorevole”.» rispose Oghren.

«Non perdiamo altro tempo. Torniamo alla galleria con i liquami organici e seguiamola: potrebbe condurci al loro nido.»

«Mi sono sbagliato sul tuo conto, Cavaliere, non è che intorno a te accadono cose interessanti: sei tu che ti butti di testa in situazioni suicide.»

«Problemi?»

«Nah! Dammi birra e Orgoglio e non potrei chiedere di più!»

«Una donna?»

«Le donne vengono dopo, per festeggiare, insieme ad altra birra!»

«Quanto mi trovi d’accordo, Oghren!»

«Uomini...» scosse la testa la ragazza.

Siirist le diede un buffetto e incominciò ad armeggiare per mettere al sicuro il loro bottino. Chiuse il forziere e prese alcune corde fatte di fibra vegetale e animale e catene di osso che trovò sparse per l’accampamento e che legò e intrecciò attorno al forziere per assicurarsi che nessuno lo potesse aprire. Nel farlo osservò come tutti gli oggetti che stava maneggiando fossero creati magistralmente, sebbene con metodi primitivi. Quei knurlock erano senza dubbio molto più di quanto i nani avessero mai pensato. Erano evoluti, forgiavano armi e attrezzi, sapevano accendere un fuoco e molto probabilmente allevavano gli animali che fornivano loro il carapace e le ossa necessarie per creare armi e oggetti vari. L’uso che i knurlock ne facevano era troppo abbondante per pensare che semplicemente cacciassero quelle creature. Ora mancavano due tesori, ma prima dovevano trovare il nido e la shelock: Orik non si sarebbe fatto sfuggire la possibilità di riconquistare gli antichi thaig, azione che gli avrebbe portato molto prestigio, e per farlo avrebbe avuto bisogno di tutto l’esercito nanico. Se Siirist lo voleva per combattere la Setta, doveva prima aiutare a liberare le Vie Profonde.

I tre esploratori si diressero ad un’altra intersezione con la galleria segnata dal passaggio della shelock che Ryfon aveva trovato con i suoi occhi mentali. Per arrivarci avevano incontrato altri due gruppi di genlock, ma niente era come l’accampamento con i tesori: quello doveva essere stato il quartier generale delle operazioni knurlock ad Alftand. Il mezz’elfo aveva abbandonato la spada di acciaio di Arcadia ed era rimasto a combattere a mani nude, disarmando i nemici e usando le loro armi contro di loro, il tutto mentre si occupava di proteggere Sylgja da attacchi ravvicinati; ella era incaricata di coprire dalla distanza Oghren che falciava genlock a suon di Narik, la cui letale lama, in combinazione con la forza del berserker, faceva a pezzi i knurlock senza che essi potessero difendersi. Ma la mancanza di grazia del nano era evidente. Anche nell’utilizzare le tecniche dei demoni, Siirist aveva mantenuto l’eleganza imparata a Vroengard e raffinata a Kami no seki con Glarald, e prima, quando si era occupato personalmente di eliminare i nemici, era sempre scivolato via dal sangue, non facendosi mai toccare. Finito lo scontro nell’accampamento principale, ne era uscito pulito e ordinato come prima di incominciarlo. Oghren, invece, pareva facesse la doccia nel sangue e le viscere dei genlock che faceva a pezzi. Quando ritornò da Ryfon e Orla, questi due gli dissero di rimanere ad almeno dieci metri di distanza per via della puzza. I knurlock non avevano un buon odore, e le loro interiora erano ancora meno piacevoli da avere sotto al naso. Siirist non pensava l’avrebbe mai potuto credere, ma Oghren stava puzzando anche più di quando lo aveva conosciuto.

«E non è solo per l’odore. Tu sarai immune alla corruzione, ma noi no. Non voglio che entri in contatto con Sylgja e la avveleni.»

Il nano annuì e li seguì a dieci metri di distanza.

«Tu non hai paura di venire infettato?»

«Non credo avrebbe effetto su di me. Ricorda che sono un demone.»

«Non significa per forza che ne sei immune.»

«No, ma comunque sono più preoccupato per te. Sei umana, e questo ti rende in ogni caso più fragile di me.»

«Ti preoccupi per me.» sorrise felice.

«Ovvio. Non voglio venire a letto con te, questo non significa che non tenga a te!»

Sylgja lo prese per il braccio e salì in punta di piedi per dargli un bacio sulla guancia.

«Non è giusto.» bofonchiò Oghren.

«Forse se ti lavassi più spesso e smettessi di avere l’alito che sa di alcool, avresti anche tu delle donne che ti girano intorno. Secondo i vostri canoni, mi sembri il tipo di bell’aspetto.» gli disse la ragazza.

«Ma il mio aroma e il mio alito sono i miei segni di riconoscimento!»

«Continua a pensarlo e non vedrai mai l’ombra di una donna. A meno che tu la stia pagando, chiaro.»

«Oghren, il tuo alito potrebbe stendere metà Rivendell. Dalle retta.»

«Hehe, smettila!» disse imbarazzato: per qualche ragione trovava quelle parole dei complimenti.

Raggiunta la galleria cosparsa di residui organici della madre della nidiata, camminarono per ore. Sylgja durò nemmeno un’ora e mezzo che fu troppo stanca per continuare, perciò Siirist la caricò sulla schiena come durante il tragitto da Orzammar a Tronjheim. Ma dopo una decina di ore, l’olfatto del mezz’elfo non ce la faceva più ed uscirono dalla strada ed entrarono in un thaig dove incontrarono alcuni gruppi di knurlock, per lo più genlock con un contorno di hurlock. Fu al quinto scontro che Ryfon vide i suoi primi sharlock. Stavano cercando un luogo adatto ad accamparsi quando degli acuti stridii li rintontirono. Siirist vide arrivargli addosso un knurlock alto quanto un hurlock ma all’apparenza più basso perché gobbo, un’armatura di carapace che gli copriva il busto e la parte posteriore del corpo; agli avambracci aveva dei bracciali da cui si estendevano delle lame. La corporatura degli sharlock era più esile rispetto a quella degli hurlock, ma erano indubbiamente più forti. E le loro orecchie. I genlock avevano delle orecchie lunghe e appuntite, senza dubbio una deformazione, ma le orecchie ai lati della testa calva degli sharlock erano giusto appena a punta in cima. Mai Siirist le avrebbe confuse, erano uguali alle sue: orecchie da elfo.

‹O porco Soho.›

Il settimo senso nemmeno lo aveva avvertito che lo sharlock portò in avanti una delle lame. Ryfon con difficoltà la evitò, stordito com’era dall’acuto stridio che i nemici avevano generato. Fu tagliato alla guancia sinistra mentre si buttava di lato per evitare di venire trafitto in piena faccia. Sylgja batté la testa a terra e perse i sensi, mentre Siirist cercava di rialzarsi e combattere. Ma il rumore assordante ancora rimbombava nella sua testa, e Oghren non era messo meglio. Sentì che si stava per riprendere quando un secondo stridio riecheggiò nelle antiche strade dei nani. Uno sharlock lo attaccò mentre un genlock si occupava di trascinare via Orla.

«No!» urlò furioso Siirist.

Tutto ciò che lo trattenne dall’incenerire tutti i knurlock era sapere che la ragazza non era in immediato pericolo, perché avrebbero cercato di trasformarla in shelock anziché ucciderla subito. Doveva pensare a se stesso. Evitò due attacchi dello sharlock, il primo più a stento dell’altro, e si ritrovò con un taglio profondo che gli squarciava diagonalmente il pettorale destro ed una ferita meno grave sul fianco sinistro. Vide chiaramente arrivare il terzo attacco, un affondo diretto al suo cuore portato con il braccio mancino, e fece un passo laterale verso destra. Ma un terzo urlo lo confuse e non riuscì a muoversi abbastanza in fretta. La lama lo trapassò nel polmone sinistro, spezzandogli una costola nel tragitto. Tossì sangue e fissò con odio il nemico, il dolore che gli aveva schiarito la testa. Alzò il braccio sinistro e rivolse la mano posizionata a lama all’interno del gomito dello sharlock. La abbatté con forza, amputando l’arto della creatura; ne afferrò l’avambraccio e tirò per estrarre la lama. Essa aveva una forma uncinata, così che, quando la tirò fuori, lo ferì ulteriormente. Stringendo i denti sollevò la gamba sinistra e in un calcio rotante spaccò il collo al knurlock. Ringhiando lanciò l’avambraccio che aveva in mano e trafisse in testa il genlock che stava trascinando via Sylgja. Afferrò la testa di un genlock e gliela strappò dal collo prima di voltarsi verso un altro dei nani trasformati prima di venire trafitto nella schiena, a pochi centimetri dalla colonna vertebrale. Fece per muoversi ma fu stordito da uno stridio alle sue spalle. Se avesse avuto la mente lucida si sarebbe ricordato che gli sharlock avevano la capacità di rigenerarsi; cosa che fece, e per la quale si maledisse, quando la sua mente fu schiarita da Oghren che liberò un possente urlo. L’aura del berserker brillava arancione intenso e Siirist lo vide distruggere tutti i knurlock. L’ultima cosa che gli parve di vedere prima di perdere i sensi, ma non ne era tanto sicuro perché la vista si era fatta molto distorta, era un grosso corvo che volava via.

 

La sensazione di bagnato sulla fronte lo riportò alla realtà, ma prima di riuscire ad aprire gli occhi fu assalito dalla voce mentale di Rorix.

‹Piano.›

‹Come cazzo hanno fatto a sconfiggerti?!›

‹Più che altro voglio sapere come ha fatto Oghren a sconfiggere loro!›

‹Come ti senti? Perché da quello che percepisco io, non stai granché.›

Siirist ci pensò su per un po’. Non gli sembrava di avere niente di strano se non il dolore nei punti in cui era stato ferito. La costola ed i polmoni soprattutto gli facevano male. Ma era normale.

«Siirist? Sei sveglio?»

Aprì gli occhi e vide Sylgja che gli teneva la fronte fresca con un panno bagnato. Provò a parlare, ma già le piccole respirazioni che prendeva gli procuravano delle fitte tremende, perciò le rispose mentalmente.

«Come ti senti?»

‹Come un idiota. Quanto tempo sono stato fuori?›

«Non lo so, non abbiamo modo di tenere il tempo, ricordi?»

‹Sedici ore.› gli rispose il drago.

Comunicò la notizia anche alla ragazza. Cercò di mettersi a sedere ma le ferite sul busto protestarono. Non bastava il polmone sinistro, doveva avere anche quello destro ferito per colpa di uno stupido affondo alla schiena. All’improvviso gli venne un dubbio atroce.

‹Ho la febbre?›

«Sì, e anche molto alta.»

‹Merda. Le ferite sono infette?›

La mancanza di risposta parlava da sola. Aprì un occhio mentale, ma vide che era stato fasciato con pezzi di stoffa messi insieme.

‹Togli le fasciature, voglio vedere.›

«Non è un bello spettacolo.»

«Sei sveglio?» si avvicinò Oghren.

Come accidenti hai fatto a sconfiggerli tutti?

«Una tecnica che ho sviluppato per contrastare gli stridii degli sharlock. I genlock sono morti, ma gli sharlock sono ancora vivi. Li ho solo fatti a pezzi e poi vi ho trascinati via. Li ho tenuti lontani tutto questo tempo, ma inizio ad essere stanco. Sei caduto facilmente, eh, onnipotente Cavaliere d’Inferno?» rise tra un sorso e l’altro di birra.

Aveva l’espressione distrutta, gli occhi arrossati e a stento si reggeva in piedi. Oghren non sarebbe resistito ancora a lungo. Ryfon chiuse gli occhi e richiamò il suo sangue demoniaco che attivò la sua rigenerazione. In pochi secondi il mezzo demone era guarito e si mise in piedi.

«Fatto.» disse trionfante.

Ma aveva sottovalutato la pericolosità della corruzione trasmessa dai knurlock. Mosse un passo e cadde in ginocchio, la fitta al polmone sinistro che lo lasciava senza respiro. Si guardò e vide la ferita riaprirsi; ad ogni respiro sangue usciva dal buco e la costola rotta gli premeva contro l’organo.

‹Vogliamo scherzare, vero?!›

«Non so con che magia ti sei curato, ma sbarazzarsi della corruzione non è semplice.» gli disse il nano.

‹È come la diarrea dei funghi delle profondità: il tuo potere rigenerativo non funziona con tutto.› disse Rorix.

Ryfon ringhiò pesantemente. Nemmeno una magia organica lo avrebbe aiutato se non avesse capito a fondo quale fosse il problema.

«Bevi.»

Si voltò verso Oghren e lo vide tagliarsi sul polso sinistro con Narik. Con la fame che aveva, Siirist stava trovando anche il nano invitante. Gli occhi gli si illuminarono di rosso mentre i denti si appuntivano e la bocca incominciava a salivare. Ma si trattenne.

«Perché?»

«Il mio sangue è una sorta di cura temporanea. È importante che vieni trattato, ma per ora bere un po’ del mio sangue aiuterà a tenere a freno la contaminazione.»

Il mezzo demone non se lo fece ripetere e si avventò sul polso del nano, affondando le zanne nel suo braccio tozzo. Oghren strinse i denti mentre la sua linfa vitale veniva avidamente succhiata. Per sua fortuna aveva un sangue dal sapore molto aspro, perciò Siirist si staccò quando sentì che aveva bevuto abbastanza per resistere alla sua infezione e non si lasciò andare alla fame. D’altro canto, Sylgja gli sembrava più attraente che mai. Non ci volle molto prima che la rigenerazione vampirica di Siirist guarisse tutti i danni che aveva subito. Si sentì improvvisamente meglio, bene, in forma perfetta. Ma si rendeva conto che non era vero, era come se fosse stato ubriaco e fosse diventato insensibile al dolore.

«Quanto durerà?»

«Non molto, dovresti continuare a bere il mio sangue per contenere gli effetti della corruzione. E ripeto, non è una cura, quanto un rallentamento. Hai bisogno di essere trattato dai nostri guaritori, e più tempo perdiamo, più rischi di non farcela. Dovremmo tornare a Tronjheim.»

«No. Troviamo il corno e tu torni a Tronjheim e dici a Orik cosa mi è successo. Io e Sylgja torneremo dopo aver trovato il segreto del marmo nero. Ora muoviamoci.»

E ignorando completamente gli avvisi degli altri due e di Rorix, Siirist si rimise in cammino.

 

‹Hai preso tutto?›

Skimir stava steso a pancia sotto sul lettino che Adeo gli aveva messo nella sala da pranzo, la coda che frustava l’aria.

‹Uh-ha.› rispose andando verso la cucina.

Aveva comprato, sotto falso nome, una casa nei bassifondi di Rabanastre; due piani, un piccolo corridoio all’ingresso su cui si aprivano le porte per la sala da pranzo e, dalla parte opposta, il salotto. La cucina era raggiungibile dalla sala da pranzo e dal corridoio d’ingresso, reso più stretto verso il fondo dalla scalinata che conduceva al piano superiore dove si trovavano tre camere da letto e il bagno. Una seconda scalinata, che passava proprio sotto alla prima, andava nella cantina, che Adeo stava gradualmente allestendo con ingredienti per pozioni vari e rastrelliere con armi. Al lato della cucina, dietro al salotto, si trovava la dispensa per gli alimenti. In cucina appoggiò gli ingredienti appena comprati sul tavolo e aprì le varie ante per prendere una pentola, qualche bicchiere e un cucchiaino.

‹Secondo me dovresti mettere su una cucina alchemica nel seminterrato, non credo sia igienico cucinare un piatto di spaghetti nella stessa pentola in cui hai fatto bollire quella roba lì.›

‹Quando avrò tempo, lo farò.›

Prese un pungiglione di scorpione, un’ala di farfalla, un torace di lucciola, una scaglia di anaconda, una chela di granchio del fango, un occhio di troll, una falange di alit, un pezzo di guscio di dreugh e una lingua di gatto, li tritò, li mescolò e li mise a bollire a fuoco lento in acqua di mare per trenta minuti.

‹Tra quanto arriva Weylin?› domandò il dolce drago.

‹Due ore. Ysona gli sta organizzando il passaggio per Orzammar. Lì si incontrerà con Glonbir che porterà la pozione a Bofon.›

‹Quanto ci vorrà?›

‹In aeronave Weylin sarà a Orzammar in due ore. Poi toccherà a Glonbir sbrigarsi. Più o meno due giorni. Quegli stupidi nani devono usare dei mezzi di trasporto tra Orzammar e le altre città, è ridicolo che ci vogliano due giorni di cammino per raggiungere Tronjheim!›

 

 

 

~

 

 

 

E adesso cosa starà architettando Adeo?! Il prossimo capitolo si intitola LA DANZA DEL SANGUE. Siirist è febbricitante, pieno di allucinazioni e debole: come riuscirà a contrastare la madre della nidiata e il suo branco di creature fameliche?

Ritorna all'indice


Capitolo 72
*** LA DANZA DEL SANGUE ***


LA DANZA DEL SANGUE

 

I residui organici dello spostamento della shelock si facevano sempre più freschi. Dai primi che avevano trovato ad Alftand, che Oghren aveva supposto potessero essere vecchi di un mese, erano arrivati al punto della strada dove avevano massimo una settimana. Non avendo tempo da perdere, quasi non si fermavano a riposare. Mangiavano cibo freddo mentre camminavano, Sylgja mai mostrava di essere stanca, per le pause bagno trovavano le vecchie latrine o semplicemente andavano in una via laterale. La galleria era lunga e piegava ad angolo retto diverse volte. Siirist iniziava a non sapere dove stessero andando. Più volte ebbe giramenti di testa, visioni di knurlock che non c’erano, momenti in cui il cervello gli si disconnetteva e si riaccendeva attimi, secondi, o persino minuti dopo, e lui si ritrovava a camminare imperterrito contro una parete, tutta la parte frontale del suo corpo immersa nei liquami della madre della nidiata, oppure steso a terra, prono o supino; camminava sulle mani, si metteva a girare sul posto, gli occhi vuoti, da come gliela raccontavano gli altri due. Stava impazzendo. Se quella era la corruzione tenuta sotto controllo, non voleva sapere come un leccapietre si potesse sentire dopo un’intensa slinguazzata. Lui era solo felice che leccarla alle donne non produceva quell’effetto, o si sarebbe astenuto dal farlo e Alea lo avrebbe sicuramente amato di meno. Dopo l’ennesimo mancamento, Siirist si riprese e si ritrovò seduto sopra ad un detrito, la schiena contro una parete di roccia. Sylgja era davanti a lui che lo guardava preoccupata, Oghren faceva la guardia. Alla sua sinistra, a una decina di metri di distanza, vide la galleria ricoperta di residui vomitevoli. Il nano doveva averlo portato fuori e messo a sedere quando era svenuto a terra o chi sa che altro. Strinse gli occhi e il ponte del naso con pollice e indice sinistri. Non ce la stava facendo più. Sylgja gli parlava, ma la voce gli giungeva distorta, aliena, l’immagine della ragazza oscillava ed i colori erano impazziti. Ella aveva occhi gialli, capelli verdi, pelle nera, denti rossi. I corti peli nelle narici, che poteva distintamente vedere quando gli pareva che il busto della ragazza si piegasse all’indietro, erano arancioni, le sue unghie parevano avessero ognuna uno smalto di colore diverso. Le labbra erano bianche, la lingua viola. Chiuse ancora gli occhi e si massaggiò le tempie.

‹Tutto questo non è reale, tutto questo non è reale.›

Continuò a ripeterselo ancora e ancora. Iniziò a raddoppiare i numeri, da 1 a 2, poi a 4, 8, 16, 32, 64... fino ad arrivare a 65536. Aveva imparato quel trucco quando era ancora un adolescente, quando si ubriacava e gli serviva di capire esattamente quanto la sua mente fosse reattiva.

‹Mi serve un favore.› chiese a Rorix.

‹È un’idea folle.› rispose dopo qualche secondo, capendo che cosa il suo Cavaliere volesse grazie al legame mentale.

‹È l’unico modo per essere sicuri che la smetta di collassare. Se vado ad affrontare altri sharlock, rischio di rimanerci. Appaiono senza preavviso, nemmeno il settimo senso può fare nulla, e con quegli stridii mi inibiscono. Volevo lanciare un incantesimo, ma non ci riuscivo. Nemmeno riuscivo ad usare i miei poteri demoniaci!›

‹Puoi usare una magia per mettere su una barriera che ti impedisca di sentire gli stridii, che ti difenda dai loro attacchi. Usa l’Ambizione, non lo so, ma metterti sotto un’illusione... È da matti.›

‹Fallo e basta.›

Rorix ringhiò selvaggiamente, il boato che rimbombò in tutta la torre mentale di Siirist e fino alla foresta che la circondava. Il mezz’elfo rimaneva irremovibile.

‹E va bene.› acconsentì infine in un ringhio.

L’Inferno non era un illusionista come il suo Cavaliere, ma qualcosa aveva imparato da lui e molto probabilmente era il drago più abile in tutto l’Ordine (oltre a Skimir) a lanciare illusioni mentali. La strutturò perché Siirist non avvertisse più gli sconforti causati dalla corruzione in atto; faceva anche in modo che gli stridii risultassero come i miagolii di un gatto. Più non poteva fare.

‹Vai con l’Esercito eroico quando li affronti. Potrebbe far fuori gli sharlock e, chi sa, anche la shelock. Io vado a dormire, se serve qualcosa, non esitare a chiamare.›

Quindi era ora di dormire fuori nel mondo reale. Così sotto terra, a Ryfon sembrava di essere in un’altra dimensione.

Si alzò in piedi, sano come dopo aver bevuto il sangue di Oghren. Solo che ora sapeva che non si trattava di una sensazione apparente, per quanto fosse causata da un’illusione.

«Andiamo ad ammazzare qualche knurlock.» disse carico.

Gli altri due lo guardarono stupiti mentre si incamminava lungo la galleria principale evitando i grumi di residui più grossi. Siirist era ora ricoperto da testa a piedi di sangue e altri schifi di quei mostri sotterranei ed era più che intenzionato a ritornare il prima possibile a Tronjheim per lavarsi adeguatamente. Ma non prima di massacrare tutti quei luridi figli di puttana. Ragazza e nano non obiettarono, non chiesero, semplicemente seguirono.

Non ci volle molto prima che una banda di hurlock bloccasse loro il passaggio. Senza che potessero fare niente, Siirist liberò il colore del re che li stordì tutti; prese una spada dalla mano del più vicino e un’ascia dal secondo; continuò a camminare sempre dritto, decapitando tutti gli hurlock a cui passava accanto. Quando fu arrivato alla fine del gruppo di nemici, lanciò l’ascia che roteò in aria finché andò a piantarsi nel cranio di uno dei mostri. Siirist riprese a muoversi lungo la galleria e lasciò ad Oghren il compito di sbarazzarsi dei knurlock a cui non aveva badato.

 

«Dovremmo riposarci ora.»

Siirist si fermò di colpo, richiamato dal suggerimento del nano. Lo fissò.

«I residui sono diventati molto freschi, siamo vicini al nido. Questo potrebbe essere l’ultimo thaig prima della shelock. Non so cosa ti abbia preso, ma è bene fare una pausa prima di raggiungere il nido e affrontare l’intera orda di knurlock.»

Ryfon guardò da nano a ragazza. Sylgja era distrutta. La vedeva, a malapena si reggeva in piedi, gli occhi quasi le si chiudevano, era debole e affamata. Senza l’illusione di Rorix, effettivamente, il mezz’elfo non sapeva quanto sarebbe resistito ancora. Si analizzò internamente, operazione resa più difficile senza l’ausilio della magia organica, ma comunque possibile con le sue abilità mentali: non era messo tanto meglio di lei. Strinse la mandibola nel deglutire, la bocca secca, le labbra serrate e sgretolate. Gli occhi guizzarono ai lati della testa.

«D’accordo.»

Esplorarono il thaig per assicurarsi di non venire assaliti e allestirono l’accampamento. Sylgja e Oghren mangiarono senza tanti preamboli e senza proferire parola. Siirist pure rimase in silenzio, ma a malapena toccò cibo. La ragazza se ne accorse. Le sorrise e addentò il pezzo di pane vecchio che teneva in mano. Non vedeva l’ora di tornare a Tronjheim e mangiare un buon pasto caldo. Se faceva attenzione ai funghi delle profondità, Siirist apprezzava la cucina dei nani, per quanto a volte fosse esageratamente piccante, ed era certo che pure Rorix l’avrebbe amata. Ma più di tutto avrebbe voluto una piccola cena cucinata da Alea in cui lui avrebbe aiutato. Poi insieme avrebbero mangiato con una candela tra loro, guardandosi negli occhi e sorridendo.

Oghren e Sylgja si misero a dormire, ma Siirist non riusciva a chiudere occhio. Quando la ragazza si svegliò, aprì gli occhi per vedere il mezzo demone fissarla con occhi malati, che emanavano una luce strana.

«Tutto a posto?» gli si avvicinò.

No, non era tutto a posto. La fame lo stava divorando, stava facendo tutto ciò che era in suo potere per non assalirla e strapparle a morsi la giugulare.

«Sveglia Oghren, è ora di ripartire.»

Con un po’ di fortuna, la battaglia che lo attendeva lo avrebbe soddisfatto e avrebbe acquietato la sua voglia di sangue.

Di nuovo intrapresero la galleria ricoperta da residui organici e dopo una decina di minuti, il settimo senso del ladro iniziò a trasmettergli una sensazione come di solletico. C’erano nemici nelle vicinanze.

«State in guardia.» mormorò.

Giunsero alle sue orecchie dei suoni leggeri di zampe appuntite che velocemente e agilmente si muovevano lungo quella strada vomitevole. No, non era solo lungo la strada; il suo fine udito elfico gli disse che qualunque cosa stesse arrivando, lo stava facendo anche lungo le pareti e attaccata al soffitto. I suoni erano tanti. E sì, ecco i rumori più pesanti di un genlock che correva su quella distesa nauseante di materiale organico.

«Genlock, parecchi. E... non lo so, una qualche sorta di insetto?»

Siirist si vide arrivare addosso una creatura grande quanto un cavallo che ricordava un centopiedi, se non per la grande testa simile ad un cobra. Era ricoperto da un esoscheletro nero, all’apparenza molto duro e resistente. Il mezz’elfo lo ricollegò subito alle armi dei knurlock e al forziere.

Afferrò il mostro con la destra sul “collo”, se così si poteva chiamare, impedendogli di addentarlo, ma esso sputò del veleno verdastro che bruciò la pelle, e soprattutto gli occhi, del biondo. In un ringhio lasciò la presa, chiuse gli occhi e abbassò la testa, facendo un passo indietro. Sentì la familiare sensazione dei capillari nei bulbi oculari ingrossarsi e i denti gli formicolarono, accennando una trasformazione in demone involontaria. Era così arrabbiato, spazientito e affamato che il suo lato demoniaco stava prendendo il sopravvento dopo tutti quegli anni, e pure la sua forma draconiana si risvegliò. Quello sarebbe stato pericoloso. Trasformarsi in draconiano in quella condizione mentale instabile lo avrebbe ridotto ad un mostro privo di ragione come era accaduto a Vroengard contro Raiden. Entrò in stato di calma assoluta e represse entrambe le trasformazioni, rimanendo con il suo aspetto di base da mezz’elfo. Ma intanto il centopiedi lo aveva assaltato di nuovo, accompagnato da un altro. Oghren non aveva modo di aiutarlo, impegnato com’era a evitare di essere sopraffatto mentre proteggeva la fragile ragazza. Il nano era dotato di una forza, una durabilità e una maestria con l’ascia lodevoli, tratti che avrebbero fatto vergognare qualunque dei Campioni della Gilda dei Guerrieri, ma non si poteva negare che negli ultimi giorni avessero sostenuto dei ritmi pazzeschi e nessuno di loro era al massimo della forma. Ryfon pensò all’Esercito eroico, ma doveva vaneggiare per solo aver pensato un momento a poterlo usare nel suo attuale stato mentale. Stesso discorso per le illusioni reali di più basso livello. Manipolare le menti dei nemici era inutile, erano troppo deviati perché Siirist, con le sue abilità, potesse farci niente. Adeo certamente avrebbe potuto calmare knurlock e centopiedi, oppure li avrebbe potuti far uccidere tra loro, e senza nemmeno entrare in stato di calma assoluta, ma Ryfon non era ancora a quei livelli. No, non era quello il modo di procedere. E se non voleva usare alcun potere mistico o demoniaco, non c’era altra soluzione.

In un ruggito draconico, il Cavaliere d’Inferno spinse via con forza gli insetti che lo avevano sovrastato, mandandoli a schiantarsi contro una gigantesca bolla nella parete che esplose in una fontana di sangue putrido misto ad altri liquidi che era meglio non analizzare troppo attentamente. Represse l’animo draconiano e le pupille ritornarono normali, le iridi rosso sangue. Le zanne si appuntirono e gli artigli si affilarono; la sua rigenerazione vampirica incominciò subito a guarirgli gli occhi. Un genlock gli corse incontro, ma non fece in tempo a fare nulla perché un altro centopiedi lo assaltò, schiacciandolo a terra e riversandogli addosso il suo veleno. Tra le altre cose, quegli insetti mostruosi pesavano come minimo trecento chili, e lui era così indebolito che quel peso era diventato considerevole. Lo spinse via e subito assestò un pugno in faccia al genlock. Un centopiedi lo attaccò alle spalle, mettendolo in ginocchio; con un ringhio lo afferrò per la testa e lo lanciò in avanti. Era ridicolo come lui, con la sua immensa forza, si stesse trovando in difficoltà con dei miserabili insetti e delle mezze seghe tanto stupide da finire con il leccare dei sassi e venire mutati in degli sgorbi. La forma draconiana era stata perfezionata, eppure ora la sentiva andare fuori controllo. Si stava lentamente trasformando nel corpo e nella mente, ma non avvertiva l’incremento di douriki fisici. Piuttosto si sentiva indebolito. La sua mente stava perdendo il controllo, ma anziché diventare la bestia in preda alla furia più cieca che aveva imparato a domare grazie agli insegnamenti di Eleril, si sentiva più come un verme decerebrato, e la sua forza fisica era degna di questo nuovo stato mentale. Nonostante l’illusione di Rorix, la corruzione dei knurlock stava mandando a puttane i meandri più profondi della sua psiche. La forma draconiana era solo un inconveniente al momento, ma il mezz’elfo era così arrabbiato che non riusciva a reprimerla.

‹Sei patetico.›

La voce fin troppo conosciuta del suo alter ego richiamò l’attenzione di Siirist. Aveva ragione. Con un ringhio tutto demoniaco che non aveva niente di draconico, liberò una tremenda onda di energia elettrica che fulminò tutti i nemici, carbonizzandoli. A causa della sua situazione mentale, il mezzo demone non aveva avuto l’abilità necessaria per far girare i suoi fulmini attorno ai due alleati, perciò aveva pensato di risparmiare del tutto il punto in cui si trovavano. Invece estese il braccio che si protese in avanti sotto forma di ombra, la mano che si ingrandiva a sufficienza per afferrare un genlock e stritolarlo. Dall’avambraccio si formarono altre due mani che schiacciarono due centopiedi contro il pavimento, attraversando i liquami, che esplosero in una fontana nauseante, e raggiungendo la roccia.

«Tutto bene?»

Oghren incominciò a ridere, ma Sylgja lo guardò preoccupata. Non tanto perché aveva appena usato ciò che la ragazza poteva aver scambiato per magia, quanto a causa di ciò che vide in faccia al biondo. Egli era bianco come un vampiro comune, madido di sudore, gli occhi arrossati e non solo nelle iridi, il fiato era pesante. Gli si avvicinò preoccupata.

«Come stai?»

«Male...» deglutì a fatica.

Il fiato corto, Siirist aveva difficoltà a respirare. Si mise seduto, troppo stanco per preoccuparsi di essere seduto sopra alle schifezze del corpo della shelock. Tanto ci era finito dentro con la faccia in più di un’occasione ed era completamente ricoperto di materiale organico, quindi non faceva poi tanta differenza.

‹Tanta fatica per degli esseri così inferiori che dovresti schiacciare mentre cammini senza nemmeno accorgertene? Magari adesso inizi a farti sottomettere dalle formiche per strada. Potresti portare le spade per Akira, o lavare i piedi di Tomoko.› disse disgustato il falso.

‹Stai zitto.› rispose con difficoltà, febbricitante sul suo trono.

‹Dovrei essere io seduto lì, non tu, miserevole umano! IO sono il demone, IO sono il sangue di Obras! Senza di me non saresti nulla!› sbraitò, colpendo violentemente le sbarre della sua gabbia.

‹Ho detto di stare zitto!›

Siirist ebbe un capogiro e cadde di lato. Maledizione. Maledizione, maledizione! Non perse i sensi solo grazie a Sylgja che gli schiaffeggiò la faccia.

«Non pensare nemmeno di svenire ora, abbiamo ancora un nido di knurlock da sterminare. Potrai riposare dopo.» cercò di incoraggiarlo.

Ryfon cercò di rispondere, ma non ne aveva la forza.

«Porca puttana, Siirist! Se ti fermi ora, sarà solo peggio! Dobbiamo andare avanti! Sbarazziamoci di questi mostri e poi torniamo subito a Tronjheim!»

Aveva ragione. Siirist si concentrò. L’illusione di Rorix era ancora in atto, per quanto fosse troppo debole per neutralizzare tutto il casino che aveva in testa, perciò la rinforzò personalmente. Si sentì subito meglio. Si rialzò, il respiro di nuovo normale, per quanto il colorito non fosse migliorato, e guardò verso gli altri due.

«Andiamo.»

Si rimisero in marcia e in mezz’ora raggiunsero il nido. Molto probabilmente era stato un palazzo o una residenza importante di qualche sorta. L’intero thaig era una distesa di vomitevoli residui organici, violacei e rossastri. Era come camminare all’interno del corpo di un grosso mostro, grandi bolle pulsanti di Obras solo sapeva cosa disseminate per il pavimento, sul soffitto trenta metri in alto, lungo le pareti. C’erano bozzoli, pile di ossa, fuochi. E tanti, tanti knurlock, più di quanti Siirist avesse potuto immaginare. Con una rapida perlustrazione mentale, individuò circa ottocento genlock, trecento, trecentocinquanta hurlock, una settantina di sharlock e, al centro del thaig, nell’edificio principale le cui pareti erano completamente vischiose e vive, una massa disgustosa che il mezz’elfo non volle vedere più chiaramente. L’avrebbe vista quando fosse andato a distruggerla, con i suoi due occhi. Ma sentire la presenza di creature viventi con la mente era qualcosa di più profondo, entrare in contatto con le loro coscienze poteva essere difficile. Dagli altri knurlock percepiva una sofferenza, una fame, una rabbia, un’urgenza di qualcosa che lo faceva star male. Gli ricordava il suo lato oscuro, per certi versi si sentiva sulla loro stessa onda, e ciò gli faceva rivoltare lo stomaco. Ma quello che avvertì nel toccare la mente della shelock era stato di gran lunga peggio. Essa era puro desiderio, un desiderio di cibo e un desiderio di sesso. I nani gli avevano detto che le shelock non facevano che accoppiarsi per sparare fuori tanti piccoli e (non) teneri knurlock che avrebbero portato tanta gioia e distruzione nel mondo, ma la shelock non ne aveva mai abbastanza. Voleva sempre accoppiarsi, con più di un maschio alla volta, voleva sempre mangiare. La sua mente era un ammasso di avidità e follia, una voglia contorta, deviata, che lo repelleva. La mente di Ryfon aveva toccato quella della knurlock femmina per nemmeno un secondo, che ne era dovuto fuggire. Represse un conato di vomito, causato principalmente da lei, e la vista del resto del thaig di certo non aiutava, prima di prepararsi ad affrontare l’apparentemente infinita ondata di nemici in arrivo.

Aveva dato le sue armi a Materia a Oghren, dicendogli di divertirsi. Non ne aveva bisogno, aveva capito cosa doveva fare per mantenere il più possibile il controllo sulla sua forza e la sua mente. Fanculo alla grazia degli elfi, avrebbe gioito nella danza del sangue dei demoni. Richiamò il suo sangue demoniaco e si trasformò; nemmeno badò di togliere la tunica perché sapeva che l’avrebbe buttata via, stracciata e insozzata com’era. Le sue ali la lacerarono quando si aprirono in tutta la loro estensione. Le ripiegò e camminò tranquillamente incontro ai nemici. Le mani gli tremavano, la bocca gli salivava. Sentiva i brividi negli artigli e nelle zanne, voleva squartare, sbranare, strappare. Prima si era sentito male a quel modo non solo per via della corruzione, anche la fame lo stava attanagliando; l’aveva repressa per troppo tempo, non aveva ucciso, non aveva fatto sesso, e la carne che aveva mangiato non era certo stata abbastanza. Ora si sarebbe soddisfatto. I primi genlock erano a pochi metri da lui quando estese le ali e balzò in avanti, roteando su se stesso. Falciò tutti i nemici che entravano in contatto con lui all’altezza della vita; quando incontrava un hurlock, alzava l’ala perché potesse prendere anche i knurlock più alti appena sopra le anche, poi la riabbassava per il genlock che seguiva. Dopo aver tagliato in due sessantadue nemici, allungò il braccio sinistro nell’esatto momento in cui fermò la sua rotazione mortale; afferrò per il capo un genlock, lo tirò a sé, appoggiò la mano destra sulla spalla e spinse mentre continuava a tirare con la sinistra: gli strappò la testa in un getto di sangue che lo inondò. Scagliò la testa contro la fronte di un hurlock, spaccandogli il cranio. Estese le ali e le mosse verso l’alto, tagliando verticalmente a metà due knurlock. Il settimo senso lo avvertì del pericolo imminente alle spalle, che evitò con un passo laterale verso sinistra. L’hurlock che lo stava caricando con la spada protesa in avanti si ritrovò con il cuore strappato dalla schiena. Siirist alzò la gamba sinistra e roteò di novanta gradi sul piede destro per menare un calcio laterale in faccia ad un genlock, poi alzò ancora di più la gamba e roteò ancora sul piede per prendere un hurlock su uno zigomo e spezzargli il collo nel momento in cui estese le ali per trafiggere il petto di altri due mostri. Ritrasse le ali e balzò in aria, roteando su se stesso e schizzando sangue dalle sue lucide penne nere. Alzò la gamba sinistra, il ginocchio a contatto con il naso. Abbatté il tallone con l’irruenza di un tuono contro il capo di un hurlock, facendone esplodere il contenuto. Fece forza sulla gamba sinistra e alzò la destra per schiacciare la faccia di un genlock che gli stava correndo incontro; la potenza del colpo gli staccò la testa dal corpo. Sbatté le ali e si alzò in volo, ritornando a terra solo per falciare altri knurlock.

Non sembravano finire mai, e lui continuava ad ucciderne. Ancora, ancora, ancora, ancora e ancora. Di nuovo e ancora, ripetutamente, sempre di più, ancora, di nuovo e ancora. Si bagnava nel loro sangue, godeva in quell’esplosione di liquido scuro, nero. Non era come Oghren, che veniva inondato dal sangue delle sue vittime perché semplicemente non gli interessava di evitarlo. Siirist si faceva sporcare appositamente. Non era il vivido sangue rosso che aveva imparato ad amare, quello che soddisfaceva il suo appetito, altrimenti avrebbe sempre tenuto la bocca aperta per bere. Ma la sua fame era placata da quel massacro. Afferrò due hurlock per la testa e li sbatté uno contro l’altro, spezzando i loro crani. Infilò le mani nel petto di altri due hurlock, strappando loro il cuore. Trafisse la gola di un genlock con la mano messa a lama, con la punta delle ali trapassò l’addome di altri due, poi li falciò con un avvitamento sul posto a cui seguirono diverse decapitazioni. In venti minuti il thaig era completamente ripulito e fu allora che arrivarono gli sharlock, consci che la situazione poteva essere diventata pericolosa. E per Obras se avevano ragione. I loro stridii stordirono Sylgja che perse la presa del suo fucile, ma Oghren, avvolto dalla sua aura arancione, ne fu immune, e continuò a fare a pezzi i knurlock che li stavano attaccando, proteggendo sé e Orla. Lanciò un profondo e possente urlo e la ragazza fu di nuovo attiva, dando fuoco (aveva preso lei il lanciafiamme) a tutti i nemici a cui sparava. Loro non sembravano avere difficoltà, bene. D’altronde tutti i knurlock parevano aver capito chi dei tre invasori fosse veramente quello pericoloso e che avevano bisogno di tutte le loro forze per eliminarlo. Come se avessero avuto anche solo una piccola speranza.

Siirist incrociò le ali, decapitando uno sharlock, e le riaprì, mozzando il capo ad un altro. I rimanenti otto sharlock che lo avevano circondato sparirono, muovendosi quasi istantaneamente indietro di dieci metri. Lanciarono tutti insieme uno stridio, ma l’illusione di Rorix impediva al suo Cavaliere di sentirne gli effetti. Sorrise e pure lui si mosse al massimo della velocità che i suoi 500mila douriki gli conferivano. Il suo movimento fu invisibile all’occhio nudo e riapparve fra due sharlock: con le mani posizionate a lama li decapitò nel momento in cui estese le ali per falciarne altri due. Ma sapeva che quel tipo di attacco non era sufficiente per sbarazzarsi definitivamente di quella tipologia di knurlock. Con un movimento rotatorio mosse le ali per fare a pezzi i quattro sharlock e gli altri che lo circondavano. Le ali si muovevano verso l’alto e verso il basso, riducendo il corpo dei nemici a brandelli. Gli sharlock erano rapidi e agili, degni del loro retaggio elfico. Siirist non credeva che così tanti elfi fossero stati corrotti, piuttosto era possibile che la shelock fosse originariamente stata un’elfa. Eppure erano presenti anche moltissimi hurlock, anche più degli sharlock. No, non aveva importanza: tutto ciò che contava era il massacro.

Siirist balzò in avanti con le ali rivolte davanti a sé. Tagliarono in due i nemici che ne vennero colpiti e subito dopo afferrò due hurlock per il mento, le dita che avevano penetrato la loro gola. Strappò la mandibola e entrambi caddero. Alcuni degli sharlock che non aveva sufficientemente fatto a pezzi si stavano rigenerando e si preparavano a riattaccare. Bene, non sarebbe stato soddisfatto se il combattimento fosse stato così breve. Sorrise felice, il viso imbrattato dal sangue nero dei knurlock, saliva che colava dalle labbra, gli occhi che brillavano di una nuova, intensa luce. La sua brama di sangue non aveva mai raggiunto livelli simili. Era inebriante, soddisfacente. Sentiva di voler uccidere, uccidere ancora e ancora. Nella sala del trono della sua torre mentale, le pareti erano ricoperte di sangue, completamente riverniciate di rosso, con gocce che colavano. Immagini ci si formavano, macabre, grottesche ombre nate da giochi di luce sul liquido rubino. Mostravano zanne, artigli, ali, sorrisi maniacali, occhi con espressioni omicide. C’erano scene di mutilazioni, squarciamenti. Seduto sul suo trono, Siirist era circondato da parole che comparivano a mezz’aria, anch’esse scritte con sangue gocciolante, parole che sentiva anche come disperati e sofferenti sussurri.

Sangue, Morte, Sangue, Morte, Morte, Uccidi, Sangue, Distruggi, Massacra, Morte, Sangue, Sofferenza, Piacere, Sangue, Uccidi.

E dietro c’era il falso, nella sua gabbia, che rideva, le sbarre della sua prigione che tremavano violentemente.

I tatuaggi del Sigillo di sangue apparvero sugli avambracci di Siirist, rosso brillante, mentre lui continuava a trucidare. Sapeva che gli sharlock non morivano così facilmente, ed era proprio quello il divertimento.

Sentì qualcosa richiamarlo, qualcosa attrarlo da un’altra dimensione. Si sentiva incompleto, sentiva che parte di sé era da un’altra parte e che il suo bisogno di uccidere non si sarebbe placato senza quel qualcosa. Il suo sorriso si allargò solo di più quando comprese che cosa gli mancasse. Portò il braccio sinistro in avanti, ruotato, il palmo rivolto verso l’esterno. Da esso si liberò l’energia necessaria a formare il sigillo rosso/argento dell’aquila e nella sua mano si materializzò Agar hyanda. La portò verso l’alto in un movimento che tracciò una semicirconferenza in senso antiorario. Si guardò intorno, assaporando il momento, sentendo la sua anima diventare un tutt’uno con quella della sua spada. Compì un altro quarto di circonferenza fino a che ebbe il braccio parallelo al terreno con la punta rubina rivolta esternamente. E in uno scattò menò un tondo manco dritto, più trascinato dalla spada che mosso dai suoi muscoli, che spazzò via tutti i knurlock che aveva davanti come fossero stati degli insetti. La forza del colpo creò un’area simile a quella di un trapezio equilatero, in cui il lato corto era il percorso segnato dalla punta di Agar hyanda, da cui si diramavano i lati obliqui che formavano con il lato corto un angolo interno di 135°. Tutti quelli che erano stati all’interno di questo ipotetico trapezio erano stati ridotti in innumerevoli e minuscoli pezzi. Oghren, con Sylgja dietro di lui, si era trovato esattamente a mezzo centimetro dal lato obliquo e non sentì nulla del devastante tondo se non una leggera brezza.

Agar hyanda vibrò di felicità, ma ora voleva un contatto diretto con le sue vittime e voleva assaporarne il sangue. Il suo padrone era lungi dal deluderla.

Si voltò e incominciò a menare la spada con una ferocia e una gioia nel massacrare mai provata fino a quel momento. Era bello come i knurlock non avessero alcun istinto di sopravvivenza, altrimenti sarebbero fuggiti, obbligandolo a mettersi al loro inseguimento. Invece si lanciavano contro di lui, permettendogli di semplicemente muovere il braccio e farli a pezzi, la lama di Adamantite che tagliava i loro corpi come se il mezzo demone stesse menando colpi all’aria.

Lentamente Siirist si mosse verso la grande residenza al centro del thaig, che aveva supposto essere dove la shelock aveva fatto il suo nido, e quando vi entrò, trovò l’essere più ripugnante mai visto in vita sua.

Uccidila, gli disse una voce nella sua testa, un sussurro di donna, sensuale e perverso, e lui era più che felice di assecondarla.

La shelock era al centro di una sala rivestita di materiale organico come tutto il resto del thaig. Essa era un colossale ammasso di grasso flaccido, impossibile da riconoscere come nana, umana o elfa. La pelle era grigia e cadente, piena di rotoli, con seni che le ricoprivano tutta la pancia e la schiena. La metà inferiore del corpo era un globo di orrendi tentacoli a cui il mezzo demone vide attaccati numerosi hurlock. Probabilmente erano nel mezzo di un caldo accoppiamento. Molto romantico. Probabilmente Siirist avrebbe vomitato se fosse stato in sé. Purtroppo per i knurlock quello non era il caso. Mosse il braccio sinistro quando un tentacolo spuntò dal terreno e lo avvolse, ma dopo una scossa di fulmini rubini, esso si ritrasse. Sharlock e hurlock attaccarono l’invasore, ma questi avvolse la lama di Agar hyanda di fiamme azzurre e la mosse davanti a sé, liberando in avanti l’energia dell’arte demoniaca che diede fuoco a tutto ciò che di organico c’era in quel luogo. Il crepitio e l’odore di carne bruciata si propagò per tutta la stanza assieme ai suoni sofferenti dei knurlock. Il modo in cui si incendiò la shelock particolarmente colpì Siirist. Tutto il suo grasso produsse una fiamma dall’aspetto spettrale, grigiastra, quasi trasparente se non per un’anima rosso-arancio.

Per quanto Ryfon amasse sentire gli urli sofferenti delle sue vittime, il terribile puzzo che lo investì era diventato insopportabile oltre ogni immaginazione, dunque puntò in avanti la sua spada, alcune rune lungo la lama che brillarono dello stesso colore del suo fuoco azzurro.

«Incenerimento.»

Tutte le fiamme incrementarono il loro potere ed esplosero in una grande luce azzurro/violacea che lasciò intatto ciò che un tempo i nani avevano costruito, ma rimuovendo ogni traccia del nido e dei suoi abitanti. Soddisfatto, il mezzo demone stava per rimandare Agar hyanda a Oblivion quando sentì dei passi dietro di sé. Stava per voltarsi e tagliare chi gli stava correndo incontro, ma una tremenda fitta gli percorse tutto il corpo, perse la presa della spada, cadde in ginocchio con le mani a stringersi la testa e capì che l’illusione di Rorix era stata dissipata.

‹Che sta succedendo?!›

‹Dovrei chiedere lo stesso a te! Eri assalito da una brama di sangue senza eguali! Hai invocato Agar hyanda e usato l’arte della Vampa! Sei pazzo?! Hai usato arti mistiche! E stavi per attaccare Sylgja e Oghren!› gli rispose il drago.

Siirist si guardò gli avambracci e vide i suoi tatuaggi ritornare ad essere neri. La gabbia del falso smise di tremare e le sbarre, che si erano piegate, ritornarono dritte.

‹Guastafeste.› commentò questi con tono apparentemente noncurante, ma palesemente acido e furioso.

‹Grazie.› disse il vero.

‹Figurati, ci sono sempre per te.› rispose gentile il suo compagno mentale.

«Cos’è successo qui?!» esclamò Oghren.

«Eliminato la shelock e i suoi amichetti. Niente di che.»

«Così velocemente?»

«Non è così difficile se dai loro fuoco con fiamme che bruciano a tremila gradi.»

Sylgja guardò preoccupata verso il mezzo demone. Stava per dire qualcosa, ma Ryfon scosse la testa e lei rimase zitta. Oghren si guardò intorno con meraviglia, poi posò lo sguardo su Agar hyanda a terra e sul suo proprietario dai capelli rossi e le grandi ali nere.

«Non sono un esperto di umani, ma da quello che so, non avete le ali. E nemmeno gli elfi, o i mezz’elfi come te dovrebbero averne.»

«Amico mio, non posso darti torto.» rispose a fatica Siirist.

«Sei un demone?»

«In parte. Spero non sia un problema.»

«Per me potrebbe saltare fuori che sei un incrocio tra un millepiedi e un ragno gigante, sarai sempre il mio compagno di bevuta che ha preso per il culo tutta la casta nobiliare!» rise sonoramente.

«Lieto di sentirlo.» sorrise.

«Quella è la tua spada? È forte. Capisco perché dicevi che avrebbe potuto rivaleggiare con l’ascia di marmo nero dei Dorrak.»

«Già, ma è pericolosa.»

Siirist puntò la mano in direzione di Agar hyanda e la rimandò a Oblivion attraverso il sigillo rosso/argento dell’aquila. Il nano si guardò intorno.

«Non avrai mica incenerito anche i tesori che erano probabilmente stati radunati qui? Come il corno, ad esempio?» suppose.

«No, mi sono solo liberato di materiali organici. Ma a proposito di tesori... Già che ho usato le arti mistiche, tanto vale farlo ancora. Canto del leone.»

Diede vita al suo famiglio di fuoco d’Inferno che mandò al forziere dove avevano trovato l’incudine ingemmata. La fiera fiammante partì in corsa e dopo qualche falcata parve dissolversi, solo per riapparire all’uscita del thaig e di nuovo scomparire. Era veloce. Il mago usò anche un incantesimo organico per sbarazzarsi del problema della sua corruzione; rimase orripilato nello scoprire che non ne era in grado, non importava che cosa facesse. Lo disse ai compagni e Oghren raccomandò di andare a vedere il guaritore personale di Durin che aveva aiutato lui in passato. Siirist annuì, ma decise di farlo dopo aver trovato i tesori mancanti e, per il momento, si applicò un incantesimo organico che avrebbe tenuto a bada la corruzione come stava facendo prima l’illusione di Rorix. Si mise in piedi e disse di cominciare a cercare il corno. Dopo dieci minuti si stufò e riutilizzò il metodo usato a Ilirea per localizzare la formula di Adamantio.

«Niente, in questi thaig non c’è la minima traccia di un corno da bevuta.»

«E se fosse ancora nel palazzo di Mzulft? I knurlock sono attratti a ciò che luccica, potrebbero aver ignorato il corno.» suppose Sylgja.

«Sono io il nano, perché ci hai pensato tu e non io?!»

«Perché tu hai birra e tette nel tuo cervello peloso, a differenza mia. E io ho dato ascolto a Durin mentre mi spiegava dei knurlock.» rispose con un sorriso.

Oghren ruttò.

«Giusto.»

Siirist e Sylgja scossero la testa ridendo. Il mezz’elfo ebbe un’immagine mentale del forziere attraverso gli occhi del suo famiglio e dislocò la cassa piena di ricchezze ai suoi piedi mentre il famiglio si dissolveva per davvero. Oghren saltò indietro per la sorpresa di vedersi comparire davanti il forziere; il mago gli spiegò che cosa fosse successo e quello, imprecando, rise. I tre si misero in cerca della strada che li avrebbe condotti verso l’alto, con il forziere che levitava dietro di loro.

«Sicuro sia saggio continuare a usare la magia? Non avevi detto che il Consiglio ti può rintracciare se lo fai?»

«Sì, ma ormai ho fatto uso di magia e invocazione, sapranno già che sono qui, tanto vale continuare ad usare il misticismo finché sono oltre Orzammar. Anche se il Consiglio sa dove sono, nessun Cavaliere può andare oltre Orzammar senza distruggere tutti i tentativi di riconciliazione con i nani che ci sono stati negli ultimi cinquemila anni. Il problema sarà trovare un modo per lasciare Orzammar: sono sicuro che i Cavalieri appostati saranno tutti fuori pronti ad accogliermi. Probabilmente avranno anche messo su una barriera per individuare la mia presenza, qualunque cosa io cerchi di fare per nasconderla.»

«Non è ancora ora di partire, hai tempo per pensare ad un piano.»

Siirist le sorrise e le scompigliò i capelli.

 

Aulauthar stava apprezzando il piacere di una tazza di tè freddo nella sua stanza quando sentì qualcuno bussare alla porta.

«Avanti.» disse con tono gentile.

Ad entrare fu Enmon, della settima brigata. Aveva oltre due secoli di vita, era propenso ad usare una daga assieme alla sua spada, aveva uno stile di combattimento molto rapido e agile, era specializzato in magia e stregoneria basate sugli elementi oscurità, terra e acqua. Era un discreto alchimista e, più importante di tutto, era un membro della Gilda dei Ladri. Il Cavaliere d’argento capì subito perché il ladro fosse venuto da lui.

«Prego, accomodati. Vuoi una tazza di tè?»

Il ladro chiuse la porta e si accomodò sulla sedia che il Consigliere gli stava indicando. Accettò la bevanda che gli veniva offerta con un sorriso ed un cenno della testa.

«Tutto bene? Come sta tua sorella?» si interessò l’altmer.

«Molto bene, grazie, sebbene non ami particolarmente il freddo. Stare per anni di guardia davanti ai cancelli di Orzammar può diventare stancante. Però non ha molto di cui lamentarsi, dice che le persone che passano per lì possono essere molto interessanti. Giusto qualche giorno fa dice di aver visto un bel ragazzo con capelli biondi e occhi azzurri. E può sembrare strano, ma era quasi certa avesse le orecchie a punta! Divertente, non credete?» e rise.

Aulauthar concordò. Siirist era passato a Orzammar? Perché? E perché la Gilda glielo stava dicendo, perché ora?

«Ma non importa quanti bei ragazzi possa vedere, è stanca di stare lì al freddo, specie quando sa che io sono qui al caldo.» ridacchiò e prese un sorso di tè.

«Posso solo immaginare. Nemmeno io sono un grande amante delle temperature basse, soprattutto quelle dei Beor. Ma nemmeno il caldo troppo afoso mi piace, ecco il perché di una bevanda fresca.» alzò il suo bicchiere.

Enmon fece altrettanto ed entrambi bevvero contemporaneamente.

«Non trovo io abbia molto di cui lamentarmi. Il clima qui a Vroengard è molto più gradevole che in altri luoghi. Come il deserto di Dalmasca, ad esempio.»

Aulauthar fissò i suoi intensi occhi verdi sull’umano che aveva davanti. Prese un sorso del suo tè e continuò ad ascoltare.

«Deve essere terribile stare lì, senza poter usare il misticismo per mitigare la calura. Almeno a nord si trova la Foresta Antica, con la sua aria di casa, mentre a sud ci sono solo i Beor, con i loro alti picchi e le sole abitazioni sono nelle loro viscere. E la maggior parte nemmeno è più abitabile.»

In mezzo a Dalmasca senza poter usare le arti mistiche, due destinazioni, una delle due “casa”. Aulauthar sorrise e annuì. Enmon svuotò il suo bicchiere con un ultimo sorso.

«Vi ringrazio per il tè, Aulauthar. È sempre un piacere parlare con voi.»

Si alzò e aprì la porta, portando un altro Cavaliere a battere il suo pugno a vuoto.

«Scusami tanto, non sapevo fossi lì.» disse con aria bonaria Enmon.

L’altmer rise tra sé e sé, sicuro che il ladro avesse percepito l’arrivo del nuovo Cavaliere con il settimo senso e che avesse abbandonato la stanza appena in tempo. Il Consigliere guardò verso il dunmer appena giunto e lo vide con un’espressione seria.

«Aulauthar, Ashemmi ha convocato il Consiglio.»

Questa sarebbe stata bella. Il Cavaliere d’argento guardò verso il suo compagno mentale che riposava sul tappeto. Questi si alzò e seguì l’altmer fuori dagli alloggi degli anziani e fino alla Sala del Consiglio.

«Sono felice tu abbia deciso di convocarci tutti.» sorrise alla donna.

Ashemmi lo fissò con odio.

«Non siamo noi che abbiamo deciso di tradire le nostre leggi.»

«Ci dipingi come dei criminali. Se uno di noi impazzisce e la maggioranza lo segue, è solo il dovere della minoranza mostrare loro l’errore delle loro azioni.» scherzò Eimir.

I cinque fedeli di Delmuth rimasero in silenzio, ma se uno sguardo avesse potuto uccidere, Aulauthar e gli altri tre sarebbero stati polvere. L’altmer sorrise nel suo solito modo amabile.

«Qual è l’urgenza?»

«I filatteri di Siirist, Gilia e Alea hanno reagito ad un loro uso di energia spirituale. Alea è nella Foresta Antica, nei pressi della Foresta Proibita, e Gilia è in mezzo ai Beor. Entrambi hanno collaborato in una stregoneria diretta ad Alea. Siirist è nelle profondità dei Beor, oltre Orzammar, e ha usato un’invocazione e una magia.»

Aulauthar capì perché la Volpe Grigia aveva deciso di fargli sapere l’ubicazione dei tre allievi di Althidon: lo avrebbe scoperto comunque a causa dei filatteri.

«Io dico che c’è un errore, Siirist non può certamente essere oltre Orzammar.» disse con aria innocente.

«I filatteri non commettono errori.» rispose secca Ashemmi.

«Bisogna catturarlo. Dopo aver attaccato Delmuth, è ufficialmente un traditore dell’Ordine.» sentenziò Injros.

«Non possiamo dar retta a quelli che ci hanno riportato Delmuth. Affermano che Siirist ha usato un’invocazione istantanea di oggetti inanimati, che ha usato una magia di sabbia e che ha ridotto Delmuth in quello stato nel giro di un secondo con un attacco mentale. Tutto questo è impossibile, lo sapete bene quanto me.» disse Syrius.

Ma Soho solo sapeva quanto il suo rivale di una vita si stesse divertendo a deridere gli altri sei. Ma di sicuro non quanto i due creatori delle tecniche che Siirist aveva usato. Aulauthar era solo felice che Syrius avesse smesso di dargli contro e che avesse capito l’importanza del Cavaliere d’Inferno. Se a guidare la maggioranza del Consiglio fosse stato lui anziché Delmuth, il ragazzo avrebbe avuto un ostacolo ben più grande da superare.

«Anche se Siirist avesse in qualche modo superato Orzammar, non possiamo prenderlo lì, i nani non ce lo permetterebbero.» disse Adamar nel suo tono pacato.

«Hanno permesso a lui di passare, perché non dovrebbero fare altrettanto?» fece Ashemmi.

«È un abile ladro, deve averli elusi in qualche modo.» suppose Eimir.

«Uno dei miei informatori a Orzammar mi dice che ha visto due umani venire scortati nella galleria per Tronjheim.» disse Xander.

Aulauthar odiava come quell’umano fosse pieno di risorse. Sapendo che la Gilda dei Ladri, l’agenzia investigativa “ufficiale” dell’Ordine dei Cavalieri, riportava sempre tutto a lui, Xander aveva trovato il modo di piantare delle sue spie personali per Tamriel. Per fortuna non aveva le stesse conoscenze della Volpe Grigia, con amici anche nelle profondità dei Beor e a Hellgrind.

«Ammesso che sia vero, Siirist deve aver avuto un modo per convincere i nani a farlo passare, modo che a noi manca. Potremmo anche invadere il loro regno, ma questo rovinerebbe tutti gli sforzi compiuti negli ultimi cinquemila anni, quindi è qualcosa da evitare.» disse chiaramente Syrius, il tono che non accettava discussioni.

«Lo sappiamo bene. Ma Siirist dovrà lasciare i Beor, prima o poi, e per farlo c’è solo Orzammar. I Cavalieri appostati fuori dal cancello avranno l’ordine di rimanere all’erta. Quando Siirist uscirà, lo arresteranno.»

«Se Siirist ha davvero neutralizzato Delmuth così facilmente, credete davvero che i Cavalieri di Orzammar saranno in grado di fermarlo?» disse con aria divertita Eimir.

Aulauthar avrebbe voluto condividere il divertimento dell’amico, ma c’era qualcosa di più pressante.

«Xander, il tuo informatore ha avuto modo di vedere che aspetto avesse questa ragazza?»

«No, purtroppo.»

Come se gli potesse credere.

«È tutto?» domandò ad Ashemmi.

«È tutto.»

Aulauthar lasciò la Sala del Consiglio e si diresse verso gli alloggi della settima divisione, ma si fermò dopo una ventina di passi. La Volpe avrebbe certamente pensato ad un’eventuale compagna di Siirist e avrebbe pensato lui a come evitare che venisse catturata e interrogata. Non c’era niente di cui preoccuparsi. Accarezzò Skryrill e insieme ritornarono alla loro stanza.

 

Dopo essersi accampati e aver dormito, Siirist, Oghren e Sylgja si misero in cerca della via per salire dal livello degli antichi thaig per arrivare alla più moderna (o meglio, “meno antica”) Mzulft. Incontrarono pochi altri gruppi di knurlock che eliminarono senza problemi e nel giro di dodici ore erano in vista del punto in cui Siirist aveva ucciso il millepiedi gigante.

«Trovato niente?»

Oghren aveva fatto razzia di tutte le case che avevano incontrato, buttando all’aria tutto ciò che vi trovava dentro. Coppe, bicchieri, calici, caraffe... Ma del leggendario corno d’avorio non c’era traccia.

«No, no, no, no, no... no!» esclamò innervosito il nano.

Siirist sospirò.

«Spiriti della pietra, dell’aria, dell’acqua e della memoria, io vi chiamo a me in questo luogo per chiedere il vostro aiuto nella mia ricerca. Mostratemi questa città come era nei suoi giorni di grandezza, mostratemi cosa è accaduto al corno d’avorio.»

Tutto intorno a lui lo spazio tremò, ma Oghren e Sylgja non ne risentirono, perciò Ryfon capì che gli spiriti che risiedevano nelle rovine di Mzulft stavano interagendo solo con lui. Sopra alla città morta che vedeva con i suoi occhi si sovrappose il fantasma della città che era stata, una città viva, operativa, ricca. Siirist fu investito dagli odori che avevano permeato le strade di Mzulft, dai suoni delle voci dei nani che ci avevano vissuto. Immagini dei suoi abitanti gli saettavano intorno, apparendo e scomparendo in un batter d’occhio. Si sentì spinto in avanti e assecondò gli spiriti che lo stavano guidando. Camminò su un ponte che si ricostruì per il volere degli spiriti, lungo una strada che era stata sepolta dalle macerie, le quali si spostarono per permettergli di passare. Attraversò una piazza demolita, ma ai suoi occhi la fontana al centro spruzzava acqua e dei bambini correvano felici intorno ad essa, mentre altri suoni di vita gli giungevano alle orecchie: battenti che si aprivano e chiudevano, nani che ridevano ubriachi nella taverna, fabbri che battevano i loro martelli. Arrivò ad una casa che era diventata un tutt’uno con la parete rocciosa, ma che lui vide perfettamente scavata in essa. Vi entrò, e ne vide l’arredamento sfarzoso, seppur nel modo scomodo e semplicistico dei nani, ma in verità era solo un ammasso di pietre cadute. Superò diverse stanze e corridoi fino a che raggiunse una stanza in cui trovò quattro coppie di armature rivolte una verso l’altra disposte in due file che delimitavano lo spazio in cui un tempo si era trovato un tappeto. Al termine di esso vi era un piedistallo su cui riposava il grande corno da bevuta. Era stato senza dubbio ricavato da una zanna di olifante; era lungo cinque metri, con una circonferenza di novantacinque centimetri. L’interno era stato svuotato, ma l’esterno, un meraviglioso avorio, era stato tempestato di gemme e anelli di oro giallo, nero e rosso.

I suoi compagni lo raggiunsero.

«Salta fuori che è molto prezioso! Deve essere stato questo posto introvabile ad averlo protetto dalle grinfie dei knurlock. Fortuna la tua magia!» commentò Sylgja.

«Era stregoneria.» puntualizzò senza però credere veramente che gli altri due sarebbero stati interessati.

«Per tutto il piscio dei miei antenati, questo sì che è un corno da bevuta!» se ne uscì Oghren.

«Felice che ti piaccia. Ti andrebbe di portarlo a Tronjheim adesso?» gli propose il mezz’elfo.

«Se mi andrebbe?! Ma prima di tornare da Orik, voglio fare una visitina a Erthic e ripulirlo di tutta la sua birra!»

«Fai come ti pare, ma non aspettarti che paghi per i tuoi debiti.»

Il nano ridacchiò e aprì il forziere levitante, da cui estrasse una manciata di ricchezze.

«Se cambio questi in incudini, avrò più che abbastanza soldi per bere fino a svenire!»

«Molto probabile. Facciamo così: porta anche il forziere a Tronjheim e ti permetto di usarne il contenuto per bere finché ti ritieni soddisfatto.»

«L’incantesimo di levitazione rimarrà attivo?»

«Sì, ma ora lo modifico perché non sia più io a sostenerlo.»

Attorno al suo anulare destro, Siirist aveva legato dieci douriki di Flusso necessari per mantenere attiva la magia per far fluttuare il forziere, e ciò era un continuo peso, per quanto insignificante, sulla mente del mago, perciò richiamò altro Flusso vitale e diede all’incantesimo una potenza di centomila douriki. La differenza si trovava nell’alimentazione dell’incantesimo, che non era più costantemente sostenuto dal mago, ma consumava l’energia utilizzata, perciò, quando essa si fosse esaurita, la cassa sarebbe caduta a terra. Ryfon spiegò questo ad Oghren che partì subito alla volta di Tronjheim. Si girò verso Sylgja.

«Siamo rimasti solo noi due.» sorrise lei.

«Dovremmo mangiare un po’ prima di andare a Mzinchaleft.»

«Finalmente.»

Siirist notò il barlume di impazienza negli occhi della ragazza. Era chiaro che non avesse aspettato altro da quando, quattro giorni prima, Orik gli aveva assegnato il compito di trovare i tre tesori perduti. Si sedettero e consumarono le ultime delle provviste che si erano portati. Ryfon si accorse che la compagna era lì per dire qualcosa, ma che per qualche ragione si stesse trattenendo.

«Che c’è?»

Lei alzò lo sguardo.

«Forse non è il caso di andare subito a Mzinchaleft.»

«Perché dici così? Credevo non vedessi l’ora.»

«Infatti, però... Stai male, non voglio che ti metti fretta solo per farmi contenta. Dovremmo tornare a Tronjheim, dove ti puoi far visitare, poi possiamo ritornare qui.»

Siirist scosse la testa.

«Non ho voglia di ritornare a Tronjheim per poi andare a Mzinchaleft. Troviamo il segreto del marmo nero e ce ne ritorniamo a Tronjheim. Posso resistere ancora un po’, tranquilla. E se incontriamo altri knurlock, li riduco in cenere prima che possano fare niente.»

Finito di mangiare, si rimisero subito in cammino. Lasciarono la deviazione per Mzulft e arrivarono alla lunga galleria che collegava la capitale con la città-cancello e procedettero in direzione di quest’ultima. Quando arrivarono alla deviazione successiva, anche essa sulla sinistra come lo era quella per Mzulft, Siirist utilizzò una seconda stregoneria.

«Spiriti della pietra, della luce e della memoria, date ascolto alla mia supplica e aiutatemi ancora. Conducetemi al luogo in cui riposa il segreto del marmo nero. Spiriti del vento e della malattia, assecondate il mio animo dispettoso: se il Consiglio degli Anziani è in grado di percepire quale misticismo io stia usando, infastidite i cinque che mi sono nemici: date loro il solletico, riempiteli di allergie e fateli andare al bagno in preda ad una diarrea cronica.»

Siirist sentì le Dominazioni ridere attorno a lui prima di dirigersi a Vroengard e attaccare i Consiglieri. Le ringraziò prima di seguire i Troni di pietra, luce e memoria che avevano creato una scia luminescente azzurrina che si dirigeva fin dentro Mzinchaleft.

«Prima le donne.» si inchinò verso Sylgja, il braccio sinistro esteso ad indicare la via per la città in rovina.

La ragazza fece un leggero inchino di risposta e si incamminò, il mezz’elfo subito dietro di lei. La città era un rudere a metà tra Alftand e Mzulft. Non protendeva verso l’alto come l’antica sede del casato di Orik, ma era evidente dalla struttura che un tempo vi fosse stata una grossa porzione alla luce del sole. Ma non erano lì per fare i turisti. A differenza dei due tesori perduti precedenti, Siirist e Sylgja sapevano perfettamente dove dovevano andare, e si diressero verso il thaig Kagrenzel, con gli spiriti che li guidavano nella direzione giusta. Seguirono i resti di una strada, attaccati più volte da mostri che vi avevano fatto la tana. Uno era un varterral, una creatura che si era addirittura guadagnata un posto nel grimorio di Eleril. Era alta oltre cinque metri, vagamente rassomigliante a un ragno con cinque zampe. Il corpo era sollevato da terra di quattro metri, e le zampe erano lunghe e agili, terminanti in delle punte capaci di perforare facilmente la roccia. Era famelica e i due esploratori avrebbero certamente avuto dei problemi se il Cavaliere si fosse ancora astenuto dall’usare il misticismo. Ma visto che l’aveva già usato, non si era fatto problemi a dar fuoco al mostro con l’arte della Vampa e imprigionarla in un blocco di pietra senza aspettare che venisse completamente consumata dalle fiamme. I suoi occhi rossi, si sentì pervadere dalla gioia dell’uccisione. Lasciò andare il suo sangue demoniaco e le iridi ritornarono azzurre. Lui e Orla continuarono la loro ricerca, imbattendosi in alcuni automaton che erano rimasti interi e avevano considerato i due degli intrusi, ma ancora erano stati facilmente neutralizzati dai fulmini demoniaci del mezzo demone. Quasi gli mancava il non usare i suoi poteri, demoniaci o mistici, perché con essi era tutto fin troppo facile. La sua fame era stata momentaneamente saziata dopo lo splendido massacro dei knurlock, ma aveva bisogno di un altro scontro soddisfacente o di una colossale scopata. Guardò la ragazza che gli camminava di fronte, i glutei che ondeggiavano ad ogni passo, ed un leggero ringhio gli salì dalla gola, mentre la bocca andava in iper salivazione, i denti formicolavano e gli occhi bruciavano. Odiava quelle trasformazioni involontarie. Chiuse gli occhi e se li massaggiò.

«Tutto bene?»

Rialzò le palpebre per vedere la sua compagna di viaggio ferma a fissarlo dubbiosa. Le sorrise e le passò oltre, appoggiandole una mano sulla spalla per rassicurarla.

Dopo un paio di ore avevano trovato le indicazioni per Kagrenzel ed erano scesi più in profondità, fino a che Siirist avvertì lo scontro di due forze spaventose. Bloccò Sylgja e si concentrò di più per capire chi o cosa rischiava di incontrare e affrontare. No, poteva essere?

«Aspetta qui.»

Partì in corsa, lungo i cunicoli scavati nella roccia traspirante dei Beor, accanto a case abbandonate e franate, quando percepì un’esplosione di potere ed una delle due forze gli arrivò addosso, sfondando una parete. Era alto un metro e ottantasette, indossava abiti neri, aveva corti capelli neri ed una barba dello stesso colore, uniforme, due millimetri spessa, che gli copriva la gola e la mandibola. Era diventato anche più grosso fisicamente, più massiccio; a Siirist un fisico simile non avrebbe mai donato, ma c’era da ammettere che era appropriato per quell’altro. Nella mano destra impugnava una spada di Cristallo rivestita di argento nero, nella sinistra un’ascia.

«Ma che...?» fece sorpreso.

«Levati.» intimò il biondo.

Gilia sgranò gli occhi, incredulo.

«Siirist?! Che cazzo ci fai qui?!»

«Potrei chiedere lo stesso a te, amico mio. Ora levati prima che ti faccia saltare io. Gli anni passano, ma il mio odio a stare troppo a contatto con un uomo resta.»

Il Cavaliere d’Incubo si mise in piedi e Ryfon fece altrettanto.

«Bene, bene, che piacevole sorpresa! Giusto te cercavo, Cavaliere d’Inferno.» esultò una malefica voce.

L’interessato guardò verso il buco nella parete da cui era volato fuori l’amico e vide uno spettro che impugnava una sorta di triplice nunchaku. L’idea gli parve geniale.

«Bella arma! Ti spiace se te la copio?» si eccitò.

Lo spettro, lo sentiva chiaramente, era forte. Niente del suo essere era sotto il livello di Serafino. Il sangue del mezzo demone ribollì, i suoi occhi diventarono rossi e ringhiò di piacere, la prospettiva dello scontro che lo entusiasmava.

«Stanne fuori.» disse con voce piatta Gilia.

Siirist lo guardò e capì. Non c’era spettro in tutta Gaya che l’amico avrebbe voluto affrontare e uccidere da solo ad eccezione di uno.

«È tuo cugino?»

«Era.» rispose secco.

«Capisco.»

Ryfon andò verso una pietra che si trovava a terra e vi si sedette. Lo spettro sorrise e si mise in posizione per riprendere il duello.

«Se perdi interverrò prima che ti uccida e ti sfotterò a vita.» disse il biondo al moro.

Questi sorrise e annuì e rimandò la sua ascia a Oblivion. Alzò il braccio sinistro a mo’ di protezione e su di esso apparve un grosso scudo nero, generato dal sigillo nero dell’aquila.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola LO SPETTRO DI CORVINUS. Gilia regolerà i conti con suo cugino e scoprirà qualcosa di molto importante.

Ritorna all'indice


Capitolo 73
*** LO SPETTRO DI CORVINUS ***


LO SPETTRO DI CORVINUS

 

Gilia studiò l’essere in cui suo cugino si era trasformato. Ma a pensarci bene, aveva solo ottenuto più potere: l’indole malvagia era sempre stata quella. Dalla corporatura pareva più debole di quanto fosse stato in passato, ma il moro sapeva bene che non era affatto così. E ora poteva facilmente sentire il livello di potere degli spiriti che gli possedevano il corpo. O meglio “sostenevano”, in quanto era evidente che lo spettro avesse riottenuto la sua personalità iniziale. In quanto abile stregone, Gilia aveva sempre avuto la capacità di percepire una differenza nei poteri degli spiriti, ma dopo l’allenamento seguito con Eimir, lo aveva imparato a fare con maestria. In passato aveva creduto che ci fossero solo sette categorie anziché nove, perché aveva sempre riassunto le ultime tre in una; Cherubini e Serafini, come li aveva chiamati il Cavaliere di Oblivion, erano sempre risultati troppo potenti e complessi per essere compresi dal ragazzo. Ma ora quel ragazzo era cresciuto ed era diventato un Cavaliere d’Incubo degno di quel nome.

«L’ultima volta mi hai parlato nella lingua degli elfi. Sono contento di rivedere che sei ritornato in te, cugino. Così potrò punirti per quello che hai fatto a Cheydinhal trentotto anni fa!»

«Sono io che sono felice, perché potrò vendicarmi con più gusto. E se credi di potermi sconfiggere facilmente, sei fuori strada: non sono più lo spettro che hai visto nascere. Già allora fui posseduto da spiriti di luce e vento del più alto livello, ma in questi anni ne ho assorbiti altri, rafforzandomi ulteriormente.»

«Interessante. Non sapevo uno spettro potesse farlo.»

«Non normalmente, ma divorando altri corrotti sì. Ora in me ci sono spiriti di fuoco, di natura e i miei preferiti, di decadenza. Muori.»

Come aveva sospettato, l’energia sprigionata dallo spettro di Albecius era quella di Serafini. Ma non aveva importanza. Questi alzò la mano, evidentemente per liberare i suoi spiriti, ma non accadde niente. Parve confuso.

«Guardati intorno.» sorrise Gilia.

In quella cava di marmo nero, ogni forma di misticismo era impossibile. Albecius parve leggermente infastidito, ma subito scrollò quella sensazione.

«Giusto, che stupido. Pare dovremo fare le cose in maniera più brutale. Quell’ammasso di muscoli di Thor sarebbe felice, immagino. Non ho più avuto sue notizie, a proposito; è ancora vivo?» disse portando la mano dietro la schiena all’altezza dei lombari.

Gilia aveva notato la cintura alla vita dello spettro e le tre aste metalliche che spuntavano da entrambi i lati; a destra terminavano in degli ingrossamenti, come fossero delle mazze, a sinistra in tre catene unite ad un anello. Aveva supposto fossero una sorta di arma, ma non erano niente come le armi che aveva visto. E aveva studiato sotto Eimir, il maestro di tutte le armi mai concepite nell’Impero umano e nel regno elfico. E conosceva pure alcuni modelli di armi naniche. Se quella era un’arma, era qualcosa di origine demoniaca. Albecius mosse il braccio destro, estraendo la sua arma. Parve notare lo sguardo incerto del cugino.

«Ti chiedi che cosa sia? È una mia personale variante di un’arma piuttosto comune a Hellgrind chiamata “nunchaku”. Solitamente sono due aste unite insieme da una catena. Io ho modificato un po’ il concetto. Puoi considerarla un misto tra un nunchaku e una mazza ferrata.»

Conoscendo suo cugino, Gilia suppose che quel “nunchaku” fosse un’arma molto veloce ma capace di arrecare ingenti danni. E le teste di quelle mazze davano proprio l’idea di far male dove colpivano. Tutto d’un tratto al Cavaliere mancò la sua armatura nera, al sicuro in una montagna del piano di Bahamut assieme alle sue altre armi, ma purtroppo non le poteva invocare finché si trovava in vicinanza del marmo nero. Legò la torcia alla cintura, così che il fascio di luce illuminasse davanti a lui e portò la sinistra all’ascia a Materia e la accese, l’energia della gemma alchemicamente modificata che circondava la lama con un sottile velo azzurrino. Era un bene che Albecius non possedesse spiriti di fulmine.

«Thor è ancora vivo, per rispondere alla tua domanda, e ancora sorprendentemente in forze. Si occupa di allenare reclute per la guardia di Cheydinhal. Ti saluta, ora che mi ci fa pensare, e mi ha detto che spaccarti la faccia anche da parte sua, ti dovessi incontrare.»

«Quant’è premuroso. Dovrò ricambiare il saluto.»

I due Corvinus si lanciarono uno contro l’altro nello stesso momento. Il triplice nunchaku colpì con due delle sue parti contundenti l’ascia a Materia, la terza impugnata dallo spettro; con solo quel colpo, Gilia si sentì tutto il braccio tremare e vide la lama dell’ascia incrinarsi. Albecius era fortissimo, più forte di lui, e nemmeno aveva messo tutto il suo peso in quell’attacco. Era stato solo un gioco, come sempre, era sempre e solo un gioco per quel folle bastardo. Normalmente dopo aver parato un colpo con l’arma in una mano, il Cavaliere avrebbe attaccato istantaneamente con l’altra; il problema era che era rimasto troppo scosso dalla mazzata e Enedome ithil non fu sufficientemente rapida per perforare il cuore dello spettro: questi invertì la presa che aveva sulla terza mazza e la alzò per intercettare la spada di Cristallo. Con maestria e velocità, mosse il polso e le altre due mazze guizzarono in un movimento dal basso verso l’alto che presero il moro sotto al mento, alzandolo da terra di un paio di metri e lanciandolo indietro di una decina. Si era quasi ritrovato il collo spezzato dal movimento della testa, il mento diviso in due. Cadde a terra e rotolò in malo modo, sbattendo la nuca diverse volte.

‹Maledizione. Se continua così, mi ammazza. Devo allontanarmi dal marmo nero. Se lui ha Serafini di decadenza, io ho Cherubini di vita e di natura. Forse riusciranno a contrastare i suoi spiriti.›

Era un rischio e lo sapeva, ma l’alternativa era venire preso a mazzate finché ogni osso nel suo corpo era ridotto a piccoli frammenti che persino Adeo e Alea insieme avrebbero avuto difficoltà a ricostituire. Cercò di rimettersi in piedi, il mento che gli pulsava di dolore, sangue che lo imbrattava.

«È tutto qui quello che il grande Cavaliere d’Incubo è capace di fare? Syrius deve sentirsi in imbarazzo ad avere te come successore.» derise Albecius.

Gilia guardò su, gli occhi furenti e la bocca semi aperta per non arrecare ulteriore dolore al mento.

«Ora che ci penso, c’è qualcosa che non ti ho mai fatto vedere...» disse piano lo Scorpione, facendo roteare le due mazze assieme all’anello che legava le tre catene.

Gilia vide comparire davanti a sé l’immagine di suo padre a quattro zampe, pietrificato. Vide Navare, l’assassino che aveva comandato l’attacco contro Albecius durante la loro battaglia per il grimorio di Helvo. Il seguace di Sithis aveva il braccio destro amputato, era a mezz’aria, nel mezzo di un balzo, il braccio sinistro indietro e la lama celata che spuntava dal suo meccanismo. Il suo obiettivo era lo spettro che stava lentamente camminando con un sorriso stampato in volto, il suo triplice nunchaku che sibilava mentre fendeva l’aria nel suo movimento circolare al lato dello Scorpione. Questi alzò la gamba, calciando l’illusione del padre di Gilia, mandandolo in frantumi; dalla mano sinistra liberò una lama di luce, anche essa un’illusione, che trapassò il cranio di Navare, aprendogli la testa in due. Le illusioni si dissolsero, ma il sorriso di quel mostro dai capelli rossi si fece solo più intenso. Quel lurido traditore gli stava mostrando le morti di cui era stato responsabile durante la battaglia di Cheydinhal, stava giocando con lui per fargli perdere la concentrazione e crearsi un’apertura nelle sue difese. Per tutta risposta, il moro mantenne il sangue freddo usando una delle tecniche mentali di Adeo, la barriera attorno alla sua coscienza più forte che mai. Sentiva quella del cugino premervi contro, cercando di penetrarla, ma non gliene diede la possibilità. No, avrebbe vinto. Se Albecius aveva pensato che rivedere quelle morti lo avrebbe scoraggiato, si sbagliava di grosso: ora era più deciso che mai ad abbatterlo come il cane rabbioso che era. Si mise in piedi e lanciò la sua ascia prima di fuggire via dal marmo nero il più veloce possibile, la torcia di nuovo in mano. Albecius deviò l’arma a Materia con un colpo del suo nunchaku e lo rigirò, afferrando tutte e tre le parti nella mano destra prima di lanciarsi all’inseguimento del cuginetto.

Gilia si buttò di lato per evitare di ritrovarsi la nuca aperta come un cocomero quando avvertì l’arrivo di una delle mazze del nunchaku che andò invece a spaccare il muro di un’antica abitazione. Albecius fece scivolare dalla presa una seconda mazza che, insieme alla prima, andò a spaccare il terreno dove si era trovato Gilia giusto qualche istante prima. Questi aveva rotolato per evitare di venire ridotto ad una poltiglia e, nel rialzarsi, aveva per un momento strisciato e gattonato.

«Non immagini nemmeno quanto trovi soddisfacente vederti strisciare così, cugino.» lo derise lo spettro.

Il Cavaliere non avrebbe voluto far altro che girarsi e prendere quel maledetto a pugni in faccia, ma sapeva che sarebbe stato un suicidio. Aveva bisogno di allontanarsi dal marmo nero e usare le sue arti mistiche. C’era quasi. Era arrivato alla fine di quella galleria e vedeva quella che doveva essere stata la piazza principale di Kagrenzel.  Sì, ancora un metro...

Attivò il tatuaggio magico sul pettorale sinistro ed il braccio fu ricoperto di sigilli dell’aquila; ne stimolò uno, aprendo il portale per Oblivion, ma prima ancora che la sua arma potesse comparire, girò il tatuaggio, ed il braccio fu ricoperto da innumerevoli rune elfiche che fungevano da amplificatori che culminavano sul suo palmo sinistro, dove creavano un “Cerchio d’argento” artificiale.

«Occhio notturno; Mjollnir!» la magia oscura subito gli diede la capacità di vedere nel buio.

La torcia cadde a terra, nella mano sinistra apparve il suo grande martello a due mani e attraverso esso incanalò il suo incantesimo di elemento Sisma, la sua fusione personale di fulmine e terra. Abbatté il martello a terra, liberando una grande onda di energia che fece scuotere tutta la galleria e dintorni, e dall’impatto si generarono potenti scariche elettriche viola scuro. Albecius fu colpito contemporaneamente dai fulmini e dalla forza d’impatto del terremoto che lo scosse nel profondo, e le scariche elettriche, oltre a fulminarlo, attrassero pezzi di pietra magicamente indurita che lo andarono a schiacciare. Gilia rimandò il martello a Oblivion e richiamò la sua Falce di luna. Gilia aveva sempre prediletto armi di grandi dimensioni, avrebbe preferito uno spadone ad una daga in qualunque circostanza, anche in uno spazio ristretto, perché in un modo o nell’altro lo avrebbe usato meglio. Eimir lo aveva addestrato ad usare ogni tipo di arma, sì, e le sapeva usare magistralmente, ne conosceva tutti i vantaggi e gli svantaggi, ma il Cavaliere d’Oblivion aveva pensato bene di sviluppare al meglio i suoi gusti personali, perciò aveva pensato ad un modo di sfruttare Enedome ithil come uno spadone a due mani: per questo aveva progettato la Falce di luna, poi forgiata dagli abili fabbri della Rocca. Era una lama ricurva larga venticinque centimetri alla base e lunga due metri e mezzo, la cui impugnatura era situata nel corpo stesso della lama, pochi millimetri sotto il punto in cui Enedome ithil poteva essere infilata per essere “trasformata” in un imponente spadone. Gli incantamenti della Falce di luna erano complementari a quelli della spada primaria e favorivano grandemente gli incantesimi di Sisma e di Incubo di Gilia. Poteva anche usare Enedome ithil e la Falce di luna separatamente, ma erano più efficaci se unite. E di certo non si poteva dire che gli mancassero altre armi da usare. Le combinò e subito invocò il suo grande scudo di Cristallo rinforzato da mithril, chiaramente anche esso rivestito di argento nero. Era alto due metri e largo ottanta centimetri, dalla forma quasi triangolare, i due lati uguali ricurvi e non dritti e molto affilati. Silenziosamente evocò gli spiriti della vita che gli guarirono il mento e invocò anche la sua armatura. Purtroppo ne aveva solo una, l’armeria della Rocca si era rifiutata di fornirgli troppi equipaggiamenti, considerando la sua giovane età ed il suo basso rango all’interno della brigata. Sarebbe stato bello poter cambiare riequipaggiamenti come faceva Eimir (specie se l’Anziano si degnasse di insegnargli il metodo per legare varie armi ad un’armatura), ma per il momento doveva accontentarsi.

«Che spadone grosso e pauroso... Stai sempre a compensare, vedo.» lo derise Albecius.

Lo spettro si era rigenerato e si stava spazzando la polvere dalla tunica con la mano. Alzò il braccio destro e fece scivolare dalla mano due delle mazze che subito fece roteare. Gilia le vide muoversi più velocemente, però, e senza che l’avversario muovesse braccio o polso: erano i suoi spiriti dell’aria all’opera.

«E pensare che potrei soffocarti con i miei spiriti dell’aria e finirla qui... Ma poi dove sarebbe il divertimento? Sei sempre stato affine con gli spiriti del fulmine, e vedo che hai fatto amicizia anche con quelli della terra, e ti stanno sempre intorno, pronti a soccorrerti. Quando ti avrò ridotto ad una massa informe e sanguinolenta, mi approprierò dei tuoi amichetti spiriti.»

«Spiriti del fulmine, datemi velocità; spiriti della terra, datemi forza. E insieme, fatevi tutt’uno con il Sisma!»

La forza dei Beor gli entrò nel corpo passando per gli stivali di Cristallo ed il Cavaliere sentì tutti i muscoli del corpo contrarsi, i suoi douriki incrementati esponenzialmente grazie ai Troni di terra. Anche i Cherubini di fulmine si manifestarono al suo richiamo, rafforzando ulteriormente i suoi muscoli per renderli più scattanti ed elastici e la sua mente per renderla più reattiva. Gli occhi che brillavano di una brillante luce azzurra, visibile anche dall’esterno grazie alle fessure nella visiera dell’elmo, Gilia si mise in una posizione difensiva, il suo spadone appoggiato alla spalla destra, il busto inclinato indietro e il braccio sinistro alzato, con lo scudo che gli copriva il corpo; al centro c’era un punto non ricoperto dal mithril e dall’argento, in cui il Cristallo era stato lasciato trasparente per permettere all’uomo di vedere oltre esso anche quando era alzato.

Il triplice nunchaku ancora roteava ad alta velocità, generando potenti fiamme che si combinarono agli spiriti del vento, potenziandosi. Gilia si preparò all’impatto e allo stesso tempo teneva la mente ben chiusa, proteggendosi dagli attacchi interni del cugino: era come se questi stesse usando un grande ariete infuocato per abbattere il portone del suo maniero.

Nel venire colpito, mosse lievemente il corpo indietro per ammortizzare il danno e subito aprì il braccio sinistro per sbilanciare il nemico e portò il suo spadone in un fendente; per quanto grande, esso era leggero perché fatto prevalentemente di Cristallo, e considerando la forza fisica del Cavaliere d’Incubo, anche se pesasse qualche quintale non avrebbe problemi a muoverlo con una mano sola. Il problema della grandezza di Enedome ithil combinata alla Falce di luna era che diventava ingombrante e difficilmente maneggiabile, ma Gilia si era allenato sufficientemente per imparare a brandirla alla perfezione; il soffitto della galleria non era però alto abbastanza per permettere il passaggio della lama, ma essa tagliò la pietra senza alcuna fatica grazie ai suoi incantamenti e agli incantesimi attivi.

Albecius balzò indietro, evitando per pochi millimetri la lama nera che arrivo a toccare terra, e mise un piede sul lato falso dello spadone, privo di filo, e si diede una spinta per saltare in avanti e abbattere due delle tre mazze ferrate in faccia al cugino. L’elmo di Cristallo rinforzato dagli incantamenti resistette, ma la testa del Cavaliere venne comunque scossa, ed egli cadde su un ginocchio. Un secondo colpo del triplice nunchaku stava per abbattersi sul suo capo, colpo che avrebbe certamente creato una crepa se non peggio, ma lo parò con lo scudo, che subito rimandò a Oblivion e portò la mano sinistra all’impugnatura della Falce di luna. Con entrambe le mani menò un tondo dritto, evitato magistralmente dallo spettro; puntò lo spadone verso il terreno e ve lo piantò, lasciandolo andare e buttandosi a terra per evitare di venire ancora colpito dall’arma dello Scorpione. Invocò due delle sue asce, il suo tatuaggio magico che si girava in continuazione, passando dalla punta che ricopriva il braccio con i sigilli per le sue armi a quella che gli forniva il suo “Cerchio d’argento” artificiale, o meglio il suo “Cerchio rosso”, considerando che le rune erano scritte con il suo sangue.

Colpì con la destra e poi con la destra in un rovescio subito seguita dalla sinistra, e ancora un rovescio mancino e un colpo di destra. Ma Albecius parava tutto, facilmente, che fosse con il suo nunchaku o con barriere dei vari elementi di cui era composto. Gilia fu spinto indietro da un’esplosione di fuoco, ma il vero pericolo venne dopo, quando percepì la manifestazione degli spiriti di decadenza che attaccarono la sua armatura, come termiti contro un ciocco di legno. Il Cristallo di per sé era resistente allo scorrere del tempo perché era una modifica magica del diamante, reso più leggero, duro e resistente; l’armatura era anche incantata, e questo la rendeva ulteriormente forte contro gli spiriti di decadenza; ma a proteggere le fessure per gli occhi vi erano solo incantamenti, e presto avrebbero ceduto contro gli spiriti di decadenza, ed essi sarebbero penetrati all’interno e lo avrebbero ridotto ad un ammasso di polvere in una manciata di secondi. Forse avrebbe potuto prendere il controllo di quegli spiriti, almeno temporaneamente, ma avrebbe avuto bisogno di tutta la sua concentrazione, e di certo quello non era qualcosa che si poteva permettere, considerando che suo cugino era alle porte del suo mondo mentale. Il suo maniero interiore era la ricostruzione della residenza privata dei Corvinus in mezzo alle colline fuori Cheydinhal, un luogo conosciuto solo alla sua famiglia e ai pochi servitori che vi vivevano; lo aveva scelto proprio perché nessuno lo avrebbe potuto navigare con facilità anche se vi fosse penetrato. Ma purtroppo quell’essere mostruoso che aveva davanti era parte della sua famiglia (aveva i brividi solo a ripensarci) e conosceva bene la residenza privata dei Corvinus. Non doveva assolutamente entrare, sarebbe stata la fine. Ah, maledizione, Alea sarebbe stata capace di cacciarlo fuori dalla sua testa facilmente, ormai. Strinse i denti e osservò come gli incantamenti sulla sua visiera si stavano deteriorando.

Lanciò le sue asce che rotearono in aria verso Albecius, e in contemporanea aprì altri quattro portali per Oblivion da cui uscirono tre lance e uno spadone; le lance volarono verso il nemico, lo spadone venne impugnato nella sinistra, e con la destra andò a riprendere Enedome ithil. La sua spada da Cavaliere venne avvolta dai fulmini neri dell’elemento Incubo di Syrius, mentre il Cavaliere d’Incubo più giovane si apprestava a combinarlo con il proprio elemento Sisma, usando il fattore comune del fulmine come punto di legame.

«Ruggito della tigre!»

L’onda nera fulminante con le fattezze di una tigre partì dalla lama della Falce di luna, ma anziché dirigersi verso lo Scorpione, penetrò nel terreno, da cui emerse sotto forma di una tigre di pietraferro con striature viola e nere, che emetteva scariche elettriche dei due colori. Il suo famiglio lo affiancò nella carica contro il nemico, che usò il suo potere di fuoco combinato a vento per sbalzarli indietro. Il triplice nunchaku, che sempre roteava grazie agli spiriti dell’aria, si illuminò di una luce dorata, e da esso partì una pioggia di frecce di luce che investì i due avversari.

«Muro di pietraferro!»

La barriera si eresse dal terreno a proteggere mago e famiglio, che subito la aggirarono per lanciarsi di nuovo all’attacco, il primo che lasciava una scia di sabbia ferrosa dietro di sé, il secondo che caricava un potente fulmine nero e viola nella fauci. La tigre liberò il suo attacco, negato da una barriera di luce, e subito venne consumata dagli spiriti della decadenza; ma Gilia non perse tempo e diresse un’onda di sabbia verso il cugino.

«Funerale del deserto.»

Lo spettro venne rinchiuso in una sfera di sabbia che lo stritolava con sempre più forza più il mago stringeva la presa sull’impugnatura di Enedome ithil.

«Aculei d’istrice.»

Ma la seconda parte della concatenazione non avvenne mai, perché la sabbia ferrosa fu spazzata via da un potente vortice dello spettro.

«Stai iniziando ad infastidirmi.» gli disse.

«Tch!»

Lo spadone nella sinistra ritornò a Oblivion e Gilia impugnò Enedome ithil con entrambe le mani.

«Spada del gigante.»

La Falce di luna si avvolse in una imponente lama di fulmine nero, a doppio filo e dalla forma di un triangolo isoscele con la base di cinquanta centimetri. Il Cavaliere saltò in avanti, la spada sollevata oltre la testa, e la abbatté in un potente fendente. Ma Albecius, la mano avvolta in una forte luce dorata, la afferrò e la spezzò, e l’incantesimo fu annullato. E intanto gli spiriti della decadenza continuavano a lavorare sulla visiera. Ormai mancava poco, meno di un minuto.

Il braccio sinistro ricoperto con le rune del Cerchio rosso, Gilia lo portò indietro, preparandosi ad assestare un pugno, mentre teneva Enedome ithil appoggiata alla spalla, la sua energia magica in contatto con la sabbia ai suoi piedi.

«Pugno di Geb!»

La sabbia prese la consistenza di un pugno gigante e si abbatté sullo spettro, imprigionandolo subito dopo avergli spaccato qualche osso con il colpo.

«Funerale del deserto, Aculei d’istrice.» tentò di nuovo.

E di nuovo Albecius vanificò il tentativo del cugino, ma questa volta se l’era aspettato. Enedome ithil sollevata, menò un fendente che colpì il terreno sabbioso.

«Spada del deserto!»

Una grande lama di sabbia ferrosa partì dal punto in cui Gilia aveva colpito, che sfiorò appena Albecius.

«Esplosione di aculei!» insistette il moro, infilzando la spada nel terreno.

Dal punto in cui si trovava il mago partirono una serie di spunzoni di sabbia ferrosa indurita che si diresse rapidamente verso Albecius; il nunchaku che brillava di luce dorata, lo abbatté contro ogni aculeo che osava formarsi accanto a lui. Gilia invocò una sciabola nella sinistra e scattò verso il cugino, la sua già elevata velocità incrementata ulteriormente dagli spiriti del fulmine e della terra che si erano uniti a lui. In un istante fu addosso allo Scorpione, tempestandolo di rapidi colpi, ma questi parava tutto, e lo colse di sorpresa con una lancia di luce che lo colpì alle spalle, perforando l’armatura e prendendolo in mezzo alle scapole. Il Cavaliere emise un verso di dolore e cadde in ginocchio, subito realizzando il vero pericolo: gli spiriti di decadenza che gli infestavano l’armatura avevano ora libero accesso al suo corpo. La rimandò a Oblivion, consapevole che gli avrebbe causato solo più problemi. I suoi spiriti di vita intervennero subito per guarirlo.

«Armatura di sabbia.»

La sabbia ferrosa lo avvolse, conferendogli una buona protezione che, però, sarebbe durata poco contro gli spiriti di decadenza dello spettro.

«Arrenditi, non c’è molto che tu possa fare ormai. Se ti arrendi, prometto che non ti farò soffrire troppo a lungo.» ghignò maligno.

«Corona del deserto!»

La risposta di Gilia furono centocinque spunzoni di sabbia indurita che spuntarono da sotto i piedi del nemico, che venne impalato da quelli centrali. Il corpo in una posizione contorta e innaturale, Albecius alzò la testa, sfilandola da uno degli spunzoni.

«Tutto qui?» derise mentre sangue usciva dalla bocca e dallo squarcio nella guancia.

Non era possibile. Era forse invincibile?! Gilia fece un passo indietro, intimorito.

«Vedo che finalmente inizi a capire l’estensione del mio potere, cuginetto. Ora prostrati ai miei piedi e supplicami per una morte non troppo lenta e dolorosa!»

Albecius levitò via dalla Corona del deserto e il suo corpo si rigenerò. Gilia lanciò la sua sciabola, bloccata a mezz’aria dagli spiriti dell’aria, e invocò un’ascia; il nunchaku roteava pericolosamente, e tutti gli spiriti che componevano lo spettro si manifestavano con sempre più forza. Sguinzagliò gli spiriti di decadenza, fermati da un muro di pietraferro, seguiti immediatamente dagli spiriti dell’aria che generarono una sorta di uragano che ebbe la forza di rimuovere l’armatura di sabbia ferrosa e mandare il moro a sbattere contro la parete rocciosa, disintegrandola e facendolo schiantare contro qualcosa di... soffice?

«Ma che...?» si chiese mentre si massaggiava la testa e cercava di capire su che fosse finito.

«Levati.» intimò una voce conosciuta ma non udita da tempo.

Girò lentamente il capo e sgranò gli occhi nel rivedere il viso dell’amico.

«Siirist?! Che cazzo ci fai qui?!»

«Potrei chiedere lo stesso a te, amico mio. Ora levati prima che ti faccia saltare io. Gli anni passano, ma il mio odio a stare troppo a contatto con un uomo resta.»

Il Cavaliere d’Incubo si mise in piedi e Ryfon fece altrettanto.

«Bene, bene, che piacevole sorpresa! Giusto te cercavo, Cavaliere d’Inferno.» esultò Albecius, levitando verso di loro, passando attraverso il buco nella parete creata dall’impatto di Gilia.

«Bella arma! Ti spiace se te la copio?» si eccitò Siirist.

«Stanne fuori.» disse con voce piatta Gilia.

Ci fu qualche momento di silenzio.

«È tuo cugino?»

«Era.» rispose secco.

«Capisco.»

Ryfon andò verso una pietra che si trovava a terra e vi si sedette. Lo spettro sorrise e si mise in posizione per riprendere il duello.

«Se perdi interverrò prima che ti uccida e ti sfotterò a vita.» disse il biondo al moro.

Questi sorrise e annuì e rimandò la sua ascia a Oblivion. Alzò il braccio sinistro a mo’ di protezione e invocò di nuovo lo scudo di prima.

«Interessante, Eimir ti ha insegnato come mettere sotto sigillo oggetti inanimati? Ma non ti ha insegnato l’invocazione istantanea, sento che hai invocato quello scudo attraverso un tatuaggio.» osservò il biondo.

«Alea mi ha detto che sei diventato bravo.» disse Gilia.

«Perché non invochi anche un’armatura? Direi che sarebbe utile in questa circostanza.»

«Lo farei se potessi. Purtroppo ne ho solo una e me l’ha già resa inutilizzabile.»

«I fabbri della Rocca sono i soliti taccagni, eh? Fortuna che non ne faccio più uso.» commentò.

«Avete finito con la vostra rimpatriata? Vorrei ucciderti ora, se non ti dispiace, cuginetto.»

«Stai zitto e muori, traditore!»

Lo scudo parò il nunchaku e la sabbia ferrosa mista a fulmini viola scuro attaccò Albecius sotto forma di lame acuminate. Ma ogni volta che lo raggiungevano, si deterioravano a causa degli spiriti di decadenza. Un sigillo nero dell’aquila apparve attorno Enedome ithil e la Falce di luna ritornò a Oblivion. Lo spettro attaccò ancora, e di nuovo fu bloccato dal grande scudo: non si preoccupava nemmeno di difendersi, gli spiriti di decadenza attorno al suo corpo erano la barriera perfetta, niente poteva toccarlo. Il moro balzò verso destra per evitare di venire massacrato da due delle mazze ferrate circondate dagli spiriti di decadenza e rimandò lo scudo a Oblivion e rinfoderò la spada. Percepì la concentrazione di spiriti di fuoco attorno a sé e balzò per evitare la fiammata che proruppe a mezz’aria. Gli spiriti di fulmine e terra ancora lo sostenevano e gli conferivano forza e velocità, e grazie al loro rapporto, poteva controllarli anche con una mente non troppo concentrata, per cui poteva permettersi di mantenere le difese del suo castello interiore. Ma si trattavano pur sempre di Cherubini e Troni, e tra non molto anche quelli gli si sarebbero rivoltati contro e lo avrebbero posseduto. La sua mente stava vacillando, si stava stancando troppo.

Lanciò due asce invocate che vennero deviate dagli spiriti dell’aria del cugino e di nuovo richiamò il suo famiglio di Sisma e Incubo che assistette con una Tigre del deserto di sabbia ferrosa. Ma tutto era, come sempre, vano. Che fossero Serafini di vento o decadenza, Albecius non si faceva toccare.

«Argh!» gridò Gilia, ustionato da spiriti di fuoco.

Si strinse il bicipite sinistro, ferito e dolorante, e parò una seconda ondata di fuoco con un muro di pietraferro. Si stava facendo battere. Albecius stava vincendo, si stava facendo battere da quel lurido traditore! Con Siirist come spettatore, per giunta!

‹Smetti di essere così conscio della sua presenza e concentrati su Albecius!› lo rimproverò Asthar.

Quando aveva ristabilito il contatto mentale?

‹Ha ragione.› confermò Ryfon.

Gilia guardò l’amico all’interno del suo castello mentale con aria sbigottita.

‹Ma come...?›

‹Mi ha fatto entrare lui.› disse indicando il drago.

Gilia strinse i denti e invocò due sciabole che avvolse nell’elemento oscuro, dando forma a delle lame di fumo nero con diversi denti. Batté il piede a terra ed un blocco di pietra spuntò da sotto Albecius, prendendolo in pieno petto, ma non gli arrecò ingenti danni perché i Serafini di decadenza lo intercettarono. Il braccio sinistro avvolto nel Cerchio rosso, puntò entrambi i palmi in avanti, il Flusso diviso equamente in ciascuna mano, fulmine nella destra, acqua nella sinistra, gli amplificatori delle spade che si illuminavano di conseguenza.

«Cascata prorompente; Raffica di saette!»

I due incantesimi combinati, li diresse verso il cugino, ma ancora i suoi spiriti di decadenza fecero sparire le magie del Cavaliere. Ma questi non desistette, e ancora richiamò la magia d’acqua nella sinistra.

«Megalodon!»

Attorno al mago si creò un vortice d’acqua che diede vita ad un incantesimo vivente dalle fattezze dei giganteschi squali, bestie inferiori solo ai draghi marini e ai kraken. Richiamò ancora il suo famiglio, ma di nuovo i Serafini di decadenza vanificarono ogni suo tentativo.

‹No, così non va, devo trovare un altro modo.›

E in quel momento sentì il richiamo.

‹Eh?›

Fu così distratto da quella sorta di voce che pareva chiamarlo da lontano, in un sussurro trasportato attraverso la pietra, che quasi venne colpito da un’esplosione di Serafini di fuoco misti a Serafini di vento.

‹Che succede?› si preoccupò Asthar.

Gilia non sapeva come rispondergli, non sapeva come descrivere quello che aveva provato con le parole. Nemmeno sapeva come trasmetterglielo con le emozioni. Sapeva solo che doveva andare.

Il rivestimento oscuro attorno alle sciabole si dissolse ed esse ritornarono a Oblivion attraverso due portali grigio chiaro. E il Cavaliere d’Incubo corse.

Spiriti del fulmine, prestatemi aiuto.› pregò liberandosi dei Torni di pietra.

I Serafini risposero alla sua chiamata e lo rafforzarono ulteriormente, donandogli un incremento ancora maggiore di velocità, con i muscoli delle gambe che si facevano più sottili e leggeri, ma ancora più scattanti del normale. E corse.

«Dove stai andando?! Non abbiamo finito qui!» gli urlò dietro Albecius.

Ma a Gilia non interessava, doveva correre, doveva rispondere alla chiamata. Corse attraverso gallerie e cunicoli fino a che inciampò e cadde faccia in avanti. Per un momento fu sorpreso, ma poi capì subito perché era caduto: aveva improvvisamente perso i suoi spiriti e il suo corpo non era più stato in grado di sostenere quella velocità. Si guardò intorno, ma tutto era buio pesto, perché anche il suo incantesimo per vedere nel buio si era dissipato. Ma non aveva importanza, sapeva cosa aveva intorno: marmo nero. Era vicino. Si rialzò, ma cadde di nuovo, esausto. Quella battaglia lo aveva esaurito dal punto di vista mentale e fisico. Lodò il Flusso vitale per avergli concesso un tale legame, almeno dal punto di vista energetico era ancora carico, per quanto tutte quelle invocazioni lo avevano stancato anche in quel senso. Con fatica si mise in ginocchio e poi in piedi e corse, un po’ zoppicante, verso il centro della cava, il luogo dove aveva percepito la presenza dei Serafini del marmo nero. Non vedeva, ma si guidava con una mano sulla parete e sapeva dove doveva girare perché gli spiriti lo stavano guidando. Si sedette con difficoltà e si mise di nuovo a meditare. Non sapeva quanto tempo avesse prima che Albecius lo raggiungesse, ma non aveva importanza: gli spiriti lo avevano chiamato e lui aveva risposto, era tutto ciò che contava.

I passi che riecheggiarono nella galleria erano lenti e decisi, era come se la persona che stava arrivando si stesse pregustando il suo momento di gloria.

«Ti stai purificando l’anima in attesa del tuo ultimo momento su questa terra? Non serve, ci penserà il Flusso quando ti riunirai ad esso.» disse felice Albecius.

Era una gioia malata, perversa, la sentiva nella sua voce come gliela aveva vista negli occhi quando gli aveva mostrato le morti di suo padre e di Navare. Ma non rispose. Forse lo spettro attendeva una risposta, una minaccia, una supplica, qualcosa. Ma non gli diede niente.

«Vedo che preferisci morire martoriato con il mio triplice nunchaku che consumato dagli spiriti di decadenza. Per me è uguale, ma ti farò questa ultima cortesia. Siamo pur sempre una famiglia.» disse dopo un po’, leggermente spazientito ma con una falsa calma.

Aveva sempre avuto poca pazienza.

«Non vuoi parlare, eh? Come desideri.» disse roteando il suo nunchaku, la sua rabbia meno velata di prima.

Fece per avvicinarsi a Gilia, ma non riuscì a muovere un passo. I suoi piedi erano bloccati nel marmo nero.

«Che cosa?!»

Gilia non lo vedeva, ma sentiva la sua voce preoccupata e lo sentiva attraverso le vibrazioni nella pietra. Si stava dimenando furiosamente, cercando di liberarsi dal marmo nero che lo aveva intrappolato ora fino al ginocchio.

«Cosa sta succedendo?! Cosa mi stai facendo?! Non può essere, il marmo nero non può essere manipolato! COME FAI?!» ruggì in preda alla rabbia e al panico.

«O potenti e antichi spiriti del marmo nero, i più puri e grandi di tutti gli spiriti della terra, io vi ringrazio per avermi donato il vostro aiuto. Ora vi chiedo di assistermi e di seguire i comandi dei miei incantesimi.» disse il Cavaliere con tono solenne.

La risposta dei Serafini gli giunse alle orecchie come un sussurro altezzoso, solenne, ma anche giocoso. Gli spiriti del marmo avevano acconsentito: erano suoi.

«Cugino, è tempo che paghi per ciò che hai fatto a Cheydinhal, ai suoi abitanti, alle fedeli guardie del palazzo e al conte. Non solo sei un traditore della tua città, sei un traditore del tuo sangue. Ora, in quanto Cavaliere dei draghi e figlio di Garrus Corvinus, io ti giudico colpevole e ti condanno a morte. Marmo nero, fatti sabbia e avvolgi il mio nemico: Funerale del deserto.»

La luce argentata che brillava dal palmo destro del Cavaliere fu sufficiente ad illuminare l’area per vedere gli occhi iniettati di sangue dello spettro venire coperti dalla sabbia nera prima che essa prendesse la forma di una sfera.

«Aculei d’istrice.»

Il rumore di carne perforata e il lamento soffocato che proveniva da dentro la sfera di sabbia furono gli ultimi suoni mai emessi da Albecius Corvinus. Quando Gilia lasciò andare l’incantesimo, il corpo mutilato di suo cugino cadde a terra in una pozza di sangue. Il moro espirò tutta la sua fatica e cadde in ginocchio. Stava per crollare quando sentì un suono metallico.

 

Siirist guardò Gilia correre via. Caspita, c’era da ammettere che era veloce. Di certo non aveva più di 300mila douriki, non era possibile, eppure si muoveva ad una velocità di oltre 300 km/h. Certo, erano i suoi spiriti di fulmine che lo alimentavano. Sarebbe stato interessante sfidarlo, d’altronde anche la mente dell’amico era velocizzata, non solo il corpo, per cui era veloce in tutto e per tutto. I suoi movimenti non erano più veloci del suo pensiero, non erano fuori controllo, egli era perfettamente conscio di tutto ciò che faceva. Ryfon sorrise eccitato: il Cavaliere d’Incubo sarebbe stato un avversario interessante. Ma per quanto avrebbe voluto continuare a pensare all’amico ritrovato, la sua attenzione fu attratta dallo spirito omicida (che stranamente era circondato da una grande sensazione di piacere, anziché la solita rabbia o paura) che gli giunse come una ventata putrida, come quell’odore di decadenza che portava con sé un che di dolce. Si voltò verso lo spettro e lo guardò con aria indifferente.

«Vuoi qualcosa?»

«La tua testa, Cavaliere d’Inferno.»

«Divertente.» ridacchiò.

Richiamò il suo sangue demoniaco e liberò una scia di fuoco nero che sfiorò lo Scorpione. Lo vide guardare attentamente quel potere mortale, impervio anche agli spiriti di decadenza, perfettamente consapevole di cosa fosse capace.

«È andato da quella parte.» indicò il biondo, come per deriderlo.

«Ci vediamo dopo.» minacciò lo spettro prima di seguire il cugino.

Siirist lo guardò incamminarsi prima di contattare mentalmente Sylgja e darle il via libera.

«Sicuro che non vuoi aiutarlo? Sembrava in difficoltà.» si preoccupò la ragazza.

«No, questa è una battaglia che deve affrontare da solo. In ogni caso gli ho già detto che se dovesse essere in punto di morte lo andrei a salvare, per poi sfotterlo a vita, chiaramente.»

«Sei preoccupato.» constatò, osservandolo attentamente.

«Sì, è il mio migliore amico.» ammise.

«Allora andiamo.» sorrise, cercando di incoraggiarlo.

Siirist ricambiò e le accarezzò la testa, scompigliandole i capelli. Si alzò e si riequipaggiò con il Guerriero. Quando raggiunsero il luogo in cui si trovavano Gilia e suo cugino, questo era a terra, trucidato, e il marmo nero aveva la consistenza di sabbia e stava obbedendo il volere del moro. Era incredibile, e Siirist non poté far altro che battere le mani, ma i guanti dell’armatura storpiarono il suono, emanandone uno metallico.

«Ah, sei tu.» disse Corvinus.

«Chi altri?»

«Che ne so? Non sembrava un battito di mani, sai, pensavo ci fosse qualche altro nemico.»

«Non che tu possa avere problemi ora che controlli il marmo nero.»

«He.» sorrise soddisfatto.

«Asthar?»

«Rorix?» chiese retorico.

Siirist lo osservò attentamente.

«Sai dov’è Rorix?»

«Adeo ha detto a me e a Alea che è ritornato al suo nido ad imparare i segreti della magia draconica; Asthar e Eiliis hanno fatto lo stesso.»

Ryfon strinse gli occhi con fare sospettoso.

«Come fa a saperlo Adeo?»

«Non chiederlo a me.»

Era onesto, lo sentiva. D’altronde Gilia era sempre stato il tipo sincero, il bonaccione. E a lui avrebbe detto tutto. Non indagò oltre, un giorno ne avrebbe parlato con Adeo in persona.

«Lei chi è?» chiese Corvinus, indicando Sylgja.

«Sylgja Orla, piacere di conoscervi, Cavaliere d’Incubo.» si presentò.

«È una ragazza che ho aiutato a Rabanastre. Mi ha accompagnato nel mio viaggio qui.»

«Eri davvero a Rabanastre? Adeo aveva ragione anche su questo, eh?»

A Siirist non piacque il modo in cui quel dannato Adeo pareva sapere troppo. Aveva avuto quel sospetto da quando lo aveva incontrato a Rivendell.

Si avvicinò all’amico e lo aiutò ad alzarsi. Si abbracciarono un momento, e poi Siirist lo aiutò semplicemente a rimanere in piedi.

«È bello rivederti.»

«Anche per me. Ancora non mi hai detto che fai qui. Spero non sia stato il Consiglio a mandarti.»

«No, è stato Adeo, mi ha detto che avrei potuto trovare il segreto di controllare il marmo nero in questo posto. E aveva ragione.»

Ancora Adeo.

«Che c’entra lui?»

«Anche noi siamo fuggiaschi come te, e pure Alea. Delmuth ha dato inizio ad una caccia all’uomo contro di te, e ha scoperto che Adeo ti stava tenendo nascosto a Rivendell.»

Che cosa?! Sì, avrebbe certamente dovuto parlare con Adeo.

«Sì, so di Delmuth. L’ho incontrato e l’ho ridotto ad un vegetale; non ci darà più fastidio per un po’. Sai per caso come fanno a trovarci?»

«Sì, usano un oggetto chiamato filatterio che reagisce ad ogni nostro uso di energia magica, quindi usare tutte e tre le arti mistiche elfiche e anche ricaricare una Materia è pericoloso.»

«Se uso solo energia demoniaca sto a posto?»

«Credo di sì.» rispose un po’ titubante.

«Che c’è?»

«Scusa, è che è strano pensare che sei un demone. Alea me l’ha detto, chiaro, però... Non so, è strano.»

«Dillo a me. I miei primi tempi a Hellgrind non sono stati semplici. Dimmi di questo filatterio.»

«Non so molto, solo che contiene un po’ del nostro sangue e che viene usato per rintracciare eventuali Cavalieri traditori che usano le arti mistiche. Ce ne ha parlato Adeo.»

Ormai non si stupiva più. A quanto pareva Adeo non era solo il finocchio che voleva che tutti credessero. Siirist ne aveva visto anche il lato serio, sì, ma ora iniziava a sospettare che potesse esserci qualcosa sotto.

«Alea?»

«È andata alla Foresta Proibita, un luogo della Yaara Taure dove crescono delle piante pericolose, le stesse che usa Ascal. La speranza è che riesca a scoprire i segreti dell’elemento Natura.»

Gilia guardò di scatto verso destra, come se qualcosa avesse attirato la sua attenzione.

«Che c’è?»

«Non lo so. Aiutami, per favore, voglio andare verso quel baratro.»

Siirist fece come detto e accompagnò l’amico sull’orlo di quella fossa apparentemente senza fondo.

«Allora, mi vuoi dire il segreto del marmo nero?»

«No.»

«E dai.»

«No.»

«Avanti!»

«Scordatelo.»

«Vedi niente?»

«No.» disse incerto.

«Allora guarda meglio.» gli fece una boccaccia e lo calciò nel baratro.

«Bastardo!» urlò Gilia mentre cadeva.

 

Erano dieci minuti che cadeva e finalmente Corvinus riuscì a prendere ancora il controllo del marmo nero. Creò una nuvola di sabbia marmorea che lo prese al volo; stava per ritornare verso l’alto e pestare l’amico, quando sentì ancora il richiamo degli spiriti che proveniva dal fondo del burrone. Era più forte e intenso di prima e il moro sapeva di non poter rifiutare. Così discese ancora nelle profondità della terra, nel buio più totale, e seppe che aveva raggiunto il fondo quando lo toccò con la sua nuvola di sabbia.

‹E ora?›

Davanti a lui apparve un fascio di luce verde spento, qualcosa di altamente inaspettato, soprattutto perché non erano spiriti di luce ad emanarlo, bensì spiriti di terra.

‹Come può essere?›

Seguì quella corrente di spiriti come aveva un tempo fatto quando era entrato nel Reame del sogni. Raggiunse una caverna in cui risplendeva una luce formidabile che si faceva sempre più brillante, fino a che lo accecò. Ma il fastidio passò come era venuto e Gilia vedeva chiaramente, tutto gli era chiaro ora. E un nome gli apparve nei pensieri: Cora tel’ sie, Condottiero dei sette.

 

Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma Gilia si risvegliò a terra nella grotta, totalmente immerso nel buio. La testa gli faceva male, si sentiva come se avesse ricevuto una tonnellata di informazioni in un secondo. Barcollando e andando a tastoni riuscì a trovare l’uscita della grotta e usò la sabbia marmorea per ritornare al luogo in cui aveva ucciso suo cugino e parlato con l’amico ritrovato di cui non vi era più traccia. Con una magia di terra comandò al marmo nero di riportargli la torcia perduta e, recuperati tutti i suoi averi, si riavviò all’uscita di Mzinchaleft.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola IL DOMATORE DI SERPENTI che, ricordo ancora, sarà pubblicato domenica prossima. Gilia ha superato la sua sfida, ma, se possibile, l’elfo oscuro che affronta Alea è anche più infido e imprevedibile.

Ritorna all'indice


Capitolo 74
*** IL DOMATORE DI SERPENTI ***


IL DOMATORE DI SERPENTI

 

Jenssen alzò la spada, ma Alea gli fece cenno di farsi indietro.

«Non è un avversario che potete affrontare. Portate Vaana via di qui.»

Lentamente ripose la lancia e sguainò Raama tel’ arvandorea e la sua estensione che collegò al pomolo. I serpenti attorno a lei continuavano a strisciare sempre più numerosi.

«Va bene.» rispose il mercenario.

Prese la botanica per mano e corse via.

«Mi sorprende tu li stia lasciando andare così facilmente.» disse all’elfo oscuro.

«Non sono che dei topi per i miei serpenti. Io ora sto pensando solo a quanto sarà piacevole sentirti strillare mentre ti stritolo, bambolina! Con il sangue che ti uscirà dagli occhi, l’espressione di sofferenza... Ah!» gemette quasi di piacere.

Alea odiava dal più profondo depravati sadici come lo era quello lì. Quello era un pazzo che amava uccidere lentamente e bearsi nelle sofferenze delle sue vittime. Si sentiva come un coniglio in mezzo alle spire di un’anaconda. Con venti occhi mentali aperti, guardava da tutti gli angoli possibili i serpenti che le strisciavano attorno ai piedi. Non l’avevano ancora attaccata, non doveva compiere movimenti bruschi per non agitarli. Non erano daedra e nemmeno famigli, quelli erano dei veri animali di Tamriel, eppure non capiva da dove venissero. Sempre più numerosi, la corrente di rettili nasceva senza dubbio dallo Scorpione, ma come? Oramai serpenti di ogni genere erano ovunque e ricoprivano ogni centimetri di terreno, sovrastandosi tra loro, circondavano i tronchi degli alberi, pendevano dai rami. Ne era immersa fino oltre le caviglie. Richiamò il Flusso vitale attorno ai piedi, ma come lo ebbe unito alla sua energia magica, percepì l’agitazione dei serpenti. Sentì soffi e sonagli. Lasciò andare il Flusso ed i rettili si tranquillizzarono. Pareva rispondessero alla magia. L’elfo oscuro continuava a fissarla con la testa piegata sulla spalla destra, gli occhi che emanavano una luce di gioia malata. Ilyrana strinse i denti. Era senza armatura, senza arco e senza drago, circondata da un mare di serpenti mortali che reagivano ancor prima che potesse usare una magia. Parevano animali comuni, ma non sapeva quanto potessero essere resistenti alla magia. Forse con l’elemento Radiante o l’elemento Bufera poteva fare qualcosa, ma non era detto. E i serpenti erano alle ginocchia. Doveva rischiare. Di nuovo richiamò il Flusso e subito lo fece esplodere sotto forma di fiamme dorate nel momento in cui saltò via. Vide il fuoco lucente bruciare i serpenti che erano stati in contatto con lei e quelli che si erano avventati nel punto in cui si era trovata poco prima. Richiamò tutto il suo Flusso nel palmo destro.

«Volo di rondine.»

Attorno a lei si materializzarono due rondini d’acqua, ognuna composta da 180mila douriki di energia. Gli uccelli incominciarono a volarle intorno in un movimento a spirale, uno in una direzione, l’altro in quella opposta. L’elfo oscuro raddrizzò la testa e il suo viso venne deturpato da un enorme sorriso maligno. Alzò la mano sinistra con il palmo rivolto verso l’alto; chiuse le dita, quasi serrando il pugno, e una colonna di serpenti si innalzò dal terreno e puntò verso Alea, ognuno che aveva le bocche spalancate con le zanne puntate verso di lei. La schivò spostandosi verso destra, ma una seconda colonna le era già addosso e poi una terza quando si mosse indietro. L’elfo oscuro pareva prevedere ogni suo spostamento. Se fosse davvero così, sarebbe stato molto difficile sconfiggerlo. Intanto pensò di rendere il suo volo più veloce e richiamò l’elemento Radiante in uno degli incantesimi che le aveva insegnato Aulauthar.

«Ali della fenice!»

Dalla schiena si estesero le splendide ali piumate di fiamme d’oro, ma a differenza dell’aspetto, esse erano, in un certo senso, un’estensione del proprio corpo, rese “vere” dalla materializzazione di luce del Cavaliere d’argento. In questo modo non si doveva sacrificare Flusso prezioso per mantenere un incantesimo di levitazione. Con un colpo d’ali scattò in avanti e le colonne di serpenti la sfioravano sempre di un soffio. Come aveva sperato, era diventata più veloce dei riflessi dell’elfo oscuro. Ora aveva solo bisogno di un’armatura, ma il nemico non le dava nemmeno un attimo di tregua perché riuscisse a lanciare il suo incantesimo. Strinse i denti e bloccò il suo volo quando si accorse di una colonna di rettili che le stava arrivando addosso. Uno dei serpenti si protese da essa e fece per morderla, ma le sue fide rondini intensificarono il loro volo e formarono la Barriera di pioggia, che la difese dal morso velenoso. Con un colpo d’ali, la altmer sfrecciò verso l’alto, inseguita da due colonne di serpenti che si intrecciavano fra loro ogni volta che cercavano di catturarla. E si facevano sempre più veloci.

Maledizione.

«Scia luminescente. Danza del drago dei cieli: Rosa dei venti.»

La luce delle sue ali dorate si intensificò e lasciarono al loro passaggio una scia dorata; attorno al suo corpo si concentrò un vortice d’aria che andò a formare un drago, il suo primo incantesimo vivente, ma non un suo famiglio. Da quando aveva creato il suo elemento Bufera, aveva modificato molti dei suoi incantesimi di vento del passato e quello era uno di essi: il drago d’aria volò attorno alle due colonne di serpenti, lasciando dietro di sé un raffreddamento dell’atmosfera che formò una grande torre di ghiaccio che intrappolò i rettili che inseguivano la maga. Quando, dalla torre, sbocciarono delle rose dai petali di ghiaccio, Alea interruppe la sua ascensione e guardò il suo avversario settecento metri più in basso. Finalmente, distanza. Ora poteva combattere a modo suo, rimanendo lontana da quel folle e sfruttando i suoi attacchi migliori. Quasi imprecò un istante dopo questo pensiero nel realizzare che sarebbe stato impossibile terminare lo scontro da dove si trovava: l’elfo oscuro poteva sfruttare gli alberi come riparo.

Maledizione, maledizione, maledizione!

Sbatté le ali e ritornò verso il basso, il suo prossimo incantesimo pronto, l’energia tutta attorno alla lama di Raama tel’ arvandorea, gli amplificatori che risplendevano.

«Respiro degli angeli delle nevi!»

Il suo secondo incantesimo di vento trasformato in incantesimo di Bufera. Il getto di vento glaciale si diresse rapido verso lo Scorpione, che balzò via evitandolo. Alea gli fu addosso, la presa sulla sua spada invertita, la sinistra che stringeva saldamente l’estremità dell’estensione.

«Coda di rondine.»

Le sue rondini di pioggia si unirono a Raama tel’ arvandorea, trasformandone la lama che assunse la forma di una coda di rondine dal colore cristallino, blu intenso lungo i due fili. Menò il suo il sottano dritto, schivato dal nemico; senza fermare il suo movimento, roteò la spada modificata a lancia sopra la testa prima di portare avanti un fendente. Di nuovo lo Scorpione lo evitò e di nuovo la Cavaliere continuò la sua azione senza interrompere il corso della lama, che fece ancora roteare prima di tentare un affondo al petto del nemico. Questi roteò il busto, schivandolo, ma parò il successivo tondo con il braccio avvolto da numerosi serpenti. Alcuni di questi si allungarono verso Alea, cercando di morderla, ma ella volò indietro.

«Danza dei cigni!» pronunciò, incanalando trentamila douriki attraverso la spada e dividendo il potere magico equamente in sei.

Attorno a lei l’aria si fece fredda grazie al potere del suo elemento Bufera e il terreno si congelò, uccidendo tutti i serpenti che erano nel raggio d’azione dell’incantesimo. Dal ghiaccio emersero sei cigni, sei versioni del suo secondo famiglio, che avevano un’apparenza metallica. Volarono intorno congelando tutto ciò con cui entravano in contatto, creando sul terreno una spessa lastra di ghiaccio. Nel vedere i suoi serpenti morire, l’elfo oscuro si adirò grandemente, per la soddisfazione della altmer.

«Armatura piumata.» disse annullando le Ali della fenice.

I sei cigni volarono verso di lei, contorcendosi e dividendosi. Gli incantamenti di Raama tel’ arvandorea erano stati modificati perché si potesse combinare a due dei cigni e la sua armatura ne aveva di simili. Ma purtroppo al momento questa non c’era, perciò si sarebbe dovuta arrangiare. Raama tel’ arvandorea divenne una lunga lancia a doppia lama a filo singolo, ciascuna nella forma di un’ala di cigno e rivolte in direzioni opposte. Una delle ali era combinata alla coda di rondine di acqua pressurizzata, l’elsa aveva le fattezze di due teste di cigno che si guardavano, con l’impugnatura composta dai due becchi intrecciati. Due cigni le ricoprirono le gambe fino al ginocchio, creando dei pattini per il ghiaccio sotto ai piedi e formando delle ali lungo i polpacci. Un cigno la avvolse attorno alla vita e alcune penne si separarono per ricoprire gli avambracci e i polsi; l’ultimo la ricoprì sul petto, cingendo seno e spalle, dalle quali si protraevano due piccole ali. La testa di questo cigno le era andata a cingere il capo come una tiara. Ora la fanciulla si sentiva più protetta. Certo, molte parti del suo corpo erano ancora esposte, d’altronde quell’incantesimo era pensato per combinarsi alla sua armatura di Cristallo rimasta ad Arcadia, ma era meglio di niente.

«Hihihihi! Magnifico! Fammi divertire ancora!» rise lo Scorpione, mettendo mano al suo pugnale.

La sua pelle assunse una consistenza squamosa e divenne ancora più bianca; le pupille gli si allungarono e i denti divennero zanne. Era impressionante come quel pazzo ricordasse ad Alea del suo amato in forma draconiana. Ma mentre Siirist diventava una sorta di drago su due zampe, l’elfo oscuro era un serpente in forma umanoide. Portò il suo pugnale alla bocca e, per la sorpresa di Ilyrana, lo ingoiò. Per tutta risposta, ella strinse forte la presa sulla sua lancia doppia e si preparò al peggio.

L’elfo oscuro si inclinò in avanti ed il suo collo si allungò come fosse un serpente e la testa si diresse a fauci spalancate verso Alea. La mandibola era così dilatata che avrebbe potuto ingoiare la fanciulla intera. Ella alzò un muro dalla pavimentazione di ghiaccio e si mosse indietro, scorrendo elegantemente sulla superficie scivolosa con i suoi pattini. Lo Scorpione passò oltre il muro e continuò verso l’elfa; ella continuò a pattinare all’indietro, muovendosi in varie figure come diverse S o degli 8. Più volte passò sotto al collo allungato dell’avversario, e la testa di questi seguì, fino a che si intrecciò da solo. Soddisfatta che il suo piano aveva avuto successo, Ilyrana rivestì la sua lancia doppia con le brillanti fiamme dorate del Radiante da una parte e con il vento gelido della Bufera da un’altra. Menò un colpo doppio che liberò i due incantesimi, ma, per la sua meraviglia ed il suo disgusto, l’elfo oscuro creò un clone di sé che uscì dalla bocca (ormai in tutto e per tutto quella di un serpente mostruoso che aveva perso tutto della sua apparenza elfica). Le due lame magiche, ora combinate in una sola potenziata, volarono verso di lui e ne falciarono il collo allungato, colpendo anche il clone non ancora del tutto formato. Ma anche la testa di questo si era deformata e da essa era uscito un secondo clone, poi un terzo e un quarto ancora. Il quinto uscì e atterrò con le mani prima di slanciarsi e rimettersi in piedi. Era nudo, ma la sua pelle era tutta a scaglie, e le sue nudità non erano presenti, erano un tutt’uno con il resto del corpo. L’unica cosa che rimaneva del suo normale aspetto elfico erano i lunghi capelli, gli occhi maligni e i due tatuaggi sul viso. Ghignò nel vedere lo sguardo orripilato della altmer. Le rondini di pioggia si separarono da Raama tel’ arvandorea e ritornarono a circolare attorno alla loro maga. Incanalato tutto il suo Flusso nel palmo destro, lo liberò senza farlo passare per la spada.

«Ululato di lupo!»

Liberò una potente folata di vento di elemento Bufera dalle fattezze di una testa di lupo ringhiante che volò verso il nemico, ma questi lo evitò. Subito dopo aver chiuso le sue fauci sul niente, la testa assunse le fattezze di un grande lupo bianco, prendendo la forma del terzo famiglio dell’elfa, come il cigno, di elemento Bufera, ma capace di combinarsi anche al Radiante. Ma non era ancora il momento di usare questa caratteristica. Osservò l’elfo che rimaneva immobile, conscia del fatto che non potesse muoversi su quella pista di ghiaccio, anche usando qualche forma di misticismo, e che scioglierla sarebbe stato quasi impossibile, sarebbe servito il fuoco d’Inferno di Siirist. L’unico modo che l’avversario aveva per muoversi era di volare. E proprio quello fece. Si sollevò in aria, le braccia che erano diventate dei famelici serpenti, e si diresse verso di lei.

«Scontro di rondine!»

I suoi famigli d’acqua sfrecciarono incontro al nemico con un movimento a spirale, infine combinandosi e creando una freccia di acqua pressurizzata capace di attraversare anche una corazza di Cristallo incantato, a meno che non fosse adeguatamente incantata contro l’acqua. Colpirono alla spalla sinistra, recidendo il braccio completamente, ma esso si rigenerò all’istante. Le ali sui polpacci di Alea si illuminarono della luce dorata del Radiante ed ella sfrecciò in aria per evitare di venire attaccata dallo Scorpione che la inseguì.

«Cannone di neve!»

Puntò la lama di Raama tel’ arvandorea in avanti e generò un suo incantesimo di Bufera che condensò l’acqua nell’aria e la sparò contro l’avversario con la forza di una valanga. Questi venne sbattuto indietro e raggiunto dalle rondini ancora combinate che gli perforarono l’addome; ma di nuovo creò un clone di se stesso, evitando di venire ucciso. Questo venne azzannato al collo dal lupo bianco che corse sull’aria, ma il braccio dell’ennesimo clone divenne un serpente e dalla bocca di questo uscì ancora una volta un clone.

È ridicolo!

Per la frustrazione la difesa mentale della fanciulla cedette momentaneamente e lo Scorpione sfruttò l’occasione per intensificare il suo attacco. Eiliis si occupò di rendere la barriera mentale della sua Cavaliere più resistente, mentre questa tentava di penetrare quella nemica.

Intanto lo Scorpione si era finalmente lanciato all’attacco, menando un diretto sinistro da cui partirono un’infinità di serpenti diversi.

«Vento del Gagazet!»

L’incantesimo di Bufera deviò i nuovi serpenti, uccidendone molti. Le rondini di pioggia continuavano ad attaccare e riattaccare, ma ogni volta che ferivano il nemico, questi si ricostituiva, carne, muscoli e pelle che diventavano serpenti per riunirsi.

«Bolla acida!»

Le rondini interruppero il loro attacco continuo per dividersi e riunirsi per formare una grande bolla d’acqua. Allo stesso tempo cambiarono la loro composizione, diventando un liquido acido tra il verde e il giallo: Alea aveva capito che la comune acqua era inefficace ed era ora di usare una delle sue personali modifiche dell’elemento. Finita di formarsi, la bolla era diventata una sfera dal diametro di due metri.

«Raffica acquatica!»

Dalla sfera liquida partì una serie di proiettili d’acqua che colpirono incessantemente l’elfo oscuro, bruciandogli la pelle e obbligandolo ad allungare di nuovo il collo e creare un altro clone. Si diresse verso la altmer che intanto era volata via, ma il grande lupo bianco lo obbligò a cambiare direzione, almeno fintanto non si fosse rigenerato completamente.

«Drago marino.»

La Raffica acquatica si interruppe e dalla bolla emerse un gigantesco drago marino con le corna che non sembravano corallo bensì code di rondine. Mentre il lupo rimaneva accanto alla maga, il drago si occupava di incalzare il nemico. Questi, sinuoso come il serpente che era, evitava ogni attacco, spesso rigurgitando una copia di sé per evitare colpi mortali, che fosse dalla bocca principale o da quella di serpenti creati dalle braccia, le gambe, la pancia o la schiena. Ritornò a terra e dalla bocca uscì un colossale serpente bianco che percorse agilmente la superficie ghiacciata, raggiungendo Alea che si allontanò pattinando, lasciando il suo lupo ad occuparsene mentre lei lasciò andare la sua doppia lancia che comunque la seguì grazie alla volontà dei suoi cigni. Dalla bocca del serpente uscì il busto allungato dell’elfo oscuro con il suo pugnale nella mano sinistra: trafisse il lupo che si dissolse istantaneamente come neve al sole.

«Fiume di stelle!»

Con il Flusso diviso equamente nelle due mani, concentrò magia di luce nella destra e magia d’acqua nella sinistra, la prima amplificata dal Cerchio d’argento, la seconda dal suo bracciale. Combinò le due correnti magiche e liberò il suo incantesimo che apparve come un raggio d’acqua in cui fluiva una corrente luminosa. Prese il serpente in pieno, recidendone la testa dal resto del corpo, ma prima che colpisse, l’elfo oscuro era già saltato fuori dalla bocca con il pugnale in mano ed atterrò sulla pista di ghiaccio il momento in cui la corrente magica svanì. Rotolò e cercò di rialzarsi in piedi, ma naturalmente scivolò; prima di cadere, comunque, lanciò il suo pugnale che prese l’elfa sul petto, ignorando completamente l’armatura dei cigni e perforandole il seno sinistro e arrivando pericolosamente vicino al cuore. Improvvisamente sentì un dolore aggiuntivo rispetto a quello normale che si provava nel venire trafitti. Le sue rondini sotto forma di drago marino volarono verso di lei e investirono il nemico, sciogliendolo assieme al ghiaccio presente sotto di lui, ma di nuovo egli fuggì sotto forma di serpente, lasciando indietro il suo precedente corpo come fosse una pelle vecchia.

Alea cadde in ginocchio, tutto il corpo dolorante, i muscoli che bruciavano, tremante e sudata.

Oh no...› pensò nel realizzare di essere stata avvelenata.

Cercò di estrarre il pugnale, ma per qualche ragione era impossibile. Invece esso continuava a penetrare sempre più a fondo, provocandole un dolore sempre più crescente ad ogni secondo che passava e avvicinandosi sempre di più al cuore.

«Bianca luce della penitenza.» mormorò sputando sangue rosso e nero e verdastro, sintomo del suo avvelenamento.

Tutto intorno ad Ilyrana divenne di uno splendore accecante tranne che per lei ed il serpente smise di strisciare a terra, invece prese a rigirarsi sul terreno ghiacciato con la pelle gravemente ustionata, in preda a convulsioni. Bene, la luce pareva avere effetto su di lui. Cercò di rimettersi in piedi ma si sentiva debolissima, il veleno del nemico era veramente formidabile.

«Sorgente curativa.»

Dalla mano sinistra si creò una piccola cascata d’acqua dal colore limpido e cristallino, fresca e deliziosa, con cui si bagnò il viso e che bevve. Tra non molto avrebbe sentito gli effetti del suo incantesimo, ma per riuscire a curarsi completamente aveva bisogno di estrarre il pugnale dal petto. Non solo la stava lentamente uccidendo, avercelo conficcato nella carne le causava dolori indicibili ad ogni movimento o respiro, impedendole di combattere al meglio. Sentiva che c’era un legame tra il pugnale e lo Scorpione e suppose che eliminando il nemico, la magia che circondava l’arma sarebbe svanita e l’avrebbe potuta estrarre.

L’elfo oscuro si era intanto rialzato dopo aver ancora una volta abbandonato la sua vecchia pelle, ed aveva nuovamente l’aspetto di un serpente con gambe e braccia, i suoi lunghi capelli bianchi, i suoi occhi rosso scuro ed i suoi due tatuaggi in volto. Guardò con un sorriso maligno verso l’elfa che respirava affannosamente.

«Fa male, vero, bambolina? Ma non urli. Voglio sentirti urlare. – disse con il tono di un bambino viziato, deluso e piagnucolante. – FAMMI SENTIRE COME URLI!» sbraitò come il pazzo che era, la voce un acuto terribile.

Creò un clone di sé in forma di serpente che guizzò verso di lei mentre il suo precedente corpo si afflosciava.

«Aquila bicipite.»

Il grande drago marino girò su se stesso e diede nuovamente forma alla Bolla acida che poi assunse la forma di un’aquila a due teste che volò verso Alea per aiutarla contro lo Scorpione. Ella aveva nuovamente impugnato la sua doppia lancia e, seppur a fatica, si stava difendendo contro i violenti attacchi del nemico. Roteò l’arma e menò uno sgualembro dritto evitato dall’altro con un allungamento del busto; lasciò la presa con la destra e la rivolse verso l’elfo oscuro, liberando ancora una volta il suo terzo famiglio che lo azzannò in testa, staccandogliela dalle spalle. Ma lo Scorpione si salvò scivolando via da un piede trasformato in serpente. Quel maledetto pareva impossibile da uccidere. Balzò fuori dalla bocca del suo corpo da serpente con le mani rivolte in avanti e puntate al collo della fanciulla.

«Fammi sentire come urli!» ripeté con forza.

Le rondini combinate nell’aquila bicipite tentarono di fermare il nemico, ma questi non dovette far altro che toccarla per estinguerla; stessa cosa accadde al lupo. La afferrò per la gola, schiacciandola a terra, e incominciò a stringere, mentre un terzo braccio gli si allungò dall’addome e spinse il pugnale. Aveva evitato di stringere troppo la gola per permettere ad Ilyrana di urlare dal dolore per il pugnale e quando la sentì, fece una faccia che poteva far pensare solo ad un orgasmo.

Alea!› si preoccupò Eiliis.

Uno dei cigni ci Alea si liberò ed attaccò, ma si disperse nell’aria mentre l’elfo oscuro tremava, sorrideva e lacrimava per gli piacere mentre la sua vittima diventava paonazza e gli occhi le si arrossavano. Gli altri cinque cigni seguirono l’esempio del primo, solo per fare la stessa fine.

«Soffri, soffri!»

Ilyrana pensò che l’unico motivo per cui quel pervertito non le aveva già spezzato il collo o schiacciato la trachea era perché si stava divertendo a torturarla con il pugnale e a soffocarla lentamente. Portò le mani a quelle del nemico nel disperato tentativo di liberarsi, ma dalle spalle di quello uscirono due braccia aggiuntive che afferrarono i polsi di lei e le schiacciarono le mani a terra. Stava per svenire quando Eiliis la aiutò a rimanere cosciente e le diede la forza per un ultimo incantesimo. Incanalò l’energia della Bufera nel palmo destro e lo batté contro la superficie di ghiaccio: a pochi metri da loro il ghiaccio si trasformò in neve e prese la forma di un grande orso che, ruggendo, menò una zampata all’elfo, sbalzandolo via dalla sua preda. Richiamò nuovamente le sue rondini (che si combinarono nell’aquila bicipite) per assistere il suo incantesimo vivente mentre lei tossiva e riprendeva fiato. Ma la ferita causata dal pugnale era sempre peggio e anche la sua acqua curativa non era più sufficiente a combattere il veleno del nemico.

«Ululato fiammante di lupo.» disse debolmente, la trachea appena schiacciata.

Il suo terzo famiglio prese forma con brillanti fiamme celesti dai riflessi bianchi che lo circondavano.

«Sorgente curativa.» mormorò, nuovamente bevendo il suo incantesimo di guarigione.

Il petto le pulsò terribilmente, facendola cadere mentre si cercava di rialzare. L’elfo oscuro si lanciò addosso ad Alea, le mani trasformate in pericolosi serpenti velenosi, evitando agilmente i due famigli e l’incantesimo vivente che cercarono di fermarlo. Con il serpente destro addentò la altmer alla spalla e la incollò al terreno ghiacciato, iniettando il suo veleno, accelerando l’inevitabile morte della fanciulla e accrescendone il dolore. Era lì per attaccare con il serpente di sinistra che già puntava soffiando alla gola, quando si fermò in un fremito di piacere nel sentirla urlare per la sofferenza. Le stava seduto sopra e nel provare l’orgasmo compì un movimento pelvico che diede il voltastomaco alla Cavaliere. Ma era troppo debole per fare niente. L’orso e i due famigli corsero in suo aiuto: l’unico a sopravvivere fu il lupo la cui componente di luce brillò anche più forte e riuscì a  lanciare via lo Scorpione con una testata. Gli si lanciò addosso e lo addentò alla gola. Nel vedere il braccio destro del nemico ingrossarsi, indicando che si sarebbe clonato da esso, lo bloccò con la zampa sinistra. Allora l’elfo oscuro tentò di abbandonare la sua pelle vecchia attraverso il piede destro, ma il lupo di Bufera e Radiante si lanciò sulla gamba e la mozzò con un morso dopo averlo decapitato. Ma il corpo dello Scorpione si afflosciò lo stesso e pochi momenti dopo un grande serpente bianco sbucò dal ghiaccio. Al richiamo mentale della maga, il lupo, che era già pronto a balzare sul nemico, accorse in suo aiuto e con il suo supporto, ella si rimise in piedi. Dalla bocca del serpente strisciò fuori l’elfo oscuro in forma umanoide.

«Stai iniziando a stufarmi, bambolina. Sei lenta a morire e non urli abbastanza. Sto pensando di ucciderti una volta per tutte.» disse con tono deluso.

Era come un bambino viziato al quale era stato portato via un giocattolo, il tipo di bambino viziato che avrebbe ucciso il responsabile di quel “furto” e che avrebbe pensato solo al suo gioco e non alla gravità della sua azione.

«Beh, scusami tanto.» tossì Alea, sputando sangue sporco e misto a veleno.

Vista la sua situazione, i suoi tentativi di spavalderia non erano funzionati granché: ogni parola era stata un’agonia, ogni suo respiro le faceva desiderare di morire pur di far passare quel dolore. Ma sapeva che non poteva morire, doveva sbarazzarsi di quel lurido Scorpione e ritornare a Vroengard, dove avrebbe rivisto il suo amato. Concentrò tutto il suo Flusso nel palmo destro e incanalò l’incantesimo attraverso il suo anello da Cavaliere che teneva sul medio. Attorno alla mano comparvero fili di luce verde smeraldo che si muovevano in un movimento a spirale, generando una accecante luce bianca.

«Apocalisse bianca.» disse puntando la mano in avanti, attorno ad essa rivoli di luce smeralinda che si concentravano sul palmo in un accecante bagliore candido.

Lanciare quell’incantesimo era pericoloso, perché dotato di un enorme potere distruttivo e difficilmente controllabile, specie nella sua attuale condizione mentale. E non era ancora messo a punto. Avrebbe dovuto liberare una possente luce capace di bandire ogni oscurità, anche quella metaforica presente nel cuore dei malvagi: la fanciulla sperò che riuscisse in quell’intento e che, invece, non polverizzasse tutto ciò che la circondava, inclusi Jenssen e Vaana, che non erano ancora fuori dalla portata dell’attacco. Se le leggi naturali della magia non le impedissero di danneggiare il proprio mago, anche lei avrebbe rischiato di diventare un ammasso invisibile di polvere. Solo la sua situazione, che aveva superato la soglia del “disperata” almeno da un quarto d’ora, l’aveva finalmente convinta che non c’era altra soluzione; in una condizione normale non si sarebbe mai sognata di lanciare un attacco così potente quando non era ancora perfezionato. L’incantesimo era diretto all’elfo oscuro e lo investì in pieno, consumandolo completamente senza dargli modo di proteggersi, e tutta l’area fu avvolta da quella potente luce accecante, come con la Bianca luce di penitenza, e oltre al sibilo ed al boato dell’incantesimo, ad Alea parve di sentire l’urlo dello Scorpione che si faceva sempre più acuto fino a scomparire. Quando la luce svanì, era rimasto solo il corpo senza vita del nemico in una posa di sofferenza e terrore; immediatamente si dissolse in polvere e si disperse nell’aria. La altmer sentì la magia che circondava il pugnale nel suo petto disperdersi e immediatamente lo estrasse e lo lanciò via. Dalla ferita uscì un’esplosione di sangue che la fece capitolare, ma aveva ancora la forza per un ultimo incantesimo.

«Pioggia curativa.» mormorò.

E in cielo si formarono grandi nuvole di pioggia da cui caddero lievi gocce come quelle di una pioggia primaverile.

 

Tutto era sfumato, distorto, ma in mezzo alle diverse piante mostruose della Foresta Proibita, vide un gigantesco albero bianco, che quasi pareva risplendere di una luce spettrale, quasi pareva trasparente, senza dubbio il più grande di tutti gli alberi della Yaara Taure. Non aveva foglie, i grandi, lunghi e nodosi rami parevano protendersi per centinaia di metri ed avevano un che di inquietante. Solo le radici erano grandi quanto alcuni degli altri alberi del regno elfico. E da quell’albero sentì provenire un sussurro, un richiamo quasi impercettibile, come quello di una persona morente.

 

«Jenssen, si sta svegliando!»

Tutto attorno a lei sentì dei passi affrettati. Qualcuno di vicino si avvicinò anche di più, inginocchiandosi accanto a lei. Un’altra persona giunse quasi di corsa e fece lo stesso e le mise una mano sulla fronte. Compì una perlustrazione mentale superficiale e vide cinque forme di vita nelle vicinanze, i suoi due compagni di viaggio e i tre cavalli. Aprì lentamente gli occhi e vide di essere in una tenda. Subito portò la mano sinistra al petto, notando la fasciatura che la ricopriva.

«È stata Vaana a medicarvi, aredhel, io non oserei mai.» sorrise il mercenario.

«Non ho fatto altro che fasciarvi, in verità, non sono una dottoressa di medicina. Invece Jenssen vi ha tolto il sangue dal corpo.»

«La vostra magia curativa ha fatto quasi tutto il lavoro, non ho dovuto succhiarne via troppo. Il vostro incantesimo ha addirittura avuto effetto sui tagli che vi facevo per togliervi il veleno: non facevo in tempo a succhiare tre volte che già si richiudevano!»

Alea ridacchiò, sentendo ancora un leggero fastidio al petto. Ma non solo l’interno, tutto il seno sinistro era dolorante. Non le piaceva, si sarebbe dovuta riesaminare più avanti quando si fosse sentita meglio. Intanto un’altra Sorgente curativa non avrebbe fatto male. Lanciò l’incantesimo e bevve avidamente.

«Dove siamo?» chiese dopo essersi ripresa un po’.

«A circa quattrocento metri dalla Foresta Proibita e a due giorni a sud da Ellesmera.» rispose Jenssen, seduto a terra con la schiena appoggiata alla sua sella mentre prendeva sorsate dal suo otre di birra.

Alea si sedette di scatto.

«Devo andare.»

«No, vi dovete riposare, aredhel. Fra un giorno o due sarete pronta a rimettervi in piedi, non ancora.»

«No, è urgente, devo andare.»

Si alzò in piedi, recuperò i suoi abiti e i suoi averi e corse fuori dalla tenda mentre si allacciava la cintura di Raama tel’ arvandorea.

«Avete dimenticato la vostra lancia a Materia.» le fece notare Jenssen.

«Tenetevela.» rispose con una chiara nota di sdegno nella voce.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola L’ALBERO FANTASMA. Che cosa significava quella strana visione che Alea ha avuto mentre in preda a sogni deliranti?

Ritorna all'indice


Capitolo 75
*** L'ALBERO FANTASMA ***


L’ALBERO FANTASMA

 

Alea si allontanò dall’accampamento e fu raggiunta dallo stallone che aveva montato precedentemente. La toccò delicatamente sulla spalla con il muso con fare preoccupato.

«Devo ritornarci, è importante. Tu torna indietro, può essere pericoloso.»

Il cavallo nitrì.

«Ti ringrazio.» gli sorrise.

Montò sul dorso dell’equino e si stese in avanti appoggiandosi al suo collo. Era privo di sella e di redini, ma quello era esattamente il modo in cui gli elfi imparavano ad andare a cavallo ed i loro cavalli venivano addestrati. Le selle erano comodità umane, un elfo preferiva stare a contatto con la nobile creatura che prestava la sua forza: se le scaglie dei draghi non fossero così ruvide da scuoiare chiunque li cavalcasse senza sella, le selle dei draghi non sarebbero nemmeno state inventate; le redini erano necessità umane, un elfo comunicava mentalmente con il cavallo o attraverso la Vera lingua, e i cavalli elfici, intelligenti quanto un essere umano, la comprendevano anche se solo parlata.

Nuovamente la vegetazione della Yaara Taure si fece decadente più Alea e lo stallone si avvicinavano alla Foresta Proibita; la altmer sentì il nervosismo del suo destriero, ma esso continuò dritto ignorando tutti i suoi istinti. Ella lo accarezzò sul collo.

Nel muoversi attraverso quella vegetazione mortale, l’elfa canticchiò parole della Vera lingua per tenere a bada tutto ciò che avrebbe fatto loro del male, e in contemporanea usò magia di terra e d’acqua, le componenti dell’elemento Natura, per riuscire a capire come funzionavano le piante e trovare il modo in cui l’elemento di Ascal funzionava. Egli causava la crescita delle piante, la controllava a piacere, e riusciva anche a muoverle secondo il suo volere. Poi le faceva ritornare semi. Come faceva?

«Sì, oltre quei cespugli.» disse al cavallo.

Lo stallone cambiò direzione per seguire le indicazioni della fanciulla. Camminò per qualche ora fino a che fu notte. Per dormire al sicuro Alea richiamò il suo famiglio lupo e le sue rondini che presero la forma dell’aquila bicipite e generò una barriera d’acqua combinata a luce attorno a sé e al cavallo con un’estensione del suo incantesimo Elen brilthor.

Il giorno dopo si svegliò stanca e affamata (almeno poteva provvedere a dissetarsi con la magia), perciò attinse alla sua riserva energetica per acquietare i brontolii del suo stomaco e per ricaricare anche il fedele destriero. Gli montò di nuovo in groppa e ripresero il loro cammino verso ovest. Aveva congedato il lupo perché una simile forza magica che camminava sul sottobosco poteva attrarre attenzioni indesiderate da parte della foresta, mentre le rondini volavano libere nel cielo, andando spesso in avanguardia.

Quando era quasi il tramonto, erano a qualche decina di chilometro dalla costa. Erano a destinazione. Il sole morente illuminava il cielo con colori che la fanciulla non aveva mai visto in un crepuscolo: rosso fuoco, nero, bianco (luminoso, non spettrale e trasparente come quello dell’albero), oro, argento, azzurro e verde. Rimase incantata da quella vista insolita, specie perché si rifletteva sul colossale albero bianco che da solo avrebbe potuto ospitare tutta la nazione elfica se qualcuno vi avesse cantato una città all’interno. Altro che Cleyra. Lo aveva visto nel sogno, in quella strana visione che aveva avuto, ma dal vivo era tutta un’altra cosa. I lunghi, quasi infiniti rami che si protendevano verso il cielo parevano catturare i sette colori del cielo e facevano risplendere l’albero di quelle luci. Era come se esso fosse fatto di vetro semitrasparente e all’interno vi fossero lampade colorate che si univano fra loro per creare diversi effetti. Era una vista unica, estasiante, irripetibile. Era così attratta dall’albero e da quell’insolito tramonto che ci mise un buon quarto d’ora per realizzare che il resto della vegetazione non era quello comune della Foresta Proibita: vi era un bel prato verde e piccoli alberi (ognuno almeno alto un centinaio di metri, ma niente più che germogli se paragonati all’albero bianco/multicolore). Persino Eiliis era colpita da quella vista e non riusciva formulare concetti sensati, men che meno frasi o anche solo parole singole, e rimase in silenzio con la bocca aperta a guardare il cielo sopra la valle del mondo interno di Alea, anche esso ora dipinto con quei sette insoliti colori.

L’elfa smontò dal cavallo e si avvicinò quasi titubante all’albero, raggiungendolo dopo una buona ora. Da vicino aveva perso i suoi riflessi luminosi ed era ritornato ad essere come lo aveva visto nel sogno: spettrale, quasi che fosse trasparente. Lo toccò e sentì un’improvvisa ventata di forza investirla e sentì ancora la voce che l’aveva chiamata, quel sussurro che pareva così vecchio da ricordare un morente.

«Io sono il Cuore della Foresta, il Primo Seme di Titano, poi curato da Soho. Io vedo negli animi dei Sette, la loro forza è la mia forza e la mia tenacia è la loro tenacia. Chi sei tu, mortale?»

Il bisbiglio che riempì l’aria e la mente di Ilyrana era qualcosa di stanco, lento, sofferente, antico, potente. Alea si sentì quasi impaurita a rispondere.

«Io sono Alea, Cavaliere dei draghi.»

«Non è questo il tuo nome. Rispondi alla domanda, mortale.»

L’elfa rimase interdetta. Certo che era il suo nome!

«Il mio nome è Alea del nobile casato Ilyrana di Imladris, figlia di Elisar e Elénaril. Sono un Cavaliere dei draghi della decima divisione.» ripeté in modo più formale.

«Non è questo il tuo nome.»

Un momento. Forse aveva capito.

«Perdonami, ma non conosco il mio vero nome. Sono venuta qui perché ho sentito la tua voce chiamarmi in sogno, ma non posso dirti ciò che vuoi sentire.»

A quelle parole seguì silenzio. Inizialmente Alea sentì solo la mancanza della voce dell’albero, ma ben presto si accorse che tutto intorno a lei era diventato muto. Il respiro del cavallo, il mormorio del ruscello che proseguiva verso il resto della Foresta Proibita dove si contaminava. Nessun suono osava rompere quella che pareva un’illusione. Le uniche cose che l’elfa poteva udire erano il suo respiro e il suo disagio. Passarono forse decine di minuti, probabilmente anche ore, era difficile dirlo per certo, quando l’albero le parlò ancora.

«Sì... Tu non sai chi sei. Vorresti scoprirlo? Vorresti vedere qual è il tuo destino, il tuo compito? Vedere oltre la tua mente, in luoghi e tempi lontani?»

Per un momento Alea non seppe che rispondere. L’albero le stava dando la possibilità di scoprire il suo vero nome? E se fosse un trucco? Se ci fossero Scorpioni in agguato, pronti a sentire il suo segreto più importante e pericoloso? E che significava “vedere”? Aveva detto “oltre la mente”, quindi non si riferiva ad occhi mentali. Infine si decise. Era venuta nella Foresta Proibita perché voleva diventare più forte per aiutare Siirist e il resto di Tamriel contro la Setta e ora sembrava ci fosse la possibilità di imparare qualcosa. Annuì, prima debolmente, poi sempre più decisa.

«Sì. Voglio vedere.»

Nel tronco si aprì un’apertura in cui la altmer capì dover entrare e quando si fu seduta, la corteccia si richiuse, lasciandola intrappolata. Ma non si sentì in pericolo. Non sapeva come spiegarselo, ma si sentiva nel posto giusto al momento giusto. Chiuse gli occhi e incominciò a meditare.

Vide l’albero bianco nascere e crescere, vide il resto della Yaara Taure fare lo stesso. Nel giro di pochi secondi vide millenni e millenni del nord di Alagaesia mentre cresceva e si sviluppava. Vide Ellesmera, Cleyra, Griindenia, Varna’elvar e tutte le altre città bosmer venire cantate dagli alberi, ma non riuscì a cogliere le parole usate; vide i porti sulla costa est venire costruiti assieme alle città dunmer, alcune di esse anche sulle isole al largo che vennero collegate alla terraferma con ponti di pietra sollevata dal fondale marino; vide il leggendario Porto del Tramonto venire completato sulla costa ovest e almeno un centinaio di migliaio di elfi abbandonare Alagaesia e salpare verso destinazioni ignote; vide Imladris, Isengard, Miraa’ e il resto delle città altmer venire erette dalla maestria degli alti elfi. Assistette alla leggendaria battaglia degli stregoni, due bosmer, che creò la Foresta Proibita, alle guerre di potere tra le tre fazioni elfiche che si concluse con la presa di potere degli Aéducan di Imladris, all’arrivo dei draghi ad Alagaesia e alla tregua con i nani e alla fondazione di Ilirea in mezzo al deserto di Hadarac. Gli elfi poi si allearono con i draghi alati, gli unici dotati di razionalità, per avere degli alleati contro i draghi terrestri e smettere di usare gli Ammazzadraghi, troppo pericolosi per se stessi e per chi stava loro intorno. Da quel momento in poi i nani sparirono dalla superficie di Alagaesia e dalla memoria dell’albero bianco. Invece nel cuore della regione collinare degli altmer venne costruita Doru’Araeba, la città dei Cavalieri dei draghi.

Vide l’arrivo degli umani a Spira e il loro disperato tentativo di sopravvivenza contro i potenti draghi, che poi migrarono ad Alagaesia. Vide come gli umani andarono subito ad occupare il resto di Tamriel, trovando Ivalice semplice da colonizzare così come lo fu il centro di Alagaesia. A Condoria ebbero a che fare con i demoni, perciò andarono a chiedere aiuto ai loro antichi alleati che permisero loro di entrare a far parte del Patto con i draghi: gli umani si ritagliarono lo stato di Junon, i Cavalieri si stabilirono su Vroengard e iniziò la lunga guerra contro i demoni. I nani furono pregati, supplicati e pagati profumatamente per erigere le mura nere della Rocca, e intanto gli alberi della Yaara Taure continuavano a crescere.

Lontano da Tamriel, vide una grotta in cui era stato ibernato un uomo dai lunghi capelli biondo chiaro, quasi bianco, ed uno splendido viso che sembrava sereno e dormiente; aveva grandi ali bianche piumate e quella che sembrava la guardia di uno spadone infilata nel petto. E ancora gli alberi crescevano e la foresta si ampliava, andando a portare vita al deserto di Hadarac.

Un altmer in groppa ad un Inferno brandiva due spade e controllava un formidabile fuoco argentato che contrastava il fuoco nero di un potente alato, una bestia del fulmine, che combatteva con la sua tecnica a tre spade. Un intero popolo di persone bellissime come quella sigillata nel ghiaccio era in ginocchio e pregava con le ali piegate attorno ai propri corpi. Vide il Cavaliere d’Inferno morire ed il suo immenso Flusso ritornare al pianeta dove si divise e si concentrò in altre due persone, un elfo di Ellesmera e un umano di Skingrad. Vide se stessa a Imladris, giocare con la madre, studiare ed allenarsi con il padre. Vide un legame, come un filo splendente unirla al bambino nato a Skingrad con il Flusso del Cavaliere d’Inferno.

Siirist?

E capì. Comprese il suo legame inscindibile con il suo amato, comprese perché, nonostante lo avesse trovato inizialmente insopportabile e indegno del suo ruolo, aveva subito provato per lui una forte attrazione il momento in cui ne aveva sentito il legame con il Flusso vitale, arrivando addirittura ad innamorarsi di lui nel giro di pochi mesi. Il Flusso vitale aveva creato una connessione tra i due il momento in cui egli era nato, era il motivo per cui ella era stata tanto dotata.

«Caele lle elee, Hoon tel’ Sarhael?»

La pesante voce dell’albero le giunse ed ella inspirò per placare quel senso di forza e agitazione che provò nel sentire e comprendere il suo vero nome. Sorrise e annuì.

«Sì, ho visto.»

La corteccia dell’albero si riaprì ed ella uscì. Si voltò e lo spazio in cui era stata era già scomparso.

«Ya naa lle?» chiese ancora l’albero bianco.

«Io sono il Cuore del Salvatore.»

Alea sentì un movimento nodoso, e per qualche strana ragione la prima cosa che le venne in mente fosse che l’albero stesse annuendo.

«Che cosa vuoi, Cuore del Salvatore?»

«Avere la forza per aiutare il Cavaliere d’Inferno e combattere la Setta dello Scorpione.»

Ancora ci fu quel movimento nodoso.

«In poche ore hai assistito ai millenni di Tamriel; io ho visto la tua breve vita: sei meritevole. Ti permetto di cantare dal mio corpo.»

«Grazie.» chinò il capo.

La prima cosa a cui l’elfa pensò fu un arco: cantato da quell’albero, avrebbe avuto una gittata e una forza di penetrazione insuperabili. Allora incominciò a cantare ogni sorta di canto che avesse mai imparato. La sua voce era soave, leggera e meravigliosa, si estendeva per tutta l’area con una delicatezza e una bellezza da fare invidia a tutte le grandi cantanti che si esibivano per i potenti della Yaara Taure. Ma nessuna delle parole che usò parve funzionare, nessun arco si estendeva dall’immenso tronco. Provò ad interrogare l’albero, ma esso era ormai silenzioso, e niente riusciva a farlo parlare. Allora si mise a pensare e le venne in mente il canto usato dagli antichi bosmer per creare le loro città. Forse con quello sarebbe riuscita ad avere effetto sull’albero bianco. Valeva la pena tentare. Si avvicinò al cavallo e lo accarezzò sul muso prima di salirgli in groppa.

«Portami a Ellesmera.»

 

Adeo era seduto sulla sua poltrona a guardare un programma comico in sferovisione con in mano una tazza di tè. Le foglie blu dell’infuso erano prese da una rara pianta del mare sabbioso di Condoria. Skimir dormiva beatamente sul cuscino ai suoi piedi. Qualcuno bussò alla porta d’ingresso ed entrò senza attendere risposta. Si avvicinò al Cavaliere e gli sussurrò qualcosa all’orecchio.

«Interessante. Grazie.»

E così Gilia aveva lasciato i Beor. Bene, bene. E Alea era diretta a Ellesmera per imparare il canto segreto della famiglia reale dopo essere stata in presenza dell’Albero fantasma. Interessante anche questo.

‹È ora. Vogliamo andare?›

Skimir si alzò e si stiracchiò, pronto a partire per Hellgrind.

 

Per raggiungere Ellesmera ci erano voluti tre giorni di galoppo tra gli alberi imponenti della Yaara Taure e finalmente lo stallone decelerò quando arrivò ad un altissimo muro di legno formato dagli alberi che si erano uniti fra loro. Il cancello era una meraviglia, due ante decorate che mostravano la creazione della città, anche quegli altorilievi il frutto del canto degli antichi bosmer. Due guardie si trovavano ai lati del cancello e interrogarono la altmer.

«È raro per un alto elfo venire qui a Ellesmera. Chi siete e perché siete qui?»

Sapendo di non poter rivelare il proprio nome perché correva il rischio di essere ancora inseguita dall’Ordine, disse una mezza verità.

«Sono qui per vedere il re. Ci conosciamo da tempo: quando mi vedrà mi riconoscerà.»

«Mi dispiace, ma con la situazione della Setta dello Scorpione, non possiamo permettere a nessuno straniero di entrare in città, tanto meno permettergli di incontrare il re. Allontanatevi o saremo costretti ad arrestarvi.»

Sapendo che ogni attività violenta, che fosse misticismo o un semplice controllo mentale, era tenuta d’occhio all’interno e nelle vicinanze della capitale, Alea poteva dimenticarsi di far addormentare i soldati o ibernarli o quant’altro. Senza contare che, con il filatterio, il Consiglio avrebbe saputo subito dove fosse e chi sa quanto tempo le sarebbe servito per imparare il canto segreto. Continuò ad osservare le due guardie che abbassarono lievemente le loro lunghe lance, un’indicazione che erano pronti a puntarle contro di lei. La altmer sbuffò e smontò.

«Sentite, io devo veramente parlare con re Aesar, è una questione di vitale importanza. Lasciatemi passare.»

«Identificatevi o allontanatevi. Ora.» intimò ancora una guardia.

L’elfa si tolse il guanto destro e mostrò l’anello che teneva al medio: di oro bianco, raffigurava due draghi alati che si intrecciavano attorno ad uno splendido diamante. Era un anello inconfondibile, il simbolo d’ufficio dei Cavalieri. I soldati annuirono, ma non erano molto convinti.

«Il vostro drago?»

«Non è con me al momento.»

«Ma davvero...?» disse uno sospettoso.

Con i suoi occhi mentali aperti Alea vide che le guardie stanziate lungo i vari corridoi presenti all’interno del muro di legno avevano iniziato ad interessarsi alla situazione a terra. Alcuni avevano addirittura incoccato delle frecce.

Maledizione.

«Mostrateci il vostro Cerchio d’argento, allora.»

Se l’avesse fatto, se avesse richiamato la sua energia magica, avrebbe fatto reagire il filatterio. Ma che altra possibilità aveva? Ormai non poteva più allontanarsi, sarebbe sembrato che avesse impersonificato un Cavaliere. Stava per arrendersi e mostrare il suo Cerchio d’argento quando arrivò qualcuno di corsa da dentro la città.

«Ah, Lorelei, bene arrivata. Il re ti sta aspettando. Vi dispiace?»

Si trattava di un silvano finemente vestito e acconciato, i suoi lunghi capelli corvini agghindati in ordinate trecce orizzontali che percorrevano tutta la sua chioma, dalla nuca fino a metà schiena. Due trecce scendevano lungo le tempie ed incorniciavano il viso dalla pelle chiara ed i suoi sottili e furbi occhi marrone scuro. Aveva un sorriso intrigante, come quelli che aveva visto fare a Siirist prima che il delinquente rubasse qualcosa da uno della quinta brigata o combinasse qualche scherzo dannoso per loro. Il bosmer, indubbiamente un nobile, sicuramente un membro della corte reale, indossava una tunica bianca ricamata sopra a dei calzoni e stivali marroni. Indossava anche un lungo mantello di seta con larghe maniche per le braccia, al collo aveva due collane di oro verde e giallo ben lavorate e impreziosite con varie gemme. Su ciascun indice e medio indossava un anello d’argento con uno smeraldo romboidale. Era facile notare come ogni gioiello fosse ricoperto di incantamenti. Alla vita indossava una cintura di fibra d’oro, la fibbia era di oro bianco nella forma di una foglia, sul fianco sinistro teneva una spada corta a doppio filo. Per qualche ragione si rivolse ad Alea con il nome “Lorelei”, poi si rivolse alle guardie con un finto tono cortese che, invece, implicava qualcosa come “Sparite o vi faccio trasferire all’isola di Nårwine”.

«Cancelliere Eroan!» sussultò una.

Alea stava per sgranare gli occhi dalla meraviglia, ma si trattenne e mantenne il solito atteggiamento impassibile degli elfi. Aveva davanti a lei l’uomo più potente della Yaara Taure dopo re Aesar, il consigliere del re e colui che si occupava direttamente delle faccende di tutti i giorni. Persino suo padre lo aveva definito qualcuno che non avrebbe voluto far arrabbiare.

«Era anche ora che arrivassi, le tue guardie mi stavano facendo perdere tempo con controlli inutili.» disse con tono spazientito, come a mostrare che sapeva di cosa il Cancelliere stesse parlando.

«Naturalmente, perdonali. Seguimi.»

Accompagnata da Eroan, quindi, Alea entrò a Ellesmera mentre il cavallo veniva accompagnato alle stalle reali. Era una città immensa, in cui vivevano circa un milione di elfi. Prevalentemente bosmer, ma anche qualche dunmer e altmer. Gli edifici erano tutti stati cantati dagli alberi, dentro ai quali erano stati aperti negozi e abitazioni. Vide un albero che era stato cantato in modo tale che dal terreno si estendessero quattro pilastri ricurvi di legno che si riunivano una trentina di metri più in alto e da cui si estendeva il tronco vero e proprio. Dai quattro pilastri nascevano le intelaiature delle pareti a vetri che lasciavano intravedere l’interno, un altare dalla parte opposta dell’ingresso e due file di panche. Alea riconobbe l’effige presente sull’altare come quella di Tenma, e realizzò che quello era il tempio dedicato al dio del mare.

Un altro albero era diviso in diversi piani, ognuno dotato di varie finestre, e Alea suppose fossero tutti appartamenti. Un altro albero ancora aveva la cima cantata a formare una grande casa, mentre nella base era stato aperto un negozio. Gli alberi erano stati tutti modificati nella loro forma, piegati, uniti e intrecciati tra loro, ma quelli erano tutti il frutto di canti nuovi; ad Ilyrana interessava la parte vecchia della città.

«Sapete chi sono, vero?» domandò al Cancelliere.

«Certamente, Alea. Che le stelle vi proteggano.»

«E che la vostra lama resti affilata.»

«Sapevo stavate per arrivare, come so che è meglio per voi che il Consiglio non sappia della vostra presenza qui. È stato la Volpe Grigia ad avvisarmi e a dirmi di scortarvi da sua maestà.»

«Siete nella Gilda dei Ladri?!» esclamò con tono strozzato, trattenendo a malapena un urlo che si sarebbe facilmente sentito in tutta la città.

«La Gilda ha spie in ogni luogo di Tamriel, è il compito della Volpe Grigia essere informato di ciò che accade nel continente.»

«Grazie, allora.»

«Non c’è niente da ringraziare, stavo semplicemente eseguendo gli ordini della Volpe Grigia e sono solo felice di poter assistere lui e voi, Alea.»

Eroan la accompagnò nella parte vecchia della città, dove si trovavano gli alberi più grandi e i risultati dei canti più complessi. Il grande tempio di Soho era strutturato come quello di Tenma e delle altre divinità che Alea aveva incontrato precedentemente, ma aveva la corteccia e le foglie dorate. Le residenze nobiliari erano tutte distorsioni dei tronchi, alcune erano composte da addirittura quattro o cinque alberi piegati insieme. La grande biblioteca era stata aperta all’interno dell’albero più grande della città e il palazzo reale era qualcosa di difficilmente descrivibile. Grandi archi di legno spuntavano dal terreno e delimitavano il tappeto di foglie verdi che portava al portone del palazzo. Esso era immenso, formato da innumerevoli alberi piegati e intrecciati insieme. Quando giunsero al portone, esso non si aprì, piuttosto si ritrasse all’interno delle pareti.

L’atrio era un luogo incantevole, dove la luce era fornita dai lampadari appesi al soffitto che reggevano topazi incantati dal colore chiaro. Gli stessi topazi erano stati inseriti nelle pareti legnose. Su di esse erano stati appesi dipinti e da terra si ergevano statue di legno rivestite di oro fuso e equipaggiate con armature e armi cerimoniali. Il trono in fondo alla sala era vuoto e Eroan accompagnò Alea nella stanza alla destra del trono e da lì salirono una rampa di scale. Dopo aver percorso quello che doveva essere metà del palazzo, raggiunsero una porta e oltre essa Alea si ritrovò in una stanza in cui era presente un camino e arredata con tavoli, poltrone e divani. Nel lato destro vi era una scalinata che portava al piano inferiore. Lungo le pareti si trovavano altri quadri. Delle porte si aprivano negli altri tre lati della stanza rettangolare, in quello opposto all’ingresso vi era una porta a vetri che dava su un balcone.

«Questa sarà la vostra stanza, Alea. Troverete nella camera da letto tutti i vostri grimori che la Volpe Grigia ha fatto portare da Arcadia; nell’armeria troverete le vostre armi e la vostra armatura. Questo è il vostro salotto privato, le altre stanze su questo piano solo la camera da letto, il bagno e l’armeria. Al piano di sotto troverete un salotto aperto sul vostro cortile privato, una piscina e la stanza dei servitori. Se non ne volete fateglielo presente e se ne andranno. Vi abbiamo fornito vestiti e accessori, sentitevi libera di indossare tutto ciò che volete. Quando vi sarete lavata e cambiata, re Aesar vi incontrerà per cena; fino ad allora riposatevi, ne avete bisogno dopo la battaglia che avete disputato nella Foresta Proibita.»

«Sapete anche di quello?»

«La Volpe Grigia sa sempre tutto.»

Quelle parole suonarono strane ad Alea, era certa di averle già sentite.

«D’accordo, grazie.»

Eroan lasciò la stanza e l’altmer si sedette su una poltrona. Non passò molto prima che arrivassero tre donne, tutte con lunghi capelli castani e bene acconciati, ma niente come quelli del cancelliere: erano ben vestite e ben curate così da non sembrare troppo fuori posto a palazzo, ma non troppo per essere confuse con i nobili della corte.

«Desiderate qualcosa da mangiare o da bere?» chiese una.

«Nettarina, grazie, e dei panetti al miele.»

«Certamente.» e uscì.

«Se volete, abbiamo preparato un bagno per voi.» disse un’altra.

«Sì, mi farebbe molto piacere lavarmi.»

Fu accompagnata dalle due servitrici rimanenti alla stanza sul lato sinistro. Si sorprese nel vederla con il pavimento e le pareti di marmo anziché di legno, mentre il soffitto era di legno e a volte. Mosse il suo Flusso vitale attraverso quel marmo per sentire che si trattava invece della corteccia degli alberi modificata; per ispezioni semplici come quella non aveva nemmeno bisogno di usare un incantesimo, solo una manipolazione del Flusso. La sala da bagno era grande, la falsa pietra di colore verde, nero e giallo chiaro, intonato con il resto del palazzo; la vasca era al centro ed era già riempita d’acqua tiepida. Profumava di rose a causa dei sali che vi erano stati sciolti dentro ed aveva assunto un colorito rosa sfumato. In un angolo della sala si trovava un gabinetto nascosto da un paravento e sulla parete opposta si trovava uno specchio e un lavandino. Acqua corrente, interessante. Il palazzo era stato modificato per poterla utilizzare, questo voleva dire che la sua venuta ad Ellesmera non era stata inutile e che il re avrebbe certamente conosciuto il canto segreto che le interessava. Ma certo, era anche ovvio, la Volpe Grigia non si sarebbe scomodato di orchestrare il tutto se no. La parete che dava sul cortile privato era inesistente, ma notò il bordo superiore e vide una lieve striscia azzurrina, molto probabilmente acqua ghiacciata che si poteva magicamente espandere per ricoprire tutta la parete e crearne una di ghiaccio trasparente o opaco; la sua stanza a villa Ilyrana aveva qualcosa di simile.

Si slacciò la cintura di Raama tel’ arvandorea e vi legò i suoi amuleti (due anelli sulla mano sinistra, tre bracciali al polso, un bracciale al polso destro e il suo anello da Cavaliere) e la Collana del Giuramento prima di consegnarla ad una delle serve che la ripiegò con cura. Si spogliò e lasciò cadere gli abiti sporchi e stracciati che indossava a terra e entrò nella vasca. L’acqua era magnifica e sentì immediatamente i benefici rilassanti dei sali magici. La serva rimasta si occupò di rimuovere tutti i rami secchi e il resto delle schifezze che le si erano impigliati nei capelli prima di pettinarli e lavarli. La prima serva ritornò con ciò che aveva chiesto e le versò la bevanda dorata da una brocca incisa di oro giallo in una coppa della stessa fattura. Mentre le due serve la lavavano e massaggiavano, Alea bevve e mangiò, rilassandosi completamente. Quella sì che era vita. Non le sarebbe dispiaciuto godersi più di quei lussi a Imladris anziché studiare e allenarsi come una forsennata per diventare un Cavaliere. Si chiese come stesse Gilia, se aveva o no scoperto come manipolare il marmo nero e se aveva lasciato i Beor e se aveva incontrato Siirist. Dedicò anche un pensiero al suo amato e ringraziò di essersi tolta la Collana del Giuramento, altrimenti non avrebbe resistito dal contattarlo. Dopo aver seriamente rischiato di morire contro quell’elfo oscuro deviato e aver scoperto di essere spiritualmente legata a lui, ne voleva sentire la voce.

 

Re Aesar la accolse in una piccola sala da pranzo il cui tavolo si ergeva direttamente dal pavimento. Oltre al re vi era seduta solo la sua compagna di vita Eloen.

«Sei incantevole, Alea, essere chiamata la gemma di Imladris non ti fa giustizia. Che le stelle ti proteggano.» disse cordialmente il sovrano.

Alea aveva indossato un lungo abito di seta argentata e una splendida collana di oro bianco con incastonato uno smeraldo; la Collana del Giuramento era invece nascosta sotto al vestito. Ai piedi aveva messo delle comode scarpe di velluto e i suoi capelli erano stati legati in un’acconciatura intricata ed elegante, con trecce a forma di V lungo tutta la chioma ed il viso pulito e ordinato, senza nemmeno una ciocca fuori posto.

«Vi ringrazio, vostra grazia, che la vostra lama resti affilata. Salute anche a voi, Eloen.»

Alea e Eroan si sedettero agli altri due posti apparecchiati e prima ancora che arrivasse il cibo, Aesar chiese alla altmer perché fosse venuta ad Ellesmera. Sapeva solo che Eroan glielo aveva comunicato in segreto e che era meglio tenere la faccenda nascosta anche ai Cavalieri presenti al palazzo.

«Sono stata nella Foresta Proibita.»

Gli altri tre sussultarono, ma Ilyrana era certa che il Cancelliere stesse fingendo, così spiegò il motivo del suo viaggio lì e raccontò del suo “incontro” con il gigantesco albero bianco.

«L’Albero fantasma...» disse sbigottito il re.

«L’hai visto davvero?» chiese quasi in lacrime Eloen.

«... Sì...? Cosa c'è di così sorprendente?»

«L’Albero fantasma è il primo albero di Alagaesia, il primo albero di Tamriel e probabilmente di tutta Gaya. Solo il fatto che attorno ad esso si trovi un’oasi incontaminata dagli spiriti maligni della Foresta Proibita dovrebbe dare un’idea del suo potere. Per millenni nessuno è riuscito a raggiungerlo, nemmeno lo si può vedere da fuori la sua radura. Considerandone la grandezza, dovrebbe essere visibile anche da Imladris o addirittura dai Beor, ma è invisibile, per questo è stato chiamato “fantasma”. Se non fosse che è stato documentato attentamente in passato, oggi sarebbe considerato niente più che una leggenda.» spiegò Eroan.

«Perché non ne ho mai sentito parlare?»

«Voi alti non vi interessate alle storie di noi silvani.» rispose con un sorriso il re.

Alea non sapeva se considerare quelle parole un insulto. Di certo suo padre le avrebbe interpretate come tale.

«Ma non ci hai ancora detto perché sei venuta qui.» fece notare la regina.

«L’Albero fantasma mi ha detto che mi avrebbe permesso di cantare dal suo legno, ma nessuno dei canti che conosco aveva effetto. Esso mi ha permesso di vedere la storia della Foresta Antica e ho visto i bosmer del passato cantare le città. Le parole erano poco chiare, per questo non le ho potute cogliere, ma erano qualcosa che non ho mai sentito, di questo sono certa. Sono anche sicura che i Kelvhan, come signori dei bosmer, siano ancora custodi di questo canto segreto. Vi chiedo, vostra grazia, di insegnarmelo.»

Ci fu qualche momento di silenzio interrotto solo dai servitori che portarono i piatti. Alea attese pazientemente che Aesar rispondesse e non lo pressò, invece mangiò come se niente fosse. Due portate passarono in silenzio prima che il re lo rompesse.

«Come vuoi, Alea.»

«Vi ringrazio.»

Aveva quasi urlato per la sorpresa e la gioia, ma era riuscita a mantenersi calma, elegante e composta, come era costume. Mannaggia a Gilia e a Tidus, aveva passato troppo tempo con loro e i loro modi di fare da umani. Senza contare l’impronta indelebile che le aveva lasciato quel delinquente di Siirist in quei quattro anni a Vroengard.

 

Dopo cena Eroan riaccompagnò Alea alle sue stanze. Insieme scesero al piano inferiore e andarono a sedersi su una panca di legno (anche essa che si ergeva dal terreno, chiaramente). La fanciulla guardò verso il difficilmente visibile a causa delle fronde cielo stellato.

«Vi posso dare un consiglio? Non è da parte mia, ma della Volpe.»

«Naturalmente.»

«Non vi cantate solo un arco, ma anche un’elsa per una spada. Utilizzare quella prolunga per trasformare la vostra Ala dei cieli in una sorta di lancia non deve essere molto pratico, se l’elsa si allungasse da sola sarebbe meglio, no?»

«Sì, ma l’elsa di Ala dei cieli è un tutt’uno con la lama e non posso cambiare spada.»

«Fidatevi. Voi cantatevi anche un’elsa, assicuratevi che sia perfetta per voi, non deve essere come quella di Ala dei cieli se la volete diversa. Quando avete finito con l’Albero fantasma, andate ad Alexandria in via Garnet numero 9. Non ho altro da dirvi. Buona fortuna, avrete molto da studiare e allenarvi per imparare il canto segreto della famiglia reale. E non preoccupatevi del filatterio, la Volpe Grigia ha reso il palazzo reale un luogo sicuro per utilizzare le arti mistiche. Non chiedetemi che cosa significhi perché non lo so, non so nemmeno che cosa sia questo “filatterio”. Buona notte.»

Il Cancelliere si alzò, si congedò con un inchino e lasciò le stanze della altmer.

«Desiderate qualcosa prima di andare a dormire?» si avvicinò una servitrice.

«No grazie.»

Alea andò a lavarsi il viso e i denti e andò nella camera da letto. La sua cintura con spada e amuleti era stata messa su una cassettiera al suo interno anziché nell’armeria. Si tolse il lungo abito argentato e la biancheria intima e indossò una camicia da notte. Una serva rimise l’abito nell’armadio mentre Ilyrana si andava a coricare.

 

Il mattino dopo fece un’abbondante e piacevole colazione e alle dieci venne a chiamarla Eroan.

«Seguitemi.»

Uscirono nel giardino del palazzo, un luogo incantevole con un ricco prato fiorito, cespugli di fiori, alberi da frutta di statura normale secondo i canoni delle altre genti di Tamriel e grandi rocce dal colore grigio molto chiaro, quasi bianco, che decoravano l’ambiente. Al centro di un incrocio di vialetti di pietra vi era una bassa fontana sopra alla quale era stata posta una grande statua di Evendil che teneva la sinistra appoggiata con aria indifferente all’elsa di Lin dur e la destra che reggeva un libro aperto. Era stato raffigurato con abiti eleganti, un lungo mantello sopra ad una camicia stretta con le maniche che terminavano con una punta a metà del polso. Indossava un anello sull’indice sinistro e la sua espressione era una pensierosa, serena ma al contempo malinconica. Era stato suo padre Elisar a commissionare quella statua di marmo in seguito rivestita di argento; Dasiira l’aveva creata, modellando un blocco di marmo con la magia. Era difficile essere uno scultore di successo nel popolo elfico, perché chiunque possedesse le conoscenze necessarie di magia di terra poteva farlo. Ma la perfezione del dettaglio, l’espressività che Dasiira dava ai suoi lavori erano qualcosa che l’avevano resa famosa in appena un secolo e ora, dopo altri sei, continuava a lavorare per le famiglie più ricche e influenti della Yaara Taure. Nemmeno Adamar sarebbe stato in grado di creare un’opera di simile perfezione.

«Buongiorno Alea, spero tu abbia dormito bene. Che le stelle ti proteggano.»

«E che la vostra lama resti affilata. Molto bene, grazie, ho dormito come solo faccio quando sono a casa a Imladris.»

«Ne sono felice. Vieni.»

Superarono la statua di Evendil e andarono a sedersi sul prato dietro a dei cespugli.

«La cosa più importante per riuscire a capire il nostro canto è riuscire a sentire la vita attorno a te. A Vroengard imparate a percepire l’energia vitale degli esseri viventi che vi circondano, è naturale, ogni mistico impara a farlo. Ma noi Kelvhan possediamo un’altra capacità, una più profonda, con cui percepiamo l’energia vitale degli esseri viventi in generale, non solo degli animali. Il tuo capitano è Ascal, dimmi, conosci il suo cognome?»

«No.» rispose, effettivamente rendendosi conto di non conoscerlo.

«È naturale, non vengono usati. Ormai nessuno ti chiama più “Ilyrana” e tra mille anni le nuove generazioni non sapranno nemmeno che fai parte del casato di Imladris. Non ha importanza all’interno dell’Ordine. Ma se ti dicessi che Ascal è un Kelvhan e che è mio fratello maggiore? Inizieresti a capire meglio come faccia ad usare il suo elemento Natura? Altro non è che un agglomerato di tutti i canti degli alberi mai creati, sintetizzati nelle poche parole di potere dei suoi incantesimi predefiniti e uniti ad una fusione di magia di acqua e terra. Ma come fa a utilizzarlo? Qual è il suo segreto? La risposta è la capacità di sentire le piante e la conoscenza del canto segreto dei Kelvhan. Ora medita: concentrati, espandi la tua coscienza e percepisci tutto ciò che ti sta intorno. Ignora me e gli insetti nel terreno, gli uccelli negli alberi, le altre persone nel palazzo. Noi non siamo importanti. Siamo luci arancioni al tuo occhio mentale e brilliamo forte perché è ciò che sei abituata a mettere in risalto. Ma ignoraci, mettici fuori fuoco e metti a fuoco quelle luci quasi invisibili, quelle che non ti sei mai preoccupata di analizzare. Le vedi?»

Con gli occhi chiusi, Alea aveva fatto tutto ciò che il re le aveva detto. Le luci arancioni, più o meno intense, degli animali le apparvero sbiadite mentre all’interno della sagoma nera che era l’albero davanti a lei apparve una luce chiara, azzurrina.

«Ha...! Ha...!» boccheggiò.

«Molto bene.» sorrise Aesar.

Ilyrana si guardò intorno e vide che era diventato buio, il re era tranquillamente seduto su una roccia e lo guardava soddisfatto.

«Quanto tempo è passato?» domandò sorpresa.

«Tutto il giorno. Devi essere affamata, andiamo.»

 

«Buonasera. Disturbo?»

I tre fabbri si voltarono di scatto verso l’intruso. Lo fissarono incuriositi per qualche momento, specie Totosai.

«Amico vostro?» chiese disinteressandosi e rimettendosi al lavoro.

Hans fissò quel sorrisetto furbo e molto probabilmente insopportabile, l’unica parte del viso non coperta dalla famigerata maschera di cuoio grigio.

«Ti conosciamo?» domandò.

«Di nome sicuramente: sono la Volpe Grigia.» rispose avanzando, sfilandosi i guanti di cuoio e mettendoseli sulla cintura.

I due fabbri che ancora gli stavano prestando attenzione spalancarono la bocca per la meraviglia.

«Non abbiamo molto tempo. Vediamo un po’, cosa abbiamo qui... Vedo che avete completato le due mazze, le quattro asce e l’arco del riequipaggiamento del Cavaliere. Una vera meraviglia. Soprattutto l’arco, è eccellente, è senza dubbio il secondo miglior arco in circolazione.» commentò il ladro.

«Chiedo scusa?!» si offese l’elfo.

Ah sì, certo, era molto orgoglioso del suo progetto, un arco di metallo e non legno, munito di diverse piegature e molle che venivano stimolate dalle tre corde per lanciare una freccia anche a un chilometro di distanza e farle comunque avere sufficiente forza per penetrare il cranio di un drago. Sempre che la freccia fosse di Adamantite, chiaramente. Quell’arco era la creazione del mastro altmer, teneva più ad esso che a Agar hyanda.

«Alea sarà presto in possesso di un arco cantato dall’Albero fantasma. Suppongo comprendiate sia insuperabile nel suo campo. Avete completato i riequipaggiamenti dell’Arcano e dell’Inarrestabile, bene, bene. Vedo che state ora lavorando agli scudi del Cavaliere. Ottimo. Hans, dovrai venire con me. Questi due non hanno bisogno di te, tanto, non ora che le tre spade sono state forgiate, e tu sei abbastanza bravo da poter lavorare da solo. Siirist non è l’unico Cavaliere che necessita armi di Adamantio. Su, andiamo, abbiamo una tabella di marcia da rispettare. Non vi dispiace, vero, Totosai?»

«Perché dovrebbe?» rispose pulendosi il cerume da un orecchio e poi scaccolandosi.

«Splendido!» rispose con un sorriso gioioso e una voce alta.

La Volpe prese per mano Hans e lo portò fuori prima ancora che questi o Bhyrindaar potessero dire niente.

 

Gilia aveva lasciato i Beor da quattro giorni e si trovava ora in un piccolo villaggio nel deserto di Dalmasca, così insignificante che nemmeno aveva una locanda e l’unica carovana che passava lo faceva ogni primo del mese. Si era assicurato un posto dove stare dando in cambio un anello d’argento con diamante al padrone di casa, ricavato dalla modifica magica della sabbia del deserto, incantesimo lanciato a cinquanta chilometri dal villaggio: la grandezza e la purezza della gemma gli avrebbero garantito oltre quaranta ori, perciò l’uomo era stato più che felice di ospitarlo.

Stava pranzando con del passato di verdure e pane tostato quando sentì una grande commozione fuori. Aprì il suo occhio mentale e vide arrivare un’aeronave. Non era immensa, ma nemmeno troppo piccola. Da quello che sapeva di quelle macchine, era considerata di categoria C. Aveva una forma aerodinamica con due grandi propulsori posteriori e sei stabilizzatori sullo scafo. Aveva due portelloni posteriori situati tra i propulsori ed un altro sul lato destro. Esso si aprì e ne vide uscire la Volpe Grigia. Prima ancora che il moro potesse stupirsi di quella vista, il ladro fissò dritto nel suo occhio mentale e mosse la mano in segno di saluto.

«Vi ringrazio.» disse al padrone di casa prima di pulirsi la bocca e alzarsi.

Recuperati i suoi averi, Corvinus uscì dalla casa e dal villaggio. Raggiunse l’aeronave e salì la scaletta situata all’interno del portellone. Esso si richiuse alla sue spalle e l’aeronave decollò. Il Cavaliere si trovava in un corto corridoio vuoto che finiva con una finestra sull’esterno; a destra la cabina di pilotaggio in cui armeggiava una donna, senza dubbio un’affiliata della Gilda, a sinistra un salottino. Un tappeto non troppo pregiato ricopriva il pavimento metallico, la stanza era divisa esattamente in due metà identiche: quattro divanetti erano posizionati attorno ad un tavolino circolare, una porta in fondo, due lunghe finestre sui lati, una rastrelliera per armi al centro di esse. Al centro della stanza, esattamente davanti a lui e in mezzo alle due porte, vi era un caricatore di Materia. L’unica cosa che risultava diversa nelle due metà della stanza era la scala a chiocciola che si trovava nell’angolo destro di fondo, che saliva al piano superiore.

«Benvenuto. Gilia, ti presento Hans, Hans, Gilia. Siirist ti ha certamente parlato di Hans, vero?» chiese la Volpe Grigia.

Ladro e fabbro erano seduti su un divanetto ciascuno e stavano bevendo tè e mangiando biscotti; un vassoio di dolci e una teiera erano appoggiati sul tavolino di destra.

«Hans, questo è Gilia, il Cavaliere d’Incubo amico di Siirist. Vedi di trattarlo bene.» disse ancora la Volpe, sorseggiando la sua bevanda calda.

«Che sta succedendo?» domandò incerto Corvinus.

«Succede che hai un equipaggiamento patetico. Cristallo? Debole. Il nostro qui presente Hans ti forgerà armi in Adamantio.»

 

Alea passò un anno a Ellesmera imparando il canto segreto dei Kelvhan. Quando lo ebbe finalmente padroneggiato ringraziò formalmente il re e lasciò la città. Si chiese come quell’insulso Ahtar avesse preso la perdita di uno dei suoi preziosi cavalli elfici. Con diverse provviste nelle sacche legate alla sella dello stallone, ritornò all’Albero fantasma. Smontò e si avvicinò al colossale tronco. Lo toccò con la mano destra ed incominciò a cantare una melodia prima lieve, le parole che portavano con sé immagini di grandiosità, di antichità e di puro potere. Mentre cantava si sentiva come se tutta la Yaara Taure fosse ai suoi piedi, come se controllasse ogni forma di vita, animale e vegetale, al suo interno. Anche il territorio collinare degli altmer era in suo potere, i suoi alberi che si facevano più imponenti, sempre più simili alla regione sud del regno elfico, ad ogni sillaba. Sentì l’albero bianco risuonare con la sua voce, la corteccia che si muoveva seguendo le sue parole. Da essa uscì un arco perfettamente levigato, il legno del colore quasi trasparente dell’albero, splendidamente inciso e decorato. La corda era formata da una fibra dell’albero e aveva la capacità di ritirarsi nell’arco; esso poteva rimpicciolirsi per essere trasportato comodamente. Seguendo l’indicazione di Eroan, l’elfa cantò anche un’elsa ricurva che andava abbinata ad una lama dalla forma tradizionale elfica. Essa, come l’arco, poteva cambiare forma, allungandosi e accorciandosi al solo volere di Alea. Sorrise soddisfatta e rimontò in sella al cavallo. Nel viaggio di ritorno attraverso la Foresta Proibita, cantò nuovamente e tutte le piante la seguirono come topi dietro ad un pifferaio. Trascorse un intero giorno a raccogliere vari semi da piante diverse che fece assorbire dall’elsa e dall’arco; Ascal usava la sua rosa azzurra per contenere e inseminare i suoi mietitori di morte, lei aveva pensato al suo modo.

 

Per arrivare alla regione collinare dal deserto di Dalmasca ci voleva circa una settimana di corsa per un Cavaliere o di galoppo per un cavallo elfico. Alea raggiunse Ridorana in venti giorni di passo tranquillo alternato ad un galoppo contenuto, e il momento in cui uscì dalla protezione dei giganti di legno della Yaara Taure trovò ad attenderla un chocobo con in groppa un uomo dalla faccia comune, banale, facilmente dimenticabile, ma dagli occhi attenti, qualcosa che l’elfa aveva visto in poche altre persone, l’ultima delle quali era stata Eroan. Si avvicinò allo sconosciuto e alzò la mano destra chiusa a pugno.

«Siete perspicace.» sorrise.

Fece lo stesso e avvicinò l’anello che teneva al mignolo al medio della fanciulla. Gli anelli da Cavaliere permettevano di accedere a qualunque luogo protetto da misticismo, erano una chiave universale, e permettevano anche di identificarsi tra loro. Non che Alea avesse mai avuto bisogno di ciò all’interno dell’Ordine, chiaro, era ben conosciuta. Ma l’utilità degli anelli non si fermava lì, difatti potevano anche rivelare gli anelli della Gilda dei Ladri e della Confraternita Oscura. Sul rubino apparve l’occhio della Gilda e Alea annuì.

«Sono qui per accompagnarvi ad Alexandria da Gilia.»

 

 

~

 

 

Il prossimo capitolo ha un titolo che non mi piace, perciò non lo metto. Torniamo indietro nel tempo a quando Siirist calcia Gilia nel baratro.

Ritorna all'indice


Capitolo 76
*** ASILO POLITICO ***


ASILO POLITICO

 

Sylgja rimase di stucco nel vedere Siirist calciare colui che a sentir loro era il suo migliore amico giù in quella voragine.

«Tranquilla, sa controllare il marmo nero, starà bene. Ora pensiamo a trovare gli appunti dell’architetto su come si faccia a lavorare questo dannato marmo nero. Quel bastardo di Gilia riesce a gestirlo magicamente... Puah!»

«Invidioso?» sghignazzò Orla.

«Io?! Invidioso? Ma fammi il favore! Cancello il suo marmo con il mio fuoco!» si indignò.

«Raccontala a qualcun altro... Ehi, guarda qui.»

Ryfon andò a vedere la lastra che la ragazza teneva in mano. Vi erano riportati i metodi di estrazione e lavorazione del marmo nero, ma la lastra finiva quando era evidente che le note continuavano da qualche altra parte.

«Ottimo, cerchiamo altre lastre simili.»

Cercarono per due ore e trovarono una ventina di lastre. Le lessero tutte per accertarsi che i segreti dell’antico architetto fossero al completo e, soddisfatti, si rimisero in marcia per Tronjheim dopo che Siirist si fu appropriato del triplice nunchaku del cugino di Gilia.

«Non vuoi aspettare il tuo amico? È passato parecchio tempo e ancora non è tornato su. Potrebbe essere in pericolo, forse si è fatto male.» si preoccupò Sylgja.

«Nah. Sta bene, ci vuole ben altro per ammazzarlo a lui. Ci rivedremo quando tornerò a Vroengard, e allora avremo modo di raccontarci tutto ciò che abbiamo fatto. Per ora mi accontento di sapere che sta bene e che è diventato più forte. Andiamo.»

 

«Beh, eccovi qua.»

Orik era seduto felicemente su una sedia con i gomiti sui braccioli e il mento appoggiato sulle mani intrecciate. Doveva essere stato trepidante nell’attesa del ritorno del suo campione, dopo aver già ricevuto l’incudine ed il corno.

«Molto bene, molto bene.» sorrise come un bambino con un giocattolo nuovo.

Siirist era contento che il suo biglietto per l’alleanza con i nani fosse soddisfatto. Ora poteva finalmente prendere la corona e il mezz’elfo se ne poteva ritornare all’aria aperta.

«Appena possibile vi farò avere anche ciò che vi ho promesso del tesoro di Ilirea.»

Il nobile nano annuì vigorosamente.

«Trovo che a questo punto manchi solo convocare l’assemblea dei tredici clan e vedere se si decideranno a votarmi.»

«Lo spero bene, inizio a stancarmi di stare qui sotto. E i vostri materassi duri non aiutano a migliorare il mio umore.»

Orik si alzò dalla sua sedia e diede una pacca sull’anca del mezz’elfo, per poi uscire dal suo salotto e avviarsi verso l’anticamera a quindici lati. Siirist ritornò alla sua stanza, seguito da Sylgja, e si sedettero entrambi sul bordo del letto.

«Tra non molto ce ne potremo andare da qui.» disse.

Ma la ragazza non rispose.

«Tutto bene?»

La vide tremare leggermente, la bocca in una smorfia indistinta tra un sorriso felice e uno triste, gli occhi lucidi.

«Che hai?»

«Era vero.» rispose semplicemente.

Siirist capì. Il trovare il segreto del marmo nero, il motivo per cui era diventata una schiava, era stato finalmente metabolizzato e ora la ragazza era esplosa. Tutto il dolore, la speranza che aveva provato per otto anni si erano dimostrati non privi di senso. Era finalmente libera da un peso insostenibile, libera dall’ombra di Stig che l’aveva continuata a perseguitare da quando aveva lasciato Rabanastre. Il mezz’elfo si avvicinò a lei e la strinse nelle braccia, accarezzandole il capo. Ella scoppiò a piangere a dirotto, singhiozzando e infradiciando la tunica dell’uomo. Tanto era da buttare, pensò. Si stese, portando la ragazza giù con sé, e continuò ad accarezzarla e rassicurarla anche dopo che si era addormentata. Quando ella si svegliò diverse ore dopo, trovò i brillanti occhi azzurri del mezz’elfo che la fissavano.

«Dormito bene?»

«Per la prima volta in otto anni. Grazie.»

Gli diede un bacio sulla guancia e si mise in piedi.

«Vado a farmi un bagno.» disse.

«Vai. Anche a me serve, a dirla tutta. Ci vediamo dopo.»

La ragazza uscì dalla stanza e Siirist andò nel bagno. Usò una magia per riempire la vasca con acqua calda e con una creazione di luce generò sali da bagno che si sciolsero in fretta, ricoprendo la superficie dell’acqua di bolle colorate e profumate. Bruciò i suoi abiti e si immerse, rilassandosi nel tepore del bagno. Gli mancava usare la magia per le cose di tutti i giorni. Questo lo fece riflettere: ora che il Consiglio sapeva già dove egli fosse, non c’erano problemi ad usare il misticismo finché rimaneva oltre Orzammar. Per quanto odiasse stare sotto terra, quella poteva rivelarsi un’opportunità unica. Aveva molti altri incantesimi su cui lavorare, e non poteva farlo con il fiato del Consiglio sul collo, e di certo non voleva aspettare che Rorix fosse pronto a tornare a Vroengard. Dopo le creazioni di luce e oscurità di Aulauthar e Syrius, Siirist aveva coniato la creazione di fuoco. Ma non gli bastava, voleva scoprire come creare dal nulla oggetti anche usando gli altri elementi. Con la terra era facile, bastava dare forma all’oggetto desiderato e cambiargli le proprietà chimiche per modificarne la sostanza: da una manciata di polvere, un esperto mago di terra poteva creare un diamante, una barra di ferro arrugginito poteva diventare oro purissimo. Ma lui voleva di più. Conosceva la composizione dell’Adamantite, voleva vedere se era in grado di ricrearla usando tutti e sette gli elementi, o almeno arrivarci vicino, visto che copiare le proprietà delle ossa di drago era quasi sicuramente impossibile. Sollevò la mano destra fuori dall’acqua e da essa si emanarono i rivoli di oscurità che finirono con il condensarsi in una sfera metallica. La strinse. Era molto resistente e il peso era quello che avrebbe avuto fosse stata di vera Adamantite, ma no, non era nemmeno lontanamente vicina al suo obiettivo. Si aspettava che ricreare l’Adamantite sarebbe stato impossibile, ma sentiva di poter fare di meglio di quella sfera. Sbuffò, sollevando la schiuma, e la sfera si dissolse in una nube tenebrosa.

 

A cena Siirist mangiò con Sylgja e Durin. Il nano rimaneva in silenzio e la ragazza canticchiava mentre sbucciava un’arancia.

«Dimmi, sarebbe un problema per te se rimanessimo ancora qui a Tronjheim?» domandò Ryfon.

«Per quanto?» guardò su lei dalla sua arancia.

«Non lo so. Sto lavorando su alcuni incantesimi e non posso farlo fuori dai Beor.»

«Tu starai bene rinchiuso ancora qui dentro? Mi sembravi abbastanza desideroso di andartene.»

«E lo sono. Pensavo di creare magicamente un’abitazione vicino ad uno dei lati di una delle montagne. Potrei aprire delle finestre e da lì potremmo avere aria fresca e goderci la luce del sole e la calma della notte, come Soho e Obras comandano.»

«La trovo un’ottima idea. Tanto io vado dove vai tu, non ho molte altre alternative al momento.»

«Mi dispiace.»

«E di che? Ricorda che mi hai salvata.»

«Sì, ma poi ti ho trascinata in mezzo a tutto questo casino.»

«Ma sta’ zitto!» e gli diede una spinta sulla spalla.

In quel momento Orik entrò nella sala da pranzo e si sedette al tavolo. Sorrideva, ma non esageratamente.

«Il verdetto?» chiese il suo campione.

«Dieci su tredici, compreso Glorgur. È un notevole miglioramento. Le mie intenzioni di riconquistare i thaig perduti e ripopolare tutte e sette le città hanno suscitato grande ammirazione in tutti i capi. Ne mancano ancora tre, è vero, ma sono i tipi che sfruttano ogni occasione per fare qualche soldo facile. Non dovrò far altro che comprarli e avrò la corona. Spero di vedere i tesori di Ilirea non troppo in là nel tempo.»

«Appena il mio drago avrà completato il suo addestramento segreto, saremo liberi di tornare a Vroengard; a quel punto potrò usare la mia dislocazione spaziale e andare a Ilirea. Non prima. Nel frattempo pensavo di rimanere qui, almeno fino a quando non abbia messo a punto alcuni nuovi incantesimi a cui ho pensato. Avendo già usato le arti mistiche nelle Vie Profonde, il Consiglio sa dove mi trovo, quindi tanto vale sfruttare al meglio questa situazione.»

«Come volete. Siete un membro adottivo del mio clan e il mio fidato campione che mi ha assicurato la corona: siete un gradito ospite fino a quando vorrete, Cavaliere d’Inferno.»

«Il fatto è che ho la nausea di stare sotto terra. Speravo fosse possibile crearmi magicamente una residenza che dia sull’esterno, magari su uno dei lati di una montagna, così potrei rivedere il sole. Ne ho veramente bisogno, non avete idea, Orik.»

Il nano ci pensò un momento.

«E se aiutaste nella ricostruzione delle tre città? Con la vostra magia immagino non sarà troppo difficile. Potreste vivere ad Alftand.» propose.

Siirist valutò l’idea.

«Mi spiace, ma per rendere le tre città di nuovo abitabili, dovremo prima ripulire le Vie Profonde di tutti i knurlock. Ci vorrà del tempo, e io ho i nervi a fior di pelle. Ho bisogno di tornare in superficie. Ora.»

Orik sospirò.

«D’accordo, fate come volete. Ma tenetelo un segreto, non si deve sapere in giro che state creando aperture verso il mondo esterno.»

«Grazie.»

 

Nel mese successivo, Siirist aveva aiutato i nani nell’eliminazione dei knurlock che infestavano le Vie Profonde e aveva formato una abitazione per sé e Sylgja. Era simile ad una altmer, scavata nella pietra ma aperta al mondo esterno. Consisteva in un salotto con tre vetrate che davano su un balcone a mezzaluna, le due laterali alte tre metri e larghe uno, quella centrale alta quattro metri e larga sei. Essa fungeva da porta-finestra ed il balcone all’esterno era finemente lavorato, con rilievi che mostravano draghi alati e marini che si combattevano e univano, in ricordo delle tsuba delle katana che Totosai aveva forgiato per il mezzo demone. Sulla ringhiera di pietra del balcone, a contatto con la parete rocciosa, erano scolpiti due leoni alati, lo stemma della casata Ryfon. L’interno del salotto era decorato con un morbido tappeto al centro, un tavolino di mogano su di esso e due divani ai lati. Opposto alle vetrate era stato creato un camino. L’ingresso all’abitazione si trovava sul lato del camino, a sinistra, mentre a destra vi era la cucina in cui Sylgja si era esercitata per migliorare la sua abilità culinaria. Nella parete di sinistra si apriva la porta per la camera da letto di Siirist, in quella di destra vi era la stanza della ragazza. Entrambe avevano una poltrona e un comodo letto a due piazze delle dimensioni giuste per due “gambe-lunghe” come loro, con tanto di bagno personale. Tutta la mobilia aveva avuto forma grazie alla creazione oscura del mezz’elfo.

Era comodamente seduto su uno dei divani nel salotto, il suo grimorio in mano, a rivedere i suoi appunti sulla creazione di fuoco. Con l’oscurità aveva ideato un incantesimo predefinito che formasse una katana con fodero; con la luce dava forma ad una spada dritta ad una mano con la guardia a croce e uno scudo a triangolo isoscele con i lati uguali ricurvi; con il fuoco generava due chakram, armi usate dalle tribù nomadi del mare sabbioso di Condoria. Non erano dei veri e propri chakram, a dire il vero, infatti non erano dei semplici cerchi con il bordo affilato, piuttosto al loro centro avevano una sorta di impugnatura a forma di croce i cui bracci si univano a quattro cerchi che si intersecavano con il corpo dell’arma, e da ognuno di questi quattro cerchi si estendevano delle punte acuminate. Quattro punte più piccole erano situate nei punti tra i quattro cerchi. Erano armi difficili da usare, che aveva visto per la prima volta a Hellgrind, durante uno spettacolo che i nomadi del mare sabbioso avevano preparato. Uno di loro avrebbe lanciato uno di questi cerchi letali e con maestria un altro lo avrebbe riafferrato, centrandolo con il braccio, un bastone o una spada. Era stato uno spettacolo molto avvincente, pieno di giochi di fuoco e altre acrobazie. I chakram di fuoco di Siirist, invece, erano creati con l’idea che ritornassero a lui una volta lanciati, e doveva ringraziare gli dei che la magia non poteva danneggiare chi l’aveva generata, altrimenti allenarsi a padroneggiarli sarebbe stato molto più doloroso del dovuto, visto che più di una volta si era ritrovato a chiudere la mano su una delle punte, anziché sull’impugnatura a croce al centro o in uno degli altri punti non taglienti.

Era riuscito a concretizzare l’elemento vento ed aveva deciso di usare come arma il triplice nunchaku che aveva visto utilizzato dal cugino di Gilia, e teneva quello originale in camera come trofeo. Ma qualcosa nella creazione di fulmine gli sfuggiva, e vista la similarità con il fuoco, aveva deciso di rivedere le sue scoperte.

«Assaggia!» disse tutta contenta Sylgja.

Siirist alzò gli occhi dal suo libro magico e guardò verso destra, vedendo arrivare la ragazza con addosso un grembiule e in mano una grande teglia. Cosa ci fosse all’interno, non lo voleva sapere, ed era anche più arrabbiato perché la sua linea di pensiero era stata interrotta per una cazzata simile. E dire che si sentiva così vicino a capire la creazione di fulmine! Ma si trattenne dall’esplodere contro l’amica e sorrise. Chiuse il grimorio e lo appoggiò sul cuscino del divano, sporgendosi in avanti per afferrare il cucchiaio che la ragazza gli stava porgendo. Si preparò psicologicamente prima di mettere in bocca ciò che probabilmente era l’ennesimo attentato alla sua vita da parte di Orla. Invece strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Era squisito.

«Questo sì che è un tiramisu come comanda la Tempesta!»

«Sembri sorpreso. Anche troppo.» strinse gli occhi Sylgja in un’espressione di dubbia rabbia.

«Senti, non fare quella faccia! È più di un mese che mangio le tue poltiglie velenose, mi perdonerai se rimango colpito nell’assaggiare qualcosa che non solo è commestibile, ma addirittura buono!»

«Sei pessimo.» rispose portando via la teglia.

«No, aspetta, dove vai! Lasciamene mangiare ancora!»

La ragazza si ritirò in cucina e non rispose.

‹Mannaggia a Soho.›

Siirist sbuffò e si riconcentrò sulla creazione di fulmine. Entrò in stato di calma assoluta e alzò la sinistra, attorno alla quale si concentrarono scariche elettriche sempre più intense. L’idea era creare una sfera dalla composizione simile a quella dell’argento, come l’armatura di Aulauthar, per quanto questa fosse più dura e resistente del Cristallo. Quando le scintille esplosero in un niente di fatto, Siirist bestemmiò ancora contro il dio della luce e sprofondò nel divano.

Sentì bussare alla porta e guardò fuori con un occhio mentale, trovandovi Durin. Gli diede il permesso di entrare e il nano si avvicinò subito a lui.

«Buonasera, Siirist.»

«Altrettanto. Che posso fare per te? Ci sono altri scavi in cui serve il mio aiuto?»

«No, niente di simile, almeno non per il momento. È Oghren.»

«Che ha fatto adesso?» sospirò.

«Dice che sei un putrido sangue di roccia e che vuole sfidarti ad una gara di bevuta.»

«Carino.»

Il “sangue di roccia” era un evento naturale che occorreva quando un organismo nelle profondità dei Beor andava in decomposizione: la roccia lo assorbiva e poi, da qualche parte, in un punto che poteva sembrare causale, ma in realtà non lo era perché tutto il sistema montuoso era in qualche modo collegato, lo espelleva. Sembrava quasi che la roccia sanguinasse, e l’odore che ne veniva fuori non era qualcosa di piacevole ed essere chiamati “sangue di roccia” non era esattamente un complimento. Siirist rimpiangeva il “figlio di un nug”.

«Digli che ho di meglio da fare.»

«Già fatto. Mi ha risposto che posso “andare a prenderlo nel culo da un bronto”.»

«Che poeta.»

«Era ancora sobrio, se così si può definire, quindi non era al meglio delle sue capacità.»

«No di certo.» concordò il mezz’elfo.

«Durin! Vuoi provare il mio nuovo dolce?» esclamò Sylgja.

Il nano strinse la mandibola.

«Tranquillo, questa volta le è venuto bene. Stranamente.»

La ragazza si infuriò e lanciò la teglia contro il biondo, ma questi la bloccò a mezz’aria con un incantesimo di levitazione.

«Per una volta che cucini qualcosa di buono non ti permetterò di rovinarlo. Lo mangeremo stasera. Ora vallo a mettere nel frigorifero.»

Non aveva macchine a Materia, ma Ryfon aveva creato una cella frigorifera con una magia combinata di vento e terra e un forno usando un incantesimo di fuoco combinato a terra. La cella frigorifera era sempre attiva, il forno si accendeva e spegneva passando le dita lungo le rune collegate alla gemma in cui il mago aveva inserito il potere magico.

«Andiamo Durin, lasciamo perdere questo insensibile.» disse Sylgja marciando verso la propria stanza.

Il nano guardò verso il mezz’elfo prima di seguire la ragazza per la loro lezione di lingua umana, qualcosa da cui Oghren era stato bandito dopo aver fatto notare il doppio senso ed essersi avvicinato troppo all’insegnante. Finalmente Ryfon poteva dedicarsi alla sua magia.

 

«Sì, divertente per te, magari. Tu non sei quello che è stato incollato al bagno per tre settimane!» si adirò Elbereth.

Aulauthar ancora aveva difficoltà a mantenere un’espressione seria quando vedeva gli altri cinque Consiglieri. Eimir palesemente scoppiava a ridere in faccia a loro, e a ogni occasione ricordava loro come fossero andati disperati da lui a chiedere il suo aiuto, visto che era l’unico in grado di dissipare gli spiriti che Siirist aveva aizzato loro contro. Adamar rimaneva come sempre in silenzio. Ma Syrius era, per una volta, dalla parte dei fedeli di Delmuth.

«Si tratta pur sempre di un insulto verso il Consiglio.» disse.

«E ora, quasi come una presa in giro nei nostri confronti, non fa che usare incantesimo dopo incantesimo. Sa che è al sicuro finché sta nel regno dei nani, e non si preoccupa più di mantenere segreta la sua presenza.» aggiunse Xander.

«Io dico che dovremmo andare ad attenderlo fuori Orzammar. Io mi offro per questo incarico. Chi vuole seguirmi?» annunciò Injros.

«Colleghi, non trovate ridicola questa vostra ossessione per Siirist? Questa nostra guerra interna ci è già costata la Corazza e l’Elmo. Solo i Guanti rimangono ancora a Tronjheim, dovremmo andare a Orzammar per proteggere quelli, non per catturare Siirist.» fece presente il Cavaliere d’argento.

«Aulauthar, Siirist è un pericolo per tutti noi. Dopo quello che ha fatto a Delmuth, è solo giusto che venga giustiziato. Giuro sul mio onore come membro del Consiglio che non mi darò pace finché il settimo Cavaliere d’Inferno non sarà punito come si merita. Andrò con Injros.» pronunciò Ashemmi.

Un giuramento nella Vera lingua non era qualcosa che l’elfa si sarebbe potuta rimangiare. Aulauthar non si aspettava niente di buono da quella situazione e vedere Adamar corrugare la fronte con fare preoccupato non era esattamente incoraggiante.

 

Era fine ottobre e l’autunno aveva deciso di concedere una giornata calda prima dell’arrivo dell’inverno. Siirist era affacciato fuori dal suo balcone e sotto di lui, a circa tremila metri, vedeva l’infinita vastità cristallina dell’oceano. Solo un fascio di qualche ettaro di terreno ricoperto da imponenti pini separava i picchi dei Beor dall’acqua. Si trovava quasi all’estremo sud di Alagaesia. Il mezz’elfo si stava beando nella fresca aria che sapeva di mare e montagna allo stesso tempo come premio per aver completato la creazione con tutti gli elementi. Come armi aveva deciso una naginata per il fulmine, un’asta che terminava con due grosse teste ferrate da cui si pretendevano due ganci per la terra, due sai per l’acqua. E per tutti e sette gli elementi, oltre alle armi che aveva già progettato, ideò delle aste che insieme avrebbero generato una potente barriera. Se posizionate in un certo ordine, la barriera avrebbe impedito a qualunque cosa di penetrarla dall’esterno; se piantate nell’ordine inverso, la barriera avrebbe impedito a qualunque cosa di fuggire dal suo interno. Ogni asta era di colore diverso e terminava con la runa demoniaca che significava il dato elemento. Lo scettro di fuoco era rosso, quello di fulmine viola, quello d’acqua azzurro, quello di vento bianco, quello di luce dorato, quello di oscurità nero, quello di terra verde. In quegli ultimi mesi, Siirist aveva lavorato incessantemente sulla sua magia, ideando addirittura altri riequipaggiamenti e armi che i tre fabbri avrebbero dovuto forgiare per lui.

Kaa!

Si voltò e vide un grosso corvo che era appena atterrato sulla ringhiera del terrazzo. C’era qualcosa di strano in quell’uccello. Innanzitutto, il fatto che non lo avesse percepito arrivare con il settimo senso era già di per sé sospetto, in più gli sembrava che il corpo dell’animale non fosse ben delineato come sarebbe dovuto essere; era come se fosse sfuocato, indistinto. Gli pareva che addirittura dalle penne si liberassero rivoli di elemento oscuro. Si avvicinò al corvo per cercare di afferrarlo e osservarlo meglio quando arrivò Durin.

«È ora del tuo appuntamento con Mverik.»

Voltò la testa verso il nano e annuì. Poi si rivolse ancora in direzione dell’uccello, ma era sparito. Strinse gli occhi con fare sospettoso e si avviò verso la porta-finestra.

«Arrivo.»

Il giorno dopo il suo ritorno da Mzinchaleft, Siirist era stato visitato da uno dei medici di Orik che gli aveva dato una pozione che aveva un che di miracoloso. Era una delle cose più disgustose che il mezz’elfo avesse mai bevuto, questo era innegabile, ma dopo quel mezzo litro di schifezza, si era sentito perfettamente, come se non avesse mai contratto la corruzione dei knurlock. E una volta a settimana per tre mesi Ryfon si era dovuto sottomettere alle visite del dottor Mverik. Assieme a Durin andò alla clinica del medico dove trovò anche Oghren.

«Lurido figlio di shelock! Sono mesi che non ci vediamo! Sono troppo inferiore per te, o sommo Cavaliere d’Inferno, che non ti degni nemmeno di farmi compagnia insieme a qualche bel boccale di birra?»

«Perdonami, sono stato impegnato, molti incantesimi da sviluppare.»

«Glonbir, portami un bicchiere di acqua calda.» disse Mverik al suo assistente.

Siirist lo guardò attentamente. Non sapeva cosa, ma quel Glonbir aveva attorno a sé un’aria conosciuta, e non gli piaceva come la settimana prima gli fosse apparso alla spalle senza preavviso. Aveva un che di furtivo che lo rendeva molto sospetto. Anche il fatto che avesse una difesa mentale impeccabile metteva in allerta, l’arte della mente non era granché diffusa nel regno nanico, per usare un eufemismo.

«E con questa dose siete a posto, Cavaliere d’Inferno, la corruzione è stata del tutto eliminata.»

«Bene.»

«E anche io sono rimesso a nuovo. Scusa se non ti ho dato modo di sperimentare la tua magia su di me.» disse Oghren.

«Figurati. Onestamente non so cosa avrei fatto se il dottor Mverik non avesse composto questo antidoto.» rispose Ryfon.

«No, Cavaliere d’Inferno. Per quanto sarei onorato di ricevere il merito per questa trovata, non sono io che ho mescolato questa pozione: è stato Glonbir. È un conoscitore dell’alchimia degli umani, è grazie ad essa che è riuscito a trovare la formula per la cura alla corruzione.»

«Questi sono certamente tempi gioiosi per il nostro popolo: troviamo la cura alla corruzione dei knurlock, recuperiamo il segreto della lavorazione del marmo nero e incominciamo la riconquista delle Vie Profonde. La vostra venuta è stata certamente di buono auspicio, Cavaliere d’Inferno.» disse l’appena giunto Orik.

«Eppure non siete ancora re.»

«Pazientate, amico mio. Vengo giusto ora da una riunione dei tredici clan: mancano solo due voti, e tutti gli altri undici sono in mio favore. Pensavo di organizzare dei giochi, potrebbero essere ciò che manca per ottenere il favore di tutti i dodici capi.»

«E fatemi indovinare: dovrò partecipare, giusto?» disse con voce piatta.

Il nobile sorrise quel sorriso che il mezz’elfo aveva incominciato a non sopportare. Se si fosse trattato di qualcun altro e lo avesse importunato in una giornata no, sarebbe finito bruciato vivo dalle implacabili fiamme d’Inferno del Cavaliere.

«Sto facendo venire molti prodotti del mondo esterno da Orzammar, dovrebbero esseri qui a giorni. Ora che siete libero di usare la magia, potreste produrre qualche spettacolo emozionante?»

«Certamente.»

«Splendido! Sono impaziente di annunciare ufficialmente l’inizio dei giochi.»

‹Questo nano ti sta sfruttando oltre ogni immaginazione. Spero ne valga la pena.› commentò Rorix.

‹Credo di sì.›

‹Me lo auguro. Non sarei felice di scoprire che il mio Cavaliere viene preso per i fondelli da qualcuno alto la metà di lui.›

‹È un po’ più alto di novantacinque centimetri, sai? E non essere così discriminante!›

‹Ah, ma che me ne frega! Per me siete tutti insetti che posso schiacciare!›

‹Stiamo diventando arroganti, eh?›

‹Che vuoi che faccia? È da quando ci siamo salutati che non mi sono rimpicciolito, sono sempre nelle mie dimensioni naturali. Comincio a capire Vadraael e il suo disdegno per voi creature inferiori.›

‹Ma senti tu! Tu sarai anche della stirpe di Hanryu, ma io sono del sangue di Obras, quindi fai poco il superiore!›

Drago e Cavaliere continuarono a bisticciare ancora per qualche minuto finché il mezz’elfo fu ritornato al suo appartamento. L’odore di arrosto di vitello al rosmarino con contorno di patate alla brace (tutto importato via Orzammar) stuzzicò l’olfatto del mezzo demone, i cui occhi si tinsero di rosso, le zanne si appuntirono e la bocca incominciò a salivare. E il vedere Sylgja uscire dalla cucina, avvolta nell’odore della carne, non aiutava. Ryfon ringhiò ed il suo stomaco brontolò. La ragazza fece per avvicinarsi e assicurarsi di cosa egli avesse, ma la sua mano alzata le fece capire che doveva stargli lontana.

«Tra quanto sarà pronta la cena?» domandò in un basso e profondo ringhio.

«Un quarto d’ora.» rispose quasi preoccupata.

Voleva trattenersi ancora, non voleva arrecare a quella povera ragazza ulteriori sofferenze dopo gli otto terribili anni che aveva passato a Rabanastre, ma non ce la faceva più. Sentiva di essere sul punto di impazzire e se si fosse trattenuto ancora, avrebbe finito con l’ucciderla.

Con la creazione di luce formò un pugnale d’argento che mise in mano ad Orla.

«Io ora ti morderò. Se non mi stacco dopo cinque secondi pugnalami dritto nello stomaco. Evita il cuore, vai per lo stomaco.» specificò, tanto per essere sicuro.

Sylgja non ebbe modo di rispondere che si ritrovò il polso sinistro azzannato dal famelico mezzo vampiro. Succhiò avidamente, riuscendo comunque a non lasciarsi andare alla fame e rimanere cosciente. Fermò il pugnale che lo stava per perforare in pancia e estrasse i denti dalla carne della sua vittima.

«Meglio?» chiese lei.

«Sì...»

«Bene. Vorresti guarirmi ora? Fa male, sai?»

«Scusa.»

Richiamò il Flusso vitale nell’indice destro che passò sul polso lacerato di Sylgja, immettendolo direttamente nella corrente di lei. La ferita si richiuse senza nemmeno causarle dolore.

«La mia offerta di venire a letto con te è sempre valida. La preferisco all’essere morsa, se vuoi proprio saperlo.»

«L’arrosto si sta bruciando.»

Sylgja sgranò gli occhi infuriata e corse verso la cucina.

«Giuro su Fujin che se si è rovinato non ti perdonerò mai!»

Siirist ridacchiò e la raggiunse. L’arrosto era sì bruciato, ma non era niente che una piccola negazione temporale non potesse risolvere. Incanalato tutto il Flusso e sdoppiato nell’indice e nel medio sinistri, il mago riportò l’arrosto a cinque minuti prima.

«A posto. Chiamami quando è pronto.» disse rubando una patata.

 

Nella settimana che anticipava il capodanno, Orik aveva organizzato tutti gli eventi che, secondo lui, gli avrebbero portato così tanta popolarità che i due rimanenti capi clan sarebbero stati costretti a dargli il loro voto. Siirist avrebbe dovuto aprire i giochi con degli spettacoli di magia; sarebbe seguito un torneo in cui chiunque se la sentisse avrebbe potuto partecipare, quindi non solo appartenenti alla casta dei guerrieri: al vincitore sarebbero state date diecimila incudini e alcuni premi a sorpresa importati da Orzammar. Orik aveva pensato di invogliare il popolo della pietra con i prodotti del mondo esterno, per motivarli anche di più a ritornare in superficie. Stava portando avanti una politica molto interessante, al contempo riportando in auge l’antico potere dei nani con la riapertura e restaurazione delle Vie Profonde e aprendo la sua gente a ciò che accadeva oltre i Beor. Se all’inizio Siirist lo aveva trovato solo un opportunista con cui instaurare un rapporto di sfruttamento bilaterale, ora vedeva il nobile Alftand come qualcuno che avrebbe veramente potuto portare del bene sia ai nani che a tutta Tamriel.

Dopo l’incidente con Sylgja due mesi prima, il mezz’elfo aveva deciso di usare la magia organica per prelevarle giornalmente un litro di sangue da bere senza rischiare di divorarla. In questo modo la sua voglia di sesso pure era placata e solo rivedere Alea gliela avrebbe risvegliata. Almeno per il momento.

«Orik è stato molto gentile a permettere a chiunque di partecipare al torneo. Sarà un piacere vendicarmi di quell’aborto di goblin di Thjyr.» disse entusiasta Oghren, accarezzando la sua ascia.

«Basta che non lo uccidi. I combattimenti del torneo sono al primo sangue, tienilo bene a mente.» gli ricordò Siirist.

Già si aspettava di vedere quello stupido nano falciare in due il suo rivale e poi combattere tutte le guardie che lo avrebbero attaccato fino a che fosse caduto. No, era ridicolo, Oghren non era in cerca di una morte gloriosa, tutto ciò che voleva era bere e fottere.

«Dovrà proteggersi bene, allora, non sarà facile trattenere Orgoglio.»

«Potrebbe anche essere che non vi incontrate.» gli fece notare Durin.

«Tu stai zitto, cacchetta di nug, che ci pensa il nostro qui presente amico a gestire bene il ballottaggio con la sua magia, hehe.»

«Trovo solo che sia giusto.» rispose Ryfon allo sguardo accusatorio del suo servitore nano.

«Se vinci potresti anche essere degno della tua barba.» disse Dorrak all’ubriacone.

Dopo la perdita dell’onore, un nano doveva tagliarsi la barba e poteva farsela ricrescere solo dopo averlo riacquistato. Non solo Oghren non se l’era mai tagliata completamente, non aveva mai fatto niente per recuperare il suo onore, perciò era una tremenda disgrazia per il popolo della pietra e un insulto a tutte le loro tradizioni. Durin, invece, aveva riavuto il suo onore, concessogli da Orik dopo che aveva riportato l’incudine ingemmata a Tronjheim, e già aveva una folta peluria bruna che gli ricopriva la mandibola, ma ciononostante aveva deciso di non ritornare subito al suo clan ma di rimanere al fianco del Cavaliere d’Inferno.

«Sarò felice di affrontarti nell’arena.» gli rispose puntandogli contro Narik.

Durin fissò il letale filo della grande ascia e sorrise con aria di sfida.

«Farò in modo di manipolare l’estrazione dei partecipanti al torneo perché siate ai due lati opposti, così che vi incontrerete nella finale. Oghren, metterò Thjyr come tuo primo avversario, così che non rischi di perdere contro qualcun altro.» disse Siirist.

«Mi piace, hehe.»

«Cavaliere d’Inferno?»

L’interessato si voltò per vedere arrivare Orik stranamente non accompagnato da alcuna guardia. Intuì che cosa volesse.

«Per quella cosa che mi avete chiesto... Se volete seguirmi.»

Il mezz’elfo sorrise. Finalmente. Alftand condusse Siirist verso la sala del trono del palazzo reale. In ognuna delle quattro pareti si apriva una porta: quella che dava sull’anticamera a quindici lati, quella alle spalle del trono, in cima ad una piccola rampa di scale, che andava agli alloggi del sovrano, quella a destra che conduceva alla stanza dove si riuniva l’assemblea del tredici clan. Ma che cosa nascondesse la porta nella parete di sinistra, Ryfon non lo sapeva. Ma ora lo aveva capito. Oltre essa vi erano delle scale che scendevano ancor di più nelle profondità della terra. Siirist odiava le scalinate naniche, i gradini erano troppo stretti per i suoi gusti, e ora aveva anche da abbassarsi per non sbattere contro il soffitto basso. E il fatto che fosse una scala a chiocciola non aiutava. Cristalli luminescenti erano incastonati nella parete; Siirist, che stava facilitando la sua discesa con la mano destra appoggiata ad essa, passava la mano sopra ai cristalli ogni dieci gradini.

La tromba delle scale pareva infinita e Siirist perse la pazienza dopo appena dieci minuti. Estese la sua coscienza fino alla fine della chiocciola e, nel suo stato di calma assoluta, dislocò sé e Orik a destinazione.

«Per tutti i soli nel cielo!» esclamò il nano.

«Calmatevi, era solo una magia spaziale. È oltre quelle porte?» domandò fissando la fine del corridoio in cui si era rilocato.

Un’imponente portone a due ante di marmo nero chiuso con una serratura di mithril e protetto da due guardie dall’espressione truce e dalle asce ancor meno gioviali.

«Nobile Orik.» disse una di queste.

Siirist si avvicinò al portone, ignorando le occhiatacce che i due soldati gli mandavano. Esaminò la serratura di mithril, pensando a quanto ci avrebbe messo a scassinarla. Non era incantata, sarebbe stato semplice addirittura romperla. Oltre quelle porte si trovava la sala del tesoro dei tredici clan, ma non erano i metalli e le gemme preziosi custoditi al suo interno che interessano a Ryfon: erano i Guanti di Luce.

«Questa serratura non è molto difficile da rompere, per quanto ammetto sarebbe complicata da scassinare. Vi dispiace se le applico un incantamento?»

«Siete un esperto di serrature, eh? Fate pure.» sorrise Orik.

Siirist incominciò a mormorare frasi cariche di magia mentre tracciava con il dito scritte elfiche che bruciarono nel metallo nanico, rimanendovi impresse. Gli incantamenti impedivano alla serratura di aprirsi se non stimolata dalla legittima chiave e oltre a essi, il mezz’elfo modificò la composizione del mithril, rendendolo duro quasi quanto l’Adamantio. Ma anche con i suoi grandi poteri magici c’era un limite a quello che poteva fare senza un vero osso di drago, come aveva imparato nei suoi esperimenti per la creazione elementale.

«Fatto. Molto probabilmente la Setta dello Scorpione troverà alla fine un modo di rubare i Guanti, ma questi incantamenti dovrebbero servire a far loro perdere tempo, dandone più a me per prepararmi.»

«Prepararvi a cosa?»

«Ci sono cose che è meglio non sappiate, Orik.»

Siirist ritornò accanto al nobile Alftand e gli mise una mano sulla spalla, eseguendo ancora una volta la dislocazione spaziale.

 

La sera di capodanno ci fu la finale del torneo. I giochi erano stati aperti con Siirist che stupiva il popolo nanico con le meraviglie possibili con la magia, assistito da Sylgja. Aveva finito il suo spettacolo chiudendo la ragazza in una scatola di pietra creata sollevando il pavimento dell’arena che aveva poi perforato con svariate spade formate con la creazione di luce. Quando aveva riaperto la scatola, la ragazza era sparita, per lo stupore del pubblico; ciò che essi non sapevano era che Ryfon aveva precedentemente reso invisibile la sua assistente con una magia di luce e l’aveva dislocata fuori dalla scatola al suo fianco; allora aveva generato una nuvola di polvere con un incantesimo di terra e annullato l’invisibilità. Alla ricomparsa di Orla, tutti i nani erano scoppiati in un applauso euforico. Siirist era stato costretto ad ammettere che Orik era stato un genio: facendo leva sulla curiosità dei nani, aveva avuto modo di renderli meno ostili nei confronti delle arti mistiche.

Subito dopo lo spettacolo di magia, Siirist e Sylgja avevano osservato altri eventi, come spettacoli pirotecnici che sfruttavano la polvere da sparo, o una sorta di circo in cui i nani usavano una gran varietà di animali dall’aspetto strano, tutti autoctoni della regione dei Beor. Era stato interessante vedere come i nani amassero le feste, come amassero divertirsi, e al termine di ogni evento, la birra scorreva a fiumi tra gli spalti e persino nell’arena. C’era un’aria completamente diversa rispetto a quella che c’era stata durante il Guanto d’acciaio. Se non fosse stato per la sensazione di claustrofobia e l’odore non proprio piacevole, a Ryfon sarebbe piaciuto stare a Tronjheim per ancora qualche tempo.

E finalmente era stata l’ora di dare l’inizio al torneo. Oghren e Thjyr erano stati i quarti a scendere in campo, per il piacere di “Barba di fuoco”. Aveva giocato con l’altro, umiliandolo e pestandolo e prendendosi tutte le soddisfazioni che aveva aspettato di prendere per dieci anni. Era arrivato al punto di far correre via l’avversario, che scappava per tutta l’arena urlando e piangendo, mentre Oghren lo inseguiva ridendo sonoramente. Aveva terminato il duello atterrando il codardo e tagliandogli la barba con Narik. Poi aveva rivolto l’ascia verso Siirist nella tribuna nobiliare, dicendogli che lo avrebbe sfidato a duello una volta. Aveva lasciato l’arena bevendo dal suo immancabile otre e ruttando senza ritegno.

Il mezz’elfo guardò i due finalisti uscire dai corridoi che conducevano alle due sale di preparazione. Guardò a sinistra, da dove era uscito lui pochi mesi prima quando, per la prima volta in tutta la storia nanica, un non-nano aveva partecipato al Guanto d’acciaio. Questa volta era invece Oghren ad uscirne. Indossava una splendente armatura fatta su misura proprio per quel duello, mentre fino al giorno prima aveva sempre combattuto solo armato di Narik. L’armatura era perfettamente lucidata, quasi interamente color grigio chiaro, quasi argentato, come era il mithril di miglior qualità, come l’ascia che stringeva nella destra e teneva appoggiata alla spalla; il lato sinistro dell’armatura, dalla clavicola al dorso della mano, era dipinto con fiamme rosso brillante. Orik aveva fatto forgiare per lui una copia identica dell’armatura che aveva un tempo posseduto quando era stato uno dei luogotenenti di Durin. Era un’armatura pesante e massiccia che non lasciava alcun punto scoperto ad eccezione del viso, da cui scendevano i suoi lunghi baffi intrecciati, ed era concepita per permettere un’articolazione perfettamente libera di entrambe le spalle. Ryfon lo guardò fermarsi ad una ventina di metri dalla tribuna nobiliare. Voltò la testa verso destra, vedendo Durin con in mano l’ascia donatagli da Orik e indossante una pesante armatura dipinta di nero. Ora sarebbe stato divertente vedere chi avrebbe vinto. Nessuno dei due aveva golem o granate varie: era tutta una questione delle loro abilità da berserker e con l’ascia.

Il gong suonò e questa volta Siirist usò una magia di terra per capire da dove stesse arrivando: il gong stesso era in un’altra stanza, ma i nani avevano usato la loro capacità di comunicazione attraverso la roccia per far emanare il suono del grande disco d’ottone. Quella era un’abilità molto peculiare, era quasi magia ma non lo era. Continuando a riflettere sul legame intrinseco tra nani e pietra, rielaborando mentalmente tutto ciò che aveva scoperto di recente sulla magia, ascoltando Rorix che ripassava le nuove parole della lingua dei draghi che aveva imparato quel giorno, pensando ad Alea e all’incontro che aveva avuto pochi mesi prima con Gilia, Siirist osservò come i due nani si lanciarono uno contro l’altro, avvolti nella loro intensa aura rossa. Chi sa se Oghren avrebbe usato la misteriosa aura arancione che gli aveva visto utilizzare nel loro incontro con gli sharlock.

 

Alla fine “Barba di fuoco” non aveva usato l’aura arancine, e gli sfidanti si erano menati per oltre due ore. Era stato un duello che quasi era pesato sullo stomaco del pubblico, almeno così era stato per il mezz’elfo. Dopo un inizio emozionante e avvincente, pieno di colpi poderosi e vere dimostrazione di forza e maestria con l’ascia, Durin superiore nella seconda, nessuno dei due era riuscito a imporre la propria superiorità sull’altro, perciò lo scontro si era prolungato fino al punto in cui i contendenti non erano quasi più in grado di alzare propriamente le proprie asce. Avevano le armature ammaccate e dentellate e l’ascia di Durin non era messa meglio. Narik, invece, rimaneva in ottima forma, e Siirist si chiese come fosse che un’arma non incantata potesse resistere così bene alla forza devastante dei colpi che dava e riceveva. Ma Durin rimaneva più abile di Oghren, per quanto questi fosse, anche se di poco, più dotato di forza bruta, e anche con un’arma inferiore, Dorrak aveva sempre mostrato di avere un minimo di vantaggio; solo non abbastanza per sconfiggere la tenacia dell’avversario.

I due erano in ginocchio, appoggiati alle rispettive asce e con il fiato pesante. Pareva che il torneo fosse destinato a non avere un vincitore, quando a Siirist venne un’idea.

«Ehi Oghren! Se vinci ti faccio vedere le tette di Sylgja!»

Ryfon non avrebbe mai saputo dire quale delle due facce era più memorabile, quella di Sylgja (indignata, furiosa, orripilata, disgustata) o quella di Oghren (sorpresa, estasiata, pervertita, soddisfatta).

«Ah, mi piace!» urlò felice.

«Scusa?! Io non sono stata interpellata! Io non sono stata interpellata!»

«E dai, è solo per movimentare un po’ questo duello che è diventato una gara di lumache. Molto probabilmente neanche riesce a rialzarsi, esausto com’è.» ridacchiò il biondo.

«Non mi interessa! Io non gli faccio vedere le tette!»

«Pensalo come un favore per me. Non ti ho mai chiesto niente per averti salvata da Stig, no?»

La ragazza fissò il Cavaliere con odio.

«Oghren, se vinci ti farò toccare una tetta.» pronunciò.

«Entrambe!» rispose il nano.

«Solo una.»

«Toccare e strizzare.»

«Solo toccare.»

«Toccare e spalmarci la faccia.»

«Solo toccare.»

«Toccare e sbavare.»

«Oghren...»

«Solo toccare.»

«Solo toccare.» confermò annuendo.

«Per un’ora.»

«Per un secondo.» rispose scandendo

«Venti minuti, entrambe le tette.»

«Trenta secondi, una tetta.»

«Quattro minuti, entrambe le tette, tre strizzate.»

«Un minuto, una tetta... una strizzata.» acconsentì.

«Affare fatto!»

«Ma! Se non vinci non voglio più sentirti fare battute, giochi di parole, allusioni, non voglio più vederti guardare, sbirciare o sbavare. E se lo fai, Siirist ti taglia il pene!»

«Per me va bene.» rispose Ryfon.

I suoi occhi elfici videro il volto del nano contrarsi in un’espressione di incerta repulsione. Infine acconsentì.

‹Qui la cosa si fa interessante.› ridacchiò Rorix.

‹Quasi me la sto facendo addosso per le risate, non so come stia facendo a rimanere serio.› concordò il Cavaliere.

‹Onestamente non riesco a capire cosa voi bipedi troviate di attraente nelle mammelle delle vostre femmine.

‹Eh... Tante cose.› rispose fantasticando.

«Oooooooohhhhhh!! Preparati, amico mio, stai per imparare cos’è il dolore in pieno stile Oghren!»

Durin fece quanto possibile per mettersi in posizione di difesa contro l’attacco dell’altro nano, ma non ne aveva più le forze, e, avvolto dalla sua aura arancione, “Barba di fuoco” caricò Dorrak, abbattendogli Narik nell’addome e lanciandolo via di una decina di metri. Siirist sorrise nel capire che l’aura arancione fosse la normale aura da berserker fusa all’energia del colore dell’armatura.

‹E bravo Oghren, sa sfruttare l’Ambizione.›

‹Questo qui mi piace. Rimane una pulce insignificante, ma ha carattere. Quell’altro è troppo serio. Puoi fare a cambio?› domandò Rorix.

Siirist rise e si gustò la faccia di Sylgja.

«Durin, te la farò pagare! Questa è tutta colpa tua!» accusò, rivolgendosi al mezz’elfo.

«Sei tu che hai accettato.» le ricordò.

 

Siirist ripensò a tutte le feste a cui era stato. Da giovane a Skingrad era stato solito far casino dopo una bella rapina, quasi sempre con Keira, ed era sempre stato il tipo di ubriaco che diventava felice ed esuberante. Anche troppo. A Vroengard con Gilia era spesso andato al villaggio alla taverna di Fralvia a bere, e più di una volta aveva esagerato, spesso riuscendo a ritornare alla Rocca solo con l’aiuto dell’amico che lo sorreggeva. A Kami no seki aveva avuto modo di vedere alcuni dei demoni ubriacarsi, e ogni volta che lo faceva Kenpachi, se ne usciva con una sfida a duello. Rivendell e villa Ilyrana non erano certo luoghi di baldoria, ma una volta il giovane Ryfon aveva addirittura bevuto mezza dozzina di bottiglie di mielassa assieme al suo antenato. Insomma, ovunque andava, Siirist aveva sempre bevuto e festeggiato, si era sempre divertito a farlo e preferiva poche cose ad una bella festa. Ma quello che aveva ora davanti era qualcosa di mai visto prima. Oghren. In quanto re ancora in carica, Glorgur aveva ridato al vincitore del torneo il suo onore ed il suo posto nella casta dei guerrieri. Aveva riottenuto il suo nome di famiglia, Kondrat, la residenza che aveva avuto prima di perdere tutto dieci anni prima (che era stata data a Thjyr, ma egli, disonorato e imbarazzato, ne era stato cacciato) e un gran quantitativo di denaro, sia dalla vincita del torneo, sia dalla famiglia di Thjyr. E per Obras se “Barba di fuoco” ne era felice. Urlava, beveva, rideva, ruttava, mangiava, sbraitava, trincava, toccava ogni donna che gli passasse vicino, faceva battute sconsiderate, ruttava ancora e ancora divorava ciò che aveva nel piatto e in entrambe le mani. In un modo o nell’altro riusciva a giostrare un coscio di bronto, uno spiedino di nug in salsa piccante, un bicchiere di birra e un ciocco di pane in una sola mano. E nell’altra aveva altrettante cose. Siirist l’aveva capito da subito: quel nano sì che sapeva come divertirsi. Aveva incontrato poche altre persone come lui, una di queste Kenpachi. Certo, entrambi avevano due idee differenti di che cosa fosse il divertimento, ma entrambi sapevano bene cosa fosse che li rendeva veramente felici. Il mezz’elfo li invidiava. Un tempo i furti gli avevano fatto lo stesso effetto, ma ora quasi si sentiva vuoto. Nemmeno la compagnia di Alea lo estasiava tanto; il peso delle sue responsabilità lo stava distruggendo.

Sorrise nel bere il suo boccale di birra, ancora concentrato a guardare Kondrat che festeggiava. Se fosse veramente felice di aver riottenuto il suo onore, Siirist non lo poteva sapere. Forse era solo felice di poter mangiare e bere a sazietà alle spese di qualcun altro. Forse era felice di poter toccare una tetta a Sylgja. Forse era felice di aver sconfitto Durin. Ma di sicuro non era felice per i soldi: non era il tipo interessato alle ricchezze.

Siirist e Sylgja furono raggiunti da un Durin completamente privo di barba.

«Non credevo ti dovessi radere, quel torneo non era un duello d’onore come il Guanto d’acciaio.»

«No, è stato un gesto personale per aver perso contro quell’individuo lì a capotavola.» rispose con tono forzatamente calmo.

Ryfon lo poteva capire. Effettivamente per il miglior guerriero dei Beor perdere contro un maiale del genere doveva essere un grande affronto.

«Siete alla pari, tu sei anche più bravo. Oghren è solo un pervertito che è riuscito a far valere la sua ultima briciola di forza rimasta grazie a questo stronzo.» rispose Orla indicando il mezz’elfo.

«Non è solo quello. Quell’aura arancione... Era qualcosa che non ho mai visto in vita mia.»

«Sono sicuro anche tu possiedi la capacità innata di sprigionarla, la devi solo risvegliare.» gli disse il Cavaliere.

«Sai di cosa si tratta?»

Siirist annuì.

Smisero di parlare quando le urla di Oghren si fecero troppo forti per poter conversare in maniera accettabile.

 

«Injros, Ashemmi, è un onore accogliervi qui. Stiamo preparando l’accampamento per renderlo più adatto al vostro rango.» disse Fhociin in un accenno di un inchino.

«Capitano, non siamo qui per stare comodi, siamo qui per catturare il Cavaliere d’Inferno traditore. Anziché preoccuparvi di preparare un accampamento “adatto”, informateci sulla situazione.» rispose Ashemmi.

Ah, la solita gentilezza dell’elfa era sempre piacevole. Sarebbe stato un vero spasso averla in mezzo ai piedi; tutto d’un tratto Adrienne odiò anche di più suo fratello che se ne stava felice a Vroengard. La sua unica consolazione era che, almeno, era arrivato l’inverno, perciò anche sull’isola dei Cavalieri faceva freddo. Guardò con velato disdegno il suo capitano che accompagnava i due membri del Consiglio nella tenda delle riunioni. Gilia se ne era andato da dove era venuto, senza che il Consiglio scoprisse dell’ingresso diretto a Mzinchaleft; ora c’era da vedere come avrebbe fatto Siirist a lasciare i Beor. Conoscendo quella testa calda, avrebbe fatto qualcosa di stupido. Sperava solo di sbagliarsi, e che il collega tenesse a mente gli insegnamenti che la Volpe Grigia in persona gli aveva impartito trentasette anni prima a Skingrad.

 

 

 

~

 

 

Chi sa da dove ho tratto il battibecco tra Sylgja e Oghren a proposito del toccarle/vederle le tette ha tutta la mia stima!

Il prossimo capitolo si intitola ADDIO AI MONTI. È ora per Siirist di lasciare i Beor, ma ad accoglierlo fuori da Orzammar ci sono Ashemmi e Injros. Cosa avrà la meglio, la potenza devastante del Cavaliere d’Inferno o l’esperienza degli Anziani?

Ritorna all'indice


Capitolo 77
*** ADDIO AI MONTI ***


ADDIO AI MONTI

 

«Oghren, vedi di non fare cazzate, oggi deve andare tutto bene, siamo intesi? Ho preparato tutti gli incantesimi su cui avevo da lavorare, è ora che me ne vada, quindi non.fare.cazzate.» lo avvisò Siirist.

«Ho capito, ho capito, non c’è bisogno di ripeterlo tutte queste volte! Non sono stupido!»

«No?» chiese Durin.

«Tu stai zitto, barbetta da bambino o ti do un altro assaggio della mia aura arancione!»

«Ma sentiti, nemmeno sai quale potere sia alla base dell’aura arancione!»

«E tu vorresti dirmi che lo sai?»

Dorrak annuì e indicò Ryfon.

«Me l’ha spiegato lui.»

«Eh?» grugnì Oghren.

«Fate silenzio.» li zittì il mezz’elfo.

Era il primo agosto. Più di un anno era passato da quando lui e Sylgja erano arrivati a Tronjheim. Avevano trovato i tre tesori perduti, aveva aiutato a ripulire i primi dieci livelli delle Vie Profonde, aveva sviluppato la materializzazione di tutti gli elementi, aveva sviluppato la sua quarta arte demoniaca, l’arte della Tenebra, che univa il suo potere tenebroso all’elemento oscuro, aveva fatto evolvere il suo famiglio, arrivando a generare due leoni contemporaneamente e in diverse forme, aveva affinato la sua tecnica di spada, sviluppando diversi stili che, in un modo o nell’altro, fondessero Djem-so, stile della Volpe, Makashi, Soresu, kenjutsu e le diverse applicazioni del Juyo. Ogni stile era legato ad un diverso riequipaggiamento, ora gli mancava solo di avere tutti i riequipaggiamenti di cui necessitava. Chi sa quanti ne avevano preparati i suoi tre fabbri preferiti in quel lasso di tempo? E finalmente era giunto il momento di lasciarsi i Beor alle spalle. Durin aveva riacquistato il suo onore, dunque non era più legato a servire Siirist, ma aveva deciso di accompagnarlo in ogni caso perché voleva vedere il mondo esterno e perché era preoccupato per il suo popolo con la Setta dello Scorpione in circolazione; Oghren pure aveva affermato di voler andare con loro, perché l’idea delle avventure che avrebbe trascorso in compagnia del Cavaliere d’Inferno lo intrigavano. E anche il sapere che avrebbe visto altre donne dalle gambe lunghe non gli dispiaceva. Sylgja ancora si grattava incessantemente il seno sinistro, come se il nano le avesse trasmesso qualche infezione. Non aveva parlato a Siirist per due giorni quando aveva saputo che aveva accettato di portarsi dietro Kondrat.

«Tutti in piedi!» pronunciò un sacerdote.

L’ingresso al tempio dedicato a Titano era opposto alla strada a chiocciola che percorreva tutto il cilindro di Tronjheim, nel punto a est, come il palazzo reale era a nord e l’arena era a sud. Tutta la nobiltà era riunita, e non solo i capi-clan, tutti gli appartenenti ai tredici clan riempivano il salone del tempio, assieme agli appartenenti alla casta dei guerrieri e ai minatori, sacri al dio protettore dei nani. Gli altri nani erano tutti fuori ad attendere la conclusione della cerimonia. Siirist si guardò intorno, quasi compiaciuto di se stesso: era stato il primo non-nano a partecipare al Guanto d’acciaio, ora era uno dei primi due non-nani ad assistere all’incoronazione di un re della pietra.

Tutto il tempio era decorato con drappi marroni e argentati e drappi celesti e argentati: i primi i colori di Titano, perennemente presenti, i secondi i colori Alftand, appesi solo per l’occasione. Ryfon guardò verso il fondo del tempio, dove si trovava un trono trasportabile di marmo nero: non sarebbe voluto essere al posto dei nani incaricati di reggerlo, come minimo pesava una tonnellata.

A seguire l’annuncio del sacerdote vestito di marrone e tessuto d’argento, entrò Orik. Indossava i suoi abiti più eleganti, alla vita un’ascia ad una mano finemente intarsiata, ma sempre in stile nanico, niente di elegante come le opere elfiche. L’unica novità che il mezz’elfo vide fu che il bordo della lama era ricurvo, e non dritto come era costume. Il capo Alftand andò ad inginocchiarsi ad un altare di marmo nero che si trovava tra il trono sul trasportino ed il pubblico. Rivolse la schiena alla gente che era lì ad onorare la sua ascesa al trono. Sull’altare, sopra ad un lenzuolo dei colori di Titano, vi erano una statuetta di marmo nero che rappresentava un imponente uomo inginocchiato con il gomito destro appoggiato al ginocchio corrispondente e la fronte appoggiata al pugno, l’effige del dio della terra, un grande calice d’argento decorato con gemme di ogni colore e Volund, la grande arma del re della pietra. Quando il nano ebbe finito di pregare, si alzò e si rivolse a quelli che sarebbero presto stati i suoi sudditi.

«Orik del clan Alftand. Sei qui perché i tredici clan ti hanno votato come 1004esimo re della pietra. Hai superato il giudizio dei figli della pietra; sei pronto a superare quello del Padre?» disse quello che doveva essere il sommo sacerdote.

«Sì.»

Il capo dell’ordine sacerdotale dedicato a Titano annuì con espressione seria. Alzò una mano e, per la somma sorpresa di Siirist, dal pavimento di pietra del tempio si erse una piccola colonna che cambiò consistenza, diventando di marmo nero. No, non era possibile, i nani non erano capaci di usare la magia.

«Che cosa offri in dono al nostro sommo Padre?»

«Questa collana. La catena è di oro rosso e la gemma è un raro rubino rosa. Mi fu regalata da mio padre quando finii il mio primo secolo di vita.»

Dal pubblico si alzò un vociare di approvazione. Ryfon corrugò la fronte, osservando attentamente lo svolgersi degli eventi. Orik si tolse la collana dal collo, la passò al sacerdote che la mise nella bacinella che si era formata nella colonnina di marmo nero. La collana fu assorbita dal marmo nero e la bacinella si riempì d’acqua che parve essere creata proprio dal marmo.

‹Che accidenti...?›

«Il sommo Titano, Padre della pietra, protettore delle montagne, accetta il tuo dono, Orik del clan Alftand. Ora gioisci nella sua benedizione.»

Il sacerdote prese il calice dall’altare, lo riempì con l’acqua nella bacinella e lo mise nelle mani del nobile. Questi bevve in un sorso e riconsegnò il calice al sacerdote. Si girò verso l’altare, afferrò Volund con entrambe le mani e abbatté la parte di mazza sulla colonnina di marmo nero, sbriciolandola. Il marmo ritornò ad essere la normale pietra dei Beor che fu riassorbita nel pavimento.

‹È impossibile.›

‹A meno che non ci sia davvero Titano di mezzo.› suggerì Rorix.

‹Gli dei non si occupano delle faccende dei mortali.›

‹Vuoi dirmi che non hai sentito niente nella Forgia infernale?›

Era possibile? Poteva davvero essere che Agar hyanda e le sue altre due spade fossero state forgiate all’interno del potere di Obras stesso? E ora Titano si stesse manifestando per benedire il re del suo popolo eletto?

«Figli della pietra! Inchinatevi di fronte al vostro re, benedetto dal nostro sommo Padre!» esclamò il sacerdote.

Tutti i presenti nel tempio fecero come detto, ad eccezione di Siirist e Sylgja.

«Dovremmo inchinarci anche noi?» chiese la ragazza.

«Io mi inchino solo a Obras, Titano è un dio inferiore.»

«Sicuro sia il caso di dire qualcosa di simile qui, nella sua casa?» disse agitata.

«Se ha qualcosa in contrario si faccia pure avanti. Il fuoco nero è superiore al suo marmo.» rispose con tutta la tranquillità del mondo.

«Adesso stai esagerando con le bestemmie.» lo avvisò.

«Che importa a te? Sei una figlia di Fujin, non devi niente a Titano.»

«No, ma rimane comunque un dio, e questo significa che gli dobbiamo un po’ di rispetto.»

«Ho incontrato il diavolo, sono il successore di Obras e ho conquistato sette Esper su dieci, inclusa l’emanazione di Titano. So più del mondo divino di te, quindi non mi fare la predica. Però hai ragione, offendere un dio nella sua casa è irrispettoso, non importa a quale divinità apparteniamo.»

Orik prese posto sul trono trasportabile, Volund appoggiata sulle cosce, e il sacerdote gli mise la corona sul capo tra le esclamazioni di gioia dei nani presenti. Quando il sacerdote ebbe finito il suo rito, si allontanò, ed alcuni servitori Alftand si avvicinarono al loro nuovo re portando molti oggetti. Uno di essi chiamò Glorgur. Il re deposto si avvicinò al suo successore e si inchinò; il servitore che l’aveva chiamato gli donò qualche collana preziosa, alcuni anelli e bracciali e una mazza ad una mano del mithril di miglior qualità. Anche gli altri undici capi-clan vennero chiamati al cospetto del loro sovrano e ricevettero dei doni, ma molti meno di quelli che aveva avuto Glorgur. Poi, per la sorpresa generale, Orik stesso chiamò a sé Siirist. Il Cavaliere fece come chiesto e si avvicinò, ma non si inchinò.

«In quanto Cavaliere dei draghi, io non mi inchino ad alcuna autorità ad eccezione del Consiglio degli Anziani. E ultimamente non sono stato molto rispettoso nemmeno nei loro confronti, a dire il vero, perciò capirete la mia assenza di prostrazione.»

«Naturalmente. Cavaliere d’Inferno, voi siete un amico, il mio campione ed un membro adottivo del mio clan, non mi sognerei mai di esigere un inchino da parte vostra. Invece voglio dirvi che vi ho proclamato mio fratello.»

«Sono onorato, vostra durezza.» rispose con un sorriso ed un leggero accenno di inchino con il capo.

«Come segno della mia gratitudine per tutto quello che avete fatto per me e per tutto il popolo dei nani, e come segno di affetto da un fratello ad un altro, vi voglio donare questo martello.»

Un servitore passò l’arma al re, che la mostrò al suo campione. Era un piccolo martello da guerra, con l’impugnatura appena grande abbastanza per essere afferrata da una mano del mezz’elfo. La parte contundente aveva una forma rettangolare, con solo la faccia superiore della figura che non era allineata; invece al centro era più rialzata che ai bordi. Era finemente decorato, in una maniera che non aveva mai visto nelle creazioni naniche.

«So che agli elfi piace decorare le proprie armi, dico bene? Le scritte riportano una delle storie del mio clan, in cui un mio antenato e cento dei guerrieri giurati al suo servizio combatterono contro un drago terrestre che aveva fatto il suo nido nelle vicinanze di Alftand. È una storia interessante. Se riuscite a leggere le iscrizioni, sono sicuro vi piacerà.»

«È un regalo splendido che custodirò con cura. Grazie, Orik.»

«Non è tutto.»

«Ancora? Non dovevate.»

Un altro dei servitori mostrò una spada ad una mano con la lama lunga novanta centimetri, priva di guardia. Il fodero era di mithril avvolto in seta nera e dorata, con un diamante nero incastonato sotto all’elsa. Essa era di marmo nero, un diamante nero incastonato nel pomolo, l’impugnatura avvolta in fasci intrecciati di seta nera e dorata, come il fodero, il piccolo anello che separava l’impugnatura dalla lama rivestito d’oro. Orik la sguainò. La lama, come il mezz’elfo aveva supposto, era di marmo nero. L’intera spada era un blocco unico dell’indistruttibile marmo; il nuovo sovrano aveva messo subito a frutto la riscoperta del segreto della sua lavorazione.

«È splendida.»

«Sono felice vi piaccia, Siirist.»

Si strinsero la mano e si diedero un breve abbraccio per poi staccarsi. Orik aveva dei regali pronti anche per Durin, Oghren e Sylgja, gli altri tre eroi che avevano trovato i tesori perduti e sconfitto le orde di knurlock. La ragazza resistette a fatica dal saltellare quando il re le mise una collana interamente fatta di diamanti azzurri tagliati a rassomigliare dei boccioli di rosa attorno al collo; Oghren ottenne un otre della pelle di miglior qualità, intarsiata con borchie di oro nero; a Durin fu donata un’ascia di marmo nero, bipenne e a due mani, con le due lame dalla forma ricurva, i fili che ricordavano una falce di luna. L’impugnatura era in mithril e rivestita di seta rossa. Era bello come Orik avesse pensato ai colori dei Dorrak.

 

Usando la creazione di vento, Siirist aveva dato forma ad una montagna di vestiti per sé e Sylgja: moda del deserto, moda della Città delle Macchine, abiti tipici dei piccoli villaggi di Junon e Spira, tuniche elfiche, e scarpe e stivali da abbinarci. Stiparono il tutto in tre borsoni ciascuno e si prepararono a lasciare la piccola abitazione che il mago aveva generato nel lato della montagna, dopo averla sigillata per bene e averla resa un luogo sicuro per la dislocazione. Scesero la lunga strada tortuosa che li riconduceva al livello più alto di Tronjheim, dove li attendevano già Durin e Oghren. Entrambi erano armati e portavano una sacca ciascuno.

«Spero ci siano anche dei vestiti lì dentro, e non solo le tue scorte di birra.» disse Ryfon a Oghren.

«Hehe, ci sono anche vestiti, sì.»

Il mezz’elfo scosse il capo e si mise in testa alla comitiva che camminò attorno al bordo del cilindro, raggiungendo la galleria che portava alla città-cancello. Essa era piena di nani, guerrieri che si stavano radunando a Orzammar, altri abitanti che trasportavano le provviste di cui l’esercito avrebbe avuto bisogno. Un contingente di duemila soldati sarebbe rimasto ai Beor per tenere d’occhio le Vie Profonde e fare la guardia alle quattro città vive. Siirist e i suoi si accodarono all’orda di nani e in due giorni raggiunsero la fine della galleria. Incontrarono Orik nel palazzo reale di Orzammar e con lui cenarono abbondantemente.

«Vedo che non perdete tempo. Una settimana che siete re, e già preparate il vostro esercito a marciare verso Arcadia.»

«È bene farlo prima che cada l’inverno. Con i nostri numeri e tutti i carri da trasporto, è stato stimato che impiegheremo circa due mesi per raggiungere Balfonheim. La mappa che ci avete disegnato è corretta, giusto?»

«Lo è. Noi quattro raggiungeremo Balfonheim molto prima di voi; farò in modo che tutto sia pronto per il vostro arrivo e che possiate procedere subito verso Arcadia.»

«E come farete a contattare l’Imperatore Septim?»

«Dirò ai Cavalieri qui fuori di farlo.» sorrise.

«Sicuro sia saggio per voi mostrarvi a loro?»

«Come se potessero niente contro di me. Li trasformerò tutti in statue di ghiaccio, lasciandone solo due, se necessario: il loro compito sarà di andare a Vroengard ad avvisare il Consiglio e di andare ad Arcadia ad avvisare l’Imperatore. Poi dopo un giorno o due l’incantesimo di ghiaccio si scioglierà, liberando gli altri. Non voglio certo uccidere i miei compagni Cavalieri!»

«D’accordo. Spero solo che i villaggi umani non si preoccupino a vederci marciare lungo il deserto.»

«Effettivamente potrebbe essere un problema. Vi farò accompagnare da qualche Cavaliere umano e i loro draghi.»

«Non sarà divertente convincere i miei guerrieri a marciare accanto a loro.»

«Non mi sembra ci siano problemi con me.»

«No, perché il vostro drago non è presente. Per quanto il mio popolo sa che siete un Cavaliere, non vi vede come tale. Con i Cavalieri appostati fuori dai cancelli sarà diverso.»

«Immagino. Beh, confido in voi, sono sicuro sarete in grado di convincere la vostra gente senza problemi. Ora, se non vi dispiace, andremmo a dormire. Domani ci aspetta un lungo viaggio e io e Sylgja non siamo nani, siamo stanchi dopo aver percorso la lunga galleria da Tronjheim.»

«Parole sagge, Cavaliere d’Inferno.»

 

Alle sei di mattina, Siirist era già sveglio. Fece una rapida colazione con uova strapazzate di non voleva sapere che genere di animale e salsicce di nug. Si fece un bagno e alle sette si incontrò con Sylgja, Durin, Oghren, Orik e quattro guardie personali del re. Uscirono dal palazzo e raggiunsero il balcone che dava su tutta Orzammar. I duecentomila soldati erano tutti organizzati in file e squadroni e guardavano verso il balcone, attendendo le parole del loro sovrano. Orik si fece avanti e l’esercito esultò, battendo le loro armi contro i loro scudi o contro il pavimento di roccia. Si azzittirono all’unisono dopo pochi secondi, vedendo il nobile Alftand alzare le braccia.

«Siamo stati nascosti nelle nostre montagne per troppo tempo! I popoli della superficie hanno incominciato a dimenticarci! Solo i nostri fratelli che si sono uniti alla spregevole Setta dello Scorpione hanno ricordato alle altre razze di noi, ma, così facendo, ci hanno disonorati! Fratelli e sorelle, figli dei Beor, seguitemi in superficie, marciate con me per riportare onore al nome dei nani, onore al sommo Titano! Che la terra tremi sotto le nostre legioni, che i nemici di Tamriel pure tremino di paura alla vista del nostro grande esercito! Sollevate le vostre asce, sbattete i vostri martelli! Oggi i nani ritornano in superficie, oggi i nani ritornano nella vita di Tamriel, oggi i nani vanno in guerra!»

I guerrieri scoppiarono in grida di battaglia, grida di esultanza verso il loro re, verso la loro vittoria contro gli Scorpioni e grida di onore a tutto il popolo dei Beor. Si misero in marcia, incominciando a salire verso il balcone.

«Ci vorranno almeno dieci minuti prima che il primo gruppo riesca a salire. Spero sia sufficiente per parlare con i Cavalieri.»

«Certo. E per quanto riguarda i Guanti di Luce?»

«I vostri incantesimi hanno rinforzato enormemente la sala del tesoro e impediranno a chiunque di entrarvi senza essere scoperti. Ci saranno sempre due guardie davanti alle porte di marmo nero e due alla porta nella sala del trono. Proteggeranno i Guanti con la loro vita. Dite che la Setta riuscirà a prenderli comunque, io dico che se riusciamo ad impedirglielo è solo un bene per noi.»

«Indubbiamente. Ci vediamo ad Arcadia tra qualche anno.»

«Sono impaziente di conoscere il vostro drago.»

Si abbracciarono ancora, poi Ryfon si incamminò verso i grandi cancelli che separavano le profondità dei Beor dal mondo esterno; era estate, sì, ma fuori Orzammar era sempre freddo e innevato, perciò il mezz’elfo aveva addosso un lungo e pesante mantello da viaggio: il cappuccio era abbassato, però, i Cavalieri dovevano riconoscerlo. I due nani rimasero momentaneamente storditi dalla luce del sole e dallo spazio sconfinato che era il cielo. Quasi caddero a terra. Siirist li vide guardare verso l’alto con uno sguardo quasi timoroso, come se pensassero che quell’infinità azzurra li volesse risucchiare. Sarebbe stato divertente vederli sotto al cielo notturno, magari in una notte senza stelle. Durin fu il primo a smettere di fissare la volta celeste e accorgersi dei giganteschi rettili alati che erano appollaiati lungo le pareti rocciose che delimitavano lo spiazzo, ognuno con un bipede seduto sulla sella; otto erano davanti a loro, in mezzo alla neve, i Cavalieri in piedi di fronte a loro, alle loro spalle altri appartenenti alle tre brigate stanziate a Orzammar, chi già in groppa al proprio drago, pronti a spiccare il volo, chi in piedi. Onestamente il mezz’elfo non riuscì a capire come i nani avessero fatto a non notare prima la presenza dei draghi. Vedere il cielo era così impressionante? Sylgja, invece, li aveva notati subito, e aveva stretto il braccio di Siirist.

«Quelli devono essere draghi. Sono... notevoli.» mormorò Dorrak.

Ryfon sorrise. A sinistra dello spiazzo erano parcheggiate tutte le automobili dei visitatori di Orzammar e anche qualche modello più piccolo di aeronave. A destra vi era l’accampamento dei Cavalieri e, certo, erano tutti fuori pronti a tagliare ogni via di fuga a Siirist e compagni. Gli otto davanti a loro erano i sei capitani e vice-capitani, non qualcosa che Siirist non si fosse aspettato, assieme a due aggiunte inaspettate (che comunque aveva predetto, per quanto lo avesse fatto in tono scherzoso): Injros e Ashemmi.

«Wow, due membri del Consiglio si sono scomodati per venire in mezzo a queste gelide montagne! E solo per me! Sono onorato. Mi perdonerete se parlo la lingua dei nani, ma i miei qui presenti amici non parlano la lingua degli elfi. Ma torniamo a noi: che posso fare per voi, o saggi Consiglieri?»

«Smetti questa farsa, Cavaliere d’Inferno, e arrenditi e vieni con noi a Vroengard per essere giustiziato. La tua unica alternativa è combattere.» rispose Ashemmi.

«Eh no, questa è pura maleducazione! Ho detto che i miei compagni non parlano la lingua degli elfi. Non che abbiate detto niente di importante, chiaro. Sentite, dentro a Orzammar si sta radunando l’esercito dei nani, pronto a marciare ad Arcadia per unirsi all’alleanza contro gli Scorpioni. Ora non dite che non sono fico per essere riuscito a riportare i nani in superficie!» fece l’occhiolino con aria ammiccante.

I Cavalieri incominciarono a mormorare, ma Ashemmi rimaneva irremovibile.

«Non ci interessa. Vieni con noi o preparati a combattere.»

«Sei proprio stupida, eh? Che, la vecchiaia ti ha rincoglionita? Non sono io il nemico, lo è la Setta dello Scorpione! Serve che qualche Cavaliere accompagni i nani a Balfonheim, dove dovranno prendere una nave per Arcadia. Altri Cavalieri dovranno andare lì direttamente per avvisare l’Imperatore Septim e voi due membri del Consiglio, visto che siete qui, ritornatevene a Vroengard per dirlo agli altri otto. Ups, volevo dire sette.» sorrise bastardo.

«Ragazzino impudente! Sei stato avvisato: resisti alla cattura, perciò sarai giustiziato sul posto.» disse sguainando la spada.

Siirist sbuffò e si massaggiò le tempie. Possibile che potesse essere così deficiente quella donna? Alzò il braccio destro e aprì trentadue portali per Oblivion di livello dell’aquila, ognuno di colore diverso a seconda dell’arma che ne uscì: spade e lance di diverse forma e grandezza, tutte di Adamantio, ognuna puntata ad un Cavaliere. Questi osservarono con incredula meraviglia l’invocazione istantanea di oggetti inanimati eseguita dal Cavaliere d’Inferno.

«Allora è vero, Eimir ti ha passato i suoi segreti!» esclamò Injros.

«Complimenti per la perspicacia. Ora date bene ascolto a quello che dico, o non finirete bene.» minacciò Ryfon, il tono scherzoso sostituito da una calma furia.

Nessuno dei Cavalieri rispose bene alla minaccia: c’era chi si arrabbiò, chi si indignò, chi si spaventò, ma tutti misero mano alle armi. Non si poteva dire lo stesso dei draghi: nessuno di loro emanava spirito combattivo, erano totalmente disinteressati a combattere, la dragonessa dorata e quella grigio pallido dei Consiglieri incluse. Erano senza dubbio esseri superiori, consci che le ragioni dei loro Cavalieri erano stupide. Siirist notò gli occhi della dragonessa dorata di Injros guizzare da tutte le parti.

«Dov’è Vulcano?» domandò l’Anziano.

«Ti piacerebbe saperlo, eh?»

L’elfo sguainò la sua spada che assunse l’aspetto di un corno dalla forma elaborata. Durin e Oghren impugnarono le loro asce e Sylgja si nascose dietro il mezz’elfo. I cancelli di Orzammar si aprirono e ne uscirono Orik e una dozzina di soldati.

«Cosa sta succedendo qui? Le mie guardie mi dicono che i Cavalieri hanno detto loro di entrare perché avevano delle questioni di cui occuparsi. Io dico che queste montagne appartengono al popolo della pietra, quindi esigo sapere che cosa state combinando. Siate avvisati, dentro a Orzammar ci sono duecentomila dei miei soldati pronti a marciare.» disse il re della pietra.

«Siamo spiacenti di avervi arrecato disturbo, maestà, ma questa è una faccenda privata dell’Ordine dei Cavalieri dei draghi. Non vi conviene minacciarci, piuttosto sarebbe meglio che tornaste dentro a giocare con i vostri sassi.» rispose Ashemmi.

«Chi è quella donna, Cavaliere d’Inferno?» chiese Alftand difficilmente mantenendo la calma.

«Una stronza repressa che ha bisogno di assaggiare la mia spada.» disse ironico Oghren.

«Tecnicamente il mio capo. Lei e l’altro imbecille che le sta accanto sono due dei dieci Anziani del Consiglio. Quattro sono delle persone incredibili, ma gli altri sei sono dei veri cretini, questi due inclusi.» indicò, ignorando completamente la battuta erotica di “Barba di fuoco”.

Ashemmi diede una rapida occhiata alle trentadue armi invocate prima di riconcentrare il suo sguardo velenoso sul traditore, ma gli occhi attenti del ladro colsero l’indecisione nello sguardo dell’elfa finché era presa di mira dalla lunga lancia nera e verde con la lama dalla punta fine e penetrante dal colore argentato.

«Spero voi riusciate a risolvere questa situazione, Siirist. Siete mio fratello, non vorrei che si venga a creare una situazione spiacevole tra noi dopo tutti gli sforzi che abbiamo fatto per convincere il mio popolo a ritornare in superficie.»

«Certo che no, vostra durezza. Ritornate pure dentro a Orzammar, ci pensiamo noi qui fuori.»

Orik annuì e squadrò i Cavalieri prima di sparire dietro i grandi cancelli di mithril.

«Fratello?» domandò Ashemmi.

«Sono un membro onorario del clan Alftand, campione e fratello di re Orik.» spiegò con un sorriso soddisfatto, conoscendo bene le implicazioni della sua nuova posizione.

E lo sguardo che vide negli occhi di entrambi i Consiglieri lo riempì di una soddisfazione unica. Cambiò idea sul da farsi. Abbassò il braccio e tutte le armi invocate ritornarono a Oblivion. Vide la vice della seconda brigata guardarlo con aria stupita. Il mezz’elfo si tolse la cintura che teneva alla vita che reggeva la spada di marmo nero ed il mantello e li passò a Sylgja, per poi dirle di entrare a Orzammar. Fece qualche passo in avanti, seguito da Durin e Oghren.

«Volete combattere? Combattiamo. Voi sotto al livello di vice-capitano, vi sconsiglio di anche solo pensare di attaccarmi. Invece potreste trovare che i miei amici sono delle ottime forme di intrattenimento. Spiriti della terra, rinforzate i corpi di questi figli della pietra.»

I Serafini che abitavano le montagne dei Beor si concentrarono all’evocazione di Ryfon; si unirono ai nani in un modo insolito, come se fossero in risonanza con loro.

«Ehi, che ci hai fatto?» si allarmò Kondrat sentendosi diverso.

«Vi ho rafforzati usando una stregoneria. Ora potreste pure affrontare un drago terrestre. Ma i draghi alati sono tutt’altra faccenda, state felici che non sono nostri nemici.»

«Pare che i Cavalieri lo siano; credevo che ci fosse un legame di fedeltà tra drago e Cavaliere.» obiettò Durin.

«È vero, come è vero che i draghi sono esseri di intelletto superiore a noi bipedi. Se vi contenete e non cercate di uccidere i loro Cavalieri, i draghi non vi attaccheranno. Ma per il momento sanno che ciò che quei due imbecilli del Consiglio vogliono è sbagliato e che io ho ragione, quindi ne resteranno fuori.» spiegò, ispezionando gli sguardi di tutti i rettili.

Ashemmi aveva un’espressione furiosa, mentre la sua dragonessa sembrava spazientita. Suppose stessero litigando perché quest’ultima non voleva assistere la prima.

«Dico bene, Ashemmi?» provocò Ryfon.

L’elfa stava per lanciarsi in un attacco ma fu fermata da Injros. Le disse qualcosa mentalmente, Siirist sentì le loro frequenze mentali trasmettere qualcosa, ma non era sufficientemente abile per penetrare le loro barriere. Forse in stato di calma assoluta. Vi entrò e stava per cercare di penetrare la coscienza di Ashemmi, ma fu distratto dall’altro Consigliere che gli si lanciò contro. Uscì dallo stato di calma assoluta e sorrise, il suo sangue demoniaco che ribolliva. Equipaggiò istantaneamente l’armatura del Guerriero mentre eseguiva un passo laterale che evitò la spada di Injros, nella sinistra la sua spada nera, nella destra l’ascia legata al riequipaggiamento. Era complessivamente lunga quaranta centimetri, aveva una punta nella parte opposta alla lama dalla forma ricurva, il filo che formava una sorta di S con la metà inferiore meno lunga e ondulata della superiore. Anche essa era nera, il disegno argentato di un’ala piumata al suo interno, su entrambi i lati; l’asta era nera con una decorazione argentata a spirale lungo essa, l’impugnatura era ricoperta da fasci di seta argentata intrecciati a seta nera.

Siirist quasi danzò oltre Fhociin, evitando il suo affondo; lo colpì con una gomitata alla nuca, tramortendolo. Khiiral seguì istantaneamente con un tondo dritto; Ryfon lo evitò abbassandosi e roteando su se stesso, la gamba sinistra estesa in una spazzata, sollevando il capitano della terza brigata da terra e liberandosi di lui con un calcio laterale una volta rialzatosi, che lo mandò contro il lato della montagna. Iimbril menò un fendente, parato prima dalla spada di Adamantite, poi il mezz’elfo agganciò la sua spada di Cristallo con l’ascia nello spazio tra la lama e l’asta e la strappò via dalle mani del quarto capitano; il mezz’elfo lo colpì in faccia con il pomolo della spada. La sua ascia scomparve e afferrò al volo la spada di Cristallo rivestita di argento color blu notte. La alzò e la rivolse dietro di sé, puntandola alla gola di Khilseith, il terzo vice-capitano, che aveva fatto l’errore di avvicinarsi troppo a lui con le armi in mano, mentre usava un incantesimo di acqua incanalato attraverso la spada di Adamantite per solidificare la neve ai suoi piedi e trasformarla in due grossi blocchi di ghiaccio che lanciò contro gli altri due vice, tramortendoli.

In tutto questo aveva percepito il Flusso vibrare all’interno di Ashemmi e ne sentì la voce sollevarsi in un canto che ispirava forza, coraggio e tenacia. Injros era balzato in alto, la sua spada avvolta da fulmini azzurri. Non aveva un legame con il Flusso esagerato come Aulauthar, Syrius o Adamar, perciò il potere necessario per un incantesimo così potente doveva venire dagli amplificatori sulla spada e sul suo anello. Ma non solo, doveva avervi inserito anche molta della sua energia. Lanciò la bomba elettrica addosso al mezzo demone che, gli occhi rossi, si fece colpire senza muovere un muscolo. Nello stesso momento vide i due nani, avvolti nella loro aura rossa, combattere furiosamente contro i Cavalieri. Tutti i draghi osservavano attentamente, annoiati.

Fulmini rubini avvolsero la lama nera di Adamantite che il mezz’elfo mosse in un montante diretto ad Ashemmi.

«Sentiero scintillante.»

Sul terreno si tracciò un lampo rosso che giunse ai piedi dell’elfa, liberando una forte esplosione elettrica che la fece volare. Quella spada aveva eliminato con facilità un drago terrestre: una gracile elfa con addosso un’armatura di Cristallo non avrebbe resistito molto, gli incantamenti dell’armatura avrebbero presto ceduto. Injros di nuovo fu addosso al traditore, cercando di trapassargli il petto con il suo corno dorato. Ryfon usò la spada di Cristallo blu notte sottratta al quarto capitano per deviare l’attacco del Consigliere, mandando il corno verso il terreno innevato, e subito mosse la spada di Adamantite che gli tagliò di netto la gamba sinistra come se l’elfo fosse stato privo di armatura. Roteò su se stesso e alzò la gamba destra, calciando in faccia Injros che stava cadendo, buttandolo in mezzo al candido manto che ricopriva la roccia dei Beor. Sorrise nel vedere Durin abilmente disarmare un Cavaliere e colpirlo in faccia con il piatto dell’ascia; Oghren era un po’ più violento, arrivando ad affondare Narik nel piede di uno dei suoi avversari e poi tramortirlo con il dietro della sua arma.

«Sentiero scintillante.» disse ancora Siirist, tracciando il fulmine rosso con un montante mentre si girava.

Esso prese di mira i tre capitani, neutralizzandoli. Si diresse verso il terzo vice-capitano, lasciando la spada di Cristallo blu notte ai piedi del suo legittimo proprietario. Il luogotenente era terrorizzato, i suoi occhi fissi in quelli sanguigni del Cavaliere d’Inferno. Questi sorrise, la sua dentatura quella di un elfo. Questo parve tranquillizzare l’altro Cavaliere. Errore. Il mezzo demone trasformò le sue zanne e l’altro stava per strillare quando si ritrovò la mano destra di Ryfon in faccia. Questi lo sollevò mentre sorrideva quasi divertito. Lo lasciò cadere con il sedere nella neve che ben presto si colorò.

«Ha! La femminuccia lì se l’è fatta sotto! Questi elfi sono uno spasso!» rise sonoramente Oghren.

«Vi state facendo insultare da un nano. Dai, potete fare di meglio.» provocò Siirist mettendosi in posizione.

Injros, rigenerato, si rimise in piedi e con Ashemmi mise il mezz’elfo in mezzo a due fuochi. Era proprio come gli piaceva.

«Questi nani sono forti.» notò Injros.

«Sono i migliori dei Beor. I nani sono di natura resistenti alla magia e la mia evocazione ha migliorato ulteriormente questa loro caratteristica. Non hanno alcuna pratica nel chiudere la mente, infatti sono io che sto creando le loro barriere mentali, ma dubito che qualcuno fra quei Cavalieri sarebbe capace di superarle.»

«Sei diventato forte, va ammesso. Motivo in più perché ti dobbiamo fermare: sei un traditore, un pericolo per tutto l’Ordine.»

«Siete fuori di testa. Adesso mi avete stancato.»

Avvolse la sua spada nel colore dell’armatura e si lanciò contro Ashemmi liberando tutta la forza del suo Juyo. Avrebbe voluto usare anche la forma draconiana, ma in quel caso non avrebbe più potuto proteggere i nani dagli attacchi mentali degli altri Cavalieri.

‹Devi insegnare loro come chiudere la mente, oppure incantare qualche loro accessorio come gli anelli che il cugino di Gilia aveva a Cheydinhal.› disse Rorix.

‹Ti dispiace di non essere qui?›

‹Nah. Nessuno dei draghi ha intenzione di combattere, se fossi lì starei a guardare come loro. Perché voi bipedi dovete sempre essere così stupidi? È così ovvio che non sei il nemico!›

‹Non lo so, dovrai chiederlo a questi due.›

Si ritrovò la via bloccata da una magia di vento di Injros che generò una lama talmente tagliente da essere capace di perforare le scaglie di un drago. Ashemmi lanciò un grido che si insinuò dritto nel cervello di Siirist, mettendolo in ginocchio, le mani premute contro le orecchie nell’inutile tentativo di bloccare la magia di suono dell’elfa. Con la coda dell’occhio vide anche i due nani nella stessa situazione e i Cavalieri che ne approfittarono. Con un ringhio, Siirist aprì un portale per Oblivion, il grande sigillo rosso scuro del drago comparve sopra la coltre di neve che si sciolse l’istante in cui l’anima di fuoco entrò nella dimensione dei mortali a difesa dei nani. Il mezz’elfo liberò anche il suo colore del re, investendo i due Consiglieri con tutta la forza della sua Ambizione legata all’Intimidazione, alla sua seduzione da vampiro e ad alcune delle tecniche mentali di Adeo dopo che era entrato in stato di calma assoluta. Scosse gli Anziani con l’Ambizione e si insinuò nelle loro menti, inserendo un’immagine amplificata del suo lato demoniaco. Essi ebbero una sorta di illusione, due occhi rosso sangue che li fissavano, zanne, e una grande fame. Il mezzo demone manipolò la paura che sentì provenire dagli elfi, traendone forza e unendola alla sua aura maligna. Una seconda onda di Ambizione, i Consiglieri erano in ginocchio. Richiamò il Flusso nel palmo sinistro, il potere elementale del vento unito all’energia magica diretta a sé e ai nani.

«Blocca ogni suono!»

L’aria attorno alle loro teste perse ogni sua capacità di trasmissione sonora, perciò contattò gli amici mentalmente per avvisarli. Sarebbe stato insolito combattere senza l’ausilio dell’udito, ma contro Ashemmi era meglio così. Ryfon era abituato a combattere senza vedere, ma senza sentire? Quella sì che era una novità: sarebbe stato interessante.

I Consiglieri si ripresero dall’assalto alle loro menti, c’era da far loro i complimenti per la preparazione in quel campo, e si fecero più persistenti. Siirist vide la bocca di Ashemmi muoversi, ma non poteva sapere che genere di effetto il suo canto stesse liberando. Non erano che vocali intonate, nessuna parola, avrebbe dovute sentirle per confrontarle con ciò che aveva letto nel grimorio di Aulauthar nella sezione dedicata al vento. No, essere completamente sordo non era un’alternativa valida. Doveva in qualche modo creare una barriera che permettesse ad ogni suono di giungere ai timpani in maniera controllata, impedendo così alla magia di fare il suo corso. Mentre si concentrava per perfezionare l’idea dell’effetto della sua magia, neutralizzò con un colpo di spada altre due lame di Injros e evitò con un avvitamento sul posto una terza che l’Anziano aveva generato dietro di lui.

«Filtra ogni suono.» disse indirizzando l’incantesimo anche ai nani.

«Così va meglio!» sbraitò Oghren mentre menava la sua ascia.

I Cavalieri stavano dando il loro massimo, ma i nani erano difficili da gestire, come lo era l’anima di fuoco. Altri daedra si erano uniti allo scontro, ma nessuno di quei Cavalieri era un invocatore di alto rango, perciò la tigre era il livello più alto. Il mezz’elfo pensò bene di dare manforte ai suoi alleati, richiamando una chimera dal piano di Fenrir usando un portale nero sfumato di livello drago. Il daedra aveva il corpo striato di una tigre, nero con strisce bianche, e macchie da leopardo sul bacino e le zampe posteriori. La testa centrale da leone, con la criniera bianca e gli occhi rosso fiammante, quella di destra era di ariete, dal vello dorato e le corna celesti, la testa di sinistra era un toro dal pelo bruno e le grosse corna blu profondo; la coda era un cobra dalle scaglie rosse e viola. La testa da leone espirò una fiammata viola scuro con i riflessi neri contro un misero daedra di livello cavallo del piano di Adrammelech.

Siirist sentì Ashemmi cantare una magia che avrebbe avuto un effetto soporifero sul suo nemico, ma l’incantesimo del Cavaliere traditore lo salvò dall’attacco. Usò la sua elevatissima velocità, incrementata pure dal suo fulmine demoniaco, per muoversi alle spalle dell’elfa, ma in qualche modo, ella aveva anticipato la sua mossa e si era girata giusto in tempo per muovere la sua spada e colpire il ladro sul polso mentre cercava di stimolarle il punto verde alla base del collo. Era fortunato che stava indossando pelle di drago con placche di Adamantite, o avrebbe perso la mano (non che non avesse le capacità di riattaccarsela). Con altrettanta velocità si spostò di un centinaio di metri, ma nel momento in cui si fermò, si vide volare addosso una dozzina di lance di ghiaccio con la punta rivestita d’argento, gentile concessione di Injros.

‹Come cazzo sanno dove mi sposterò? Non possono essere veloci quanto me!› ringhiò.

Ancora si mosse a velocità invisibile all’occhio nudo, ad una velocità impossibile da tenere d’occhio nemmeno con le capacità mentali di Adeo, tanto che per farlo, non poteva che muoversi in linea retta, decidendo fin dall’inizio il suo punto d’arrivo...

‹Ma vaffanculo!› esclamò capendo come gli Anziani facessero ad anticiparlo.

Il secondo in cui si fermò, fu bersagliato da una tempesta di lance di ghiaccio rivestite d’argento; neanche ebbe il tempo di muoversi ancora. Senza pensare, usò la sua arte della Tenebra per rilocarsi a dieci metri di distanza. Sorrise nel vedere gli sguardi furiosi dei Consiglieri. Certo, era chiaro. Con la loro preparazione, riuscivano a percepire i movimenti nell’aria e con la sua iper velocità, Siirist ne creava molti, era come se tracciava la linea che avrebbe poi percorso prima ancora di farlo. Quando avesse raggiunto la velocità della luce perfetta, avrebbe avuto le capacità di velocizzare anche il suo pensiero, così da entrare in uno stato di immobilità temporale apparente. Ma non era ancora a quel livello. Per il momento, avrebbe dovuto usare l’arte della Tenebra per spostarsi istantaneamente senza rivelare il suo punto d’arrivo.

«Continui a tirare fuori trucchi su trucchi. Prima il tuo fulmine rosso, ora questo. Energia demoniaca mista a energia magica?» chiese Injros.

«Le chiamo arti demoniache: la prima, l’arte della Vampa, unisce fuoco d’Inferno e fulmine demoniaco nella forma di fuoco azzurro; la seconda, l’arte della Folgore, unisce fuoco d’Inferno e fulmine demoniaco nella forma di fulmine rosso; la terza, l’arte della Tempesta, unisce fulmine demoniaco e magia di vento; la quarta, l’arte della Tenebra, unisce il mio potere oscuro con magia di oscurità per creare un potere di dislocazione istantanea e altro ancora. Sono elementi di fusione di gran lunga superiori a quelli creati con la sola magia.» spiegò con un sorriso.

Intanto Ashemmi aveva usato il suo canto di battaglia per risvegliare e rinvigorire i capitani e i vice-capitani caduti.

«Adrienne, smetti di stare lì impalata, attaccalo!» comandò Fhociin.

Siirist vide la vice sbuffare e scuotere la testa prima di rimettersi in piedi. Il mezz’elfo ridacchiò.

«Non volete proprio arrendervi, eh?»

Rimandò il Guerriero a Oblivion e invocò la cintura che reggeva Agar hyanda. Entrò in stato di calma assoluta e la sfoderò. Di nuovo eseguì un attacco mentale rafforzato dalla seduzione unito alla sua Ambizione e all’Intimidazione. Usò una delle tecniche di Adeo che inserì nelle menti degli otto avversari una sorta di piovra con i tentacoli composti da numerose catene intrecciate che si avvolse attorno a tutto il mondo mentale della vittima, stritolandolo e sottomettendolo. I capitani e due dei luogotenenti caddero, in qualche modo la seconda vice riuscì ad evitare la tecnica mentale, mentre i Consiglieri riuscirono a difendersi da essa. Il mezzo demone alzò la sua spada rossa, la lama che brillava di una luce di sadica gioia rafforzata dalla forza della Paura che il mezzo demone traeva dagli avversari sottomessi. Menò il fendente. Il colpo raggiunse Injros a venti metri di distanza, aprendogli l’armatura di Cristallo senza alcuna fatica e lacerandogli atrocemente tutto il corpo. Dal lungo taglio che lo aveva percorso verticalmente, se ne diramarono istantaneamente altri e da ogni apertura nell’armatura schizzò sangue; se l’era anche cavata con poco, doveva aver eretto attorno a sé le sue innumerevoli barriere invisibili, rinforzate da tutti gli amuleti che indossava, che lo avevano reso famoso all’interno dell’Ordine. Gli occhi dell’elfo si spensero e cadde di schiena nella neve che rapidamente si tinse di rosso. Siirist lo guardò senza pietà e rinfoderò Agar hyanda prima di rimandarla a Oblivion. Ashemmi urlò di rabbia e dolore e fece per attaccare il traditore, accompagnata dalla sua dragonessa e da quella dell’Anziano caduto. Siirist alzò il braccio destro e menò una gomitata all’indietro, avvolgendo il braccio nell’arte della Tenebra: esso svanì nella nube d’ombra, riapparendo dietro alla nuca di Ashemmi che fu colpita e tramortita. I draghi aumentarono le loro dimensioni, ma non esageratamente per non rischiare di essere troppo ingombranti in quello spiazzo. Siirist invocò venti lance di Adamantio e le diresse contro i giganteschi rettili; alcune colpirono, altre furono bloccate o deviate con zampate e fiammate.

‹Adesso sì che mi piacerebbe essere lì!› ringhiò eccitato Rorix.

Siirist si alzò in volo e stava per riequipaggiarsi quando fu colpito alla gamba da una lancia di ghiaccio rivestita d’argento che gli causò un bruciore lancinante. Sentì i suoi poteri demoniaci venire succhiati via, la sua forza consumata dal metallo splendente. Cadde a terra, i suoi occhi nuovamente azzurri.

‹No!›

Con orrore, vide con la coda dell’occhio Injros a malapena cosciente. Aveva solidificato la neve, trasformandola in ghiaccio, aveva poi avvolto le stalattiti nella polvere della roccia infine trasformata in argento. Le scagliò, ma Siirist usò l’Inconsistenza per evitare di essere colpito. Ma la lancia nella gamba rimase e il maledetto argento continuò a bruciargli anche la carne trasparente. Il dolore era accecante, il mezzo demone ebbe un giramento e cadde in avanti, la sua mente che riusciva a stento a mantenere l’Inconsistenza. Cercò di fare forza sulla gamba destra, la sinistra un peso morto, la sua magia spaziale che incominciava a dissiparsi. I denti stretti, emise un ringhio di dolore nel cadere di lato, il suo incantesimo annullato. Fece giusto in tempo a girare la testa per vedersi arrivare in contro una ventina di stalattiti argentate. Rapidamente e istintivamente andò in forma draconiana e ruggì, esalando un respiro infuocato che bloccò tutte le lance ad eccezione di una che lo prese in mezzo agli occhi. Con la vista offuscata, vide indistintamente i suoi daedra continuare a combattere assieme ai nani, ignari di ciò che stava succedendo. Gli parve di vedere un’anta del grande portone di mithril venire sfessurata. Poi niente.

 

I rumori della battaglia all’esterno si stavano facendo sempre più forti. Sentiva esplosioni, urli, ruggiti. E accanto a sé il piede di un Orik spazientito che batteva incessantemente, le braccia del nano incrociate e lo sguardo che avrebbe potuto uccidere. Sylgja decise di dare un’occhiata fuori e con la massima cautela spinse piano una delle ante di mithril, appena a sufficienza per mettere fuori la testa. Con estremo orrore vide Siirist cadere in ginocchio, una stalattite d’argento che gli perforavano il cranio, il sangue che colava abbondantemente.

No, non poteva essere. Non voleva crederci. Non era possibile.

Appoggiò la spalla alla porta e spinse con tutta la sua forza e uscì urlando, correndo verso il suo amico, il suo salvatore. Urlava a pieni polmoni, lacrime che scendevano e si cristallizzavano istantaneamente a causa del freddo, ogni respiro che le causava dolore, come se l’aria fredda la stesse tagliando dall’interno. Ma non le importava. Morto? No, non poteva accettarlo. Era in parte vampiro! Poteva venire ucciso solo se colpito al cuore! No, le aveva spiegato che l’argento aveva la capacità di annullare i poteri demoniaci. No. Superò l’elfo ferito mortalmente e steso a terra in mezzo a neve rossa, era a pochi metri da lui quando... diventò più freddo. Non sapeva spiegarsi cosa fosse successo, era come se il vento avesse cambiato direzione, e la temperatura fosse scesa di almeno altri venti gradi. La ragazza cadde in ginocchio per il freddo pungente, le braccia che si stringevano. Tutti i draghi e i Cavalieri presenti interruppero ciò che stavano facendo per guardare verso Siirist; Durin pure parve notare qualcosa e si fermò. Oghren smise di muovere ferocemente la sua ascia perché aveva visto come i suoi avversari avessero smesso di combattere. Sbuffò. I due daedra invocati da Siirist impazzirono e ritornarono attraverso i loro portali nei loro piani di Oblivion. Qualcosa non quadrava. I draghi incominciarono tutti a ringhiare, parevano degli animali messi contro un muro, terrorizzati da qualcosa di più pericoloso. Cosa poteva rappresentare un pericolo per un drago alato?

Le due lance argentate incominciarono a fondersi mentre la pelle sul volto di Siirist prese a mutare. Tutti fecero un passo indietro, mentre la pelle del mezz’elfo continuò a trasformarsi. Stava diventando azzurra. Le stalattiti argentate che gli perforavano capo e coscia si dissolsero in fiamme nere, attorno al mezzo demone comparvero un’aura di fuoco nero e l’ombra di una testa con tre facce dalla pelle azzurra. Tutto questo fu assorbito dall’immagine di un fantasma (?) o qualunque cosa fosse. Era un corpo trasparente, una figura incappucciata, mani scheletriche che uscivano dal manto stracciato. La sua voce era un sibilo e portava con sé un freddo inimmaginabile, una sensazione di terrore come niente che Sylgja avesse mai provato in vita sua. La figura scomparve come era apparsa. La pelle di Siirist ritornò ad essere normale e i due buchi nel suo cranio si richiusero assieme a quelli della gamba. Riaprì gli occhi.

 

Siirist si rimise in piedi, una sensazione strana che lo sconvolgeva. L’ultima cosa che ricordava era essere stato colpito in mezzo agli occhi da una lancia di ghiaccio rivestita d’argento. E ora era vivo e guarito, Sylgja a pochi metri da lui e tutti che lo fissavano con sguardo terrorizzato. Sentiva i suoi avambracci bruciare, come avevano fatto quando aveva incontrato Zalera. Era una sensazione che si affievoliva sempre più, fino a che scomparve, come se l’apice del loro bruciore fosse stato prima che si fosse ripreso.

‹Che è successo?› chiese a Rorix.

‹È quello che vorrei sapere io. Un momento sei morto, il momento più tardi ti sento di nuovo vivo, ma... Non lo so, diverso.›

‹Tu ne sai niente?› domandò al falso.

‹Dammi del tempo per capirlo e forse te lo posso spiegare.› rispose con aria sinceramente incerta.

Il mezz’elfo si guardò intorno. Non sapeva che cosa fosse successo, ma tutti parevano terrorizzati da quello che avevano visto.

«Vogliamo continuare?» domandò ad Ashemmi invocando e impugnando una spada di Adamantio.

Per tutta risposta, l’elfa fece cadere le sue armi nella neve. Lo stesso fecero tutti gli altri Cavalieri. Tutti lo fissavano con puro terrore negli occhi ad eccezione della seconda vice. C’era qualcosa nel modo in cui lo studiava che era sospetto, era come Glonbir, e non gli piaceva.

«Bene. Durin, mi faresti il favore di dire a Orik che ha il via libera?» disse pulendosi la neve di dosso.

Si avvicinò a Sylgja e la avvolse in un mantello di aria calda. Poi si incamminò verso Ashemmi.

«La mia spada da Cavaliere, Lama di sangue, infligge ferite difficilmente guaribili, anche con la miglior magia organica. Ora provvederò a fornire a Injros una guarigione di emergenza, ma dopo dovrà essere trattato con estrema cura.»

L’arrogante e insopportabile e irremovibile elfa annuì impercettibilmente, la bocca paralizzata e incapace di muoversi, gli occhi che strillavano per la paura. Cosa gli era successo per aver scatenato tanto panico? Non c’erano stati risvolti simili neppure dopo la trasformazione in draconiano e la quasi distruzione della Rocca da parte sua. Toccò il Flusso di Injros, rinforzandolo con il proprio per ricucire le ferite e rallentare il flusso sanguigno.

Vide il re della pietra uscire dai cancelli di Orzammar preceduto da Durin e seguito dal suo esercito. I due nani in testa corsero verso Ryfon per anticipare il resto delle truppe.

«Non è molto dignitoso correre a questo modo, Orik.» ridacchiò il mezz’elfo.

«Non è né il luogo né il momento per essere “dignitosi”, stiamo andando in guerra. Tutto è sistemato, voglio sperare? L’esercito della pietra scenderà le montagne e si disporrà al confine con il deserto di Dalmasca dove speriamo di incontrare i Cavalieri che ci accompagneranno.»

«Naturalmente. Sarà fatto come ha detto sua maestà Orik, dico bene?» Siirist guardò verso Ashemmi.

Ella annuì debolmente, la sua espressione immutata.

«Perfetto. Oghren, Durin, venite, abbiamo molta strada da percorrere.»

I due nani accorsero. Anche loro parevano un po’ incerti, ma non terrorizzati quanto i Cavalieri. I suoi tre compagni si diressero all’automobile con le loro borse e Ryfon guardò verso i Consiglieri, i suoi occhi di nuovo demoniaci.

«Spero di non dovermi preoccupare più di essere seguito, giusto? In ogni caso non userò più le arti mistiche, quindi scordatevi di rintracciarmi con il filatterio. I nani sono ritornati in superficie, ho fatto tutto ciò che dovevo fare. Ritornerò a Vroengard appena Vulcano avrà finito con quello che deve fare lui. Ci vediamo tra qualche anno.»

Tutte le borse furono messe nel portabagagli che era ora stipato, tanto che i nani si erano dovuti portare le loro asce con loro sul sedile posteriore, mentre la spada di marmo nero di Siirist era stata assicurata al tettino dove si trovavano lacci per assicurare fucili e altre armi simili. Il mezz’elfo si sedette al volante, accese il motore e partì. 

 

Adrienne non riusciva a crederci: era semplicemente uscito dalla porta principale, come se niente fosse, sapendo perfettamente che fuori erano appostati molti Cavalieri con l’ordine di catturarlo o giustiziarlo a vista. Ma no, lui doveva fare sempre le cose in maniera esuberante, vero?, come se tutto quello che aveva imparato con la Volpe non era stato che una perdita di tempo. Di tutte le cose stupide che poteva fare, quella era l’ultima che la ladra si sarebbe aspettata. Eccolo lì, tutto contento, che osservava i Cavalieri e i loro draghi, con la ragazza che lo stringeva preoccupata e due nani troppo colpiti dal cielo per accorgersi della situazione. Invece, per quanto il suo carattere non era il migliore per attuare alcuna negoziazione, la trovata di Siirist di uscire in piena vista non era stata tanto stupida come aveva inizialmente pensato, pareva che ci avesse ragionato. Infatti aveva detto di volere che alcuni Cavalieri accompagnassero l’esercito di nani a Balfonheim. Era stata una mossa saggia. Avrebbe dovuto riportare una decisione così ben calcolata alla Volpe, sarebbe stato contento. L’unico problema per Siirist era stata la presenza inaspettata e di certo indesiderata (almeno da parte di Adrienne) dei membri del Consiglio. E per gli dei cosa aveva dovuto fare pur di non rischiare di far scoprire la sua appartenenza alla Gilda dei Ladri. Affrontare Siirist! Ashemmi era una pazza furiosa, questo era sicuro. Almeno era riuscita a spostarsi all’ultimo ed evitare di essere colpita in pieno dall’Ambizione del Cavaliere d’Inferno, quella insieme alla sua Intimidazione demoniaca erano qualcosa che non voleva sperimentare. E quell’attacco mentale con la piovra e le catene? Un trucco di Adeo, non qualcosa a cui non fosse preparata. C’era un motivo se la Volpe Grigia le aveva assegnato quella missione, non era una Coda per niente.

E poi... quello. La donna non aveva saputo che pensare quando aveva visto Injros trafiggere Siirist in testa con delle stalattiti rivestite d’argento. Se fosse morto sarebbe stato... catastrofico, a dir poco. E invece... La figura scheletrica incappucciata era senza dubbio Sithis, era esattamente come la Volpe glielo aveva descritto. Ma che cosa era successo? Un attacco come quello di Injros avrebbe dovuto uccidere Siirist, invece ecco che compare il diavolo. Era come se lo stesso dio della morte lo avesse protetto. Ma perché? E quell’ombra di una figura a tre facce con la pelle azzurra? La ladra non aveva la minima idea di che cosa potesse essere.

Era ancora basita quando Myanth si avvicinò, toccandola gentilmente con il muso per assicurarsi che stesse bene. Adrienne annuì.

‹Ne sei sicura?› insistette la dragonessa.

‹Sì. Tu?› sorrise.

‹Sono curiosa di sapere cos’ha da dire la Volpe a proposito di questa nuova trasformazione di Siirist. Dopo tutto quello che gli è successo, ormai non mi sorprendo più.›

Adrienne ridacchiò e accarezzò il collo giallo splendente della sua compagna mentale. Aiutò uno dei suoi sottoposti a rimettersi in piedi e valutò i danni causati dalla breve battaglia. Non erano stati molti, gli attacchi erano stati tutti molto contenuti (la precisione dei colpi di Siirist era qualcosa di incredibile, non aveva niente a che vedere con il ragazzino che aveva lasciato Skingrad), ma gli altri Cavalieri non erano messi benissimo, avrebbero avuto bisogno di molto riposo, specie i capitani e gli altri due vice che avevano subito le Catene dell’anima da parte del Cavaliere traditore. Alla fine restava sempre un novellino nel campo della mente, per quanto possedesse i segreti del grande Adeo, però c’era da dire che combinando le sue capacità da mistico con i suoi poteri da vampiro, la sua Ambizione e la sua Intimidazione, poche menti erano in grado di resistergli. Specie se usava le Catene dell’anima. Forse c’era bisogno di insegnargli che Adeo non aveva inventato quelle tecniche per usarle contro altri Cavalieri. Ma in difesa di Siirist, aveva cercato di avvisarli, e c’era da dire che le Catene dell’anima erano un ottimo metodo di liberarsi dei Cavalieri senza danneggiarli. Ciò che quel ragazzino inesperto non sapeva, però, era che l’Ambizione del re unita alle Catene dell’anima potevano avere brutti effetti su chi veniva colpito. Ah, che fastidio. Avrebbe dovuto informare la Volpe anche di quello.

Con Injros in fin di vita, quella deficiente di Ashemmi non si metteva ad abbaiare ordini idioti, quindi FORSE avrebbe potuto organizzare decentemente alcuni Cavalieri per svolgere i compiti a cui aveva accennato Siirist. Re Orik era già sparito oltre le mura naturali che delimitavano lo spiazzo, giù per la strada che l’automobile di Siirist stava percorrendo, e dietro a lui seguiva il suo esercito, tutti nani armati fino ai denti che uscivano dai cancelli di mithril di Orzammar; parevano non finire mai.

«Tu, Elidyr, prendi Clodus e vai ad Arcadia ad informare il palazzo imperiale della partenza dei nani dai Beor. Dite loro di mandare a Balfonheim diverse navi capaci di trasportare duecentomila nani in armatura con altrettanti bagagli. E siate chiari: navi, non vogliamo spaventarli con le aeronavi, è già tanto che stiano marciando senza la paura di venire risucchiati in quel cielo infinito, avvicinarli ad esso non sarebbe una buona idea.»

«Sì, vice-capitano.» rispose l’altmer.

«Halafarin, Gaelin, voi andrete ad informare il Consiglio e vedete di raccontare tutto come è successo veramente.»

«Che Ashemmi è stata causa del suo male?» chiese divertito il dunmer.

«Precisamente.»

«Agli ordini.» risposero entrambi gli elfi.

«Sorex, Sigaar, voi accompagnerete l’esercito nanico. Sarà lungo e noioso, lo so, ma è necessario. E sbrigatevi prima che quel leccapiedi del capitano si accorga di tutto questo e vi fermi.»

«Partiamo subito. Ma per come è messo, non credo ci sia tanta fretta.» ridacchiarono i due interessati.

Adrienne scosse la testa e la accarezzò a Myanth.

‹Ho bisogno di un bel bagno caldo. Odio questa montagna e questo freddo.›

 

Nelle due ore che erano partiti dallo spiazzo di fronte a Orzammar, le uniche parole scambiate all’interno dell’automobile erano state minacce di morte lenta e dolorosa da parte di Siirist nei confronti di Oghren che si era tolto gli stivali, dicendo che gli facevano male i piedi. Ma l’odore, lungi dall’essere piacevole, persino “indegni di una fogna” sarebbe stato un complimento, era così terribile che aveva quasi steso gli altri tre e aveva fatto sbandare il conducente. Una volta che ebbero raggiunto una zona di deserto sufficientemente lontana dalla regione dei Beor perché il clima fosse quello solito torrido di Dalmasca, Ryfon aveva fermato la macchina per uscire e sgranchirsi le gambe, mangiare e cambiarsi gli abiti. Il mezz’elfo si spogliò dei suoi vestiti pesanti, i suoi lunghi calzoni grigio scuro di lana di capra-ragno, la sua camicia bianca di seta di capra-ragno, la tunica grigio chiaro di lana e il mantello da viaggio nero, anche esso di lana. Indossò dei calzoni verde chiaro che arrivavano poco sotto il ginocchio e un gilè verde scuro con ricami neri, entrambi di seta, ai piedi dei sandali anziché i suoi pesanti stivali di pelle con interno di lana. Era seduto su una roccia, la sua bottiglia di sangue in mano. Prese qualche sorso mentre si divertiva a guardare i nani che ammiravano la sabbia. Erano come bambini. Dei bambini parecchio pelosi. Sylgja si avvicinò a lui, indossava una lunga tunica che le arrivava ai piedi, senza maniche, una cintura di pelle alla vita.

«Come stai?» chiese con fare incerto.

«Dimmi che è successo.» tagliò corto lui.

«Non lo so neanche io.» rispose abbassando lo sguardo.

Ci fu qualche momento di silenzio imbarazzante.

«Ti dispiace se ti guardo i ricordi?»

«... Fai pure.»

Ciò che Siirist vide non gli piacque. Quello era Sithis, non c’erano dubbi: le rune del Sigillo di sangue avevano reagito, era esattamente quello che aveva visto nei suoi sogni dopo il rito che lo aveva trasformato in un mezz’elfo, corrispondeva alle descrizioni che aveva avuto dai mistici della corte demoniaca e da Raizen. Sarebbe dovuto morire. Senza il suo potere rigenerativo, represso dall’argento, un colpo alla testa come quello inferto da Injros sarebbe dovuto essere mortale. Sarebbe dovuto morire! Perché era vivo? Che c’entrava Sithis? Era come se il diavolo stesso gli avesse lasciato la sua vita quando, invece, gliela avrebbe dovuta portare via. E quell’ombra con tre facce? Quella era l’ombra di un demone, ci avrebbe scommesso di tutto. E lui conosceva solo un demone con tre facce; il problema era che non aveva la minima idea di che cosa avesse a che vedere con lui.

«Oghren, vieni qui, ti lavo i piedi, poi ripartiamo.» disse preparando una fossa nella sabbia e riempiendola d’acqua.

 

 

~

 

 

 

Chiedo scusa per il ritardo nella pubblicazione, ma ho perso la connessione internet fino ad oggi a causa, presumo, del diluvio di lunedì. Tutto sommato, visto cosa è successo in altre parti d’Italia, alcune anche vicine a casa mia, mi devo ritenere fortunato.

 

Il prossimo capitolo si intitola APPRODO A IVALICE e sarà pubblicato domenica 25. Da Balfonheim, l’idea sarebbe di andare a Zanarkand, ma qualcosa va storto.

Ritorna all'indice


Capitolo 78
*** APPRODO A IVALICE ***


APPRODO A IVALICE

 

Nei momenti in cui Siirist si era preso una pausa dal volante ed era stata Sylgja a guidare, il mezz’elfo aveva avuto modo di risposare o osservare i due nani nei sedili posteriori. Doveva ammettere che era divertente e solo quella attività aveva risollevato il suo umore. Per tutto il primo giorno di viaggio, entrambi i nani erano stati con il viso schiacciato contro i rispettivi finestrini a guardare quella infinita distesa di sabbia. Sarebbe stato anche più divertente quando avessero visto il mare. Come aveva supposto, al tramonto i due figli della pietra avevano incominciato ad aver paura e quando fu completamente buio, quasi urlarono. Durin si era ripreso in fretta, ed era stato ad osservare le stelle con meraviglia, mentre Oghren aveva dormito con la sua ascia in mano. Stavano finalmente capendo i concetti di “dì” e “notte”, parole presenti nella lingua nanica dai tempi in cui il loro popolo era vissuto in superficie. Nel loro vocabolario avevano parole come “stella”, “luna”, “sole”, ma fino a quel momento l’unico “sole” che avevano mai visto era stato quello Alftand. Siirist aveva dovuto ripetere tre volte a Oghren di non guardare direttamente il sole o si sarebbe accecato, e ogni volta che “Barba di fuoco” guardava verso l’astro splendente e ne rimaneva dolorosamente colpito, alzava la sua ascia verso il cielo e lo minacciava di scendere e combattere come un vero uomo. Alla fine il mezz’elfo gli aveva sconsigliato di continuare a lanciare sfide al simbolo di Soho, visto che il dio della luce era superiore anche al loro Padre. I nani non avevano apprezzato quel commento ed erano rimasti in silenzio per tutto il resto della giornata.

Verso le quattro pomeridiane del terzo giorno, Balfonheim apparve alla vista. Era stata costruita in mezzo all’oasi più grande di Dalmasca, un tempo conosciuta come l’oasi Dywen, in onore dello scopritore, ora ci si riferiva semplicemente come l’oasi di Balfonheim. A est aveva il mare interno di Tamriel, l’Emean, a nord e a ovest aveva un’alta collina verdeggiante che la proteggeva dalle impetuose tempeste di sabbia del deserto, e l’ingresso alla città si trovava  a sud. Come sulla sabbia e fra le rocce dei Beor, le ruote chiodate dell’automobile si muovevano con facilità anche sul terreno erboso dell’oasi. A dieci metri dall’ingresso della città, si avvicinò una guardia cittadina. Indossava un’armatura molto semplice, una tunica marrone che copriva una leggera armatura di maglie e un mezz’elmo con visiera color sabbia e dei calzoni marroni. Ai piedi aveva degli stivali di un marrone più chiaro che arrivavano a metà polpaccio e alle mani dei guanti dello stesso colore che si fermavano all’inizio del polso. In mano reggeva un fucile a Materia, alla vita una cintura con legate un’ascia e delle Materia di riserva per il fucile; erano di un colore verde brillante.

«Bene arrivati, visitatori. Il parcheggio per l’automobile si trova dall’altra parte della collina, poi raggiungerete la città attraverso quella galleria.» disse indicando un arco ed una galleria scavati nella parete rocciosa alla loro sinistra.

«D’accordo, grazie.» rispose Ryfon facendo inversione.

Così aggirò la collina e andò a parcheggiare l’auto. Nel parcheggio delle macchine si trovavano anche le stalle, con chocobo, cavalli e lucertoloni dalle scaglie viola scuro lunghi due volte i pennuti e alti mezzo metro. Appena il mezz’elfo trovò un posto libero, lasciò l’auto, uscirono e presero i bagagli.

«Neanche la vuoi rivendere?» chiese per l’ennesima volta Sylgja.

«No. Sarebbe solo una perdita di tempo e non ho bisogno di soldi.»

«Ma è uno spreco lasciarla qui!»

«Anche a me piacerebbe portarla con noi, ma purtroppo non possiamo portarla su una nave, da qui non salpano navi da carico. Se potessimo prendere un’aeronave, forse…»

I nani non avevano chiaramente ancora imparato la lingua umana, ma riconoscevano anche troppo bene la parola “aeronave”. Come la sentirono, iniziarono a scuotere vigorosamente la testa e a protestare.

«Appunto.» concluse il biondo.

Percorsero un lungo corridoio squadrato aperto nella roccia usando magia di terra, con il soffitto comunque sorretto da varie travi giallo scuro e marrone chiaro, e arrivarono allo spiazzo erboso in cui si apriva l’ingresso della città, le cui mura erano costeggiate da vari alberi. Il mezz’elfo aveva nascosto i nani e le loro asce con un’illusione, così come aveva fatto con la sua spada di marmo nero, ma le armi a Materia erano state lasciate in bella vista perché sarebbe stato sospetto girare per il deserto disarmati.

«Seguite via della Brezza fino a che raggiungete la piazza vicino ai moli, lì troverete la locanda. Vedete di depositare subito le vostre armi prima di girare per la città, non vogliamo problemi.» si assicurò la guardia di prima.

«Nemmeno noi.» sorrise Ryfon.

A partire dall’ingresso, la città si divideva in due strade: quella a sinistra andava verso i quartieri residenziali, dove si trovava anche il tempio di Tenma, quella a destra aveva edifici sul lato destro ed era aperta sul mare su quello sinistro. A Siirist sarebbe piaciuto appoggiarsi al muretto e guardare verso la distesa d’acqua in quella chiara giornata estiva, con i gabbiani che volavano in cielo e si perdevano all’orizzonte e la gentile brezza che gli accarezzava la faccia, ma gli era stato espressamente detto di depositare le armi alla locanda prima di fare altro, e non volendo causare guai e attirare troppa attenzione, non perse tempo. Percorsero tutta la strada, con negozi su entrambi i lati, alcuni provvisti anche di bancarelle all’esterno, che vendevano ogni assortimento di cibo, prevalentemente pesce, alcuni fabbri che avevano armi e utensili per la pesca, e alcuni edifici residenziali, fino a che raggiunsero la piazza. Scesero una scalinata per metterci piede, e fu subito evidente che non era vicina ai moli, piuttosto ne faceva parte. Era interamente costruita sopra al mare, con la pavimentazione costituita da blocchi di legno che a volte si muovevano con il movimento delle onde, e aveva a sinistra la locanda, a destra le sedi della Gilda dei Guerrieri e della Gilda dei Mistici. Una grande insegna a Materia illuminava l’ingresso di quest’ultima, molto probabilmente un espediente pubblicitario per promuovere le pietre alchemiche. Entrarono nella locanda e videro che era costituita da due piani, quello a cui si trovavano loro aveva un lungo bancone dietro al quale stavano un uomo e un bot e numerosi tavoli con panche; in fondo vi era una scalinata che saliva al piano superiore, un corridoio con una ringhiera di legno che aveva due porte, una nella parete di fondo (probabilmente andava alle stanza da letto), l’altra si apriva nella parete di sinistra, e dava sulla strada esterna da cui erano giunti Siirist e compagni. Gli occhi attenti del ladro videro subito come una combriccola di burberi li squadrò il momento in cui furono entrati. Si avvicinò all’uomo al bancone e chiese due stanze doppie per una notte; pagò gli 80 guil richiesti e prese le chiavi e ne diede una a Durin.

Entrato nella sua stanza con Sylgja, appoggiò la sua borsa a terra. La ragazza andò subito a farsi una doccia e il mezz’elfo andò ad assicurarsi che anche Oghren se ne facesse una, perché iniziava ad essere nauseato dal suo odore.

Due ore dopo il loro arrivo, quando tutti erano lavati e vestiti, i nani che indossavano degli abiti che Siirist aveva creato per loro con la creazione d’aria durante il primo giorno della loro partenza dai Beor, andarono ad esplorare la città. L’esplorazione per Oghren si concluse una volta scese la scale al piano inferiore della locanda, dove andò subito ad unirsi ad una gara di bevuta con alcuni cacciatori di taglie, da quello che il mezz’elfo aveva potuto scoprire sondando loro la mente.

«Non fare niente di stupido e non attirare troppa attenzione.» si raccomandò.

Il nano nemmeno rispose e mise un bronzo sul tavolo, accettando la sfida dello sconosciuto. Almeno, al suo ritorno, Ryfon avrebbe avuto molti più soldi, perché mai Kondrat avrebbe perso. 

Con Sylgja e Durin, dunque, il biondo lasciò la locanda. Il nano voleva visitare la Gilda dei Guerrieri e i negozi d’armi che avevano visto al loro arrivo, perciò Siirist lo aveva affidato alle cure della ragazza, mentre lui andava ad ispezionare le navi attraccate. Ve ne erano moltissime, il molo era chilometrico, e molte barche non erano che traghetti che trasportavano i passeggeri alle gigantesche navi da crociera ormeggiate al largo perché troppo grandi per stare al porto principale. Dopo un’ora di cammino verso nord (e il molo continuava anche verso sud), raggiunse l’aeroporto. Le aeronavi che trovò dentro erano di varia grandezza, ma nessuna superava la categoria E. Pensò a quanto sarebbe stato bello e veloce volare con una di quelle macchine anziché prendere una nave, ma poi i nani si sarebbero lamentati tutto il tempo, e Oghren avrebbe anche rischiato di vomitargli addosso, perciò pensò fosse meglio evitare, altrimenti sarebbe stato costretto a trucidarli.

Al suo ritorno raggiunse nano e ragazza ad uno dei negozi d’armi e notò come il guerriero stesse esaminando le asce che quel misero fabbro umano aveva forgiato. Nemmeno l’Hans di Skingrad avrebbe impressionato Dorrak, mai e poi mai un fabbro qualsiasi di Balfonheim ci sarebbe riuscito. Ma, pensando che gli avrebbe fatto comodo avere delle armi che non avrebbero dato nell’occhio, Siirist pensò bene di acquistare una nuova cintura di cuoio a cui legò il fodero di una spada ad una mano di acciaio di Dalmasca e il fodero di un pugnale sempre in acciaio di Dalmasca, un arco di frassino e delle frecce con la punta in acciaio di Besaid. Pagò in tutto 890 guil e salutò il fabbro. Durin guardò disgustato gli acquisti del biondo e questi non poteva dargli torto, ma era sempre bene avere delle armi semplici.

 

La mattina dopo, Siirist si svegliò di buon’ora. Come aprì gli occhi, vide sul comodino del suo letto una busta e un sacchetto. Si alzò di scatto, gli occhi rossi e il fulmine che gli circondava le mani. Ma non c’era nessuno. Come poteva qualcuno essersi intrufolato nella sua stanza senza allarmare il suo settimo senso?! Compì una perlustrazione mentale ed estese il suo colore dell’osservazione, ma non trovò nessuno di sospetto. Ringhiando, prese il sacchetto e lo aprì, trovandovi al suo interno monete d’oro e d’argento. Sgranò gli occhi e, ancora più incuriosito e sospettoso, aprì la busta e tirò fuori la lettera al suo interno.

 

Vai all’aeroporto, hangar numero 89; il codice è 3744892. Dopo vieni a Rabanastre al numero 104 dei bassifondi.

 

Si preparò in fretta per uscire e cinque minuti dopo stava correndo lungo il molo in direzione dell’aeroporto. All’hangar 89 trovò un’aeronave di categoria C, progettata anche per viaggiare sull’acqua, da come si poteva intuire dallo scafo. Aveva una forma aerodinamica con due grandi propulsori posteriori e sei stabilizzatori sullo scafo. Aveva due portelloni posteriori situati tra i propulsori ed un altro sul lato destro. Si avvicinò a quest’ultimo e vide che era necessario digitare un codice per aprirlo, così inserì quello trovato nella lettera. Nel farlo, si rese conto di stare digitando la sua data di nascita: 3 luglio dell’anno 4892 della quarta era. Chi accidenti poteva essere stato a organizzare tutto quello? Una mezza idea gli venne in mente, ma non voleva darle troppo peso. Il portellone si aprì e Siirist notò come l’interno di esso fossero degli scalini; li salì e si trovò in un corto corridoio vuoto che finiva con una finestra sull’esterno; a destra la cabina di pilotaggio,  a sinistra un salottino. Un tappeto non troppo pregiato ricopriva il pavimento metallico, la stanza era divisa esattamente in due metà identiche: quattro divanetti erano posizionati attorno ad un tavolino circolare, una porta in fondo, due lunghe finestre sui lati, una rastrelliera per armi al centro di esse. Al centro della stanza, esattamente davanti a lui e in mezzo alle due porte, vi era un caricatore di Materia. L’unica cosa che risultava diversa nelle due metà della stanza era la scala a chiocciola che si trovava nell’angolo destro di fondo, che saliva al piano superiore. Andò verso quella a sinistra delle due porte di fondo e la aprì e vide un corridoio su cui si aprivano quattro porte, tre nella parete sinistra, una in fondo. Le aprì tutte, una ad una, e trovò tre cabine e un piccolo deposito. La parete di fondo del deposito era uno dei portelloni situati tra i propulsori, e il mezz’elfo vide che ci sarebbe entrata perfettamente l’automobile. Andò ad ispezionare l’altra porta che dava sul salottino, e vide che era identica. Al piano superiore vi era una cucina con un forno, dei fornelli ed un frigorifero alimentati a Materia, un tavolo, sei sedie, un lavandino anch’esso a Materia e vari cassetti e armadietti. Nella cabina di pilotaggio, sul cruscotto davanti al sedile centrale, vi era un manuale di istruzioni; non che gli servisse, gli sarebbe bastato sondare le menti di tutti i piloti che giravano lì intorno.

Lasciò rapidamente l’aeroporto e ritornò alla locanda, dove svegliò Sylgja e le disse che sarebbe stato via per qualche ora e che sarebbe dovuta andare a portare le borse sull’aeronave con l’aiuto dei nani. Andò al bancone al piano inferiore e pagò per un ulteriore giorno prima di dirigersi al parcheggio fuori dalla città. Prese l’automobile e partì per Rabanastre, dopo essersi assicurato della direzione da prendere sfruttando la mappa olografica del veicolo. Dopo quasi quattro ore di viaggio si fermò nel deserto a una ventina di chilometri di distanza dalla città, in mezzo ad alcune dune che formavano una sorta di vallata. Il vento soffiava forte, indicando l’avvento imminente di una tempesta di sabbia, perciò il mezz’elfo dovette indossare un mantello con cappuccio, una mascherina e degli occhiali per tenersi pulito dalla sabbia. Raggiunse la città e salì la scalinata appena prima della chiusura del cancello. Immediatamente si diresse al quartiere basso e da lì passò ai bassifondi, situati ancora più in profondità, tra il terreno sabbioso e il rialzamento della città. Non passarono cinque minuti che già volle vomitare per l’odore che permeava quel luogo, che arrivò al suo sviluppato olfatto come un calcio nelle palle.

Sapeva che Rabanastre era nota per avere un giro illegale di schiavitù, proprio come Galbadia, un mercato nero in cui uomini forti erano venduti come guardie o gladiatori e donne attraenti erano destinate alle case di piacere o per l’uso personale di alcuni vecchi ricchi. Non per niente Sylgja era stata lì, in nessuna altra città se non a Galbadia era “legale” vendere un familiare, e i mercenari traditori che avevano accompagnato il vecchio Lorgren e la nipote Nissa l’avevano voluta vendere proprio lì a Rabanastre. Per quale ragione le autorità non si occupavano di quei giri illegali era un mistero: i responsabili dovevano essere solo felici che situazioni simili erano fuori dalla giurisdizione dei Cavalieri, altrimenti si sarebbero ritrovati tutti impalati e mutilati dalle armi invocate di Eimir, oppure sarebbero diventati cibo per i suoi daedra, che da sempre aveva cercato di spronare il Consiglio ad intervenire.

I vicoli bui dei bassifondi puzzavano di birra, piscio, sperma e umori, in qualche angolo si sentiva l’odoraccio di feci e Siirist avrebbe potuto anche giurare che da qualche parte vi fosse un cadavere in decomposizione. Fu solo felice di trovare il numero 104, una casetta a due piani con una porta verde in mezzo a due finestre, al secondo piano vi erano due finestre identiche con una più piccola direttamente sopra alla porta. Inserì la chiave che aveva trovato nella busta ed entrò. Si ritrovò in un corridoio su cui si aprivano due porte, che terminava con una terza porta e lungo il quale iniziava una scalinata che andava verso il primo piano. Estese settimo senso e colore dell’osservazione, ma non percepì la presenza di nessuno; restò comunque sull’attenti. Aprì guardingo la porta di destra e trovò un salottino con un divano a tre posti situato davanti ad un mobiletto che reggeva uno sferoschermo; alcuni quadri di paesaggi decoravano le pareti, mentre quella dietro al divano era nascosta da una libreria colma di volumi. Erano letture di piacere, alcuni romanzi che Ryfon aveva letto, altri di cui aveva sentito parlare e che era intenzionato a leggere, prima o poi. C’erano libri di canzoni, poesie, trattati filosofici, storici. Di tutto, insomma. Ritornò nel corridoio e aprì la porta opposta a quella del salotto, e si ritrovò in una sala da pranzo con un bel tavolo rettangolare circondato da quattro sedie, due poltrone, un armadio a vetri contenente diversi bicchieri e calici e un armadietto che aveva dentro alcolici di ogni tipo, dal vino alla birra di produzione umana, ai superalcolici, alla birra nanica in tutti e tre i colori e alla mielassa elfica. Oltre la sala da pranzo vi era la cucina, con un forno ed un frigorifero alimentati a Materia, cassetti colmi di posate, bicchieri e piatti, armadietti ripieni di ingredienti per quasi ogni sorta di piatto.

La cucina aveva una seconda porta, che dava su un luogo difficilmente definibile, un incrocio tra uno stanzino ed un piccolo corridoio, su cui si aprivano altre tre porte: una opposta a quella della cucina e due sul lato destro. Il biondo aprì la prima delle due e vide il corridoio d’ingresso; la seconda dava su delle scale discendenti che passavano sotto a quelle ascendenti; quella opposta alla cucina si apriva su una seconda cucina, ma la differenza con la prima era sostanziale, e Siirist notò la prima cosa che poteva sembrare insolita.

‹Che cazzo ci fa una cucina alchemica così bene organizzata in un posto del genere?›

Era perfetta, erano presenti fiale, boccette, ampolle, fiammelle, alambicchi, pestelli, mortai, ingredienti di ogni sorta, era come rivedere l’ufficio di Adeo nell’ospedale della Rocca. Era addirittura equipaggiata con il necessario per creare le Materia. Ebbe una strana sensazione e ancora una volta controllò di essere effettivamente solo in quella casa. Non percepì la presenza né la forza vitale di nessun altro. Scrollò le spalle e si diresse nella cantina. Se la cucina alchemica lo aveva sorpreso, ciò che trovò al piano inferiore era ancora più inaspettato: tutte le pareti erano ricoperte di rastrelliere per armi, dove erano appese armi a Materia di ogni sorta, qualche spada e al centro della stanza vi era un portale per Oblivion.

‹Ma che cazzo…?!› proruppe Rorix, così colpito dal vederlo da venire distratto dai suoi allenamenti.

‹Lo so…›

In quel momento si sentì lo scarico di un gabinetto e dei passi al piano superiore.

‹Cosa?!›

Di nuovo Siirist estese l’Ambizione, ma ancora non trovò nessuno. Allora fece una perlustrazione mentale, aprendo occhi invisibili in tutta la casa: niente. Ringhiando, corse su per le scale, la mano sinistra avvolta nel suo fulmine demoniaco, ritornò nel corridoio d’ingresso e salì la seconda rampa. Arrivò ad un pianerottolo con tre porte. Aprì quella centrale e si ritrovò in una camera da letto con un bel letto a due piazze, un grande armadio, due cassettiere, un comodino su ogni lato del letto, un lampadario che scendeva dal soffitto e due poltrone. E su una di questa era seduto un uomo vestito con lunghi calzoni grigio scuro, degli stivali di cuoio nero, una camicia grigio chiaro, un gilè nero, una cintura dello stesso colore e una maschera grigia che lasciava scoperta solo la bocca sorridente.

«È così che mi saluti dopo tutti questi anni? Con una mano pronta a lanciare un fulmine mortale?»

La mano del mezzo demone smise di crepitare e i suoi occhi ritornarono ad essere azzurri. Fissò l’uomo che aveva davanti per qualche tempo.

«Sei la stessa persona di trentanove anni fa. E non sei cambiato di una virgola.» constatò.

«No.» il suo sorriso si accentuò ancora di più.

«Sei umano, su questo non ci sono dubbi.»

«Quindi…?»

«Sei un Cavaliere.»

La Volpe non rispose, continuò solo a sorridere. E tutto d’un tratto Siirist fu come colpito da un fulmine. Indipendentemente dal suo volere, la sua mente incominciò a rimettere insieme tutti gli indizi, tutti quei pezzi di informazione che aveva imparato di recente: Gilia gli aveva menzionato Adeo, a Rivendell Adeo era stato così furtivo da eludere persino lui, a Skingrad la Volpe aveva parlato del grimorio di Adeo come se lo conoscesse personalmente. Fu avvolto dall’orrore, il solo ammettere quella possibilità lo faceva impazzire, lo riempiva di disgusto.

«No…»

«Ti è venuta un’idea su chi io possa essere?» chiese con voce innocente.

No, non poteva essere. Siirist si rifiutava di credere che il suo idolo, il ladro più famoso e infame di Tamriel fosse in realtà Adeo, lo stesso Adeo che vestiva con un boa fucsia e che era stato solito nascondere coriandoli e lettere d’amore nei calzoni di Evendil. Ma certo, effettivamente aveva senso: in che modo, se no, ci sarebbe riuscito? La sua mano era così lesta e leggera da eludere persino l’attenzione del mezzo bosmer. Ma no! Siirist non lo avrebbe mai accettato! Non poteva crederci!

«Sì, dalla tua faccia deduco tu abbia effettivamente capito chi sono. In tal caso…» disse portando le mani al bordo della maschera.

Se la tolse, mostrando i soffici e vellutati capelli castani, le lunghe trecce che scendevano dalle basette ed il bel viso pulito di Adeo. Non aveva però alcuna traccia del suo trucco e la sua espressione non era quella solita. Era serio, in un modo in cui Siirist non lo aveva mai visto. Sorrideva, sì, ed era chiaramente divertito, ma i suoi occhi erano decisi, taglienti, proprio come il biondo si era immaginato gli occhi della Volpe Grigia. E capì.

«Quindi tutto quello che hai sempre fatto non era che una finta?»

«Sono veramente omosessuale, se è quello che stai chiedendo, ma non sono una checca. Però ammetto che mi sono sempre divertito a comportarmi come tale e rompere le scatole a tutti. Evendil soprattutto era uno spasso.»

«Chi altro sa che sei la Volpe?»

«Nove ladri in tutto, gli ufficiali di più alto grado all’interno della Gilda, più importanti persino dei doyen. Sono chiamati Code, le Nove Code della Volpe. Come sai, il Consiglio è a conoscenza della maggior parte dei ladri all’interno dell’Ordine, ma molti sono tenuti segreti. Ad esempio nessuno sa di me. Adrienne, la vice della seconda brigata, è una delle Code: solo Aulauthar sa che è una ladra, ma non sa niente del suo ruolo nella Gilda.»

«Da quanto mi segui?»

«Da sempre. Pensavi davvero di avermi seminato? Ma solo io e le Code sapevamo dove localizzarti, il resto della Gilda era veramente all’oscuro della tua posizione.»

«Quindi è vero che a Rivendell mi tenevi nascosto.»

«Cancellavo i tuoi residui magici e nascondevo la tua presenza, sì.»

«Mi dispiace per ciò che ti ha fatto Delmuth.»

«Solletico. Non posso dire di essere dispiaciuto per la sua attuale situazione, comunque. Ho da ringraziare te per questo, mi dicono. Ma ti pregherei di non usare più le mie tecniche finali contro un altro Cavaliere.»

Siirist annuì.

«Che posto è questo?» chiese, cambiando discorso.

«Un rifugio che ho preparato per te. Ti piace? L’ho equipaggiato con tutto ciò che ho pensato potesse servirti. Trovo che il portale per Oblivion sia particolarmente interessante.»

«Non voglio nemmeno sapere come accidenti hai fatto ad installarne uno.»

Adeo sorrise.

«Ti consiglio comunque di fare una capatina a Zanarkand. C’è un costruttore d’armi di nome Barrett Wallace che è un vero esperto di Materia. Potresti imparare qualcosa da lui per il tuo riequipaggiamento del Pistolero.»

«Quante cose sai di me, esattamente?» domandò quasi spazientito.

«Un po’.» disse divertito.

Sbuffando, Siirist si andò a sedere sull’altra poltrona. E vide Skimir, delle dimensioni di un gatto, che dormiva beatamente, appallottolato su un cuscino sul pavimento: non aveva percepito nemmeno la sua di presenza, nemmeno l’odore.

«Sei tu che nascondi Skimir o fa da sé?»

«È tutto lui. Anzi, possiamo dire che ho imparato io da lui. La famiglia di Skimir è il completo opposto degli Inferno, gli Incubo, i Custodi e tutti gli altri draghi che occupano la vetta delle famiglie draconiche. Per questa ragione hanno sviluppato l’arte della furtività: sono come camaleonti, li vedi ma non li vedi. Volendo, Skimir potrebbe ora illudere il tuo senso della vista e impedirti di vederlo, proprio come sta facendo con la tua mente e il tuo olfatto.»

Siirist annuì.

«Quindi era con noi a Skingrad?»

«Naturalmente.»

«Nemmeno Rorix si era accorto di niente.»

Il drago fucsia alzò la testa, sbadigliò e si rimise giù. Passarono alcuni minuti di silenzio in cui Siirist stava con le mani incrociate, i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa china, mentre Adeo lo osservava con un mezzo sorriso, i suoi occhi sempre inquisitori e penetranti.

«E ora?» domandò il mezz’elfo.

«Ora fai quello che vuoi mentre aspetti che Rorix finisca di imparare a controllare il fuoco nero. Il mio consiglio è di andare a Zanarkand da Barrett Wallace, poi puoi fare ciò che vuoi.»

«Sai anche di Rorix?»

«Una delle Code è stata ad osservarlo costantemente. So anche di Ilirea, senza che me lo chiedi, ma tranquillo, non abbiamo intenzione di sottrarti il tesoro: sei uno di noi, ed è proibito rubare fra ladri della Gilda. Però non dico di no ad un bel regalino: il mio compleanno è tra un paio di mesi, vedi di non scordartelo.» ridacchiò.

«Quando torno a Vroengard ti faccio un regalo enorme dopo tutto quello che hai fatto per me.»

«Non era niente di personale, stanne certo. Mi stai simpatico, questo è indubbio, ma non avrei mai lavorato tanto solo per qualcuno di simpatico. Sei importante per il futuro di tutti, che Delmuth e quegli altri cinque imbecilli lo capiscano o no; e sei un ladro della Gilda, perciò è mio dovere proteggerti.»

Siirist annuì; era quasi assente, il suo era un movimento più istintivo che altro.

«Andrò a Zanarkand, poi tornerò a Kami no seki. E quando dovrò andare a depositare a Oblivion nuove armi sigillate, tornerò qui. Grazie di tutto.»

«Ripeto, non c’è niente da ringraziare. Ora che abbiamo parlato, sappi che informerò anche i doyen della Gilda, così che non siano solo le Nove Code a doversi occupare di te. La Gilda è sempre al tuo fianco, Salvatore dei sette, e ti assisterà in ogni circostanza, ad eccezione delle tue battaglie, chiaramente: anche volendo, nessuno di noi potrebbe aiutarti in quelle.»

Ryfon notò come Adeo lo avesse chiamato con il suo vero nome ma tradotto nella lingua degli umani: era per dimostrargli che lo conosceva, ma senza disturbarlo interiormente.

«Prendi questo: è un giocattolino che ho costruito che, se azionato, interferirà con il filatterio, impedendo al Consiglio di rintracciarti anche se usi tecniche di energia magica. Ma funziona solo in luoghi chiusi, perché crea una sorta di barriera con le pareti, e solo uno piccolo. E può nascondere solo incantesimi non troppo potenti: quindi la tua arte della Vampa verrebbe comunque rintracciata.» aggiunse, lanciandogli un oggetto cilindrico di metallo.

Il mezz’elfo si alzò e per la prima volta si inchinò all’altro Cavaliere prima di uscire.

«Un momento, quasi dimenticavo: è stato costruito un hangar per la tua aeronave e da quello parte una galleria che arriva al seminterrato di questa casa, perciò la prossima volta che verrai qui, che lo farai certamente con l’aeronave, specie se ti trovi a Kami no seki, potrai usare l’hangar. Le sue coordinate sono state immesse nella mappa olografica dell’aeronave.»

«D’accordo.»

 

«No.»

«No.»

I due nani erano irremovibili, non avevano la minima intenzione di salire sull’aeronave. In tutta onestà, Siirist non riusciva a capire che cosa fosse che lo tratteneva dal cancellarli dall’esistenza con il Vuoto. Sbuffò ancora.

«Ascoltate, abbiamo questa aeronave e la useremo, che vi piaccia o no. Ha anche la funzione di galleggiamento, perciò la possiamo usare per navigare sul mare, ma per portarla dall’aeroporto al mare, bisogna comunque farla volare.»

«Noi potremmo andare ad aspettarti nel deserto, vicino al mare.» propose Durin.

Ryfon ci pensò su.

«D’accordo. Sylgja, porta l’automobile a un paio di chilometri dall’oasi, voi andate con lei e io vi raggiungerò con l’aeronave. Caricheremo l’automobile e voi salirete, a quel punto dovrete sopportare qualche metro di volo, almeno fino a che arriviamo abbastanza al largo per poter andare in acqua.»

«Pare giusto. A dopo.» rispose Dorrak.

Ma Sylgja non si mosse.

«Che c’è?» le chiese.

«La sai pilotare?»

«No, ma posso imparare da chiunque qui in giro, perché?»

«Perché io la so pilotare. È identica a quella di mio padre, se non per qualche leggera differenza di arredamento. Mi insegnò a pilotarla quando avevo dieci anni. Potresti andare tu a prendere l’automobile e io porto l’aeronave nel deserto.» propose.

Siirist ci pensò su. Effettivamente, se davvero conosceva quel modello di aeronave e la sapeva pilotare, era più conveniente lasciare a lei questo compito perché, anche se il mezz’elfo avesse sondato le menti di tutti i migliori piloti di Tamriel, non sarebbe comunque stato in grado di mettere in pratica perfettamente tutte le nozioni assorbite dagli altri: tutte le nozioni teoretiche non avrebbero mai potuto competere con le esperienze sul campo.

«D’accordo, la lascio a te. Nani, andiamo.»

 

Erano in viaggio da due giorni, navigando tranquillamente attraverso le onde del solitamente calmo mare interno di Tamriel. Sylgja si era rivelata molto pratica nel guidare l’aeronave e per il momento era stato inserito il pilota automatico. Altri due o tre giorni e sarebbero arrivati a Zanarkand. Nei dieci chilometri in cui la ragazza aveva fatto volare l’aeronave per portarla in acque profonde, i nani erano stati intrattabili, soprattutto Oghren, e Siirist li aveva dovuti calmare con un controllo mentale, cosa che entrambi avevano trovato molto fastidiosa. Per di più, Kondrat aveva persino scoperto di avere il mal di mare, quindi mentre Durin si godeva la brezza marina, l’altro stava perennemente a vomitare con la testa oltre il parapetto. E poi beveva dal suo otre. E ancora rimetteva, nuovamente beveva per poi rigurgitare. Siirist non avrebbe mai smesso di stupirsi della sua stupidità.

 

I problemi arrivarono con il quarto giorno di navigazione, quando parve abbattersi su di loro l’ira della Tempesta e di Tenma combinati.

«Brutto idiota di un nano, smetti di vomitarmi sul pavimento! No, non aprire la finestra, deficiente, vai al bagno!» sbraitò Siirist a Oghren.

Un’ennesima onda anomala sollevò l’aeronave ad un’altezza di quasi novanta gradi, mandando tutti verso il fondo del salotto, mentre Sylgja veniva schiacciata contro il suo sedile nella cabina di pilotaggio, e provocando un rigurgito di Kondrat. Siirist lo avrebbe arso vivo se non si fosse costretto ad entrare in calma assoluta, specie perché era colpa sua e di Durin se erano finiti in quella situazione: se avessero volato, non solo sarebbero già arrivati, avrebbero potuto passare sopra alla tempesta.

Come l’aeronave batté lo scafo sulla superficie del mare smosso, persone e mobili sobbalzarono e il mezz’elfo finì con la faccia nei succhi gastrici di Barba di fuoco. Per un momento il suo lato draconiano era lì per emergere, ma la calma assoluta lo represse. Si ripulì la faccia con un panno e andò dalla ragazza.

«Non puoi volare e uscire da questa tempesta?»

«Purtroppo no, se avessimo voluto volare, l’avremmo dovuto fare prima di venire investiti dalla furia degli dei. Non dirò che te l’avevo detto, ma… te l’avevo detto.» disse a denti stretti, faticando per guidare l’aeronave tra le onde e mantenerla a galla.

Siirist emise un piccolo ringhio, ben conscio che Orla aveva ragione: gli aveva detto che sarebbe stato meglio volare, ma come egli aveva riferito ciò ai nani, Durin, seppur malvolentieri, aveva accettato, ma l’altro aveva protestato ed aveva brontolato, infine convincendo Siirist a cercare di affrontare la tempesta.

Un’onda paurosa si abbatté sul vetro, fortunatamente rinforzato, che costituiva la finestra anteriore dell’aeronave. Una seconda la seguì in rapida successione e poi una terza, arrivando infine a lasciare una piccola crepa nel vetro.

«Oh-oh.» mormorò Sylgja.

«Mannaggia a Soho e Tenma, porci tutti e due!» se ne uscì Siirist, la calma assoluta abbandonata, mentre ritornava al salotto.

«Ehi! Non bestemmiare! E che c’entra Soho, scusa?» se la prese la ragazza.

«C’entra sempre.» rispose di sfuggita.

Salì al piano superiore e, seppur riluttante, concentrò l’energia magica nel palmo sinistro.

«Inconsistenza.» e, gli occhi rossi, volò fuori dall’aeronave, annullando l’incantesimo spaziale e rimanendo in levitazione a pochi centimetri dal tetto metallico.

Un’onda paurosa lo investì in pieno ma il mezzo demone non se ne curò nemmeno, invece allargò le braccia, i Cerchi d’argento che si illuminavano.

«Sfera di ghiaccio, proteggi l’aeronave dalla furia del mare e del cielo.»

Attorno alla macchina si formò una sfera di resistente ghiaccio diamantino e il mago, sempre con l’Inconsistenza, rientrò all’interno e andò subito alla sua stanza per asciugarsi e cambiarsi di vestiti, liberando un altro incantesimo spaziale che desse l’impressione a tutto all’interno dell’aeronave che non ci fosse il mare in tempesta, così che tutti potessero rilassarsi.

‹Speriamo che la tempesta, almeno, vi mandi via da lì, almeno il Consiglio non ti potrebbe rintracciare.› disse Rorix.

‹Sinceramente, il Consiglio è l’ultima delle mie preoccupazioni al momento.›

 

Cinque due giorni, Siirist si svegliò e si accorse che l’aeronave aveva smesso di muoversi. Allora si alzò di scatto e andò a vedere fuori da una finestra, scoprendo che si erano arenati su una spiaggia dalla sabbia bianchissima e che il cielo era limpido come lo poteva essere solo dopo una tempesta terribile come quella che era appena finita.

 

Aprì la porta di metallo ed entrò nella cripta che si illuminò da sola. Solo il tocco del Cavaliere d’Inferno sarebbe dovuto essere capace di aprire la porta della tomba, ma lui aveva trovato un modo di aggirare gli incantamenti del Cavaliere d’Alba: non per niente era la Guida. La porta si richiuse e il sarcofago bianco si aprì e da esso uscì Eleril. Lo studiò per qualche tempo, l’espressione seria.

«Glarald, suppongo.»

«Proprio così. Che le stelle vi proteggano.»

«E che la tua lama resti affilata, Guida del Salvatore. Deve essere stato difficile per te riuscire a intrufolarti a Imladris, elfo oscuro.» 

«Non quanto il riuscire ad aprire la porta della vostra tomba, Eleril. Per fortuna conosco bene Siirist e Vulcano, perciò sono riuscito ad ingannare i vostri incantamenti creando un tocco che falsifica quello del Cavaliere d’Inferno.»

«Complimenti, sei esattamente come ti ha descritto Siirist. Cosa posso fare per te?»

«Come ben sapete, sono la Guida del Salvatore. È mio compito condurre Siirist lungo la strada del suo destino. Ho bisogno di sapere di più sugli angeli e Nindoria. Sono stato con il mio drago Vadraael per tutta Gaya in cerca di Nindoria, ma non c’è, non esiste più. L’ho persino cercata nelle profondità marine, perché si supponeva fosse sprofondata. Ma non c’è. Come può Siirist andare dagli angeli quando Nindoria è sparita dalla faccia di Gaya?»

«Nessuno ha mai detto che si trova su Gaya.» sorrise divertito il non-morto.

 

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola FRATELLO DEGLI ORCHI. Siirist farò la conoscenza di una tribù di orchi e di nuovi alleati della Setta dello Scorpione e delle loro potenti armi.

Ritorna all'indice


Capitolo 79
*** FRATELLO DEGLI ORCHI ***


FRATELLO DEGLI ORCHI

 

Splendido. L’aeronave era danneggiata in un modo che Siirist avrebbe saputo aggiustare solo usando la negazione temporale; aveva aspettato anche troppo ad erigere la barriera di ghiaccio diamantino.

«L’alimentatore centrale è saltato, è quello il problema, non i danni allo scafo, facilmente aggiustabili con le tue abilità magiche.» comunicò Sylgja dopo un’attenta ispezione.

«Questa è tutta colpa tua, stupido nano! Se avessimo volato oltre la tempesta, non ne saremmo stati colpiti!» sbraitò Siirist contro Oghren.

«Che hai detto, sbarbatello? Ripetilo alla mia ascia, se ne hai il coraggio!» ribatté impugnando Narik.

Ryfon strinse i pugni e fece per squartare il nano in due quando Durin riuscì a calmarli.

«Siirist, calma, non è il caso di metterci a litigare fra noi. Non ha senso. Sylgja, dove ci troviamo esattamente? Dovremmo raggiungere la città più vicina e comprare il necessario per le riparazioni.»

Ryfon sbuffò, ignorando il drago. Possibile che si fosse fatto rimproverare da Durin? Scosse la testa, deluso da se stesso.

‹Senza contare che sei tu il capo, avresti tranquillamente potuto decidere di ignorare Oghren.› gli ricordò Rorix.

Non gli rispose. Si appoggiò con la schiena contro lo scafo dell’aeronave, aspettando la risposta della ragazza che stava analizzando la mappa digitale di Tamriel.

«La costa Phon, nella zona nord-ovest di Ivalice. La città più vicina è Timber, a duecento chilometri in direzione sud-ovest. Da lì si può prendere il treno per Galbadia, Deling, Balamb e Arcadia.»

«È distante.» commentò Durin.

Siirist sospirò, pensieroso sul metodo più efficace per risolvere la situazione. Avrebbe potuto dislocare baracca e burattini a Kami no seki e lasciar perdere la sua nuova fissazione con la tecnologia a Materia. Il Consiglio già sapeva che aveva abbracciato il suo lato demoniaco, lo avevano visto con quella che era probabilmente la faccia di Asura che lo possedeva, e la sua aura demoniaca era stata qualcosa di mai sperimentato. Ma no, era meglio di no, potevano solo pensare che avesse imparato a controllarsi; dopo quello che aveva fatto a Delmuth e Injros, era meglio non provocare ulteriormente gli Anziani: quando Rorix avesse completato il suo addestramento, sarebbero ritornati insieme a Vroengard, allora tutto sarebbe stato chiarito. E se a quei sei rincoglioniti dei Vecchi non andava bene, li avrebbe arsi vivi con il fuoco nero, ma per il momento doveva sperare di poter mantenere una situazione pacifica; aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile, lui, a differenza di qualche Vecchio rimbambito, riconosceva chi fosse il vero nemico. E non voleva usare un incantesimo della portata della negazione temporale per dare via la sua posizione. Certo, avrebbe potuto aggiustare l’aeronave e poi subito volare verso Zanarkand, ma in ogni caso voleva rimanere invisibile al Consiglio il più a lungo possibile. Senza contare che aveva creato quella sfera di ghiaccio proprio ad un giorno di viaggio da Zanarkand, per il momento era meglio evitare di dirigersi subito lì.

«Sylgja, prendi l’automobile e vai a Timber con dieci ori, sperando che bastino per comprare un alimentatore di riserva. Durin, la accompagnerai. Intanto io esplorerò la zona, sperando di poter trovare qualcosa da mangiare. Vi do tre giorni al massimo; se non siete di ritorno, vi vengo a cercare.»

I due annuirono e si avviarono all’automobile. Siirist li osservò partire prima di legarsi alla vita la sua cintura con spada, pugnale e faretra, prendere il suo arco e uscire dall’aeronave.

«Se qualcuno viene a controllare, sai come dire che questa è l’aeronave del Cavaliere d’Inferno, giusto?.» disse a Kondrat.

«Certo. Se ci sono guai, Orgoglio non avrà di che lamentarsi.»

«Bene. Non bere troppo, sei di guardia, devi rimanere sobrio.»

«Ah, vai a farti mangiare da un mostro marino!»

Ryfon ridacchiò e lo salutò con un movimento della mano.

L’aeronave si era arenata accanto ad un grande arco naturale di roccia, alto sui trenta metri. Oltre esso si proseguiva verso ovest, mentre Siirist decise di andare a sud, seguendo la parete rocciosa sopra alla quale cresceva una ricca vegetazione. Poteva darsi che ci fosse selvaggina, valeva la pena controllare, perciò richiamò il suo sangue demoniaco e si alzò in volo. Da lassù la vista era splendida. La costa Phon era un luogo incantevole, con la sabbia bianchissima che si estendeva per chilometri, ben oltre ciò che anche gli occhi elfici di Siirist potevano vedere, affiancata da un mare cristallino che faceva invidia anche alle spiagge di Besaid e Kilika, note mete per il turismo estivo di Spira e tutta Tamriel. Non che Ryfon avesse mai visto quelle isole, ma ne aveva sentito le storie. La regione di Phon era lussureggiante, tranquilla, un posto perfetto per costruirsi una casa per le vacanze. Ma forse era meglio prima visitare Besaid prima di decidere dove avrebbe voluto la sua abitazione estiva. E se al Consiglio non piaceva l’idea, li avrebbe arsi vivi. Ormai aveva deciso, non avrebbe vissuto alla Rocca, non dopo la libertà che aveva provato in quegli anni, non dopo le comodità dell’Akai goten, non dopo aver trovato il tesoro di Ilirea.

Camminò per quasi un’ora, quando i sensi del mezz’elfo gli fecero percepire la presenza di una forma di vita ad un centinaio di metri di distanza. Espanse la sua coscienza, individuandone a migliaia, milioni, soprattutto all’interno del terreno, ma quella che gli interessava era più grande e camminava al suo stesso livello; aprì il suo occhio mentale, vedendo un grande coniglio marittimo: pelo verde chiaro, perfetto per mimetizzarsi tra la vegetazione, lunghe orecchie che arrivavano al terreno, e complessivamente grande quanto un puledro. In una parola, cena. Avrebbe potuto ucciderlo schiacciandogli completamente la mente, oppure privandolo della sua energia. Ma sarebbe stato troppo semplice, inoltre fare un po’ di pratica con l’arco non gli avrebbe fatto male. L’ultima volta che lo aveva usato era stato più di un anno prima, a Dalmasca, per salvare quella ragazza dai mercenari doppiogiochisti.

Eliminò la sua presenza e si mosse più furtivamente possibile, ma purtroppo senza l’ausilio di alcun misticismo, anche il suo passo leggero faceva rumore sul sottobosco, e i grandi conigli marittimi erano molto paurosi e dotati di un udito acutissimo. Estrasse una freccia dalla faretra e la appoggiò all’arco, incoccandola; la destra era pronta ad alzarsi, la sinistra pronta a tendere. Con il suo controllo mentale, rallentò il suo battito cardiaco e il suo respiro; si fece tutt’uno con l’ambiente, ulteriormente cancellando ogni traccia della sua presenza. Si chiese se la Volpe sarebbe stato in grado di individuarlo.

Alzò la testa oltre un gruppo di cespugli e vide la sua preda. Era lì, tranquilla, che mangiava beatamente l’erba del terreno, ignara che presto una freccia le avrebbe perforato il cranio. Siirist controllò ancora le armi che aveva in mano: l’arco era di frassino, le frecce pure, con una punta di acciaio di Besaid. Niente di speciale, quindi, non come l’arco di ferrocorteccia del vecchio Lorgren, le frecce pure erano di un acciaio di bassa qualità. Si chiese se sarebbero state in grado di perforare il cranio dell’animale oppure no. Lo vide girare la testa, il suo occhio marrone chiaro che riflesse la luce del sole. Sarebbe stato un colpo anche più difficile, ma proprio per quello valeva la pena tentare. Alzò il braccio e tese la corda, pronto a rilasciare. Lasciò andare la corda, la freccia saettò e prese il coniglio dritto nell’occhio, abbattendolo.

‹Sono fico.› si complimentò soddisfatto.

‹Alea ci sarebbe riuscita da un chilometro di distanza e con tutti gli alberi di mezzo. Certo, non con quell’arco, la freccia non avrebbe mai volato così distante.› gli ricordò Rorix.

‹Sappiamo tutti che Alea è più brava con l’arco, ciò non cambia che dopo un anno senza pratica, sono ancora capace di colpire dove voglio.›

Siirist andò a prendere la sua preda quando sentì una presenza ostile e un ringhio alle spalle. Si girò, un’altra freccia pronta al lancio. Dagli alberi uscì un giaguaro a sciabola, le due lunghe zanne che uscivano dalle fauci serrate, le labbra ritratte che mostravano il resto della dentatura ugualmente affilata. La coda terminava in una lama dalla forma simile ad una saetta, tagliente come un rasoio, i brillanti occhi verdi luccicavano per il desiderio. Siirist lo raggiunse con la mente, dicendogli di calmarsi e fare il bravo, altrimenti sarebbe morto. Rimise la freccia nella faretra, appoggiò l’arco a terra e sguainò la spada. Con la destra sollevò una delle grandi zampe del coniglio e abbassò la sinistra; recise l’arto in un colpo e lo lanciò al giaguaro. Il grande felino lo afferrò nelle zanne e si allontanò. Siirist sorrise, felice di non dover uccidere più animali del dovuto. Rinfoderò la spada, raccolse l’arco con la destra e con la sinistra sollevò il resto del corpo del coniglio. Era pronto a ritornare all’aeronave quando avvertì uno scoppio di spirito combattivo provenire oltre la collina alle sue spalle. Espanse la sua coscienza e individuò numerose presenze intelligenti e almeno il doppio che emanavano un’enorme desiderio di distruzione. Aprì un occhio mentale e vide una fortificazione costruita alle pendici della collina, dentro alla quale viveva una tribù di orchi; numerosi troll silvani li stavano attaccando, alcuni addirittura salendo sulla collina e da lì saltando all’interno dell’accampamento. Ringhiando, Siirist si alzò in volo e lasciò il cadavere del coniglio in cima ad un albero, sperando che nessun predatore ci arrivasse. Arrivò oltre la collina, una freccia pronta al lancio. Gli orchi non erano portati per il misticismo, ma in almeno ogni tribù si trovava uno sciamano, stregone o, anche più raramente, mago che fosse. Sarebbe certamente stato in grado di percepire la differenza tra una magia di fulmine ed i poteri demoniaci del mezzo raikou no bakemono, perciò pensò fosse meglio evitare di usarli. Prese la mira e liberò la freccia contro un troll che stava per attaccare un bambino, anticipando di poco una delle donne che era uscita di fretta dall’armeria con in mano il suo martello da fabbro. Lo abbatté comunque sul cranio del mostro già ucciso dalla freccia, aprendolo e facendone uscire il contenuto in uno schizzo grottesco. Il mezz’elfo ritornò a terra, rimanendo in cima alla collina, i suoi occhi che ritornarono ad essere azzurri. Liberò in rapida successione altre tre frecce sui troll, uccidendone uno, azzoppandone un altro e mancando il terzo completamente.

‹Non sei più tanto fico, eh?› ridacchiò Rorix.

‹Taci.›

Portò in fretta la mano alla spada, sguainandola e tagliando a metà il troll che lo stava per attaccare. Respiravano rumorosamente, correvano aiutandosi con le zampe anteriori, più lunghe di quelle posteriori. Sembravano dei gorilla più brutti. Il pelo verde scuro, le facce lunghe, grandi denti gialli e occhi neri e rotondi, il viso che pareva decadente. Erano veramente brutti. Con ancora la spada in mano, Siirist afferrò una freccia usando anulare e mignolo e la incoccò, per poi scagliarla contro un troll ai piedi della collina che stava cercando di arrampicarsi oltre la fortificazione. Subito mosse il braccio sinistro in un affondo alla gola di un altro troll che aveva deciso di attaccarlo.

Gli orchi erano dei guerrieri eccellenti, quasi tutti armati con grosse armi a due mani, spadoni prevalentemente, ma anche martelli. Ryfon non vide asce però; le uniche armi del genere erano ad una mano, solitamente accompagnate da una spada ma anche da un’altra ascia, usate dalla minoranza. Siirist vide uno di questi impugnare un martello da guerra nella sinistra e una spada nella destra; con il martello colpì il mento di un troll, sollevandogli il capo, prima di muovere la spada in un tondo dritto che lo decapitò. L’orco aveva una pelle verde pallido, tendente al grigiastro, il naso non esageratamente schiacciato e i canini inferiori che gli uscivano dalle labbra di appena qualche millimetro. Aveva la testa calva se non per una striscia al centro, i capelli acconciati in modo che rimanessero dritti, alti cinque centimetri e terminanti in due lunghe code intrecciate e adornate con piccole perline azzurre. Tra tutti i guerrieri, Siirist trovò che quello fosse il più feroce, come dimostrava il tatuaggio ocra che gli attraversava il viso, che simboleggiava la sua abilità di guerriero.

Indossava una tunica di cotone senza maniche, dei calzoni di cuoio indurito e degli stivali di simile fattura. Le armi avevano la tipica fattura orchesca, leggermente ricurve e con le lame seghettate, del colore naturale dell’acciaio orchesco verde scuro tendente al nero, come tutte le altre armi della tribù. Quella di dipingere e decorare le armi era una cosa prettamente umana e elfica, e anche i demoni consideravano le tsuba delle katana una forma d’arte, così come lo era l’hamon, la linea che divideva le lama della katana, ma nani e orchi aveva un’idea tutta diversa delle armi: “se le apparenze uccidessero, penserei alle apparenze”, pareva essere il loro motto, e poche armi naniche erano decorate, come Volund, Narik o la spada di marmo nero e il martello che Orik gli aveva regalato. Vide due troll in procinto di assalire l’orco da dietro, mentre questi era impegnato a combatterne due che aveva davanti; Ryfon rinfoderò la spada e incoccò due frecce, prendendo bene la mira. Quello era un tiro difficile, uno che senza pratica era molto facile da sbagliare. Lasciò andare la corda e i due dardi sibilarono in aria; il primo prese un troll dritto nella schiena, indebolendolo ma non uccidendolo, il secondo mancò completamente il bersaglio, prendendo invece uno dei due troll che l’orco stava combattendo in pieno petto. L’orco si girò di scatto e abbatté il suo martello sul cranio del mostro con la freccia nella schiena e decapitò l’altro. Alzò lo sguardo verso la collina, osservando attentamente il suo inaspettato aiutante. Aveva gli occhi di un azzurro spento, come le perline nei capelli. Annuì, un gesto rapido e deciso che Siirist ricambiò.

La sua attenzione fu colta dall’interno della fortificazione, dove molti troll erano riusciti a penetrare e pochi guerrieri erano rimasti, intenti com’erano ad affrontare l’orda all’esterno.

‹Sono tantissimi! Questo sembra quasi un attacco pianificato! Non sapevo i troll potessero essere così organizzati.› pensò insicuro.

‹Sono d’accordo, c’è qualcosa di strano.› si aggiunse Rorix.

Una delle donne della tribù, che ancora indossava il suo lungo grembiule di pelle da fabbro, brandiva uno spadone a due mani in maniera selvaggia, tagliando un troll in due mentre questo era all’inseguimento di due bambini.

‹Ci sa fare.› ammirò il drago.

‹Ed è solo un fabbro.›

‹Mi spieghi come avete fatto voi umani a conquistare quasi tutta Tamriel? Siete la razza più inferiore di tutte! Certo, ora avete la Materia, ma un tempo era tutta questione di muscoli. Siete fortunati che gli elfi non hanno mai avuto desideri di conquista e che siate giunti a Ivalice solo dopo essere entrati a far parte del Patto con noi: gli orchi vi avrebbero fatti a pezzi, se no.›

‹Infatti i demoni stavano facendo una strage di umani a Condoria, motivo per cui ci siamo uniti al Patto. Huh, è da parecchio che non mi considero un umano...›

‹Nel tuo cuore lo resterai sempre, non dimenticarlo, Sarhael tel’ sie.› ridacchiò l’Inferno.

Siirist si sentì vibrare nell’essere chiamato con il suo vero nome. Era come un calore proveniente dall’interno, accompagnato da un brivido che gli diede la pelle d’oca su tutto il corpo. Se quella era la sensazione provata nell’essere chiamato con il vero nome da qualcuno senza alcuna intenzione malvagia, anzi da qualcuno di vicino e fedele come solo lo poteva essere il proprio compagno mentale, non voleva sapere cosa si potesse provare ad essere controllati da qualcuno con intenti meno piacevoli. 

‹Giusto. A proposito, Fimbrethil runia, come procedono i tuoi studi?›

‹Beh, è ufficiale, possiedo il fuoco nero. L’ho risvegliato, ora lo posso respirare anche senza l’uso dei Ruggiti. Purtroppo è difficile da controllare e dopo una sola fiammata mi sento i polmoni sull’orlo di cedere, come avessi esalato fiamme per una settimana di fila. Dovrò passare molto altro tempo qui al nido per imparare ad usarlo a dovere.›

‹Fai in fretta, mi manchi.›

‹Anche tu.›

In tutto questo, Siirist aveva esaurito le sue frecce, abbattendo, ferendo e mancando svariati troll e era balzato all’interno della fortificazione degli orchi, spada alla mano, facendo a pezzi tutti i nemici che incontrava, il colore dell’armatura avvolto attorno alla lama. A differenza delle sue emozioni con il Juyo, usare l’Ambizione potenziava il danno inferto dall’arma senza corroderla. Se una spada di acciaio di Arcadia era stata resa inutilizzabile dopo una breve battaglia, l’inferiore acciaio di Dalmasca sarebbe resistito anche meno, e il mezz’elfo non voleva essere costretto ad andare in giro con la spada di marmo nero, un’arma che attirava troppe attenzioni.

‹Perché viaggiare con due nani non dà affatto nell’occhio.› fece notare Rorix.

‹Taci.›

Lasciò cadere a terra l’arco e portò la destra al pugnale, impugnandolo alla rovescia; lo sguainò facendolo scivolare nella mano e stringendolo sulla lama. Lo lanciò e colpì un troll nella nuca, uccidendolo all’istante. Quella era un’abilità che non avrebbe mai perso, a differenza della maestria con l’arco.

‹Non capisco perché non assali le menti di questi troll e la fai finita.›

‹Sarebbe un oltraggio all’onore degli orchi. È la loro battaglia, che devono vincere con le loro forze. È molto probabile che il mio solo interferire li abbia fatti arrabbiare. Non che abbiano il tempo di farlo notare ora, chiaro.›

‹Perché tutti i figli di Titano devono avere la testa così dura?›

«Spiriti della terra, date forza a questi prodi guerrieri!» sentì dire un orco.

Ryfon guardò nella sua direzione, vedendo, appunto, lo sciamano della tribù, vestito con pelli di animali, il grande cranio di un felino a sciabola (giaguaro o tigre) indossato come copricapo e in mano un lungo bastone che terminava con un teschio di uccello, probabilmente un corvo, a giudicare dalle lucide penne nere che erano legate sotto. L’orco stregone muoveva il suo scettro mentre evocava gli spiriti e questi subito entrarono in azione.

‹Ce ne ha messo di tempo.›

‹Ricorda che non sono portati alle arti mistiche, è probabilmente stato a meditare tutto questo tempo prima di pronunciare quella evocazione.›

‹Patetico.›

‹Continui? Ricorda che non tutti hanno avuto la stessa fortuna che ho avuto io di studiare il grimorio di Eimir!›

‹Bah. Insetti. Solo che non sono rosa, ma verdi questa volta.›

Ryfon scosse la testa: ormai il suo drago si era montato troppo, specie dopo aver scoperto di poter esalare il fuoco nero.

Il mezzo demone corse verso un gruppo di troll che stava accerchiando due donne e si mise in un punto strategico che gli avrebbe permesso di colpire tutti i mostri in un colpo. Il busto in avanti, le braccia incrociate davanti al petto con la spada che sfiorava le costole destre, liberò un tondo dritto manco che generò una potente onda d’urto che tranciò le bestie.

«State bene?» chiese alle orchesse.

Una di loro annuì, mentre l’altra gridò puntando in avanti il braccio, avvisando il mezz’elfo dell’imminente pericolo alle sue spalle. Come se il settimo senso non lo avesse già avvertito.

Mosse la spada in uno sgualembro dritto manco, tagliando diagonalmente il troll. Questo cadde a terra, diviso in due, il sangue grigiastro che schizzò addosso al suo uccisore.

‹Bah!› si schifò.

Da fuori la palizzata arrivò il rumore di un’esplosione e con la sua coscienza espansa, Siirist percepì l’estinguersi di numerose forme di vita. Aprì un occhio mentale e vide tutti, orchi e troll, a terra. Chi non era morto, era gravemente ferito.

‹Nessuno di quei guerrieri è un mistico e nessuno aveva armi a Materia, non possono essere stati loro a causare l’esplosione. Stesso discorso per i troll.› disse preoccupato Rorix.

Siirist ampliò ulteriormente la sua coscienza, tutta l’area gli apparve nera e tutti gli alberi, i sassi, i fiori, le colline, i fiumi gli apparvero come sagome. All’interno di quel nero infinito brillavano diverse luci giallo/arancioni. Rimosse le forme di vita più piccole dalla sua perlustrazione, concentrandosi solo su quelle delle dimensioni di orchi e troll. Vide molte nuove forme di vita giungere dalla foresta, perciò guardò meglio con un occhio mentale e vide un gruppo di troll che avevano delle cinture legate attorno al busto reggenti diverse capsule.

‹Dicevi dei troll?›

‹Materia esplosive?› ringhiò preoccupato il drago.

L’occhio mentale di Ryfon ritornò ad essere un’analisi dell’area e delle sue forme di vita. Espanse la sua coscienza oltre la foresta da cui stavano provenendo i troll e vide innumerevoli luci che significavano energia vitale. Di nuovo modificò il suo occhio mentale in modo da vedere chiaramente che cosa aveva di fronte. E ciò che gli apparve alla vista non gli piaceva. Almeno una cinquantina di umani tenevano troll ingabbiati e li stavano liberando e aizzando contro gli orchi.

‹Nemmeno mostri senza controllo come i troll si meritano di essere trattati in questo modo.› ringhiò il mezzo demone.

‹Forse è il caso di fare uso di un po’ di magia.›

‹Vedranno che cosa è in grado di fare il Cavaliere d’Inferno.›

«Sciamano!» chiamò.

L’orco interessato si voltò.

«Dimmi, straniero, è chiaro che sei qui per aiutare.»

«Sì. La situazione è più grave di quanto pensiate. Fino ad ora ho contenuto il mio potere per non rischiare di offendere il vostro onore, ma se continuiamo così, l’intero villaggio verrà raso al suolo.»

«Subiamo continui attacchi da parte di questi troll da oltre una settimana. I nostri prodi guerrieri hanno più che reso omaggio a nostro Padre. Se puoi fare qualcosa per fermarli, te ne saremo tutti eternamente grati.»

Siirist annuì e si diresse alla fucina da cui prese due spade ad una mano. Non aveva mai usato armi di fattura orchesca. L’acciaio orchesco era lavorato anche da fabbri umani, Hans lo aveva spesso usato, ma la fattura era sempre stata quella di spade dritte o sciabole o scimitarre, tutte varianti di spada usate dagli umani di Tamriel. Ora avrebbe avuto modo di sperimentare una vera spada di origine orchesca: il suo animo di fabbro ne gioiva.

‹Prima di tutto, sbarazzarsi dei troll in avvicinamento.›

Corse verso la palizzata e la superò con un balzo, dicendo a tutti i guerrieri di rimanere indietro. Vide quello con le trecce e le perline azzurre fissarlo con sguardo indecifrabile. Con la mente raggiunse quelle dei troll, schiacciandole fino ad estinguerle, per poi correre verso i cadaveri. Si inginocchiò ed appoggiò le spade a terra per esaminare meglio le capsule legate alle cinte. Dovevano certamente essere gli esplosivi, ma non erano niente di magico né Materia.

‹Che diamine...?›

Il settimo senso lo avvisò dell’avvicinamento rapido di qualcuno alle sue spalle. La sinistra scattò verso l’impugnatura di una delle spade e si voltò appena in tempo per puntare l’arma alla gola dell’orco.

«Non vi avevo detto di restare indietro?»

«Mi hai salvato la vita e hai ucciso i nostri nemici per noi. Perché? Chi sei, straniero?»

«Non ha importanza. Sei ferito, torna al tuo accampamento prima che finisci ammazzato.»

«Questa è la nostra battaglia, non posso permettere ad uno straniero di interferire.»

«Ho il permesso del tuo sciamano.»

«Non ho detto che ti fermerò, ma non è giusto che fai tutto da solo. Ti accompagnerò.»

«Non ce ne è bisogno.»

«Allora dovrai fermarmi.» rispose stringendo la presa sulle sue armi.

La mano sinistra stringeva ben più della destra che pareva indebolita. La brutta ferita che aveva riportato al bicipite, da cui colava un gran rivolo di sangue, ne era indubbiamente la causa.

«E va bene. Ma non mi seguirai con il braccio in quelle condizioni.»

Siirist mosse il suo Flusso a toccare quello dell’orco e la ferita si rimarginò, restituendo all’orco tutta la sua forza. Alla faccia di rimanere invisibile al Consiglio. Appena fosse tornato all’aeronave avrebbe usato la negazione temporale e si sarebbe messo poi in cerca di Sylgja e Durin.

«Ma come...?»

«Non ti aspetterai che un mago riveli i suoi segreti, vero? Ora andiamo.»

Pensando a che genere di tecnologia fossero quei dispositivi legati ai troll, il mezz’elfo corse verso la base degli umani che stavano manipolando i mostri, l’orco che lo seguiva egregiamente. Certo, non stava andando al massimo della velocità che i suoi 350mila douriki gli consentivano, ma stava comunque mantenendo un buon passo al di sopra di 30 km/h.

‹È veloce. Gli orchi sono forti, resistenti, determinati e odiano essere sottomessi. Un giorno o l’altro qualcuno dovrà spiegarmi come avete fatto voi insetti umani a conquistare più di metà Tamriel. Senza contare i continenti esterni.›

Ryfon ridacchiò all’ennesimo commento del suo drago sulla debolezza degli umani e continuò nella sua corsa fino a che sentì di essere vicino al nemico. Allora si fermò, segnalando all’orco di fare altrettanto.

‹Non vogliamo attirare troppa attenzione, non sappiamo che genere di difese abbiano applicato a quest’aria. Ogni comunicazione dovrà essere fatta telepaticamente. Siamo intesi?› disse all’orco.

Questi annuì e si acquattò. Un metodo di furtività piuttosto inefficace, ma non ci si poteva aspettare molto da qualcuno che non fosse della Gilda o un ladro in generale. Il più silenziosamente possibile, i due si avvicinarono al limite della radura in cui si erano accampati gli umani. Già con il suo occhio mentale Siirist aveva visto quel luogo, pieno di grandi casse metalliche assieme a tende, panche, e le gabbie con dentro i troll. Le persone erano vestite in maniera insolita, non qualcosa che aveva colpito il mezz’elfo durante la sua perlustrazione mentale, concentrato com’era sui troll, ma ora il suo attento occhio da ladro era intento a cogliere tutti i dettagli. Quegli abiti non erano di alcuna regione di Tamriel, ne era sicuro al 90%, e le loro armi erano qualcosa di mai visto. Certo, erano fucili, su quello non c’erano dubbi, ma non erano alimentati a Materia, non ne percepiva alcuna al loro interno. Le guardie avevano armature in un certo senso simili a quelle che Siirist aveva visto a Zanarkand, ma erano comunque diverse. Più meccaniche, se definirle così aveva senso. Con la coda dell’occhio osservò l’orco che restava calmo e paziente. Gli orchi erano per definizione belligeranti, ma gli faceva piacere averne incontrato uno più paziente dello stereotipo che gli umani avevano di quella razza.

‹Ah! Eccoti la risposta! Gli umani hanno conquistato le terre attualmente dell’Impero Septim perché sono stati sempre più intelligenti e furbi degli altri occupanti. Come hai giustamente detto, gli elfi non sono mai stati interessati ad uscire dalla Yaara Taure, perciò non sono mai stati un pericolo se non attaccati; i nani erano già rintanati nelle loro montagne; gli scontri con i demoni hanno portato gli umani ad unirsi al Patto; gli orchi erano in minoranza rispetto agli umani e sono stati facilmente conquistati usando ingegno e vantaggio numerico.›

‹Hmpf.›

Siirist rise, per poi riconcentrarsi sull’obiettivo presente.

‹Cosa stiamo aspettando?› gli chiese l’orco dopo qualche minuto.

‹Sto cercando di capire che tipo di armi stiano usando. Sono qualcosa che non ho mai visto né ne ho sentito parlare. Se volessi solo distruggerli, non sarebbe difficile, ma voglio anche capire chi siano. Vedi i vestiti? Non sono di Tamriel.›

L’orco annuì e pure lui iniziò ad osservare la zona. Qualcuno si mosse, era un uomo dalla carnagione pallida e lunghi capelli corvini che gli arrivavano al bacino. Aveva la corporatura esile, ma l’atteggiamento da capo. Parlò in una lingua che non era la comune lingua degli umani di Tamriel, e alcune guardie partirono rapidamente lungo la strada che Siirist aveva visto essere usata dai troll bombardieri quando aveva osservato la zona con il suo occhio mentale. Ryfon continuò ad analizzare la radura, chiedendosi che cosa fosse contenuto in quelle grandi casse metalliche. L’uomo che doveva essere il capo disse qualcosa ad un altro che gli stava accanto, il quale chiamò un’altra persona ancora.

«Nazim! Vieni qui!»

Siirist e l’orco si scambiarono un’occhiata nel sentire la lingua della loro terra. Il nome era quello tipico dei nomadi del deserto sabbioso di Condoria, gli Ali’kr, e l’apparenza dell’uomo che uscì da una delle tende non deluse. Alto, dalla carnagione scura come il carbone, aveva corti capelli ricci e una barba ordinata. Indossava i vestiti del suo popolo, di cotone, della moda del deserto, ed un lungo mantello da viaggio con un cappuccio che teneva abbassato. Al fianco destro aveva una scimitarra con l’impugnatura grigia, al collo una collana che terminava con un lungo pendente ingemmato. Ma ciò che attrasse l’attenzione di Siirist non fu l’abbigliamento, quanto il tatuaggio rosso sul dorso della mano destra che riposava sul pomolo della spada.

‹Scorpione...!› ringhiò, il suo animo draconiano che lottava contro le catene con cui il mezz’elfo lo aveva assoggettato.

Purtroppo ringhiò più forte del previsto, tanto da avvisare i cani da guardia che incominciarono subito ad abbaiare, attirando l’attenzione di tutti i presenti.

‹La copertura è saltata. Seguimi, ho un piano.› disse all’orco.

Questi acconsentì ed entrambi uscirono allo scoperto. Il capo degli stranieri urlò qualcosa nella sua lingua, e tutte le guardie accorsero, i fucili puntati.

«Sparite.» mormorò Siirist in un basso ringhio.

Una potente magia di vento fece volare via tutte le guardie, mentre con la mente mise i cani sotto il suo controllo. L’Ali’kr disse qualcosa al traduttore che riferì al capo degli stranieri, il quale corse subito verso uno dei grandi contenitori metallici.

«Con chi ho il piacere di parlare? Tu devi essere uno degli orchi dell’accampamento laggiù, ma tu, umano?»

«Siirist Ryfon, Cavaliere d’Inferno, Scorpione.» rispose reprimendo a stento il suo ringhio da draconiano.

L’orco guardò verso di lui con grande stupore. Lo Scorpione rimase interdetto, certamente non aspettandosi di trovarsi faccia a faccia con il Cavaliere d’Inferno, ma riprese il controllo di sé in poco.

«E hai scambiato il tuo drago per un orco? Non vedo la convenienza.» scherzò.

«Cosa state combinando questa volta? Chi sono queste persone?»

«Mi dispiace, non posso dirtelo.»

«Speravo dicessi così.» sorrise sadico Ryfon, abbandonandosi alla forma draconiana.

Preso di mira il punto in cui si trovava il nemico, generò un’esplosione di fiamme d’Inferno che lo avrebbero presto ridotto ad un mucchio di cenere. Ma all’interno delle fiamme rosso scuro apparve una sfera di luce che circondava l’Ali’kr. Egli aveva le mani congiunte e il suo pendente in mezzo ad esse. Un amuleto incantato, certo, non ci sarebbe stato modo per un comune umano, altrimenti, di difendersi dal fuoco d’Inferno.

«Io posso continuare a mantenere queste fiamme quanto voglio. Mi chiedo se è lo stesso per te e quella barriera?»

L’espressione furiosa e impaurita che apparve sul volto dell’avversario lo riempì di piacere. Ma per quanto far soffrire uno Scorpione gli desse gioia, era più importante scoprire chi fossero quegli stranieri, perciò entrò in stato di calma assoluta e invase la mente dello Scorpione. Inizialmente trovò una barriera a bloccarlo, un grande deserto sabbioso, ma non ci volle molto perché il mezz’elfo riuscisse a superare le difese dell’avversario, ed il suo mondo interiore apparve, sorgendo dalla sabbia. Siirist calciò giù la porta dell’edificio mentale e trovò il nemico che correva verso una stanza e si chiudeva dietro la porta. Come se fosse stato in grado di fuggire. Con passo lento e determinato, i suoi passi che rimbombavano nell’immensa sala a volte di quel palazzo vuoto, Siirist raggiunse il nascondiglio dell’Ali’kr e abbassò la maniglia.

‹No! Non può essere, come hai fatto a entrare?! L’avevo sbarrata!›

‹Chiami questa una difesa mentale? Patetico. Interessante.›

Si guardò intorno, capendo di trovarsi nel luogo in cui erano custoditi tutti i ricordi dello Scorpione. Alzò una mano e un fascicolo uscì da uno schedario e volò verso di lui; lo afferrò e lo aprì, leggendo attentamente. Gli stranieri lì presenti nella radura erano abitanti del continente di Valendia, una terra altamente evoluta in termini di tecnologia, dove nessuno praticava le arti mistiche, ma le invenzioni valendiane erano ai livelli delle tecnologie a Materia, in alcuni fronti addirittura superiori. Gli Scorpioni avevano reclutato alleati da altri due continenti, Thedas e Palamesia, e stavano man mano invadendo Tamriel. L’obiettivo dei Valendiani a Ivalice era l’eliminazione di tutti i centri abitati più piccoli, a cominciare dalle fortificazioni degli orchi, gente che aveva ottenuto il diritto a vivere indipendentemente all’interno dell’Impero Septim, ma proprio per questo nessuno ne avrebbe sentito la mancanza. Da lì sarebbero passati alla conquista di Timber e Balamb, mentre altre truppe negli altri stati si sarebbero occupati degli altri insediamenti. Con un numero così grande, ottenuto con l’alleanza con tre continenti esterni, sarebbe stato semplice per la Setta colpire tutte le Città delle Macchine, i cuori dell’Impero, allo stesso tempo, e far capitolare gran parte di Tamriel. Quello che Siirist non capiva, era perché Azrael si stesse alleando con tutti quegli umani, tutti “esseri inferiori”, secondo il modo di pensare di un angelo razzista. No, più che un’alleanza, li stava sfruttando, non c’erano dubbi. La domanda allora era se tutte quelle persone sapevano o no con chi erano entrati in combutta, se sapevano o no che, aiutando la Setta, condannavano tutta la razza umana e non solo, e che non si trattava solo di una conquista di terre.

Guardò lo Scorpione tremante a terra.

‹Voi non avete la minima idea di che cosa state facendo. Mi fate quasi pena.› sospirò con voce arrendevole.

Vide un barlume di speranza negli occhi dell’Ali’kr.

‹“Quasi” è la parola chiave.› finì con un sorriso sadico.

 

«No!» urlò disperato lo Scorpione, prima che la sua barriera di luce venisse infranta e venisse consumato dalle fiamme azzurre dell’elemento Vampa.

Gli occhi rossi, Siirist ringhiò soddisfatto. Aveva detto a Sylgja che era sempre meglio rispettare la vita e non uccidere, sì, ma ormai le sue mani erano belle che macchiate e nel rivedere quel maledetto tatuaggio rosso sulla mano del nemico, aveva ricordato quanto odiasse la Setta e tutto ciò che rappresentava. Estinse le fiamme azzurre e si guardò intorno, pensando al modo migliore per sbarazzarsi di tutti i Valendiani. Con la mente stava cercando di trovare il capo degli stranieri, ma per qualche ragione non riusciva a individuarlo. Era come se fosse svanito nel nulla, così come i suoi compagni. No, doveva esserci una spiegazione.

«Lassù, Cavaliere d’Inferno!» avvisò l’orco.

Siirist alzò lo sguardo e vide una delle guardie che aveva precedentemente spazzato via. Si era arrampicata su uno dei contenitori metallici per avere il vantaggio della posizione elevata; aveva il suo fucile pronto a far fuoco. Ecco cosa succedeva a crescere in una terra priva di misticismo: non si sapeva a cosa si rischiava di andare incontro. Ryfon infilzò la spada sinistra nel terreno e alzò il braccio in direzione del nemico.

«Cuore.» mormorò stringendo la mano.

Il Valendiano emise un gemito strozzato e cadde faccia in avanti giù dal contenitore. Non era morto, ma il suo cuore era stato così colpito da farlo collassare. Non gli aveva dovuto penetrare la mente, non aveva dovuto far altro che toccargli il Flusso con il proprio, la tecnica di Alea usata per gli incantesimi di guarigione, migliorata da Evendil (che non richiedeva un contatto fisico) e ora usata da lui per uccidere. L’aveva perfezionata a Tronjheim, usando Sylgja come cavia e divertendosi nel farla inciampare o portarla a fare cose imbarazzanti. Era soprattutto divertente farlo in presenza di Oghren che si arrapava e lei si imbestialiva. Purtroppo il divertimento era finito solo dopo un mese, perché la ragazza aveva finalmente capito cosa il mezz’elfo era stato a fare. A pensarci bene, Siirist non si era divertito così tanto in anni: in compagnia di Sylgja e la sua spensieratezza, di Oghren e la sua “maialezza” e di Durin e il suo buon umore, aveva ritrovato l’innocenza (se così si poteva definire, considerando il suo passato da ladro e donnaiolo sfruttatore) perduta. Era quasi ironico che una nuova tecnica magica che aveva sviluppato in un modo puramente giocoso dovesse essere intaccata e contaminata dalla sua nuova vita, quella che coinvolgeva la Setta e tutte le sofferenze che aveva passato e che doveva affrontare ancora in futuro.

«Bella magia.» si complimentò l’orco.

«Direi “efficace”, più che “bella”.» rispose con voce dura riafferrando la spada.

Vide ritornare gli altri Valendiani, tutti con i loro fucili puntati. Ne tramortì altri due con la stessa tecnica di prima, ma quelli continuavano ad accorrere, sempre di più. Ve ne erano oltre un centinaio, da quello che aveva scoperto sondando la mente dello Scorpione. Parevano non capire quando smettere: forse una magia più “visiva” avrebbe avuto più effetto.

«Stai indietro e resta fermo in un punto.» disse all’orco.

Questi fece come detto e si allontanò. Uno dei nemici lo assalì alle spalle, ma l’orco non si fece sorprendere e gli sfondò il cranio con una martellata. Siirist incrociò le braccia, la mano destra vicina al fianco sinistro con il palmo rivolto verso il basso, la sinistra rivolta in alto e oltre la spalla opposta.

«Comandamento incendiario: Mare di fuoco!»

Il mezz’elfo fu avvolto in un vortice fiammante celeste glaciale, i suoi palmi che brillavano di luce argentata. Aprì di scatto le braccia e le fiamme si espansero per tutto il terreno, ricoprendo tutto ciò che incontravano al loro passaggio che venne immediatamente congelato. Arrivate al punto in cui si trovava l’orco lo circondarono, lasciandolo incolume. Con i palmi rivolti verso l’alto, Siirist alzò di scatto le braccia.

«Stormo della rovina!»

Dal fuoco si sollevò un intero stormo di uccelli infuocati che volò verso il cielo per poi piombare addosso ai nemici. Ryfon partì di corsa, sollevando due correnti di fuoco e saltò, concentrando le fiamme davanti a sé e sparandole contro uno dei nemici, imprigionandolo in un blocco di ghiaccio. Non avevano alcuna protezione contro attacchi mistici, in testa avevano solo un cerchietto metallico, erano come animali mandati al macello contro il Cavaliere. Erano fortunati che non erano parte della Setta, perciò il mezz’elfo non li avrebbe uccisi se lo avesse potuto evitare.

«Riunitevi in un punto.»

La sua magia colpì i Valendiani che aveva preso di mira (tutti quelli che riusciva a vedere) che furono attratti da una magia gravitazionale in un punto specifico ad una ventina di metri da terra.

«Colonna fiammante.»

Da sotto di loro si erse un potente turbine infuocato che li investì e li intrappolò nel ghiaccio. Il settimo senso lo avvisò dell’imminente attacco che lo stava per raggiungere alle spalle ed il ladro balzò in aria e roteò su se stesso con il corpo posizionato orizzontalmente; il proiettile del nemico gli passò a un centimetro dalla pancia. Ancora a mezz’aria sollevò una lingua di fuoco che prese la forma di una lancia senza punta che andò a colpire il nemico nel basso ventre, subito congelandolo. Il fuoco freddo stava ora facendo provare a tutti quegli stranieri un livello di dolore del tutto nuovo (ma mai come la Dannazione eterna); non li avrebbe uccisi, no, ma nessuno minacciava di invadere Tamriel e rimaneva illeso.

«Da quello che abbiamo visto mentre eravamo nascosti, posso dire con una certezza quasi assoluta che avete eliminato tutti ad eccezione del loro capo.»

«Sono d’accordo. Si sta nascondendo, ma non riesco ad individuarlo con la mente, hanno tutti una qualche sorta di congegno che li rende invisibili alle perlustrazioni mentali.»

Stava per estendere il colore dell’osservazione quando sentì un lieve rumore meccanico. Era quasi impercettibile, ma il suo fine udito elfico lo aveva colto lo stesso.

«Lì!»

Estinse tutte le fiamme celesti ed insieme all’orco corse verso uno dei contenitori metallici. Era aperto, e ciò che ne uscì era qualcosa di mai visto prima su Tamriel, una macchina, una sorta di golem metallico e privo di testa, pilotato dal capo dei Valendiani visibile attraverso una spessa lastra di vetro verde scuro sul busto. Le braccia erano lunghe e dotate di quattro artigli, il palmo sinistro era un grande buco, il “polso” sinistro era equipaggiato con una canna di fucile; il destro ne aveva una doppia. Ryfon tentò con il colore del re dell’Ambizione, ma non fu efficace: il golem doveva in qualche modo proteggere l’uomo al suo interno.

«Che cos’è quella macchina?!» chiese preoccupato l’orco.

«Niente di tamrielico, questo è sicuro. Si sono portati tanti bei giocattolini da Valendia, questi invasori. Stai in guardia.»

Non sapendo cosa aspettarsi da quel nuovo avversario, il mezz’elfo mantenne attivo il suo colore dell’osservazione. E fu un bene, perché dopo pochi secondi il golem “fantasma” alzò il braccio sinistro e dal fucile partì una raffica di proiettili ai quali Siirist rispose con una barriera di luce che si sarebbe creata prima ancora che il nemico potesse veramente far fuoco. Ma la barriera non si formò e il golem alzò il suo braccio sinistro e sparò. Siirist ebbe mezzo secondo per realizzare che la magia, per qualche motivo, non stava funzionando, e buttarsi di lato con l’orco preso per il collo. Richiamò la sua energia demoniaca e sentì la sua forza fisica aumentare e i suoi occhi mutare, ma quando provò a liberare un fulmine, niente.

«Spiriti della terra, abbattete... No!» ringhiò indispettito.

Nemmeno la stregoneria funzionava, così come l’invocazione quando il mezz’elfo provò a richiamare il suo balrog dal settimo piano di Oblivion.

‹Che sta succedendo?!›

Il braccio sinistro ancora alzato, il golem aprì gli artigli verso l’esterno e sparò un lungo oggetto metallico che volò dritto verso di loro. Ryfon utilizzò il colore dell’osservazione per vedere cosa sarebbe successo se quel coso avesse colpito: vide una terribile esplosione in cui l’orco veniva quasi interamente polverizzato mentre lui, molto più resistente, veniva menomato e terribilmente ustionato, ma sarebbe comunque morto. Andò in forma draconiana e avvolse nel colore dell’armatura sé e la spada destra e menò un tondo dritto contro quell’arma esplosiva mentre con la sinistra spinse indietro l’orco, facendolo volare di una cinquantina di metri e mandandolo a sfondare una tenda. L’esplosione fu violenta ma molto concentrata. Dall’alto dei suoi 600mila douriki, rinforzati ulteriormente dall’Ambizione, Siirist se la cavò con qualche bruciatura sul viso e sul petto, mentre il braccio destro era ben più grave; guardandosi la mano, vide che le ossa del dorso, delle nocche e delle prime falangi erano esposte. Strinse i denti e ringhiò furioso, ma usò una delle tecniche di Adeo per far sparire il dolore. D’accordo, quel Valendiano sarebbe stato pestato a sangue. E poi lo avrebbe congelato con il fuoco freddo. Ma prima doveva scoprire in che modo stesse impedendo l’uso del misticismo e dei suoi poteri demoniaci. Abbandonò la spada ormai distrutta e scattò al massimo della velocità contro il nemico, raggiungendolo istantaneamente, e attaccò con un tondo dritto rovescio. Ma la corazza del golem era di qualità superiore all’acciaio orchesco e non ne fu nemmeno scalfita, invece la spada perse il filo nel punto in cui aveva colpito, sgretolandosi, e apparvero crepe lungo tutta la lama. E pensare che era il miglior acciaio di Tamriel.

‹Inutile spreco di metallo.› pensò con un ringhio.

Se avesse avuto la sua Agar hyanda le cose sarebbero andate diversamente. Abbandonò anche questa spada e concentrò tutta la sua Ambizione sul braccio sinistro e menò un diretto prima che il nemico potesse reagire al colpo di spada. Questa volta l’armatura del golem venne ammaccata e ripiegata di una buona quarantina di centimetri; il costrutto venne sollevato da terra di qualche centimetro e volò indietro, andandosi a schiantare contro un altro dei contenitori metallici e piegandolo sotto il suo peso. Senza nemmeno rialzarsi, la macchina alzò il braccio sinistro e sparò un altro dei suoi colpi esplosivi, ma questa volta fu deviato dall’onda d’urto di un secondo pugno del mezzo demone che usò il Juyo per potenziare il suo attacco.

‹Ma guarda un po’, funziona!› si disse soddisfatto.

L’esplosivo andò a colpire in qualche punto della foresta oltre l’accampamento, ma prima ancora che ci arrivasse, Siirist era di nuovo addosso al nemico. Questi aveva però alzato il braccio destro e sparato con la sua doppietta. Il proiettile fu previsto dal colore dell’osservazione e il mezz’elfo si mosse di conseguenza, notando comunque il grande buco che quel colpo aveva aperto nel terreno.

«Argh!»

Ryfon balzò addossò al golem e menò altri due pugni sinistri in rapida successione sullo stesso punto, affossando il centro del busto metallico. Il braccio destro del golem si mosse e dal palmo spuntò una lama con il filo percorso da innumerevoli punte che iniziarono a ruotare attorno alla lama. Con l’Ambizione Siirist si vide tagliato in due da quella lama rotante, così alzò il gomito sinistro verso l’alto e assestò un pugno sul piatto della lama, spezzandola, e subito fece seguire un pugno dal basso che fece volare il braccio verso l’esterno. Menò un ultimo diretto destro al busto e finalmente piegò il metallo talmente tanto da spezzarlo. Infilò entrambe le mani nel buco e con forza lo ampliò, aprendosi un varco fino all’uomo al suo interno. Questi era terrorizzato, era evidente che non avesse mai visto né avesse mai sentito di nessuno con una tale forza fisica e di certo gli occhi rosso sangue, le pupille verticali ed il minaccioso ringhio non aiutavano. Era in combutta con gli Scorpioni e non aveva mani nemmeno incontrato i suoi appartenenti di alto rango. Ridicolo.

«Tu, fuori.» disse il mezz’elfo, tirando fuori lo straniero.

Questi cercò di proteggersi portando le mani al viso, ma l’altro lo afferrò per la gola e lo estrasse.

«Siete incredibile, Cavaliere d’Inferno, fate quasi paura. E dico “quasi” perché non sono un vostro nemico. Se lo fossi sarei terrorizzato, come lo è appunto lui.» disse l’orco con aria guardinga e divertita al contempo.

«Come stai? Scusa se ti ho fatto volare in quel modo, ma era necessario per allontanarti in fretta, non so perché ma non ero in grado di usare le arti mistiche. E tutt’ora sono sigillate.»

«Tranquillo, sto bene. Noi orchi siamo figli della pietra, siamo resistenti. Un umano sarebbe ridotto male dopo un volo del genere, ma noi possiamo sopportare anche di più.»

«Buono a sapersi.» ridacchiò, abbandonando la forma draconiana e lasciando andare il suo sangue demoniaco.

Sceso dal golem ora immobile con il nemico ancora tenuto per la gola che cercava disperatamente di respirare, attività resa molto difficile dalla presa ferrea del Cavaliere, Siirist si trascinò la preda fino a quella che doveva essere la sua tenda, seguito dall’orco. Gli disse di mettere al sicuro tutte le armi prima di lasciare andare il prigioniero al quale indicò una sedia. Il Valendiano si sedette senza dire una parola.

«Non parli la mia lingua, vero?»

Quello rimase in silenzio.

«Già...» sospirò.

Cercò ancora di penetrargli la mente, ma la sua presenza mentale era invisibile.

‹Come fanno?›

Adocchiò il cerchietto metallico che indossava attorno al capo e si insospettì. Glielo tolse e tentò ancora di trovare la sua frequenza mentale: apparve come un faro nella notte.

‹Ciao.› gli disse dopo avergli invaso la mente.

Il Valendiano si mosse scomodamente e nervosamente nella sedia. Non rispose, ma Siirist sapeva che aveva capito. Si sedette sul tavolo accanto alla sedia dello straniero e abbassò la testa fino a che i loro visi erano vicini, gli occhi fissi in quelli dell’altro.

‹So che mi capisci, stiamo comunicando mentalmente. La mente di un umano è semplice, sto manipolando i tuoi pensieri perché possiamo comunicare liberamente. Ora parla o ti ridurrò come la tua macchina lì fuori.›

‹Che cosa vuoi?› chiese riluttante.

‹Vedi! Era così difficile?› sorrise.

Lo straniero serrò la bocca.

‹Voglio risposte. Non praticate le arti mistiche, ma è evidente che ne siate a conoscenza: tu e i tuoi uomini avevate addosso quei cerchietti metallici per impedire di essere individuati mentalmente e in qualche modo mi avete impedito di usare alcun potere. Voglio sapere come lo avete fatto e in che modo siete entrati in contatti con le arti mistiche. Voglio anche sapere perché siete in combutta con la Setta dello Scorpione.›

‹Non ti dirò niente.›

‹Come preferisci. Sappi però che se non mi dici come stai bloccando il mio uso delle arti mistiche, tutti i tuoi compagni moriranno. Al momento sono imprigionati in blocchi di ghiaccio che ho formato prima che mi bloccassi la magia, e ora che l’hai fatto, non li posso liberare. E se non lo faccio presto… arrivaci. Sappi anche che stanno soffrendo molto. È un incantesimo che una volta il mio Maestro usò contro di me, so per esperienza che fa un male cane.›

Siirist vide la sofferenza sul suo viso e la sentì nella sua mente: voleva aiutare i suoi uomini, ma non poteva rivelare uno dei loro assetti fondamentali nelle battaglie che sarebbero presto venute. Se i tutti i Cavalieri dei draghi, perché quel biondo non poteva che esserne uno, erano così formidabili, bloccare il loro uso del misticismo era di vitale importanza. Non importava cosa quel Tamrielico avrebbe fatto a lui e ai suoi uomini, non gli avrebbe mai detto che il cuore dell’EA emanava onde che interferivano con le correnti di energia spirituale, scompigliandole e rendendole inutilizzabili. Siirist sorrise quasi maligno, la soddisfazione che provava immensa, e il Valendiano ben presto realizzò che aveva involontariamente rivelato il loro segreto al nemico.

‹Avrei potuto sondarti la mente e scoprirlo, ma tutti i tuoi ricordi sono nella tua lingua, e tradurli sarebbe stato uno sforzo in più che non avevo voglia di fare. Ma il momento in cui ti ho menzionato il vostro metodo di blocco delle arti mistiche, non hai potuto far altro che pensarci e ti ho ascoltato i pensieri in diretta. Grazie.› e sorrise più felicemente per il puro piacere di deridere il nemico.

Gli premette un punto verde sulla fronte e lo lasciò sotto la supervisione dell’orco. Si diresse al golem, o meglio all’EA, cioè Esoscheletro Armato, e lo fece a pezzi finché trovò lo stesso oggetto che aveva visto nei pensieri del Valendiano: era sferico, grande quanto un’arancia, e si infranse facilmente nella stretta del mezz’elfo. Per verificare che i suoi poteri ora funzionavano avvolse la mano in una fiamma rosso scuro e disse agli spiriti del fuoco e del ghiaccio di liberare i Valendiani imprigionati mentre la mano destra si rigenerava. Il ghiaccio del fuoco freddo si infranse e quelli che erano stati ammassati in aria caddero verso terra, ma furono presi al volo dal wivern che Sharok aveva fatto passare per se stessa. Soddisfatto, il mezzo demone usò l’arte della Tenebra per rilocarsi al fianco dell’orco e usò la creazione oscura per generare delle catene che avvolsero il Valendiano addormentato. Se lo caricò sulle spalle e uscì dalla tenda, e quando raggiunse tutti gli altri stranieri (svenuti per il dolore troppo intenso causato dal fuoco freddo), li incatenò alla stessa maniera. Con svariati occhi mentali Ryfon setacciò l’intero accampamento e scoprì che in ognuno dei contenitori metallici si trovava un EA e usò l’arte per la Tenebra per rilocarli davanti a sé assieme a tutte le altre armi valendiane. Lì per lì fu tentato di cancellarli con il Vuoto, ma poi pensò che Vroengard potesse beneficiare nel conoscere le armi del nemico, così dislocò quella montagna di metallo nella grotta del drago terrestre che aveva ucciso con il Guerriero. 

«Torniamo al tuo villaggio.»

Con tutti i nemici che levitavano dietro a loro, mezz’elfo e orco ripresero il sentiero nella foresta.

 

Tutti i Valendiani erano stati legati a dei pali nel centro della fortificazione degli orchi. Questi erano stati molto arrabbiati nello scoprire che erano stati quegli stranieri ad organizzare gli attacchi dei troll e Siirist aveva dovuto immobilizzare diversi guerrieri della tribù con le sue tecniche mentali per evitare che massacrassero i prigionieri. Ora si trovava nell’abitazione dello sciamano, il capo degli stranieri seduto a terra davanti a lui, assieme a loro lo sciamano e pochi altri guerrieri, tra cui Azuk-lob-Khalak, l’orco che lo aveva accompagnato all’accampamento dei Valendiani. Il mezz’elfo aveva sondato la mente al nemico, scoprendone tutti i segreti. Valendia era stata per secoli nemica di Thedas, terra in cui l’uso del misticismo era forte, specie nell’Impero Tevinter, dove l’aristocrazia di mistici, i Magister, regnava indiscussa. Per combatterli, i Valendiani avevano dovuto sviluppare metodi sempre nuovi, fino a che inventarono un congegno in grado di bloccare ogni uso di arte mistica. Il fatto che bloccasse anche i poteri demoniaci era solo un effetto collaterale, senza dubbio utile per gli Scorpioni, poiché a Valendia non si sapeva niente dei demoni. Persino la religione dei continenti esterni era diversa da quella di Tamriel, gli umani che avevano migrato da Tamriel all’alba della terza era avevano abbandonato gli dei, li avevano dimenticati. A Valendia si veneravano i Sei Aspetti del Cuore, in Thedas vi erano addirittura diversi culti, il più importante quello della Chiesa di Andraste.

Con la creazione di vento, Siirist diede forma a un pezzo di carta e a una penna.

 

Aulauthar, la Setta dello Scorpione è in combutta con Valendia, Thedas e Palamesia. I Valendiani sono in possesso di armi in grado di bloccare l’uso di arti mistiche e poteri demoniaci. Vi ho lasciato dei campioni delle loro armi in questo luogo. Portate i miei saluti a Ashemmi e Injros e a Delmuth se si è svegliato, ma ne dubito.

 

Nello scrivere “questo luogo”, inserì magicamente i suoi ricordi per far sapere al Cavaliere d’argento come raggiungere la grotta.

«Il Consiglio degli Anziani dell’Ordine deve essere avvisato; sciamano, so che è chiedere molto a te e alla tua gente, ma potresti gentilmente mandare qualcuno ad Arcadia a consegnare questo messaggio all’Imperatore? A lui direttamente, a nessun altro. In alternativa al capitano dell’ottava o della decima brigata dei Cavalieri, sempre che siano ancora lì. Basta che dica che è da parte mia e non ci dovrebbero essere problemi.»

«Cavaliere d’Inferno, voi ci avete salvato, solo questo ci mette in debito con voi. Inoltre tutta Tamriel è in pericolo, non solo l’Impero degli umani e il regno elfico, anche noi del popolo libero. Sarebbe stupido da parte nostra ignorare l’arrivo di questi stranieri: faremo come chiedete.» rispose il capo-tribù.

Siirist annuì.

«Ma stasera si festeggia!» aggiunse poi lo sciamano.

 

La sera fu indetto un banchetto in onore di Siirist, Azuk-lob-Khalak e Titano, che avrebbe dato forza ai suoi figli, e Tenma che li avrebbe guidati alla vittoria nell’imminente guerra contro la Setta. Un grande fuoco fu acceso al centro della fortificazione e tutti gli orchi sedettero intorno, uomini e donne, e mangiarono usando bassi tavoli di legno. Siirist era accanto allo sciamano e ad Azuk-lob-Khalak e la sua compagna, Ghorza-gul-Marak, il fabbro che aveva combattuto con lo spadone e che Ryfon aveva aiutato. Nei loro piatti vi erano verdure e carne, frutta e pane nero, scorreva vino in abbondanza e tutti erano felici. Quando tutti ebbero finito di mangiare, lo sciamano si alzò in piedi e tutti si misero in ascolto.

«Quest’oggi Titano ha guidato il Cavaliere d’Inferno da noi. Il suo arrivo è stata una benedizione che ci ha salvati da un altrimenti certo massacro, che sarebbe stato domani o dopodomani se non oggi. Il Cavaliere d’Inferno e il prode Azuk-lob-Khalak sono poi andati insieme a scoprire l’origine degli attacchi dei troll e il nostro fratello dice che Siirist lo ha più volte salvato da morte certa e ha combattuto con grande valore. Era come uno spirito che danzava nel fuoco, dice Azuk-lob-Khalak, e le fiamme erano tutte al suo comando. Fratelli e sorelle, io propongo di seguire l’esempio del Cavaliere d’Inferno e andare al di là della razza e accoglierlo come uno di noi, come lui ha combattuto fianco a fianco con Azuk-lob-Khalak senza esitare!»

Da tutti gli orchi si alzò un grido comune di “Sì” che votò Siirist come membro onorario della tribù.

«Allora, Cavaliere d’Inferno, da oggi sarete conosciuto come Ohgrathani-bu-Galek, che significa “Spirito danzante del fuoco” nell’antica lingua degli orchi.»

Ci fu qualche secondo di silenzio in cui tutti avevano gli occhi puntati su Ryfon che guardava lo sciamano con le sopracciglia alzate, la bocca leggermente aperta e un’espressione meravigliata. La gran parte degli orchi si era integrata interamente nella cultura umana e se ne potevano trovare molti (per quanto insignificanti rispetto al numeri di umani) nelle città dell’Impero Septim. Ma molti di loro avevano deciso di mantenere la loro indipendenza e all’interno di Ivalice erano nate numerose fortificazioni che erano come delle città-stato, e i loro abitanti si erano sempre definiti il “popolo libero” ed erano vissuti autonomamente e senza curarsi dell’Impero, che faceva a sua volta lo stesso. L’essere votato un membro onorario di una fortificazione era forse più eccezionale che l’aver partecipato al Guanto d’acciaio.

Quando si accorse che tutti lo stavano fissando ed erano in attesa della sua risposta, il mezz’elfo si affrettò a darla.

«Ne sarei onorato.»

La folla scoppiò in applausi e in balli attorno al fuoco che ben presto diventarono dei violenti combattimenti al termine del quale due uomini e una donna erano ridotti così male da aver bisogno dell’intervento degli spiriti della vita dello sciamano.

 

Il giorno dopo Siirist si preparò a ripartire dopo che lo sciamano gli aveva donato una spada ad una mano sulla cui lama, a contatto con la piccola guardia che ricordava due artigli, era stata incisa una fiamma e rivestita con una polvere che l’aveva resa rossa. Creava un bel contrasto con il verde scuro dell’acciaio orchesco. L’impugnatura era stata rivestita con dei fasci di cuoio e il pomolo pure era a forma di fiamma.

«È molto bella.» disse al capo-tribù.

«Sono felice che ti piaccia, si tratta della miglior spada che Ghorza-gul-Marak abbia mai forgiato. Ieri, dopo la festa, ci ha lavorato per inserire le due fiamme.» rispose indicando.

Siirist si voltò e vide la creatrice di quella bella spada giungere assieme al compagno. Entrambi erano vestiti come per viaggiare, con una sacca sulla spalla, e armati, lei con il suo spadone, lui con la spada e il martello.

«Ti ringrazio, è un bellissimo regalo. Andate da qualche parte?»

«Volevamo chiederti di accompagnarti, Ohgrathani-bu-Galek.» rispose il guerriero.

In un baleno gli apparve l’immagine di Oghren e Azuk-lob-Khalak combattersi a vicenda. L’ovvia conclusione era l’orco venire fatto a pezzi da Narik.

«Non so se sia una buona idea. Ne sarei felice, non mi fraintendete, ma ho altri compagni di viaggio e temo possiate non andare d’accordo.»

«Quali compagni di viaggio?» chiese lo sciamano.

«Sarebbe meglio non entrare nei dettagli, non vorrei rischiare di perdere l’onore di essere un vostro fratello. E fidatevi, è importante che io lo sia, più di quanto possiate tutti immaginare.»

«Non so chi siano questi tuoi compagni di viaggio, Ohgrathani-bu-Galek, ma ti assicuro che non avrai nessun problema da parte nostra. Vogliamo seguirti e aiutarti nella tua guerra contro la Setta dello Scorpione.»

«Giuro anche io su Titano che non creeremo problemi.» si aggiunse il fabbro.

Siirist sospirò.

«D’accordo, ma fatemi il favore di evitare giuramenti su Titano d’ora in poi. Capirete in seguito. Sciamano, è stato un onore. Spero che il tuo messaggero sia veloce.»

«Come il vento.»

«Benissimo. Allora arrivederci e che gli dei ci assistano tutti.»

Uscirono dalla fortificazione e Siirist guidò i due orchi all’aeronave. Lungo la strada controllò l’albero in cui aveva lasciato il grande coniglio marittimo, non meravigliandosi nel non trovarlo. Poco male, sarebbero presto ripartiti grazie alla negazione temporale che avrebbe applicato sull’aeronave. Informò gli orchi del loro mezzo di trasporto e fu felice di sentire che non avevano problemi a volare: almeno alcuni dei figli di Titano non erano delle insopportabili teste di pietra.

Arrivarono alla spiaggia e la trovarono devastata e disseminata di cadaveri di umani e mostri. Bastava una parola a spiegare quel macello.

«Oghren!» chiamò arrabbiato.

Non ci fu alcuna risposta, perciò setacciò mentalmente l’interno dell’aeronave e trovò una forma di vita stesa sul pavimento del salotto. Usò il suo occhio mentale per vedere chiaramente e vide il nano svenuto in una pozza di vomito, ubriaco fradicio. Ripeté il suo richiamo, solo questa volta mentalmente, ed esso risuonò nella testa di Kondrat come un ruggito draconico. Gli passò la sua chiarezza mentale per farlo ritornare sobrio e gli intimò di uscire subito se non voleva essere lanciato in mare quando fossero ripartiti.

«Nessuno lancia un nano!» uscì urlando e brandendo Narik.

Come previsto, Siirist vide i due orchi strabuzzare gli occhi e guardare il loro nemico giurato con espressioni di puro odio al quale era misto un pizzico di sorpresa. Ma come promesso, non fiatarono. Oghren invece era solo confuso.

«E questi? Sono orchi? Per Titano se sono brutti, sono peggio che nelle storie!»

«Sia lodato Obras che stiamo parlando la tua lingua e che loro non la conoscono. Avresti appena provocato una battaglia all’ultimo sangue.» disse con la mano che gli copriva la faccia.

«Che si facessero pure avanti, io sono sempre pronto! Però a pensarci bene, la donna me la farei.» disse piegando la testa di lato.

«Oghren, tu ti faresti un tavolo se avesse un buco. Azuk-lob-Khalak, Ghorza-gul-Marak, questo è Oghren Kondrat, guerriero di Tronjheim. Ora capite perché dicevo che sarebbe stato meglio se non foste venuti? Non è l’unico, siamo anche in compagnia di Durin, anche lui guerriero di Tronjheim e erede del nobile clan Dorrak. In questo momento lui e Sylgja Orla, un’umana di Rabanastre, sono in viaggio verso Timber, ma li andremo presto a prendere. Oghren, spiegami che cos’è successo qui. E sforzati a parlare la lingua degli umani, gli orchi non conoscono la tua.»

Il nano prese a mugugnare prima di parlare.

«Ho fatto guardia aeronave come tu detto.» disse stentatamente e con un accento più spesso delle mura nere della Rocca.

«Hai devastato la spiaggia! E hai danneggiato anche di più l’aeronave! Ti sei messo a bere il momento in cui ho lasciato la spiaggia, dico bene?! Che ti avevo detto a proposito del bere?!»

«Ups…»

Al limite della pazienza, Siirist sollevò il nano con una magia di vento e lo mandò a schiantarsi nella sabbia a cento metri di distanza. Poi puntò la sinistra verso l’aeronave e usò la negazione temporale per riportarla allo stato in cui si era trovata quattro giorni prima, cioè quando vi erano salito per la prima volta a Balfonheim.

«Salite e mettetevi pure comodi, io vado a prendere Sylgja e Durin. E non permettete a Oghren di fare altri danni. Ma non lo provocate, è molto forte. So che odierai sentirlo, Azuk-lob-Khalak, ma è più forte di te. Non sto scherzando, se ci combatti ti ucciderà. Fidati. Mostra la tua superiorità con l’intelligenza e non scadere al suo livello. Se si mette a combinare guai, digli che quando torno lo distruggo. Anzi…»

Puntò la mano verso la spiaggia e aprì un portale per Oblivion con un sigillo arancione scuro e nero del drago, da cui uscì il balrog. Era un grande mostro composto da fuoco nero e arancione scuro, alato, con occhi bianchi e un paio di grandi corna. Aveva lunghi artigli su mani e piedi e una coda lunga quanto tutto il corpo, quattro metri. Nella mano destra generò una spada fiammante che affondò nella sabbia. L’invocatore si rivolse al nano che stava tornando oscillando la sua ascia.

«Nessuno lancia un nano, ho detto!»

«Oghren, questo è un balrog del piano di Oblivion custodito da Fenrir. È un daedra molto forte, uno dei miei più forti, e se lo fai arrabbiare non esiterà a pestarti fino a che non avrai più la forza di alzarti, quasi non ce l’avrai di respirare. Se volesse ucciderti lo farebbe con un colpo di spada, stanne certo. Ma non lo farà perché questi sono i miei ordini. Tu non devi entrare nell’aeronave, hai già fatto troppi danni, e ora che è a nuovo, non voglio che la insozzi. Io vado a prendere Sylgja e Durin, al mio ritorno rimanderò il balrog a Oblivion e ripartiremo tutti insieme per Zanarkand. Volando!»

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola IL FABBRICANTE DI MATERIA e sarà pubblicato domenica 6 gennaio. Siirist e compagni arrivano a Zanarkand e con l’aiuto della Gilda dei Ladri, riescono a trovare un rifugio adatto e a conoscere la persona che insegnerà a Siirist a fabbricare Materia del più alto livello e a costruire armi per il suo nuovo riequipaggiamento.

 

Purtroppo negli ultimi mesi non ho scritto molto, quindi anche se avevo più di venti capitoli di vantaggio, quelli pubblicati hanno raggiunto quelli scritti. Al momento ho soli due capitoli pronti e alcune scene più in là, ma devo ancora vedere che piega prenderanno quelli della saga successiva, perciò ho deciso di prendermi del tempo e scrivere tutto. Colgo l’occasione per augurare a tutti buon Natale e buon anno nuovo, ci si ritrova per la befana.

Ritorna all'indice


Capitolo 80
*** IL FABBRICANTE DI MATERIA ***


IL FABBRICANTE DI MATERIA

 

Timber era una piccola città il cui nucleo era la stazione. Intorno alla città sorgevano numerosi villaggi, alcuni costituiti solo da una ventina di abitazioni, ed essa rappresentava il loro vincolo con il resto di Ivalice. La stazione aveva otto binari e si trovava al piano terra del grande centro commerciale nel cuore della città. In esso si trovava di tutto, ristoranti, bar (in uno di questi Siirist si prese una coppetta di gelato al limone, l’ideale per quella giornata afosa) e negozi di tutti i tipi. In uno di essi trovò Sylgja e Durin e nemmeno aveva avuto bisogno di rintracciarli mentalmente: gli era bastato trovare una grande folla composta da gente con gli occhi sgranati e la bocca aperta.

«Avete per caso visto un nano?» chiese ad un uomo di passaggio.

«Sì, è incredibile, vero? Un nano fuori dai Beor! Inaudito!»

Ridacchiando, Siirist raggiunse gli amici.

«Che ci fai qui?» chiese sorpresa Sylgja.

«Cambio di programma, ho dovuto usare la magia, quindi tanto valeva aggiustare l’aeronave con la negazione temporale. Non ci serve niente da qui, adesso torniamo indietro.»

Insieme uscirono dal centro commerciale, sempre con tutti gli occhi puntati addosso. Raggiunsero l’automobile nel parcheggio fuori dalla città e, una volta entrati, Siirist usò la dislocazione per riportarla nel vano dell’aeronave che aveva precedentemente reso sicuro per una rilocazione. Sylgja subito andò ai comandi ma si fermò sorpresa nel salotto nel ritrovarsi davanti i due orchi.

«E loro?» chiese insicuro Durin.

«Ci accompagneranno. Oghren è fuori con un balrog per avermi fatto incazzare; spero che tu sia più  sveglio e non creerai problemi con loro.» lo minacciò nemmeno tanto velatamente il mezz’elfo.

«Certo che no. Siamo tutti figli di Titano.» rispose con un po’ di esitazione.

«Sono sicuro che andremo molto più d’accordo con te che con quello lì fuori.» commentò Ghorza-gul-Marak.

«Puoi dirlo forte…» rispose con un grugnito Sylgja.

Siirist guardò fuori e vide, proprio come si era aspettato, Oghren a terra, ammaccato, ferito e bruciacchiato.

«Ti avevo detto di non provare ad attaccarlo. Vieni dentro, è ora di partire.» disse Ryfon mentre rimandava il daedra a Oblivion.

 

«Quanto ancora dovrò aspettare prima che ti occupi anche delle mie armi? Sono qui già da due settimane e ancora niente.» disse stufa Alea.

«Pazientate. Devo solo finire questa armatura per Gilia, poi tutto il suo equipaggiamento di Adamantio sarà completo.» rispose Hans, come sempre calmo e gentile.

Da come lo aveva descritto Siirist, l’elfa se lo era immaginato come uno che le avrebbe tirato addosso un’ascia da lancio dopo la sua ennesima lamentela, ma era evidente che il tempo che aveva passato a Imladris lo aveva cambiato, così come il tempo che Alea aveva passato con Siirist e ad Arcadia e ora in questa dannata Alexandria aveva cambiato lei, ma in peggio. Non aveva più un briciolo di pazienza e era sempre nervosa. Gran parte della colpa era di certo da attribuire alla capitale di Ridorana, che era una città ancora rimasta al tempo precedente alla Materia, ma a differenza delle città di Cyrodiil, era molto grande, almeno otto volte Imperia, e le strade sporche disturbavano il delicato olfatto della altmer. E pensare che era stata così bene a Ellesmera. Sbuffò, il mento appoggiato alle braccia a loro volta appoggiate al bracciolo del divano. Stava stesa a pancia sotto con la faccia a pochi centimetri dal ventilatore. Fuori il clima era torrido e il caldo non faceva altro che peggiorare l’odore dello sporco e dell’immondizia delle strade. Il giorno prima era piovuto, e anziché ripulire le strade, aveva amplificato la puzza. Non erano le belle piogge che aveva sempre amato a Imladris che creavano splendidi arcobaleni, in primavera facevano risplendere tutti i fiori della vallata, in estate facevano profumare erba e aria, in autunno amplificavano i colori della natura e in inverno davano forma a sculture di ghiaccio maestose; né erano quelle di Ellesmera, dove gli odori della foresta venivano accentuati e ogni forma di vita vegetale pareva risplendere.

Ma perché non potevamo tornare a Rabanastre?

Non l’avrebbe mai creduto, ma le stava effettivamente mancando una Città delle Macchine. Anche quella sarebbe stata meglio di quella fogna a cielo aperto di Alexandria.

Hans finì di unire l’ultimo strato di Adamantio alla pelle di drago e la terza e ultima armatura del Cavaliere d’Incubo era terminata. Nell’anno in cui Gilia e Hans erano stati insieme, il fabbro gli aveva riforgiato Enedome ithil rendendola una spada ad una mano e mezzo di Adamantio e migliorando gli incantamenti per gli elementi fulmine, oscurità, terra (compreso il suo marmo nero), Sisma e Incubo. Ora la sua spada da Cavaliere aveva l’elsa bianca, sempre di Adamantio, con la guardia costituita da due busti di tigre con le strisce nere che balzavano in direzioni opposte, come occhi avevano entrambe dei piccoli diamanti neri di altissima qualità, l’impugnatura era rivestita da morbida seta nera e il pomolo era una testa di tigre di onice ben lavorata con due diamanti bianchi per occhi; la lama era logicamente nera, di un colore uniforme, profondo, perché gli Incubo avevano le scaglie tutte dello stesso colore. Il nome della spada era scritto in caratteri viola scuro sulla coccia, con le rune poste perché fossero leggibili sia che la spada era rivolta verso l’alto, sia che fosse verso il basso. Gli aveva forgiato una Falce di luna migliore, che, quando non combinata alla spada, poteva estendersi ed avere effettivamente la forma di una falce di luna; un immenso spadone nero e grigio di tre metri per quaranta centimetri con un lato di cinque centimetri al posto del filo, che lo rendeva un’arma contundente anziché da taglio, chiamato Schiacciaossa, che poteva portare devastanti attacchi di terra; un martello da guerra a due mani, nero, con le due parti contundenti, che recavano incantamenti scritti in viola scuro, che uscivano dalle fauci di due teste bianche con strisce nere di tigre chiamato Siberia, che amplificava esponenzialmente gli incantesimi di Sisma, in particolare l’incantesimo Mjollnir; un’ascia ad una mano dalla lama ricurva e con una punta al termine dell’arma e una opposta alla lama, nera e con il filo e le punte argentate, capace di trasformarsi in un’alabarda, con una tigre balzante incisa su entrambi i lati della lama, chiamata Caspio; una grande ascia a due mani con le lame ricurve che partivano da un cerchio al termine dell’asta nel quale era raffigurata una tigre ruggente, chiamata Bengala; una mazza di sessanta centimetri con la testa più lunga che spessa e a strati, con diversi angoli, che poteva allungarsi sull’asta e diventare di un metro e mezzo di nome Amur; due sciabole gemelle dalle lame nere sulla parte contundente e argentate sulla metà che aveva il filo, l’elsa era a forma di tigre rampante, con l’impugnatura situata lungo il corpo del felino bianco, chiamate Giava e Bali. Gli aveva forgiato due scudi, uno immenso e rettangolare, alto due metri e mezzo e largo un metro, che poteva incanalare la magia del marmo nero e indurirsi ulteriormente, inoltre poteva emettere degli spunzoni dal fondo e con essi piantarsi nel terreno e diventare un muro irremovibile; come il vecchio scudo di Corvinus, anche questo risultava trasparente dall’interno. Il secondo scudo era circolare, e grazie ai suoi incantamenti era in grado di rimandare indietro ogni incantesimo lanciato sotto forma di proiettile, quindi che fosse una sfera di fuoco o una lancia di ghiaccio, il mago nemico doveva stare attento a non essere troppo suscettibile ai suoi stessi incantesimi. Le tre armature erano logicamente di Adamantio rivestito di argento magicamente reso nero, e avevano tutte forme e dimensioni diverse. Tutte erano un pezzo unico tenuto insieme dalla veste di pelle di drago sotto all’Adamantio, così che il Cavaliere d’Incubo le potesse indossare con un’invocazione: la prima aveva dei punti dal colore rossiccio anziché nero, come sotto le ascelle, sui gomiti, le spalle, i polpacci, le ginocchia ed i fianchi ed un elmo a testa di toro. Era massiccia e ricoperta di incantamenti che la rinforzavano ancora di più ed era perfetta per incassare forti colpi che avrebbero altrimenti potuto scuotere l’uomo al suo interno, per quanto fosse pressoché invulnerabile ad attacchi da taglio, fisici o magici che fossero, visto il materiale di cui era fatta; aveva anche incantamenti che le permettevano di incanalare l’elemento terra. La seconda armatura era più leggera, le placche di Adamantio spesse solo qualche millimetro invece che dieci centimetri come quella del toro, e aveva come elmo una testa di serpente e in alcuni punti aveva disegnate delle scaglie giallo spento; era fatta per movimenti veloci ed era incantata per incanalare l’elemento fulmine. L’ultima armatura aveva strisce bianche su tutto il corpo ed una testa di tigre come elmo, era più robusta di quella del serpente ma non ai livelli di quella del toro, gli stivali erano dotati di artigli decorativi, così come le mani; la differenza era che questi ultimi, che si trovavano a ricoprire le nocche, erano quattro lame di dieci centimetri che potevano essere estratte e ritratte a piacere. Era incantata per incanalare magie di Sisma e Incubo e di marmo nero puro. Dagli avambracci si potevano estendere degli scudi rettangolari di un metro per mezzo metro. Tutte e tre le armature avevano elmi chiusi senza alcuna visiera, ma dall’interno era come se nemmeno si stava indossando un elmo e la vista non era bloccata da nessun angolo.

«Io paziento, però ci hai messo più di un anno per fare tutto questo. Sei lento.» insistette Alea.

«Ammetto che sto lavorando meno velocemente che a Kami no seki, ma ho paura ad andare più veloce. Non ho l’abilità di Bhyrindaar e Totosai e per quanto possa ora forgiare armi e armature al livello delle loro, per farlo devo lavorare lentamente e attentamente. Bhyrindaar avrebbe finito Luna di mezzanotte in un giorno, io ce ne ho messi dieci. Avreste dovuto vedere come abbiamo lavorato su Lama di sangue, la spada di Siirist: siamo stati tutti insieme tre giorni interi a forgiare lei e le sue due spade di accompagnamento. Da solo ci sarei stato un mese, e molto probabilmente nemmeno ci sarei riuscito. Le spade di Siirist sono qualcosa di unico, abbiamo usato tre zanne di Tyron e sono state infuse del potere del fuoco nero. Mi duole dirlo, ma Luna di mezzanotte e persino Ala dei cieli, una volta che l’avrò modificata, non potranno mai competere con Lama di sangue.»

«Le ha dato un nome sinistro.» commentò.

«La prima idea era stata Brama di sangue. Quando la vedrete capirete che il nome sarebbe stato appropriato, ma giustamente Bhyrindaar fece notare che era un nome infausto. Spero comunque che Siirist abbia imparato a controllarla per quando vi rivedrete.»

Alea restò a pensare a cosa il fabbro avesse detto, non capendo bene, ma comprendendo che il suo amato si era ritrovato con una spada potente, sì, ma molto pericolosa.

«Quanto ci vorrà per il mio equipaggiamento?»

«Volete solo un’armatura che possa combinarsi con i cigni, giusto?»

«Sì.»

«Poi c’è da fare la nuova lama per Ala dei cieli di cui abbiamo già una meravigliosa elsa, e la incanterò perché possa accorciarsi e diventare una vera e propria lancia oltre che una spada dritta. L’elsa si può adattare a qualunque forma, giusto?»

«Sì.»

«Perfetto. Farò in modo che non importa la forma presa dalla spada, la Coda di rondine e la combinazione con i due cigni funzioneranno perfettamente. Allora vediamo... Vi forgerò un pugnale in grado di diventare una spada, non si sa mai, può risultare sempre utile anche se non usate lo stile a doppia spada, poi un bello scudo lungo e uno più piccolo, magari tondo. Un’altra lancia, sì, può sempre far comodo, una che possa variare in lunghezza, magari, come una di quelle di Siirist. Dei pugnali da lancio in grado di incanalare l’elemento Bufera? Sarebbero degli ottimi assetti in battaglia, magari da usare in combinazione con arco e frecce. Ah sì, frecce, chiaramente tante frecce. Il vostro arco fantasma ha una potenza inaudita, servono frecce dal legno abbastanza resistente da non andare in frantumi al momento dell’impatto; le frecce per l’arco di Siirist sono in ferrocorteccia, potrei fare lo stesso… No. E se le facessi interamente di Adamantio? Hm, quello potrebbe essere difficile. L’arco le potrebbe certamente scagliare lontano, ma il problema è bilanciarle perché rimangano con la punta in avanti. Potrei incantarle, ma non so per certo se funzionerebbe. Le punte saranno comunque incantate tutte perché possano amplificare vari tipi di incantesimo: saranno tutte legate ad una faretra e una volta scagliate, saranno richiamate ad essa attraverso una dislocazione spaziale, o forse una contro-invocazione? Frecce per amplificare attacchi di luce, altre per il vento, per l’acqua, per la Bufera, per il Radiante. Magari delle frecce con dentro alcuni semi per l’elemento Natura? Poi serviranno degli amuleti…»

Ben prima di metà discorso Alea aveva capito che il fabbro aveva smesso di parlare a lei e si era messo a pensare ad alta voce. Se aveva avuto tutti quei dubbi quando aveva progettato le armi di Gilia, iniziava a capire perché ci aveva messo così tanto. E anche lavorare in quella fucina improvvisata nella cantina non doveva essere stato semplice. La Volpe Grigia aveva fatto del suo meglio per far trovare al fabbro un luogo da lavoro ideale, ma c’era un limite a quello che si poteva mettere su in un luogo non concepito appositamente. L’elfa era certa che la Volpe avesse altri luoghi in giro per Tamriel in cui aveva potuto far nascondere lei e Gilia, magari un posto in cui Hans avrebbe potuto lavorare meglio. Ma era certa anche che la Volpe avesse una ragione per averli fatti andare lì, e non aveva mai dato voce ai suoi pensieri. Solo odiava quella dannata città per il suo pessimo odore. Per passare il tempo si guardò il polso sinistro su cui apparve il tatuaggio rosso che raffigurava il sigillo dell’aquila. E di nuovo sparì grazie alla magia organica. La Volpe Grigia aveva reso la casa in cui abitavano un luogo sicuro in cui praticare le arti mistiche e Gilia le aveva insegnato il metodo di mettere sotto sigillo un oggetto inanimato. E Alea aveva trovato il modo di usare solo “un” sigillo per invocare svariati oggetti, cioè creare con la magia organica diversi strati di pelle che si sovrapponevano. Su ognuno di essi si disegnava un tatuaggio e poi tutti erano pronti all’uso. Gilia aveva già cancellato i sigilli delle sue armi e dei suoi daedra che gli forniva il tatuaggio magico sul pettorale, e aveva invece sostituito i primi (oltre trecento) con i dodici livelli di sigillo e i secondi con un unico tatuaggio dell’aquila che appariva sulla spalla. Aveva già messo sotto sigillo le nuove creazioni di Hans, ora c’era solo da aspettare l’arrivo di Tren, uno dei ladri più importanti della Gilda, una delle Nove Code, che si sarebbe occupato di metterle al sicuro nel deposito di armi del Cavaliere d’Incubo all’interno del quinto piano. Come la Gilda fosse in possesso di un portale segreto per Oblivion e come sapesse dove i Cavalieri (Eimir, Gilia e persino Siirist) avevano nascosto le loro armi, era un mistero per tutti. Fatto sta che ogni primo del mese arrivava Tren e chiedeva loro se avevano bisogno di qualcosa, che fossero materiali per Hans, ingredienti per pozioni, cibo, grimori o altri generi di libri o il dover andare a Oblivion a depositare un’arma. Due mesi prima era toccato ad una lancia di Cristallo che il fabbro aveva fatto in fretta e furia con alcuni scarti di Cristallo che gli erano rimasti (era comunque di qualità superiore alle armi forgiate alla Rocca, l’impronta di Bhyrindaar era chiara come il sole), che era stata la prima arma di Alea messa sotto sigillo. Il deposito era situato nel secondo piano in una grotta sottomarina; quando fosse tornata alla Rocca, uno dei ladri Cavalieri l’avrebbe accompagnata lì per mostrarglielo.

Continuò a far apparire e svanire il tatuaggio sul polso quando entrò Gilia.

«Bene arrivato, tempismo eccellente. L’armatura della tigre è pronta.» disse Hans che smise di colpo di pensare ad alta voce all’equipaggiamento per Alea.

«Ottimo! Fa’ vedere, fa’ vedere!»

«Vacci piano, gli incantamenti sono delicati. Se li maneggi male potrebbero percepirti come un nemico e respingerti. No, occhio agli artigli sulle mani! Finché non ce l’hai addosso, ti sconsiglio di giocarci troppo. Mettila sotto sigillo e mettiamola via per quando arriva Tren.» lo ammonì Hans.

Appoggiò le dita della destra alla lastra metallica all’interno delle fauci della tigre che avrebbe in futuro coperto il viso di Corvinus e aprì la mano mentre mormorava qualcosa nella Vera lingua, parole che nemmeno l’udito dell’elfa riuscì a cogliere per quanto erano state bisbigliate piano. La lastra si aprì, rivelando l’interno dell’elmo che, come previsto, risultava trasparente, addirittura invisibile. Con l’armatura addosso, Gilia avrebbe potuto aprire e chiudere l’elmo a volontà, ma, come detto da Hans, quando non era equipaggiata, non rispondeva a nessuno se non a chi l’aveva forgiata che ne conosceva i segreti. Il moro si ferì magicamente sulla punta dell’indice destro e applicò il sigillo modificato dell’aquila nel punto che avrebbe protetto la sua nuca. Poi fece apparire il sigillo sulla spalla attraverso il tatuaggio e lo ricoprì con uno strato di pelle sul quale segnò ancora il sigillo dell’aquila. Hans chiuse la visiera e Gilia riportò il suo tatuaggio magico sul pettorale in posizione neutrale.

«Tra due giorni arriverà Tren con i materiali necessari per le vostre armi, Alea. Fino ad allora starò a progettarle. Fatemi sapere se vi viene in mente niente di particolare.»

«D’accordo, grazie.»

 

Durin era stato paonazzo per tutto il viaggio, dal momento in cui erano decollati a quando erano atterrati nel nord di Cyrodiil, in un bosco a est di Anvil. Oghren era stato sempre rinchiuso nella sua cabina a vomitare nel gabinetto (Siirist lo aveva minacciato con una morte atroce se avesse sporcato da qualche altra parte), mentre gli orchi erano stati più tranquilli. Un po’ agitati, sì, ma parecchio divertiti (anche se avevano cercato di nasconderlo) a vedere i nani ridotti a quella maniera. Siirist capiva che tutti e quattro si sentivano a disagio a perdere il contatto fisico con Titano, però li trovava esagerati. Stava pensando di legare Oghren alla sella di Rorix e vederlo impazzire mentre l’Inferno dava il peggio di sé, ma poi rifletté che il drago, uno, non lo avrebbe mai accettato, due, anche fosse, si sarebbe rigirato e lo avrebbe divorato perché stanco degli urli e del molto probabile vomito che lo avrebbe investito.

«Per prima cosa andiamo ad Anvil a prendere dei vestiti per voi orchi: potete passare per degli orchi di città, sì, ma non vestiti a quella maniera. E mi dispiace, ma dovrete lasciare qui le vostre armi. Io farò lo stesso. Anche voi, nani. Lo so, non volete, ma non si può girare in città armati, è altamente proibito per chi non è della Gilda dei Guerrieri o dei Mistici o non è un Cavaliere. Anche potessi dire chi sono, non ho né drago né anello con me per provarlo, quindi dovremo arrangiarci. Non vi preoccupate delle vostre asce, nessuno le ruberà, la Gilda dei Ladri si assicurerà di nascondere l’aeronave.»

«Non è un nome molto promettente.» osservò Durin.

«Non sono solo ladri, anche spie, e sono i servizi segreti dell’Ordine dei Cavalieri. Sono loro che ci hanno dato questa aeronave e sono loro che mi hanno aiutato tutto questo tempo: io stesso sono un ladro. Fidatevi, tutte le nostre armi saranno qui quando torneremo.»

«Se lo dici tu.» si arrese Dorrak.

«Che genere di vestiti dovremo indossare?» chiese Azuk-lob-Khalak

«Non qualcosa a cui siete abituati, questo è poco ma sicuro. Andiamo. Ah, nani, vi nasconderò in un’illusione che vi farà sembrare umani come a Balfonheim: ci siete già abituati, quindi non vi lamentate. Non vogliamo attirare la stessa attenzione che ha avuto Durin a Timber.»

Dorrak scosse la testa convinto: la faccia imbarazzata e infastidita che aveva avuto nella città di Ivalice era stata comica oltre ogni immaginazione. Se non stessero cercando di passare senza farsi notare troppo, il mezz’elfo si sarebbe felicemente divertito a vedere i nani scacciare tutti gli umani che avrebbero iniziato a fare loro foto.

Siirist era vestito con una camicia a maniche corte a piccoli quadrati bianchi e blu, dei pantaloncini azzurri che gli arrivavano al ginocchio e delle scarpe molleggiate, una delle ultime scoperte nella moda sportiva delle Città delle Macchine. Aveva degli occhiali da sole dalle lenti verde scuro e alla vita due cinture che si incrociavano e a una mise il suo borsellino contenente dieci monete d’oro. Sui pantaloni aveva una catenella d’acciaio di Besaid che aveva attaccato ad un passante sul fianco destro e ad uno all’altezza dei lombari sul lato destro della schiena. Nei passanti vi era una cintura, quella che effettivamente stringeva i pantaloni. Al polso destro aveva un orologio con cinturino e cassa in acciaio, all’indice l’anello della Gilda e al mignolo quello di Glarald; al collo la Collana del giuramento nascosta sotto la camicia.

Usciti dall’aeronave, si ritrovarono davanti tre donne e un uomo ad aspettarli con sei chocobo sellati.

«Cavaliere d’Inferno.» salutò uno alzando la mano sinistra e puntano in avanti l’anello che teneva al pollice.

«Puntuali come sempre.» sorrise Ryfon, avvicinando il suo anello.

Su entrambi apparve l’occhio della Gilda e il mezz’elfo affidò ai quattro umani l’aeronave. Aiutò i nani a salire in groppa ai chocobo e salì a sua volta, mentre gli altri tre erano già in sella, gli orchi comodi, Sylgja un po’ incerta perché era la prima volta che ne montava uno da dieci anni.

«Cavaliere d’Inferno, arrivati a Zanarkand, andate all’ostello “La simpatica sorpresa”.»

«D’accordo.»

Ryfon si mise in testa ai compagni, subito seguito dalla ragazza mentre gli orchi affiancavano i nani per evitare che cadessero, e si diressero verso la città portuaria. Arrivati alle sue mura, lasciarono i chocobo nelle stalle e oltrepassarono il cancello dopo che Ryfon aveva condizionato le menti delle guardie perché non facessero domande. Andarono al negozio d’abbigliamento dove più di quarant’anni prima il mezz’elfo si era procurato i suoi primi vestiti invernali per Vroengard, ora gestito dal figlio del proprietario del tempo. Scelse tre paia di calzoni per Azuk-lob-Khalak e altrettante per Ghorza-gul-Marak, quattro tuniche e un paio di stivali a testa. Usciti dagli spogliatoi, gli orchi si guardarono come fossero dei giullari, schifati.

«State benissimo, state contenti che non vi ho preso niente della moda delle Macchine come quello che sto indossando io. Andiamo.» disse Ryfon mentre pagava con una moneta d’oro.

Ripreso il resto di 200 guil, uscirono dal negozio e dalla città e, rimontati in groppa ai grandi pennuti, si diressero a nord verso Zanarkand.

Il lembo di terra che divideva il massiccio del Gagazet dal mare era largo nemmeno duecento metri ed era evidente su di esso il passaggio di animali, carri, automobili e altre macchine da trasporto. Zanarkand aveva tre porti e cinque aeroporti, ma l’unico accesso via terra era quello, perciò era chiaro che fosse molto frequentato. Lungo la strada passarono un carro trainato da un bue e furono superati da una automobile dall’aspetto sportivo, per niente come il fuoristrada che Siirist aveva preso a Rabanastre. Era priva di tettino e curvilinea, aerodinamica, di colore rosso fiammante. Aveva due posti e gli interni rivestiti di legno, i sedili in pelle beige, le ruote erano grandi e cromate. Era un gioiello di macchina.

‹Un giorno me ne prenderò una.› si disse deciso.

‹A cosa ti serve? Puoi usare la dislocazione, in alternativa ci sono io.› fece notare Rorix.

‹Se voglio portare Alea a cena fuori per un appuntamento romantico, non è bello farlo andando al ristorante in groppa a te e a Eiliis, inoltre il vestito di Alea potrebbe rovinarsi. Con un’automobile come quella sarebbe tutto più fico e di classe: tutti i ricchi delle Macchine hanno auto di lusso, perché non dovrei averne anche io?›

‹Perché quando tornerai a Vroengard ti ci rinchiuderanno e butteranno via la chiave.›

‹Vedremo se ci resterò…›

‹Hehe.›

Un lungo ponte a sedici corsie, otto per direzione, e dalla pendenza di trenta gradi collegava Spira alla città sull’acqua. I chocobo non lo salirono, invece proseguirono verso le grandi stalle che erano state ricavate nel lato del Gagazet. A Siirist fu dato un biglietto che sarebbe dovuto essere riconsegnato al momento della partenza, e avrebbe dovuto pagare l’affitto delle stalle in base al numero di giorni in cui i chocobo vi erano rimasti. Una stalla costava tre bronzi al giorno, e per sei chocobo erano centottanta guil al giorno. Sarebbe costato parecchio, ma al mezz’elfo non interessava perché avrebbe presto parlato con il granduca che avrebbe fatto in modo che il suo vecchio amico non pagasse. A piedi, dunque, Ryfon salì sul marciapiede laterale del ponte con gli altri dietro. Tutto era certamente diverso quando si arrivava in città dalla terra e non dal cielo in groppa ad un drago. Il primo edificio di rilievo era la grande stazione che si collegava direttamente a Bevelle con un treno sotterraneo super veloce che copriva la distanza in sette minuti. Fuori da essa vi era una fila di automobili con la scritta TAXI sul tettino ed il mezz’elfo si avvicinò ad una di queste.

«Potreste portarci a “La simpatica sorpresa”?» chiese all’autista.

«“La simpatica sorpresa”?! Haha! Il nome si riferisce agli insetti che si possono trovare nelle lenzuola o nei pasti che servono. Si trova nel sesto piano sottomarino, sicuro di volerci andare?» rispose pigramente e con aria divertita, forse immaginandosi quel biondino tanto pulito e ordinato che aveva davanti dimenarsi e urlare come una femminuccia nel ritrovarsi cimici che gli giravano tra i capelli.

Divertente come, invece, tutti gli insetti sarebbero morti il momento in cui il mezz’elfo li avesse toccati con la mente, un po’ come Siirist nell’avere l’alito pesante di alcool e cibo fritto dell’uomo inquinargli le cavità nasali. Oltre a quello, il conducente puzzava anche dalle ascelle (anzi, da ogni poro) e indossava una canottiera larga che lasciava intravedere il petto pieno di lunghi, unti, sudati e schifosi peli. Le braccia erano grosse e flaccide e pure esse ricoperte di peli scarni e oliosi.

«Sicuro che ci possiamo fidare di questo qui alla guida? Sembra più ubriaco di Oghren!» bisbigliò Sylgja con aria disgustata: Siirist non sapeva dire se era per via dell’uomo al volante o al pensiero dell’ostello.

«È impossibile.» «Mi ritengo offeso. Biondino, portami a bere.» dissero all’unisono i due nani.

«Grazie per l’informazione, ma puzzate troppo, prenderemo il prossimo.» sorrise Ryfon.

Il conducente lo mandò a quel paese e il Cavaliere si avvicinò al secondo taxi. Disse di andare a “La simpatica sorpresa” e fece salire in macchina Sylgja e i nani, mentre lui prese quello dopo con gli orchi. La superstrada, come tutto il resto della città, era fatta di metallo e roccia fusi insieme e passava attraverso i vari isolati della città, che fossero costruiti direttamente sopra all’acqua gelatinosa oppure sulle isolette che affioravano qua e là. Arrivate ad una collina d’acqua in cui si apriva una galleria di pietra, le auto vi entrarono e incominciarono a scendere verso i bassifondi. Quasi un’ora ci volle prima di arrivare all’ostello. La strada era illuminata a giorno dai lampioni a Materia e dai piani d’acqua in alto che, da sotto, risplendevano. C’erano edifici ovunque, tutti di colore marroncino, metallico, il fondo di un intero quartiere era visibile proprio sopra alla strada in cui si trovavano Siirist e compagni. Per quanto si trovassero nei bassifondi e stavano per andare in un ostello rinomato per le sue condizioni igieniche simili a quelle di Oghren, c’era da ammirare quanto Zanarkand fosse relativamente pulita, molto meglio di Rabanastre. Era una città impressionante, il mezz’elfo non si sarebbe mai stancato di pensarlo, complessa, intricata ma bene organizzata.

Con le loro borse in mano, i sei entrarono nell’ostello dopo che Ryfon aveva pagato i due tassisti. L’ingresso era squallido, c’era poco da dire, con un bancone protetto da una grata di ferro.

«Che posso fare per voi…?» chiese con fare disinteressato e assonnato la proprietaria.

Era grassa e aveva degli sporchi capelli tenuti legati in una sorta di palla disordinata dietro la nuca. Aveva un orrendo rossetto messo male sulle labbra e un improponibile ombretto celestino brillante. Le unghie lunghe e mal curate avevano un brillante smalto rosso. A prima vista poteva passare per una cinquantenne o anche più, ma probabilmente non aveva nemmeno quarant’anni, solo si trattava male.

«Tre camere doppie, possibilmente vicine, due con letti singoli e una con un matrimoniale.» rispose il biondo.

«Sono nove guil per la matrimoniale e tredici per le doppie. Volete la colazione domattina?»

Il suo tono era così piatto che avrebbe potuto far addormentare la persona più energetica di Gaya che si era appena fatta una doppia dose di skooma. Persino Siirist in stato di calma assoluta aveva più vitalità nella sua voce!

«No grazie, niente colazione.»

Come se avrebbe permesso a quel suino su due zampe di avvelenarli. Pagò l’anticipo per le camere e prese le tre chiavi, ne diede una a Durin, una ad Azuk-lob-Khalak e salirono al piano di sopra. La camera di Siirist e Sylgja era tutto ciò che si era immaginato: piccola, con due letti duri e comodini. La ragazza doveva ringraziare di non essere in grado di percepire le forze vitali: tra cimici, scarafaggi, formiche e altri animalacci, nella mente del mezz’elfo, la stanza risplendeva di arancione. Toccò le menti di tutti gli animali e le schiacciò fino ad ucciderli. Allora estrasse la macchina che avrebbe interferito con il filatterio e usò una magia di fuoco per eliminare i cadaveri e una di vento per purificare tutto l’ambiente. Il bagno non c’era, ce ne era uno in comune lungo il corridoio: Siirist già stava pensando di dar fuoco a tutto l’ostello, non riusciva a capacitarsi del perché la Gilda gli avesse detto di andare a nascondersi lì.

Lasciò a terra la borsa e stava per dire qualcosa a Sylgja quando sentì bussare alla porta. Andò ad aprire e ritrovò l’ippopotamo dell’ingresso.

«È entrata una donna che mi ha detto di darvi questo.» disse, come sempre, in maniera eccitante quanto una persona in coma.

«Grazie.»

Il mezz’elfo aprì la lettera e trovò scritto “via del Cane rosso 96 alle 20:30” assieme ad una collana con un pendente dorato a forma di pugno chiuso. Il nome della strada in cui si trovava l’ostello era appunto Cane rosso, il numero 80 e l’orologio gli diceva che erano le sei di sera. Sorrise nel pensare a tutti i sotterfugi usati dalla Gilda. Qualcuno bussò ancora, e questa volta si trattava di Oghren.

«Ascolta, biondino, io ho fame. Abbiamo a malapena mangiato in groppa a quegli uccelli gialli mentre venivamo qui, questa sera voglio una cena abbondante.»

«Naturalmente. Andiamo a mangiare tra un’ora, e poi più tardi andremo a vedere qualcosa di interessante.»

«Che cosa?»

«Non lo so, ma so per certo che lo sarà.»

 

Il numero 96 era una porta che dava su delle scale discendenti. Era come entrare in una cantina. Arrivarono ad un corridoio e lo seguirono fino a che giunsero ad una sorta di biglietteria gestita da un uomo massiccio e imponente, molto probabilmente oltre trecento chili in lardo e muscoli. Pareva uno scimmione con un’espressione da “bronto stitico”, come fece notare Oghren. Dietro a lui Siirist notò alcuni bot da guardia dalla forma sferica e armati con fucili a Materia a ripetizione.

«Biglietti.» grugnì.

Siirist mostrò il pugno dorato e quello sgranò gli occhi.

«Da questa parte, prego!» disse con un cambio di tono improvviso.

Li condusse lungo un corridoio buio che terminò con una porta di legno pregiato, cosa che risaltava molto in quel luogo cupo, sporco e dall’aria poco raccomandabile. Oltre la porta vi era un salottino decorato lussuosamente, con le pareti coperte da bei drappi, eleganti tappeti ricoprivano il pavimento, sopra ad essi vi erano tavolini, poltrone e divani, e l’aria era impregnata del forte odore di sigaro. Tutti i presenti, elegantemente vestiti con smoking delle Macchine o tuniche tradizionali, fumavano, conversavano e bevevano vino da calici di cristallo. L’olfatto elfico di Siirist gli permise di discernere l’odore della bevanda e lo riconobbe come il Surrille, di produzione della cantina Ryfon. Ripensò ai suoi genitori, a come stessero, e se avevano dovuto assumere qualcun altro per coltivare la vigna. Su alcuni tavolini vide anche le bottigliette di skooma dorato, la droga di più alta qualità rispetto a quella comune.

La parete opposta alla porta da cui erano entrati Siirist e compagni era tutta una lastra di vetro che dava su una piccola arena al centro di innumerevoli spalti.

«Che posto è questo?» chiese Azuk-lob-Khalak, chiaramente poco felice di trovarsi in un luogo simile.

«Devo concordare con lui, non capisco il motivo della nostra venuta qui.» si aggiunse Durin a cui stavano lacrimando gli occhi per il fumo.

«Nemmeno io lo so, ma la Gilda ci ha fatto venire qui per un motivo, e sono sicuro che questo motivo diventerà presto chiaro.»

Si avvicinò a loro un uomo dai modi snob e arroganti, vestito con un abito elfico costituito da camicia celeste con ricami dorati e calzoni dorati; ai piedi aveva stivaletti di velluto celeste e alla vita una fascia argentata che pendeva lungo il fianco sinistro. Indossava una collana di oro bianco e due anelli di oro giallo su indice e medio sinistri. Aveva la pelle liscia nonostante la sua età, era chiaro che si fosse fatto “rimettere a posto” da un mago organico, e morbidi capelli bianchissimi, divisi perfettamente a metà da una riga, che gli arrivavano alle orecchie. Aveva occhi azzurri limpidissimi e una delle espressioni più fastidiose e piene di disdegno che Siirist avesse mai visto. E aveva avuto più di un incontro con i sei membri del Consiglio che lo odiavano a morte, dal suo resoconto della battaglia di Zanarkand, alla sua cordiale rimpatriata con Ashemmi e Injros ai cancelli di Orzammar.

«E voi chi sareste?» chiese con un tono di sufficienza.

«Qualcuno che è stato invitato qui. Ma non vogliamo disturbare, perciò ci andremo a mettere in quell’angolo.» rispose cordialmente il mezz’elfo.

Dovette trattenere Oghren che aveva preso a mugugnare parole incomprensibili: le uniche che Ryfon era riuscito a cogliere erano state “Narik” e “sventrare”.

Se lo volessi morto, lo sarebbe già. Non dobbiamo attirare troppa attenzione su di noi, è meglio stare buoni.› gli disse mentalmente.

Il nano grugnì e annuì.

Intanto fuori da quella sala PMI, la folla nelle gradinate aveva incominciato a spazientirsi e i loro richiami finalmente ebbero effetto e la luce che illuminava l’arena, da giallo sfumato, divenne bianco brillante come sotto il sole di mezzogiorno. Apparve l’annunciatore, un uomo un po’ in sovrappeso con due lunghi baffi all’insù che indossava un orrendo vestito rosso, così brutto che Siirist avrebbe preferito indossare tutto il guardaroba di Adeo prima di anche solo avvicinarsi a quel coso. Forse.

«Signori e signore, bene arrivati. È con mio immenso piacere che questa sera vi propongo questa battaglia!» pronunciò.

La folla esplose e Ryfon sentì i figli di Titano farsi più attenti.

«Interessante.» mormorò Kondrat mentre un sorriso gli si dipingeva in faccia.

«Nell’angolo rosso abbiamo lo sfidante: ha trentadue anni, è due metri e dieci per 130 chili di muscoli e un totale di 302 douriki!»

La folla incrementò i suoi urli di supporto mentre i nani, specie Oghren, si lasciarono scappare una risata. Effettivamente anche Ghorza-gul-Marak, la più debole fra loro escludendo Sylgja, avrebbe potuto rigirare lo sfidante come un calzino sporco.

«Ma non crediate che sia solo muscoli! È un praticante della Danza del serpente e la gru degli elfi che ha raggiunto il dodicesimo livello! Per chi di voi non la conoscessero, si tratta di una serie di movimenti atti a sciogliere il corpo e renderlo più flessibile, forte e scattante. In tutto sono ventidue, ma solo gli elfi con la loro grazia riescono a compiere tutti i movimenti di tutti i livelli. Vedrete che chiunque di voi non raggiungerebbe nemmeno il secondo livello!»

Era vero. Pure Siirist nei suoi anni a Vroengard aveva avuto difficoltà a superare il sedicesimo livello, e lui era sempre stato agile e sciolto, e solo con il risveglio del suo sangue elfico aveva potuto completare tutte le movenze. Gilia si era fermato al nono livello, ma non era mai stato molto slegato: se quell’uomo che si apprestava a combattere, con la sua stazza ed il suo peso, era riuscito a raggiungere il dodicesimo livello, c’era da fargli veramente i complimenti.

«Ha studiato arti marziali in tutta Tamriel dall’età di sei anni e possiede un quantitativo di energia spirituale che supera i 10mila douriki, tutti impegnati per la Materia di forza che tiene nel suo corpo! Un applauso per Wulgraf!»

Fra i boati del pubblico entrò nell’arena un armadio di uomo dalla carnagione scura e la testa pelata con un tatuaggio bianco sul capo e non un filo di grasso che indossava solo dei pantaloncini verde acido. Con una Materia che gli aumentava la forza fisica di 10mila douriki e una costituzione fisica simile, doveva essere in grado di polverizzare un macigno senza il minimo sforzo. Tra un po’ i Cavalieri dei draghi sarebbero diventati inutili visto che le Materia permetteva a chiunque di raggiungere i livelli dei Cavalieri comuni. Poi certo, c’erano casi come quello suo o dei Cavalieri d’Incubo o di Aulauthar.

«E ora, nell’angolo blu… – continuò il presentatore, e tutta la folla si azzittì. – La nostra campionessa in carica. È bella, è aggraziata, è il sogno di tutti noi. Con un quantitativo di douriki fisici e spirituali ignoti, Tifa!»

Se tutti avevano esultato per lo sfidante, ora era come se si fossero aggiunte almeno altre duemila persone. L’accoglienza che ricevette quella ragazza che non poteva essere più vecchia di Sylgja fu qualcosa di epico. Aveva lunghi capelli castano scuro e la pelle chiara, un viso incantevole e un seno di grandezza e forma da favola, messo bene in risalto dal reggiseno atletico che, assieme a dei pantaloncini elasticizzati, era l’unica cosa che indossava. Sylgja inspirò di getto, preoccupata nel vedere una persona così simile a lei, così apparentemente indifesa andare contro quell’energumeno, e la sua opinione fu condivisa dagli altri.

«Non ha la minima possibilità.» disse quasi spaventato Durin.

Siirist non disse niente, invece si concentrò sulla campionessa dell’arena. I suoi muscoli erano ben delineati e tonici, ma non esagerati né in massa né in definizione. All’apparenza poteva sembrare una semplice atleta e non una combattente; era molto simile fisicamente ad Alea, era solo più bassa di qualche centimetro. Eppure era la campionessa in carica, doveva necessariamente esserci qualcosa che la rendeva capace di mantenere il suo titolo. A giudicare dal suo corpo, non poteva avere più di 200 douriki fisici, ed era un corpo più sviluppato all’agilità che alla forza bruta. Poi poteva anche avere un enorme quantitativo di douriki spirituali e avere nel corpo una Materia così potente da permetterle di schiacciare l’avversario con solo il mignolo destro. Però lo sfidante conosceva la Danza del serpente e la gru, quello lo avrebbe reso ostico. Eppure Tifa era tranquilla, per niente preoccupata o tesa. Anzi, pareva divertita dalla situazione.

Intanto nell’area PMI si stavano facendo scommesse con cifre che raggiungevano tranquillamente il milione di guil. Per la sorpresa dei compagni del mezz’elfo, quasi tutti stavano puntando sulla ragazza.

«Queste vostre Materia stanno sconvolgendo tutte le normali regole di una battaglia.» si lamentò Durin.

«Sarebbe ridicolo se una ragazzina come quella lì vincesse contro un uomo imponente come lo sfidante. Le Materia hanno rovinato tutto, ora chiunque può essere forte anche senza alcun allenamento.» si aggiunse Oghren.

«Non proprio. Per poter contenere una Materia nel corpo, bisogna avere un equivalente numero di douriki energetici. Se la campionessa dovesse mantenere il titolo significherebbe che ha più douriki spirituali dell’altro, perciò è in grado di avere in sé una Materia di forza superiore.» spiegò Siirist.

«E se avesse qualche altro tipo di Materia?» domandò Sylgja.

«No, è proibito. Ho sondato le menti di tutte queste persone nella stanza e ho scoperto il regolamento: solo scontri fisici corpo a corpo, sono consentite esplosioni di energia incanalata attraverso il corpo e l’uso di Materia che migliorino le prestazioni fisiche, quindi che possono aumentare la forza fisica, incrementare la resistenza, rendere i muscoli più elastici e scattanti, anche quelle di rigenerazione. Ma niente Materia elementali o di volo o dotate di altri poteri.»

Nell’arena suonò una campana e i due avversari partirono l’uno verso l’altra. Wulgraf caricò un diretto destro, ma Tifa saltò in alto e compì un salto teso con un mezzo avvitamento con cui arrivò alle spalle dell’uomo. Gli assestò un possente colpo con il palmo aperto in cui mise tutto il suo peso. Ryfon sentì la colonna vertebrale dello sfidante rompersi fino alla tribuna PMI. Nani e orchi emisero un verso di sorpresa, Sylgja un sospiro di sollievo, mentre Siirist socchiuse appena gli occhi, concentrandosi attentamente sulla campionessa.

Lo sfidante era a terra e in una situazione normale un colpo simile lo avrebbe steso, ma con la Materia che lo rafforzava e la sua grande forza di volontà, egli si rialzò e, per la sorpresa di tutti, si riassestò la schiena.

‹Che abbia anche una Materia di rigenerazione?› suppose Rorix.

‹Possibile, non è contro le regole. Ti trovo particolarmente interessato, come mai?›

‹Queste Materia sono interessanti: come il misticismo sono imprevedibili, non sai che tipo una persona possa avere, sia nel corpo, sia come carica per armi. Oggigiorno ad un comune umano basta avere una grande spiritualità per avere la forza di un Cavaliere dei draghi, chi sa quanti Scorpioni sono equipaggiati con esse.›

Ryfon non rispose, concentrato com’era sullo scontro e intento com’era a immaginarsi ogni possibile scenario: l’annunciatore doveva essere stato messo al corrente solo della Materia di forza dell’uomo, mentre era evidente che nascondesse altri assi nella manica e chi sa quanti ancora. Wulgraf si avventò sulla sua avversaria con le braccia aperte, intenzionato ad afferrarla e probabilmente schiacciarla a terra, ma quella eseguì un salto raggruppato all’indietro dopo avergli assestato un calcio doppio sul petto. Il pubblicò apprezzò quella mossa. Con lo sfidante a terra, Tifa scattò in avanti e, a tre metri dall’uomo, fece un salto carpiato in avanti che finì con un calcio sulla sua nuca; ma quegli non si fece sorprendere e la afferrò per la caviglia e la roteò violentemente, sbattendola a terra e lanciandola contro le sbarre che delimitavano l’arena. Sylgja strinse il braccio a Siirist, quasi sentendosi male.

‹Tu che dici?› il mezz’elfo chiese al suo drago.

‹Se si rialza da una botta simile, dico che potrebbe vincere lei. Non sappiamo quanto sia potente la sua Materia, potrebbe benissimo non aver sentito niente di quel colpo.›

‹Io mi chiedo solo come faccia un uomo degno di tale nome a colpire così brutalmente una ragazza tanto bella.›

‹Tu tutte le volte con Alea?›

‹Ma quello era allenamento, sapevo bene che si sarebbe ripresa e guarita completamente un secondo dopo la fine dei nostri duelli; per di più non le ho mai voluto fare veramente male. Se all’inizio mettevo tutto il mio impegno, era perché sapevo che era necessario per avere anche la più minima possibilità di colpirla. Questi due, invece, fanno sul serio, per quanto non si vogliano uccidere.›

‹È proprio un bene che tutti i nemici che hai affrontato fossero uomini; conoscendoti, non avresti mai il coraggio di eliminare un’elfa oscura. Patetico.›

Il Cavaliere ignorò il commento del compagno mentale e osservò come la campionessa stesse cercando di rialzarsi con difficoltà. Era sulle ginocchia e si reggeva con il palmo destro e il gomito sinistro.

‹D’accordo, come non detto: l’ha sentito.› si corresse l’Inferno.

Con un poderoso calcio sulle costole, Wulgraf la scagliò verso l’alto, mandandola a sbattere contro le sbarre che delimitavano il sopra della gabbia. Tifa ricadde violentemente sul pavimento dell’arena con il pubblico che non proferiva parola. L’avversario rimase in attesa che si rialzasse mentre l’arbitro intervenne per incominciare a contare. In uno scontro reale l’uomo avrebbe incominciato ad infierire, oppure l’avrebbe semplicemente finita. Quei “combattenti” non avevano la minima idea di che cosa fosse una vera battaglia. O anche solo un allenamento con Kenpachi.

Il conto dell’arbitro era arrivato a cinque quando la ragazza aveva incominciato a rialzarsi. Pareva debole e sofferente, ma l’occhio attento di Siirist notò che non aveva alcun danno grave, giusto un labbro rotto, e che il tremolio che aveva nelle braccia era finto.

‹He, ma guarda un po’, è davvero dotata di una Materia potente.› ridacchiò Rorix.

‹È brava, tutti credono che sia davvero ridotta male.›

‹Immagino debba ravvivare un po’ lo spettacolo, se vincesse ogni volta con il minimo della difficoltà, questi babbuini non si divertirebbero.› commentò il drago.

Prima che Wulgraf potesse schiacciarla a terra con una pedata, la ragazza rotolò via e si rialzò con un movimento rotante agile e aggraziato. Attaccò con un calcio in faccia, ma l’uomo inarcò la schiena all’indietro, evitando di venire colpito con un movimento che quasi pareva impossibile per la sua corporatura, frutto dei suoi studi della Danza del serpente e la gru. Si rialzò di scatto e cinse la coscia della campionessa con il braccio e strinse forte fino a spezzare il femore. Sylgja sbiancò.

‹Questa non la può fingere di sicuro.› disse Rorix.

‹Intrattenitori: se lo avesse finito dall’inizio, avrebbe vinto. Ora invece rischia di perdere il titolo.›

‹“Rischia”? Non può volare, con una gamba spezzata in quel modo che credi possa fare? A meno che abbia una Materia rigenerativa. Ma ne dubito: per guarire una frattura simile dovrebbe essere molto potente, e dubito abbia i douriki energetici sufficienti per contenere una Materia di forza e una di rigenerazione di tale livello allo stesso tempo.› osservò l’Inferno.

‹Vediamo. Anche senza una gamba, mi sembra il tipo capace di inventarsene sempre una nuova.›

E come previsto dal mezz’elfo, Tifa, ancora a contatto con l’avversario, gli assestò un forte pugno in mezzo alla fronte, colpendolo con l’intersezione tra la prima e la seconda falange del dito medio leggermente alzato.

‹Gli ha stimolato un punto verde?!› disse incredulo.

‹È una ladra?› domandò insicuro Rorix.

‹Non credo. Quel metodo di pressione non è una tecnica della Gilda, è possibile che abbia scoperto da sola l’esistenza dei punti verdi e possibilmente degli altri punti sensibili. È interessante.›

‹Perché credi che la Gilda ti abbia mandato qui?›

‹Non lo so, ma sono sicuro abbia a che vedere con lei. La voglio andare a conoscere.›

Mentre l’annunciatore dichiarava Tifa la campionessa ancora in carica, Ryfon vide un grosso uomo dalla carnagione quasi nera, probabilmente il discendente di qualche appartenente alle tribù del deserto che si era stabilito in una Città delle Macchine, a giudicare dal suo vestiario non del deserto, e con il braccio destro dal gomito alla mano metallico, andare ad aiutare la ragazza giù dall’arena.

«Quel pezzente di Wallace vince ancora, che Sithis se lo porti! Non importa chi troviamo da mandarle contro, quella ragazzina non si fa battere.» disse arrabbiato lo snob dai capelli nivei.

Il nome che questi pronunciò colse l’attenzione del mezz’elfo che gli invase la mente per scoprirne di più, e venne a sapere che l’omone con il braccio metallico era proprio Barrett Wallace.

«Seguitemi.» disse ai cinque compagni.

Uscirono dall’area PMI e raggiunsero gli spogliatoi degli atleti grazie alle analisi mentali di Siirist di tutto lo stadio sotterraneo. Bussò alla porta e venne ad aprire proprio Barrett.

«Non si fanno autografi.» disse scortese e cercò di richiudere la porta.

Ma Ryfon appoggiò un dito ad essa ed impedì all’altro di muoverla di anche solo un millimetro.

«Sono qui per aiutare.»

Spinse via l’omone ed entrò nello spogliatoio dove la campionessa era stesa su una panca con la gamba destra tirata su. Aveva un’espressione di puro dolore in volto e gli occhi arrossati.

«So che la Materia che hai in corpo ti sta aiutando a sopportare il dolore perché ti aumenta la resistenza, ma potrebbe interferire con il mio incantesimo di guarigione, quindi ti devo chiedere di rimuoverla.»

«Di che stai parlando?! È una brutta frattura, nessun incantesimo la può aiutare! Ha bisogno di mettere il gesso, bere molte pozioni e, al limite, sottoporsi a qualche incantesimo leggero. Qualcosa di così potente da guarirla istantaneamente può solo causarle ulteriori danni!» si oppose Barrett.

«Fai silenzio. Tifa, che dici? Questo dolore può sparire tra dieci secondi, se vuoi, e potrai ritornare a camminare, correre e saltare tra undici.»

Annuì, incapace com’era a formulare parole sensate tra i suoi lamenti di sofferenza. Ryfon attivò la macchina della Volpe per impedire al filatterio di rintracciarlo e le toccò il Flusso con il proprio. Il momento in cui ella fece uscire la Materia giallo splendente dalla mano destra, le recise ogni terminazione nervosa della gamba per impedirle di sentire dolore. Le guarì la frattura, le risistemò i nervi e ristabilì il normale andamento del corpo.

«Fatto.» disse.

«Non hai fatto niente!» protestò l’omone.

«Tifa?» chiese il mezz’elfo con tono retorico.

«Sto… bene?» disse sorpresa.

«Naturalmente.»

Barrett le fu istantaneamente addosso e la aiutò a rialzarsi quando vide che ella stava mettendo i piedi a terra.

«Non serve, sto bene, davvero.» insistette, e l’omone si allontanò.

Fece qualche passo prima di guardare il mago.

«Ti ringrazio.» disse con tutta la sincerità possibile.

Barrett, invece, rimaneva sospettoso.

«Come hai fatto? Chi sei?»

Il mezz’elfo ci pensò su, chiedendosi se era meglio dire la verità o inventarsi qualche balla. Optò per la prima possibilità.

«Io sono Siirist Ryfon, il Cavaliere d’Inferno.»

Le facce dei due erano illeggibili. Tra la confusione, l’incredulità e la sorpresa, era difficile dire quale delle emozioni fosse la predominante.

«Mi prendi in giro.»

«No.»

«E dove sarebbe il tuo drago?»

«Ad allenarsi.» rispose vago.

«E perché dovremmo crederti?»

«Barrett…» cominciò a dire Tifa.

«Entri qui, senza invito, esegui questa magia misteriosa e invisibile e pretendi che crediamo che sei un Cavaliere dei draghi, quello di Inferno, per giunta, quando non hai nemmeno il tuo drago con te? Ci hai presi per cretini, ragazzino? Dovrei farti saltare qui e ora!»

La mano meccanica si deformò e si ricostituì sotto forma di un grosso fucile a Materia.

«Barrett!» insistette.

«Che c’è?!»

«Con il modo in cui mi ha guarito, credo sia possibile che stia dicendo la verità. Anche non fosse, gli dobbiamo molto, non puoi metterti a sparargli!»

«Hm, hai ragione…» ammise deluso.

Era stato fortunato che la ragazza lo aveva fermato, perché Siirist aveva già preparato un taglio di vento che gli avrebbe reciso il fucile dal resto del braccio, se no.

«Come possiamo ringraziarti?» chiese Tifa gentilmente.

«Io qualche idea ce l’avrei, hehe.» sogghignò Oghren.

Ryfon lo calciò sul lato della testa, mandandolo a schiantarsi a terra.

«So creare Materia e possiedo alcune armi alimentate ad essa, ma ho saputo che tu sei il migliore sulla piazza, Barrett Wallace. Ti chiedo di insegnarmi a costruire armi e a creare le migliori Materia possibili.»

Per un momento l’omone rimase serio e in silenzio. Lui e il biondo si fissavano senza distogliere lo sguardo, Tifa guardava da l’uno all’altro, i compagni del Cavaliere pure, sentendosi un po’ a disagio. Infine Wallace scoppiò sonoramente a ridere. Tifa si seppellì la faccia in una mano e scosse la testa, mentre Siirist alzò un sopracciglio con aria indispettita.

‹Fossi lì lo farei arrosto.› commentò Rorix.

«Se solo avessi Orgoglio…» mugugnò Kondrat.

«Potrei gentilmente sapere perché staresti ridendo?» mantenne la calma il biondo.

«Un Cavaliere che vuole usare la Materia?! Ridicolo! Sapevo che non eri il vero Cavaliere d’Inferno!»

Siirist sorrise. Era lo stesso sorriso che gli aveva tante volte rivolto Evendil; lo stesso che Keira, a Skingrad, aveva sempre odiato perché sapeva che guai sarebbero presto seguiti; lo stesso che aveva sempre visto su Alea prima che questa generasse le sue temibili lance di ghiaccio. Per un momento stava per trasformarsi in draconiano, ma cambiò subito idea. Chiuse gli occhi, abbassò la testa e sospirò. Quando guardò di nuovo l’altro in faccia, aveva cambiato espressione.

«Io sono chi dico di essere; non mi credi?, non mi interessa. Ma trovo che mi siete debitori dopo il modo in cui ho guarito Tifa, perciò voglio che mi insegni. Potrei anche pagarti, se è quello che vuoi.»

Le ultime parole parvero essere andate a segno, e Wallace incominciò a pensarci approfonditamente, ma la ragazza tagliò corto dopo avergli assestato una gomitata fra le costole che egli ricevette con un verso strozzato.

«Certo che ti insegnerà, e gratuitamente!» disse quasi minacciosa, rivolgendosi più all’amico che al biondo.

«Hm, d’accordo...» rispose quegli controvoglia, massaggiandosi il punto colpito dalla gomitata con un’espressione dolorante in volto.

«Ottimo! Quando possiamo cominciare?» sorrise il mezz’elfo.

«Dopodomani alle nove di mattina. Il mio negozio sta sul terzo livello della città, nel sessantunesimo settore, nel quartiere delle Due Torri, via del Leviatano numero 101. Ora sparite.»

«Ci vediamo lì.» rispose Ryfon, uscendo.

 

Il quartiere delle Due Torri era tutta un’altra cosa rispetto ai bassifondi. Situato nel terzo piano della città, aveva una vista tale da poter vedere molto lontano, gli edifici erano tutti belli e tenuti bene, con splendide cascate che uscivano da alcuni e si riunivano nel parco al centro oppure si riversavano nel piano d’acqua che sorreggeva il quartiere. Per prima cosa, Siirist si era trovato un piccolo albergo a tre stelle in cui alloggiare anziché quella topaia d’ostello, abbandonata alle prime luci dell’alba, se così si potevano chiamare dai bassifondi, dove erano invece le luci a Materia ad illuminarsi a giorno, sostituendo le luci soffuse dei lampioni. Sylgja era rimasta per un’ora e mezza nel bagno a lavarsi, grattarsi, lavarsi ancora e quasi spellarsi, e si era addirittura rifiutata di indossare nuovamente i vestiti che aveva avuto addosso in quella casa di batteri. Addirittura la cella in cui l’aveva tenuta Stig era stata pulita a confronto, aveva detto, e non aveva voluto nemmeno dar retta al mezz’elfo che le aveva spiegato che ci aveva pensato lui a igienizzare la stanza al loro ingresso. Per colazione Siirist andò ad un bar poco distante dall’albergo, indossando camicia a maniche corte a quadretti rosso rubino e scuro, lunghi e larghi pantaloni di un rosso così scuro da quasi sembrare nero con molte tasche e un paio di scarpe molleggiate bianche con strisce rosse. Nella tasca anteriore destra dei pantaloni aveva il suo borsellino di guil, mentre ad una delle due cinture messe più per decorazione che altro aveva assicurato la custodia degli occhiali da sole grigio scuro che indossava. Mentre camminava sentì degli urli quasi disperati e si voltò per veder correre e urlare a perdifiato un manipolo di soldati; ma non erano le guardie cittadine, le loro armature recavano i colori del granduca, il nero e l’oro.

‹Che accidenti stanno facendo qui delle guardie di palazzo?!›

Erano affannate, come avessero corso per ore, ma non avevano armi sguainate, perciò non doveva essere una situazione realmente pericolosa. Il settimo senso disse al mezz’elfo che due presenze piccole gli stavano per arrivare addosso, allora volse lo sguardo e vide correre velocemente due bambini che non potevano avere più di cinque o sei anni. Uno era castano scuro, con degli occhi nocciola di una tonalità conosciuta che ridevano, se possibile, anche più della bocca, deformata in un sorriso fino a quel momento ritenuto impossibile; l’altro era biondo scuro e aveva dei brillanti occhi azzurri e pure lui un sorriso smagliante ed esagerato. Ridendo sonoramente, i due scapparono via.

«Eccoli lì! Fermatevi!» urlò uno dei soldati, boccheggiando.

«Venite qui…!» disse un altro.

«Nobile Tryen…!»

Ma i due bambini erano sordi ai richiami delle guardie e continuarono a correre; il biondo saltò oltre un carro levitante, poggiando entrambe le mani su una delle valigie trasportate e dandosi la spinta, mentre l’altro scivolò sotto.

«No!» si disperarono diverse guardie.

E ripartirono.

‹Due semplici bambini che riescono ad eludere le guardie di palazzo? Non male.›

‹Mah. Da quello che ricordo, le guardie di palazzo non sono tutto questo che: furono massacrate dagli Scorpioni senza tante difficoltà.› rispose Rorix.

‹Sì, come è anche vero che di sette draghi e Cavalieri, sopravvivemmo solo noi e Ren e Zabi. I soldati hanno chiamato uno di loro “nobile Tryen”: che sia il figlio di Glallian? Suppongo sia il biondo, gli assomiglia pure.›

‹Sai che mi frega.› disse prima di troncare la conversazione e tornare ad allenarsi.

 

Dopo una bella colazione a base di cornetti vuoti, frittelle con sciroppo d’acero e spremuta d’arancia, Siirist lasciò il bar fissato da tutti per la quantità di cibo che aveva consumato. Il negozio di Wallace era a due piani, ed era situato quasi in cima al quartiere, con solo una strada che lo sovrastava. Appena entrato si ritrovò davanti Tifa che lo accolse calorosamente, ed effettivamente Ryfon non poteva negare che era meglio trovare lei di prima mattina anziché quello scimmione di Barrett.

«Buongiorno.» rispose il mezz’elfo con un sorriso.

«Tzè, non pensavo saresti venuto veramente.» disse quasi sputando l’appena giunto gorilla.

«Cominciamo?» sorrise amabilmente, decidendo di ignorare la maleducazione del costruttore di Materia e di non cancellarlo con il Vuoto.

«Hm… Vieni.»

Barrett incominciò a camminare per il negozio, avvicinandosi man, mano ai prodotti in vendita ed indicandoli all’altro che lo seguiva.

«Sai come si crea una Materia?» chiese quasi spazientito.

«Si infonde una gemma con il potere del Flusso vitale per darle l’effetto di un incantesimo, dopodiché la si carica e la si fa passare attraverso vari processi alchemici atti a cambiarne la forma e a rendere l’energia contenuta al suo interno facilmente ricaricabile.»

«Hm. – annuì. – E mi sai dire quali sono i due gruppi in cui si possono suddividere le Materia?»

«Da carica e da corpo?» rispose insicuro che fosse la risposta voluta.

«Esattamente. Quando ne crei una è importante chiarire da subite quale tipo vuoi. Come vedi si possono ottenere diverse forme e dimensioni e non sempre una Materia grande può essere più caricata di una piccola: come per le gemme, quando si usano come magazzino per l’energia, conta più la purezza della grandezza, e visto che le Materia non sono che gemme che hanno attraversato un processo alchemico, il discorso non cambia. Inizialmente le Materia da carica erano più convenienti di quelle da corpo, perché per quelle da corpo è necessario un equivalente in douriki spirituali, per di più le capacità fornite erano pressoché le stesse. Ma ora la tecnologia ci permette di creare Materia con capacità sempre più simili alla magia: una Materia di fuoco, ora, non solo può sparare palle o generare fruste, può fare tutto ciò che un mago di fuoco può fare, sempre nei limiti del potere della Materia, chiaramente. Ma tu, Cavaliere d’Inferno, immagino sia più che pratico e dotato nelle arti mistiche, perciò se vuoi delle Materia, suppongo sia interessato a quelle da carica.»

Il mezz’elfo annuì.

«Da questa parte.»

Lo seguì nel retrobottega e si sedette ad una sedia opposta a quella che venne occupata dal costruttore d’armi.

 

Dopo un’intera giornata passata a studiare le varie parti meccaniche che compongono una pistola, l’ultima cosa che Siirist voleva sentire era Sylgja che gli chiedeva di portarla a fare compere.

«Eh?» chiese con un sentimento che poteva essere facilmente e a ragione confuso con il disgusto.

«E dai!»

«Ma tu ho paura che sei scema!»

«Oh!»

«Che hai fatto tutto oggi? Non potevi andare da sola?»

«Ma non mi diverto da sola.» mise il broncio.

Il mezzo demone ringhiò infastidito, non sopportando quando la ragazza faceva in quel modo che gli ricordava Kaede. Chiuse gli occhi e si calmò.

«Domenica. Domenica non mi vedo con Barrett perché deve “andare a guardare la partita, bere, dormire, mangiare e non avere rotture di coglioni in mezzo ai piedi”. Ne parlo anche con Tifa domani, che certamente conosce i negozi della città, va bene?»

«Grazie!» esultò saltandogli addosso e abbracciandolo.

 

L’unica cosa che girava per la testa di Siirist, oltre alle risate di derisione del suo amatissimo drago, era il desiderio di uccidersi. Sì, pensava di prendere quella pistola che aveva appena finito di costruire, mettersela in bocca e premere il grilletto. Se solo fosse stata sufficientemente potente da ucciderlo veramente… No, se si fosse voluto ammazzare con un’arma a Materia, avrebbe dovuto usare una di quelle di Barrett, altrimenti sarebbe dovuto ricorrere al caro vecchio tantou nello stomaco. Ne aveva sentito parlare durante la sua adolescenza a Skingrad, ed era qualcosa che, assieme a tutti gli altri suoi concittadini di genere maschile, aveva sempre temuto più dell’attacco di una cocatrice o di un basilisco, le due creature più pericolose in quella zona di Spira. L’aveva sempre scampata, l’aveva sempre evitata come la cristallizzazione, perciò tutto quello che ne sapeva a riguardo erano voci e leggende, superstizioni e dicerie. E per Obras se aveva sempre fatto bene: accompagnare una donna a fare compere di vestiti era uno dei segni della fine del mondo. La noia stava divorando tutto il suo essere, era come essere un indifeso pesciolino in una vasca piena di megalodon che, lentamente, si avvicinavano sempre di più; era come trovarsi in una stanza sigillata in cui l’ossigeno veniva a mancare ad ogni boccata; era come trovarsi in mezzo ad un harem di Alea ed essere diventati impotenti. E dall’alto della sua ingenuità, della sua incoscienza, ne aveva invitata un’altra! Con disgusto e depressione guardò Sylgja e Tifa zompettare allegramente tra le vetrine.

‹Il miglior… giorno… della mia vita!› disse a stento Rorix tra le fragorose risate.

‹Ridi, ridi, hahaha! Senti quanto sto ridendo anche io!› ribatté irritato il Cavaliere.

All’interno della sua torre mentale, Ryfon se ne stava seduto sul suo trono, livido, mentre quella sottospecie di lucertola alata si rotolava dalle risate sul pavimento.

‹La vuoi finire?›

‹Mai!› rispose aspirando così forte da quasi rendere la parola incomprensibile, visto il volume delle risa. E pensare che stavano comunicando mentalmente.

«Siirist! Vieni qui!» chiamò eccitata Sylgja.

Il mezzo demone ringhiò prima di andare dalle ragazze. Oh bene, l’ennesimo vestito. Sempre meglio delle scarpe, almeno. O delle borse. Per Obras, se odiava le borse! Stava per non mettere nemmeno troppo impegno nel fingersi sorpreso/eccitato/interessato quando qualcosa nella vetrina dall’altra parte della strada colse la sua attenzione. Aprì il borsellino e tirò fuori due monete d’oro.

«Tieni, comprate quello che volete.» mormorò, prendendo la mano di Orla e mettendole dentro i duemila guil senza nemmeno guardarla.

Ciò che gli era saltato all’occhio era un lungo cappotto di pelle nero, esposto sopra ad un manichino che indossava dei grossi stivali, un modello chiamato “anfibio”, e dei larghi pantaloni di un qualche tessuto nero con molte tasche. Si avvicinò al vetro con la bocca aperta.

«Ohi? Che succede?» lo raggiunse preoccupata Sylgja.

«È perfetto.» disse Siirist.

«Per cosa?» domandò Tifa.

Il biondo sorrise e basta.

 

 

 

~

 

 

 

Spero abbiate tutti passato delle buone vacanze e che questo nuovo anno sia iniziato bene.

 

Il prossimo capitolo si intitola PISTOLERO. Siirist sta imparando a costruire Materia del più alto livello e armi capaci di sostenerle, ora è il momento di allenarsi ad usarle propriamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 81
*** PISTOLERO ***


PISTOLERO

 

Ritornati nella loro camera d’albergo, Sylgja appoggiò a terra tutte le buste piene di vestiti con un sonoro sbuffo.

«Potevi anche aiutarmi, sai?» si lamentò.

«No, non credo.» rispose senza troppa considerazione il mezz’elfo.

Indispettita, la ragazza gli lanciò addosso la prima cosa che le capitò sotto mano, il tostapane. Seduto con le spalle rivolte verso di lei, il ladro alzò il braccio destro e afferrò l’oggetto senza nemmeno guardarlo.

«Tu e i tuoi riflessi.» mugugnò.

Siirist era stato a contare i soldi che gli erano rimasti, e considerando che le tre stanze che aveva preso per sé e i suoi compagni venivano otto bronzi ciascuna a notte, i cinque ori rimasti non sarebbero durati ancora per molto. Era necessario trovare un’altra soluzione per l’alloggio.

«Vestiti elegante per la cena di stasera. Suggerisco il vestito blu scuro.» disse mentre usciva dalla stanza.

Andò a quella di Durin e gli diede cinque argenti.

«Sono per cena, mangiate quanto volete, io e Sylgja abbiamo qualcuno da incontrare questa sera.»

«D’accordo.»

E con questo, ritornò ai negozi d’abbigliamento di prima.

 

Quando, alle sei di sera, rientrò nella sua camera d’albergo, trovò Sylgja già pronta.

«Perché questa eleganza?» gli chiese, notando lo smoking del mezz’elfo.

«Perché stasera saremo a cena dal granduca.» sorrise e andò a guardarsi un’ultima volta allo specchio.

«Cosa?!»

«Oh, non ti ho mai detto di conoscerlo personalmente?» disse con naturalezza, girandosi verso di lei.

«No! Come?»

«Gli ho salvato la vita quarantuno anni fa, da allora mi adora.»

«Vantati poco.»

«Hehe. Bene. Vogliamo andare?»

Scesero per strada dove trovarono un taxi, chiamato dall’albergo, già pronto. Il conducente era un uomo pulito e ben vestito, giovane e con un bel sorriso.

«Dove desiderate andare, signore?» chiese educatamente.

«Al palazzo del granduca.»

Quello sgranò gli occhi.

«Siete sicuro?»

«Assolutamente.»

«D’accordo…» rispose insicuro.

Siirist aprì la portiera per Sylgja e la fece salire prima di accomodarsi lui stesso, al che l’automobile partì. L’arrivo al palazzo di Zanarkand via auto era molto diverso da quello via drago. A vederlo dall’alto, l’alta torre che costituiva la residenza del granduca era sì imponente, con la superficie gelatinosa della montagna d’acqua, la più alta di tutta la metropoli, ricoperta dalla tipica pavimentazione della città, luogo in cui si era svolta gran parte della battaglia tra Cavalieri e Scorpioni quel fatidico giorno in cui questi ultimi si erano impossessati della Lama di Luce, e da un lussureggiante giardino nella parte posteriore. Arrivandovi via terra, invece, si percorreva una lunga strada ben sorvegliata che si separava dalla superstrada principale di Zanarkand e, arrivati alla parete della montagna gelatinosa, essa era coperta da un alto muro. A una ventina di metri dal cancello, il tassista fermò l’auto.

«Non mi avvicino oltre. Sono 57 guil, ma potete anche pagarmi dopo quando ritornate, se volete.» disse, convinto che i suoi passeggeri sarebbero stati rimandati indietro.

«No, pago subito. Potete andare, grazie.» rispose il mezz’elfo.

«Come volete.» scrollò le spalle, restituendo le tre monete di rame di resto per le sei di bronzo.

Siirist portò la mano alla maniglia della portiera, ma prima di aprirla, si rivolse a Sylgja.

«Fai silenzio, qualunque cosa accada, e fidati di me, seguimi anche se quello che faccio ti sembra assurdo.»

La ragazza ormai aveva imparato che non era il caso di controbattere.

«D’accordo.» sospirò, scrollando le spalle e alzando gli occhi al cielo.

Siirist entrò in stato di calma assoluta e, dopo qualche secondo di concentrazione, attivò la sua illusione. Aprì la portiera e scese, richiudendola dopo che anche Sylgja fu uscita. Si diressero verso il muro, la ragazza che teneva il mezz’elfo per mano, e i due bot di sicurezza stanziati davanti al cancello nemmeno li notarono. E loro continuarono a camminare. Nessuna delle centinaia di guardie situate all’interno del muro, che vedevano l’esterno grazie ad una sfera da trasmissione visiva, disse loro di fermarsi per mezzo dell’altoparlante. Siirist e Sylgja continuarono a camminare fino a che raggiunsero il cancello e lo attraversarono come se niente fosse, mentre i soldati di guardia credevano di aver visto un taxi arrivare a venti metri dal cancello e poi rigirare e allontanarsi.

Le illusioni di base erano rivolte a una sola persona o ad un gruppo; chiunque non ne facesse parte, avrebbe visto i bersagli dell’illusione immobili, mentre questi si immaginavano di fare chi sa che, oppure li avrebbe visti muoversi per schivare attacchi inesistenti, o saltare su una sporgenza non presente, finendo quindi in un precipizio, o anche dirigere i propri attacchi a se stessi quando erano invece convinti di aver preso di mira il proprio nemico. Chiunque avesse il titolo di illusionista era in grado di eseguire attacchi mentali di questo tipo, chi più efficaci, chi meno, ma i pochi eletti erano quelli capaci di illudere non le persone direttamente, ma il mondo stesso, perciò chiunque guardasse un fiore colpito da un’illusione, lo avrebbe visto viola anziché rosso, oppure il dì sarebbe potuto apparire come la notte; ed era da questa forma di illusione che Adeo aveva sviluppato la sua illusione reale. Essa consisteva nel modificare l’ambiente in tutti i suoi aspetti, arrivando ad illudere tutti i sensi; il tatto era il più complesso da ingannare, perché si poteva nascondere dalla vista un muro e farci andare a sbattere una persona, ma il contrario, illudere il senso del tatto che quel muro non è realmente presente e permettere alla persona colpita dall’illusione di passarci attraverso, era qualcosa che solo Adeo, con le sue conoscenze di magia organica, era riuscito a fare. E da lì il processo inverso: creare un’illusione che coinvolgesse tutti i sensi e farla effettivamente diventare reale: una spada apparsa dal nulla e creata solamente dalla mente dell’illusionista non solo dava l’idea di ferire, dunque danneggiare la persona nella mente, ma arrivava ad avere effetto fisico sul corpo. Per Siirist le illusioni reali erano una delle parti più divertenti, e anche più difficili, di tutto il grimorio di Adeo, e Glarald e Akira ancora ricordavano quante il giovane Cavaliere ne aveva fatte passare loro, intrappolandoli in scatole, facendo apparire all’improvviso dei muri davanti a loro, cancellando le porte dalle pareti o facendoli camminare per svariati minuti lungo un corridoio di dieci metri. La Guida aveva spesso urlato contro il suo cosiddetto apprendista, mentre il vampiro non si era mai azzardato ad alzare la voce con il suo padrone, per quanto, specie nei primi tempi, Siirist avesse visto spesso lampi d’odio nel suo sguardo.

L’espressione di Orla nel varcare la soglia del cancello come se esso non ci fosse neanche stato era impagabile, se Siirist non fosse stato in calma assoluta sarebbe sicuramente scoppiato a ridere. Dal cancello si estendeva una strada che raggiungeva la torre, che scendeva fino al fondale marino. La luce lungo la strada era molto forte, ma nel resto dell’area sottostante la montagna d’acqua era molto buio, e Siirist riuscì a vedere solo grazie ai suoi occhi demoniaci: dalla struttura principale si estendevano i vari hangar per le aeronavi del granduca e in fondo, Siirist sapeva, era ormeggiato un sottomarino, una delle prime macchine da trasporto costruite dopo le navi e le automobili.

Percorsero tutta la strada, arrivando al portone di servizio della torre e lo attraversarono come avevano fatto con il cancello. Entrati nel palazzo, Siirist annullò l’illusione reale, mantenendo comunque quella che li rendeva invisibili, e abbandonò la calma assoluta ed ebbe un leggero mancamento. Si sentiva mentalmente stanco come se non avesse dormito per settimane di fila, la testa gli doleva come dopo la peggior sbronza della sua vita e dopo aver preso la più forte mazzata immaginabile dritta sulla nuca. Le illusioni reali erano certamente potenti, con una mente come quella di Adeo, sarebbe stato possibile creare qualcosa di così forte da resistere addirittura al fuoco nero, almeno per un po’, ma persino il grande illusionista trovava appena stancanti compierle, per una persona poco dotata come Siirist, non c’era niente di peggio. Si accasciò a terra con le mani alle tempie e le dita che massaggiavano la fronte.

«Che succede?» si preoccupò Sylgja.

«Succede che la tecnica che ho appena usato è la più complessa e difficile per me da eseguire. Ma non c’era altro modo, con un incantesimo, non solo il mio filatterio avrebbe reagito, sarebbero scattati tutti gli allarmi del palazzo.» rispose con un bisbiglio, per non aggravare ulteriormente l’emicrania.

‹Ti è venuta bene, però, non ti è mai durata così a lungo.›

‹Infatti si vedono i risultati, sono sfinito. Un’illusione reale combinata al fuoco nero sarebbe qualcosa di imbattibile, ma è assolutamente fuori discussione pensare che sia possibile. Per quanto potente, una tecnica che mi riduce così dopo un solo utilizzo è inutile in battaglia.›

‹Immagina un’illusione reale combinata al Confine assoluto: potrebbe negare persino i poteri divini.›

‹Già ma, come ho detto, è inutile.› sbuffò il biondo.

‹Suggerirei di allenartici di più, sarebbe da tenere in considerazione.›

‹Lo farò.› rispose rimettendosi in piedi.

«Andiamo.» disse a Sylgja.

‹Questa notte dormirò come un sasso. Adesso proviamo un po’…› pensò, ignorando il continuo martellare nel cranio.

Si avviarono verso uno degli ascensori che li avrebbero portati al piano della torre che si trovava all’altezza della superficie dell’acqua gelatinosa della montagna e il mezz’elfo incominciò a cercare la frequenza mentale di Glallian. Erano passati molti anni dal loro ultimo incontro e il modo di pensare del granduca era indubbiamente cambiato da quando era bambino, perciò ci mise un po’ a trovarlo. Dopo aver forzato un servitore del palazzo a prendere l’ascensore ed esserci salito anche lui insieme a Sylgja, era arrivato a metà strada quando trovò la mente del vecchio amico.

‹Cosa…?!›

‹Non allarmarti, Glallian, sono Siirist. Sono con un’amica e vorremmo cenare con te, se non ti dispiace. Nascondi la cosa ai Cavalieri e incontriamoci all’ingresso formale del palazzo.› e chiuse lì la conversazione.

Quando le porte dell’ascensore si aprirono, Ryfon intraprese un corridoio, alla fine del quale raggiunse l’atrio, la grande statua di marmo nero, con venature che tendevano al blu molto scuro, raffigurante il grifone Septim che si ergeva in cima alla fontana al centro del salone. E ad attenderli vi era Glallian. Considerando che l’ultima volta che il Cavaliere lo aveva visto aveva avuto cinque anni, era cambiato notevolmente. Era alto all’incirca un metro e ottanta, con la schiena dritta e il fisico asciutto e le spalle larghe. Aveva un portamento nobile, elegante, raffinato, ma anche deciso e autoritario. I suoi brillanti occhi azzurri mostravano la stessa energia che il mezz’elfo aveva visto anni prima, ma assieme ad essa vi era la stanchezza derivata dall’essere il governatore di una delle principali città dell’Impero. Mettici anche il periodo di guerra, le sue responsabilità erano moltiplicate. Aveva qualche ruga attorno agli occhi e ai lati della bocca, non aveva un filo di barba e i capelli stavano incominciando a ritirarsi. Sorridendo, Siirist rilasciò la sua seconda illusione e Septim poté vederli.

«Da quanto tempo.» disse il mezz’elfo con un leggero inchino.

«Troppo, vecchio amico.» rispose avvicinandosi per abbracciarlo.

«Qui il vecchio sei tu. E pensare che ti ho conosciuto che eri un bambino!» sfotté, battendogli la spalla mentre si stringevano.

«Tu invece non sei cambiato per niente, stai sempre a far danni, ho sentito.» ribatté dopo essersi separati.

«Devi essere più specifico.» scosse la testa Ryfon con aria soddisfatta e al contempo rassegnata.

«Davanti ai cancelli di Orzammar.»

«Ah. Sì. Se la sono cercata.» alzò le spalle.

«Che posso fare per te?»

«Come ti ho detto, averci per cena, e sarebbe più che gradita una dose doppia di pozione per il mal di testa, la più forte che hai. Inoltre ho bisogno che ti occupi del pagamento delle stalle per i chocobo e di tre stanze al Sole azzurro. Ti ridarò tutti i soldi con gli interessi, tranquillo, ma per il momento non ho modo di prelevare i miei soldi. Senza contare che sono in forma di tesori che vanno ancora convertiti in guil.»

«Di che parli?»

«Ilirea, amico mio. Ma ora andiamo a mangiare perché ho fame, e non è bene far aspettare un demone affamato. A proposito, ti devo ringraziare per aver accolto Tomoko, la sua cucina è migliorata notevolmente da quando è stata qui. E la testa mi scoppia, quindi vorrei quella pozione il più in fretta possibile.»

«Certamente.» rispose, per poi prendere il suo comunicatore e chiamare un servitore.

Ordinata la pozione, lo rimise in tasca e guardò Sylgja.

«Quanto ancora dovrò aspettare prima che mi presenti la tua amica?»

«Glallian, questa è Sylgja, una ragazza che ho conosciuto a Rabanastre e che ho portato con me nei miei viaggi da lì. Sylgja, Glallian Septim, granduca di Zanarkand nonché cugino di quarto grado dell’Imperatore e diciassettesimo nell’ordine di successione al trono di Arcadia.»

«Che spero sia un titolo inutile e che i miei cugini sopravvivano tutti e continuino a governare, perché non voglio lasciare Zanarkand per nessuna ragione!»

«Molto piacere. È un onore essere in vostra presenza.» disse inginocchiandosi e chinando il capo.

«Su, non essere così formale. Ogni amico di Siirist è mio amico, dammi del tu e sentiti libera di essere spontanea. Seguitemi.»

E si diressero verso la scalinata che li avrebbe portati alla sala da pranzo in cui il Cavaliere d’Inferno aveva mangiato tanti anni prima.

«Da quanto sei a Zanarkand?»

«Poco più di una settimana.»

«Sei stato da Keira?»

«Purtroppo no. Ci ho provato, ma i Cavalieri la tengono sotto stretta sorveglianza e hanno eretto ogni sorta di barriera attorno alla sua casa; non potrei mai avvicinarmi senza che se ne accorgano, nemmeno facendo come ho fatto qui.»

«Un vero peccato. Ti aiuterei, ma sai bene che non ho alcuna autorità sui Cavalieri. A proposito, come accidenti sei riuscito ad entrare senza allertare le guardie?! Mi devo preoccupare per il mio sistema di sicurezza?!»

«No, stai tranquillo. Ho usato un’illusione molto potente e particolare, e a saperla usare siamo solo io e un altro Cavaliere che me l’ha insegnata.»

«Se non ricordo male, le illusioni erano proprio il tuo punto debole una volta.»

«Sono un po’ migliorato da allora.» sorrise.

Arrivarono alla sala da pranzo in cui, anni prima, Siirist aveva bruciato la spalla al mistico di corte, e seduti al tavolo vi erano già quelli che dovevano essere la granduchessa e il figlio di Glallian. La donna era riccamente vestita, con capelli ramati tenuti in una lunga coda con dei nastri ogni dieci centimetri. Aveva una carnagione scura, un po’ come quella di Siirist, e splendidi occhi verdi. Le curve non erano molto pronunciate, ma aveva un bellissimo viso, ma con stampata la solita espressione dei nobili che Siirist non aveva mai sopportato. Il ragazzo, che doveva avere sui dieci o undici anni, aveva gli occhi di Glallian e i capelli della donna. Entrambi si alzarono dal tavolo in maniera composta e si avvicinarono ai nuovi arrivati.

«Molto piacere, io sono Indara. Mio marito mi dice che siete un mercante ed un suo caro amico, ma devo essere sincera, non ho mai sentito parlare di voi. E mi dispiace presentarmi in maniera così poco formale, ma non ero stata avvisata del vostro arrivo.» sorrise elegante.

«Il piacere è tutto mio, granduchessa, il mio nome è Tivein e questa è la mia amica Sylgja.» disse con un cenno del capo e un sorriso, felice che Glallian avesse inventato una bella scusa, per poi girarsi verso Orla.

«È un onore essere al vostro cospetto.» si inchinò la ragazza con tutto il rispetto del mondo.

«Io sono Samuel Septim.» si presentò formalmente il bambino.

Siirist gli sorrise e annuì poco convinto: possibile che un bambino fosse una tale statua di gesso? Glallian non era certo stato così.

«Vedo che non ha lo stesso entusiasmo che avevi tu in passato, Glallian. Ma dimmi, avete per caso un altro figlio di nome Tryen?» osservò soprappensiero, non realizzando lì per lì di aver detto qualcosa di compromettente: come se ne fu accorto, sviò il discorso.

Le facce quasi furiose dei due genitori fecero capire che la risposta era un secco “sì” e Siirist sorrise mentalmente per essere riuscito a distrarre Indara dalla questione di come e quando suo marito ed il nuovo arrivato si fossero conosciuti.

«Come lo sai?»

«L’ho visto che correva nel quartiere delle Due Torri qualche giorno fa. Era insieme ad un altro bambino.»

«Certo, Jon, sono sempre insieme. È uno dei nipoti di Keira. Hanno cinque anni tutti e due, sono nati a soli due mesi di distanza. Sono così piccoli eppure sono dei delinquenti.» spiegò Glallian.

E Siirist capì perché gli occhi del secondo bambino gli erano parsi familiari. Non riusciva a crederci, Keira era diventata nonna… E aveva più di un nipote…! Improvvisamente la voglia di andare a rivedere la vecchia amica si fece più forte, ma la represse come aveva imparato a fare con la fame.

«Non sappiamo più che farci. Riescono ad eludere tutte le guardie che mettiamo a sorvegliarli, sfuggono anche alle protezioni dei nostri mistici di corte!» si lamentò Indara.

«Keira dice che sono entrambi come era il Cavaliere d’Inferno da piccolo.» puntualizzò il granduca.

«Haha!» rise di gusto Siirist, immaginandosi più che bene di quanti problemi potessero essere la causa quei due: subito se ne pentì nel provare una forte fitta in tutto il capo.

La faccia della granduchessa fece capire al mezz’elfo che aveva pensato qualcosa che non poteva dire, perciò le invase la mente e scoprì che in realtà non amava particolarmente Keira e la sua famiglia e la considerava una brutta influenza sul figlio e che era una fortuna che il primogenito non aveva avuto alcun rapporto stretto con loro. Ma conosceva bene ciò che pensava di Keira il marito, per cui non si sarebbe mai permessa di dar voce ai suoi pensieri, e non sarebbe certo stato Siirist a dire niente.

«Vogliamo sederci?» propose Glallian.

«Con immenso piacere. Sento già un buon odorino provenire dalle cucine.» disse con un basso ringhio Siirist, qualcosa di facilmente confondibile con il rantolo causato dal mal di gola, se non si era al corrente della situazione del mezzo demone.

«State bene?» domandò incerta Indara.

Siirist la guardò con un mezzo sorriso e Glallian subito intervenì per sviare il discorso.

«Complimenti per l’olfatto! È quasi come se tu fossi un elfo!»

«Diciamo così, sì.» sorrise nel sedersi.

«Ah, bene, dalla a lui.» disse il granduca al servo appena entrato con la pozione.

«Molte grazie.» disse Ryfon, bevendola tutta in un sorso e pregando Obras che facesse presto effetto.

Le varie portate della cena erano principalmente a base di pesce, e nel mangiare l’aragosta, Sylgja non riuscì a trattenere un gemito di piacere, al che granduchessa e figlio le lanciarono un’occhiataccia di dissenso. Siirist ancora non riusciva a capire come Glallian avesse potuto sposare una donna simile, quando lui era rimasto, bene o male, la stessa persona allegra che era stato a cinque anni. Non avrebbe mai capito i matrimoni combinati, la cultura elfica su questo era molto avanzata: i matrimoni erano stati eliminati proprio per evitare unioni prive d’amore, e anche se esponenti di casati nobiliari continuavano ad unirsi, lo facevano sempre per scelta, e, se avesse voluto, Elisar avrebbe anche potuto donare la sua Collana ad una dunmer pescatrice, mentre Gilia, se fosse diventato conte, avrebbe comunque dovuto dire addio a Deria. A Hellgrind, invece, il matrimonio non era mai stato il modo per ottenere favori e alleanze, solo la forza dell’individuo contava: Alucard aveva ottenuto il permesso di Raizen di sposare Kikyou, ma se ella non avesse voluto, non lo avrebbe fatto.

«A cosa pensi? Sei stato in silenzio per oltre dieci minuti.» chiese Glallian.

«Stavo solo riflettendo sulle tradizioni dei vari popoli di Tamriel.» rispose vago.

«Dicci, che hai fatto in tutti questi anni che non ci siamo visti?»

«Ho girato quasi tutto il continente. E dico “quasi” perché manca ancora Ivalice. Cioè, ci siamo passati per due giorni, ma non posso dire di averla visitata. Sono invece stato per gran parte di Spira, mi mancano solo Bevelle e le isole meridionali, sono stato in tutta Alagaesia, escludendo Lindblum, e a Condoria; non sono stato in alcuna delle sue Città delle Macchine, ma mi sono percorso tutta Junon da Wutai a Nibelheim.»

«Sei stato anche a Hellgrind?!» disse una voce da dietro.

«Tryen, finalmente sei arrivato!» gli disse il padre.

«Tryen, ma che maniere sono? Porta rispetto.» lo rimproverò la madre.

«Non fa niente.» disse Ryfon.

«Perché, chi è? Chi sei? Non ti ho mai visto prima.» si avvicinò a Siirist.

E nel suo sguardo, il mezz’elfo rivide il granduca da piccolo.

«Un vecchio amico di tuo papà.»

«Sei troppo giovane per essere un suo amico.» storse la bocca.

Glallian soffocò una risata.

«Dai, siediti.» disse.

Il bambino obbedì e si mise sulla sedia vuota alla sinistra del Cavaliere.

«Ti ho visto che correvi qualche giorno fa assieme ad un tuo amico.»

«Sì! Avevamo fatto esplodere il laboratorio alchemico di Proventus, quindi stavamo scappando.» disse a bassa voce, il peso dello sguardo severo della madre che lo schiacciava.

«Il vostro capo mistico di corte?» suppose Siirist.

Glallian annuì.

«Lo troveresti meno simpatico di Reberio.» disse prima di prendere un sorso di vino dal suo calice d’oro giallo e nero.

Ah, Reberio! Quell’insulso mago che aveva osato umiliarlo. Però, almeno, gli aveva dato una bella lezione e, grazie a lui, non era stato troppo arrogante contro gli Scorpioni ed era riuscito, in un modo o nell’altro, a salvarsi la pelle. Ma subito Siirist comprese la cazzata, ben più ovvia di quella precedente del mezz’elfo, commessa da Glallian, perché vide il sospetto negli occhi di Indara: il mezz’elfo era stato presentato come umano e non appariva più vecchio di vent’anni, perciò come era possibile che avesse conosciuto il mistico di corte che era morto più di quarant’anni prima durante la battaglia con gli Scorpioni? Ryfon pensò fosse meglio proseguire il discorso e non darle il tempo di dar voce ai suoi pensieri: lo avrebbe potuto fare quando fosse stata da sola, allora, anche lo avesse fatto, non avrebbe rappresentato un problema per la segretezza del Cavaliere.

«Suppongo che questo Proventus se la sia cercata.» si rivolse quindi verso il Septim più piccolo.

«Sì!» esclamò Tryen.

Gli occhi furenti di Indara alle parole del Cavaliere erano stati impagabili: ottimo, già aveva smesso di pensare all’incongruenza venuta fuori prima. Siirist si trattenne dal ridere.

«Che cosa ha fatto?»

«Ci ha dato una medicina schifosa!»

«Una medicina per cosa?»

«Per la tosse.»

Il mezz’elfo alzò lo sguardo verso il granduca e questi capì da solo che doveva fornire ulteriori spiegazioni.

«Proventus è un ottimo mago e alchimista. Si è diplomato all’Università Arcana con il titolo di maestro di oscurità, luce, acqua e fuoco, inoltre conosce anche alcuni incantesimi di magia spaziale e organica, ma niente di curativo, perché per guarire usa le sue pozioni che, ammetto, non hanno un buon sapore, ma sono molto efficaci, come avrai potuto constatare tu stesso. Tryen e Jon si sono presi la polmonite perché si sono messi a giocare nella cella frigorifera e, dopo tanti giorni di cura, era rimasto loro parecchio catarro e non facevano che tossire. La pozione di Proventus è stata efficace nel rimuovere il catarro ma ammetto che il solo odore era nauseante. So abbastanza di alchimia da sapere di non voler sapere quali siano gli ingredienti di una pozione.»

«I Cavalieri non potevano fare nulla? Di sicuro sono più abili di un mistico di corte in quanto a magia curativa. Non voglio sminuire l’Università Arcana, ma anche un’intera vita umana di studi non può portare agli stessi livelli dei secoli di studi e allenamenti dei Cavalieri della prima brigata.»

«È vero. Ma diciamo che non erano molto inclini a guarire né Tryen né Jon. Certo, se fossero in vero pericolo li salverebbero, perché è loro dovere proteggere la mia famiglia e chi è sotto la mia protezione come la famiglia di Keira, ma dopo che questi due delinquenti hanno rubato loro armi e armature e non gliene hanno restituite per quasi una settimana, non stanno loro molto simpatici.»

«Ups.» mormorò Tryen.

‹Hahaha!›

Siirist non poteva crederci, nemmeno lui aveva mai rubato a dei Cavalieri prima di diventarlo lui stesso! Per dei semplici umani, riuscire a commettere un furto a danno di abili Cavalieri della prima brigata era qualcosa di sensazionale! Da ladro, avrebbe tanto voluto fare i suoi complimenti al bambino, ma da Cavaliere e guerriero sapeva fin troppo bene il legame che c’era tra una persona e la sua spada, e da ospite pensava che stuzzicare così tanto la granduchessa sarebbe stato maleducato anche per lui.

«Non avreste dovuto. I Cavalieri andrebbero rispettati, sono qui per proteggervi, non li dovete insultare. E la spada di un Cavaliere è la cosa più importante che ha dopo il suo drago.»

«Lo so, però volevamo mostrare a Keira che siamo anche più bravi del suo amico Siirist!»

Era incredibile, non importa in quale generazione, per una ragione o per un’altra il mezz’elfo non sarebbe mai stato simpatico ad una granduchessa di Zanarkand. Nel sentire che suo figlio aveva commesso quell’atto solo per dimostrare qualcosa a Keira e per essere al livello del biondo, Indara era diventata furiosa, fredda come solo gli elfi sapevano fare, o almeno così Ryfon aveva sempre creduto. Se un’occhiata avesse potuto uccidere ed ella avesse saputo chi aveva veramente davanti, del mezz’elfo sarebbe rimasto anche meno che se fosse stato colpito dal Vuoto. Ma, in tutta onestà, dell’opinione della granduchessa di Zanarkand gli interessava meno che di quella di Delmuth.

«Del Cavaliere d’Inferno? E cosa c’entra il rubare le armi agli altri Cavalieri?»

«Il Cavaliere d’Inferno è un ladro incredibile, il migliore al mondo!» esclamò Tryen.

«Non so che cosa vi ha raccontato Keira, ma Siirist Ryfon non è di certo il migliore al mondo. Anzi, non dovrebbe neanche andare in giro a dire che è un ladro!» rispose un po’ infastidito: l’amica doveva imparare a tenere la bocca chiusa.

«E tu come lo sai?» corrugò la fronte il bambino.

Il mezz’elfo sorrise.

«Perché ho conosciuto Siirist Ryfon. Quando rivedi Keira, dille che le manda un abbraccio e che la rivedrà presto, d’accordo?»

«Veramente?!» chiese il bambino con somma ammirazione.

«Sì. Quindi tu e Jon dovete smettere di creare guai, siamo intesi?»

«Va bene!» sorrise a trentadue denti.

Era incredibile quanto assomigliasse al padre, non era niente come il fratello: le statue a Tronjheim erano più vive di Samuel.

Finirono di mangiare e Sylgja rimase con Tryen mentre Siirist andò con Glallian nella sala da ricevimento privata di quest’ultimo.

«Non sono solo qui per chiederti soldi e aiuti, ma anche per avvisarti del pericolo. Un messaggero è già stato mandato ad Arcadia per avvisare l’Imperatore e, di conseguenza, il Consiglio degli Anziani, ma lo dico anche a te per sicurezza: gli Scorpioni si sono alleati con Valendia, Thedas e Palamesia. Ho incontrato i Valendiani e le loro armi, sono delle macchine ben più evolute delle nostre e non sono sostenute da nulla di mistico come le nostre Materia. Stanno preparando un attacco in grande scala contro tutte le principali città dell’Impero Septim e i loro numeri sono incalcolabili. Le nostre truppe vanno armate al meglio; al momento l’esercito dei nani sta marciando per Balfonheim, da cui dovrà prendere diverse navi e andare ad Arcadia.»

«Sì, ho sentito.»

«Gli Scorpioni sono più di quanto avessimo pensato, ci vogliono schiacciare su ogni fronte, addirittura senza l’intervento dell’angelo.»

Il granduca si sedette su una poltrona, la fronte corrugata, una mano che tormentava il mento.

«Farò in modo che saremo pronti.»

«Bene. Mi duole dirti che ho un altro favore da chiederti.»

«Cosa?» sorrise.

«Quando avrò finito di imparare quello che ho da imparare da Wallace, intendo andare a Kami no seki, almeno fino a che Rorix sarà pronto per ritornare da me. A Hellgrind ciò che conta è la forza, non è un posto per una ragazza come Sylgja, che sarà vista da chiunque come una gracile preda. Ti voglio chiedere di trovarle un posto qui in città.»

«Naturalmente, non sarà un problema. Ma mi sembra molto affezionata a te, non credo sarà felice di sapere che vuoi lasciarla indietro.»

«Ancora c’è tempo prima che accada, ma rimane inevitabile. Non posso portarla con me, e non intendo solo a Hellgrind, anche dopo quando tornerò a Vroengard, e dopo ancora. Stare con me, di questi tempi, è pericoloso, e lo sarà sempre di più.»

«Capisco.»

 

In quattro mesi, Siirist aveva creato qualche centinaio di Materia e svariate dozzine di armi. Le ultime costruite erano due pistole a colpo singolo, in grado di sparare colpi dal quantitativo di 1000 douriki. La prima era caricata con una Materia di fuoco, la seconda con una di vento. E ora, dopo essersi preparato innumerevoli armi di diverso tipo, aveva deciso di andare ad allenarsi ad usarle, e per questo aveva deciso di andare due giorni sul monte Gagazet. Non era andato sulla cima come aveva un tempo fatto con Althidon, perché non aveva la minima voglia di ripetere quell’esperienza di freddo insopportabile, ma era rimasto ad un’altitudine di 500 metri. Si era accampato fra gli alberi della grande foresta che ricopriva l’area in cui era andato e aveva innalzato due tende, una per sé, una da usare come ripostiglio. Sotto alla seconda aveva depositato le due casse piene di armi, tutte diverse fra loro, e ora aveva pensato bene di occuparsi del fuoco. Lo accese in poco tempo usando la nederite che si era portato dai Beor e si era steso sul sacco a pelo che gli aveva fornito Glallian. Era lì per addormentarsi quando percepì una presenza ostile e si alzò di scatto, la sinistra che andò istantaneamente alla coscia dove aveva legato la fondina della pistola a fuoco. La presenza sparì e il mezz’elfo si stese di nuovo prima di addormentarsi.

La mattina dopo si svegliò a causa della presenza di alcune persone e aprì gli occhi per ritrovarsi davanti gli orchi, Barrett e Tifa.

«Che state facendo qui?»

«Avevamo bisogno di tornare in mezzo alla natura, quella città ci stava facendo impazzire.» rispose Ghorza-gul-Marak.

Siirist annuì, osservando come gli orchi fossero simili in molti aspetti agli elfi. Ma non fosse mai che esprimesse ad alta voce i suoi pareri, specie di fronte ad un elfo.

«Va bene. E voi due?» alzò le sopracciglia in direzione di Tifa.

«Hai mai seguito un allenamento con le pistole?» chiese svogliato l’omone.

«Anni fa, quando venni la prima volta a Zanarkand, ne riportai indietro due a Vroengard. Mi ci sono un po’ allenato, sì, di nascosto così che il mio Maestro non le vedesse, sparando a bersagli sempre più distanti, sia fissi che mobili.»

«Hm. E che pensavi di fare qui, esattamente?»

«Cacciare mostri con pistole e fucili.»

«Novellino. Vieni con noi.» e si allontanò.

Siirist stava per controbattere ma la ragazza lo fermò e gli fece segno di seguire Barrett. Il mezz’elfo sbuffò e si alzò. Uscirono dalla macchia e raggiunsero l’aeronave usata dai quattro nuovi arrivati e, sul terreno attorno ad essa, Ryfon vide diverse casse e congegni diversi. Wallace si avvicinò ad uno di questi e premette un tasto, facendolo aprire e sollevarsi in aria, dove incominciò a ruotare rapidamente su se stesso e a muoversi a scatti. L’omone attivò uno sferoschermo e, da quello che capì il biondo, impostò i comandi per la macchina volante. Essa partì rapida verso Siirist e gli volteggiò intorno prima di scattare a dieci metri di distanza. Allora Barrett afferrò una pistola e la lanciò al Cavaliere.

«Usa questa, non voglio che mi distruggi la macchina con le tue pistole da 1000 douriki.»

Lanciò una pistola, in modello identica alle due alle cosce di Siirist, e questi la prese al volo nella sinistra. Mosse il braccio e prese di mira il congegno volante e premette il grilletto. Il colpo di luce partì a la macchina fu colpita; fu percorsa da quelle che sembravano scosse elettriche e incominciò a muoversi anche di più a scatti, come fosse impazzita, prima di allontanarsi di altri dieci metri.

«Ancora.» disse Barrett.

Nuovamente Siirist premette il grilletto e colpì la macchina, che ancora si imbizzarrì e si allontanò di altri dieci metri.

«Ancora» ripeté il costruttore di Materia.

Ryfon sbuffò e di nuovo sparò.

Quando la macchina ebbe raggiunto i cento metri di distanza, Barrett disse che quella era la gittata massima che avrebbe avuto la pistola impugnata dal mezz’elfo, per cui, dopo che essa fu colpita, ritornò a dieci metri dal Cavaliere.

«Ora usa la destra.»

Ryfon voleva dare fuoco a Barrett: quell’allenamento era una totale perdita di tempo, gli era inutile, la sua mano era ferma e aveva un’ottima mira, con un’arma a Materia ben calibrata, non avrebbe mai mancato un bersaglio immobile. Difatti, dopo altri dieci spari con la pistola nella destra, la macchina volò da Wallace.

«Molto bene, sai come sparare con le pistole.»

Prese un fucile e lo lanciò a Ryfon, sorridendo sadico.

«Ora usa questo.»

Il mezzo demone era lì per rivolgere la bocca del fucile alla testa dell’omone, ma si trattenne per non dargli quella soddisfazione e nuovamente sparò alla macchina volteggiante, solo che questa volta essa raggiunse una distanza di 250 metri.

«Soddisfatto?» chiese retorico Siirist.

«Adesso due insieme.»

Una seconda macchina volante andò ad affiancarsi alla prima e Siirist, con due pistole in mano, sparò ad entrambe. Passò una settimana in quel modo, con i congegni che andavano sempre più lontano, verso l’alto, in direzioni opposte, e con pistole, fucili e armi a colpo multiplo anziché singolo, Siirist continuò a colpire i bersagli che rimanevano sempre immobili. Inizialmente l’omone gli aveva dato del tempo per prendere bene la mira, poi gliene aveva dato sempre meno, arrivando a costringere Siirist ad aprire diversi occhi mentali per determinare con accuratezza la distanza dei congegni da lui e l’angolo con cui avrebbe dovuto sparare.

«Sei veloce. Hai aperto uno dei tuoi, come si chiamano, occhi mentali?» disse Barrett impressionato, ma cercando di nasconderlo.

L’ultimo esercizio era stato particolarmente difficile, con venti macchine volanti che volteggiavano incessantemente nel cielo, di cui solo due alla volta si fermavano e illuminavano e il compito di Siirist era di colpirle entro due secondi. Lo aveva sempre fatto in mezzo.

«Più di uno, ad essere sincero.» ammise il mezz’elfo, andandosi a riposare.

«Ha! Dovresti farlo senza!»

«In un combattimento serio ne ho sempre almeno dieci aperti, non ha senso che mi alleni senza usarli. Oppure potrei usare il fulmine per velocizzarmi e colpirli con facilità.»

«Non te l’ho mai chiesto, ma quanto hai di Flusso vitale?»

«Centomila douriki e due Cerchi d’argento.»

A Barrett e Tifa caddero dalle mani i panini che stavano mangiando.

«Sorpresi?»

«Non riesco a capire perché tu voglia usare le Materia.» disse scuotendo la testa Barrett.

«Dovresti essere onorato anziché continuare a lamentarti. Te l’ho ripetuto diverse volte, voglio differenziare i miei stili di combattimento.»

«Lo so, ma non ricreerai mai delle Materia di quel livello.»

«E non è il mio scopo. Tu insegnami e basta, poi sarò io a pensare a come usare le Materia.»

«Bah. Finisci di mangiare, è ora di passare alla prossima fase dell’allenamento. Con le tue capacità fisiche, ho pensato di renderla più difficile del solito, vedremo come te la cavi.»

A giudicare dal tono della voce, dalle parole usate e dall’espressione di piacere depravato dipinta sul muso da scimmione di Barrett, Siirist era certo che avesse in mente qualcosa che fosse ai limiti delle capacità umane, ma dopo essersi allenato con quello schiavista di Althidon, che spingeva i suoi allievi ai limiti delle capacità dei Cavalieri, e con la Volpe, il mezz’elfo era certo che tutto ciò che Barrett gli avrebbe fatto fare a confronto sarebbe stato una passeggiata in estate per la valle di Rivendell.

Finito di mangiare, dunque, Siirist si rimise in piedi e riprese in mano le pistole, ma Wallace gli disse che ne avrebbe dovute usare altre due che gli passò, per poi riprogrammare le macchine volanti e tutte e venti andarono ad un’altezza di venti metri.

«Ora incominceranno a spararti delle leggere scariche elettriche da cento douriki ad una velocità di sei spari al secondo. Suppongo che con la tua forza, neanche le sentirai, difatti avrei voluto sostituire le Materia con altre da diecimila douriki, ma non le ho portate, purtroppo. Dovrai evitare di venire colpito e, nel frattempo, abbattere le macchine: per farlo, dovrai aspettare che si illuminino, come prima, e dopo essere state colpite dieci volte, le macchine si spegneranno e cadranno a terra, ma ogni volta che verranno colpite, accelereranno sia la loro velocità di spostamento, sia quella di sparo, fino ad un totale di quindici spari al secondo. Per concludere la sessione di allenamento, quindi, dovrai sparare come minimo duecento volte, e hai a disposizione centocinquanta colpi per pistola. Prenderò anche il tempo per vedere quanto ci metti.»

«Sembra tosto come allenamento…» cominciò.

«Lo è.» rispose soddisfatto Barrett.

«… per un essere umano. Falle partire e preparati ad essere meravigliato.»

«Ragazzino arrogante che non sei altro.»

«Sono più vecchio di te.»

«Ma hai la maturità di un dodicenne!»

«Siete entrambi dei deficienti! State zitti e cominciate!» sbottò Tifa.

I due uomini rimasero colpiti da quell’uscita e la fissarono, per poi guardarsi a vicenda imbarazzati.

«Sì, cominciamo…» mormorò Barrett.

«Bene…» rispose Ryfon.

Le venti macchine volanti incominciarono a roteare e a muoversi a scatti più rapidamente, indicazione che erano lì per incominciare a sparare. Con il settimo senso e il colore dell’osservazione al massimo dell’allerta e la mente velocizzata al massimo delle sue capacità, Siirist era pronto a schivare tutti i proiettili fulminanti che gli sarebbero arrivati addosso, mentre con cento occhi mentali aperti, era attento a cogliere un’eventuale illuminazione da parte delle macchine. Partì subito in una serie di flic all’indietro per evitare le scariche elettriche e dopo sei secondi, la prima macchina si illuminò, ma Siirist non volle rischiare di sprecare un colpo, perciò si limitò ad osservare quanto durasse l’apertura nelle difese nemiche.

‹Neanche un secondo, eh? Interessante.›

Per colpire le macchine al momento giusto, si sarebbe già dovuto trovare con la pistola puntata nella direzione giusta il momento che il bersaglio si fosse illuminato. Le macchine lo seguirono incessantemente mentre il mezz’elfo continuava la sua serie di flic e un altro dei costrutti si illuminò per la stessa durata del primo, così che il ladro ebbe la conferma che fosse quella la sua finestra d’opportunità. Percepì che una terza macchina si stava per illuminare ed eseguì un salto raggruppato all’indietro, il braccio sinistro già esteso il momento in cui la macchina incominciò a brillare, e premette il grilletto, centrando in pieno il bersaglio.

‹E uno. Altri 199 e posso mandare Barrett a quel paese.›

Siirist impiegò in tutto quattro minuti e quarantasette secondi a completare l’allenamento, più che altro per colpa dei bersagli, perché doveva aspettare che si illuminassero. Andò da un Wallace incredulo con il dito medio alzato e gli chiese di ripetere l’esercizio, solo che questa volta indossò i bracciali incantati che gli aveva dato la Volpe a Skingrad.

«Ora i miei douriki fisici sono solo a 700, perciò sarà molto più difficile per me. E sentirò anche l’effetto delle scariche elettriche semmai venissi colpito. Vediamo di rendere questo allenamento più utile e interessante, va bene?» disse sicuro.

Barrett sorrise soddisfatto e fece ripartire le macchine. E dopo appena due minuti e mezzo, si stava piegando dal ridere nel vedere Siirist a terra dolorante, con il corpo percorso da scosse elettriche. Era riuscito solo a neutralizzare due macchine, poi era stato reso impotente dai troppi colpi ricevuti. E come era caduto a terra, le macchine avevano continuato a bersagliarlo, obbligandolo a richiamare il sangue demoniaco e sfruttare il potere passivo delle bestie del fulmine di essere immuni agli attacchi elettrici. Barrett aveva quasi rischiato di soffocare per le troppe risa.

«Sì, sì, ridi poco e fai ripartire l’allenamento. Abbiamo appena cominciato.» disse Ryfon a denti stretti, rialzandosi e preparandosi a ricominciare.

 

Passarono due settimane con Tifa che si occupava della gestione delle macchine da allenamento mentre Barrett era ritornato a Zanarkand con un’automobile. Un paio di volte il mezzo demone aveva trovato difficile resistere e non saltare addosso alla ragazza, ma gli bastava mangiare ogni sera l’ottimo stufato preparato da Azuk-lob-Khalak e ogni istinto demoniaco era represso. Durante il resto della giornata, invece, gli orchi sparivano per andare a caccia e in esplorazione della “affascinante e misteriosa natura”, come la definivano loro. Siirist non metteva in dubbio che il Gagazet potesse avere il suo fascino, ma per lui non sarebbe mai stato nulla se non fatica, freddo, difficoltà a mantenere il pene rilassato e tanta paura. Per i mesi immediatamente successivi al loro allenamento con Althidon sul gigante bianco, Siirist aveva continuato a sognarsi la battaglia con il behemoth, e aveva presto realizzato che, se il mostro non fosse finito nel precipizio, loro tre non sarebbero sopravvissuti, nemmeno usando i loro migliori incantesimi. Poi era arrivato Raiden ed aveva spodestato il signore della montagna dal suo titolo di peggiore incubo.

Siirist era andato in mezzo alla foresta dove si era accampato le prime due notti, per poi andare a dormire in una delle cabine dell’aeronave, a raccogliere un po’ di legna da ardere e nuovamente percepì la presenza ostile che aveva sentito il primo giorno che era arrivato lì. Ma questa volta era più vicina e più decisa. Portò le mani alle fondine alle cosce, maledicendo le pistole d’allenamento che vi teneva, perché sapeva bene che se la creatura che lo stava osservando era forte quanto la sua presenza dava ad intendere, quelle patetiche Materia da 10 douriki non sarebbero servite a niente.

‹Ci manca solo che mi tocca usare i miei poteri demoniaci. Con Tifa nelle vicinanze, non posso permettermi di usarli, non dopo tutto questo tempo di astinenza sessuale.› ringhiò.

‹Pessimista. Ti basta la tua forza fisica per fare a pezzi la maggior parte dei mostri di queste parti, e se non dovesse essere sufficiente, hai a disposizione forma draconiana e Ataru. Potresti distruggere anche un behemoth con la tecnica della sottrazione del Flusso, ti vai a preoccupare per qualche animalaccio di queste parti basse? Però è il caso che ti togli i bracciali.› disse spavaldo Rorix, per poi finire con un tono meno sicuro.

Siirist ci aveva già chiaramente pensato, ma era indeciso se farlo o no. Sentiva la presenza nemica molto vicina e il problema del togliere i bracciali era che gli serviva qualche minuto per recuperare le forze e in quel frangente sarebbe stato completamente in balia di un eventuale attacco.

‹Allora usa un’illusione reale, non lo so, qualcosa che ti dia un margine di vantaggio.›

Siirist ci pensò su. Un’illusione reale troppo prolungata lo avrebbe lasciato spossato, ma usarla per equipaggiarsi con delle pistole dalla Materia potente al punto giusto non era una cattiva idea. Estrasse le due pistole dalle fondine e, entrato in stato di calma assoluta, le avvolse nell’illusione, rendendole identiche alle sue altre due pistole, quelle caricate con Materia di fuoco e vento con un potere di 1000 douriki. Un’illusione reale così limitata non sarebbe risultata essere troppo faticosa, ma sarebbe stato comunque bene minimizzare la durata dello scontro.

‹Lì!› pensò, individuando esattamente l’ubicazione della bestia grazie all’Ambizione.

Alzò la mano destra e sparò una sfera di vento che distrusse tutti gli alberi lungo il suo passaggio, ma la fiera la evitò, rifugiandosi ancora più dentro la macchia. Non era certamente intenzionata a rendergli il compito facile. Ora che si era allontanata a sufficienza, Siirist pensò bene di ritornare all’aeronave di Tifa per equipaggiarsi con delle armi migliori e smettere di usare la sua illusione. Partì di corsa, al massimo della velocità che gli consentivano i suoi 700 douriki attuali, le pistole riposte nella fondina. Ma come ebbe dato le spalle alla belva, la percepì lanciarsi di nuovo verso di lui. Si muoveva con una rapidità e un’agilità impressionanti all’interno di quella fitta foresta, e in breve raggiunse la sua preda. Il mezz’elfo si buttò a terra faccia in avanti e il mostro gli passò sopra con un balzo; con un’esplosione di energia magica, si diede una spinta sulle braccia piegate e si sollevò di un paio di metri, le mani rapidamente portate alle fondine, e puntò in avanti le pistole. Sparò quattro colpi in rapida successione, combinandoli, e liberando quattro sfere di fuoco esplosivo che devastò gli alberi. Ma della fiera ebbe solo un rapido scorcio del posteriore, con il pelo nero e la lunga coda, che terminava in una lama seghettata, che emanavano dei rivoli di fumo nero.

‹Una bestia d’ombra? Felino o canide?›

Resosi maggiormente conto del pericolo che correva, Siirist riprese a correre verso l’aeronave. Uscì dalla macchia e annullò l’illusione sulle pistole e uscì dalla calma assoluta.

«Tifa! Lanciami le pistole caricate a luce più potenti che hai!» chiamò con urgenza.

«Che succede?»

«Fallo e basta!

Il tono ansioso del Cavaliere colpì anche gli orchi che misero mano alle armi: avendo dovuto lasciare le loro nell’aeronave rimasta nel bosco a est di Anvil, ne avevano prese di nuove ad un’armeria di Zanarkand, ma chiaramente non erano per niente come quelle forgiate da Ghorza-gul-Marak. Senza aggiungere altro, Tifa corse nell’aeronave e uscì con due pistole da 5000 douriki ciascuna, come disse al biondo, gliele lanciò ed egli le prese al volo. In quel momento la fiera, che si trattava di una volpe d’ombra, uscì dalla macchia con un balzo e fece per attaccare il mezz’elfo alle spalle, ma questi si voltò e sparò in rapida successione. I piccoli proiettili di luce dorata colpirono la bestia in pieno ventre e la bloccarono a mezz’aria, facendola capitolare. Ma essa era troppo potente per essere abbattuta da una raffica di soli 5000 douriki, perciò si rialzò senza quasi aver accusato il colpo. Caricò Siirist con una testata, ma questi la evitò con un balzo verso l’alto; in aria roteò con il busto teso e compì un mezzo avvitamento per ritrovarsi a testa in giù e con il viso rivolto verso l’animale: alzò le braccia e liberò un’altra serie di colpi. Azuk-lob-Khalak sopraggiunse con la spada sollevata sopra la testa e menò un fendente sul collo della belva; la lama di acciaio di Dalmasca graffiò appena la pelle della volpe d’ombra, così le abbatté il martello sulla spalla, schiacciandola. Azzoppata, la bestia ringhiò e fece per azzannare l’orco, ma nuovamente Siirist, ritornato a terra, la tempestò di colpi di luce in faccia, obbligandola a balzare indietro, ma con molta meno prontezza, vista la condizione della zampa anteriore destra. Mosse l’arto con un guaito di dolore, riassestandolo, e si lanciò su Azuk-lob-Khalak, ma arrivò Ghorza-gul-Marak che assestò un fendente con il suo spadone, buttando la volpe a terra, ma questa, con la coda, attaccò l’orchessa, tagliandola sul braccio sinistro, e, rialzatasi, la bestia assestò una zampata ad Azuk-lob-Khalak, evitando gli attacchi del mezz’elfo, per poi scattare verso quest’ultimo.

‹Adesso è anche più incazzata.› osservò Rorix.

‹Già. È un mostro forte, per sconfiggerla è necessario più potere. Ma con le armi che hanno, gli orchi non possono fare molto, e io, con questi bracciali addosso, sono impotente.›

Si buttò di lato per evitare la carica dell’animale, e solo grazie al settimo senso riuscì ad evitare, roteando su se stesso, la falciata con la coda di essa, e, giratosi, le sparò un colpo sull’occhio. Con un ringhio furioso, la volpe si accasciò a terra, sangue che le usciva dal bulbo spappolato. Con un flic dietro, Siirist evitò un fendente della coda, e dopo il movimento, il mezz’elfo fece un salto dietro raggruppato e, terminatolo, ancora in aria, liberò una raffica di proiettili di luce contro il nemico. Ma la fiera, furbamente, girò la testa per impedire di venire colpita sull’occhio sano, e nessuno degli attacchi la danneggiò.

«Tch.» fece una smorfia Ryfon, ritornato a terra.

«Spostati!» intimò la voce meccanica di Tifa.

Siirist sfruttò il colore dell’osservazione per vedere uno dei cannoni dell’aeronave rivolgersi verso il mostro e sparare grandi proiettili di luce. Si spostò in tempo per evitare di essere colpito mentre la volpe venne presa in pieno. Rotolò a terra lasciando alcune chiazze di sangue sul terreno, ma presto le ferite si richiusero e agilmente evitò i successivi attacchi della ragazza. Ma almeno la volpe era, per il momento, tenuta a bada, e questo diede al mezz’elfo e agli orchi l’opportunità per ritirarsi nell’aeronave.

«C’è ancora tutto l’equipaggiamento per il tuo allenamento disseminato fuori, Siirist, non possiamo abbandonarlo qui, è di grande valore e Barrett ha impiegato anni per metterlo a punto. Se ce ne andiamo lasciandolo qui, non ti vorrà più vedere!» disse ancora Tifa attraverso l’altoparlante.

Ryfon ringhiò ma annuì, correndo dentro all’aeronave e togliendosi i bracciali.

‹Va bene, ma guadagna un po’ di tempo mentre mi riprendo.› la raggiunse mentalmente.

La volpe era stata forzata a ritornare al limitare della macchia, ma era evidente che cercasse in ogni modo di riavvicinarsi alle sue prede. Se solo il Cavaliere fosse abbastanza bravo da comunicare con i mostri, le avrebbe fatto capire che le sarebbe convenuto allontanarsi e si sarebbero risparmiati ulteriori fastidi, ma purtroppo quello era un ramo delle tecniche mentali che Adeo non aveva mai approfondito, e di conseguenza Siirist non l’aveva mai imparato.

Intanto gli orchi si occupavano di caricare l’attrezzatura di Barrett sull’aeronave.

«Quanto hai ancora?» domandò Tifa preoccupata.

‹Circa un minuto. Che succede?›

«La Materia di luce per il cannone è quasi esaurita, Barrett l’ha usata poco tempo fa per alcuni dei suoi esperimenti e non l’ha ricaricata. Altri tipi di elementi funzionerebbero?»

‹Purtroppo no. Se hai qualcosa in grado di concentrare le rocce del terreno, un impatto fisico simile potrebbe funzionare, come hai visto quando Azuk-lob-Khalak le ha lussato la spalla, ma altri elementi inconsistenti sono inutili contro la sua composizione d’ombra.›

«Come temevo.»

Tifa smise di sparare, il che mise gli altri tre in allarme, ma come l’animale ripartì alla carica, gli tagliò la strada con altre esplosioni di luce. La ragazza stava cercando di risparmiare i colpi, questo voleva dire che era quasi al limite, ma che c’era ancora un po’ di tempo. Bene.

‹Pronto.› comunicò il biondo.

Richiamato il sangue demoniaco, volò sparato verso la bestia nel momento in cui la ragazza mise di far fuoco, e con la sinistra le schiacciò la testa contro il terreno. La volpe cercò di attaccarlo con la coda, ma il mezz’elfo la afferrò per la lama e la strappò dal corpo del mostro, per poi afferrarla per l’estremità opposta, rotearla sopra la testa e abbatterla sul collo della creatura. 

Gli occhi di Ryfon ritornarono azzurri e si voltò verso l’aeronave.

‹Metti in moto.› disse a Tifa.

 

«Sì, sì, molto bella anche questa, ottimo lavoro.» sorrise Barrett.

Ci aveva messo un altro anno e mezzo a levargli dalla faccia quell’espressione da scimmione stitico, però, una volta che aveva visto come il suo nuovo allievo imparava bene ed in fretta, si era reso più simpatico. E ora che Ryfon aveva completato la sua quarta pistola “speciale”, Wallace era euforico.

«Adesso manca solo la scritta.» sorrise il biondo.

E incise “Rosa Blu” sul lato destro dell’arma a Materia, poi con una polvere liquida azzurrina riempì l’incisione sul metallo argentato e la mise in evidenza. La pistola era un revolver con un tamburo a sei entrate, ognuna riempita con una Materia diversa, intercambiabile con il martelletto, una che sparava sfere di fuoco, una che generava sfere di vento dall’effetto contundente, una che lanciava proiettili di luce perforante, una che creava proiettili di ghiaccio che, al momento dell’impatto, congelavano il bersaglio, una che sparava sfere d’acqua pressurizzata e l’ultima che liberava sfere elettriche. Rosa Blu era la gemella di un’altra pistola chiamata Regina Rossa, identica in tutto e per tutto se non per il colore nero anziché argentato, con il calcio e la scritta (sul lato sinistro) rossi. Le prime due pistole “speciali” che il mezz’elfo aveva costruito erano invece chiamate Ebano e Avorio, per via dei colori che aveva dato loro, ed entrambe recavano una scritta dorata che riportava i nomi di entrambe le pistole, Ebano sul lato destro, Avorio sul sinistro. Esse avevano le loro Materia inserite nel calcio anziché nel tamburo (non presente) ed erano le pistole più potenti e pericolose perché caricate con energia di Vuoto che sparavano sotto forma di piccole sfere nere.

«Ora bisogna solo aspettare che la polvere si asciughi.» disse soddisfatto.

Aveva messo sotto sigillo un totale di 107 armi a Materia tra pistole, fucili a impatto, mitragliatori,  di precisione, cannoni, pistole mitragliatrici. Aveva armi per ogni genere di evenienza e Materia di tutti i tipi. Si poteva ritenere soddisfatto dopo quasi due anni passati a lavorare sulle sue nuove armi; ora mancava solo che i fabbri gli creassero un abito adatto e il riequipaggiamento del Pistolero sarebbe stato completo. Si alzò dal tavolo da lavoro e si stiracchiò. Guardò Tifa che si era piegata per raccogliere qualcosa da terra e sorrise: si stava controllando perfettamente. Da quando aveva visitato il suo harem prima di andare ai Beor, Siirist non aveva più fatto sesso, eppure, grazie ad un abbondante consumo di carne e al non uso dei suoi poteri demoniaci, riusciva a tenere a freno i suoi istinti. E pensare che l’assistente di Barrett era proprio il tipo di ragazza che avrebbe volentieri stuprato e divorato. Ma anche lei, se confrontata ad Alea, appariva poco meglio di Fralvia. Ah, Fralvia, chi sa come stava? Che fosse diventata più brutta con l’avanzare dell’età, Siirist non voleva crederlo, al limite era rimasta uguale oppure era migliorata, un po’ come il vino. Si chiese se aveva le ragnatele in mezzo alle gambe o se si divertiva da sola, oppure, per l’amor di Obras, aveva addirittura un compagno di avventure. Eppure non riusciva a pensare a niente oltre che ad un goblin o a Oghren che si sarebbe mai avvicinato a lei. No, forse nemmeno un goblin.

«Barrett, Tifa, vorrei invitarvi a cena questa sera, se non vi dispiace.»

«Sai che non rifiuto mai un invito a mangiare!» rispose euforico l’omone.

«Dovresti, invece, ormai sei più grasso che muscoli.» lo rimproverò la ragazza, battendogli la pancia.

«Simpatica.» rispose acido.

Siirist rise.

«Vestitevi eleganti, ci vediamo tra due ore alla Stella dei mari.»

 

Due giorni dopo venne il momento di salutare il costruttore di Materia e la sua assistente perché era ora di lasciare Zanarkand. Felici di lasciare quella città fin troppo esuberante e “umana” per i loro gusti, orchi e nani si erano già avviati verso la stalla per chocobo sulla terra ferma; Siirist era invece rimasto con Sylgja a guardare il panorama dal punto più alto delle Due Torri.

«Vogliamo andare?» chiese la ragazza con tono evidentemente triste.

«Vorresti rimanere qui?» le chiese.

«Non posso dire che non mi dispiace andarmene. Ma tu non hai più motivo per restare, quindi è tempo di andare.»

Siirist sospirò.

«Non sono mai voluto entrare nell’argomento, ma quando andammo per la prima volta da Glallian, gli chiesi se fosse possibile per lui trovarti un posto qui a Zanarkand. Ho notato che ti piace, e non ti posso biasimare, e Hellgrind non è un posto in cui puoi venire. Non sarebbe sicuro, nemmeno con me.»

Orla non rispose. Continuò a guardare in avanti, gli occhi appena lucidi.

«Mi aspettavo che sarebbe venuto questo momento, prima o poi. Non potevo sperare di poter continuare a starti accanto senza diventare un peso per te.» sorrise amaramente.

«Adesso non esagerare.»

Sylgja si voltò seria verso di lui ma tenne la testa bassa.

«Mi mancherai.» gli disse non riuscendo più a trattenere le lacrime.

«Anche tu. Ma tornerò, lo prometto. Appena finisce questa guerra ti verrò a trovare.»

«Non morire!»

«Non ci tengo, grazie.» scherzò.

«Sono seria! Promettimi che non morirai!»

«Lo prometto.»

«In elfico!»

«Amin vesta.» disse dopo qualche attimo di esitazione.

Si staccò da lui e lo fissò intensamente negli occhi.

«Hai giurato in elfico, significa che non puoi rimangiarti la parola!»

«Lo so. Ci rivedremo, e la prossima volta ti presento Rorix e Alea.»

«D’accordo.» annuì con gli occhi lucidi.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola ZANMATO. Raizen è stanco e dice di voler passare il trono a qualcun altro e indice un torneo per decidere il prossimo Imperatore di Hellgrind.

Ritorna all'indice


Capitolo 82
*** ZANMATO ***


ZANMATO

 

Erano passati quasi sei anni da quando Siirist e Rorix si erano separati, ne mancavano solo cinque al completo risveglio della Spada di Luce. L’Inferno aveva ormai imparato tutti i Ruggiti dei draghi e imparato a controllarne gli effetti a piacimento. Il suo Ruggito di fuoco era particolarmente impressionante quando usava la sua fiammata mista che aveva il potere distruttivo del fuoco nero assieme all’immenso calore del fuoco d’Inferno. Il guardiano del nido gli aveva detto che doveva solo rimanere qualche altro giorno per recuperare le forze, dopodiché sarebbe stato libero di riunirsi al suo Cavaliere e, insieme, i due sarebbero ritornati a Vroengard. Rorix aveva sempre tenuto Siirist aggiornato sui suoi progressi, ma il mezz’elfo ne conosceva solo i racconti perché il drago non gli aveva mai voluto mostrare i suoi ricordi: la dimostrazione dei suoi nuovi poteri sarebbe stata una sorpresa.

Quasi due anni Ryfon aveva passato a Zanarkand assieme a Barrett e Tifa a progettare armi a Materia e a metterle sotto sigillo e il resto del tempo l’aveva passato all’Akai goten, spesso ritornando alla casa nei bassifondi di Rabanastre per andare a Oblivion. Hans gli aveva lavorato della pelle nera di drago e della seta di tsuchigumo per preparagli dei grossi stivali, dei lunghi pantaloni, una maglietta a maniche corte, dei guantini senza dita e un lungo cappotto che arrivava ai polpacci, che costituivano il riequipaggiamento del Pistolero. Con essi Siirist automaticamente invocava quattro fondine, due sui lombari, due sulle cosce: le prime reggenti Ebano e Avorio, le seconde con Regina Rossa e Rosa Blu. Ma a Kami no seki Ryfon non si era occupato di armi a Materia, invece aveva lavorato su un metodo di invocazione diverso, che attingeva al Flusso vitale anziché alla sua riserva energetica, così che non avrebbe dovuto consumare grandi quantità di douriki ad ogni battaglia per via dei riequipaggiamenti. Per gli Esper questo metodo non funzionava, e il mezz’elfo era sempre obbligato a sacrificare 144mila douriki energetici per richiamarne uno, e considerando che ne aveva in tutto 173410, con solo un Esper avrebbe prosciugato quasi interamente la sua riserva magica. Studiò approfonditamente anche il marmo rosso e le sue caratteristiche, per poter usare la sua personale variante della sabbia marmorea: non neutralizzava attacchi mistici e demoniaci come il marmo nero dei Beor, ma almeno aveva la sua stessa durezza.

I fabbri avevano finito tutte le sue armature e le sue armi e questo lo aveva reso molto felice. Per forgiargli le armi del Distruttore avevano, come previsto, utilizzato quasi un drago intero, ma il resto delle ossa era stato sufficiente per gli altri riequipaggiamenti. Ma ciò che più colpiva Ryfon era chiaramente il riequipaggiamento del Cavaliere. A differenza degli altri riequipaggiamenti, questo era il vero abito d’ufficio del Cavaliere d’Inferno, perciò il riequipaggiamento di base non era un’armatura, quanto un abito elfico. Lunghi e stretti calzoni rosso scuro e una camicia di seta imbottita rosso rubino con ricami argentati. Le maniche nella parte inferiore arrivavano esattamente al polso del mezz’elfo, la parte superiore finiva con una punta che sfiorava la nocca del medio. Sulle spalle aveva un lungo mantello rubino e rosso sangue con i bordi in fibra d’argento, gli stivali di cuoio rivestito internamente di velluto erano di un rosso così scuro da quasi sembrare marrone o nero e al medio sinistro Siirist aveva uno splendido anello da Cavaliere. Certo, sarebbe dovuto essere incantato alla Rocca per dargli l’effettiva autorità degli anelli da Cavaliere, ma intanto aveva l’anello in sé. Era argentato, composto da diversi strati di Adamantite incantati perché amplificassero l’emissione dei poteri demoniaci e la loro compatibilità con la magia nelle arti demoniache e nella parte esterna erano incisi due draghi marini che si intrecciavano attorno ad un drago alato che circondava il rubino al centro. Al collo compariva la Catena dei Sette Guardiani. L’armatura era snella e slanciata, di pelle di drago rossa ricoperta interamente di Adamantite spessa quattro millimetri e prevalentemente rossa, con in aggiunta alcune linee argentate per decorazione. Era incantata per dare ulteriore protezione contro attacchi fisici e magici e pure contro quelli mentali. Dagli avambracci potevano spuntare due lame di venti centimetri che passavano sopra al dorso della mano corazzata, con placche dalla forma di scaglie che si muovevano e spostavano per permettere una libertà perfetta delle mani e dei polsi. La schiena era ricoperta da placche anziché essere un’unica ed elegante “veste” di Adamantite, che permettevano la fuoriuscita delle ali. Le sei lance che il mezz’elfo aveva già visto erano quella che diventava un tridente, una a doppia lama, entrambe di venti centimetri, ad un filo e sottili, lunga complessivamente due metri e venti; come la prima lancia, anche questa era rossa, con le scritte degli incantamenti bianche. La terza lancia aveva un’asta di un metro e una punta di dieci centimetri dritta e a doppio filo; l’asta poteva allungarsi fino a diventare di due metri e gli incantamenti erano rubini mentre il corpo dell’arma dorato. La quarta lancia aveva una lama seghettata, con al suo interno varie linee decorative di diverse tonalità di rosso, e le punte seghettate erano tutte rivolte verso il basso. L’asta era argentata e gli incantamenti rubini; la quinta lancia aveva la lama principale a forma di falce di luna bianca, con la parte interna rivolta in avanti, l’asta di un metro e ottanta, celeste con incantamenti bianchi e una seconda lama rettangolare in fondo, argentata come l’altra. L’ultima lancia era anche essa doppia, con due tridenti per estremità, le cui lame più piccole erano divergenti rispetto alla centrale. Esse erano celesti come gli incantamenti, l’asta nera.

Le due mazze erano lunghe sessanta centimetri, argentate con l’impugnatura rivestita di fasci di seta come Agar hyanda. La testa, identica nella due mazze, era composta da sette strati, ognuno dei quali dalla forma di una stella dalle punte smussate che si facevano più larghe verso il centro; la prima aveva sei punte, la seconda otto, la terza dieci, la quarta dodici, la quinta di nuovo dieci, poi otto e ancora sei. Erano anche incantate per far spuntare degli spunzoni. Le asce avevano più la forma di accette, lunghe e dall’asta che formava una S molto poco accentuata e con la lama squadrata ma dal filo ricurvo. Al contrario delle mazze, essere erano di Adamantite rossa, i vari toni misti tra loro, con l’impugnatura rivestita con fasci argentati. Vi erano tre scudi, due identici, rotondi, dal diametro di ottanta centimetri con due ulteriori placche in puro stile elfico, lunghe e strette che si sovrapponevano a croce; il terzo scudo era rettangolare e spesso e incantato perché l’Adamantite potesse rinforzarsi ulteriormente con la sabbia marmorea rossa del mezz’elfo: in combinazione con l’Adamantite, otteneva quasi le caratteristiche del marmo nero.

E poi veniva l’arco. Ancora di più di Agar hyanda, quello era il gioiello di Bhyrindaar. Era alto quasi quanto Siirist, di metallo anziché legno. Era munito di piegature e molle per potersi flettere e dare forza alla freccia, e di tre corde: la prima piegava solo la prima parte, mentre per far avere al dardo il massimo della gittata e della potenza, bisognava tenderle tutte e tre insieme. Le frecce in ferrocorteccia avevano piccole punte in Adamantite dalla forma a cuneo e per il piumaggio erano state utilizzate penne di grifone attaccate non al legno ma ad un cilindro di Adamantite che doveva bilanciare il peso della punta. Esse erano legate tramite invocazione all’arco, così che il mezz’elfo non aveva bisogno di alcuna faretra.

La Catena dei Sette Guardiani era una catenella d’argento con sette teste di Inferno che avevano per occhi gemme di diverso colore, i sette colori delle aste di creazione elementale. Tornato a Hellgrind, Siirist aveva solidificato gli elementi in delle piccole sfere, quattro per ogni elemento, e le aveva date ai fabbri. Con tre gruppi, essi avevano modificato le tre spade del Cavaliere, rendendole anche più forti nell’amplificazione delle magie elementali, mentre le ultime sette erano state usate come cuori dei Sette Guardiani, sette spade di forma e dimensione diversa che avevano coscienza propria e, quando richiamate, proteggevano Siirist. Quando a “riposo”, prendevano la forma di teste di drago attaccate alla catena, ma quando stimolate magicamente, le teste si separavano dalla collana e da esse si protendeva il corpo della spada. La spada di fuoco era una spada ad un filo, dritta nella parte priva di esso, ricurva nella parte affilata; questa piegava in due punti, come a creare una B stretta e lunga, con la parte inferiore più corta e sottile di quella superiore. Era rossa nella parte posteriore e diventava arancione con striature gialle sul filo dritto. La guardia giallo oro copriva l’intera mano in una forma ad ala e una seconda ala era opposta a quella che proteggeva la mano, e si allungava verso la lama. L’impugnatura era ricoperta da fasci arancioni e la testa di drago argentata aveva occhi costituiti da rubini. Questa era la testa centrale quando a “riposo”. La spada di vento era una sciabola inversa, con la parte esterna contundente e la parte interna dotata di filo. La protezione per la mano era bianca e, insieme all’impugnatura, creava un triangolo scaleno. La lama era grigio chiaro e gli occhi del pomolo erano due diamanti; a riposo, la testa di drago si posizionava alla destra di quella centrale. La spada di fulmine era anche essa una sciabola con la lama nella forma di una saetta gialla; l’impugnatura era azzurra, con la guardia che formava una curva, con una punta rivolta verso l’alto nel lato posteriore della spada, la seconda punta rivolta verso il basso sotto al filo dritto; gli occhi della testa di drago erano due ametiste e, nella Catena, si posizionava alla sinistra di quella di fuoco. Il Guardiano di luce, nella Catena situato accanto a quello di vento, prendeva la forma di una spada dritta dalla lama giallo oro come i fasci di seta che circondavano l’impugnatura e i topazi che costituivano gli occhi del drago, tra l’elsa e la lama vi era una piccola sfera bianca larga quanto le due parti che divideva. La spada oscura, sulla Catena alla sinistra di quella di fulmine, era un fioretto dalla lama nera e la guardia argentata, con due diamanti neri per occhi. La spada d’acqua era una sciabola con la lama che ricordava un incrocio tra una pinna e una branchia, di varie tonalità di blu e con delle linee gialle che spuntavano dal corpo principale della lama e formavano una sorta di sega; gli occhi erano degli zaffiri e, quando inattiva, prendeva posto accanto alla testa di drago di oscurità. L’ultimo Guardiano, sulla Catena alla destra di quello di luce, prendeva la forma di un enorme spadone dalla lama dritta che però non terminava con una punta, bensì con un cerchio incompleto perché lasciava uno spazio aperto in cima; l’interno del cerchio era un filo affilato come lo era uno dei due esterni, mentre l’altro lato era contundente e spesso, e gli occhi della testa erano degli smeraldi; la guardia era costituita da due coppie di bracci che si chiudevano sulla lama a formare un angolo di 30°. Ogni spada portava attacchi del rispettivo elemento, ma il loro uso migliore era quando giravano sempre attorno al Cavaliere, spesso invisibili, e funzionavano come scudi. Potevano essere controllate telepaticamente o addirittura potevano andare ad attaccare qualcuno di loro iniziativa, come fossero degli incantesimi viventi.

E poi, chiaramente, c’era la cintura con Agar hyanda e i due pugnali.

In quegli anni il mezzo demone si era messo al lavoro su altre due arti demoniache, l’arte del Lampo e l’arte Infernale. L’arte del Lampo era un’unione del fulmine demoniaco con quello magico e la magia temporale, così che potesse raggiungere la velocità della luce anche alla sua giovane età, quando il suo fulmine demoniaco non era ancora sviluppato al massimo. Purtroppo non era un’abilità utilizzabile spesso perché richiedeva un immenso sforzo fisico e mentale, e dopo cinque soli minuti, si ritrovava ogni muscolo a pezzi e addirittura incapace di alzare un braccio. L’arte Infernale era una fusione dell’arte della Vampa con il fuoco nero ed era il modo che il mezzo demone aveva trovato per usare il potere di Obras senza annientare la sua riserva energetica e addirittura amplificandone il potere con i Cerchi d’argento. L’aspetto dell’arte Infernale era quello di fiamme nere con riflessi azzurri con altri riflessi neri al loro interno; chiaramente anche questa aveva l’inconveniente di sfiancarlo rapidamente, anche se non quanto l’arte del Lampo. Aveva lavorato sulle arti sacre, imparando ad usare egregiamente le prime tre, finalmente raggiungendo il livello dello Scudo di Yata e della Spada Kusanagi con il Susanoo, soprattutto grazie all’aiuto datogli dall’uso della magia unita al fuoco nero. Ora sì che era finalmente al livello di Raiden quando questi aveva attaccato la Rocca. Il problema era che il traditore era certamente progredito oltre ogni immaginazione in quei quarantaquattro anni.

Oltre alle arti demoniache, aveva sviluppato un incantesimo vivente di vento chiamato Spirito guardiano che prendeva la forma di un falco, in onore di Evendil. Esso poteva anche combinarsi con il suo famiglio e fargli ottenere la forma di un grifone, rendendolo più forte fisicamente oltre che amplificargli il potere di fuoco grazie al vento.

Dopo circa un anno e mezzo che era stato all’Akai goten era arrivata una delegazione di Cavalieri da Vroengard che avevano umilmente e gentilmente chiesto al Cavaliere d’Inferno quando avesse intenzione di ritornare alla Rocca. Egli era quasi scoppiato a ridere nel paragonare il modo arrogante dei Consiglieri con quei tre che sembravano cani bastonati con la coda fra le gambe. Ryfon aveva detto loro che sarebbe tornato quando avesse voluto, dopodiché li aveva invitati a rimanere per il pranzo ma loro, impauriti alla vista di un Kenpachi in forma reale che brandiva le sue tre katana e di Raizen e la sua Intimidazione, declinarono e volarono subito via in groppa ai loro draghi.

Siirist stava meditando nella sua stanza mentre la pioggia cadeva fuori. La frescura che essa portò al caldo estivo era gradevole e lo aiutava a concentrarsi.

«Ehi, biondino!»

Oghren. Senza nemmeno degnarsi di aprire gli occhi e girarsi verso di lui, il mezz’elfo gli rispose con tono piatto, come se fosse in stato di calma assoluta.

«Che vuoi? E allenati a parlare la lingua degli umani.»

«Mi dici perché per quasi quattro anni mi hai tenuto nascosto che hai un harem? Lurido bronto ingordo, hai più di mille bellezze che non dividi con nessuno! Dovresti vergognarti!»

«Se anche solo ti avvicini al mio harem, Akira ti taglia a fettine. Possiede l’Ambizione dal colore dell’osservazione e con il suo Juyo è più forte della tua aura arancione.»

«Sì... Il vampiro non è male...» rispose controvoglia.

Odiava ammettere la superiorità di qualcun altro, e se lo faceva, voleva dire che tale persona era veramente meritevole. Poteva dirlo con il suo solito tono maleducato e cafone, ma ammirava Akira.

«Sei solo venuto a chiedermi del mio harem?»

«Beh sì… no… Non lo so, mi stavo annoiando! Quel bronto stitico di Durin sta con Tomoko a fare ancora una volta un giro esplorativo della città… Sarà la centesima volta! Possibile che abbia sempre cose nuove da imparare?!»

«Si chiama cultura, Oghren, non mi aspetto tu possa capire. Kami no seki è uno splendore, c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire, qualcosa che si è mancato precedentemente: sia esso un intaglio in una parete, un piccolo e nascosto altare a Obras, una nuova spada forgiata da un fabbro… Certo, queste non mi interessano visto che qui a palazzo abbiamo Totosai.»

«Gli orchi sono partiti di nuovo per uno dei loro viaggi fuori dalla città…» continuò come se non avesse nemmeno sentito la risposta del mezz’elfo.

«Rimangono orchi di tribù, preferiscono la vita fuori dalle mura di una città. Con le loro nuove armi non dovrebbero incontrare problemi.»

Hans più degli altri due fabbri era stato estasiato a conoscere un fabbro degli orchi. Ghorza-gul-Marak gli aveva mostrato alcune delle tecniche di lavorazione della tribù e insieme avevano lavorato per applicarle all’Hellsteel. Non cambiava più di tanto, specie per Siirist che usava solo Hellsteel come parte dell’Adamantite o per Totosai che forgiava katana, che richiedevano i metodi demoniaci. Ma le grosse e pesanti armi degli orchi, riforgiate, erano addirittura in grado di competere con le precedenti katana di Akira che avevano al loro interno una zanna a testa; certo, ora che il vampiro possedeva due spade in Adamantio, erano comunque migliori. Lo spadone di Ghorza-gul-Marak aveva l’impugnatura rivestita di fasci neri e la lama rivestita d’argento era verde scuro come l’acciaio orchesco; la spada di Azuk-lob-Khalak era colorata ugualmente e aveva una forma più lineare della sua arma precedente, una sorta di unione tra spada orchesca e katana, il martello pure era rivestito di argento verde.

«Non mi interessa se non sono in pericolo: mi rompo perché mi annoio.»

Ryfon sospirò, era ormai chiaro che il suo momento di meditazione era andato a puttane.

«Che avresti in mente di fare? E non dire di andare al mio harem perché ti cancello dalla faccia di Gaya con il Vuoto.»

«Voglio che invochi il tuo dannato balrog: con il mio nuovo equipaggiamento, lo annienterò.»

Effettivamente Hans lo aveva rifornito con una nuova armatura di Adamantio, della stessa fattura e con gli stessi colori di quella donata da Orik. Essa era oltretutto incantata per aumentare la forza del nano e l’emissione della sua aura arancione. E non solo, il fabbro gli aveva riforgiato Narik e l’aveva resa un’arma a Materia; sei gemme alchemiche grandi quanto biglie erano state inserite all’interno della nuova lama in Adamantio rivestito d’argento. Sull’impugnatura era presente un interruttore che le poteva attivare e scambiare e per ricaricarle bastava usare il caricatore dell’aeronave. Ma per quanto ora il nano fosse forte, il balrog rimaneva uno dei Primi daedra, quelli che più si avvicinavano al potere degli Esper. Il balrog di Fenrir, il behemoth di Bahamut, il kraken di Mateus, il mietitore di Zalera, questi erano daedra di livello drago che si differenziavano addirittura dagli altri livello drago come un livello tigre era diverso da un livello scimmia.

«Quando riuscirai a vincere contro Akira ti farò combattere con il balrog.»

«Quel codardo non mi vuole combattere.»

«Perché non vuole perdere tempo con te. Ho un’idea, vai a trovare Kenpachi, lui sarà felice di intrattenerti.»

Il nano corse subito via in cerca del licantropo e il mezzo demone chiamò a sé il suo capo della servitù. Akira apparve come dal nulla da dietro una porta: era sempre presente, a portata d’orecchio del suo padrone.

«Assicurati che Kenpachi-sensei non lo uccida.»

«Sì, Siirist-sama.»

 

Passò il resto della giornata a rilassarsi, osservando la pioggia che cadeva sul suo terrazzo da dentro la stanza, mangiando la frutta elfica che Akane, un’altra delle sue accompagnatrici, gli aveva preparato. Aveva forse mandato giù un centinaio di acini d’uva quando gli venne voglia di un po’ di esercizio fisico prima di cena.

«Eikichi.»

«Sì, Siirist-sama.»

Il demone era un altro vampiro secolare, ma cento anni più giovane di Akira, e pure lui aveva profondi capelli corvini. I suoi occhi erano azzurri ed indossava un kimono grigio chiaro, un obi nero che reggeva le sue due katana, il tantou a contatto con i lombi.

«Le mie katana.»

Totosai gli aveva forgiato altre tre katana per il suo ultimo compleanno che, come le prime tre, avevano colorazione e hamon insoliti, ma almeno quest’ultimo era venuto un po’ più uniforme visto che nel frattempo il fabbro aveva imparato a lavorare con la magia. Il mezzo demone si alzò e indossò, aiutato da Akane, un hakama nero, hiyoku bianco e kimono rosso. Messo l’obi nero, uscì dalla sua stanza, con Eikichi che lo seguiva portando le spade del padrone, custodite nei loro contenitori di legno laccato. Raggiunsero l’ala del palazzo in cui viveva Kenpachi e lo trovarono a combattere incessantemente contro Oghren, con Akira che restava pronto ad intervenire nel caso il nano ne avesse bisogno.

«Ancora combattono?» chiese nemmeno tanto sorpreso Ryfon.

«Per cinque ore di fila, sì. Sono delle macchine instancabili, che vivono solo per l’eccitazione della battaglia.» rispose il capo servitore.

«Oghren vive anche per la fica e la birra, ti ricordo. Attrazione assoluta.»

Con la magia spaziale in entrambe le mani, creò due punti di attrazione gravitazionale che attrassero i due sfidanti, allontanandoli l’uno dall’altro.

«Non ti immischiare!» ringhiò il licantropo.

Aveva parzialmente ritrasformato la sua testa per essere in grado di parlare. Quella trasformazione intermedia era qualcosa che molti alati usavano, persino Siirist che trasformava solo le iridi, ma le classi inferiori dei demoni non erano capaci di farne uso. Solo Kenpachi e Sesshoumaru avevano recentemente sviluppato tale abilità, ma non era niente di rilevante per il licantropo, che otteneva solo la capacità di parlare quando in forma reale. Non si poteva dire lo stesso per l’inugami, invece,  che diventava un grosso cane su due zampe alto quasi tre metri. In questa forma possedeva la forza della sua forma reale e manteneva la capacità di brandire le sue spade. E considerando che Sesshoumaru, in forma reale, aveva un milione e 200mila douriki fisici, abbinandoci l’uso del Juyo diventava una forza difficilmente arrestabile.

«E se invece vi proponessi di affrontarmi insieme?» sorrise.

«No! Ti voglio combattere da solo!» protestò il vecchio maestro.

Il biondo allungò il braccio destro e Eikichi prontamente gli passò due katana che quegli fece scivolare tra l’obi ed il kimono e ne sguainò una con la sinistra.

«Sto cercando di allenarmi in vista del mio duello con Raiden, quindi fate in modo di farmi sforzare, anche se di poco.»

Kenpachi sorrise felice, il suo ringhio eccitato che gli salì dalla bocca. Anche Oghren si sciolse le spalle e si mise in posizione, pronto ad allearsi con il suo avversario di pochi minuti prima contro un nemico ben più formidabile. Ma non c’era che dire, senza prendere in considerazione Raizen, gli unici demoni con cui poteva veramente divertirsi erano Sesshoumaru, Alucard e i successori di Obras. Certo, al momento, visto che lo scontro era prettamente uno fisico, Siirist era quasi in difficoltà, specie perché quel pazzo di Kenpachi più combatteva e più si eccitava, e di conseguenza rendeva il suo Juyo sempre più devastante, ma se il mezzo demone avesse usato qualunque dei suoi poteri, né nano né licantropo avrebbero avuto alcuna possibilità.

 

Tomoko, tornata mezz’ora prima, lo stava lavando e massaggiando assieme ad Akane e Eiko, la terza delle sue accompagnatrici, per prepararlo per la cena. Quella sera sarebbe stata importante perché l’Imperatore aveva un annuncio molto importante da dare. Il mese dopo sarebbe stato il suo 7500esimo compleanno e per quell’occasione aveva preparato un evento importante. Tutti lo stavano attendendo con ansia e quando Siirist arrivò al salone vestito con un elegante abito nero che riportava una saetta azzurra sulla parte destra del kimono, si sedette alla sinistra del nonno adottivo.

«Bene arrivato, Siirist.»

«Grazie. Sono molto curioso di sapere di questo annuncio che avete da fare, nonno.»

«Come lo sono tutti.» rispose con un sorrisetto.

Finita la cena, tutta la sala si zittì in attesa che il sovrano parlasse. Siirist vide lo sguardo serio di Kikyou alla sua sinistra, quello impassibile di Alucard accanto a lei, quelli di Sesshoumaru e Kenpachi a destra, rispettivamente impaziente e fiero; vide Kaede quasi preoccupata, e Akira in rispettoso ascolto. Agli altri tavoli vide l’assonnata espressione di Totosai, quelle incerte di Bhyrindaar e Hans e quello concordante di Glarald. Raizen alzò una mano ed arrivò il suo capo della servitù, un uomo dagli ordinati capelli grigio chiarissimo, quasi bianco, e due baffetti neri. In mano portava una spada che era più di una katana ma non quanto una nodachi, completamente nera.  La tsuka otteneva la forma di una testa mostruosa, come nessuna altra creatura che Siirist avesse mai visto, e la tsuba era come una grossa coda arrotolata e intrecciata su se stessa. L’impugnatura era rivestita di fasci azzurri e il fodero riportava l’immagine di fiamme azzurre che si intrecciavano a fiamme nere. Il mezzo demone fu colpito da ciò, perché era come se avesse davanti la sua arte Infernale. Ciò che lo colpì anche di più fu come più si concentrasse su quelle fiamme dipinte, più gli sembrava si animassero ed incominciassero a danzare lungo tutto il fodero; ben presto le lingue di fuoco incominciarono ad intrecciarsi fra di loro, dando vita a teste mostruose come quella rappresentata sulla tsuka e cambiando colore, andando sul viola, il rosso, di nuovo l’azzurro, il nero, il rosso, il viola… Siirist sbatté le palpebre e le fiamme ritornarono ad essere delle mere decorazioni. Nella sala si levarono versi strozzati e il mezz’elfo notò come Totosai si interessò subito alla faccenda.

«Come tutti sapete, questa è Zanmato, la spada di Ragnarok, l’unica che ci sia rimasta delle nove spade di Asura. Essa è il simbolo del sovrano di Hellgrind e per innumerevoli generazioni, a partire dal Figlio di Obras, essa è appartenuta alla famiglia reale. Domenica prossima sarà il mio 7500esimo compleanno e inizio ad essere stanco. In mio onore ho deciso di organizzare un torneo di combattimento, ed il vincitore otterrà Zanmato, dunque il diritto a diventare Imperatore. Chiunque può partecipare, se non ha cara la vita, ma sappiate questo: se il vincitore non fosse uno della famiglia reale, dovrà sposare una delle mie figlie o uno dei miei figli, perché la discendenza di Obras va garantita. Ora vi lascerò pensare se volete oppure no iscrivervi.»

Si rivolse verso un Siirist sbigottito e gli sorrise, gli sussurrò che gli voleva parlare in privato e si alzò, lasciando tutti i presenti a mormorare. Il mezzo demone subito seguì il possente alato e, come sempre, camminarono in silenzio finché non raggiunsero le spoglie stanze dell’Imperatore.

«Che cosa volete, nonno?»

«Avevo pianificato questo evento da prima che Raiden tradisse. Lo avevo designato come mio erede, era risaputo, e lui avrebbe certamente vinto. Ora ti trovi tu al suo posto: contro di te non può niente nessuno, non in un combattimento uno contro uno, almeno, non ora che hai creato le arti del Lampo e Infernale.»

«Ma io non voglio partecipare. Senza offesa, nonno, non è mia intenzione succedervi come Imperatore di Hellgrind.»

«No, immaginavo. E neanche possiamo dire che ti può interessare la spada di Ragnarok, hai già Agar hyanda, che è stata forgiata nella Forgia Infernale e infusa del potere dei sette elementi, dunque è una delle spade più potenti esistenti. Zanmato sarebbe indubbiamente superiore, ma il suo vero potere, quello narrato nelle nostre leggende, è andato perduto millenni fa assieme alle altre otto spade.»

«Spero di non avervi offeso.»

«Per niente. Speravo solo di vederti combattere seriamente. Contro Kikyou, Alucard e Sesshoumaru, anche tu avresti delle difficoltà.»

«Non avevate detto che sarebbe stato uno contro uno?»

«No, ho detto che in tal caso non avresti nulla da temere. Ma proprio per rendere il tutto più emozionante, ho deciso di creare un torneo a squadre, poi i componenti della squadra vincitrice si affronteranno uno alla volta per aggiudicarsi il premio finale. Mi aspetto di vedere tutte bestie del fulmine della famiglia reale arrivare alle fasi finali grazie al loro fuoco nero, ma anche loro, se non in possesso delle arti sacre, avrebbero difficoltà contro Sesshoumaru o Alucard. In ogni caso Alucard è già sposato con Kikyou.»

«Effettivamente scontrarmi con loro potrebbe essere interessante. Vorrei proprio vedere come me la cavo contro una squadra simile. Però devo essere sicuro che si alleino davvero.»

«Kikyou e Alucard saranno certamente in squadra insieme, e vedrò di parlare con lei per partecipare anche insieme a Sesshoumaru. Vedrai domani i regolamenti per partecipare, comunque. Spero di averti fatto interessare di più.» sorrise.

«Indubbiamente. Buonanotte, nonno.»

 

Il mattino dopo il settimo senso portò Siirist a svegliarsi perché avvertì una presenza insolita nella stanza. Aprì gli occhi e si ritrovò davanti il viso sorridente di Kaede.

«Ohayou, onii-chan!»

«Ohayou.» sbadigliò.

Si mise a sedere e scosse la testa per svegliarsi del tutto.

«Che vuoi?»

«Stiamo in squadra insieme!» disse lei euforica.

«Eh? Ah, il torneo. Partecipi anche tu?»

«Perché, non dovrei?» si offese e mise il broncio.

«Sai che non puoi vincere, vero? Non possiedi le arti sacre e anche con il tuo fuoco nero e i tuoi poteri di fulmine, perderesti contro Kenpachi.» rispose alzandosi.

Subito accorsero Akane e Eiko per aiutarlo a vestirsi con degli abiti blu così scuri da sembrare neri.

«Sei cattivo!» si arrabbiò e gli lanciò contro un fulmine.

Esso nemmeno raggiunse il bersaglio, estinguendosi subito dopo aver lasciato le dita della demone.

«Però è necessario formare delle squadre, perciò sarei felice di stare con te, Kaede. E anche tu, Akira.»

«Siirist-sama, io non sono che un servitore.»

«Non discutere. Arrivati alla finale potrai anche arrenderti, ma voglio vedere come te la cavi durante il resto degli scontri. Se vuoi continuare a servirmi anche in futuro, dovrai essere in grado di sconfiggere tutti i partecipanti, e insieme a Kaede, anche quelli dotati del fuoco nero. Gli unici che ti permetto di non affrontare sono Sesshoumaru-sensei, Kenpachi-sensei, Alucard-san, Kikyou-san, Fujiko-san,  Kiyo-san, Katsumi-san e Heiji-san.»

Ryfon sapeva bene che chiedere al fedele vampiro di sconfiggere il suo conte, i successori di Obras e quegli altri due mostri era impossibile, anche con l’aiuto di Kaede. Ma non importava il suo rango all’interno della corte demoniaca, Akira sarebbe dovuto essere stato di capace di battere tutti gli altri nobili. La Setta era potente, chi sa in quanti possedevano Materia di alto livello e la tecnologia valendiana che annullava i poteri energetici. Per quello Akira sarebbe dovuto essere abile abbastanza con il nitouryuu, la sua Ambizione ed il Juyo.

«Va bene, Siirist-sama, farò del mio meglio.»

«È quello che volevo sentire.»

«E io?» quasi si offese Kaede.

«Tu dovrai aiutare Akira a difendersi dal fuoco nero.» le sorrise e le scompigliò i capelli.

 

Di tutta la corte demoniaca partecipavano seicento settantasei appartenenti, divisi in cento ventotto squadre. I successori di Obras erano tutti separati e, come promesso da Raizen, Kikyou era in squadra con il marito (questo era comunque scontato) e Sesshoumaru. L’Imperatore aveva cercato di convincere anche Kenpachi ad unirsi a loro, ma questi si era rifiutato e si era invece alleato con un membro minore della famiglia reale. Conoscendolo, Siirist era certo che avrebbe voluto partecipare da solo, ma era stato contento di vedere che quell’ammasso di muscoli e ferocia aveva per una volta pensato e si era reso conto che gli sarebbe stato necessario avere dalla sua parte almeno un custode del fuoco nero, per quanto non possedesse le arti sacre. Dopo la squadra di Kikyou, che Ryfon non aspettava altro che affrontare, la più pericolosa era quella di Fujiko, che si era alleata con altre cinque bestie del fulmine della famiglia reale. Affrontare sei utilizzatori del fuoco nero sarebbe stato interessante, di certo un buon allenamento per quando avesse combattuto con Raiden, specie considerando l’abilità di Fujiko nella arti sacre, seconda solo a Kikyou se non si considerava l’Imperatore, chiaramente. Il mezzo demone si chiese se i suoi alleati si sarebbero alla fine ritirati, dando così il trono a lei, oppure si sarebbero alleati per cercare di sconfiggerla. Anche con le sue capacità con le arti sacre, affrontare cinque custodi del fuoco nero non sarebbe stato facile, specie perché uno di loro era Hisaki, i cui poteri di fulmine erano molto sviluppati ed era uno dei rarissimi casi che possedeva un’Ambizione dal colore sia dell’osservazione che dell’armatura. Per questo era una persona molto instabile, sempre sulle sue e silenziosa. Delle altre squadre, tutte erano composte da almeno un appartenente alla famiglia reale oppure da un grande numero di demoni nobili assieme ai loro servitori.

«Cos’è questo ordine ridicolo?! I primi che voglio affrontare sono Siirist e la sua squadra!» sentì urlare Kenpachi dopo che questi aveva visto di non trovarsi nel girone preliminare del mezzo demone.

Il biondo si voltò verso il licantropo che aveva quasi fatto a pezzi il responsabile del sorteggio.

«Calmati, maestro. Se non ti fai battere prima, avremo comunque modo di affrontarci.» lo provocò.

Kenpachi lo guardò con il suo occhio dorato e scoppiò a ridere.

«Interessante! Ti farò piangere!»

 

Il lunedì che precedeva il compleanno dell’Imperatore incominciò il torneo, con tutte le squadre divise in sedici gironi di qualificazione. Siirist si trovava nel primo assieme a Katsumi, che scese in campo prima di lui e si sbarazzò facilmente di una squadra capitanata da una varna, un alato dai poteri legati al vento, il fuoco e l’oscurità. I compagni della bestia del fulmine non dovettero nemmeno muovere un dito, semplicemente ella richiamò il Susanoo nella sua forma di arciere che sparò le sue mortali frecce, facendo una strage di tutti gli ottanta avversari. Quella donna era spietata, c’era da ammetterlo. Quando fu il turno di Siirist, decise di combattere senza alcun riequipaggiamento, con solo un semplice hakama e le nuove katana di Hellsteel che gli aveva forgiato Totosai. Non sarebbe stato in grado di usare al meglio le sue arti demoniache e i suoi incantesimi, era vero, ma lo trovava anche giusto. Inoltre doveva dare una possibilità, per quanto misera, anche agli altri, no? Subito andò in forma demoniaca e sguainò due delle sue tre spade, ma poi ci ripensò e le rinfoderò.

«Akira, sono tutti tuoi.»

I due membri della famiglia reale avversari si offesero e arrabbiarono.

«Pensi che il tuo servo possa vincere da solo contro di noi?» disse uno.

«Se non ce la fa, aiutalo, Kaede.» rispose ignorando l’altro.

«Sì, fratellone!»

«Non vi deluderò, Siirist-sama.»

Si fece lentamente avanti e sguainò le sue spade. Desideroso di sapere bene che cosa pensasse il suo servo, il Cavaliere decise di entrargli in testa.

«Per questo oltraggio ti ucciderò!» sbraitò l’altro che non aveva parlato prima.

Liberò senza tanti preamboli un’onda di fuoco nero che il vampiro evitò con un balzo laterale dopo averla prevista con il suo colore dell’osservazione; essa si diresse verso Siirist, ma Kaede ne prese il controllo e la estinse: non era una delle bestie del fulmine più potenti per niente.

«Brava.» si complimentò il mezzo demone, e lei ne fu felice.

Akira fece per avventarsi contro quello che aveva scagliato l’onda, ma intervenne l’altro, le sue tre katana avvolte nel fuoco nero. Sapendo bene che non si poteva scontrare con esse, il vampiro incominciò a schivare colpo su colpo. Ryfon sorrise: farlo allenare con i bracciali che gli riducevano i douriki fisici contro i nani e gli orchi era stato utile. Farlo abituare a diversi stili di combattimento aveva sviluppato la sua capacità di improvvisazione e anche il fargli studiare la Danza del serpente e la gru aveva dato i suoi frutti. Il vampiro superò la bestia del fulmine e la tramortì con un colpo d’elsa sul collo, dritto su un punto verde. E bravo, anche le tecniche della Gilda aveva padroneggiato in fretta, anche più rapidamente di Siirist stesso. Come lui, anche Akira era più portato alla via del ladro che a quella del guerriero. Menò un doppio tondo dritto dopo un avvitamento su se stesso che liberò una possente onda d’urto in cui aveva inserito tutto il potere del suo Juyo. Ma l’avversario rimaneva pur sempre un alato della famiglia reale che si difese con le sue ali posizionate davanti al corpo a mo’ di scudo. Le bestie del fulmine pure non avevano il potere tenebroso di Raiden (e quindi di Siirist), perciò le loro ali non avevano la capacità di condensarlo e diventare taglienti, ma rimanevano comunque degli scudi naturali capaci di resistere anche alle katana di Totosai, ammesso che non fossero infuse di potere demoniaco, Ambizione o Juyo. Akira non perse tempo e si lanciò in avanti, le spade che sfioravano il terreno. Portò in avanti un fendente destro in cui mise tutto il peso del corpo, bloccato dall’ala sinistra nemica, e subito si abbassò per evitare il tondo dritto che lo avrebbe altrimenti tagliato in due, previsto anche questo grazie all’Ambizione. Nell’abbassarsi, roteò il corpo in senso antiorario e nel rialzarsi attaccò con un sottano dritto manco dato con la spada impugnata alla rovescia, a cui fece seguire uno sgualembro dritto, anche esso impugnato alla rovescia. Ma ancora trovò solo il muro impenetrabile di penne nere. Con la velocità concessagli dal potere del fulmine, l’alato nemico si mosse con una rapidità tale da eludere persino il colore dell’osservazione del vampiro e lo tagliò orizzontalmente all’altezza della vita, infliggendogli un colpo che sarebbe dovuto essere mortale. Ma da dentro il kimono tagliato a metà venne il suono degli stridii e del battito di ali di pipistrelli, e Akira nemmeno sentì il colpo. Invece menò un tondo dritto roverso che portò indietro in un semi giro in senso antiorario; colse l’avversario di sorpresa e lo decapitò. Dal pubblico Siirist sentì Kenpachi ululare di gusto. Il vampiro guardò verso gli alleati delle due bestie del fulmine che subito si arresero. Akira fu giudicato il vincitore e prima di ritornare dal suo padrone, guardò verso Alucard che annuì. Rinfoderò le katana e si diresse verso i suoi due compagni di squadra.

«Hai dovuto usare i tuoi poteri già dal primo turno, mi deludi. Ora l’effetto a sorpresa è perso, contro la velocità delle prossime bestie del fulmine sarai nei guai.» lo rimproverò Ryfon.

«Perdonatemi, Siirist-sama, ma non ho potuto fare altrimenti, sono stato sorpreso dalla sua velocità. Voi bestie del fulmine siete veramente potenti, Kaede-sama.»

«Ovvio, siamo la famiglia reale! Ma come hai fatto a usare i tuoi poteri sotto la luce del sole?» domandò Kaede.

«Gli ho inciso un tatuaggio magico sul petto che lo difende dagli effetti negativi del sole. Ora andate ad allenarvi per domani, uno contro l’altra. Usate le katana da allenamento, ma fate sul serio. Non usate i poteri, solo il Juyo, ma Kaede, usa anche la velocità di fulmine.»

«Va bene, fratellone!»

«Sì, Siirist-sama.»

Mentre loro si allontanavano, Ryfon guardò verso Kiyo e Heiji, chiedendosi chi avrebbe vinto.

 

Kenpachi vinse magistralmente contro sei appartenenti alla famiglia reale, mentre il suo alleato si occupava di disperdere il fuoco nero che lo colpiva. Siirist non aveva mai visto il licantropo combattere con tanta ferocia e gioia, e di conseguenza il suo Juyo risultava essere più devastante che mai. Probabilmente in quella condizione sarebbe addirittura stato in grado di mettere in difficoltà Sesshoumaru nella sua forma intermedia. Nel vederlo combattere, al mezzo demone ribollì il sangue e senza che riuscisse a controllarsi, gli occhi gli divennero sanguigni e le pupille draconiche.

Dallo scontro fra Kiyo e Heiji, fu la seconda squadra ad uscire vincitrice. Era stato uno scontro come pochi altri che Siirist avesse mai visto, con i due Susanoo dei successori di Obras che si combattevano furiosamente, mentre i due interessati si affrontavano con il santouryuu brandendo tre Tsukuyomi e numerosi Amaterasu volavano per l’arena divorandosi a vicenda o i rispettivi nemici. Quando Kiyo aveva notato che i suoi alleati erano stati battuti tutti ad eccezione dei più forti e fedeli servitori, si era arresa per evitare ulteriori morti e Heiji aveva rispettato il suo desiderio. Il loro scontro aveva segnato solo la fine della prima metà della giornata, e già l’eccitazione omicida dei demoni era palpabile nell’aria. Ma gli incontri successi non erano stati per niente allo stesso livello, con tutti i pretendenti che erano di poco superiori tra loro ad eccezione di Kikyou, che combatté nel dodicesimo turno, e annientò i suoi nemici con la stessa facilità di Katsumi ma non con la stessa ferocia.

 

«Voglio partecipare anche io! Fammi entrare in squadra!» insistette Oghren.

«Non te lo consiglio, non potresti nulla contro i demoni più forti.» rispose Akira.

«So essere alla pari con Kenpachi se voglio, quindi stai zitto o te la vedrai con Narik!»

Siirist vide il lampo rosso negli occhi altrimenti nocciola. Per quanto fosse sempre serio e composto, Akira rimaneva un vampiro di alto livello, un’eccezione del suo clan che faceva parte della classe S, ed era difficile per lui contenere i suoi istinti demoniaci: una sfida come quella del nano doveva aver eccitato ogni fibra del suo corpo. Dei segni del suo sangue demoniaco gli stavano addirittura comparendo in viso, come fossero delle linee di matita che circondavano e si allungavano dagli occhi. Come Sesshoumaru, il potere demoniaco di Akira era cresciuto fin troppo e aveva iniziato a manifestarsi sul corpo.

«Akira, vatti a scaricare.» gli ordinò il padrone.

Il vampiro trasse un profondo respiro per poi espirare tutta l’aria che aveva in corpo.

«Sì, Siirist-sama.»

E andò all’area dell’harem di Ryfon che era stata riservata a lui, dove sarebbe stato intrattenuto dalle quindici concubine che il padrone gli aveva donato. Siirist lo guardò uscire dalla sua stanza prima di voltare lo sguardo verso Kondrat e Azuk-lob-Khalak. Durin era seduto sul davanzale di una delle finestre e beveva un boccale di birra in silenzio. Siirist, seduto ad uno dei tavoli circolari che arredavano la sua stanza, si versò una tazza del liquore demoniaco che aveva inizialmente ripudiato, ma in mancanza di altro aveva imparato ad apprezzare; era sempre meglio della birra di Hellgrind, non riusciva a capire come i nani potessero bere quella schifezza. Beh, capiva Oghren, quello era un bidone, ma aveva sempre ritenuto Dorrak più raffinato.

«E tu, Durin? Non chiedi di unirti alla mia squadra per il torneo? Oghren l’ha chiesto espressamente, e so che anche Azuk-lob-Khalak vorrebbe, ma se lo tiene per sé.»

«Non sono interessato, no.»

«Codardo.» tossì per finta Barba di fuoco.

Dorrak si alzò e mise mano alla sua immancabile ascia.

«Prova a ripeterlo.»

Oghren sogghignò e alzò Narik prima che Siirist perdesse la pazienza: li investì con il colore del re misto all’Intimidazione ed i nani caddero in ginocchio.

«Saremmo grati se la smettessi di farlo.» disse a denti stretti Kondrat.

«E io sarei grato se la smetteste di litigare: l’ultima volta mi avete demolito gli appartamenti, è un miracolo che nessuno della mia servitù si sia fatto male.»

«Ma di che ti lamenti? Un incantesimo ed era tutto a posto nel giro di dieci secondi!» rispose Oghren, alzandosi e sciogliendosi i muscoli indolenziti dall’attacco del mezzo demone.

«Non è quello il punto. Siete come due bambini e mi sto stancando di voi, e già non sono paziente di mio! Almeno non quando si tratta di avere a che fare con gli idioti. Durin, mi stai deludendo, che ti succede?»

«Perdonami. Suppongo mi manchi la Roccia.» abbassò lo sguardo.

«Vorresti ritornare ai Beor?»

«Sì. Non definitivamente, sono felice di viaggiare con te e di esplorare il mondo, ma ho bisogno di ritornare a Tronjheim almeno per un po’.»

«Capisco. Oghren?»

«Bah. La birra qui fa schifo, ritornare a Tronjheim non sarebbe malissimo.» ammise.

«D’accordo. Finito il torneo, vi riporto a Tronjheim con la dislocazione. Sarebbe anche una buona occasione per donare i tesori di Ilirea. Ora lasciatemi, domani sarà una giornata impegnativa, ho bisogno di riposarmi.»

 

Quella fu una delle notti peggiori che Siirist avesse mai passato. Tutto bruciava, erano le fiamme rosse degli Inferno e quelle nere di Obras, che danzavano, si univano e si dividevano, e creavano immagini come demoni alati, spade, draghi, cadaveri, teschi. L’aria puzzava di carne bruciata, sangue e cenere, il calore era così intenso che l’aria stessa ne risentiva, e ad ogni respiro, era come ingoiare tizzoni ardenti; avvertiva nei polmoni la stessa sensazione che aveva provato nello stomaco quando si era risvegliato il fuoco interno di Rorix e per la prima volta in anni, Siirist considerò il fuoco essere troppo caldo. E in mezzo a tutto quello, apparve una donna. Era bellissima, aveva dei lineamenti e delle curve degni della più bella delle succubi, e dei lunghi capelli argentati che scendevano elegantemente lungo le spalle e arrivavano oltre la vita. Erano mossi, erano al contempo selvaggi e acconciati, e lasciavano il suo incantevole viso libero. Gli occhi erano completamente neri, come quelli di Fenrir, le carnose labbra erano rosse come il vestito di seta scollato, che pareva sanguinante, ma quando il mezz’elfo si concentrava su un punto dell’abito che gli sembrava stesse gocciolando, esso appariva essere fatto di pura seta; allora, intorno al punto in cui il biondo concentrava la sua attenzione, il vestito ricominciava a sanguinare. Gli sorrise un sorriso maligno, invitante, seducente, che il mezz’elfo sentiva lo stava corrompendo nell’anima. La donna gli tese la mano, ma egli la rifiutò.

E aprì gli occhi mentre la luna piena entrava attraverso la finestra aperta e lo illuminava.

 

Il sole era a malapena sorto quando Tomoko entrò nella stanza del suo padrone a portargli cornetti, frittelle e spremuta d’arancia, e lo trovò già in piedi a mangiare l’uva presa dalla coppa di frutta elfica che perennemente era tenuta piena.

«Qualcosa non va, Siirist-sama?» chiese notando lo sguardo cupo e le occhiaie del successore di Obras.

Questi si voltò verso di lei e per un momento pensò di inventarsi una scusa, ma poi rifletté che la servitrice lo conosceva fin troppo bene e che avrebbe capito istantaneamente se avesse sentito una bugia.

«Un brutto sogno, niente di cui ti devi preoccupare.»

«Ecco cosa succede quando vi ostinate a dormire da solo!» lo rimproverò per scherzo.

Siirist ridacchiò e si sedette al tavolo e la gatta appoggiò i piatti perché il padrone potesse mangiare la sua colazione. La porta si aprì ed entrò Akira che accompagnava Kaede.

«Siirist-sama, non l’ho potuta fermare, era insistente.» si giustificò il vampiro.

«Non fa niente. Che c’è, Kaede?»

«Akihito ha visto il tabellone degli scontri di oggi: siamo contro Katsumi e Kiyo si è alleata con lei.» disse preoccupata.

Ryfon deglutì con difficoltà il boccone di frittelle. Si pulì la bocca con il tovagliolo bianco, macchiandolo del rosso-violaceo della marmellata di frutti di bosco, prima di rispondere.

«Capisco.» aveva la mandibola serrata e negli occhi era visibile la sua paura.

«Siirist-sama, consiglierei di riconsiderare l’idea di usare le semplici katana di Hellsteel e i soli poteri demoniaci. Sareste in difficoltà contro le arti sacre di un solo successore di Obras, non potreste mai affrontarne due insieme. Non senza le arti demoniache almeno, e non senza Agar hyanda.» esclamò Akira.

Il nome della sua spada colpì il mezz’elfo nel profondo. Ebbe una piccola convulsione e un giramento di testa; appoggiò la fronte alla mano destra e il gomito al tavolo.

«Glarald è tornato?»

«Sì, Siirist-sama.»

«Mantieniti.» disse alzandosi e puntando la mano alla colazione, liberando un incantesimo temporale che le impedisse di raffreddarsi e indurirsi.

Prese un cornetto e si avviò verso la porta senza aggiungere una parola, lavandosi denti e bocca con un incantesimo d’acqua combinato a vento e vestendosi con la creazione d’aria che diede forma ad un nuovo kimono, hakama, obi, tabi e zori di stoffa. Si diresse rapidamente verso la grotta in cui Glarald e Vadraael erano ritornati a vivere. Trovò il drago in tutta la sua grandezza, steso a pancia sotto con il lungo collo allungato a dormire; il Cavaliere corrotto era invece seduto e impegnato a leggere il suo grimorio. All’arrivo del mezz’elfo, quegli richiuse il suo libro e si alzò.

«Siirist, è sempre un piacere vederti. Con la resurrezione di Eleril, ho sentito il mio ruolo come Guida un po’ inutile, cosa posso fare per te?» scherzò.

«Ho fatto un sogno.» tagliò corto.

«Me lo vuoi raccontare?»

«Te lo voglio mostrare.»

Gli passò i ricordi della donna avvolta dalle fiamme e dopo una decina di secondi, il tempo necessario perché l’elfo oscuro li potesse comprendere, gli chiese che cosa pensava significassero.

«Non si tratta di una premonizione né una visione del passato portata dall’Ambizione, questo è certo. Non è nemmeno un tentativo di contatto mentale da parte di terzi. Non è nessuno che conosci, vero?»

«No.»

«Temo di non poterti dare una risposta immediata, dovrò pensarci su. Intanto dovresti riposarti finché puoi, sei visibilmente stravolto e il tuo scontro di oggi nel torneo sarà impegnativo.»

«Hai ragione. Grazie.»

 

Quando Siirist lasciò la caverna, Vadraael aprì uno dei suoi occhi dorati e guardò verso il suo Cavaliere.

Eppure quella donna mi sembra di averla già vista.disse.

Glarald sospirò.

Hai ragione. È bene andare a parlare con Bhyrindaar.

 

Siirist ritornò alla sua stanza e i suoi abiti si scomposero in un soffio d’aria.

«Non riesco a capire perché vi ostinate a vestirvi con abiti veri ogni giorno quando potete semplicemente crearli dal nulla con la magia.» osservò Tomoko.

«Lo dici solo perché così non li dovresti più stare a lavare.»

«Anche, non lo nego. Ma lo trovo comunque insensato. Capisco i riequipaggiamenti, che sono incantati e fatti con materiali difficilmente creabili con la magia, ma per i vestiti di tutti i giorni, non capisco proprio.»

«Non posso darti torto. Forse mi piace farmi vestire da te?» sorrise malizioso.

«Motivazione valida. Ritornate a dormire?»

«Sì.»

«Volete compagnia?»

«No.»

«Allora mi ritiro. Vi verrò a chiamare mezz’ora prima dell’inizio degli scontri, fino ad allora non sarete disturbato. Buon riposo, Siirist-sama.»

La gatta lasciò la stanza e Siirist chiuse le tende con una magia di vento, oscurando l’ambiente. Attirò a sé un cornetto con un secondo incantesimo e lo mangiò mentre si rimetteva sotto le lenzuola.

 

Ancora fiamme, ancora un calore paragonabile al respiro di tutti gli Inferno esistenti. Sentì come una voce, un sussurro a malapena riconoscibile che lo attirava. Si voltò e vide una donna uguale a quella vista nel sogno precedente, ma questa aveva un abito argentato che brillava di una luce eterea, occhi sanguigni sia nella sclera che nell’iride, privi di pupilla, e capelli corvini come solo quelli delle bestie del fulmine. Anche la pelle di questa era chiarissima, quasi da risultare pallida, ma non così tanto. Si sentiva attratto a lei, ma al contempo sentiva di doverle resistere, sentiva che se fosse stato afferrato, non sarebbe potuto fuggire.

Un altro sussurro gli giunse alle spalle.

Balzò per la sorpresa e vide una terza donna, con capelli color sangue, l’intero bulbo oculare che brillava di una forte luce argentata, paragonabile a quella dell’armatura di Aulauthar nata dalla creazione di luce. Il lungo vestito nero all’apparenza di seta risucchiava la luce che lo circondava, come fosse la Forgia infernale.

«Siirist!»

«Siirist!»

«Siirist!»

Sentì dire il suo nome, più e più volte, nelle diverse pronunce delle lingue dei popoli di cui era composto il suo essere.

«Siirist!»

Guardò alla sua sinistra e vide comparire la donna dai capelli argentati, la prima che aveva visto. Era accerchiato. Tutte e tre si stavano stringendo intorno a lui e, impaurito, il mezzo demone lanciò un urlo. Le fiamme si dispersero e si ritrovò all’interno della sala del trono della sua torre mentale.

E aprì gli occhi.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola GUARDIANO DEL SALVATORE. Scusate, non riesco a dare un sunto decente del capitolo senza fare troppi spoiler! Il titolo, comunque, non ha a che vedere con il capitolo, quanto è significativo per la sola parte finale e trovo sia bello e nostalgico, perciò ho deciso di usarlo dopo attenta considerazione.

Ritorna all'indice


Capitolo 83
*** GUARDIANO DEL SALVATORE ***


GUARDIANO DEL SALVATORE

 

Bussò alla porta. Ad aprire fu un demone dalla faccia semplice, alto e magrolino, non poteva essere superiore ad un classe C.

«Sono qui per vedere mastro Bhyrindaar.» disse Glarald.

«Ve lo chiamo subito.» rispose in un inchino il servitore prima di far accomodare il Cavaliere.

Questi entrò e si guardò intorno: all’elfo era stata messa a disposizione una stanza molto lussuosa, con il soffitto a volte tipico dell’Akai goten e varie colonnine che suddividevano il tutto in vari quadrati, e mobili di legno di alta qualità. L’altmer emerse dal bagno mettendosi il soprabito elfico sopra alla tunica.

«Perdonate l’attesa, mi stavo finendo di preparare per la giornata. Cosa posso fare per voi, Glarald?»

Il tono di voce era gentile, ma Glarald sapeva che l’alto elfo si trovava sempre a disagio in sua presenza. No, forse era più appropriato dire che provava un certo disgusto, se non odio, per l’elfo oscuro. E non lo poteva biasimare.

«Si tratta di Siirist. Ha avuto un sogno particolare in cui ha visto una donna. Egli lo ignora, poiché Evendil non lo riportò nel suo grimorio, ma questa donna è molto simile all’anima di Forza del vento. Certo, questa era una altmer, mentre la donna vista da Siirist aveva più l’aspetto di una demone, ma è possibile che l’anima di Forza del vento, trasferita a Lama di sangue, possa essere stata corrotta dal sangue demoniaco?»

«Evendil vi disse la vera forma dell’anima di Forza del vento?»

«Siete sorpreso?»

«Non sono sorpreso che l’abbia vista, era certamente dotato, sia fisicamente che spiritualmente, ma mi stupisce ne abbia parlato con voi.»

«Siamo sempre stati vicini, non dovrebbe essere una così grande sorpresa.»

«È vero, ma non posso dimenticare di quali colpe vi siete macchiato a Ellesmera.»

«Nemmeno io. Tornando a Lama di sangue?» tagliò corto con la gola stretta: quei ricordi lo avrebbero tormentato finché aveva respiro in corpo, non aveva bisogno di rinvangare il passato.

Il fabbro sospirò e si sedette su una sedia, in mano il calice di nettarina che aveva preso precedentemente.

«Sì, potrebbe essere possibile che l’anima di Forza del vento sia stata corrotta e abbia cambiato aspetto. Com’è stato questo sogno?» chiese preoccupato.

«Un incubo.» rispose con tono cupo.

«Hm, questo è male. Un guerriero che conosce la propria arma la deve sentire; in questo modo, è la spada che si sta avvicinando al padrone per possederlo.»

«Come temevo. Vi ringrazio, ora so che cosa fare.»

«Sono sempre a disposizione del Cavaliere d’Inferno.»

 

«State bene, Siirist-sama?» domandò Akira.

Il mezz’elfo si era vestito con abiti demoniaci nati dalla creazione di vento e aveva raggiunto gli altri due membri della sua squadra fuori dalla città, nella grande arena a cui aveva lui stesso dato forma grazie alla sua magia di terra. Gli spalti, come il giorno prima, erano gremiti di gente, demoni che avevano viaggiato alla capitale da tutta Hellgrind. Come aveva preso posto nella tribuna riservata alla famiglia reale, il vampiro aveva notato l’espressione debole e le occhiaie pesanti.

«Sto bene, non preoccuparti. Come è stato lo scontro?»

Era arrivato tardi, nonostante Tomoko avesse cercato di svegliarlo in tutti i modi, e si era perso più di metà degli scontri della giornata, cosa imperdonabile perché tra essi vi era stato quello tra le squadre di Kikyou e Fujiko: era un bene che l’ordine delle battaglie fosse stato invertito rispetto al giorno prima e che si fosse cominciato dal sedicesimo girone, altrimenti Ryfon avrebbe perso il suo stesso incontro.

«Molto intenso, ma anche molto breve. Sesshoumaru-dono e Alucard-sama hanno eliminato in fretta tutti gli appoggi di Fujiko-sama, lasciando Fujiko-sama da sola contro Kikyou-sama. Fujiko-sama è potente nelle arti sacre, ma è ben risaputa la maestria di Kikyou-sama con il fuoco nero. Fujiko-sama è stata incenerita.»

«Sorellona è fortissima!» sorrise eccitata Kaede.

Siirist la guardò e le vide i lucenti occhi azzurri brillare di una luce che raramente vi aveva visto: il suo sangue demoniaco stava ribollendo intensamente e la solitamente dolce Kaede stava venendo pervasa dalla sua voglia di massacro.

«Ora è il turno di Kenpachi-dono, Siirist-sama.»

Il mezzo demone annuì e guardò verso il terreno dell’arena.

«Dimmi, Akira: come hanno fatto Sesshoumaru-sensei e Alucard-san a eliminare così facilmente cinque utilizzatori del fuoco nero?»

«È stato qualcosa di stupefacente, nient’altro da aggiungere. Alucard-sama li aveva immobilizzati con il suo controllo del sangue unito ai suoi poteri mentali, dando così a Sesshoumaru-dono la possibilità di abbatterne tre. Gli ultimi due si sono liberati in tempo dalla presa di Alucard-sama perché uno di loro ha usato un potente fulmine. Allora, due contro due, Sesshoumaru-dono e Alucard-sama hanno usato le loro capacità fisiche superiori per sovrastarli nonostante le grandi vampate di fuoco nero. Ma il colpo di grazia è stato dato da Kikyou-sama che, eliminata Fujiko-sama, ha aizzato il suo Susanoo contro di loro.»

«Interessante. Peccato non lo abbia visto. Più tardi, quando sarò più riposato, ti chiederò di mostrarmi i tuoi ricordi.»

«Ne sarei onorato, Siirist-sama.»

In campo scesero un tengu, un demone corvo, e la sua schiera di fedeli servitori che assistevano una bestia del fulmine della famiglia reale contro la squadra di Kenpachi. E per la sorpresa di Siirist, a questa si era aggiunto Oghren.

«Ehi, biondino! Guarda bene, perché il prossimo sarai tu!» sfidò il nano prima di ruttare e scoppiare a ridere.

‹Interessante.›

 

Con una sola katana in mano, Kenpachi disarmò l’aspirante al trono avversario per poi squartarlo in due a mani nude, terminando così la battaglia in suo favore. Dal canto suo, Oghren aveva fatto brillare la sua aura arancione così forte che era quasi risultata abbagliante, e aveva falciato demoni su demoni, tutte persone che sarebbero dovute essere di gran lunga superiori al nano, compreso il tengu.

«L’Ambizione dal colore dell’armatura è senza dubbio potente, più si è determinati, più ci si può rafforzare. Unita al Juyo può essere devastante, fareste meglio a stare in guardia quando affronterete il traditore, Siirist-sama, ma anche contro Kenpachi-dono.»

«Lo so.»

Quando fu il suo turno, accompagnato da Akira e Kaede, Ryfon scese nell’arena tra gli applausi generali, Katsumi e Kiyo già pronte di fronte a lui. La prima aveva i suoi lunghi capelli legati in una coda di cavallo che le arrivava ai lombi, indossava un hakama bianco e un kimono celeste, le sue tre katana al fianco sinistro, sorrette dall’obi bianco. Al suo fianco Kiyo, con gli abiti azzurri e neri e i suoi corti capelli corvini che le arrivavano a malapena sotto le orecchie. Erano entrambe bellissime, su questo non si poteva discutere, ma il mezzo demone sapeva che non poteva permettersi di andarci leggero, esse non avrebbero esitato a ridurlo in cenere, specie la spietata Katsumi.

«Siirist-sama, invocate un riequipaggiamento.» gli ricordò il fedele Akira.

Il vampiro fissava Eichiro, un inugami al servizio di Katsumi, riconosciuto come uno dei servitori più forti di tutta la corte. Era così meritevole che Raizen gli aveva concesso l’uso del santouryuu venti anni prima.

«Kaede, Akira sarà impegnato, credi ce la farai da sola contro tutti gli altri servitori mentre io mi occupo di Katsumi-san e Kiyo-san?»

«Naturalmente.» disse in verità non molto convinta.

Siirist sospirò.

«Ho capito.»

Alzò le mani e sul terreno apparvero i sigilli che aprirono il passaggio per Oblivion, permettendo ai daedra di Siirist più fedeli di accedere a Ruu. Essi erano il centauro, armato con due spadoni, una lancia e un’armatura di Adamantio, il cerbero, le due anime di fuoco, il wivern di Ifrit, quello di Sharok, la chimera di Fenrir, un mietitore e due Primi, il balrog e un basilisco del piano di Sharok. Cerbero e centauro si avvicinarono al loro invocatore, il primo per fargli le feste e farsi accarezzare, il secondo per salutarlo con un leggero inchino del capo. Gli spadoni erano nei loro foderi assicurati alla cintura alla vita, nel punto in cui il petto da uomo diventava corpo da cavallo, mentre la lancia era stretta nella mano sinistra. Ryfon si voltò verso l’Imperatore.

«Spero mi sia concesso di usare invocazioni.»

«Hai paura di non poter vincere senza?» provocò l’anziano alato.

«Sinceramente? No.»

«Molto bene, lo permetterò, si tratta pur sempre di una tua abilità, qualcosa che useresti se necessario sul campo di battaglia.» annuì.

«Grazie.»

Detto ciò, il mezz’elfo si riequipaggiò con il Samurai.

«Niente tecnica a tre spade?» si preoccupò Akira.

«Non pensare a cosa userò per combattere, occupati di Eichiro e basta.»

«Come desiderate, Siirist-sama.»

‹Ha ragione, sarebbe meglio il Cavaliere.› puntualizzò Rorix.

‹Non posso usare Agar hyanda e le altre due spade, non so che cosa potrebbe succedere. Sono fuori controllo, ogni volta che le impugno è sempre peggio, lo sai.›

‹Sì. Ma almeno usa le abilità del Cavaliere con il Samurai. Avrai bisogno delle tue magie spazio-temporali e di tutte e sei le arti demoniache, comprese l’arte del Lampo e l’arte Infernale, se vuoi vincere.›

Annuì, la gola secca.

‹So che non ti piace l’idea, ma l’alternativa è venire fatto a pezzi da quelle due. La loro velocità di fulmine è dieci volte la tua, non hai possibilità senza il Lampo; la loro abilità con le arti sacre è a livelli inarrivabili per te senza l’Infernale.›

‹Hai ragione, lo so bene. Dammi forza.›

‹Sempre, mio Cavaliere.›

«Kaede, sei pronta?»

«Sì, fratellone!»

E il segnale d’inizio fu dato. Siirist concentrò nel palmo destro tutto il suo Flusso e con esso diede forma alla katana di creazione oscura, che strinse sul fodero appena sotto alla tsuba. Rapido, portò la sinistra all’impugnatura e la sguainò in un attacco ad estrazione in cui aveva infuso tutto lo sconforto nato dagli incubi che aveva recentemente avuto e la sua Ambizione. L’onda d’urto dell’attacco raggiunse Katsumi, ma questa la divise a metà con un fendente; le due metà non persero potere, però, e si diressero ai lati dell’alata, colpendo due dei suoi servitori e facendoli a pezzi. Senza interrompere il suo movimento, Siirist rigirò la spada nella sinistra e avvicinò l’elsa al fodero e ve lo inserì; spada e fodero si scomposero in una nuvola oscura e si allungarono, creando una grossa falce con l’asta leggermente ricurva e la lama distorta e dall’aspetto minaccioso.

«Andate.» ordinò il mezzo demone ai compagni di squadra.

Kaede scomparve in un lampo azzurro e riapparve istantaneamente a due metri dagli avversari, la sua prima katana già nella destra; menò un tondo manco che liberò un’onda fulminante che spazzò via una ventina di demoni. Akira volò verso Eichiro, ma fu facilmente scagliato indietro.

Non puoi vincere in uno scontro di forza. Ti ho dato la possibilità di usare i tuoi poteri anche alla luce del sole, sfruttali!ordinò Ryfon.

Sì!

Eichiro non diede il tempo al vampiro di riprendersi, però, e subito gli fu addosso con una sola spada in mano, ma fu intercettato dal balrog e dalla chimera, che, rispettivamente, gli bloccarono il fendente e gli strapparono il braccio sinistro con un morso. Ringhiando, mosse la spada nella destra per decapitare la chimera, e Siirist si sentì mancare quando l’energia del sigillo del drago fu sottratta a lui alla morte del suo daedra. L’inugami evitò magistralmente gli attacchi a ripetizione del Primo di Fenrir e riuscì a recuperare il braccio amputato; la katana infilzata nel terreno, avvicinò il braccio alla spalla dilaniata e il suo potere di rigenerazione permise all’arto di riunirsi al corpo. Riprese in mano la katana mentre muoveva il braccio per assicurarsi che fosse perfettamente ristabilito, prima di portare la mano sinistra al fianco corrispondente e sguainare la sua seconda spada.

Kaede aveva appena falciato il suo ennesimo avversario quando un Amaterasu di Katsumi la raggiunse, ma a salvarla fu il cerbero che fu investito dalla seconda arte sacra al suo posto. E ancora Siirist avvertì l’improvvisa perdita di energia come fosse una secchiata d’acqua gelida dopo una corsa chilometrica fatta a stomaco vuoto.

«Arte Infernale: Canto del leone!» ruggì furioso, andando in forma draconiana.

Liberò il suo famiglio che caricò ringhiando Katsumi, ma a fermarlo fu un Amaterasu di Kiyo. Drago e leone fiammanti si combatterono furiosamente, ma per quanto l’arte Infernale fosse potente, le sacre arti del fuoco nero erano tra le abilità più devastanti mai conosciute su Gaya. Il famiglio del mezz’elfo venne consumato dal drago marino, e questi continuò il suo volo verso il biondo. Con l’arte della Tenebra evitò l’Amaterasu e si dislocò dietro alle due donne e menò un tondo dritto manco con la falce gigante. Il colpo fu evitato dalle succeditrici di Obras, ma fu sufficiente a finire tutti i rimanenti servitori al loro servizio ad eccezione di Eichiro. Senza che il mezzo demone se ne potesse accorgere, le due bestie del fulmine gli erano addosso e lo avevano attaccato contemporaneamente. Le due katana di Hellsteel, la cui capacità di penetrazione era stata amplificata dal fulmine, lo tagliarono a X, dividendolo in quattro parti. Il corpo del mezzo demone cadde, ma dai tagli non uscirono sangue e interiora, bensì fumo nero, e Siirist si rigenerò. Con il potere della creazione oscura, che era in risonanza con gli incantamenti del riequipaggiamento, ricostituì anche i vestiti stracciati del Samurai. Si dislocò con l’arte della Tenebra per evitare di venire investito da un’ondata di fuoco nero.

«Tsukuyomi!» esclamò Katsumi.

Le due katana che stringeva in pugno furono avvolte dal fuoco nero e funsero da catalizzatori per la prima arte sacra. Con il suo potere di fulmine arrivò addosso al mezz’elfo, che evitò di venire mortalmente ferito solo grazie all’ausilio del settimo senso, il colore dell’osservazione, il suo potere di fulmine e le capacità mentali imparate dal grimorio di Adeo. Evitò colpi su colpi, ma Katsumi si faceva sempre più veloce, aiutata non solo dal suo potere di fulmine ma anche dal suo uso del Juyo, ed era chiaro che Ryfon sarebbe presto stato colpito.

‹Usa il Lampo!› insistette Rorix.

«Amaterasu!»

Tre draghi fiammanti furono liberati dall’attacco di Kiyo. Con quelli che minacciavano di divorarlo senza lasciare traccia e Katsumi che lo incalzava senza dargli modo di pensare, il mezzo demone si vide senza altre alternative.

‹Il mio povero corpo.› piagnucolò.

‹Meglio lamentarti dopo di avere tutti i muscoli a pezzi che non avere nemmeno il lusso di lamentarti perché sarai tutt’uno con il Flusso!› fece notare l’Inferno.

La falce oscura si disperse in rivoli di fumo nero e il mago concentrò il suo potere magico in entrambi i palmi e tutte le dita.

«Frattura dimensionale!» esclamò, colpendo con entrambi i pugni l’aria ai suoi lati e liberando al contempo il colore del re.

Lo spazio fu sconvolto dall’attacco e i tre Amaterasu furono deviati, mentre Katsumi fu bloccata a mezz’aria e scagliata via.

‹Ora!› ruggì Rorix.

«Arte del Lampo: Assorbimento!»

Fu circondato da potenti scariche elettriche giallo brillante e azzurre e tutto il corpo gli tremò violentemente per un istante, il tempo necessario perché si potesse adattare all’arte demoniaca che era diventata un tutt’uno con esso. I suoi muscoli erano ora rafforzati con il potere di tre milioni di douriki e la mente era velocizzata ad un livello simile, con tutto intorno a lui che pareva immobile. Vide Katsumi rialzarsi e muoversi come al rallentatore. Era lui il più veloce ora. Scattò verso di lei, le katana in pugno, e fece per attaccarla con un doppio fendente, quando da destra sentì giungere la voce di Kiyo.

«Susanoo!»

Il gigante di fuoco apparve a proteggere la sorella con lo Scudo di Yata sul braccio destro, la Spada Kusanagi sollevata nella sinistra e pronta a menare un fendente che avrebbe diviso Siirist fino alla molecola più piccola. Quella era il vero potere offensivo del Susanoo, una spada capace di tagliare ogni cosa, persino lo spazio stesso, contro cui qualunque tipo di barriera risultava inefficace. Solo lo Scudo di Yata, la difesa assoluta del gigante, se allo stesso livello di potere, era in grado di resisterle. Ma Siirist sapeva bene che il suo Scudo di Yata non avrebbe potuto nulla contro le Kusanagi di Katsumi e Kiyo. Forse con l’arte Infernale, ma non era detto. E comunque non poteva usare nessun altro incantesimo, non ora che aveva il Flusso e la mente impegnati a mantenere l’arte del Lampo.

Balzò di lato per non venire colpito dalla spada del Susanoo, e questo diede a Katsumi il tempo necessario per riprendersi, incrementare il suo potere di fulmine e mettersi allo stesso livello del mezz’elfo.

«Impressionante. Alla tua giovane età, sei già in grado di tenerci testa in quanto a velocità. Ma se non ti arrendi subito, ti farò a pezzi, e mi divertirò tanto a farlo.» sorrise sadica.

Allargò le braccia e attorno ad esse incominciarono ad attorcigliarsi svariati Amaterasu in miniatura. Essi si concentrarono attorno alle lame delle Tsukuyomi che vennero affondate nel terreno; i draghi fiammanti eruppero da sotto i piedi del mezz’elfo che a malapena si riuscì a salvare.

‹Non può continuare così, ho bisogno di poter usare il Flusso per altri incantesimi!›

Altri Amaterasu si unirono a quelli già lanciati da Katsumi, sia suoi che di Kiyo.

«Susanoo!»

Lo Scudo di Yata del gigante di Siirist riuscì a respingere i draghi marini, ma subito intervenne il gigante di Kiyo, che abbatté la sua spada e estinse la difesa del mezzo demone. Disperato, Siirist liberò un’ondata di Ambizione contro Katsumi, ma ancora il Susanoo della sorella si posizionò per difenderla, così il mezz’elfo circondò le sue katana con il colore dell’armatura e tutte le sue emozioni di paura, disperazione, rabbia e fastidio, e menò un doppio tondo roverso in direzione di Kiyo. Ella non fu nemmeno sfiorata, perché la sorella usò la terza arte sacra, e lo Scudo di Yata apparve a mezz’aria, subito seguito dal braccio sinistro e dal resto del corpo del Susanoo.

Le due sorelle si avvicinarono e i giganti si scambiarono di posto, andando a difendere la rispettiva creatrice.

‹È inutile. Senza Agar hyanda non hai speranze di vincere. È la tua spada, non disdegnarla come se fosse maledetta! Sfruttane il potere, non fare il codardo!›

Dopo diversi anni, il falso Siirist ritornò a parlare dall’angolo buio che era la sua gabbia nella sala del trono mentale del mezz’elfo.

‹Invece suppongo tu possa fare meglio?›

‹Non senza Agar hyanda, no.›

I due Susanoo si muovevano fianco a fianco, si ergevano dal terreno dal busto in su, le loro creatrici al sicuro al loro interno e con gli scudi in avanti, quello di Katsumi che lo reggeva con il braccio sinistro, quello di Kiyo che lo reggeva con il destro, così come Katsumi reggeva le katana sul fianco sinistro e Kiyo su quello destro. La situazione era catastrofica, non c’era che dire. L’unico modo che il mezzo demone aveva per fronteggiare la superiorità nelle arti sacre delle due donne era di usare l’arte Infernale, cosa impossibile mentre utilizzava l’arte del Lampo. C’era solo una possibilità. Usò la sua energia anziché il suo metodo innovativo di usare il Flusso vitale, perché impegnato, per invocare due bracciali lunghi quanto tutto l’avambraccio, quattro anelli che si posizionarono sugli anulari e i mignoli e due orecchini pendenti, incantati perché fossero degli amplificatori magici specifici per l’arte del Lampo e amplificatori stregati a cui erano legati svariati serafini di fulmine, luce e tempo.

‹Fai attenzione, stai correndo un grosso rischio ad usare questi scettri, è la prima volta che li usi tutti insieme, la tua mente potrebbe non essere sufficientemente resistente.› avvisò Rorix.

‹È per questo che mi aiuterai.› rispose andando in stato di calma assoluta.

Odiava usarla in concomitanza con la forma draconiana, i due stati erano come l’acqua e l’olio, ma aveva bisogno di tutta la forza possibile. Avrebbe avuto uno dei mal di testa peggiori della sua vita quando lo scontro fosse finito, già lo sapeva. Ma almeno non stava usando alcuna illusione reale. Inserì tutto il potere magico che stava sostenendo l’Assorbimento del Lampo negli scettri appena invocati, che automaticamente evocarono gli spiriti a cui erano legati.

«Spero di avere il vostro appoggio, o potenti spiriti.» mormorò con difficoltà.

La risposta fu positiva, ma nemmeno tanto convinta, perciò Siirist era speranzoso che non avrebbero cercato di possederlo alla prima opportunità, ma non si illudeva di poterli sfruttare tanto facilmente per troppo tempo.

‹Deve finire in fretta.›

Rimandò tutti i daedra a Oblivion e invocò quattro lunghe aste di Adamantite, nere e decorate con fiamme azzurre, che apparvero nel terreno attorno a lui, segnando gli angoli di un quadrato dal lato di un metro. Puntò le spade in alto e concentrò tutto il suo potere in esse.

«Arte Infernale: Susanoo!»

Le aste si illuminarono e apparve un cerchio fiammante che aveva il quadrato formato da esse circoscritto al suo interno. Da esso si erse una colonna di fiamme nere e azzurre e al loro interno si crearono le ossa del corpo, dalla vita in su, del gigante. Poi vennero i tendini e i muscoli, la pelle, tutto formato dal fuoco nero misto all’arte della Vampa. Il gigante si rivestì di una armatura dall’aspetto elfico, in stile simile a quella del riequipaggiamento da Cavaliere di Siirist, poi si formò un grande mantello che lo ricoprì completamente, compresa la testa, che fu chiusa in una bocca di leone che rimase aperta solo per permettere agli occhi del gigante di brillare al suo interno. Ogni Susanoo era differente: quello di Katsumi indossava abiti formali e delle spalliere d’armatura, quello di Kiyo aveva un’armatura in stile demoniaco completa. Quello di Siirist si era finalmente evoluto al suo livello massimo: poteva diventare più forte più il mezzo demone diventava bravo con le arti sacre, ma il suo aspetto era ormai definito. Spada nella sinistra e scudo nella destra, si erse a difesa del suo creatore.

«Non ti arrendi proprio, eh?» ridacchiò Katsumi.

«È il tuo turno di arrenderti, Katsumi-san. Le mie arti demoniache non sono come niente che hai mai affrontato. Non voglio uccidervi, non costringermi a farlo.»

«Peccato. Non posso parlare per Kiyo, ma io so per certo che ti voglio uccidere, così è stato da quando hai messo piede nel Palazzo rosso!»

«Come desideri.» sospirò.

Il Susanoo di elemento Infernale alzò il braccio sinistro e scivolò sul terreno mentre il suo creatore volava verso le due avversarie, gli scettri dell’elemento Infernale che lo seguivano. Con la coda dell’occhio, il mezz’elfo vide Akira e Eichiro, immobili, con le spade pronte a colpire. Tanto era successo fra lui e le due bestie del fulmine nemiche, eppure nessuno se non i pochi demoni capaci di muoversi alla velocità della luce o quasi se ne poteva accorgere. I due Susanoo di fuoco nero puro scontrarono le loro spade con quello di Infernale, che venne spinto leggermente indietro.

«Non hai speranze contro noi due, ragazzino!» ringhiò soddisfatta Katsumi.

«Come tu sai che, da sola, non potresti nulla contro di me! Vostra cugina Kikyou non sarebbe così codarda.» provocò.

E la presa in giro fu resa ancora più fastidiosa dall’insopportabile tono della calma assoluta, perciò la succeditrice di Obras si infuriò e il suo Susanoo ottenne ulteriore potere. Il gigante di Infernale continuò a perdere terreno, spinto indietro da quelli avversari, così il mezz’elfo fu costretto a ricorrere all’invocazione di ulteriori scettri che avrebbero amplificato il potere delle sue fiamme implacabili. Uno degli amuleti era particolarmente speciale perché si andava a posizionare all’interno della Spada Kusanagi e le forniva il potere del Vuoto, così da migliorare ulteriormente la capacità della spada di eliminare tutto ciò che incontrava. Le fiamme dell’elemento Infernale, in risonanza con tutti gli amplificatori che volteggiavano attorno al mezzo demone, esplosero furiosamente e il Susanoo ruggì nel completare il suo sgualembro manco dritto, che spezzò la Spada Kusanagi del Susanoo di Kiyo e lo mandò a terra assieme alla sua creatrice. Katsumi era stata più accorta e si era allontanata appena in tempo, il suo Scudo di Yata che si trasformava in un arco dalla forma di un drago marino e la Spada Kusanagi che si trasformava in una terrificante e gigantesca freccia. L’impatto sarebbe stato devastante, la forma arciere era la preferita di Katsumi, era molto più potente di quella da spadaccino. Siirist avrebbe dovuto pensare ad un modo per evitare la freccia. La prima possibilità che gli venne in mente fu di usare il Vuoto, ma sapeva bene che i poteri divini passavano attraverso tutto ciò che toccavano direttamente e preferiva non dover usare un’illusione reale, non quando c’erano altre possibilità. avrebbe piegato lo spazio per direzionare la freccia lontano da sé.

«Sconvolgimento spaziale!» esclamò piantando le katana nel terreno il momento in cui il dardo lasciò l’arco del gigante nemico.

Afferrò l’aria con entrambe le mani come fosse un qualche tessuto e tirò con violenza verso destra e terra e aria parvero un mare sconvolto da terribili onde. La freccia piegò verso Kiyo e trapassò lo Scudo di Yata del suo Susanoo e ne raggiunse pure il petto, estinguendolo.

‹È la tua occasione!› esclamò Rorix.

«Sabbia marmorea e polvere d’argento: Prigione di sabbia!» pronunciò, puntando la mano destra verso Kiyo.

Attorno a lei la terra si trasformò in sabbia di marmo rosso mista a molecole d’argento che intrappolarono la demone in una sorta di bara, lasciandole libera solo la testa.

Il settimo senso avvisò Siirist, che si voltò appena in tempo per vedere arrivargli addosso una seconda freccia di Katsumi, ma per fortuna il suo Susanoo era stato veloce abbastanza da reagire in tempo e aveva alzato lo scudo. Risultò essere più resistente di quello di Kiyo, ma si incrinò comunque, e sette scettri (un pugnale, due aste e quattro dischi) si infransero.

‹Scettri di Adamantite che vanno in pezzi così facilmente?› sgranò gli occhi.

‹Questo dimostra solo quanto sforzo richieda l’arte Infernale e a che livelli stanno le sacre arti del fuoco nero: ricorda che è solo grazie ad esse che hai domato gli Esper.› rispose saggio Rorix, ma lui stesso era impressionato.

‹Questa qui non vuole proprio mollare.› scosse la testa.

In uno dei suoi primi allenamenti con Raizen, Siirist aveva cercato di rimuovere l’Imperatore dal suo Susanoo con la dislocazione, aveva provato a creare un’esplosione di fuoco all’interno del gigante, insomma ne aveva provate di tutti i colori per eludere la protezione fornita dalla terza arte sacra, ma purtroppo essa non forniva solo una difesa impenetrabile contro attacchi provenienti dall’esterno, l’interno del suo corpo era pur sempre fuoco nero, che bruciava tutto ciò che vi entrava in contatto a parte il creatore, compresa l’energia per una dislocazione o per creare il Vuoto. In tutta onestà, il mezz’elfo non vedeva proprio una soluzione per quello scontro, almeno non una che non fosse cercare di sfondare le difese nemiche.

Intanto il Susanoo nemico aveva scagliato altre frecce, tutte deviate dagli Sconvolgimenti spaziali del mago e bloccate dallo scudo del Susanoo di Infernale, ora amplificato dal potere di ulteriori scettri invocati, di cui uno che si inseriva nello scudo e gli forniva un potere riflettente di magia spaziale.

‹Hai esaurito gli amplificatori per l’arte Infernale e a malapena riesci a resistere: se Katsumi libera anche più potere, dovrai arrenderti per non venire ammazzato.› fece notare Rorix.

‹Lo so.› ringhiò infastidito.

Detto fatto, il Susanoo nemico tese per l’ennesima volta l’arco, ma anziché liberare subito la freccia, vi concentrò il fuoco nero, innumerevoli Amaterasu che vi volavano attorno e ruggivano, eccitati all’idea di divorare la loro preda. Mai in vita sua Siirist aveva sentito un livello simile di energia demoniaca. Se qualcosa di quel calibro avesse colpito il suo Scudo di Yata, nessuno degli scettri sarebbe resistito e lui sarebbe stato polverizzato.

‹Vieni da noi.› sentì mormorare.

‹Che è stato?!› esclamò sorpreso.

‹Cosa?› domandò sconcertato Rorix.

‹Non hai sentito?›

‹Cosa?›

‹Una voce. Una voce da donna.›

Noi possiamo aiutarti.

Arrenditi a noi.

‹Lasciati andare al piacere della carneficina, abbraccia il nostro potere.›

‹Non senti?!› si adirò con il suo drago.

‹Non sento niente, giuro su Hanryu.› ammise preoccupato l’Inferno.

Non c’erano dubbi, quelle erano le voci delle tre donne del suo sogno. Rorix non le sentiva perché erano nella sua mente ad un livello ancora più profondo di quello del legame con il compagno.

«Insulso mezzo demone, preparati a morire!» urlò Katsumi.

Il Susanoo scagliò la freccia.

«NO!!»

Gli apparve l’immagine delle tre donne del sogno, ma questa volta si trasformarono in dei lich, potenti non-morti dall’aspetto a metà tra uno zombie e un fantasma, terrificanti e in alcune culture di Ivalice identificati come servitori del diavolo. Quella con i capelli argentati gli si lanciò addosso e lo strinse per il collo, urlando furiosa un sibilo strozzato. Tutto il suo controllo sugli spiriti e gli altri scettri invocati venne meno, i primi si dissiparono e i secondi caddero a terra con un sonoro tonfo. Il suo Susanoo si estinse come una candela soffiata e il biondo rimase privo di difese contro il letale dardo in avvicinamento. Con la forza della disperazione, scacciò le tre donne dalla sua mente e si dislocò con l’arte della Tenebra alle spalle di Katsumi, pronto a colpirla con un secondo attacco di elemento Infernale, ma con i suoi amplificatori distrutti dalla gigantesca freccia del gigante di fuoco nemico, non aveva più la forza per crearlo. Mentalmente e fisicamente era provato oltre ogni limite e la sua energia demoniaca era quasi esaurita. Cadde in ginocchio e vide il Susanoo nemico dissiparsi. Anche Katsumi era esausta, aveva inserito tutto la sua energia rimanente in quell’ultimo attacco, ma era fisicamente messa meglio del mezzo demone. Si girò verso di lui e sorrise maligna. Ripose la spada sinistra prima di balzargli addosso e schiacciarlo a terra con la mano libera, la spada destra alzata e perpendicolare al terreno, la punta che sfiorava la gola del suo avversario.

«Quanto ho sognato questo momento.» disse leccandosi le labbra.

Siirist sorrise.

«Che hai da ridere?!» ringhiò.

«Guardati alle spalle.» disse liberando la sua energia magica, aprendo il portale per Oblivion.

Sul terreno apparve un cerchio verde chiaro con dodici punte dal diametro di dieci centimetri che subito si ingrandì, fino ad averlo di dieci metri. Al suo interno erano presenti dodici cerchi concentrici, anche essi con punte che fuoriuscivano dalla circonferenza; in ogni cerchio erano presenti dodici delle rune che simboleggiavano il creato. Dai cerchi si sollevò una pallida luce verde che diede forma da un bocciolo di rosa che presto si corrose e trasformò il terreno in una pozza putrida. Da essa emerse Sharok, con i lunghi capelli che le coprivano le nudità.

«Cosa stai facendo al mio giocattolo preferito, insulsa demone?» disse fredda.

Senza che la bestia del fulmine potesse fare niente, l’Esper le era già addosso e l’aveva trafitta alla schiena con i suoi lunghi artigli, da cui aveva iniziato a generare il suo acido. Con violenza le strappò la colonna vertebrale in un urlo strozzato della demone e un’esplosione di sangue, ma niente rimase per molto, né la spina dorsale né il corpo mutilato e senza vita, perché corroso dal potere divino della custode del terzo piano. Questa controllò il suo acido perché non danneggiasse il suo padrone e lo aiutò a rialzarsi.

«Grazie, mi hai salvato la vita.»

«Figurati, felice di essere stata d’aiuto!» sorrise.

Ritornò alla pozza putrida e svanì nel bocciolo di rosa. Della sua apparizione, era rimasta solo una macchia malsana sul terreno.

Gli spalti erano silenziosi, non sapendo bene come reagire alla vittoria immeritata (secondo il loro punto di vista) del mezzo demone.

«Un applauso per Siirist, colui che ha ai suoi comandi persino i potenti custodi di Oblivion!» esclamò con forza Raizen.

E in poco tutti i demoni seguirono. Ma Siirist non era convinto, era d’accordo con il popolo di Hellgrind: se voleva vincere quel torneo, doveva farlo con le sue forze. Akira fu subito da lui e lo sorresse; il momento in cui Siirist e Katsumi avevano esaurito la loro energia demoniaca e non si erano più mossi alla velocità della luce, vampiro e inugami avevano interrotto il loro duello, visto che i loro padroni erano lì per terminare la battaglia.

«Avresti perso.» gli fece notare Ryfon mentre liberava Kiyo dal marmo rosso, azione che gli causò un violento crampo al palmo sinistro.

«Temo di sì.» ammise.

Eichiro si inchinò a Siirist prima di andare ad aiutare Kiyo a rialzarsi.

«Molto presto affronteremo Kenpachi-sensei. Hai visto da solo come Oghren si è sbarazzato facilmente di tutti quei demoni: voglio che lo affronti da solo, uno contro uno, e vedi di vincere. Ma non devi limitarti a vincere, devi dominare la battaglia, devi schiacciarlo, devi essere superiore sotto ogni aspetto. E non gli devi fare troppo male.»

«Sarà difficile affrontare una macchina da guerra simile e trattenermi allo stesso tempo. È così inebriato dal piacere della battaglia che la sua Ambizione è senza limite. Temo stiate chiedendo troppo, Siirist-sama.»

«Non ci siamo capiti: sei il mio capo servitore, un nano deve essere una passeggiata per te. Non accetto scuse, devi riuscire a contenerlo senza esagerare con il tuo potere.»

«Come desiderate, Siirist-sama.» chinò la testa dopo qualche momento di esitazione.

«Fratellone, come stai?!» arrivò di corsa Kaede.

«Molto stanco.»

«Eravate così veloci che non sono riuscita a seguire tutto.» disse delusa la bestia del fulmine.

«È già molto impressionante, Kaede-sama, io non mi sono accorto di nulla.» fece notare Akira.

«Hehehe, giusto!» ridacchiò battendogli la mano sulla schiena.

«Non siete divertente, Kaede-sama.»

«Invece sì!» corrugò la fronte con fare offeso.

«Perdonatemi, Kaede-sama: avete ragione, eravate molto divertente.» sorrise.

La demone rise, soddisfatta di sé.

«Invece no, Kaede. Non è bene prendere in giro gli altri solo perché non hanno i nostri poteri. Sai bene che Akira, con le sue capacità, se fosse una bestia del fulmine, sarebbe di gran lunga superiore a te, vero?»

«Ma, ma… Fratellone!» mise il broncio.

«Siirist-sama, non è necessario…»

«Lasciami, ci rivediamo alle mie stanze.»

«Come desiderate, Siirist-sama.»

E il vampiro si allontanò, portandosi via una Kaede piagnucolante. Siirist inspirò. Erano arrivati all’accesso alla tribuna reale e non poteva mostrarsi debole, sorretto dal suo servitore, al cospetto dell’Imperatore. Quando entrò, tutti si voltarono verso di lui.

«Siirist.» disse il possente alato con tono piatto.

«Ojii-sama.» rispose prima di inchinarsi.

«Ho dovuto difendere la tua reputazione di fronte al popolo di Hellgrind, ma non lo farò un’altra volta. Spero di vedere una dimostrazione più dignitosa della tua forza negli incontri a venire.»

«Sì, nonno, non sarete deluso. Chiedo ancora scusa per la mia dimostrazione di debolezza.» si inchinò ancora, la gola stretta e la bocca secca.

«Ora lasciami, non voglio vederti fino alla tua prossima battaglia.»

Con un terzo inchino, il mezzo demone lasciò la tribuna e con un ultimo sforzo, si dislocò sul suo letto, facendo venire un colpo alle due concubine che stavano ripulendo la stanza.

«Lavatemi e massaggiatemi, sono troppo stanco per fare niente da solo.»

Esse si inchinarono e fecero come ordinato.

 

Sdraiato comodamente sul suo letto, Siirist stava mangiando dell’uva elfica, imboccato da Tomoko, mentre Akane e Eiko gli massaggiavano i piedi. Per qualche ragione che non poteva ben spiegarsi, forse era il suo inconscio che si divertiva a torturarlo, visto che, apparentemente, riempirlo di incubi e visioni di tre donne lich non era sufficientemente spiacevole, si immaginò la faccia di Alea che assisteva a quella scena. Ad essa affiancò l’immagine di tutta Tamriel ridotta ad una landa desolata, in tutto e per tutto identica al Gagazet. A disturbare il suo beato riposo fu Eikichi, che, dopo essersi inchinato, disse che Glarald desiderava parargli e che era urgente.

«Fallo entrare, basta che non si aspetti che mi muova. E che parli piano, la testa mi sta scoppiando.» sussurrò, mantenendo la faccia il più inespressiva possibile, così che non si arrecasse eccessivo dolore.

Sette ore erano passate dalla battaglia del torneo: aveva fatto un rilassante e lungo bagno caldo, aveva avuto due ore di massaggio completo su tutto il corpo, con quattro persone che glielo facevano allo stesso tempo, aveva dormito quattro ore e adesso stava mangiando beatamente a letto, imboccato e ancora massaggiato. Eppure il suo corpo era ancora un disastro. Non che non se lo fosse aspettato, era questo l’effetto dell’Assorbimento del Lampo: gli strappava ogni muscolo in corpo continuamente, quindi il momento in cui la sua rigenerazione vampirica lo risistemava, gli effetti del Lampo lo distruggevano subito dopo. E considerando che, al termine della battaglia, la sua energia demoniaca era stata così bassa da essere quasi nulla, la rigenerazione vampirica aveva incominciato a fare effetto solo verso la quarta ora.

Eikichi si inchinò e andò a chiamare il Cavaliere corrotto. Quando questi entrò, non cercò nemmeno di nascondere l’occhiata di disapprovazione.

«Ma che vuoi? Sono stanco e affamato. In attesa che il mio sushi sia pronto, mangio della frutta.»

«Sono qui per parlarti dei tuoi sogni.»

«Sì! Mi sono apparse anche da sveglio, prima, durante la battaglia…! Aho!» si eccitò, subito pentendosene per via della fitta che gli percorse il cranio.

Istintivamente cercò di muovere le braccia verso la testa, ma non erano funzionanti, perciò fu Tomoko ad accarezzargli la fronte e le tempie. Si lasciò andare ad un sorriso ed un verso di piacere, gli occhi chiusi mentre sprofondava con la testa nel cuscino, e in quel momento nemmeno tanto dispiaciuto di non aver preparato alcuna pozione per il mal di testa.

«Mi stai ascoltando?» si spazientì l’elfo oscuro.

«Sì, ma mi fa male la testa, sto cercando di essere il più inattivo possibile.»

«E ci stai riuscendo benissimo. Veniamo al punto: quelle tre donne non sono che le anime delle tue spade. Quella con il vestito rosso è la principale, quella di Lama di sangue. Bhyrindaar teme che le spade, ignorate fino ad ora e bagnate nel sangue dei knurlock mentre eri in preda alla pazzia, abbiano acquisito abbastanza potere da essere indipendenti da te e ti stiano cercando di possedere. Se non le metti sotto il tuo controllo presto, saranno perse per sempre. Sai bene che sono delle spade uniche, qualcosa che non troverai mai più da nessun’altra parte, perderle sarebbe imperdonabile.»

«Ora si spiega perché mi sembrava di conoscerle.» comprese.

«Appena ti sarai rimesso, sarebbe bene che le metta sotto controllo. Non ci sono combattimenti importanti nel resto del tuo girone, Akira e Kaede possono benissimo occuparsene da soli: tu pensa solo a ristabilirti e a non farti possedere. Il mio lavoro è finito, torna pure a trovarmi ogni volta che vuoi nella nostra grotta.»

«Ti ringrazio.»

 

Quella fu una notte priva di sogni, e il giorno dopo restò a letto, con le accompagnatrici che continuavano a imboccarlo per la gran parte della giornata. Akira e Kaede ebbero alcuni problemi nella loro battaglia (la finale del loro girone) perché il rappresentante della famiglia reale avversario era più abile nell’uso del fuoco nero e dei suoi poteri di fulmine di quanto non lo fosse Kaede, per di più era accompagnato dal fratello minore (quindi un’altra bestia del fulmine dotata di fuoco nero) e da nove dei loro servitori. Kaede si era sempre dovuta mantenere sulla difensiva, ed era toccato al vampiro mostrare tutta la sua forza. Se Siirist non gli avesse dato la possibilità di usare i suoi poteri alla luce del sole, avrebbe indubbiamente perso.

A cena Kaede venne a tenere compagnia al “fratellone” nella sua stanza, e questi si era finalmente alzato, seppure a fatica, ed aveva preso posto al tavolo apparecchiato sul balcone.

«Dovresti stare più attento, quella arte del Lampo ti fa troppo male.» osservò la raikou no bakemono.

«È il prezzo da pagare se voglio potermi muovere alla velocità della luce. Devo solo allenarmi di più ad usarla e il mio corpo si adatterà.»

«Non puoi usare più scettri?»

Siirist ridacchiò.

«Gli scettri non fanno altro che mantenere l’energia necessaria per il Lampo, dandomi la possibilità di fare uso del Flusso per altri incantesimi. Ma il problema è l’assorbimento di tutto quel potere all’interno del corpo. Se non fossi già di mio in parte una bestia del fulmine, quindi se il mio corpo non fosse predisposto ad assorbire il fulmine in quel modo, l’Assorbimento mi ucciderebbe.»

«Ah… Non ho capito.» corrugò la fronte.

Il mago sorrise e le scompigliò i capelli.

 

Il mattino dopo, Ryfon si stava appena iniziando a svegliare quando sentì la voce di Akira.

«È uscito il calendario delle battaglie successive: vincendo la battaglia di oggi, passeremo ad affrontare Kenpachi-dono.» gli comunicò.

«Heiji-san e Kikyou-san?»

«Si affronteranno prima che li incontriamo; siamo ai due lati opposti del tabellone, ci vedremo in finale tra quattro giorni.»

«Capisco. Vai a chiamare Glarald e Bhyrindaar, è urgente.»

«Come desiderate.» e si inchinò prima di lasciare la stanza.

Siirist si alzò dal letto proprio quando arrivò Tomoko con la colazione; il mezz’elfo prese un morso di pane tostato e ammorbidito nel burro e lo sciroppo d’acero prima di vestirsi con l’aiuto di Akane e Eiko. Mandò giù in un sol sorso un bicchiere di spremuta d’arancia e incominciò a fare i suoi esercizi mattutini: dopo due giorni di riposo era ora di rimettere in allenamento il corpo. In quegli anni a Hellgrind si era potenziato ulteriormente fisicamente, raggiungendo i 550mila douriki fisici in forma elfica, che diventavano 900mila in forma demoniaca: eppure l’aver usato l’arte del Lampo di due giorni prima lo aveva distrutto e lasciato impotente per due giorni. Si era aggrappato alla ringhiera del balcone e da lì aveva allungato il corpo orizzontalmente, sostenendosi solo con la forza dei deltoidi quando i due elfi arrivarono, accompagnati da Akira.

«Bene arrivati e scusate per il disturbo.» disse senza interrompere il suo esercizio.

«Il tono di Akira non ammetteva repliche. Che succede?» domandò il Cavaliere corrotto.

Siirist rimise i piedi a terra e invitò gli ospiti a sedersi e cibarsi di ciò che volevano prima di rispondere.

«Da quando mi hai detto delle anime delle spade, Glarald, non le ho più sognate. È come se hanno paura di venire domante ora che so che cosa sono. Che dovrei fare? Senza contare Kikyou durante il torneo, senza Lama di sangue non potrò nulla quando affronterò Raiden; ho bisogno del suo potere, non ci sono dubbi.»

«Se addirittura sanno che cosa pensate, significa che il vostro legame è più forte del previsto. Solitamente questo è un bene, ma ora che siamo alle prese con delle spade maligne e intente a possedervi, potrebbe essere pericoloso. È possibile che stiano lentamente prendendo il controllo della vostra mente senza che voi lo sappiate; i sogni significavano un’intrusione molto forte nella vostra mente, mentre ora è più lenta ma comunque inesorabile. Avete fatto bene a parlarne con noi, non mi sorprenderebbe se l’aspettare il prossimo sogno non significasse aver ormai perso a Lama di sangue.» rispose cupo l’altmer.

«Quindi aspettare un altro sogno è male, capito.»

«Puoi provare tu a metterti in contatto con le anime delle spade, come è solitamente fatto. Invocale e medita, cerca di instaurare una comunicazione. Altro non posso consigliarti, non so Bhyrindaar.» suggerì Glarald.

«Lo stesso vale per me. Venite alle mie stanze fra un’ora, penserò a preparare un rituale per tirare fuori l’anima della spada, facilitandovi il compito.» disse alzandosi con in mano una pesca.

Siirist guardò i due uscire e terminò la sua colazione. Finito di mangiare, andò a meditare sul terrazzo.

‹Non è che state complottando insieme per possedermi, vero?› domandò al falso Siirist.

‹Figurati. Agar hyanda è impazzita, quel sangue di knurlock l’ha intossicata; allearsi con un’entità simile sarebbe pazzesco come il pensare che Azrael sarebbe felice di banchettare con Septim come bravi amichetti. Anzi, se dopo ti fidi e apri la mia gabbia, ti posso aiutare a mettere sotto controllo quella spada pazza.›

‹Non so perché, ma ho qualche riserva a fidarmi di te.›

‹Bah, come vuoi.› mormorò seccato.

 

Un’ora dopo si presentò da Bhyrindaar con addosso i suoi abiti da Cavaliere, Agar hyanda e le sorelle alla vita. Le sentiva agitate, come se avesse avuto una cesta piena di serpenti striscianti che la scuotevano. Bussò alla porta delle stanze dell’altmer e gli aprì un demone che lo fece accomodare. Sul pavimento il vecchio fabbro aveva creato delle rune utilizzando della polvere d’argento mista a sangue e acceso svariate candele che emanavano uno strano aroma che si mischiava al forte odore d’incenso. Dall’altra parte della stanza c’era Glarald che osservava il tutto con un misto di ansia e urgenza.

«Slaccia la cintura e siediti lì in mezzo con le spade in grembo.» indicò Bhyrindaar.

Siirist annuì e fece come gli veniva detto. Allora l’alto elfo diede al mezzo una ciotola che conteneva una bevanda dall’odore così dolce da sembrare essere andato a male e gli disse di berla tutta prima di dargli un’altra ciotola da cui si emanavano fumi d’incenso.

«Chiudi gli occhi e inspira a fondo. Immaginati l’anima di Lama di sangue, immagina di incontrarla e di parlarci, allora ti apparirà. Quando la vedrai, la dovrai sottomettere. Non preoccuparti delle sorelle, cercheranno di possederti tutte e tre insieme, sì, ma ti basta controllare Lama di sangue e le altre due seguiranno.»

«Va bene.»

 

Calore intenso e puzza di cadavere in decomposizione sostituirono la frescura dell’Akai goten e l’odore di incenso, e Siirist si ritrovò nuovamente nel mondo corrotto di Agar hyanda.

«Non saresti dovuto tornare.»

«Adesso sei nel nostro mondo.»

«Adesso sei nostro.»

Le tre bellissime donne si trasformarono nuovamente in lich e attaccarono il loro, ancora per poco, padrone. Il mezz’elfo le scacciò via e le combatté furiosamente fino a che non si sentì bloccare dall’interno. Qualcosa nella sua stessa mente stava interferendo con la sua battaglia e non ci mise molto a capire di chi si trattasse.

‹Allora sei dietro a tutto questo! È colpa tua, bugiardo maledetto!› accusò il falso.

‹Io non ho mentito affatto! Mi hai chiesto se stavamo complottando insieme e ti ho risposto che Agar hyanda è impazzita, che è vero: non è che una bestia senza ragione alla mia mercé, non siamo alleati, sono io che la sto manipolando per potermi liberare! Non hai idea della benedizione che è stato il sangue di knurlock, grazie ad esso l’anima di Lin dur si è indebolita e sono riuscito a possederla completamente. Sii grato ad Evendil e la sua spada, il motivo per cui non sei caduto sotto il mio influsso dal giorno in cui è stata forgiata Agar hyanda è solo grazie a loro! Bisogna ammettere che sono impressionato da Evendil, comunque, anche a distanza di tutti questi anni dalla sua morte, continua a proteggerti spietatamente.» rispose questi.

Siirist guardò con sofferenza la lich dai capelli argentati e vide lacrime di sangue scendere dagli occhi neri. E così fecero le sorelle, che stavano stritolando e strangolando il loro padrone obbligate dall’alter ego di questi, e ne soffrivano grandemente.

‹Schifoso bastardo, NON OSARE MENZIONARE IL NOME DI EVENDIL!› ruggì, trasformandosi in draconiano.

Si liberò delle anime delle spade e affondò la mano destra nel proprio petto e da lì estrasse il falso Siirist.

«Che cosa?!» esclamò esterrefatto.

Con un ruggito terrificante, il vero abbatté il suo diretto sinistro in faccia all’altro e lo mandò a schiantarsi sul terreno in fiamme ad un centinaio di metri di distanza. Il falso si rialzò e si pulì il sangue dalla bocca con il dorso della mano destra.

«Tu e quella pazza di Agar hyanda vi meritate, non siete altro che due bestie senza controllo. Ma non credere che ti sarà così semplice sconfiggermi: io sono il sangue di Obras! Qui dentro è solo la forza della nostra mente che conta, e tu non sei che un incapace negato, sono io che possiedo i poteri mentali da vampiro!»

Le donne attaccarono nuovamente il biondo e lo assoggettarono, ma di nuovo questi se ne liberò con un possente ruggito.

«Ma come? Questa non è la solita trasformazione in draconiano…!» osservò il falso.

Siirist aveva completamente perso il controllo come aveva fatto in seguito alla morte di Evendil, ma questa volta con a sua disposizione la forza della forma draconiana perfetta, che continuò a crescere sempre di più, e con la forza fisica, anche quella mentale, derivata dalla superiorità dei draghi, che era ciò che realmente contava in quel mondo.

«Non mi sottovalutare!» urlò il falso.

Assieme alle lich si lanciò addosso a Siirist e lo schiacciò a terra, ma questi più si arrabbiava, più era difficile da contenere, così, esasperato, il falso gli affondò una mano nella schiena. Il vero ruggì di dolore e perse la forma draconiana.

‹Siirist!›

Tutto d’un tratto, si sentì la voce preoccupata e furiosa di Rorix ed il drago apparve in quel mondo.

«Tu! Che cosa ci fai qui?!» esclamò rabbioso il falso.

«Non dimenticare che anche il mio sangue è andato a bagnare Agar hyanda!»

La lich dai capelli argentati riacquistò il suo aspetto normale e affondò la mano nel petto del falso, strappandogli il cuore.

«No…!» disse questi con un urlo spezzato prima di sparire.

Subito le altre due anime persero il loro aspetto da non-morte e tutte e tre aiutarono il loro legittimo padrone a rialzarsi. Lo guardarono con un sorriso sincero di affetto e scuse.

«Grazie.» disse il mezz’elfo prima di chiudere gli occhi.

 

Quando li riaprì, sentì che le spade erano calme e si alzò soddisfatto.

«Siirist, i vostri occhi…»

Notò Bhyrindaar. Il mezz’elfo si andò a guardare allo specchio più vicino e vide che tutto intorno la pelle era diventata del brillante rubino delle scaglie di Rorix, le pupille si erano allungate e l’iride era rimasta azzurra, ma la sclera aveva ottenuto una colorazione rosso chiaro, come quelle degli Inferno selvatici, mentre Rorix ce l’aveva bianca come i bipedi. 

«Cos’è, un nuovo stadio della forma draconiana?» domandò incuriosito Glarald.

«Non lo so, forse. Ma sarebbe possibile?»

«Perché no? Finito il torneo, prima di ritornare a Vroengard, dovresti andare a vedere Eleril e parlarne con lui.»

«Lo farò.» disse ancora guardandosi nello specchio e riacquistando il suo aspetto normale da mezz’elfo.

«Come stanno le spade?» si interessò il fabbro, una volta che la questione dell’aspetto insolito del Cavaliere era stata risolta.

«Sono fedeli. Ma c’è ancora una cosa che devo fare, datemi un minuto.» disse ed entrò nel suo mondo interiore.

Camminò verso il fondo della sua sala del trono fino alla gabbia del falso e, con piacere, non lo vide, invece vi trovò un grande sarcofago di ferro, dal cui interno provenivano i versi rabbiosi, soffocati del suo alter ego, incatenato e imbavagliato.

‹Te la sei cercata. Vedi di farti piacere quel sarcofago, ci starai per molto tempo.›

 

 

 

~

 

 

 

Con le spade domate, Siirist passa alle fasi finali del torneo per vincere la Zanmato ed il titolo di Imperatore. Il prossimo capitolo si intitola IL DESTINO DELL’IMPERATORE e verrà finalmente svelato il motivo dell’impossibilità da parte del sovrano di Hellgrind di lasciare Kami no seki.

Ritorna all'indice


Capitolo 84
*** IL DESTINO DELL'IMPERATORE ***


IL DESTINO DELL’IMPERATORE

 

Siirist non era nemmeno passato per la tribuna reale, visto che il suo era il primo incontro della giornata. Mentre entrava nell’arena, venne accolto da grida non molto entusiaste: nonostante l’intervento di Raizen, al popolo di Hellgrind non era piaciuto il modo in cui aveva vinto contro Katsumi, i demoni non comprendevano a fondo gli invocatori, li vedevano come dei deboli codardi che si nascondevano dietro ad altre creature. Ovviamente la pensavano così perché ignoravano le fatiche che un invocatore affrontava per mettere sotto sigillo un daedra, ma stare a spiegarglielo sarebbe stato come insegnare ad un elfo di duemila anni ad usare una macchina. Per di più nessuno degli spettatori aveva potuto vedere lo svolgimento della sua battaglia contro Katsumi e Kiyo, vista la velocità a cui era stata portata; quella era senza dubbio stata una battaglia deludente per loro. Non era qualcosa che si sarebbe ripetuto.

«Quei demoni inferiori non dovrebbero permettersi di rivolgersi a voi in questa maniera, Siirist-sama.» ringhiò Akira.

«Lascia perdere.» rispose noncurante il biondo.

Attese con il fedele vampiro e la frizzante “sorellina” l’arrivo degli avversari. E passarono quasi cinque minuti prima che questi arrivarono, il pretendente al trono, Kazuo, uno dei fratelli maggiori di Kaede, che camminava con un’espressione soddisfatta in volto.

‹Se la tira perché ti ha fatto aspettare. E senti il tifo degli spettatori. Non saresti molto amato come Imperatore.› osservò Rorix.

Kazuo era accompagnato da quindici servitori, otto dei quali portavano tre katana al fianco. In tutti i suoi anni a Hellgrind, Siirist si era sempre tenuto sulle sue, familiarizzando poco con gli altri demoni, frequentando solo l’Imperatore, Kaede e i suoi servitori. Negli ultimi sei anni era stato in tutto trentanove volte a mangiare nel gran salone assieme a tutta la corte, solitamente rimanendo nella sua ala del palazzo. Era rispettato e temuto per la sua forza, ma non era amato, specie perché era risultato essere un successore di Obras, un oltraggio a sentire i demoni puri.

‹Ancora quel ghigno soddisfatto. Sta iniziando a darmi sui nervi.› ringhiò il drago.

‹Non ce lo avrà ancora per molto.›

Il segnale d’inizio fu dato.

«Non è mia intenzione far male alla mia sorellina, perciò proporrei di…»

A Siirist non interessò minimamente cosa l’altro stesse per dire. Invocò la cintura di Agar hyanda, cosa che allarmò il nemico, e la sguainò. La sentì vibrare. Ma non era la sadica gioia che aveva imparato a percepire dall’arma, era puro potere distruttivo. Era come un predatore pronto a balzare, un feroce Inferno, che al minimo movimento avrebbe scatenato tutta la sua potenza, anziché una diga pronta a collassare, facendo esplodere l’acqua e liberandola senza il benché minimo controllo. Sollevò la spada, entrandoci in sintonia, e nemmeno la avvolse nel colore dell’armatura, né liberò le sue emozioni nel menare il fendente, un movimento preciso ed elegante, per cui nemmeno mosse la schiena: Agar hyanda era inarrestabile di suo. Scatenò un’onda d’urto come non se ne erano mai viste se non alimentate con il Juyo, che si divise in due ed andò a colpire tutti i servitori ai lati di Kazuo, facendoli a pezzi. Il sangue andò a tingere il terreno dell’arena fino a cinquanta metri indietro, seguendo la direzione dell’onda d’urto. Kazuo impallidì.

«Stavi dicendo?» chiese indifferente il mezzo demone.

L’avversario deglutì a forza e sfoderò tutte e tre le sue spade. Si velocizzò con il fulmine e si avvolse in fiamme nere.

«Arte del Lampo: Assorbimento.»

Il corpo di Siirist brillò per un momento di scariche elettriche azzurre e gialle, che vennero poi assorbite all’interno del corpo: all’interno delle iridi rosso sangue, le pupille diventarono intermittenti, azzurre e gialle. Intercettò l’attacco avversario con Agar hyanda, e nemmeno sentì l’impatto del colpo. Le fiamme nere che avvolgevano le katana del demone non fecero niente alla lama rossa che, invece, le assorbì. Siirist sorrise soddisfatto. Aprì il braccio, menando un tondo dritto manco e facendo a pezzi il nemico. Rilasciò il Lampo e tutto intorno a lui ritornò alla sua normale velocità. Rinfoderò la spada e si voltò per uscire dall’arena, seguito dai compagni di squadra, la rigenerazione vampirica che si occupava dei crampi alle spalle, ai polpacci e ai quadricipiti.

 

Il giorno dopo, Siirist andò a sedersi al suo posto nella tribuna reale per assistere allo scontro tra Kikyou e Heiji: il secondo non aveva la minima possibilità. Dal suo incontro con Kiyo, i suoi alleati erano stati decimati e non si era alleato con nessun altro dopo. Aveva ancora un vantaggio numerico di otto a uno, ma dopo il modo in cui Kikyou aveva trucidato Fujiko e Alucard e Sesshoumaru si erano occupati dei sostenitori della succeditrice di Obras, era chiaro che non sarebbe bastato.

«Noi siamo i quarti oggi.» gli comunicò Akira.

«Per ultimi? Che palle.»

«Non vi innervosite, fra due giorni ci sarà la finale, allora tutto sarà finito.»

Le due bestie del fulmine si fissavano, pronte a combattersi con tutto il loro potere, e con un’intesa silenziosa non usarono la velocità di fulmine, visto che entrambi erano allo stesso livello e sarebbe solo stato uno spreco di energie. Le concentrarono invece tutte nelle sacre arti del fuoco nero, e la battaglia era a malapena cominciata che già i due Susanoo erano stati eretti e innumerevoli Amaterasu volavano per tutta l’arena. Alucard non ebbe il minimo problema ad immobilizzare tutti gli avversari con il suo potere di sangue; li obbligò ad allontanarsi dal centro dell’arena e lui e Sesshoumaru fecero lo stesso, lasciando il campo libero ai figli di Raizen. Quando sessantasei Amaterasu penetrarono la schiena del Susanoo di Heiji e la Spada Kusanagi del gigante di Kikyou gli spezzò lo Scudo di Yata, l’uomo si arrese e si inchinò alla sorella.

«Dopodomani saremo contro sorellona. Sarà una sfida interessante.» sorrise Kaede.

«Se non vi dispiace, Siirist-sama, vorrei occuparmi personalmente di Alucard-sama.» chiese Akira.

«Sarebbe meglio di no, i suoi poteri sono superiori ai tuoi su tutti i fronti. Adesso pensiamo a Kenpachi-sensei, dopo lavoreremo su una strategia efficace per sconfiggere Kikyou-san.»

Terminati i successivi due incontri, toccò all’ultimo della giornata, tra le squadre di Siirist e Kenpachi: il mezzo demone con Akira e Kaede contro il licantropo con Oghren e Ikkaku.

«Oghren.» sorrise amabilmente e falsamente il mezz’elfo.

«Narik ha voglia di assaggiare il tuo sangue, biondino.» disse con aria di sfida, accarezzando il filo della sua ascia.

«Vorrei tanto pestarti e insegnarti qual è il tuo posto, ma oggi sono prenotato per Kenpachi-sensei, perciò dovrà farlo Akira al posto mio.» disse scrocchiando le nocche e le congiunzioni delle falangi di entrambe le mani.

Oghren grugnì.

«Kaede, attenzione, Ikkaku non è da sottovalutare. Occhio alla sua naginata, ha una portata maggiore rispetto alle tue spade.»

«Lo so da sola, fratellone!» si arrabbiò.

«Scusa.»

«Userai la tua Agar hyanda?» chiese in un ringhio eccitato Kenpachi.

«No. Pensavo di divertirmi con te, maestro.»

Il licantropo ringhiò e si trasformò, il suo occhio dorato sfavillante.

«Sarò io che mi divertirò.» abbaiò ferocemente.

Siirist si riequipaggiò con il Samurai e sguainò le due spade, avvolgendole nell’elemento Tempesta: attorno alle lame, l’aria apparve distorta e percorsa da intense scariche elettriche che generarono un forte stridio. Il mezz’elfo preferiva di gran lungo l’arte della Folgore, che aveva come proprietà quelle di perforazione e elettricità del fulmine unite a quelle di propagazione e bruciore del fuoco. Ma contro Kenpachi la Tempesta sarebbe stata più appropriata, con la sua proprietà tagliente del fulmine ancora più amplificata a discapito di quella elettrizzante (come l’elemento Incubo di Syrius) e unita alla capacità del vento di lacerare ogni cosa. Kenpachi fece altrettanto, e impugnò solo due delle tre katana che portava al fianco. Ikkaku, con tre katana al fianco destro e la naginata legata alla schiena, impugnò quest’ultima; Siirist aveva sempre trovato interessanti gli usi del Juyo applicati ad armi diversi dalle spade: era diverso sia che se si usava una katana o una spada dritta. Solitamente più armi si brandivano, più il Juyo risultava efficace, perché si poteva immettere la forza delle emozioni in più corpi, ma anche usare armi lunghe come lance, alabarde e naginata aveva i suoi vantaggi. Siirist li conosceva bene grazie ai suoi allenamenti con le sei lance del riequipaggiamento del Cavaliere, gli attacchi a distanza risultavano più potenti che quelli portati con una spada, mentre nello scontro fisico una lancia perdeva contro la spada. Il problema era se anche Kaede conosceva i punti deboli e di forza dell’arma dell’avversario. Decise di aprire degli occhi mentali che avrebbero seguito la “sorellina” e il suo sfidante, così da poter intervenire in caso di bisogno.

‹Sicuro sia una buona idea non concentrarsi del tutto su Kenpachi? Sai che può essere pericoloso se si eccita troppo. Di recente lo hai sempre sconfitto con moderata facilità anche senza i tuoi poteri, ma sai che i poteri dei licantropi sono imprevedibili, specie quelli di questo psicopatico qui.› si preoccupò Rorix.

‹So quello che faccio.› rispose andando in forma draconiana.

Scattò verso il vecchio maestro, le braccia incrociate e le katana che gli sfioravano i fianchi con il loro lato contundente. Kenpachi parò con la spada sinistra messa perpendicolare al terreno, la punta rivolta in basso, e fu scagliato via dalla forza devastante del mezzo demone. Ma un altro occhio mentale che aveva aperto accanto al licantropo gli mostrò come questi stesse sorridendo, il braccio non si era neppure piegato e la lama di Hellsteel era ancora perfettamente intatta: se non fosse stato Totosai a forgiarla, sarebbe stata tagliata in due, c’era veramente da ammirare la maestria con cui il vecchio fabbro lavorasse la lega demoniaca.

‹Tu hai un milione douriki ora, giusto?› chiese per sicurezza Rorix.

‹Sì.›

‹Hm. Quindi mi spieghi come accidenti ha fatto Kenpachi, che non dovrebbe averne più di 400mila, a resistere così bene al tuo attacco?›

Il demone in questione toccò terra, creando un lungo solco discendente mentre continuava a volare indietro. Il momento in cui si fermò, fece forza sulle gambe e scattò verso il mezz’elfo; fu così veloce che Siirist neanche se ne accorse.

‹Come…?› fece solo in tempo a pensare.

La katana destra di Kenpachi scese come una saetta, squarciando il biondo dalla spalla sinistra all’anca destra. Era stato così rapido che Siirist neanche aveva avuto il tempo di tramutare il corpo in ombra, e la veste di seta di tsuchigumo incantata non fece niente per fermare la lama. Il suo sangue, schizzato come da una fontana, non era nemmeno caduto a terra che il mezz’elfo si era dislocato dall’altra parte dell’arena con la Tenebra. Si prese un momento per guardare come se la stessero cavando i suoi compagni di squadra mentre il sangue che colava fuori dalla ferita veniva sostituito da fumo nero e lo squarcio si richiudeva: Akira e Oghren erano alla pari, con il vampiro messo in difficoltà perché obbligato a trattenersi, le sue katana che si scontravano con Narik e generavano scintille sempre più intense; l’aura arancione del nano era così forte che avrebbe potuto fungere da faro nella notte e di conseguenza tutti i suoi colpi erano così devastanti che il demone non avrebbe mai potuto parare senza rompersi i polsi, perciò si limitava a schivare, compito reso facile dal suo colore dell’osservazione; Kaede e Ikkaku si combattevano a suon di fiammate di fuoco nero e attacchi istantanei portati con il fulmine.

‹Pensa a Kenpachi! Per essersi mosso così velocemente da sorprendere persino te e non allertare il settimo senso, deve avere una forza spaventosa! Odio i licantropi.› concluse il drago.

E Siirist non poteva dargli torto. L’unico potere di quel clan era quello di diventare sempre più forti più il loro animo battagliero si risvegliava, difatti erano tutti delle macchine da guerra, primo fra tutti il loro capo-clan, quel folle che aveva persino pensato di sfidare l’Imperatore, perdendo l’occhio destro nello scontro. E questo solo perché Raizen non si era alzato dal trono. Ma in compenso gli era stato dato il diritto di portare tre spade ed era diventato un membro della corte imperiale. E al potere innato della sottospecie demoniaca, c’era da aggiungere il superbo, per quanto assolutamente non raffinato, uso del Juyo. Il kimono riparato grazie alla creazione oscura combinata agli incantamenti, Siirist si rimise in piedi e guardò il suo avversario che lo fissava con occhio eccitato, le fauci aperte in un basso ringhio e la saliva colante. Scattò ancora, ma questa volta Siirist non si lasciò sorprendere.

«Confine assoluto.»

La sua impenetrabile barriera di Vuoto lo avvolse, chiudendolo in una sfera che cancellò dallo spazio persino la terra sotto i suoi piedi e gli sbuffi d’aria che c’erano quel giorno. Accortosi del pericolo, più d’istinto che altro, Kenpachi infilzò la spada destra nel terreno con il filo falso rivolto verso Siirist, e con essa come àncora interruppe il suo balzo a mezz’aria.

«Ottimi riflessi, maestro. Dovendo affrontare Kikyou-san dopodomani, non posso permettermi di usare gli elementi Lampo e Infernale, ma le mie magie spazio-temporali saranno più che sufficienti per sconfiggerti.»

Alzò la mano verso il demone e aprì medio, anulare e mignolo, continuando a reggere la spada con solo indice e pollice. Il Cerchio d’argento brillò intensamente mentre l’energia magica ci si accumulava.

«Spinta onnipotente.»

L’incantesimo generò davanti alla faccia di Kenpachi un nucleo a gravità inversa che lo respinse con la forza di una martellata in faccia. Il muso sanguinante, il licantropo volò indietro per un centinaio di metri, il collo quasi spezzato dall’impatto. Ryfon annullò il Confine assoluto e usò la velocità di fulmine combinata all’arte della Tenebra per muoversi così velocemente che Kenpachi non se ne sarebbe mai potuto accorgere. Ma quando si rilocò per menare il suo doppio tondo con le katana ancora avvolte nell’elemento Tempesta, il licantropo non c’era. Siirist fu azzannato da dietro sul trapezio sinistro e quella bestia famelica quasi gli strappò via tutto il braccio, spalla compresa. Doveva ringraziare Obras che Siirist non aveva ancora e non avrebbe abbracciato mai del tutto la mentalità demoniaca e che si rifiutava di togliere la vita alla gente che conosceva e che gli stava, chi più chi meno, cara, altrimenti un Confine assoluto e lo scontro sarebbe finito lì.

«Esplosione.» disse, liberando l’incantesimo di Vampa da tutto il corpo.

Il licantropo venne sbalzato indietro, ustionato gravemente e con il pelo nero in fiamme, e con la spalla che si guariva grazie al fumo nero, Siirist alzò ancora la mano sinistra.

«Schiacciamento.»

Kenpachi precipitò a terra con la faccia premuta contro la roccia. Si stava rialzando, ogni secondo che passava diventando più forte e lottando contro la gravità amplificata, il mezz’elfo gli puntò contro le spade e la Tempesta che le circondava si intensificò.

«Raffica di saette.»

Ma non importarono le capacità perforanti dell’elemento di fusione, la forza fisica e l’aggiunto potere del Flusso che Siirist vi aveva inserito, e nemmeno gli amplificatori sulle katana, il pelo di Kenpachi, già di natura durissimo come lo era per tutti i licantropi, era difficile da penetrare, era un’armatura avvolta nel suo Juyo e nella sua Ambizione, e ancora più furente e desideroso di combattere, si rialzò. Aveva atteso un’occasione simile per anni, la possibilità di combattere contro l’ultimo dei successori di Obras dando fondo a tutte le sue capacità, senza pensare alle leggi di Raizen che impedivano duelli fino alla morte; Siirist lo sapeva bene, e avrebbe dovuto aspettarsi che sconfiggere il vecchio maestro non sarebbe stato semplice.

‹Pensi che voglia che lo uccida?›

‹Non lo so proprio, capire questo qui mi è più difficile di capire l’amore e altre stronzate simili che voi bipedi provate. Non puoi usare l’arte Infernale perché devi risparmiare le forze per il duello contro Kikyou, ma puoi usare il Vuoto quanto vuoi. Il mio consiglio è di farlo.›

‹Hai ragione.›

‹Ovvio.›

«Ultima possibilità per arrenderti, maestro, altrimenti ti dovrò abbattere sul serio, visto che non vuoi restare giù.»

Per tutta risposta, Zaraki rise e mise in bocca la spada sinistra, portando la mano al fianco e sguainando la terza.

«Come vuoi.» sospirò Siirist, annullando la Tempesta attorno alle katana e riponendo la destra.

Prima che l’altro potesse balzare all’attacco, il mago aveva già puntato in avanti indice e medio destri, una sfera nera che si stava concentrando sulle punte.

«Raggio di annullamento.» mormorò, liberando tre incantesimi.

Colpirono l’avversario al basso ventre, trapassandogli il corpo e uscendo dalla schiena senza incontrare la minima resistenza, eliminando dall’esistenza tutto ciò con cui entrarono in contatto. Kenpachi tossì sangue, ma non perse la presa della spada in bocca e arrivò a decapitare Siirist che, intanto, aveva compiuto un passo laterale e aveva mosso la spada. Prima di dissolversi in una nube di fumo nero, la bocca del mezzo demone mormorò “Obriiniil hyanda” e la katana fu avvolta nel Vuoto; falciò l’avversario all’altezza delle ginocchia che, ritornato a terra, rovinò in avanti. Con la testa che si era andata a riunire al resto del corpo, Siirist roteò la spada e la abbassò sulla colonna vertebrale del vecchio maestro, arrivando a cancellare il terreno sotto alla sua pancia.

Si voltò verso Akira e lo vide stringere in mano Narik e premere la faccia di Oghren contro il terreno, poi guardò Kaede che era in difficoltà contro Ikkaku. Di cattivo umore per come aveva dovuto finire Kenpachi, Siirist generò il Susanoo di fuoco nero che si erse a difesa della sorellina. L’altra bestia del fulmine si arrese istantaneamente.

«Coff, coff, puah! Guarda che non sono morto.» mormorò debole Zaraki tossendo sangue.

«Ne sono contento. Ma la prossima volta arrenditi quando te lo dico, non voglio doverti ridurre così un’altra volta, sei qualcuno che rispetto troppo.»

«Quale onore. Coff! Adesso guariscimi.»

«Non è così facile. Secondo te perché non volevo usare il Vuoto? Ora ti do un trattamento d’emergenza per non rischiare di farti morire, ma dovrò lavorare per bene per riattaccarti le gambe e rigenerarti la pancia e la schiena.»

«Allora mettiti al lavoro.»

Siirist scosse la testa e manipolò le viscere del licantropo per far sì che non perdesse sangue dagli otto fori e che tutto il sistema funzionasse ugualmente bene. Cauterizzò i moncherini delle gambe e sollevò il corpo in fin di vita del vecchio maestro assieme agli arti amputati. Si avvicinò alla tribuna reale dove si inchinò.

«È ancora vivo, nonno, ma devo andare a guarirlo subito.»

Raizen annuì e sorrise e il mezzo demone, seguito da Akira e Kaede, lasciò l’arena. Ritornò alla sua stanza con una dislocazione e appoggiò Kenpachi su un lettino a cui aveva dato forma con la creazione di vento.

‹Adesso che farai?› chiese Rorix.

‹Non lo so. È la prima volta che mi pongo il problema di dover guarire qualcuno colpito dal Vuoto.›

‹Io dico di lasciarlo morire: se l’è cercata.›

‹Non pensare che non ne sia tentato.› sbuffò.

 

La sera a cena, Siirist scese nel grande salone e si sedette alla sinistra di Raizen, con Kenpachi accanto a lui.

«Come ti senti?»

«Non riesco a sentirmi le gambe.» si lamentò il licantropo.

«È già tanto che sia riuscito a riattaccartele. Nei giorni a venire cercherò di rimetterti in funzione tutti i nervi, ma tu vedi di non agitarti troppo. Non so quanto resisteranno i miei incantesimi spaziali e le illusioni reali. Dovrei farti visitare da Adeo, il Cavaliere che mi ha insegnato a lanciare illusioni e tutto ciò che concerne le mie conoscenze di magia organica, lui farebbe certamente un lavoro migliore del mio.»

«Quando finisce il torneo voglio la rivincita!» disse con un ringhio eccitato.

«Mi ascolti o no?! Ti ho detto che non ti devi agitare fino a che non verrai visitato da Adeo, o almeno aspetta che le mie illusioni si assestino!»

«Bah.»

 

Il giorno dopo Siirist scese di prima mattina nella fucina di Totosai per trovare i tre fabbri al lavoro. Bhyrindaar e Hans si stavano occupando di incantare tutti gli oggetti di Adamantite che erano stati forgiati per sostituire gli scettri distrutti durante lo scontro con Katsumi, ed erano ora più numerosi e più potenti, poiché si legavano direttamente ad Agar hyanda che, ora che era stata domata, era diventata il vero centro delle arti Infernale e Lampo. Totosai, invece, si stava occupando di affilare una katana di Hellsteel e Siirist ne vide altre otto vicino a lui già pronte. Erano identiche a tre a tre, e quella in mano al demone aveva l’elsa ricoperta da fasci di seta bianchi con alcuni ricami verde chiaro. Il mezz’elfo aveva già visto katana uguali a quella.

«Totosai, che stai facendo?»

Il demone alzò la testa e fissò il mezzo con i suoi grandi occhi rotondi e la sua espressione da vecchio rincoglionito.

«Sto terminando le nuove katana di Sesshoumaru-sama. Che cosa ti sembra stia facendo?»

«Perché stai forgiando delle nuove katana per Sesshoumaru-sensei?! E quelle altre sarebbero per Kikyou-san e Alucard-san?!»

«Sì. Qualche problema? Non sono il tuo fabbro personale, sai? Mi hanno chiesto delle spade nuove e io ho obbedito.»

Siirist ringhiò.

«Tranquillo, Siirist, per quanto superbe, rimangono delle spade di Hellsteel, niente che Agar hyanda e le sue sorelle non possano sconfiggere facilmente.» gli disse Hans.

Ma Siirist non si tranquillizzò affatto. Il potere demoniaco che percepiva da quelle spade era spaventoso, dovevano essere state infuse dell’energia dei loro padroni molto più del solito. Questo cambiava tutto, sarebbe dovuto andare a rivedere il piano di battaglia con i suoi compagni di squadra.

Presi con sé gli scettri appena terminati dai fabbri elfici, Ryfon uscì rapidamente dalla fucina e si diresse alla sua aeronave, contattando mentalmente Akira e Kaede e dicendo loro di raggiungerlo alla macchina. Diretti gli scettri levitanti sul pavimento del salottino, il mezz’elfo si sedette alla postazione di pilotaggio e attese l’arrivo dei due demoni prima di decollare.

«Cosa succede, Siirist-sama?»

«Sesshoumaru-sensei, Kikyou-san e Alucard-san si sono fatti forgiare delle katana nuove da Totosai. Le ho appena viste e sentite: sono almeno il doppio più potenti delle loro spade attuali.»

«Questo sarà un problema.» commentò il vampiro.

«Come facciamo, fratellone? Affrontarli ora sarà anche più difficile.»

«Il modo più semplice sarebbe di invocare un Esper, ma dopo averlo fatto con Katsumi-san, dubito il nonno sarebbe tanto felice se lo rifacessi. Per di più l’unico Esper immune al fuoco nero non è uno molto simpatico e non so per certo se invocarlo sarebbe una buona idea. Certo, potrei invocare uno degli altri e, tenendo Kikyou-san occupata, lo terrei al sicuro dal suo fuoco nero, ma rimane il problema del nonno.»

«Sono d’accordo, l’Imperatore non sarebbe molto felice di un secondo Esper. Ma purtroppo nessuno dei vostri altri daedra, nemmeno i Primi, sarebbe in grado di affrontare Alucard-sama e Sesshoumaru-dono.»

«Se l’avessimo saputo, ci saremmo fatti forgiare anche noi delle spade nuove.» disse Kaede.

«Akira già ce le ha, ma le tue, purtroppo, non sono eccezionali. Potrei darvi degli scettri incantati per rafforzarvi e difendervi.»

«Per quanto sappiamo ora che saranno anche più forti, suggerisco di mantenere la stessa tattica, Siirist-sama. La cosa più importante è difenderci dagli attacchi mentali di Alucard-sama, altrimenti è la fine.»

Ryfon annuì mentre sotto di loro scorreva veloce il territorio di Hellgrind e si dirigevano verso nord per raggiungere il mare e da lì si sarebbero diretti a ovest, verso Alagaesia.

 

Ritornati a Kami no seki dopo essere arrivati nei pressi di Rabanastre, essere andato alla casa nei bassifondi e, da lì, a Oblivion per depositare i nuovi scettri, Siirist e i due demoni andarono all’arena ad attendere il proprio turno. Erano giunti in semifinale: vincendo quella battaglia, sarebbero passati al turno successivo in cui avrebbero affrontato la squadra di Kikyou. Ad attenderli sul terreno vi erano Seiji e Haruna, fratello e sorella gemelli e cugini adottivi di primo grado del mezzo demone. Erano potenti, all’interno della famiglia reale, erano le due bestie del fulmine più potenti dopo i successori di Obras e l’ora defunto Hisaki, mentre Kaede si piazzava in quattordicesima, ora decima, posizione. E con i due fratelli vi erano venti dei loro servitori più potenti, inclusi alcuni alati.

«Akira, voglio che elimini almeno cinque dei servitori, incluso un alato. Kaede, dai spazio ad Akira, intervieni solo se strettamente necessario, altrimenti occupati dei nemici più distanti da lui, prima.»

Entrambi annuirono e sguainarono le loro spade. Siirist invocò il riequipaggiamento del Cavaliere con l’armatura e la cintura di Agar hyanda.

«Chiedo scusa, ma in previsione dello scontro di domani, non posso permettermi di andarci piano con voi e sprecare troppa energia. Vi combatterò con tutta la mia forza ma, se possibile, gradirei non uccidervi, quindi vi chiedo di arrendervi quando vi troverete in troppa difficoltà.»

«Non credere che sarà così semplice sconfiggerci!» si arrabbiò Haruna.

«Pensate veramente di poter sconfiggere le mie arti sacre di Infernale?»

Le due bestie del fulmine avversarie ringhiarono e si velocizzarono con il fulmine, partendo immediatamente contro Ryfon il momento in cui venne dato il segnale d’inizio. Velocizzatosi lui stesso, Siirist mise mano a due spade e le sguainò con due attacchi ad estrazione talmente potenti da lacerare il petto a entrambi i rivali. Ma questi non si arresero e lanciarono due vampate di fuoco nero.

«Arte Infernale: Affondo infuocato.» disse il mezz’elfo, caricando indietro entrambe le braccia e avvolgendo le spade con le sue fiamme nere e azzurre.

I due incantesimi di elemento Infernale divorarono e assimilarono le fiamme nemiche, ma si dissolsero prima ancora di raggiungere gli avversari.

«Come ho detto, non intendo uccidervi, ma questo non significa che non vi ridurrò così male da impedirvi di muovervi per settimane anche con l’ausilio dei mistici di corte. Arte del Lampo: Leone splendente.»

Con le spade avvolte nelle scariche dorate e azzurre del Lampo, Siirist liberò due incantesimi viventi che avevano le sembianze di due teste di leone dorate con alcune striature, come di tigre, azzurre. Dilaniarono i bersagli e li fulminarono, la resistenza all’elettricità dei demoni resa nulla dalla modifica apportata alla componente di fulmine magico dell’elemento di fusione.

‹Dovresti cercare di sviluppare una combinazione tra questo incantesimo ed il tuo famiglio.› suggerì Rorix.

‹Non sarebbe una cattiva idea, no.› concordò.

Con i due concorrenti per il titolo di Imperatore a terra, la semifinale di Siirist si concluse con Akira che aveva abbattuto ben due alati e altri sei demoni inferiori.

«Complimenti. I tuoi allenamenti con i bracciali hanno dato i loro frutti.» gli disse il mezz’elfo.

«Anche io li voglio utilizzare!» disse Kaede mentre impediva alle sue implacabili fiamme di consumare l’ultimo degli avversari rimasto vivo.

«Va bene, te ne farò avere un paio.» le sorrise.

Nell’uscire dall’arena, Ryfon incrociò lo sguardo altezzoso di Kikyou. Subito Kaede si avvicinò.

«Sorellona è decisa e trepidante: domani non sarà semplice.» si preoccupò.

«Non che non lo sapessimo già. Vado a parlare con il nonno, ci rivediamo nelle mie stanze.»

«D’accordo.» dissero i due demoni, e si separarono.

 

«Cosa ha detto l’Imperatore?» domandò subito Akira il momento in cui il suo padrone rientrò.

«Che sarebbe meglio che non usassi alcun Esper. Dice che sarebbe meglio una resa.»

‹I demoni e il loro onore. A volte non so se siano peggio loro o i nani.› commentò Rorix per la seconda volta.

‹Lo so, me l’hai detto già prima mentre parlavo con Ojii-sama, non c’è bisogno di ripeterlo.›

‹Non mi hai risposto.›

‹Ti stavo ignorando di proposito.›

«Come immaginavamo. Ma non possiamo arrenderci!» esclamò Kaede.

«No, voglio la Zanmato, da essa potrei trarre il potere necessario per rinforzare ulteriormente Agar hyanda. Andatevi a riposare, Akira, niente allenamenti, domani ci aspetta una giornata impegnativa.»

 

Per colazione Siirist mangiò abbondantemente e dopo un’oretta di esercizi di riscaldamento, si vestì elegantemente e andò sulla sponda del lago dove era stato declamato un successore di Obras. Si sedette a gambe incrociate sull’altare di legno a meditare, a rilassarsi e a calmarsi per qualche ora, fino a che non venne Akira e chiamarlo, per poi dirigersi all’arena.

Fuori da essa la fila di gente era impressionante, e all’interno di quella massa di persone, Siirist percepì un’energia ed una frequenza mentale ben distinte. Si dislocò alla tribuna reale con i suoi compagni di squadra e sgranò gli occhi nel vedere, seduto accanto a Raizen, Aulauthar, con Skryrill ai suoi piedi.

«Ma cosa…?!»

«Abbiamo sentito parlare di questo torneo e ci siamo incuriositi sul perché un nostro Cavaliere stesse gareggiando per diventare Imperatore di Hellgrind. Non lo volevo credere, ma ci hai veramente traditi, Siirist?» chiese calmo e pacato, ma privo del suo solito sorriso e con un’aria di tristezza in volto e nella voce.

«Per niente, e come ho detto a Ojii-sama, non ho alcuna intenzione di succedergli, solo di ottenere la Zanmato e il potere che essa possiede. Non ho dimenticato i miei doveri e, in verità, sto solo partecipando in attesa del ritorno di Vulcano, attualmente al nido degli Inferno per imparare ad usare il suo fuoco nero.»

«Come, scusa?» esclamò e anche il drago argentato alzò la testa.

«Proprio così, Vulcano ha sviluppato il respiro di fuoco nero. Tra pochi giorni avrà finito e, allora, ritorneremo a Vroengard. Ma non avrebbe avuto senso per me ritornare senza di lui, non credete?»

«Interessante, il Consiglio sarà felice di sentire ciò. E dimmi, sei intenzionato a ritornare alla Rocca e vivere come un Cavaliere? Mi sembra strano volerlo fare dopo aver vissuto qui. Vedo che hai anche due servitori che ti accompagnano.»

«Ho molti servitori, sì, ma lei non è una di questi, è, invece, una figlia di Ojii-sama. Avete indovinato, non sarei felice di vivere come un Cavaliere per il resto della mia vita, ma contrariamente a ciò che potrebbero pensare Delmuth, Ashemmi e Injros, conosco i miei doveri e, almeno fino alla sconfitta di Azrael, starò alla Rocca come conviene ad un Cavaliere.»

«Capisco. Bene, sono interessato a vedere dal vivo le tue “arti demoniache” che hanno così facilmente sconfitto due Anziani.»

«Rimarrete felicemente impressionato, allora. Purtroppo Kikyou-san non è un’avversaria con cui posso permettermi di andare leggero, perciò vedrete tutte le mie abilità al massimo. E vorrei approfittare di questo momento per ringraziarvi, Aulauthar, perché senza il vostro grimorio, e così per tutti quelli che mi sono stati dati, non avrei mai avuto le conoscenze necessarie per sviluppare le mie tecniche.» disse con un leggero inchino.

«Non c’è di che. A differenza di Delmuth e Syrius, ho sempre riconosciuto la tua importanza. Almeno anche Syrius l’ha capita, con il tempo, per quanto tu continui a non andargli particolarmente a genio.» sorrise.

Siirist, dopo un inchino all’Imperatore, si congedò e scese in campo.

«Chi era quell’elfo, Siirist-sama?» domandò Akira.

«Aveva un buon odorino…» si leccò le labbra Kaede.

Le battaglie dei giorni passati avevano pericolosamente risvegliato gli istinti aggressivi della bestia del fulmine, Siirist l’aveva notato anche troppo.

«Uno dei dieci Anziani del Consiglio, i miei capi a Vroengard. E Kaede, levati dalla testa il suo odore, perché, volendo, ti potrebbe annientare con facilità. È lui il creatore dell’elemento Radiante e della creazione di luce, ed è grazie alle sue conoscenze di fuoco che ho sviluppato la Vampa e l’Infernale. Assieme ad altri tre Anziani, fu in grado di contrastare un Amaterasu del traditore e resistette al suo Susanoo.»

I due demoni spalancarono le bocche e sgranarono gli occhi.

«Appunto. Ora concentratevi sui nostri avversari, non ci permetteranno alcun errore.»

Annuirono e misero mano alle spade, pronti a combattere. Anche Siirist invocò il Cavaliere e sguainò Agar hyanda. I tre avversari arrivarono di fronte a loro e si prepararono a combattere.

«Akira, mostrami quanto sei diventato forte.» gli disse il signore dei vampiri.

«Cercherò di non deludervi, Alucard-sama.» si inchinò.

Kikyou e Sesshoumaru non parlarono, piuttosto guardavano entrambi interessati Siirist. Poi la succeditrice di Obras guardò verso la sorellina.

«Kaede, dai il massimo, ma non esagerare, va bene?» disse con tono dolce e preoccupato.

«No, sorellona! Ma non perderò!» rispose sicura e carica.

La bestia del fulmine più grande sorrise e annuì, per poi rivolgere la sua attenzione al mezzo demone.

«Non ti ho mai accettato come figliastro, lo sai, ma sarò pronta ad accettarti come Imperatore se ti mostrerai degno.»

«Non è mia intenzione diventarlo, io sono un Cavaliere. Mi interessano solo la Zanmato e il potermi scontrare contro di te senza esclusione di colpi. Sarà interessante ed istruttivo. Abbi cura di me.» si inchinò.

«Non credere che ci andrò leggera. Spero tu sia preparato a dare il meglio.»

«Lo sono.»

«Bene.»

Allora Ryfon guardò verso il vecchio maestro, ma ancora questi non parlò. E il segnale d’inizio fu dato. Come previsto, Sesshoumaru e Kikyou non si mossero, ma il mezz’elfo percepì l’energia demoniaca di Alucard concentrarsi e venire diretta ai suoi avversari; venne contrastata da un’unione delle abilità mentali e demoniache di Siirist e Akira, che impedirono al vampiro millenario di manipolare il loro sangue e quello di Kaede.

‹Porca… miseria! È fortissimo!› esclamò Ryfon.

Sentiva come un uragano nella sua mente, tanto era forte la presenza psichica del conte, e con le vene del collo e della fronte ingrossate, Siirist fece tutto ciò che era in suo potere per resistere senza essere costretto ad andare in stato di calma assoluta; non era ancora il momento. I bracciali che sia lui che il vampiro secolare indossavano sul polso destro si illuminarono quando i loro incantamenti incominciarono ad avere effetto e fortificarono i loro poteri mentali. Kikyou ridusse gli occhi a due fessure e osservò attentamente il mezzo demone lottare una lotta invisibile contro il marito; probabilmente stava pensando che sarebbe stato semplice liberare un Amaterasu e finirla lì. Ma attese, invece Sesshoumaru mise mano alla sua prima katana e come la sguainò e la avvolse nel suo potere velenoso, Rorix ruggì.

‹Ora!› e unì la sua mente a quella del suo Cavaliere per rafforzargliela.

Questi entrò in stato di calma assoluta e, con il supporto del drago, rimandò ad Alucard tutto il suo potere mentale, facendolo volare all’indietro come colpito da un martello invisibile e finire a terra. Akira e Kaede scattarono in avanti e contrastarono il fendente di Sesshoumaru diretto a Siirist con due attacchi ad estrazione; la bestia del fulmine seguì con una vampata di fuoco nero che l’inugami prontamente evitò e ciò costrinse Kikyou ad entrare in gioco. Le ali aperte, la succeditrice di Obras volò rapida verso il figliastro, evitando facilmente i compagni di squadra, ma senza usare la velocità di fulmine, perciò non era niente che i riflessi del mezz’elfo non potessero cogliere. Fu intercettata dai Guardiani di fuoco e terra che la spinsero indietro e come si fu ripresa, si ritrovò il palmo destro del Cavaliere in faccia, avvolto da una forte luce argentea con all’interno un lieve bagliore rubino.

«Bagliore argenteo.» esclamò Siirist, liberando il potente incantesimo di elemento Alba.

L’elemento per eccellenza di Eleril non era il preferito di Siirist, che sempre preferiva avere a che fare con delle fiamme o, in alternativa, con il fulmine, ma escludendo le sue arti demoniache, esso rimaneva indubbiamente la sua magia elementale più potente, e sotto certi aspetti era anche superiore al Vuoto. Certo, una volta che avesse risvegliato il suo sangue angelico, l’elemento Alba, generato dai due fuochi sacri dei Gemelli, sarebbe stato superiore persino all’Infernale, ma per il momento non era a quei livelli.

Colpita in piena faccia, Kikyou fu scaraventata via, ma si riprese in fretta a mezz’aria e, elegantemente, ritornò con i piedi per terra, appena annerita in volto. Quell’incantesimo le avrebbe dovuto portare via la testa, invece era a malapena scalfita: non che Siirist non se lo fosse aspettato.

«Stai per caso cercando di uccidermi? Se non mi fossi rafforzata con il fulmine, sarei morta.» disse con tono casuale.

«Non voglio nulla di simile. Ma se non do il mio massimo, sono io quello che rischia di morire.» sorrise.

Intanto Kaede e Akira avevano incominciato ad affrontare i compagni di squadra della succeditrice di Obras, scambiandosi di posto ogni volta che fosse necessario, così da evitare ai due avversari di poter sfruttare al meglio i loro vantaggi. Almeno finché avevano a che vedere con il fuoco nero, erano obbligati a stare in guardia e non si potevano permettere mosse false, e dopo la botta mentale da poco ricevuta, Alucard non avrebbe potuto usare il suo controllo del sangue per un po’ di tempo.

«Se stessi davvero dando il tuo massimo, mi avresti attaccata con le fiamme che hai usato contro Katsumi. Non vorrei tu mi stia sottovalutando.» strinse gli occhi.

«Non avevi usato il fuoco nero, non vedo perché avrei dovuto cominciare io.»

«Allora vogliamo iniziare a fare sul serio?» domandò, avvolgendo il corpo con le fiamme nere di Obras.

«Non aspettavo altro.» rispose sguainando il pugnale che reggeva sul fianco sinistro e trasformandolo in spada.

Invocò quattordici scettri, le quattro aste usate con Katsumi e altri dieci, e l’aria attorno al mezz’elfo incominciò a riscaldarsi, fino a che scoppiarono le fiamme nere e azzurre dell’elemento Infernale. Kikyou puntò la spada in direzione del mezzo demone e liberò una decina di Amaterasu che si diressero a velocità così elevata verso Siirist da non permettergli nemmeno di generare il Susanoo e lo costrinsero a dislocarsi con la Tenebra. Ma come si rilocava, i draghi fiammanti lo rintracciavano subito e si dirigevano di nuovo verso di lui e nel frattempo Kikyou ne liberava altri. Alcuni salivano in cielo per poi scendere verso la loro preda, altri penetravano nel terreno per sorprenderlo da sotto; dopo un paio di minuti di teletrasporti e inseguimenti, metà dell’arena era disseminata di Amaterasu. Se ne perdeva il conto, muoversi di anche solo mezzo metro avrebbe potuto significare venire divorato. I draghi marini smisero di attaccare il biondo, piuttosto si limitarono ad osservarlo e questi realizzò che la donna era interessata a vedere che cosa si sarebbe inventato. E aveva ragione: nemmeno la sua arte Infernale con i suoi scettri avrebbe potuto creare un Susanoo così resistente da poter contrastare tutti quegli Amaterasu, senza contare che lo avrebbero potuto benissimo attaccare dove lo Scudo di Yata non era in grado di coprirlo; utilizzare il Lampo anche sarebbe stato inutile, Kikyou si sarebbe immediatamente velocizzata con il fulmine e la situazione sarebbe rimasta invariata; dislocarsi dall’altra parte dell’arena avrebbe significato mettere in pericolo Akira e Kaede, o Alucard e Sesshoumaru, qualcosa che nessuno dei due successori di Obras desiderava fare. Ma la più potente figlia di Raizen rimaneva pur sempre una semplice demone, non pratica nelle arti mistiche, e ignorava cosa esse potessero veramente fare. Sorridendo con sicurezza, Siirist entrò in stato di calma assoluta.

«Vedo che non ti dai per vinto.» osservò tra l’infastidito, l’annoiato e il soddisfatto Kikyou.

Tutti gli Amaterasu ruggirono all’unisono e volarono dritti verso il mezz’elfo da tutte le direzioni possibili, ma non contento di ciò, egli creò un campo gravitazionale attorno a sé.

«Attrazione assoluta; Confine assoluto invalicabile.»

La barriera impenetrabile del Cavaliere si erse appena in tempo per proteggerlo dai draghi fiammanti che erano sbucati dal terreno, che vennero cancellati dall’esistenza grazie al Vuoto del Cavaliere delle sabbie rafforzato dall’illusione reale di Adeo. E attratti dalla gravità intensificata, tutti gli Amaterasu saettarono verso la barriera nera e sparirono.

‹Ti sei preso un bel rischio, è la prima volta che usi il Confine assoluto invalicabile in una situazione così pericolosa.› disse preoccupato Rorix.

‹Zitto e concentrati.› tagliò corto Ryfon dall’alto della gentilezza della calma assoluta.

‹Dimentico sempre che diventi più insopportabile del solito quando sei così…›

Ma la preoccupazione dell’Inferno si rivelò fondata quando uno degli ultimi Amaterasu incominciò a farsi largo nello spazio di nulla generato dal Confine assoluto, poco prima di venire rimosso dall’esistenza, ma dopo di esso ne seguirono altri e Siirist fu costretto a dislocarsi con la Tenebra. Mentre osservava gli ultimi draghi fiammanti sparire all’interno della sfera nera, il mezz’elfo cadde in ginocchio stringendosi la testa e digrignando i denti. Annullò incantesimo e illusione e uscì dalla calma assoluta. Kikyou alzò le sopracciglia con aria sorpresa.

«Impressionante. Ancora una volta fai uso di una tecnica formidabile capace di metterti al livello e oltre le sacre arti del fuoco nero e dei poteri di demoni più vecchi di te. Ma, proprio come il Lampo, vedo che questa ti riduce allo stremo delle forze. No, è anche peggio del Lampo, o sbaglio?»

«È faticosa, non lo metto in dubbio. Ma, a differenza degli effetti del Lampo, l’affaticamento nato dall’uso di un’illusione reale è qualcosa di puramente mentale e facilmente guaribile! Spinta onnipotente!» esclamò alzando la mano.

La magia spaziale investì in pieno la succeditrice di Obras e la scagliò via, mandandola a scontrarsi con Sesshoumaru e buttandoli entrambi a terra. Siirist ne approfittò per invocare una sacca piena di pozioni per il mal di testa e se la mise a tracolla e, mentre Akira attaccava l’inugami, il mezzo demone ne beveva una. Prima ancora che Kikyou potesse incenerire il vampiro secolare, Siirist aveva rimesso mano alla spada destra e l’aveva puntata in direzione della succeditrice di Obras e del vecchio maestro.

«Schiacciamento.»

Il Cerchio d’argento, gli incantamenti del guanto d’armatura che lo copriva e quelli della spada si illuminarono e i due demoni furono atterrati da una gravità mille volte superiore al normale. Era già tanto che non fossero ridotti ad una poltiglia, muoversi sarebbe stato impossibile per loro.

«Alucard, porta Sesshoumaru via da qui!» ringhiò furente Kikyou.

Il signore dei vampiri aggirò i vari fulmini e vampate di fuoco nero della cognata e le assestò un pugno sulla bocca dello stomaco, liberando pure il suo stormo notturno che la trapassò da parte a parte; allora si girò verso il demone cane, ridotto in fin di vita dai colpi di spada di Akira, e usò il suo controllo del sangue per trascinarlo via, seppure a fatica, dalla gravità schiacciante del mago.

«Ora guarisci Kaede, se muore non ti perdonerò mai. Susanoo!» disse ancora la moglie, mentre attorno a lei si formava il gigante di fuoco.

Conscio del pericolo, Akira si era immediatamente allontanato, ma Siirist aveva fatto di più, lo aveva dislocato accanto a Sesshoumaru per assicurarsi che lo riducesse così male che neppure Alucard lo avrebbe potuto guarire, e si era sostituito a lui, tutti i suoi scettri che gli volteggiavano attorno, con già le fiamme dell’Infernale pronte ad esplodere.

«Arte Infernale: Susanoo invincibile!» esclamò pure il mezzo demone, entrando in stato di calma assoluta e andando in forma draconiana.

Ma, a differenza dell’ultima volta che aveva usato quella combinazione, non la percepiva come un’unione forzata di acqua e olio, piuttosto avvertiva l’incremento smisurato delle sue abilità mentali ma senza tutto il resto che la calma assoluta comportava. Anzi, sentiva la solita ferocia tipica della forma draconiana.

‹Che succede?› domandò incuriosito Rorix.

‹Non lo so.›

‹Sarà davvero un’evoluzione della forma draconiana? L’animo selvaggio è così tanto risvegliato che ha soppiantato persino la freddezza della calma assoluta?›

‹Non mi importa, anzi meglio, basta che le mie abilità mentali siano le solite della calma assoluta.›

‹Se diventi più come un drago, anche la tua mente diventerà più potente, ricorda che siamo più saggi e intelligenti di voi formiche, quindi teoricamente saresti anche più potente di prima. Devi veramente parlarne con Eleril.›

‹L’ho già detto a Glarald, andrò a Rivendell appena finisce il torneo. E smetti di vantarti, ora, anche in stato di calma assoluta, non ignoro, ma ti mando a fare in culo come al solito.›

‹Sì, ma rimani concentrato. Adesso vediamo come funziona il tuo nuovo Susanoo di Infernale, Vuoto e illusione reale.›

‹Lo stesso vale per te.›

«Sai essere fastidioso, lo devo riconoscere.» ringhiò Kikyou.

«Non dicevi mi avresti accettato come Imperatore? Non che lo voglia diventare, ripeto.» sorrise Ryfon.

La demone sorrise con aria di sfida. I due giganti fiammanti si scontrarono e almeno per il momento, quello di Siirist pareva essere superiore e stava spingendo indietro quello dell’avversaria. 

Alucard, utilizzando il suo controllo del sangue, manipolò il corpo di Kaede per rimarginare la ferita, per poi muoversi immediatamente contro l’altro vampiro. Akira tentò di allontanarsi con lo stormo notturno, ma Alucard bloccò i pipistrelli e costrinse il corpo del secolare a riformarsi, e, afferratolo per la caviglia, lo schiacciò a terra.

«Sono felice di vedere quanto tu sia diventato forte: diventare il servitore di Siirist ti ha fatto bene. E sono anche felice di vedere che non ti sei montato la testa e continui a riconoscere la mia superiorità. Se fossimo in qualunque altra circostanza, mi fermerei qui, ma purtroppo sto combattendo per Kikyou e non posso permettermi di perdere.»

Akira lanciò un grido di dolore nel sentirsi tutto il corpo venire controllato ed il suo urlo si smorzò solo quando i quattro arti e la testa vennero staccati dal busto dalla volontà del suo signore. Neutralizzato il vampiro inferiore, il conte andò verso Sesshoumaru e incominciò a guarirlo.

«E con questo il tuo servo è finito. Ringrazia che sia uno dei vampiri a cui Alucard tiene di più, altrimenti non avrebbe esitato ad ucciderlo. Così, almeno, si riprenderà tra qualche ora.» disse Kikyou.

«Ringrazio ‘sto cazzo!» ruggì.

Tutti i muscoli di Siirist si ingrossarono leggermente e sulla fronte gli comparvero dei segni rossi che ricordavano fiamme stilizzate. Il suo Susanoo, difesosi da un fendente dell’altro, lo sbilanciò e, impugnata la Kusanagi con entrambe le mani, la abbatté sull’avversario. Questi riuscì a pararsi con lo Scudo di Yata, ma esso venne inesorabilmente squarciato, così come il resto del corpo. Da quell’apertura nella difesa nemica, Siirist riuscì a tirare fuori la demone con un affondo della spada destra da cui allungò un braccio d’ombra che la afferrò. Come fu estratta dalla protezione assoluta del Susanoo, la dislocò lontano dal suo gigante e si dislocò lui stesso con la Tenebra; era in aria proprio sopra di lei, il gomito sinistro all’indietro e Agar hyanda avvolta nelle terribili saette stridenti dell’arte della Tempesta.

«Mille falchi.»

Menò l’affondo e la lama si allungò, andando a creare un taglio netto nel terreno, ma Kikyou, rotolata via e spostatasi con la velocità del fulmine, rimase illesa. Raggiunse il mezz’elfo alle spalle e attaccò con le spade avvolte nel fuoco nero, ma Ryfon si limitò a bloccarle portando indietro Agar hyanda.

«Frattura dimensionale.» disse battendo il pomolo della spada destra contro un muro invisibile accanto al fianco.

Lo spazio si infranse e generò una terribile scossa che però non colpì Kikyou perché, conoscendo quella mossa, l’aveva prevista.

«Tsukuyomi!» disse.

Con la Tenebra, Siirist si dislocò a cento metri di distanza e si concentrò, tutti gli accessori che indossava che erano legati al Lampo che risplendevano.

«Arte del Lampo: Assorbimento.»

Come contro Katsumi e Kiyo, percepì la spiacevole sensazione dell’elemento fuso unirsi ai suoi muscoli ed entrargli nel cervello per velocizzargli le sinapsi e le pupille allungate da draconiano, da nere, diventarono intermittenti, azzurro intenso e oro. Ma a differenza della volta precedente, l’Assorbimento risultò meno invasivo.

‹Forse è per via della tua forza superiore all’ultima volta. Questa nuova forma draconiana è formidabile! Ma non mi sorprende, deriva da me, dopotutto!› si vantò per l’ennesima volta Rorix.

‹Allora fai poco il tirchio e dammi di più!› ringhiò selvaggio Siirist.

Le zanne da demone si fecero più grosse ed i segni rossi sulla fronte si allungarono e incominciarono a scendere lungo il limitare dei capelli, fermandosi quando raggiunsero l’altezza dei lobi delle orecchie. E con questo, l’Assorbimento si fece, anche se di poco, meno pesante sul corpo del mezz’elfo.

«Magnifico!» ruggì soddisfatto.

Kikyou volò verso di lui e il suo Susanoo si estinse, ciò significava che era intenzionata a ricrearlo attorno a sé, perciò Siirist pensò di anticiparla. Si accorse di essersi sbagliato quando il gigante di fuoco nero apparve alle sue spalle e lo Scudo di Yata di Infernale, magia spaziale e scettri andò a parare un semplice fendente della bestia del fulmine. La Spada Kusanagi del gigante avversario perforò la schiena di quello del mezzo demone, distruggendo sette scettri lungo il suo percorso, e Ryfon si salvò solo con la dislocazione della Tenebra.

‹Merda!›

Ma non ebbe modo di continuare ad imprecare perché fu bersagliato da una ventina di Amaterasu di Kikyou e da altrettanti del suo Susanoo, che aveva intanto ottenuto la forma arciere. Ne schivò alcuni, altri li evitò con la dislocazione della Tenebra fino a che si stufò e menò un doppio tondo  manco con cui comandò lo Sconvolgimento spaziale e diresse tutti i draghi fiammanti contro una parete di marmo nero eretta con il Flusso incanalato attraverso il piede sinistro. Ma stava incominciando a risentire dello scontro e cadde in ginocchio stremato, la testa che gli pulsava. Lasciò la presa della spada destra che, comunque, rimase sospesa a mezz’aria grazie al semplice legame tra essa ed il padrone e portò la mano a prendere una seconda pozione. Pareva che Kikyou non aspettasse altro. Gli apparve davanti ad una velocità che Siirist nemmeno credeva possibile, era stata addirittura più rapida di quanto Raizen si fosse mai mostrato, e lo attaccò con un doppio sgualembro terrificante che passò facilmente attraverso la corazza dell’armatura del riequipaggiamento da Cavaliere.

‹Bhyrindaar non sarà felice: a differenza della seta di tsuchigumo, l’Adamantite, specie quella ottenuta con le ossa di Tyron, non è qualcosa che puoi riaggiustare con le tue magie di creazione.› osservò Rorix.

‹Poco male. Tanto volevo chiedergli di lavorarmela di nuovo nella Forgia infernale.›

‹Sarà anche meno contento di questo.›

«Spinta onnipotente!» disse portando avanti entrambe le spade.

La figlia di Raizen evitò l’incantesimo spaziale e sparì di nuovo alla vista del mezz’elfo. Lo attaccò da destra e il biondo reagì, in ritardo, con un’onda di Vampa, ma essa andò a vuoto e il fianco dell’armatura si ritrovò un altro taglio. Dolorante, Siirist cadde a terra, le ferite causate dalle Tsukuyomi che avevano difficoltà a rimarginarsi con il solo potere rigenerativo da vampiro e persino il potere d’ombra poteva fare poco. Stava per aumentare le sue capacità curative con un incantesimo ma fu interrotto da una sfuriata di spade, con Kikyou che aveva richiuso le ali e sguainato la terza.

‹Merda!›

Se pensava che la madre adottiva non aveva nemmeno dato il meglio di sé fino a quel punto, a Siirist poco mancava che venisse da piangere. Con difficoltà parò i colpi, ma molti andarono a segno sia perché la donna era immensamente più veloce, sia perché il mezzo demone non aveva avuto il tempo di sfoderare la terza spada. Vista la situazione disperata, persino il suo animo selvaggio venne meno e sentì la forza della forma draconiana diminuire, e con il mal di testa così intenso, la calma assoluta fu dovuta abbandonare. Notando il cambiamento nel figliastro, Kikyou si fermò e si allontanò, ormai abituata a ricevere sorprese indesiderate.

«Cos’hai in mente ora?» chiese interessata e in guardia, la seconda spada ancora vicina alla bocca, ma impugnata nella sinistra per permetterle di parlare.

«Io?» domandò sinceramente stupito.

«I segni rossi che avevi in faccia sono spariti.»

«Ah, niente di allarmante. Almeno non per te. Significa che mi sto indebolendo.» rispose scrollando le spalle.

«Ammetti la sconfitta, allora?»

«Se solo potessi. Purtroppo non mi posso permettere di perdere: non voglio il trono, ma il potere della Zanmato è qualcosa che non mi voglio far sfuggire.»

«Capisco. Allora proseguiamo.»

Rimise la spada fra le zanne e si lanciò verso Siirist, nuovamente più veloce di quanto questi potesse seguire, specie ora che era uscito dallo stato di calma assoluta e l’Assorbimento del Lampo stava per venire meno. Ma appena prima di raggiungere il figliastro, fu intercettata da Kaede.

«Tu!» disse incredula, la parola pronunciata male a causa dell’elsa nella bocca, ma comunque inconfondibile.

«Scusami, Sorellona.» rispose la più piccola, anche le sue parole distorte dalla spada fra i denti.

‹Che aspetti?! Bevi quella cazzo di pozione! Prendine due!› esclamò Rorix.

Siirist non se lo fece ripetere e, lasciata andare la spada destra, prese due fiale dalla sacca e ne ingoiò il contenuto senza un attimo di esitazione. Lanciate a terra le fiale vuote, riportò la mano all’elsa della sorella di Agar hyanda.

‹E ora incazzati come non mai! Ripensa a Raiden! Risveglia l’animo draconiano come hai fatto prima, o veramente non hai alcuna speranza di vincere!› ruggì Rorix.

«ooooooooOOOOOO!!!!» urlò e poi ruggì anche il Cavaliere.

Le pupille nuovamente si allungarono e la sclera degli occhi divenne rosso chiaro, mentre intorno alla cavità oculare la pelle otteneva una colorazione rubina. Da lì, si allungarono i segni che andarono a ricoprire la fronte e, come prima, questi raggiunsero la congiunzione della mandibola, per poi continuare più giù e ricoprire la mandibola, il mento, il collo e arrivare alle clavicole. Prima che la furia animalesca della forma draconiana prendesse il sopravvento, Siirist rientrò in stato di calma assoluta e, circondato dalle splendenti e intense scariche elettriche del Lampo e dalle oscure fiamme dell’Infernale, rigirò la spada nella destra, preparandosi a metterla fra le zanne.

«Kaede! Grazie, ora lasciala a me!»

Messosi in una posa d’attacco del santouryuu, le tre spade trasformate in katana, Ryfon si dislocò e ruppe la difesa, prontamente alzata, di Kikyou, squarciandole il busto.

‹E pensare che odio far male alle belle donne. E in questo torneo è già la terza.›

‹Smetti di pensare con il tuo uccello! Sii un drago, piuttosto! È una preda e la devi divorare!› intimò l’Inferno.

‹Ma che uccello?! Lei è una delle poche donne a cui non abbia mai pensato in quel modo!›

‹DIVORALA!› ruggì furioso, quasi interrompendo la frase del mezz’elfo.

E la furia di Rorix alimentò quella dell’animo draconiano, e i segni rossi andarono a ricoprire la parte superiore del petto. Siirist ruggì, la spada che, fedelmente, rimaneva sospesa, pronta ad essere riafferrata, per poi ruotare su se stesso e liberare una delle tecniche segrete della famiglia reale della tecnica a tre spade. Kikyou fu sbalzata via dalla potenza del Cavaliere e delle sue spade, ma si riprese in tempo per generare il suo Susanoo e proteggersi dalla tempesta di Amaterasu che le piovve addosso.

«Arte Infernale: Susanoo invincibile!» gridò mentre diretto in volo verso l’avversaria.

Il gigante di fiamme miste, però, non si formò attorno al suo creatore, piuttosto andò a contrastare direttamente l’altro e, come prima, la sua Kusanagi risultò superiore allo Yata nemico. Ryfon fece per estrarre Kikyou come aveva fatto in precedenza, ma ella non si fece sorprendere una seconda volta e liberò un branco di Amaterasu che divorarono il braccio d’ombra del mezzo demone e aggirarono il suo Susanoo, consumandolo da dietro.

‹È proprio un’avversaria difficile, non c’è niente da fare.› scosse la testa.

‹Ma guardala bene: comincia ad aver paura.›

E Rorix aveva ragione. Gli occhi di Kikyou, sempre altezzosi e fieri, incominciavano a mostrare incertezza, panico. E non solo. Siirist sentiva la paura dell’avversaria, e non grazie al potere dell’Intimidazione, erano i suoi istinti draconici che aveva risvegliato, gli istinti da cacciatore comuni a quelli da vampiro.

‹E ora finiscila.› ringhiò Rorix.

«Arte Infernale: Susanoo invincibile!»

Ma prima che il gigante appena generato potesse attaccare, l’altro menò un fendente, facilmente parato dallo Scudo di Yata di Infernale rinforzato da cinque scettri e dall’illusione reale del mezz’elfo; e grazie al potere di Vuoto inserito in esso, che si manifestò come un branco di draghi marini, mangiò metà della grande spada nemica. Lo Scudo, poi, si dissolse e nella mano destra della terza arte sacra si formò una seconda Spada Kusanagi. Il gigante menò una serie di colpi devastanti che fecero a pezzi quello nemico e Kikyou si ritrovò priva di difese.

«Schiacciamento!» disse Ryfon puntando due spade.

La demone si schiantò a terra dove venne investita dall’Ambizione del figliastro mista alla sua Intimidazione e, di conseguenza, nutrì con la sua paura il potere del mezzo demone. Tutte le sue emozioni avvolte attorno alle tre spade e miste all’Ambizione, e tutte le sue arti demoniache ad eccezione della Tenebra, usata invece per dislocarsi in aria a pochi metri da Kikyou, così che avesse nel suo attacco anche la forza dell’accelerazione, Siirist si preparò a sferrare il colpo decisivo. Stava per abbattere le sue spade sulla bestia del fulmine quando…

‹…?›

E perse i sensi appena prima di rovinare a terra a pochi centimetri da Kikyou.

 

Immaginandosi che uno scontro come quello fra Siirist e la più potente figlia di Raizen, nonché madre del demone che aveva assaltato la Rocca e ucciso Evendil, si sarebbe portato alla velocità della luce o quasi, Aulauthar aveva pensato bene di portarsi dietro innumerevoli scettri che gli avrebbero amplificato gli incantesimi di luce, altri che gli avrebbero migliorato le capacità mentali e alcuni amuleti stregati legati a spiriti del tempo e della luce, assieme ad una vastità di gemme piene fino all’orlo di energia da cui attingere. E nonostante tutti i preparativi, il Cavaliere d’argento non era riuscito a seguire ogni scambio fra i due successori di Obras. Ora, non sapeva bene quanto Siirist fosse migliorato da quando aveva lasciato Orzammar, ma se le sue capacità al tempo erano state anche solo un decimo di quelle che aveva appena dimostrato, Ashemmi e Injros avrebbero dovuto smetterla di lagnarsi, perché se il Cavaliere d’Inferno avesse veramente tradito e avesse voluto far loro del male, sarebbero stati massacrati senza alcuna via di scampo. Le arti demoniache del mezz’elfo erano strabilianti, la sua maestria nel controllo della forma draconiana ed il suo rigore mentale ineccepibile non erano nulla di sorprendente se paragonati a quello che Siirist aveva creato grazie alle conoscenze elementali ereditate dai grimori. Certo, senza quella disciplina mentale niente sarebbe stato possibile, ma le arti demoniache rimanevano comunque le prove più “vivide” dei poteri del settimo Cavaliere d’Inferno. Era chiaro, però, quanto pesassero sul suo corpo e la sua mente, infatti, dopo quella che era sembrata la fine per il ragazzo, Aulauthar mai si sarebbe aspettato che si riprendesse. E come si era ripreso! E poi… E poi? Cos’era successo? Dei tre demoni della squadra avversaria, l’unico con poteri psichici era Alucard, ma era stato troppo impegnato a combattere le vampate inesorabili del fuoco nero della bestia del fulmine in squadra con Siirist, che gli bruciavano via la nebbia illusoria e gli impedivano di usare alcun potere. Eppure, di punto in bianco, tutto il potere del mezz’elfo si era dissolto ed egli era caduto faccia in avanti, privo di sensi. Almeno così sperava Aulauthar, se fosse morto sarebbe stato un guaio. No, sentiva ancora la sua frequenza mentale, per quanto debole. Che il corpo e la mente lo avessero abbandonato? Possibile, li aveva sforzati oltre ogni limite immaginabile, anche qualcuno così fisicamente dotato come lui non poteva sopportare certi livelli troppo a lungo, e di sicuro non dopo così poco tempo di pratica. Aveva chiaramente detto agli Anziani a Orzammar che aveva sviluppato quattro arti demoniache, perciò, nella migliore delle ipotesi, le ultime due non potevano avere più di quattro anni. E per abituarsi ad assorbire quel Lampo terrificante, come minimo ne sarebbero serviti cinquanta, stimò.

«Che cosa pensate di Siirist, Aulauthar?» domandò Raizen, che indubbiamente aveva potuto seguire tutto il duello senza perdersi neppure un milionesimo di secondo.

«Che sia un peccato che non sia durato solo qualche secondo in più.»

«Invece è un bene. Lo vedevo troppo desideroso, con quell’ultimo attacco avrebbe indubbiamente ucciso Kikyou.»

«Sicuramente si aspettava che ella ricreasse il gigante di fuoco nero.»

«Temo, invece, che non l’abbia nemmeno preso in considerazione. Fosse stata una situazione normale, avrebbe percepito che Kikyou era ormai incapace di generare nuovamente il Susanoo, ma la ferocia che mostrava, la bestialità, era qualcosa di nuovo. Ho sentito che potrebbe aver portato la forma draconiana ad un livello successo; so come ha ridotto la Rocca di Vroengard la prima volta che ha risvegliato il suo animo bestiale, è probabile che abbia bisogno di imparare a controllare anche questo nuovo stadio prima di poterlo usare senza rischiare di perdere la sua lucidità.»

Un nuovo livello della forma draconiana? Qualcosa oltre la forma perfetta raggiunta da Eleril? Se fosse vero, sarebbe stato molto interessante, interessante e pericoloso. Guardò Raizen e si chiese come egli fosse così informato di tutto.

«Non saprei, è la prima volta che sento di un secondo livello della forma draconiana: fino ad un minuto fa pensavo che l’apice di questa trasformazione fosse stato raggiunto dal sesto Cavaliere d’Inferno.»

«Se il Cavaliere d’Alba avesse mai superato la semplice forma perfetta della forma draconiana, nemmeno io sarei riuscito a sconfiggerlo. Certo, cinquemila anni fa ero molto più debole di ora. Ma da quello che ho capito della forma draconiana, il massimo che una persona calma come Eleril avrebbe mai potuto fare era proprio quello che ha fatto, cioè imparare a controllarla alla perfezione.»

«Invece Siirist, che è una testa calda, è più in linea con l’animo feroce del draconiano, capisco. Per Soho, non riuscirò mai a capire quel ragazzo: quando fa il ladro è la persona più calcolatrice di Gaya, ma il momento che esce dalla mentalità di ladro, è un combina guai scapestrato. Capisco agli inizi, a Vroengard, quando aveva appena incominciato ad utilizzare la magia e la sua affinità con il fuoco lo aveva reso molto più irascibile e agitato, ma dopo il suo studio degli altri elementi, avrei sperato che si fosse dato una calmata.» scosse la testa il Cavaliere d’argento.

«Hahahahaha! C’è anche da considerare i suoi istinti demoniaci, non sono semplici da tenere sotto controllo, è già tanto che sia così tranquillo dopo appena una quarantina d’anni.» rise Raizen, ignorando la menzione del dio della luce, acerrimo rivale di Obras, a differenza del resto dei presenti nella tribuna reale che guardò storto il Cavaliere.

«Beh, credo sia ora per me di andare.» disse questi alzandosi.

«Non volete rimanere fino a quando si svegli Siirist?»

«No. Mi avete detto che l’ultima volta che ha usato il Lampo, è rimasto fuori gioco per due giorni, sebbene fosse sveglio. Dopo un consumo di forze come questo, dormirà per la prossima settimana come minimo. Per quanto vorrei parlarci ancora, temo che, se dovessi prolungare la mia permanenza qui, a Vroengard potrebbero pensare mi sia successo qualcosa. Se non è un problema, vorrei lasciare qui uno dei Cavalieri della mia scorta, così che possa chiedere a Siirist esattamente quando abbia intenzione di ritornare. Almeno potremo tranquillizzare il resto del Consiglio.»

«Non è un problema. Fate buon viaggio, Aulauthar, e, come dite voi elfi, che la vostra lama resti affilata.»

Il modo in cui l’Imperatore aveva utilizzato il saluto formale elfico per primo per indicare la sua conoscenza dell’usanza e dicendo la seconda frase, per indicarsi superiore al Cavaliere, fece quasi ridere quest’ultimo. Ma non c’era nulla da ridire: l’elfo avrebbe potuto far notare che non sottostava ad alcuna autorità, ma Raizen, volendo, lo avrebbe potuto incenerire con un battito delle ciglia. Non importava come si guardasse la situazione, il Consigliere era inferiore all’Imperatore sotto ogni punto di vista.

«E che le stelle vi proteggano.» rispose inchinandosi alla maniera dei demoni.

 

Akira, con il fiatone, guardò il suo padrone inerme a terra. Non ci voleva credere. Aveva perso? Come poteva essere? Dopo tutta la fatica che avevano passato per arrivare lì, dopo la vittoria magistrale contro Katsumi e Kiyo, finita sì con l’invocazione di un Esper, ma si era sempre trattato di due successori di Obras contro uno… Dopo tutto questo… Finiva così? Con la coda dell’occhio vide Sesshoumaru riporre le sue katana e avviarsi verso l’uscita dell’arena. Kaede era caduta in ginocchio, evidentemente amareggiata, e Alucard era andato prontamente ad aiutare la moglie a rialzarsi. Kikyou era esausta, ma ancora conscia. Allora perché Siirist era così stanco? Che fosse davvero così devastante per lui usare le ultime due arti demoniache, specie in concomitanza con le illusioni reali? Avrebbe forse dovuto smettere di utilizzarle?

Sospirando, il vampiro ripose le sue spade e andò verso Kaede per confortarla con una semplice mano sulla spalla prima di dirigersi verso il suo padrone e prenderlo in braccio. Intanto Kikyou, ancora sorretta dal marito, era andata sotto alla tribuna reale ed era stata pronunciata vincitrice del torneo e legittima succeditrice dell’Imperatore. Akira, per quanto deluso, non poté che sorridere: ella se lo meritava indubbiamente.

 

Quella sera, dopo il grande banchetto tenutosi sia in onore della vincitrice del torneo, sia per il suo compleanno, Raizen chiamò Kikyou nelle sue stanze. Era certo che la figlia avesse qualcosa per la testa, difatti durante tutta la festa era stata con la testa bassa e in silenzio, e le sue parole non lo sorpresero più di tanto.

«Padre, in verità, egli mi ha sconfitta. Molte delle tecniche che ha usato sono state appena messe a punto. Un altro anno di allenamenti, anche solo altri sei mesi, e mi avrebbe sconfitta senza nemmeno darmi modo di difendermi. Detesto ammetterlo, ma Siirist, che non ha neppure un secolo di vita, mi è superiore. E con tutto ciò che lo aspetta, necessita il potere della Zanmato. Datela a lui.»

Conoscendo la figlia, quelle parole le erano costate molto, perciò l’Imperatore non se la sentì di dirle di no.

«Come vuoi. Ma Siirist ha sempre detto di non volere succedere al trono: voglio che sia tu a farlo.»

«Sì, ma non ora, padre. Diventerò più forte e una volta che questa guerra sarà conclusa, sfiderò di nuovo Siirist e mi impossesserò della spada di Ragnarok. Fino ad allora, vi prego, continuate a proteggere la nostra terra e a guidarci con la vostra saggezza.»

E con un abbraccio e un inchino, uscì. Raizen non poté che sorridere nell’osservare sua figlia uscire: non aveva mai accettato Siirist, vero, ma nonostante ciò, la presenza a corte del mezzo demone aveva influenzato anche lei. Chi lo sa, magari con il tempo lo avrebbe accettato come figlio come lui lo aveva accettato come nipote.

 

‹Vuoi aprire gli occhi, patetico bipede?›

‹Buongiorno anche a te. Che è successo? Dove sono? Quanto tempo è passato? Dove sei?›

‹Sei svenuto perché il peso di tutte le tecniche che avevi attivato è stato troppo grande per te, sei nel tuo letto, sono passati nove giorni e sono ancora al nido degli Inferno. Con te fuori gioco non aveva molto senso per me tornare, mi trovo meglio qui, dopotutto. Fra quanto credi sarai pronto a partire?›

‹Non lo so. Due giorni? Tre? Quattro? Ti saprò dire meglio domani.›

‹Va bene. Considera che in mezza giornata posso essere da te.›

‹Solo?› domandò stupito.

‹Utilizzando uno dei miei Ruggiti sì.›

‹Capisco. Ma non ha importanza, devo riportare lo scheletro di Tyron al nido, per cui ti verrò a prendere con la dislocazione.›

‹Giusto.›

«Siirist-sama, siete sveglio?» disse l’appena giunta Tomoko.

Siirist aprì gli occhi e si voltò appena verso la gatta.

«Bene. Come vi sentite? C’è un Cavaliere dei draghi che vi vorrebbe parlare, lo posso fare entrare?»

«Sì.» rispose nemmeno troppo debolmente.

La bakeneko si inchinò ed andò ad aprire la porta, rivelando un altmer dal drago grigio scuro ma molto splendente.

«Con chi ho il piacere di parlare? Perdona l’uso della lingua degli umani, ma non voglio tagliare i miei servitori fuori dal discorso.»

«Nessun problema, Cavaliere d’Inferno, capisco. Sono Aìthlin, della prima compagnia. Ero uno dei membri della scorta di Aulauthar. Si rammarica per essere dovuto ripartire, ma non poteva permettersi di restare troppo tempo a Hellgrind, altrimenti avrebbe rischiato di far preoccupare il Consiglio. E abbastanza inutilmente, vorrei aggiungere: ho avuto modo di conoscere molto meglio i demoni in questi nove giorni e persino mastro Bhyrindaar, che mi ha sorpreso non poco trovare qui, ha una grande stima del popolo di Hellgrind.»

Tomoko non nascose il suo sorriso nel sentire le parole dell’elfo. E anche Siirist ne era felice. Meno felice era di scoprire che l’Anziano aveva lasciato qualcuno a tenerlo d’occhio.

«E dimmi, tu saresti la mia balia fino a che ritorno a Vroengard?»

«Affatto. Aulauthar si fida della tua parola, solo vorrebbe avere una data più o meno precisa circa il tuo ritorno, così che possa soddisfare il resto del Consiglio. Il mio compito è semplicemente quello di sentire la tua risposta e riportarla al Consiglio.»

Siirist fu felicemente sorpreso nel sentire quelle parole.

«Beh, vediamo… Mi devo rimettere, ma non ci vorrà più di una settimana. Sicuramente molto meno, ti saprò dire con più precisione domani, se non è un problema per te aspettare. Poi devo portare i miei due amici nani, che sono certo hai avuto modo di conoscere, a Tronjheim, e approfitterò per controllare i Guanti di Luce, per poi dirigermi a Rivendell, perché ci sono alcune cose che devo rivedere nel grimorio di Eleril circa la forma draconiana. Una volta che avrò fatto questi giri, tornerò a Vroengard. Diciamo fra due settimane al massimo, imprevisti a parte.»

«Molto bene. Senza che rimanga ancora, altrimenti a Vroengard incominceranno a preoccuparsi anche per me, dirò al Consiglio di attenderti fra massimo tre settimane, per essere sicuri. E farò in modo di informare Imladris del tuo imminente arrivo, così che non pensino di essere attaccati da un Cavaliere traditore.» sorrise.

«Molto bene.» ridacchiò Ryfon, cosa che gli causò non pochi spasmi.

«Rimettiti, Cavaliere d’inferno, e che le stelle ti proteggano.» disse con un leggero inchino tipicamente elfico.

«E che la tua lama resti affilata.» rispose a modo il mezz’elfo.

Come Aìthlin ebbe lasciato la stanza, Siirist pensò che quello era uno dei pochi elfi veramente simpatici che avesse mai conosciuto.

 

Il giorno dopo, Siirist si sentì abbastanza in forze per alzarsi dal letto e mangiare senza venire imboccato. La prima cosa che fece fu un lungo e caldo bagno, seguito da un intenso allenamento fisico e un secondo bagno. Quando ebbe finito di lavarsi e vestirsi, gli si avvicinò Akira.

«L’Imperatore desidera parlarvi, Siirist-sama.»

«Ha detto di cosa?» rispose spogliandosi e chiedendo ad Akane di portargli degli abiti più eleganti.

«No, ma presumo sia qualcosa riguardante il torneo. Non ha ceduto la Zanmato a Kikyou, ho sentito che ella l’ha rifiutata.»

La notizia fece sgranare gli occhi al mezz’elfo che si rivestì in fretta e si diresse alle stanze del possente alato.

«Nonno, ho saputo che mi desiderate parlare.» disse entrando e inchinandosi.

Adocchiò la spada di Ragnarok appoggiata su un piedistallo accanto alla sedia su cui era seduto il demone: strano, essa era solitamente custodita in una grotta sotterranea, non per niente il mezzo demone l’aveva solo vista un’altra volta, durante il banchetto quando Raizen annunciò l’inizio del torneo, per quanto ne avesse sentito parlare.

«Kikyou ha detto di non meritare la spada di Asura perché non abbastanza forte. È dell’idea che se tu avessi avuto anche solo altri sei mesi di tempo per allenarti e perfezionare le tue tecniche nuove, l’avresti sconfitta facilmente. Senza falsa modestia e vanità inutile, dimmi il tuo parare a riguardo.»

«Non so se sei mesi sarebbero stati sufficienti e non so quanto “facile” sarebbe stato sconfiggerla, ma avrei certamente vinto e non sarei svenuto.»

Raizen annuì.

«Non sarai nominato Imperatore, hai detto tu stesso che non vuoi il trono, e Kikyou è decisa a sfidarti in futuro per reclamarla, ma, per ora, la Zanmato è tua. Con essa il tuo fuoco nero sarà rafforzato, sia che essa sia con te, sia che non lo sia. Otterrai i poteri dell’Imperatore ma non la sua longevità: finché il trono rimarrà a me, tu avrai a disposizione il grande potere di Asura, ma sarai libero di viaggiare per Tamriel, mentre io continuerò ad essere legato alla fonte del potere di Obras.»

«Che significa?»

«Attraverso la spada di Ragnarok, all’Imperatore viene passata l’energia della Bocca Infernale, ma questo è sia un punto di forza che di debolezza: l’Imperatore di Hellgrind ottiene poteri assoluti sul fuoco nero, ma il suo potere rimane legato a Dimora degli dei. Io posso lasciare la città quando voglio, ma facendolo, perdo tutta la mia energia demoniaca. Ora tu possiedi i grandi poteri del fuoco nero che sono sempre stati solo in possesso del sovrano di Hellgrind, ma continuerò io ad essere legato a Dimora degli dei e non possiedo più la supremazia sul fuoco nero, per quanto continuo a mantenere i poteri sviluppati in settemila anni di vita. Quindi, se te lo stai chiedendo, sono ancora il demone più potente di Hellgrind. Forse fra cento anni potrai sconfiggermi, ma ancora devi migliorare.»

Siirist era a bocca aperta mentre il nonno adottivo afferrava il fodero della Zanmato e la passava a lui. Gli disse di impugnarla sull’elsa e riprese a parlare.

«Nel nome di Obras e di Asura, tu sei il mio successore. Nella pace dell’oscurità e nella freddezza del fuoco, sempre bruceranno gli animi dei demoni.»

 

 

 

~

 

 

 

Scusate il ritardo, sono stato impegnatissimo per ragione elencate sotto.

 

Il prossimo capitolo si intitola (finalmente!) RITORNO A VROENGARD e sarà pubblicato domenica 17 febbraio; scusate la pausa, ma i capitoli non sono pronti se non per qualche scena e ho da preparare un esame per il 14, perciò non ho molto tempo. Finiti i giri che Siirist ha accennato ad Aìthlin, ritornerà all’isola dei Cavalieri, ma solo per ritrovarsi una brutta sorpresa. 

Ritorna all'indice


Capitolo 85
*** RITORNO A VROENGARD ***


RITORNO A VROENGARD

 

Siirist stava seduto a gambe incrociate su una terrazza naturale che si estendeva da una delle montagne a nord di Kami no seki. Da lì, osservava la sconfinata pianura in cui si ergeva la capitale dei demoni e la colossale arena che l’Imperatore aveva deciso di tenere nonostante il torneo per la spada di Ragnarok fosse finito. Il sole stava per sorgere e i colori dell’alba stavano illuminando tutto, ma il mezzo demone aveva preferito osservare quella che era stata la sua casa per quasi quarant’anni sotto al simbolo di Obras grazie ai suoi occhi da vampiro. E ora, geloso e prepotente, arrivava Soho a portare la sua fastidiosa luce in mezzo alla calma dell’oscurità del fratello. Gli sarebbe mancata Kami no seki, non c’erano dubbi a riguardo. Avrebbe voluto pensare che sarebbe ritornato, ma sapeva che sarebbe stato difficile, almeno per i prossimi cinquecento anni. Chi sa cosa aveva in serbo per lui il Consiglio, dopo tutti i problemi che aveva causato? Non voleva accettarlo, ma era giunto il momento di ritornare alla Rocca. Almeno avrebbe rivisto Alea, sempre che il Consiglio non li dividesse. Sospirò mentre i raggi dell’astro splendente gli illuminavano il viso. Rorix, grande quanto un mastino, gli si avvicinò.

‹È ora di partire.›

 

Tutto il pomeriggio precedente Siirist era stato con i tre fabbri a lavorare sull’armatura del Cavaliere, che era stata incantata perché si potesse rigenerare automaticamente. Con quel nuovo strato di Adamantite che la ricopriva, era diventata più pesante e leggermente più ingombrante, ma c’era da ringraziare la tecnica di ripiegatura adottata dal fabbro demoniaco che aveva permesso di comprimere il metallo il più possibile. Sempre al cospetto della Forgia Infernale, Siirist aveva infuso le sue tre spade del potere della Zanmato, rafforzando esponenzialmente il potere demoniaco contenuto al loro interno.

Rimandata l’armatura a Oblivion, Siirist aveva lasciato la fucina ed era andato a fare i bagagli, così come Hans e Bhyrindaar, che avevano deciso di lasciare Kami no seki: il primo per andare a Tronjheim assieme ai nani per studiare i metodi di lavorazione nanici, il secondo per ritornare a Rivendell. Tomoko, Eiko e Akane avevano aiutato il mezz’elfo ad organizzare i suoi averi più importanti, tra cui i vari grimori, mentre Akira si era occupato di avvolgere la Zanmato in una fasciatura di fibra d’argento e assicurarla con diversi talismani demoniaci, sia catene d’argento che piccole pergamene. Queste, infuse di potere demoniaco, fungevano da soppressori ed erano ciò che più si avvicinava ai prodotti mistici.

Akira gliela porse, ma il mezz’elfo gli fece cenno di attendere: puntò la mano e, il Cerchio d’argento illuminato, creò un’apertura nello spazio con uno degli incantesimi che gli aveva insegnato Eleril, la Tasca dimensionale, in cui depositò i bagagli. La richiuse e accanto a lui rimase una appena percettibile deformazione nell’aria che indicava la presenza della dimensione creata dal potere magico del mezz’elfo, mentre l’energia per sostenerla continuava ad essere fornita dal Flusso sdoppiato e concentrato nel mignolo destro. Quando ebbe finito, abbracciò i suoi servitori, dicendo loro che si sarebbero rivisti quando avesse risolto la situazione con il Consiglio. Scese nella caverna di Glarald a salutare la Guida ed il drago tigrato e a recuperare le ossa di Tyron, ora molte meno, ma comunque la mancanza si notava appena, che depositò nella Tasca dimensionale. Lì attese l’arrivo di fabbri, nani e orchi, questi ultimi giunti solo per salutare il loro fratello di clan, poiché erano intenzionati a rimanere a Kami no seki e raggiungerlo in futuro assieme ai suoi demoni servitori.

«Tutti pronti?» domandò Bhyrindaar.

«Io sì. Oghren, sei sicuro di non aver dimenticato niente?» rispose Durin.

«Fai silenzio, sbarbatello nel cuore.»

«Tu…» cominciò il nobile nano, la mano che già era andata ad impugnare la sua ascia di marmo nero.

«Non so voi, io sono in trepidante attesa di vedere la mitica Ilirea, quindi potremmo partire, per favore?» domandò Hans.

«Concordo.» risposero Bhyrindaar e Durin.

«Bah.» finì Kondrat.

E con gli ultimi saluti fatti, Siirist dislocò tutti alla città perduta. Gli sguardi di meraviglia dei fabbri e Durin erano da ritrarre, mentre l’espressione ebete e annoiata di Oghren, che era impegnato a scavare nella narice come fosse una miniera, poteva benissimo essere ignorata: tanto, se non si aveva a che vedere con una bella e sanguinante battaglia, con una bella donna o una bella bevuta, poteva anche finirgli il mondo davanti, Barba di fuoco non sarebbe stato interessato. Siirist andò da solo alla sala del tesoro e inserì tutte le ricchezze nella Tasca dimensionale per poi tornare dagli altri e dislocarsi alla sua abitazione a Tronjheim.

Il momento in cui i nani realizzarono di essere ritornati a casa, caddero in ginocchio e misero la fronte a terra, mantenendo gli occhi chiusi: Siirist si era aspettato un simile comportamento da Durin, ma certamente non da Oghren. Infatti, come per non deluderlo, dopo pochi secondi di rispetto verso la Pietra, Kondrat salutò e si diresse alla taverna mentre Dorrak continuava a pregare e ringraziare Titano.

«Impressionante. Ma noto lo stile altmer più che quello nanico.» osservò Bhyrindaar.

«Questo perché siamo nella mia abitazione. Ora andiamo al palazzo reale.» rispose Ryfon.

Tutti e quattro uscirono dall’abitazione e si diressero al cilindro in cui era costruita la città. Intrapresero la strada discendente, i due fabbri che rischiavano di spezzarsi il collo da soli per quanto ruotavano la testa.

«Affascinante.» commentò l’elfo guardandosi intorno.

«Avete deciso di voler rimanere?» domandò Ryfon.

«Non nego che mi piacerebbe. Ma ho lasciato la mia bottega per troppo tempo, è bene che io ritorni. Hai già deciso cosa farai, una volta finito qui, Hans?»

«Non ancora.»

«Faresti bene ad aprire una tua bottega, ma sconsiglio di ritornare a Skingrad, a meno che ti manchi. Un fabbro delle tue capacità avrebbe molto successo in una grande città umana come Arcadia. Oppure Bevelle o Zanarkand, se preferisci rimanere a Spira. Se, invece, non desideri aprire una armeria tua, sei sempre il bene accetto a Imladris: ma questa volta solo come mio assistente, non come apprendista.» gli sorrise.

«Mi lusingate, ma temo stiate esagerando, ho ancora molto da imparare da voi. So forgiare da solo armi in Adamantio, ma l’Adamantite continua ad essere troppo complessa per me.» scosse la testa con umiltà.

«Ti stai sottovalutando.» gli mise una mano sulla spalla per incoraggiarlo.

Quando raggiunsero l’ultimo piano della città, le porte del palazzo reale si aprirono ed uscì un nano che vestiva dei colori Alftand.

«Fratello Siirist e nobile Durin, ben ritornati, io sono Nalkk, vice-re di sua durezza Orik. Per quanto la vostra presenza qui sia sempre bene accolta, sono sorpreso di rivedervi, per di più con altri due stranieri, uno dei quali un elfo: potrei sapere il motivo della vostra venuta?»

«È tornato anche Oghren, che ora sta indubbiamente a prosciugare tutta la birra della taverna di Erthic. Io sono ritornato per donare le ricchezze di Ilirea pattuite con Orik e per assicurarmi che i Guanti di Luce siano ancora al sicuro. Non vi preoccupate per la presenza di un elfo, ripartirà con me, mentre l’umano rimarrà qui per imparare i segreti della lavorazione delle armi naniche. Spero non sarà un problema. Per sapere perché è ritornato Durin, chiedetelo direttamente a lui.»

«Certamente, non sarà un problema, no…» rispose esitante il reggente.

«Avevo bisogno di ritornare ai Beor, ho avvertito troppo la mancanza della Pietra in questi anni, ma sia io che Oghren ripartiremo tra qualche settimana. E non preoccupatevi per l’umano, mi prenderò io la responsabilità di badare a lui.» disse Dorrak.

«Ora che questa faccenda è risolta, scusatemi, ma devo andare alla sala del tesoro.»

Siirist lasciò i fabbri con Durin fuori dal palazzo reale e si dislocò a pochi metri dalle guardie che si presero un colpo e per poco lo attaccarono, ma, avendolo riconosciuto, abbassarono le loro asce.

«Perdonatemi per lo spavento. Sono venuto a depositare i tesori che ho promesso a Orik e ad assicurarmi che i Guanti di Luce siano ben custoditi.»

«Certamente. Ma non abbiamo la chiave per aprire la serratura.» gli rispose uno dei nani.

«Nessun problema.»

Richiamato il sangue demoniaco, generò una potente fiamma nera nel palmo sinistro e le diede la forma di una lancia che bucò la serratura da parte a parte.

«Non vi preoccupate, soltanto una persona all’interno della Setta dello Scorpione possiede questo potere, e se fosse lui ad attaccarvi, nessuno di voi sopravviverebbe comunque. E mi assicurerò di ricreare una nuova serratura.»

I nani annuirono ed il mezz’elfo entrò nell’ampia sala del tesoro. Era sconfinata, con colonne squadrate ad intervalli regolari che la dividevano in innumerevoli rettangoli da otto metri per cinque. Dappertutto vi erano pile e pile di pietre e metalli preziosi, gemme dell’anima, monete. Trovato il primo punto non troppo sommerso da ricchezze, Ryfon aprì la Tasca dimensionale e fece uscire un quantitativo di tesori pari a cinquanta milioni di guil, poi cercò i Guanti di Luce. Li trovò su un piedistallo, protetti all’interno di una teca di Cristallo. Era sorprendente come i nani non avessero sostituito il materiale elfico con il loro mithril.

‹Dovresti portarli via. Custoditi da te, saremo sicuri che gli Scorpioni non se ne potranno impossessare.› disse Rorix.

‹Ci ho già pensato. Ma non dimenticare ciò che ci ha detto Siiryll, le Reliquie si riuniranno, è destino. Preferisco affrontare Azrael quando le possiede tutte, quando so che ho una possibilità, per quanto infima, di vincere, che farlo contro solo la Spada di Luce quando so che sarebbe destino per me perdere.›

‹Perché, scusa?›

‹Se è inevitabile che le Reliquie si riuniscano, se sono io a proteggerne una, significa che mi ammazzano per prenderla.›

‹Sì, capisco che intendi. Ma lo trovo assurdo, io non credo nel destino, noi ci scriviamo da soli il nostro futuro.›

‹Non sempre, amico mio. Era destino che io e te ci incontrassimo, e pensa a come è successo: Evendil aveva bisogno di far riparare Lin dur, perciò venne a Skingrad. Ci sono certi eventi che devono succedere, e non importa cosa si fa per evitarli, avranno comunque luogo. Senza contare che, portando via i Guanti ai nani, tradirei la loro fiducia, e sappiamo per certo che ne ho bisogno se voglio vincere.›

‹“I sette riuniti”, eh?› chiese retorico e poco convinto il drago.

Il Cavaliere annuì all’interno della sua torre mentale, seduto sul suo trono. L’Inferno, adagiato sulle sue cosce, lo fissò e scrollò le spalle, per poi abbassare la testa e mettersi a dormire.

‹Come ti pare. Ora dormo in attesa del tuo arrivo, sbrigati.›

Siirist uscì dalla sala del tesoro e, richiuso il portone, generò della sabbia dal terreno che andò a prendere la forma della serratura precedente per poi diventare marmo nero. E ancora Siirist ebbe un senso di fastidio a pensare che quello era il suo limite, mentre Gilia avrebbe potuto modificarla ancora, se avesse voluto. Ma tanto ne avrebbe scoperto il segreto, si disse. Salutò le guardie e ritornò da Bhyrindaar con la dislocazione. Vedendo che era ora di salutarlo, Hans si inchinò al maestro.

«Vi ringrazio infinitamente per tutto ciò che mi avete insegnato. Spero ci rivedremo presto, fino ad allora, che le stelle vi proteggano.»

«E che la tua lama resti affilata.» gli sorrise l’altmer.

E salutato Durin, Siirist si dislocò con il vecchio fabbro a Rabanastre.

«Faccio un salto a Oblivion per lasciare il resto del tesoro di Ilirea e poi andiamo verso la Foresta Antica. In cucina c’è tutto il necessario per preparavi una tazza di tè, se volete.»

«Molte grazie.»

Il mezz’elfo scese nel seminterrato ed attivò il portale per la dimensione daedrica, che lo portò all’ottavo piano. Si dislocò sotto alla tana di Ifrit e creò una nuova stanza nel terreno, dove depositò le ricchezze. Poi, pensando che era da un po’ che non lo vedeva, si dislocò al cospetto dell’Esper.

«Padrone, ben trovato.» gli disse con un cenno della testa.

«Spero di non disturbare. Sono venuto così tante volte a depositare i miei averi, mi sembrava scortese farlo di nuovo senza salutarti.»

«Sono felice tu lo abbia fatto. Sento che il giorno in cui avrai bisogno della mia forza è vicino.»

Quelle parole, che certamente non avevano un intento simile, scoraggiarono il Cavaliere: davvero avrebbe presto avuto bisogno di invocare un Esper? Non era certo un buon segno. Chi, oltre ad un successore di Obras, lo avrebbe potuto spingere al punto di ritrovarsi costretto ad invocare uno dei custodi di Oblivion? Che il suo fatidico duello con Raiden fosse più vicino di quanto pensasse?

«Allora spero me la vorrai prestare.»

«Sarà un onore.»

Entrambi fecero un inchino e Ryfon usò la chiave dimensionale per ritornare a Rabanastre.

‹Questi Esper e le loro premonizioni. Non mi piacciono. Dovremo stare più attenti del solito d’ora in poi.› disse con un basso rantolo Rorix.

‹Concordo.›

Siirist ritornò a piedi al piano terra della casa e trovò Bhyrindaar comodamente seduto su una poltrona a sorseggiare una tazza di tè. Come lo vide riapparire, il fabbro appoggiò la tazza e fece per alzarsi.

«Finite pure con comodo, non c’è fretta.»

L’altmer ringraziò e finì la sua bevanda. Quando l’ebbe consumata, si alzò per lasciare la tazza nel lavandino, ma il mezz’elfo la cancellò con il Vuoto, dicendo che ne avrebbe potute ricreare infinite con la sua magia di creazione, perciò usò la dislocazione per portarsi nel punto più lontano in cui arrivasse il suo occhio mentale dopo essere entrato in stato di calma assoluta e aver esteso il colore dell’osservazione. Ripeté l’operazione una sette volte e arrivarono finalmente al confine con la Yaara Taure.

«La dislocazione è indubbiamente un metodo di trasporto pratico.» commentò l’elfo.

«Se possedessi un legame comune con il Flusso, non me ne potrei permettere così tante.» rispose.

«No di certo.» ridacchiò.

Non erano passati nemmeno quindici minuti da quando erano entrati nel regno elfico, che furono raggiunti da un gruppo di soldati bosmer, ognuno in groppa ad uno splendido cavallo e c’erano due animali in più che li seguivano.

«Avevamo sentito del vostro arrivo, Cavaliere d’Inferno. Mastro Bhyrindaar, è un onore fare la vostra conoscenza. Permetteteci di scortarvi a Imladris.»

Vista la magia che permeava la foresta elfica, usare la dislocazione sarebbe stato impossibile, quindi avere dei cavalli sarebbe stato comodo. Ma, una volta arrivati alla regione altmer, avrebbe potuto raggiungere la capitale con qualche dislocazione come aveva fatto per percorrere il deserto di Dalmasca.

«Ve ne siamo grati, ma non sarà necessario andare fino a Rivendell, basterà raggiungere il limitare settentrionale della foresta.» rispose alla guardia.

«Come desiderate.»

A differenza di quando aveva percorso quel tragitto con Glarald, quando avevano dovuto evitare le strade e muoversi in mezzo alla fitta foresta, per di più a piedi nella neve, seguendo la strada principale che raggiungeva Ellesmera e da lì proseguiva nord, in sella ai cavalli che mantenevano una velocità media di settanta chilometri orari, raggiunsero il limitare settentrionale della foresta in appena tre giorni.

‹Bah, con me ci avresti messo solo qualche ora, e senza nemmeno i Ruggiti. Non capisco perché ti ostini a non venirmi a prendere.› disse Rorix.

‹Non posso portare Bhyrindaar al nido degli Inferno.›

‹Bah.›

«Grazie infinite, ora proseguiremo con la dislocazione.» disse Ryfon ai soldati.

Questi annuirono e, come l’altmer e il mezzo furono smontati da cavallo, salutarono e si allontanarono.

«Si ricomincia…» mormorò Bhyrindaar.

«Vi danno fastidio le dislocazioni?»

«Un poco. Mi fanno girare la testa.» ammise.

«È normale che facciano questo effetto se usate ripetutamente. Se ripenso ai miei allenamenti con l’arte della Tenebra mi viene la nausea.»

L’alto elfo ridacchiò e quasi non si accorse di aver percorso oltre cento chilometri in un batter d’occhio; realizzò cosa era accaduto solo quando notò che l’ambiente circostante era cambiato.

«Vi prego di avvisarmi, almeno posso chiudere gli occhi…»

«Chiedo scusa. Siete pronto?»

«Sì.» rispose abbassando le palpebre.

Quando, finalmente, Siirist riuscì a vedere la capitale altmer con il suo occhio mentale rafforzato dall’Ambizione, si dislocò per la quinta volta, arrivando di fronte al cancello che chiudeva la grande vallata. Gli odori estivi che permeavano l’aria arrivarono alle narici del mezz’elfo con immenso piacere.

«Casa…» non riuscì a non sorridere il fabbro.

Siirist annuì. Non condivideva il pensiero dell’altro, la sua casa era Kami no seki, ma c’era qualcosa di speciale in Rivendell, quello era innegabile.

Nel vedersi apparire fuori dal nulla due persone, le guardie del cancello sobbalzarono, ma subito riconobbero Bhyrindaar e, di conseguenza, capirono chi fosse quello al suo fianco anche con l’assenza del drago rubino.

«Mastro Bhyrindaar, bentornato a casa, Cavaliere d’Inferno, che le stelle vi proteggano entrambi.» dissero con due inchini.

«E che le vostre lame restino affilate.» rispose il mezz’elfo.

«Grazie, è bello essere a casa.» disse il fabbro.

Accortosi che Siirist era pronto a dislocarlo ancora, Bhyrindaar gli fece cenno di aspettare.

«Preferisco camminare ora.»

«Capisco.» annuì.

Effettivamente sarebbe stato bello camminare nella vallata e risalire la salita che portava all’ingresso della città, ma Ryfon non aveva tempo da perdere, perciò salutò il fabbro dopo averlo ringraziato ancora e si dislocò fuori dalla porta di villa Ilyrana. Le guardie personali di Elisar reagirono come quelle cittadine prima di inchinarsi di fronte al mezz’elfo.

«Bentornato, Cavaliere d’Inferno.»

«Grazie.»

Aprì la porta ed entrò. Non era nemmeno arrivato alla scalinata che portava al salotto, che fu raggiunto da Elénaril.

«Sia lodato Soho.» disse abbracciandolo.

«Non direi, ma lasciamo perdere.»

«Non metterti a pregare Obras in casa mia, Siirist.» disse l’appena giunto padrone di casa.

«Abituatevi, Elisar, prima o poi dovrete conoscere gli appartenenti alla mia famiglia demoniaca.»

«Quel giorno non sarà mai troppo lontano.»

«Siete un razzista.»

«Hmpf.»

«Alea? Avrei sperato di trovarla qui, visto come la notizia del mio ritorno sia stata resa pubblica.»

«Non lo sai?» chiese sorpresa Elénaril.

«Cosa?»

«Il tuo ritorno è stato tenuto segreto dal Consiglio. È venuto qui due giorni fa Aulauthar per informare il principe e noi che saresti passato per visitare la tomba di Eleril prima di tornare a Vroengard, poi il principe lo ha comunicato alle guardie cittadine, mentre Syrius si è occupato di parlarne con re Aesar. Gli unici in tutta la Foresta Antica a sapere del tuo arrivo siamo noi, le guardie della mia casa, il re, il principe, le guardie di Imladris e la pattuglia che ti ha scortato lungo il territorio bosmer.» spiegò Elisar.

«Perché?»

«La Gilda dei Ladri ha scoperto che la Setta dello Scorpione si sta preparando ad attaccare Vroengard, perciò il Consiglio ha pensato fosse meglio tenerti nascosto e usarti come arma segreta. A Vroengard nessuno sa del tuo imminente ritorno al di fuori dei dieci.»

«Capisco. Di quanto è vecchia la notizia dei preparativi della Setta?»

«Meno di un mese.»

«Allora è bene che non perda tempo. Avrei preferito restare qui un paio di giorni, ma devo andare. Ma prima, vi chiedo scusa per essere stati arrestati da Delmuth a causa mia.» disse inchinandosi.

«Non ti preoccupare. Piuttosto, è a causa nostra che sei finito nei guai con gli Anziani.» scosse la testa la donna.

«Delmuth se l’è cercata. Quando mai riprenderà i sensi, ci penserà duecento volte prima di attaccarvi ancora.»

«È una fortuna che non fossi così forte quando ci siamo incontrati la prima volta.» commentò Elisar.

«Non avete idea.» ringhiò il mezzo demone, l’immagine di Alea martoriata che gli ritornò in mente e lo fece imbestialire.

Congedatosi, lasciò villa Ilyrana e andò al rudere dell’abitazione dei suoi avi. Entrò nella cripta del sesto Cavaliere d’Inferno ed essa si illuminò magicamente, precedendo un sonoro sbadiglio da parte del non-morto.

«Ah, Siirist! Da quanto tempo! Cosa posso fare per te? Sei pronto a sapere degli angeli?»

«Purtroppo non ho tempo, devo andare il prima possibile a Vroengard. Ritornerò appena possibile per sapere degli angeli, ma ora c’è una questione più importante che va affrontata.»

«Dimmi.»

Siirist annuì e si tolse la tunica elfica, mostrando i segni rossi che, scendendo dal capo, gli ricoprirono il petto dopo essersi trasformato in draconiano. L’espressione sbigottita di Eleril era la più sincera che il suo antenato avesse mai mostrato. Da vero elfo, aveva sempre un’espressione indecifrabile, come Aulauthar faceva sì di avere sempre un’espressione serena in volto, non si era scomposto nemmeno quando il mezzo demone gli avesse mostrato la sua forma demoniaca. E ora era a bocca aperta a guardare il suo successore raggiungere uno stadio successivo della forma draconiana rispetto a quello che aveva raggiunto lui.

«Come è… possibile…?»

«Non chiederlo a me.»

E gli raccontò tutto quello che era successo, il tradimento della sua coscienza demoniaca, la conquista delle spade, come Rorix fosse intervenuto per aiutarlo. E gli spiegò quanto quel nuovo livello fosse superiore alla forma draconiana base, come addirittura il Lampo era sembrato più semplice da mantenere, come la calma assoluta venisse quasi soppiantata dalla furia animalesca.

Rimasero a lungo a parlare, ad analizzare ogni dettaglio del nuovo livello, a tentare di farlo evolvere ancora, ad assicurarsi che Siirist rimanesse sempre e comunque in controllo delle sue azioni.

«Rimarrò a meditare su questo nuovo stadio. Fino a che non ne sappiamo più a riguardo, cerca di ricorrere il meno possibile alla forma draconiana.»

«Credo sia una buona idea, sì.» rispose mentre finiva di mangiare la sua crostata di ciliegie.

Riaprì la Tasca dimensionale e depositò le vettovaglie che aveva sparso sul pavimento.

«Vedo che la mia Tasca dimensionale ti fa comodo. Non possedevo la capacità di mettere sotto sigillo oggetti inanimati, perciò usavo la Tasca dimensionale per trasportare tutte le mie armi per usarle quando era necessario. Ma era sempre un peso dover sacrificare parte del mio Flusso.»

«Non ti lamentare, avevi un legame addirittura maggiore rispetto al mio!»

«Ma un solo Cerchio d’argento.»

«È vero. La mia ignoranza mi è stata utile. A proposito di Tasca dimensionale, ho qualcosa per te. Non sono ancora tornato al nido degli Inferno per riconsegnare le ossa di Tyron, perciò ho pensato saresti stato felice di avere una parte di lui qui dentro.» disse estraendo una zanna dalla dimensione magica.

Eleril sorrise commosso e annuì, prendendo felicemente in mano la gigantesca zanna. Era lunga una trentina di metri ed era addirittura una delle più piccole; dal sarcofago bianco arrivava quasi alla porta.

«Grazie.»

Con un ultimo saluto, il giovane Ryfon uscì dalla tomba e fu investito dalla pallida luce della luna piena che si ergeva alta e fiera in cielo. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo, comprendendo appieno la gioia del Cavaliere d’Alba di essere riunito al suo compagno mentale, anche se si trattava solo di una zanna.

‹Fai poco il sentimentale e vienimi a prendere, allora!› esclamò Rorix.

‹Eccomi.›

E, grazie al legame con il drago, vide davanti a questi un punto libero per una rilocazione, e si dislocò.

Apparve di fronte al compagno mentale e rimase sbigottito. Egli era diventato gigantesco, era cresciuto ben più di quanto avrebbe dovuto fare in sei anni, era quasi il doppio di una volta, alto quindici metri al garrese, il collo lungo otto metri, il corpo sui venti, la coda poco più corta e un’apertura alare di oltre quaranta metri. E nonostante il loro legame mentale, Ryfon tremò leggermente al cospetto del suo Inferno. Aveva sempre la mandibola liscia, le corna ben delineate come mortali sciabole e non seghettate, ma i suoi occhi, se non per il bianco della sclera, erano ormai come quelli degli Inferno selvatici. Avevano la stessa aria di superiorità, di sufficienza, di disprezzo per quelle insulse formiche che camminavano ai loro piedi. E ciò non cambiava anche guardando il suo Cavaliere. Rorix si chinò e allungò il collo per arrivare a guardare il bipede da vicino: il capo era così grosso che se lo sarebbe potuto mangiare in un boccone e per qualche ragione, al mezz’elfo venne questo timore.

‹Non essere ridicolo. È bello rivederti.› disse, arrivando con la punta del muso a pochi centimetri dalla fronte del biondo.

‹Hai ragione. Ma fai impressione.› rispose, appoggiando il suo capo al muso del rettile e prendendogli la mandibola con le mani.

‹Hehe.›

Bentornato, Toor Dovahkiin. Spero tu abbia mantenuto la tua promessa e riportato le ossa del sesto dono. arrivò il guardiano del nido.

Naturalmente. Vado subito al cimitero a depositarle.

Grazie.

No, grazie a voi.

Per la prima volta in sei anni, Rorix si rimpicciolì e ci mise un po’ ad abituarsi alle dimensioni del suo corpo. Ringhiò infastidito quando si accorse di avere difficoltà a volare ed il suo ringhio si fece anche più intenso quando si vide raccolto dal Cavaliere, che poi lo appoggiò sul suo capo.

‹Ti riabituerai.›

‹Sì…› rispose svogliatamente.

Con un inchino, Siirist si dislocò al cimitero degli Inferno nel punto in cui si erano precedentemente trovati i resti di Tyron, aprì la Tasca dimensionale ed estrasse tutte le ossa, che poi magicamente ridispose per riformare lo scheletro del drago mastodontico.

‹È proprio grande.› osservò ancora Rorix.

‹Di questo passo sarai come lui tra cento anni. Come diavolo hai fatto a diventare così grande in sei anni?›

‹La magia draconica ha stimolato la mia crescita. I draghi selvatici sono tutti più grandi di quelli addomesticati proprio perché questi ultimi non conoscono i veri segreti dei Ruggiti. Guarda gli altri cinque scheletri degli Inferno dell’Ordine, a confronto di Tyron sono insignificanti, e questo perché Tyron, come me, imparò la vera magia draconica.›

‹Capisco.›

Rorix fece per scendere dalla testa del suo Cavaliere, ma questi lo fermò.

‹Perché?›

‹Sarà l’alba fra poche ore, ormai. Anche se ho fretta, preferisco passare queste ultime ore a Kami no seki.›

‹D’accordo.›

 

Rimessa a Rorix la sella estratta dalla Tasca dimensionale, Siirist gli salì in groppa ed il drago calciò da terra, volando verso ovest e lasciandosi alle spalle la capitale demoniaca, con il sole che li illuminava da dietro. Usò un Ruggito che lo fece andare a velocità supersonica, lasciando dietro di sé una scia azzurrina, e in poco più di tre ore raggiunse Vroengard, il sole che era sempre parso essere alla stessa altezza sull’orizzonte a causa del fuso orario. Ma anche senza l’aiuto di Soho, Vroengard sarebbe apparsa come un faro nella notte, con tutti gli incantesimi che volavano e illuminavano l’intera isola, fiamme che ardevano furiose nella Rocca, in mezzo alla foresta e anche dove una volta si era trovato il villaggio. Erano arrivati troppo tardi. Perché gli Scorpioni dovevano sempre attaccare di notte?!

Siirist estese la sua coscienza alla ricerca dei suoi amici. Appena trovata la prima persona che necessitava aiuto, gli occhi rossi, ringhiò e si dislocò.

 

 

 

~

 

 

 

Il prossimo capitolo si intitola L’EPURAZIONE che sarà pubblicato domenica 3 marzo. La Setta dello Scorpione e i suoi alleati di Valendia attaccano la Rocca.

Ritorna all'indice


Capitolo 86
*** L'EPURAZIONE ***


L’EPURAZIONE

 

Quarantacinque anni erano passati dal furto del Pomolo, ne mancavano solo cinque alla completa restaurazione del potere della Spada: a quel punto Azrael avrebbe avuto il potere necessario per essere inarrestabile. E Siirist era ancora a Hellgrind.

Alea era seduta sulla spiaggia di Vroengard dove si era svolta la festa per il diciassettesimo compleanno di Siirist e guardava il sole nascente a sinistra con la guancia destra appoggiata alle ginocchia e le braccia che le cingevano le gambe. Di recente aveva avuto difficoltà a dormire, aveva avuto incubi in cui la Rocca veniva attaccata da grandi macchine da guerra e ogni sorta di arte mistica era inutilizzabile. Aveva visto il suo capitano, quello della sesta brigata e quello di Gilia venire abbattuti assieme ai loro luogotenenti, Aulauthar era stato schiacciato da uno di quei golem metallici, persino Gilia era stato incenerito da un raggio di energia. Quando quella grande lama con piccole lame che le roteavano intorno l’aveva raggiunta, la vista dell’elfa si era offuscata. E a quel punto si svegliava. Per giorni e settimane aveva avuto sempre lo stesso sogno. Era stato come quando era entrata in contatto con lo Hast Orn, aveva avuto delle visioni di altri luoghi e altri tempi, ne era certa. Ripensò ai sogni che era stato solito avere Siirist, in cui la sua Ambizione e il suo Flusso entravano in contatto e gli permettevano di dare uno sguardo al futuro. Eiliis, raggomitolata su se stessa ai suoi piedi, sentì l’arrivo di qualcuno di conosciuto e il loro legame mentale permise anche alla Cavaliere di captarlo.

«Eccoti.» disse Gilia.

Alea non rispose.

«Questa sera è molto fresca, tieni.» le disse appoggiandole un mantello sulle spalle.

Lei portò le mani all’orlo e si strinse ancora di più in se stessa.

«Ancora quei sogni?» domandò sedendosi a sua volta.

Asthar era andato a stendersi accanto al mare che giungeva ritmicamente sulla sabbia per poi ritirarsi e ritornare ancora, e ancora e ancora. Gli piaceva la spuma in faccia, lo solleticava. Eiliis non avrebbe mai fatto niente di simile, era troppo altezzosa. Ancora la altmer non parlò, ma annuì debolmente. Il cielo era ormai chiaro ed il sole era completamente sorto ed aveva iniziato il suo percorso verso ovest.

«Non c’è altro che possiamo fare, il Consiglio ha rinforzato ulteriormente i turni di guardia sia qui che in ogni altra sede dell’Ordine e i Guanti sono ancora al sicuro a Tronjheim.»

«L’ho visto, non potevamo usare le arti mistiche.»

«Lo so, lo sappiamo tutti, l’ha scoperto Siirist, ricordi?»

«Lo so, ma era diverso. Non erano solo i cuori degli EA, c’era qualcos’altro e noi non sapevamo cosa. E mentre cercavamo la risposta, venivamo massacrati. Senza i nostri poteri, pochi di noi hanno la forza fisica necessaria per contrastare quei golem di metallo. Io ho appena 38mila douriki fisici, e sono tra i Cavalieri più dotati escludendo i membri del Consiglio e te. Era orribile.» disse trattenendo a forza le lacrime e i singhiozzi, ma non poté evitare alla sua voce di rompersi.

Il moro le mise un braccio attorno alle spalle e la strinse a sé per rassicurarla.

«Andrà tutto bene, vedrai. Abbiamo i nostri possenti draghi dalla nostra, ricordi?»

«Questa è la parte più spaventosa: in nessuno dei sogni ho mai visto i draghi.»

Gilia strinse la mandibola e corrugò la fronte: Alea lo sentiva anche senza vederlo, percepiva anche i movimenti più impercettibili del suo corpo. Lo conosceva troppo bene. Si mosse e le prese il lato della testa con la mano mano e le avvicinò la bocca all’orecchio. Le sussurrò una frase che ella non riuscì a comprendere appieno e poi tutto si fece buio.

 

Ashemmi gli aveva insegnato quell’incantesimo di sonno che avrebbe finalmente fatto dormire la sua amica. Era da troppo ormai che la vedeva deperita, con pesanti occhiaie e lo sguardo morto. Se davvero gli Scorpioni erano intenzionati ad attaccare con una simile forza, Alea avrebbe avuto bisogno di essere in forma smagliante. La guardò volare via in groppa alla sua dragonessa, legata alla sella di questa. Eiliis avrebbe pensato a metterla a letto.

‹Il mare ha un odore insolito.› disse Asthar.

Gilia guardò verso il suo compagno e gli diresse il suo punto interrogativo mentale.

‹C’è qualcosa nell’acqua, qualcosa che non dovrebbe esserci, qualcosa che ne sta distruggendo l’ecosistema. È qualcosa di mai visto, deve essere di origine straniera.›

‹Di un altro continente?› si preoccupò l’uomo.

‹Possibile.›

‹Andiamo ad avvisare il Consiglio.›

 

«Tra quanto raggiungeremo l’isola dei Cavalieri dei draghi?»

«Dodici ore, signore.»

«Molto bene. Assicurati che tutte le truppe siano pronte. Gli EA devono essere pronti al lancio appena siamo a dieci chilometri dall’isola. E ricontrollate gli inibitori e gli ultrasuoni delle armature nevec, non possiamo permetterci errori, la nostra vittoria dipende da essi.»

«Certo, signore.»

Il comandante della nave da guerra uscì dalla cabina di pilotaggio e raggiunse il loro alleato, lo Scorpione, una donna dai lunghi capelli corvini tenuti in una coda da cavallo, con un viso incantevole come pochi e le forme suadenti. Aveva degli occhi azzurri che quasi sembravano lilla e una carnagione molto chiara. Tutti i suoi sottoposti sulla nave l’avevano desiderata il momento in cui l’avevano vista, specie quando l’avevano vista imbracciare uno dei loro mitragliatori. Non sapeva spiegarsi cosa fosse, ma vedere una bella donna imbracciare un fucile era una delle cose più eccitanti del mondo.

«Ti godi la brezza del primo mattino?» le chiese.

«Niente di così ridicolo: preferisco una spada e un fucile ad un cioccolatino, comandante, non mi paragonare alle altre donne che conosci.» rispose con un tono scocciato.

Ma non alzò lo sguardo, continuò a guardare il mare oltre il parapetto della nave.

«Sto semplicemente guardando come il vostro carburante stia contaminando le acque dell’Emean. Bestie pericolose vivono nelle profondità del mare interno di Tamriel, creature che divorerebbero anche gli abitanti più pericolosi dei mari di Valendia. Le state disturbando, temo potremmo essere attaccati.»

«Se ti stai riferendo ai draghi marini, i nostri ultrasuoni li potranno neutralizzare come faranno con i draghi alati del Cavalieri di Vroengard.»

«I draghi marini non sono le uniche bestie che potrebbero affondare facilmente questa barchetta e il resto della flotta.»

Pareva lo stesse deridendo, ma il tono della donna era sempre piatto. Era una pazza, una pazza che amava sparare e uccidere, che si divertiva a vedere il sangue, ma era così incantevole che nessun uomo le poteva resistere.

«Ti posso assicurare che non sarà facile per nessuna creatura affondare le nostre navi da guerra.»

«Se lo dici tu. Ah, Mysto, bene arrivato, mi stavo stancando di parlare con questo imbecille.»

Il momento in cui la donna passò alla lingua tamrielica, il comandante smise di capire cosa stesse dicendo, ma il nome che aveva pronunciato era quello di uno dei suoi compagni, un altro degli Scorpioni, uno di quelli di cui nessuno dei Valendiani si fidava perché si trattava di un mistico, mago e stregone, dotato di svariati amuleti. Valendia e Thedas erano stati nemici da tempi immemori e i tecnologici di Valendia detestavano i mistici di Thedas. Almeno a Thedas, Tevinter aveva perso il potere che aveva avuto in passato e la Chiesa di Andraste di Ferelden aveva quasi debellato l’uso delle arti mistiche in praticamente tutto il continente; ma per i Valendiani l’odio per le arti mistiche era qualcosa di innato. E ora molti di questi praticanti erano sulle loro navi, questi mistici di Tamriel. E non solo, la Setta dello Scorpione si era alleata persino con l’odiato Thedas! La donna piroettò con un’aria di gioia e serenità, canticchiando una melodia allegra, mentre il mistico la guardava con un’espressione divertita. Il capitano corrugò la fronte; non capiva cosa ella stesse dicendo, ma conoscendola, le parole erano qualcosa di macabro e grottesco.

«Moriranno, moriranno tutti! Tra poche ore avremo epurato questo mondo da quei dannati Cavalieri dei draghi!» disse infine, per poi scoppiare in una fragorosa e sentita risata, ma, ancora una volta, il capitano non capì.

 

Quando la grande campana della torre di vedetta risuonò, Gilia scattò in piedi e fece cadere il libro che stava leggendo, corse in bagno per svuotarsi, mangiò qualche frutto e si preparò alla battaglia. Sapendo che c’era il rischio di non poter fare uso delle arti mistiche, invocò tutti i suoi amuleti non incantati ma recanti pietre preziose cariche di energia e la sua armatura della tigre; tenne la visiera aperta per evitare di ritrovarsi a non poter vedere per via della perdita di efficacia degli incantamenti. Alla vita, oltre alla cintura con Enedome ithil e Caspio, legò quella con Giava e Bali; imbracciò lo scudo rotondo e, uscito fuori, legò alla sella di Asthar lo scudo rettangolare, la Schiacciaossa e Bengala.

‹La balestra.› gli ricordò il fidato drago.

‹Giusto. Si vede che sono ancora addormentato.›

Un anno prima era stato mandato ad Arcadia a conoscere re Orik come rappresentante del Consiglio degli Anziani e di tutto l’Ordine; il motivo per cui era stato scelto lui era il suo controllo del marmo nero e la sua amicizia con il Cavaliere d’Inferno. Il re della pietra era stato molto felice di conoscerlo e gli aveva fatto dono di una pesante balestra che aveva raffigurata una testa d’ariete. Tutte le balestre umane erano basate sui progetti nanici, ma era più che sicuro di non aver mai visto un’arma simile, capace di sparare dardi a ripetizione con una potenza e una gittata migliore di qualunque arco che non fosse di origine elfica. Con un dardo non incantato con la punta di Cristallo rivestito di mithril, era addirittura riuscito a perforare uno scudo di Cristallo incantato contro attacchi fisici. Eimir aveva personalmente applicato uno dei suoi sigilli sul caricatore a tamburo della balestra per far sì che si ricaricasse automaticamente ad ogni sparo, ma purtroppo i Valendiani avrebbero molto probabilmente impedito tale invocazione, perciò Corvinus si ritrovò costretto a richiamare da Oblivion una buona trentina di dardi che mise in una delle sacche della sella di Asthar.

Contattò mentalmente Alea che era stata svegliata da Eiliis e si era subito equipaggiata con la sua armatura di Adamantio e la cintura che reggeva Raama tel’ arvandorea ed il suo pugnale di Adamantio dalla forma tradizionale elfica. Alla sella di Eiliis aveva legato la sua lancia in Adamantio, il suo arco fantasma ed una faretra; un’altra faretra era legata alla schiena.

Come ti senti?

Più riposata, grazie.

Figurati. Te la senti di volare? Forse è meglio che resti a terra, non sei l’unico arciere nella decima compagnia, siete quasi tutti specializzati in attacchi a distanza.

Ma nessuno ha un arco come il mio. Devo andare, il capitano Ascal sta già radunando tutti.

Che succede?› chiese, avvertendo confusione nella mente dell’amica.

Un Cavaliere della sesta brigata...disse incerta.

Gilia aprì un occhio mentale accanto all’elfa e vide un dunmer della sesta divisione consegnare alla altmer una faretra contenente ventiquattro frecce. Avevano un piumaggio rosa e bianco ed un peso sotto ad esso; la fanciulla ne estrasse una e vide che la punta era insolita, si trattava infatti di un blocco metallico dalla forma cilindrica. Chiese al dunmer che cosa fossero e questi rispose che Adeo aveva creato delle frecce esplosive utilizzando la polvere da sparo nanica. Quelle frecce unite alla forza di lancio dell’arco fantasma avrebbero aperto un buco negli EA senza problemi.

Utile.› commentò Corvinus.

Sì. Noi andiamo, manteniamo un contatto telepatico.

Sì.

«Gilia.»

Il moro si voltò e vide arrivare il suo capitano assieme alla sua vice e ai loro draghi, anche essi, come Asthar, grandi due volte un cavallo con archi e faretre legati alle selle. Taniil indossava la sua armatura rosso chiaro, sfumato, in tinta con il suo drago, al fianco destro aveva la sua sciabola, al fianco sinistro una spada corta della stessa fattura. Indossava il suo mantello da capitano, anche esso rosso sfumato, e teneva l’elmo sotto al braccio destro. Era strano vederlo armato e non con una bottiglia di mielassa in mano. I suoi lunghi e mossi capelli castano scuro, però, erano disordinati come al solito, una caratteristica insolita per gli elfi. La vice, Nuala, era nella sua armatura blu scuro, quasi nero, con la sua spada dalla forma tradizionale elfica al fianco sinistro e uno scudo sullo stesso braccio. Un insolito pugnale dalla doppia lama era assicurato alla cintura sul fianco destro.

«Capitano, vice-capitano.» rispose con un leggero inchino del capo.

«Tutta l’ottava divisione è incaricata di proteggere il cancello.» gli ricordò Nuala con il suo solito modo di fare serio.

«Sì, stavo giusto arrivando. Mi sono appena finito di armare e stavo parlando con Alea.»

«Capisco. La decima divisione è già partita in volo?»

«Si stavano organizzando. Ecco, stanno decollando ora.»

«Sei in contatto diretto con Alea, molto bene, questo potrebbe tornare utile. Dille di comunicare ad Ascal di mantenere anche alcuni Cavalieri in volo sopra alla Rocca perché controllino la situazione dall’alto e ci diano manforte con le frecce. Nuala, la settima divisione a che punto è?»

«Stanno ora instaurando il contatto telepatico con tutti i draghi e i Cavalieri della Rocca.» rispose la vice dopo qualche secondo.

Era incredibile come l’Ordine fosse ben organizzato e che in eventi disastrosi come invasioni e grandi battaglie tutto fosse sempre sotto controllo. Però Gilia non poté non ripensare alla notte del furto del Pomolo: anche allora tutti erano schierati con formazioni ben pensate e tutto era costantemente monitorato dalla decima e dalla settima divisioni, eppure Raiden aveva fatto strage di Cavalieri su Cavalieri, tra cui Daratrine, aveva messo fuori gioco Althidon, aveva imbarazzato i quattro Anziani del Consiglio più potenti, aveva ucciso Evendil e morso Siirist senza che nessuno potesse fare niente. E a capo della Setta c’era qualcuno di anche più potente: solo a pensarci a Gilia venivano i brividi.

‹Stai tranquillo, agitarti non servirà a niente.› lo rassicurò Asthar.

‹Lo so, ma sono preoccupato per te. Non mi piace come nelle visioni di Alea non ci foste voi draghi.›

L’Incubo non rispose ma avvicinò il capo alla fronte del Cavaliere e i due restarono così in contatto per qualche momento, prima che l’uomo gli salisse in groppa. Il drago seguì gli altri due degli ufficiali e raggiunsero la piazza principale di fronte al grande cancello.

 

Eiliis era in volo accanto ad altri draghi della decima divisione. Lo stare così vicini le dava un fastidio inesplicabile, amava stare sulle sue più di qualunque altro drago, e quella era una sua caratteristica che non avrebbe mai perso. Non aveva mai volato in uno stormo del genere, il rumore generato da tutti i battiti di ali era come quello di un tuono possente, qualcosa che solo Raijin avrebbe potuto scatenare con i suoi tamburi. La notte era buia, il cielo era coperto da pesanti nubi e tutte le stelle non erano visibili da dove si trovavano loro, ma la vista draconica, migliore di quella elfica, le permetteva di intravedere sufficientemente bene tutto ciò che si muoveva sulla superficie del mare. Alea avrebbe gradito utilizzare un incantesimo per vedere meglio nel buio, ma Ascal lo aveva sconsigliato perché se si fossero improvvisamente trovati incapaci di usare il misticismo, passare da una vista perfetta alla solita sarebbe stato sfavorevole; meglio abituare gli occhi alla notte fin da subito. L’elfa non aveva potuto che invidiare, seppur per un momento, la vista da vampiro di Siirist.

Ora, dividiamoci.› comandò Ascal quando erano arrivati a cinque chilometri da Vroengard.

Proprio come era stato pianificato, i sessanta draghi della decima brigata si divisero in due gruppi e cinquanta (guidati dal capitano) continuarono a volare in avanti, diretti verso la fonte della sostanza aliena presente nell’acqua, mentre i rimanenti dieci, i migliori arcieri, salirono verso l’alto, con Tidus in testa in groppa alla sua celeste Saphira.

Alea guardò verso le nubi che rompevano le scatole al piano: dotata dei migliori poteri magici e dell’arco più efficiente, ella sarebbe dovuta andare oltre le nuvole, ma in quel modo non avrebbe potuto vedere nulla di quello che accadeva sotto. Al momento la magia funzionava ancora, quindi tanto valeva usare un incantesimo per disperderle. Lo lanciò e, ruggendo soddisfatta, Eiliis si slanciò con le ali e sfrecciò oltre tutti.

Fai attenzione.› si raccomandò il luogotenente.

Anche tu.

 

Gilia era seduto con il peso appoggiato prevalentemente sul lato destro e con la mano stringeva la possente mazza che aveva generato con il marmo nero. Era così imponente che il manico arrivava oltre la sua testa, a quasi dieci metri di altezza dal terreno. La parte contundente aveva una forma pentagonale che si faceva sempre più spessa in cima e ogni lato era tempestato da piccole ma terrificanti punte uncinate. Si era armato a dovere con le sue armi di Adamantio, era vero, ma aveva anche pensato che esse erano al loro massimo solo se unite all’uso della magia, quindi tanto valeva usare il marmo nero e creare un’arma capace di negare qualsiasi attacco che i nemici avrebbero portato, perciò aveva rimandato Giava e Bali a Oblivion. Nei giorni precedenti aveva, insieme ad Adamar e Ascal, creato balestre gigantesche che avrebbero sparato enormi arpioni di marmo nero, e tutti i draghi avevano tra le zampe almeno uno di questi arpioni. Nemmeno un EA sarebbe resistito contro un arpione di marmo nero scagliato da un possente drago. E intanto aspettavano.

 

Vedo qualcosa.› disse Eiliis.

Alea guardò attraverso gli occhi della sua dragonessa, i propri tenuti chiusi perché inutili in mezzo a quella oscurità, e vide delle sagome scivolare lungo il mare. Sgranò gli occhi per l’orrore e rabbrividì. Le navi da guerra in avvicinamento erano un’infinità, e non venivano solo da una direzione, bensì avevano completamente accerchiato Vroengard. Richiuse gli occhi e si riconcentrò sulla vista della compagna mentale e vide i draghi guidati da Sephyr, il drago di Ascal, discendere di colpo verso le navi più vicine.

Tutto accadde all’improvviso. 

Anche sotto tortura, Alea non avrebbe mai saputo spiegare cosa era successo, fatto sta che qualcosa, percorse l’aria come un flebile grido e tutti i draghi precipitarono verso il mare. I cannoni delle navi puntarono verso il punto in cui erano caduti draghi e Cavalieri e iniziarono a sparare.

«No!» gridò mentre osservava impotente il suo capitano e i suoi compagni svanire nel dominio di Tenma.

Eiliis e il resto della squadra guidata da Tidus e Saphira erano fuori dal raggio d’azione di quel misterioso attacco, ma anche ai draghi di questo gruppo iniziarono a fischiare le orecchie. La dragonessa bianca ruggì di dolore e scosse la testa come per scacciare il fastidio. Reprimendo una rabbia violenta, Alea invocò una freccia e tese l’arco; la avvolse nel suo Fiume di Stelle prima di scagliarla, e nel suo tragitto verso uno dei cannoni lasciò dietro di sé una scia luminosa azzurra e dorata. Ma non arrivò nemmeno a dieci metri dalla nave che l’incantesimo si dissolse e la freccia di Adamantio non fece altro che bucare il cannone da parte a parte senza danneggiarlo troppo. Almeno prese uno degli uomini sotto ad esso in pieno petto. Istantaneamente i cannoni si voltarono verso di lei e il resto della squadra e spararono all’unisono. I dieci draghi evitarono con non troppa difficoltà i missili, ma quando arrivò l’ultimo, esso liberò lo stesso suono acuto che aveva affondato i cinquanta draghi di prima, e con orrore, Alea sentì la mente di Eiliis spegnersi ed entrambe precipitarono verso la nera superficie.

 

‹Cannoni?› alzò la testa Asthar e guardò verso sinistra.

‹Sì, è lo stesso suono dell’EA che ci ha fatto avere Siirist.›

‹Cosa starà succedendo?›

‹Non lo so, ma spero che Alea stia bene.›

Un’improvvisa furia dell’elfa aveva momentaneamente bloccato il loro contatto telepatico. Tutto d’un tratto Gilia si preoccupò anche di più.

‹Eiliis!› gridò Asthar.

‹Che succede?!›

‹Non lo so… Si è spenta…›

‹È morta?!›

‹No… non credo…›

Gilia! Fate allontanare subito tutti i draghi! Rimanete solo voi Cavalieri! I draghi non possono nulla, li neutralizzano istantaneamente!

Per un momento Alea si era rifatta viva prima di sparire di nuovo.

Alea! Che succede?! Spiegati meglio!

Ma non c’era niente da fare.

«Capitano!» chiamò con urgenza.

«Lo so, sono stato già avvisato dalla settima divisione. Tutti quanti, smontate!»

I Cavalieri obbedirono e una volta che ebbero preso tutto lo stretto necessario da ciò che era stato legato alle selle dei loro draghi, questi volarono via. Nel giro di venti secondi la Rocca fu avvolta nel boato del battito d’ali dei giganteschi rettili mentre questi volavano verso l’alto.

‹Saremo a mille metri di altezza sopra la Rocca e proveremo ad aiutarvi al meglio che possiamo da lì.› disse Asthar.

‹Sì. Fai attenzione. Cercherò di trovare questa loro arma il prima possibile, tu cerca Eiliis e Alea.›

‹Certo.›

«Tutti quanti! Tenete!» richiamò Gilia.

Dal terreno sotto ai piedi di tutti i Cavalieri radunati davanti al cancello si formò una spada di marmo nero.

«Impugnatela e prenderà la forma che più desiderate!» spiegò.

Per sé creò dei dardi per balestra e una spada identica a Enedome ithil che infilò in un incavo che aprì nella gigantesca mazza.

‹Ve la farò pagare, luridi pezzenti.›

‹Gilia, c’è qualcosa in avvicinamento quassù nel cielo. Aeronavi?› lo informò Asthar.

‹Vattene da lì, allora, potrebbero avere anche loro quelle armi anti-drago!›

‹Odio essere così inutile…› ringhiò ferocemente.

‹Non te la prendere, amico mio, sono certo che avrete modo di farvi valere anche voi draghi.›

‹Sì, ma tu fai attenzione.›

Dal cielo piovvero migliaia di persone, tutti umani, guerrieri, soldati armati con Materia di ogni tipo, stranieri dotati di armi sconosciute a Tamriel. Gilia mosse la mazza che ridusse ogni osso in briciole a cinque degli invasori.

‹Si comincia.›

Insieme agli umani atterrarono anche gli EA, che incominciarono a sparare senza alcuna remora. Gilia guardò con orrore tre dei suoi compagni di brigata venire dilaniati da uno dei missili. Un secondo missile arrivò verso di lui, ma la mazza di marmo nero lo neutralizzò. Solo per prova tentò di usare un incantesimo, ma non funzionò; gli spiriti del suo marmo erano ancora attivi, però, e rispondevano alla sua volontà.

‹Ma che?›

Vide Taniil tagliare in due un nemico, sicuramente un Valendiano, vestito con una strana armatura blu con quelle che sembravano linee energetiche luminose che la percorrevano e si concentravano su una grande sfera al centro dell’elmo che richiamava l’idea di un occhio. Alla morte dell’uomo, anche le brillanti linee azzurre si estinsero.

Corvinus entrò in sintonia con gli spiriti nella sua mazza e, per la sua meraviglia, essa cambiò forma proprio come aveva pensato.

Forse i loro inibitori non hanno effetto su spiriti già evocati? Settima brigata, contattate Eimir! Ditegli che se gli è ancora possibile, evocasse ora degli spiriti perché gli inibitori dei Valendiani non hanno effetto su spiriti già evocati!

Ricevuto!› rispose uno degli addetti alla comunicazione telepatica.

«Argh!» gridò Gilia.

Estrasse la spada di marmo nero dalla mazza prima di scagliarla e schiacciare un EA. Poi piantò la spada nel terreno e liberò il potere degli spiriti nella roccia della collina; sotto ai vari nemici spuntarono spunzoni della pietra dei Beor che fecero una strage. Attorno a sé sollevò una nuvola di sabbia marmorea e da questa partirono raffiche di dardi mortali che trapassarono tutti i nemici, umani e EA, come fossero burro. Un EA tagliò a metà otto dei compagni di brigata del moro con la sua lama dai denti rotanti, così Corvinus pensò di dirigere i Serafini dei Beor a proteggere anche gli altri, ma con gli inibitori attivi, i suoi scettri avevano perso la loro efficacia, perciò era obbligato a controllare tutti gli spiriti con le sue sole capacità mentali. E non erano minimamente sufficienti per dare il loro meglio, specie perché non potevano essere gestiti usando la magia. Ben presto la nube sabbiosa si disperse, così come fecero tutte le armi create usando il marmo nero.

Scusate, non riesco più a mantenere gli spiriti del marmo! disse alla settima brigata.

Non importa, li avviseremo.

Con Enedome ithil e Caspio in mano, si lanciò contro i nemici, incominciando a falciarli uno dopo l’altro. Un EA sparò un missile contro di lui ma, la visiera chiusa e il suo colore dell’armatura dell’Ambizione che gli rafforzava ulteriormente l’armatura di Adamantio, Gilia fu solo sbalzato indietro senza riportare alcun danno.

‹Non c’è niente da dire, saper usare l’Ambizione è un vero vantaggio, è un bene che abbia imparato a svilupparla.›

Quando era andato ad Arcadia a conoscere re Orik, era stato anche visitato a sorpresa dalla Volpe Grigia che, in pochi giorni, gli aveva insegnato i fondamenti per risvegliare il potere latente dell’Ambizione, poi passati ad Alea che aveva risvegliato il suo colore dell’osservazione.

Ancora a mezz’aria, roteò su se stesso e falciò tre nemici, riuscendo a vederli grazie agli occhi mentali che aveva aperto. Considerando il potere distruttivo delle armi valendiane, forse sarebbe stato meglio continuare a tenere la visiera chiusa e a combattere con gli occhi mentali. Gridando furiosamente, compì un balzo in avanti e verso l’alto, arrivando ad una cinquantina di metri d’altezza, per avvicinarsi con irruenza all’EA. Questi sparò un secondo colpo, tagliato a metà da un colpo di Caspio avvolta in Ambizione, e arrivò alla macchina nemica, che aprì in due con Enedome ithil. Stava per uccidere il pilota dell’EA quando fu fermato dalla settima brigata.

Secondo i sogni di Alea, non sono solo gli EA ad inibire i nostri usi energetici, quindi abbiamo bisogno di interrogare qualcuno di loro per scoprire i loro segreti; abbiamo anche bisogno di sapere come abbiano fatto a neutralizzare i draghi così facilmente. Non uccidere quell’uomo ma portalo da noi.

Va bene.

Me ne occupo io.disse Adeo.

Gilia si voltò e vide l’appena giunto Cavaliere dal mantello svolazzante color arcobaleno e la sua armatura di Cristallo fucsia, con le maniche di seta e pizzi che ricoprivano il Cristallo in tinta con il mantello. Stava camminando tranquillamente verso di lui, senza curarsi di chi gli stava intorno e stava per essere colpito da un colpo di fucile di uno dei Valendiani, ma fra lui ed il nemico si formò uno scudo che poi prese la forma di una lancia e andò a centrare l’ “occhio” energetico in mezzo alla faccia dell’avversario.

‹Ma come…? La magia dovrebbe essere inutilizzabile! E comunque non è un mago capace di nulla di simile!›

Adeo marciò verso il prigioniero di Gilia e gli afferrò la mandibola con la sinistra, alzandogli la testa.

«Perdonami se ti farò male, ma sono di fretta.» disse.

E Gilia vide gli occhi dell’altro assumere una forma a spirale. Neanche un secondo dopo, Adeo lasciò la presa e la testa del Valendiano cadde in avanti.

«Le armature nevec, quelle blu percorse da energia, emettono delle onde che interferiscono con l’uso dell’energia, come i nuclei degli EA, ma liberano anche degli ultrasuoni in grado di far svenire i draghi. Distruggiamoli e i nostri compagni potranno tornare. Ma, una volta che questo sarà fatto, tutti i mistici che fanno parte della Setta interverranno.»

«Quindi non dobbiamo far altro che ucciderli tutti?»

«Esattamente.»

«Bene.»

Gilia abbatté Enedome ithil contro il nucleo dell’EA e fece per allontanarsi, ma poi ripensò ad una cosa.

«Quella è la stessa tecnica…»

«Che Siirist ha usato su Delmuth? Sì. Ma io ho usato la tortura solo per interrogarlo, e non ha resistito a lungo, quindi non ho infierito tanto quanto Siirist.»

«Poveraccio comunque.»

«Indubbiamente. Bene, è ora di incominciare a fare sul serio.» sorrise.

Gilia osservò come l’espressione solitamente gioiosa, anche troppo, di Adeo diventasse piatta, in particolare i suoi occhi avevano l’espressività di un morto.

«Esercito eroico.»

 

Appena prima di finire in acqua, Alea aveva fatto in tempo a prendere un bel respiro e si ritrovò trascinata inesorabilmente verso il basso dal peso morto di Eiliis. Non vedeva niente, solo il fioco bagliore della luna che si faceva sempre più debole e lontano, e non sentiva nulla se non il rumore del corpo della dragonessa che veniva scossa all’interno dell’acqua e creava una grande scia di bolle. Eiliis girava su di sé, scossa dalle forti correnti create dalla flotta nemica, e Alea non riusciva a slegare i lacci che la tenevano assicurata alla sella. Erano cadute in mare da più di un minuto ora e l’elfa incominciava a sentire un forte bruciore ai polmoni: aveva bisogno di respirare, doveva o riaffiorare o scendere a sufficienza in profondità per allontanarsi dalle navi e poter usare la magia. La sua freccia prima aveva perso la sua efficacia a dieci metri di distanza dalla nave, ma adesso erano indubbiamente ad una distanza maggiore dallo scafo, eppure il Flusso vitale, anche se richiamato, non si manifestava. Panico incominciò a farsi strada nel cuore della altmer, aveva paura che la sua compagna mentale potesse morire e temeva che lei stessa non riuscisse a sopravvivere e che, invece, finisse in fondo al mare, dimenticata. Il dolore ai polmoni era ora insopportabile, aveva bisogno di ossigeno. Punto. Non poteva aspettare ancora. I pensieri incominciarono a farsi annebbiati, ogni parvenza di lucidità si era dissolta assieme alla luce del cielo.

Eiliis! Eiliis, Eiliis!› chiamò disperatamente.

Il suo unico pensiero era di concentrare il Flusso vitale nel palmo destro, stava costantemente cercando di richiamarlo, sperando che le sue capacità mistiche tornassero prima che fosse troppo tardi.

Avanti, avanti, avanti, avanti, avanti!› pensò in lacrime.

Non ce la faceva più. Istintivamente, aprì la bocca e inspirò, nemmeno con la sua grande disciplina mentale era riuscita a reprimere quel gesto, e mentre sentiva l’acqua riempirle i polmoni, mentre sentiva la fredda morte invaderle il corpo, pensò a Siirist e chiuse gli occhi.

 

Per tutta la Rocca apparvero dal nulla degli imponenti guerrieri equipaggiati con armature e armi dall’aspetto formidabile. Sollevarono le loro spade, le loro asce, i martelli, le lance, gli archi e le alabarde e lanciarono un forte grido di guerra. Gilia ne vide due armati di spadone lanciarsi verso un EA e tagliarlo in quattro pezzi, distruggendo il nucleo, mentre un altro, roteando la propria lancia sopra la testa, falciò una decina di nemici che indossavano le armature nevec. Uno di questi guerrieri, che aveva una corazza dorata con due teste di leone che decoravano i copri spalla, una sorta di criniera che la adornava attorno al collo e un mezz’elmo, abbatté il suo pesante martello, impugnato con la sola destra, su un soldato nevec, trasformandolo in una poltiglia grottesca, e con la sinistra afferrò un EA e liberò dalla bocca un’ardente fiammata che sciolse il metallo della macchina da guerra.

«Ma cosa…?!» si chiese il moro.

Un altro guerriero, che indossava solo una pelle di leopardo attorno alla vita a coprirgli le nudità, agitava due fruste dentellate e con esse dilaniava tutti i nemici che gli capitavano appresso. Gilia non aveva mai visto nulla di simile. Non era un’invocazione, non era neppure un incantesimo. No, era come se si trattasse del frutto di un’illusione. Ma era possibile che esistessero illusioni in grado di avere effetto sulla realtà? No, era assurdo. Eppure tutto era nato da Adeo, da Adeo che aveva assunto un’espressione di assoluta concentrazione e impassibilità. Corvinus si limitò a guardare in estasi e meraviglia l’effetto della tecnica del Cavaliere dal drago fucsia, mentre tutti i guerrieri “creati” da lui facevano strage degli invasori. Quando un grande guerriero dalla testa di sciacallo abbatté la sua strana arma, una sorta di incrocio tra una scimitarra e una lancia, su un EA, dividendolo a metà, Gilia si guardò intorno e vide come non era più rimasta traccia dei nemici; per tutta l’area d’ingresso della Rocca, si vedevano le carcasse delle macchine da guerra nemiche e degli altri Valendiani. Con la bocca aperta si girò verso Adeo e lo vide cadere appena in avanti con gli occhi chiusi, e stava per corrergli appresso per sorreggerlo, ma subito si accorse che non ce ne era bisogno, perché si era già ripreso.

«Stai bene?»

«Un incanto.» sorrise come suo solito.

«Sono contento. Tra quanto arriveranno i rinforzi mistici della Setta?»

«Poco, il tempo che si accorgano che i Valendiani hanno fallito.»

«Credi abbia tempo di andare a cercare Alea?»

«No. E ricorda che al largo di Vroengard ci sono le navi valendiane, che hanno il potere di sigillare il tuo misticismo: sarebbe un suicidio.»

Corvinus serrò i pugni, intense scariche elettriche azzurre che si liberarono attorno ad essi.

«Sa badare a se stessa: se è viva, tornerà senza dubbio, in caso contrario, sarebbe già troppo tardi per andarla a cercare.»

Il moro stava per replicare quando fu fermato da Asthar.

‹Ha ragione. Dobbiamo solo sperare e pregare Tenma. Io e gli altri draghi stiamo tornando, intanto.›

‹Bene. Mostriamo a questi maledetti Scorpioni cosa significa provocare l’Ordine dei Cavalieri dei draghi.›

Rimandò l’armatura a Oblivion e si sedette a terra, la mente aperta ed estesa per percepire l’arrivo della nuova ondata di nemici, mentre si massaggiava le spalle.

«Stupidino! Basta chiedere!» gli disse Adeo.

Lo sfiorò appena e tutta la tensione muscolare svanì.

«Grazie.»

«Dovresti dedicarti di più alla magia organica, specialmente ora che devi tenere in conto l’uso dell’Ambizione: il colore dell’armatura è rinomato per essere molto pesante sul corpo. Non che io lo sappia per esperienza, non lo possiedo.»

Gilia si limitò ad annuire, concentrato com’era per percepire l’arrivo degli invasori.

 

Aulauthar si guardò intorno: come lui, tutti gli altri Consiglieri avevano il fiatone. Combattere quelle potenti macchine senza l’ausilio delle loro arti mistiche e dei draghi era stata un’impresa al limite dell’impossibile: era stata una fortuna che Eimir aveva pensato di evocare qualche suo spirito prima dell’arrivo dei nemici, altrimenti, il Cavaliere d’argento ne era certo, non se la sarebbero cavata tutti. Per la prima volta avvertì la mancanza di Delmuth che, nonostante il suo caratteraccio, si sarebbe mostrato utile sul campo di battaglia.

«Non possiamo continuare così.» affermò Syrius, avvicinatosi.

Aulauthar si limitò ad annuire mentre continuava ad osservare la situazione. Adamar era quello più stanco e ferito, la sua anzianità si faceva sentire, e senza l’intervento di quei misteriosi e strani guerrieri che erano apparsi dal nulla, anche con l’ausilio degli spiriti del Cavaliere d’Oblivion, il vecchio bosmer sarebbe caduto.

«Concordo, ma non c’è alternativa. Possiamo solo recuperare le energie dalle nostre gemme, guarirci e prepararci all’arrivo dei mistici nemici.» rispose al Cavaliere nero.

«Non aspetto altro.» disse con aria gelida questi, impugnando la sua doppia falce.

Aulauthar pensò bene di imitarlo e, sguainate le spade, le avvolse nella sua creazione di luce, dando forma ai suoi spadoni; anche il resto della sua armatura fu avvolto da un’intensa luce e gli incantamenti entrarono in risonanza con la sua magia, e si rafforzò con la sua ben nota armatura argentata.

Era certo che tutti e otto desideravano sapere, proprio come lui, chi, o cosa, fossero quegli strani guerrieri, ma quello non era il momento di pensarci, poiché avvertì l’avvicinamento dei nemici e si mise in guardia. Dall’alto percepì l’avvicinamento di potenti energie mistiche, indubbiamente gli Scorpioni avevano pensato di concentrare le loro forze principali contro il Consiglio, ma l’immenso inno mistico che scaturì dai poteri degli invasori fu reso vano da una nube di sabbia ferrosa di Adamar combinata all’Ombra divoratrice di Syrius, la sua speciale combinazione di oscurità e magia spaziale, capace di assorbire pressoché tutto, una versione meno raffinata del Vuoto del Cavaliere delle sabbie.

«Ali della fenice.» mormorò prima di librarsi in volo.

I due colleghi aprirono un varco nella loro barriera appena grande a sufficienza per permettergli di passare e cogliere di sorpresa il primo Scorpione, un umano armato con un’armatura in stile elfico, una lancia corta e svariati amuleti, e decapitarlo con la spada sinistra, mentre con la destra parava un fendente di un secondo nemico. Con un occhio mentale vide arrivargli in contro due elfi oscuri, ma non se ne curò e incominciò a preparare un incantesimo.

«Bianca luce della penitenza!» esclamò, puntando Vesta tel siir contro uno spettro che si era protetto con una sorta di armatura tenebrosa.

Nel momento in cui questi venne consumato dalla potente luce del Cavaliere d’argento, i due elfi corrotti, che lo avrebbero altrimenti colpito alla schiena, vennero falciati da due spade invocate da Eimir ciascuno. Aulauthar incrociò le spade e incominciò ad avvolgerle con le sue splendenti fiamme dorate, le portò dietro la testa e liberò il suo Inferno purificatore, proprio quando Ashemmi colpì i nove avversari che l’altmer aveva preso di mira con un suo incantesimo di suono, impedendo loro di erigere alcuna barriera. Essi bruciarono tutti a parte uno, i cui incantamenti avevano resistito alla magia del Cavaliere d’argento. Questi corrugò la fronte infastidito, ma non fece in tempo a finire il lavoro che l’avversario fu impalato da una guglia di marmo nero eretta da Adamar. Preoccupato, fissò un occhio mentale su di lui e lo vide sudato e anche più boccheggiante di prima: non era messo bene.

A terra, Felaern, spada e ascia alla mano, era intento a combattere undici avversari da solo, mentre Eimir faceva altrettanto con almeno il doppio, giostrandosi con le due armi alla mano, spada e daga, e le innumerevoli armi invocate che gli circolavano intorno e andavano a colpire i nemici senza lasciar loro tregua. E nonostante fosse così impegnato e concentrato contro tutti quei nemici, ognuno di alto livello, riuscì comunque ad invocare un mietitore che falciò uno spettro che era riuscito a cogliere Aulauthar di sorpresa. L’altmer sorrise e liberò le sue fiamme dorate in mezzo alla mischia, eliminando cinque degli avversari del Cavaliere d’Oblivion. Si scambiarono un cenno della testa come segno d’intesa e subito Aulauthar, fiancheggiato da Syrius avvolto nel suo Manto d’ombra, volò verso altri Scorpioni.

 

Ren menò la sua spada, trasformata nella sua forma gigante del Re serpente, e le fauci di questo andarono a dilaniare il terreno, ingerendone la pietra: se le barriere di quel mago resistevano al fuoco, avrebbe visto se funzionavano altrettanto bene contro il magma.

«Cannone scheletrico!» disse ancora, con più forza di prima.

L’elemento di fusione investì il nemico, spazzando via la barriera e ferendolo, ma non uccidendolo. Allora il vice-capitano sollevò il braccio verso l’alto ed il grande serpente metallico alzò la testa e aprì ancora le fauci, pronto ad inghiottire il nemico nel momento in cui il suo possessore avesse menato il fendente. Ma l’attacco fu anticipato da una pioggia di petali di ciliegio che fecero a pezzi lo Scorpione in maniera grottesca. Ren si girò quasi intimorito verso il suo capitano; in una battaglia “comune” si sarebbe arrabbiato, affermando che l’altro gli aveva rubato l’avversario, ma questa non era una battaglia “comune”, in questa Bial era feroce come non lo era mai stato, dal momento in cui aveva saputo della caduta della decima brigata, in particolare del loro capitano. Dopo il loro tentativo disperato di liberare Adeo, Alea e Gilia, i due capitano erano diventati quasi amici. E ora Bial era furioso. Non era rimasto più alcuno Scorpione nella loro area e la sua spada si ricompose a mezz’aria ed egli la impugnò, rinfoderandola.

«Andiamo.» disse con la sua solita voce piatta.

A volte Bial sembrava più un elfo di quanto non lo fosse Aulauthar e, dopo un brivido, Ren lo seguì verso il cancello principale, dove si era radunato il numero maggiore di nemici.

‹Ma stai attento, è così desideroso di vendetta che rischia di non prestare troppa attenzione ai nemici. È tuo compito proteggerlo finché arriviamo noi; saremo lì tra pochi minuti.› disse Zabi.

‹Certo.›

 

«Attenzione!» esclamò Adeo.

Gilia guardò verso l’alto e fece appena in tempo ad accorgersi dell’arrivo di uno Scorpione che indossava una pesante armatura; era di fattura strana, pareva qualcosa forgiato a quattro mani da un nano e un umano. Il nemico era imponente, dalla stazza si trattava senza dubbio di un orco, e brandiva una grande ascia a due mani che tendeva quasi all’essere una falce. Gilia non riusciva a credere di non aver percepito l’arrivo di un avversario e, senza la sua armatura, rischiava di essere falciato; non avrebbe nemmeno fatto in tempo ad erigere una barriera. Ma a questa pensò Adeo, che non aveva perso tempo a parole e aveva creato uno scudo dal nulla nel momento in cui aveva richiamato l’attenzione del Cavaliere d’Incubo. Poi dallo scudo si ersero degli spunzoni acuminati che cozzarono contro l’armatura nemica.

«Oh?» alzò un sopracciglio Adeo.

Attorno agli spunzoni esplosero fiamme nere che penetrarono l’armatura con facilità e, lo scudo scomparso, il cadavere dell’orco cadde a terra.

«Fuoco nero?!» esclamò scioccato Gilia, avvicinandosi all’altro.

«Una mera imitazione, purtroppo, le mie capacità mentali arrivano solo fino a tanto. Se cercassi anche solo di avvicinarmi alla effettiva potenza distruttiva del fuoco nero, mi verrebbe un aneurisma cerebrale. Ma anche un “fuoco nero” di bassa lega basta per consumare quasi tutto ciò che troviamo in natura. Adesso fammi un po’ vedere come ha fatto la sua armatura a resistere ai miei spunzoni.» disse avvicinandosi all’orco abbattuto e accovacciandosi.

Gilia era senza parole a sentire con che semplicità l’altro Cavaliere parlasse della sua capacità di ricreare qualcosa di simile al fuoco nero. E che razza di tecnica usava per creare tutte quelle cose da nulla? Scudi, fuoco nero, persino un intero esercito!

Mentalmente non riuscì a cogliere l’arrivo di nuovi nemici, dovevano in qualche modo essere nascosti da frequenze mentali oltre ad essersi resi invisibili, ma i suoi riflessi in allerta gli intimarono di proteggersi e innalzò due barriere di sabbia marmorea a difendere sé e Adeo, mentre si riequipaggiava con l’armatura del serpente e si preparava ad eliminare velocemente gli Scorpioni. Ma non ce ne sarebbe stato bisogno: per quanto Adeo paresse concentrato a studiare l’armatura nemica, aveva apparentemente percepito l’arrivo degli Scorpioni e li aveva eliminati con grandi spade apparse dal nulla che li avevano fatti a pezzi. Tutto questo prima che il moro avesse avuto il tempo di invocare l’armatura.

«Ah, ora vedo! Il mithril è stato messo a rivestire il Cristallo: niente di raffinato e lontano dalla perfezione dell’Adamantio, ma resta una combinazione efficace dei due materiali. In alcuni punti ci sono anche placche di Hellsteel, è ovvio che l’illusione reale usata prima non fosse abbastanza forte da tagliare questa armatura. Bene, vogliamo andare?»

Illusione reale? Di cosa stava parlando? Quelle armi, le fiamme e persino l’esercito erano un’illusione?!

«Oh, non stare lì imbambolato, siamo in mezzo ad una pesante battaglia. E visto ciò che sta per arrivare, ti consiglio di indossare l’armatura del toro.»

A Gilia bastò sentire il tremore del terreno e il boato per capire che qualcosa di molto grosso e pesante era appena atterrato a poche decine di metri da lui. Si voltò e contemporaneamente riequipaggiò l’armatura del toro, giusto in tempo per vedere un gigantesco drago terrestre che lo fissò con ferocia. Esalò il suo possente respiro che investì Corvinus con la forza di uno tsunami e lo scaraventò a oltre cento metri di distanza verso un gruppo di Scorpioni che combattevano con dei Cavalieri. Enedome ithil, unita alla Falce di luna, alla mano, si riprese a mezz’aria e tranciò in due un elfo oscuro, due orchi ed un nano in un sol colpo. Tornato a terra, affondò lo spadone nella roccia e innalzò sette guglie di marmo nero che trafissero i nemici rimasti prima di lanciarsi verso il drago terrestre.

‹Ne arrivano altri. Ma ormai ci siamo anche noi.› comunicò Asthar.

Il Cavaliere d’Incubo annuì e si diede una spinta, crepando il terreno sotto al piede destro, e volò in contro al colossale rettile, che era già stato attaccato da altri Cavalieri e i loro daedra. Ma nessun Cavaliere era equipaggiato con scettri incantati per combattere i draghi, e senza incantamenti specifici, superare la difesa magica ineccepibile delle scaglie draconiche era quasi impossibile per i un mistico comune. E cercare di perforarle fisicamente era anche più impensabile. Gli unici punti deboli della bestia erano gli occhi o l’interno della bocca e la gola; oppure bisognava avere armi in Adamantio o anche il marmo nero. Con la magia di terra, Gilia si rafforzò e alzò lo spadone impugnato con entrambe le mani; concentrò la sua Ambizione e menò un fendente così potente che l’onda d’urto viaggiò quaranta metri e tagliò a metà il drago dalla testa fino al ventre. Cadde in avanti, morto, e il sangue esplose come una fontana e si riversò sulla pietra del colle, dove andò a mischiarsi con quello già versato.

Si avvicinò ad Adeo, lo spadone a riposo appoggiato sulla spalla destra.

«Cosa credi sia quel grosso collare che il drago aveva al collo?» gli chiese.

«Considerando che i draghi terrestri sono bestie senza ragione e controllo, immagino sia uno strumento che permette agli Scorpioni di manipolarli e far loro obbedire i loro comandi.»

«È quello che pensavo anche io. Ci mancava solo questa.»

«Almeno abbiamo qualcuno con armi di Adamantio, non è cosa da niente! E ecco tornati i nostri cari draghi alati, che daranno del filo da torcere ai terrestri!» esclamò con gioia.

Adeo aveva appena finito di parlare che Corvinus sentì la vicinanza del suo drago nero e pochi secondi dopo, questi atterrò pesantemente.

‹Tu pensa a combattere i prossimi draghi terrestri che arrivano, io mi occupo dei bipedi.› disse l’uomo.

L’Incubo si limitò ad annuire.

«Vieni con me, sento una forte presenza mentale e mistica da quella parte, potrebbe farmi comodo averti vicino.» disse Adeo.

«D’accordo.»

Accarezzò Asthar e seguì l’altro in corsa, abbattendo tutti i nemici che incontravano. Superarono i grandi cancelli e guardarono verso il versante settentrionale di Vroengard: dalla punta saliva una grande colonna di fumo dove un tempo si erano trovati porto e villaggio. Gilia serrò i denti e scosse la testa, per poi ritornare al fianco di Adeo che, intanto, aveva incominciato la discesa.

‹Perdonami.› sentì nella sua testa.

Stava per guardare incredulo verso l’altro Cavaliere quando sentì i propri muscoli delle gambe lavorare senza aver ricevuto alcun ordine del cervello e balzò via con forza verso sinistra, Adeo che faceva lo stesso verso destra, appena prima di venire investiti da una terribile sfera di fuoco verde brillante amplificato da vento.

‹Preparati. Siamo dinanzi ai nemici più forti che sono arrivati fino ad ora. Soprattutto il loro capo, quello senza armatura. È un vampiro millenario.› disse ancora Adeo.

Gilia trasalì a quelle parole. Vide avvicinarsi a lui quattro persone in armatura, al centro delle quali vi era un uomo alto dagli strani abiti e i capelli argentati; questi soprattutto colpirono Corvinus, poiché gli ritornò in mente l’immagine di Raiden.

«Ha i capelli identici a quelli di Raiden…» mormorò.

«Naturalmente. I capelli di quella sfumatura argentata sono molto comuni all’interno del clan dei vampiri e, come ti ho detto, quello è un vampiro millenario. Tu devi essere Yuuki Katsurou, l’unico vampiro millenario che tradì Alucard e Raizen.» disse, rivolgendosi ai nemici in avvicinamento.

Gli altri indossavano armature dorate, forgiate nelle fattezze di vari animali. I due sul lato sinistro del demone avevano gli elmi che ricordavano teste di leone e aquila, e attorno al primo ancora ardevano fiamme verdi come quelle che avevano rischiato di colpire i due Cavalieri. Sul lato destro del vampiro, gli Scorpioni indossavano armature che richiamavano il lupo ed il cavallo.

«Sei informato, Cavaliere. Dunque non capisco perché sei ancora qui ad affrontarmi: siete solo in due e i miei poteri mentali sono senza confronti.» rispose con presunzione.

«Lo vedremo. Gilia, ti lascio i corrotti: il demone è mio.» sorrise Adeo.

Sfoderò per la prima volta la sua spada e Corvinus fu sorpreso nel vederla trasformarsi in un fioretto. Per un momento pensò fosse un’altra illusione, ma realizzò ben presto che la spada si era veramente trasformata, come le armi dei Consiglio.

«Una spada di Bhyrindaar?!»

«Non è il momento di fare domande, preparati a combattere.»

Gilia annuì e invocò Siberia nella sinistra. Rimandò l’armatura del toro a Oblivion e si scrocchiò il collo prima di richiamare la sua armatura nera e bianca.

«Curioso, anche tra di noi ci sono due con armature di toro e tigre.» commentò quello con la testa di leone.

Dalla voce, Gilia lo identificò come un elfo oscuro. Ma non era lì per chiacchierare: si mise in posizione e volò all’attacco, portandosi dietro una scia di sabbia marmorea.

 

 

 

 

 

~

 

 

 

 

Chi non muore si rivede… Chiedo immensamente scusa per questo lungo periodo di tempo in cui non ho aggiornato. Il prossimo capitolo si intitola SCONTRO MENTALE e non so proprio quando sarà pubblicato: è da un po’ che sono bloccato perché non so come far proseguire il combattimento fra Adeo e Yuuki, ma non voglio aspettare altro tempo per pubblicare questo, intanto. Ricordo a tutti che la descrizione dell’equipaggiamento di Adamantio di Gilia è verso l’inizio di IL FABBRICANTE DI MATERIA.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 87
*** SCONTRO MENTALE ***



SCONTRO MENTALE

I quattro avversari dalle armature dorate che Gilia stava affrontando non erano terribilmente forti; che fossero di gran lunga superiori alla stragrande maggioranza degli Scorpioni era lampante, non era nemmeno necessario scontrarsi con loro per capirlo, ma singolarmente non erano ai livelli di Albecius e i suoi spiriti di decadenza, che sarebbero stati fastidiosi anche contro il nuovo equipaggiamento di Adamantio del moro. Ciò che rendeva i suoi nuovi nemici pericolosi era la loro ineccepibile coordinazione. Ognuno di loro controllava un unico elemento, sia con la magia, sia con i propri spiriti; il Cavaliere aveva supposto fossero due elfi oscuri e due spettri. Era come se gli unici spiriti che avevano posseduto i mistici fossero stati di un singolo elemento, un numero inimmaginabile di Serafini elementali che li aveva trasformati in esseri spietati e incredibilmente specializzati. Presi singolarmente, Gilia non avrebbe avuto problemi a neutralizzarli, gli sarebbe bastato usare gli elementi opposti per renderli innocui, ma le loro tattiche erano così raffinate e studiate, che parevano muoversi senza nemmeno pensare. Nemmeno il marmo nero risultava essere utile perché gli Scorpioni erano così rapidi che evitavano ogni attacco. Corvinus aveva anche cercato di ricoprire l’area con la pietra di Titano, ma quelli non avevano dovuto far altro che allontanarsi a sufficienza da riuscire ad usare i loro poteri mistici, invocare i loro innumerevoli daedra a cui erano state legate oltre un centinaio di armi e tempestare l’umano di frecce.
Immobile al centro della sua area di marmo nero, Gilia serrò la mandibola, furioso, i dardi che, privi dei loro incantamenti, rimbalzavano inutilmente sulla sua armatura di Adamantio. Avrebbe potuto trasformare il marmo in sabbia marmorea, poi controllarla per inseguire i nemici e schiacciarli, ma manipolare la sabbia marmorea richiedeva un immenso sforzo mentale, e farlo mentre affrontava quattro mistici corrotti che, fin dal primo momento in cui il Cavaliere era partito all’attacco, non avevano fatto altro che tentare di penetrare la sua difesa mentale, non era cosa facile, motivo per cui aveva cambiato tattica dopo il primo minuto di battaglia.
Era finito in una situazione di stallo.
Si passò la lingua sulle labbra, inumidendole, cercando di porre rimedio alla secchezza della bocca, e si decise a richiamare la balestra regalatagli da Orik dopo aver appoggiato Siberia e Enedome ithil a terra. Per un attimo, sentì l’attacco mentale portato dagli Scorpioni avere un minimo di effetto: anche solo controllare gli spiriti del marmo per riuscire ad usare le arti mistiche era troppo rischioso. Mentre prendeva la mira e si preparava a sparare, Gilia pensò che avrebbe dovuto rivedere il suo accordo con gli spiriti del marmo e far sì che, quando utilizzato, il suo marmo nero neutralizzasse il misticismo al solo contatto fisico e che non lo influenzasse anche con la sola vicinanza: in quel modo sarebbe stato libero di usare qualunque misticismo senza dover stare sempre a litigare con gli spiriti: se era riuscito, lavorando con Hans, a far funzionare gli incantamenti dell’armatura della tigre con il marmo nero, non doveva essere impossibile.
Chiuse l’occhio sinistro, la testa piegata verso destra che sfiorava la mano; premette il grilletto e liberò una raffica di dardi che volarono rapidamente verso il nemico dall’elmo raffigurante la testa di lupo. Questi si protesse con una barriera oscura che sembrava del denso fumo nero che corrose i dardi in un istante. Ascia alla mano e scudo imbracciato, lo Scorpione che manipolava il fuoco gli corse in contro: Gilia sapeva bene che il nemico avrebbe perso ogni utilizzo del suo elemento mentre a contatto con il marmo nero, ma, Albecius glielo aveva insegnato bene, avrebbe mantenuto ogni briciola della sua forza fisica.
Il leone fu subito seguito dal cavallo che brandiva una grande mazza ferrata dalla lunga impugnatura e tre grandi teste di diversa forma legate alla catena; Corvinus trasalì nel ricordare il triplice nunchaku del cugino.
Alzò il piede destro e lo riabbassò con violenza sulla superficie di marmo, provocando il sollevamento di un grande pilastro sotto ai piedi di ciascuno Scorpione; ma entrambi evitarono e continuarono la loro carica. Giunti a meno di dieci metri, i due elfi oscuri balzarono in avanti. Gilia gettò via la balestra e riprese in mano le due armi di prima, sollevate dal marmo e portate a sfiorargli le dita; con Siberia bloccò la mazza del cavallo ma non si curò dell’ascia del leone, ben consapevole che la sua armatura avrebbe resistito senza problemi; ricevuto il colpo in piena faccia, non sbatté nemmeno le palpebre ed eseguì un affondo che trapassò lo scudo e l’avambraccio nemico, andandogli ad intaccare la corazza. Con una spazzata del grande martello, allontanò il cavallo, così da potersi concentrare sull’avversario ferito e finirlo. Ma a sconvolgere i suoi piani furono i due spettri che, rispettivamente quello con l’elmo da aquila e quello con l’elmo raffigurante il lupo, bloccarono il suo attacco con una spada ad una mano non particolarmente lunga, dalla lama seghettata di circa sessanta centimetri che ricordava le penne di un rapace, e una potente freccia che, all’impatto con la sua armatura, esplose, scagliandolo indietro senza però danneggiarlo.
‹Cos’è stato?› domandò Asthar.
‹Niente di mistico, questo è sicuro, il marmo nero le avrebbe impedito di esplodere, sarà stata qualche diavoleria valendiana.› disse corrugando la fronte e spazientendosi.
Controllò il marmo nero perché diventasse un soffice cuscino di comune sabbia nel punto in cui aveva calcolato con un occhio mentale si sarebbe schiantato e scivolò lungo essa.
‹Qualche livido in meno.› pensò rimettendosi in piedi.
Vide con un occhio mentale che il leone stava correndo via dal marmo nero, indubbiamente per andare a guarirsi, ma il momento in cui cercò di colpirlo con della sabbia marmorea, sentì l’attacco mentale dei quattro corrotti farsi ancora più intenso e abbandonò l’idea.
Cavallo e aquila gli piovvero addosso e lo incominciarono ad incalzare furiosamente mentre il lupo continuava a scagliare frecce su frecce, ora tutte dotate di punte grosse, pesanti e contundenti, atte a sbilanciarlo e farlo arretrare. Quale fosse il loro scopo era ovvio: avendo realizzato che non avrebbero mai superato l’armatura di Adamantio, dovevano aver deciso di allontanarlo dal marmo nero per poter riprendere ad usare il misticismo e finché erano ancora nel dominio di Titano, avrebbero bloccato il vantaggio che aveva nel poter, a differenza loro, usare le arti mistiche tenendo tutte le sue capacità mentali a mantenere la sua barriera; fu addirittura costretto a chiudere i suoi occhi mentali e per la prima volta in qualche decennio si trovò a combattere affidandosi esclusivamente alla vista fornita dai due occhi con cui era nato.
Gli Scorpioni dovevano aver realizzato ciò, poiché cambiarono subito tattica ed incominciarono a cercare di arrivare sempre nei suoi punti ciechi. La situazione stava degenerando.

Preso il nemico con la frusta nella sinistra, Adeo balzò in avanti in un affondo, ma per l’ennesima volta, ciò che colpì fu nient’altro che un’illusione. Vide l’altro passargli davanti e fare lo stesso e quando la testa dell’Adeo illusorio cadde a terra e scomparve assieme al resto del corpo, nuovamente il mondo cambiò. Per oltre mezz’ora i due illusionisti avevano danzato quella danza fittizia, dentro e fuori e ancora dentro quei mondi illusori atti a confondere il nemico, il tutto mentre cercavano di distruggere il mondo avversario. Tutto cambiava sempre, il vampiro lo aveva mandato in una dimensione tenebrosa, in cima ad una montagna gelida, in mezzo ad un vulcano, aveva fatto sorgere il sole, comparire la luna in tutte le sue diverse fasi, aveva creato terremoti, onde anomale che arrivavano fino al punto in cui si trovava il Cavaliere; aveva fatto grandinare, piovere fuoco, persino eruttare un vulcano sotto ai suoi piedi. E Adeo aveva fatto altrettanto. Si erano mandati a vicenda in un’infinità di mondi più o meno realistici, alcuni identici a quello reale, alcuni che cambiavano di una sola foglia su un albero, altri, come il vulcano e la montagna, completamente diversi da Vroengard. In quella confusione di illusioni, chiunque non fosse un vero maestro della mente avrebbe perso la ragione e sarebbe probabilmente svenuto. Ma non Adeo. E purtroppo nemmeno il vampiro. Ma ciò che l’umano aveva e il demone no era il settimo senso, e quando esso era acuto quanto quello del capo della Gilda dei Ladri, niente lo poteva sorprendere. Evitò con un passo laterale la falce del nemico e si rigirò in un affondo, deviato dall’asta metallica della falce. Essa stava per ritornargli addosso, ma il ladro sparì con l’uso della sua furtività e riapparve alle spalle del vampiro, dove attaccò con un altro affondo, evitato con un balzo laterale, a cui fece seguire una sferzata con la sua frusta metallica che arrivò a segno: ma ciò che colpì fu solo il corpo immateriale dello Scorpione che si era ancora una volta nascosto in un’illusione.
‹È abile. Non è da tutti lanciare illusioni che non sei in grado di percepire.› commentò Skimir.
La fronte che grondava di sudore, Adeo annuì. Chiuse gli occhi ed espirò a fondo, rimanendo qualche secondo in apnea. Quando riprese fiato, uscì dalla sua posizione di guardia e sorrise con aria di sfida.
«D’accordo.»
Ogni suo muscolo facciale si rilassò ed il sorriso svanì quando entrò in stato di calma assoluta e i due mondi interiori che erano stati a scontrarsi incessantemente tremarono terribilmente quando quello dell’umano fu scosso da una nuova forza. Schiacciato dalla potenza mentale, del tutto inaspettata, del Cavaliere, il vampiro perse il controllo della sua illusione e ricomparve alla vista del nemico che subito mosse la sua frusta. Ma Yuuki rimaneva pur sempre un demone di classe X e afferrò la frusta con la mano destra e strattonò, tirando a sé l’umano e contemporaneamente correndogli in contro. Un momento prima di venire trafitto dalla falce nemica, Adeo lasciò la presa della sua frusta e scomparve all’interno della sua furtività potenziata da un’illusione e, impugnato uno dei due pugnali che teneva ai lombi, ricomparso alla sinistra dello Scorpione, lo sgozzò per poi trafiggerlo al cuore con la spada. Ma scomposto nello stormo notturno, il vampiro millenario evitò il secondo attacco e scomparve per poi riapparire a cento metri di distanza completamente rigenerato.
«Mi sorprendi sempre più. Un Cavaliere eccezionale come te non è un ufficiale? Nascondi forse il tuo vero potere ai tuoi compagni?»
Adeo non rispose, invece rinfoderò il pugnale e si chinò per raccogliere la frusta. Si rialzò e fissò il nemico con disinteresse.
«Tutto di te è cambiato, possiedi una abilità mentale interessante. Vieni!» disse mettendosi in posizione.
Figuriamoci. Adeo, anche fuori dallo stato di calma assoluta, non si sarebbe mai fatto provocare da un invito simile, a differenza di un certo Cavaliere d’Inferno che sarebbe subito partito in forma draconiana avvolto dal suo elemento Infernale, in questo momento ancora meno. Rimase impassibile a fissare il nemico che parve non apprezzare il rifiuto del suo invito. Ringhiò e fece per dire qualcos’altro ma Adeo, del tutto non interessato, lo anticipò con un’esplosione di fiamme nere.
Yuuki incominciò ad urlare di dolore e cadde a terra, dove incominciò a rotolarsi disperatamente. Adeo scattò, pronto a finire il nemico, ma non convinto di una cosa, usò un’illusione reale che continuasse dritta e andasse ad attaccare il demone, mentre lui si spostava verso sinistra. E proprio come aveva supposto, il momento in cui la copia del Cavaliere era sul punto di trafiggere il nemico, o meglio la sua illusione, il vero demone le apparve alle spalle e la cercò di tagliare in due, ma la copia dell’umano se ne avvide e si girò per parare il colpo: esso le passò attraverso e la fece svanire nel momento in cui Adeo trafisse il cuore dello Scorpione con la sua lama argentata.
Il vampiro sputò sangue ma riuscì a menare un calcio all’indietro che colpì malamente il Cavaliere e lo fece volare di una buona decina di metri in alto e indietro. Si girò e si rigenerò, la falce che roteava furiosa. Adeo si rimise in piedi e si avvolse in un’illusione reale che replicò un’armatura di Adamantite e, spada e frusta avvolte in fiamme nere, si preparò a scontrarsi con il nemico.
Quando spada e falce cozzarono e la seconda venne tagliata di netto, il vampiro ebbe la conferma che stava cercando e, trasalendo, si allontanò.
«Tu, umano! Come puoi possedere il fuoco nero?!»
Per tutta risposta, Adeo puntò in avanti la spada e liberò un raggio fiammante e contemporaneamente diede forma ad altre venti spade che, infiammate anche esse, incominciarono a vorticare attorno al demone che però, abilissimo, le riusciva ad evitare tutte. Con l’artiglio del pollice destro, si bucò l’indice e da lì fece scaturire una sorta di lancia di sangue indurito che cozzò con l’armatura illusoria di Adeo senza nemmeno scalfirla, ma l’impatto era stato così forte da spingerlo indietro e fargli perdere fiato.
Yuuki si circondò con una barriera sferica di sangue che allontanò tutte le spade fiammanti e partì di nuovo alla carica del nemico, questa volta con le sue katana sguainate, entrambe circondate dal suo sangue indurito. Adeo creò a mezz’aria uno scudo con la stessa resistenza dell’Adamantite ed il doppio tondo dritto del demone si perse contro di esso, per poi attaccarlo ancora una volta alle spalle con la furtività. Ma il vampiro evitò l’attacco facilmente con lo stormo notturno e Adeo rimase a guardare in avanti il tempo necessario per vedere il suo possente scudo di simil-Adamantite andare a devastare la vegetazione dell’isola dopo essere stato lanciato dalla forza terrificante del demone di classe X.
Avvertendo l’intento omicida di Yuuki, il ladro utilizzò un’illusione combinata alla furtività per scomparire, ma con quella mossa, la sua mente, provata da tutte le potenti illusioni reali che aveva utilizzato, vacillò, e subito sentì la presenza di quella avversaria farsi più forte: perdere un duello mentale contro un vampiro era anche peggio che farlo contro il più potente dei maghi organici, non doveva succedere per alcuna ragione.
Attivò i bracciali che indossava sotto l’armatura di Cristallo fucsia ed essi irrobustirono ulteriormente la sua barriera mentale, rendendo il grande oceano che circondava la sua isola mentale anche più profondo e i megalodon che vi nuotavano dentro anche più famelici.
Evitò per un soffio uno sgualembro incrociato del demone e portò la mano all’interno del mantello, da cui prese una fiala e la gettò a terra. Subito si creò una densa nube di fumo che offuscava i primi tre sensi e utilizzò il settimo per trovare lo Scorpione e trafiggerlo nuovamente al cuore. Questa volta il vampiro non si allontanò dalla lama, però, bensì la sottrasse al Cavaliere balzando via e, alto nel cielo, la estrasse dal petto e la spezzò prima di gettarla verso il mare. Anche in stato di calma assoluta, Adeo sentì un leggero fastidio, tristezza e rabbia per la perdita della sua preziosa Tinta alasse’, che era stata al suo fianco per oltre un secolo e mezzo. Ma il nemico era ancora di fronte a lui e quello non era il momento di pensare ad una spada, che per quanto pieno di ricordi e valore sentimentale, rimaneva pur sempre un oggetto, così portò la mano destra ai lombi e impugnò uno dei pugnali.

Per almeno un quarto d’ora era riuscito a far valere i suoi 280mila douriki fisici, ma quando tornò lo Scorpione con l’elmo da leone, che lo caricò con una spallata, Gilia non riuscì a resistere e volò fuori dall’area di marmo nero, andandosi a schiantare malamente contro il terreno.
‹Merda.›
Era l’unica parola adatta a descrivere appieno quella situazione e anche l’unica che aveva avuto il tempo di formulare. Fu investito da una terrificante vampata di fuoco verde amplificato dal vento dell’aquila, ma l’Adamantite combinata agli incantamenti di Hans gli permisero di non sentire nemmeno il colpo.
‹Volete fare sul serio? Vi accontento.›
Rimandò Siberia a Oblivion e invocò lo Spaccaossa nella sinistra; con Enedome ithil combinata alla Falce di luna nella destra, si diede la spinta e scattò verso i tre nemici, sabbia ferrosa che emetteva potenti scariche violacee, il suo elemento Sisma, che circondava entrambe le lame: quella della Falce di luna era stata del tutto rivestita e resa più affilata; dall’altra erano usciti degli spunzoni dall’aria poco gioviale. Con un attacco incrociato menò una potente spazzata che colpì i nemici con la sola onda d’urto perché essi avevano evitato il colpo fisico. Ma Gilia non ebbe il tempo di attaccarli nuovamente perché si ritrovò intrappolato in un blocco di ghiaccio che incominciò a stringerlo, gentile concessione dello Scorpione dalla testa di lupo che aveva scagliato l’ennesima freccia, questa volta una caricata magicamente. Ma il ghiaccio, non importava quanto forte, non poteva sconfiggere l’Adamantio, difatti fu il primo a iniziare a crepare e non il secondo.
«Esplosione fiammante!» esclamò il moro.
Si liberò del ghiaccio in un batter d’occhio e puntò in avanti Enedome ithil mentre colpiva il terreno con lo Schiacciaossa.
«Lancia di Raijin; Rivoluzione terrestre.»
Dalla prima spada, attorno alla quale si erano concentrati fulmini neri su fulmini neri, liberò una grande saetta dalla forma di un’alabarda, dalla seconda magia di terra che provocò un terremoto così forte da far cadere a terra i tre nemici che gli stavano intorno. Senza neanche stare a vedere se l’incantesimo di elemento Incubo aveva avuto effetto, balzò in alto e portò indietro le braccia per un doppio fendente, lo Schiacciaossa rimandato a Oblivion e sostituito con Bengala, e cadde addosso al cavallo che ancora non si era ripreso, tagliandolo in tre pezzi.
‹Fuori uno.›

Il pugnale fu avvolto in un’illusione reale che lo trasformò in un fioretto e lo infiammò con lo pseudo fuoco nero. Il vampiro ringhiò nel vedere un umano comandare il fuoco sacro dei demoni, senza realizzare che era solo il frutto di un’illusione. Molto probabilmente l’aveva supposto all’inizio, ma nel vedere le fiamme agire come quelle della famiglia reale, doveva aver cambiato idea. D’altronde non poteva sapere delle illusioni reali, tecnica inventata dallo stesso Adeo.
Riusciva comunque a cavarsela egregiamente contro le fiamme del Cavaliere, e con l’uso dei suoi poteri mentali, del controllo del sangue e della nebbia illusoria, era riuscito ad evitare ogni attacco.
Adeo si tolse l’elmo e una cascata di sudore ne cadde fuori; si pulì il viso e gli occhi con un lembo del mantello, la testa che incominciava a pulsare. Si rimise l’elmo.
‹Ti serve il mio aiuto?› chiese Skimir.
‹No, tranquillo.›
Non poteva certo chiedere l’aiuto del suo compagno mentale quando questi era impegnato a combattere centinaia e migliaia di draghi terrestri assieme agli altri alati: un Incubo e un Custode non avrebbero avuto problemi a sbarazzarsi dei rettili inferiori e allo stesso tempo assistere il proprio Cavaliere, ma Skimir, fisicamente più debole di tutti gli altri draghi presenti nella Rocca, non poteva contare sulla sua forza e permettersi distrazioni. Adeo si sarebbe dovuto occupare da solo del nemico.
Ora che era stato catturato nella nebbia illusoria del vampiro, l’umano non riusciva a vedere più niente né a localizzare l’energia demoniaca presente nell’aria. La percepiva provenire da tutti i punti, era come trovarsi in una stanza piena di altoparlanti in cui doveva rintracciare l’origine della voce che parlava. Ora più che mai avrebbe avuto bisogno del settimo senso e della sua Ambizione per prevedere gli attacchi nemici. Ma troppo tardi si accorse dell’arrivo delle katana in piena schiena e venne lanciato in avanti. E come era apparso, Yuuki svanì di nuovo. La nebbia illusoria era veramente fastidiosa, sia perché rendeva impossibile localizzare l’avversario, sia perché sottraeva energia fisica e magica a chi vi rimaneva intrappolato. E più diventava stanco fisicamente, più lo diventava mentalmente, e le illusioni reali, di questo passo, non avrebbero resistito a lungo.
Prese dal mantello un’altra fiala e la lanciò a terra, dove creò una forte esplosione luminosa che disperse la nebbia attorno a lui, appena in tempo per vedersi arrivare una katana in faccia. La parò con due spade illusorie che portò di fronte a sé e la frusta, che strinse anche con la destra verso un quarto della sua lunghezza. Ma subito il demone fece seguire uno sgualembro dritto manco in rotazione con la seconda katana ed essa colpì l’armatura del Cavaliere al torace, intaccandola appena, e lo fece volare.
‹Arrivo!› esclamò Skimir.
Prese il volo, diretto verso il suo Cavaliere, ma fu atterrato da un drago terrestre e azzannato ad un’ala.
‹No!› tossì Adeo, cercando di rialzarsi, per poco abbandonando la calma assoluta.
Yuuki lo attaccò con un doppio montante che lanciò il ladro in aria e lo colpì con un potente calcio laterale che lo mandò contro una roccia che si trovava in fondo alla strada che saliva verso la Rocca, frantumandola. Sempre più intensa e pesante era la presenza psichica nemica nella mente di Adeo, le cui difese avevano iniziate a vacillare; il vampiro era finalmente apparso all’orizzonte dell’isoletta del Cavaliere e stava trucidando spietatamente i megalodon. Adeo cercò di nascondere nuovamente il suo mondo interiore con un’onda anomala, ma Yuuki la tagliò con un colpo della sua falce come se non fosse stato niente.
‹Così non va.› strinse i denti.
Utilizzando tutti i suoi scettri e tutta l’energia delle sue gemme, Adeo si guarì completamente e si rialzò di scatto, evitando l’attacco del vampiro che venne sotto forma di onda distruttiva di pipistrelli. Con l’aiuto dell’Ambizione e del settimo senso, riuscì ad evitare tutte le fruste di sangue e le onde d’urto originate dal Juyo dello Scorpione e si avvicinò a lui, spada illusoria alla mano attorniata da fiamme nere sempre più intense. Si parò da una tempesta di sangue indurito con uno scudo di simil-Adamantite e arrivò ad abbattere la sua spada sul nemico, ma ciò che trovò fu solo un’illusione che, dispersa, rivelò uno stormo di pipistrelli che attaccò incessantemente l’umano e lo assordì con i loro stridii. Ma la cosa peggiore era come riuscissero ad intaccargli sempre più l’armatura. Il Cavaliere si circondò nel fuoco nero e lo fece esplodere, incenerendo tutti i pipistrelli all’istante. Subito giunse Yuuki che lo attaccò con un affondo, parato da un nuovo scudo apparso a mezz’aria. Ancora la barriera riuscì a resistere, ma con l’affaticamento e il continuo pressare di Yuuki sul suo mondo interiore, non riuscì a sostenere più l’illusione reale e lo scudo svanì. Si dissolse pure l’armatura illusoria e Adeo, sapendo bene di essere in pericolo, si nascose nella sua furtività e si allontanò di fretta.
Il vampiro rimase fermo nella sua posizione, pronto a scattare da un momento all’altro non appena avesse individuato la presenza del nemico. Anche il suo attacco mentale aveva perso vigore, evidentemente si stava divertendo troppo nel mondo reale per finirla lì.
«Non sono molti gli umani in grado di tenermi testa così a lungo, soprattutto a livello mentale, no che dico, sei il primo! Sei interessante, Cavaliere, soprattutto per il tuo uso del fuoco nero. Prima di ucciderti, farò in modo che mi riveli il tuo segreto.» disse con voce rilassata mentre si scioglieva i muscoli del collo.
Adeo, al riparo dietro ad una roccia, appoggiò le armi a terra e con la sinistra aprì la visiera dell’elmo mentre con la destra prendeva due pozioni dal mantello. Le mandò giù una dopo l’altra in un solo sorso e rimise i contenitori vuoti nelle rispettive tasche. Poi ne prese una terza, anche essa dal liquido azzurrino, mentre con la sinistra ne afferrò una dal contenuto verde chiaro, come un prato estivo, e lo bevve prima di ingoiare la terza pozione azzurrina. Quest’ultima aveva un effetto rigenerativo e rinvigorente, mentre quella verde rafforzava il suo potere mentale.
‹Si ricomincia.›
Richiuse l’elmo e riafferrò le armi, ma rinfoderò il pugnale e legò la frusta al fodero di Tinta alasse’ (che aveva tutte le intenzioni di ritrovare, finito lo scontro, e portare da Bhyrindaar a far riforgiare) e, due pozioni per mano, corse rapido per l’area di battaglia e, sempre nascosto nella sua furtività, le seppellì nelle crepe create nel terreno dallo scontro. Nel piazzare le sue trappole, aveva dovuto fare attenzione agli sporadici attacchi dello Scorpione che, spazientito, aveva iniziato a lanciare terrificanti lance di sangue indurito.
«Spero tu non sia fuggito, Cavaliere! Ti ho fatto dei complimenti che ho raramente espresso nei confronti di demoni maggiori, non dirmi che sono stati sprecati!» esclamò con furia velata mentre la sua energia demoniaca traboccava e la sua Intimidazione si faceva strada anche fra gli alberi della foresta, alla ricerca di qualunque essere vivente da cui attingere Paura.
‹Devo almeno essere felice del fatto che non possieda l’Ambizione del re, o la sua Intimidazione avrebbe effetto anche su di me che ne conosco il segreto, come fa Raizen. Ma mi pare strano che un demone del suo rango non possieda almeno uno dei colori, eppure non l’ha usata fino ad ora…›
Chiuse gli occhi ed espirò con calma, sfoderando i due pugnali e avvolgendoli, assieme all’armatura, in una nuova illusione reale.
Al contempo, partì all’attacco, intento a colpire il nemico furtivamente, mentre mentalmente lo faceva sbranare dai suoi megalodon; l’attacco mentale era stato così forte e inaspettato che distrusse la difesa avversaria, e all’orizzonte dell’isola di Adeo apparve una grande vallata cupa in mezzo alla quale si ergeva un’alta e sottile colonna di pietra nera, in cima alla quale vi era un castello in pieno stile demoniaco.
Creò due cloni di sé con un’illusione reale e mentre uno sgozzava con entrambi i pugnali contemporaneamente il nemico, l’altro lo tempestava di affondi al busto, ognuno diretto al cuore. Il primo clone, dopo il suo attacco, balzò indietro e roteò su sé, calciando in avanti lo Scorpione; il secondo clone eseguì un passo laterale e continuò a pugnalarlo alle spalle mentre l’Adeo originale si apprestava a lanciare una fiammata nera.
Yuuki cadde a terra, sangue che usciva a fiotti da ogni ferita e veniva sputato ad ogni respiro, agonizzante a causa del fuoco nero, e rotolò, cercando disperatamente di estinguerlo.
Era il momento.
Dal mantello prese una pergamena che si era fatto scrivere da Adamar, la sua arma segreta, e la srotolò: su di essa era scritto un incantamento spaziale capace di richiamare undici scettri con la dislocazione. La attivò ed essa si consumò, lasciando spazio agli oggetti incantati che si misero in fila. Erano dieci aste e un guanto legato alla prima, tutti di Cristallo rivestito di mithril. Il guanto destro illusorio svanì e si tolse pure quello di Cristallo fucsia. Infilò quello dislocato e richiamò tutto il suo misero Flusso e lo sommò a 50mila douriki di energia magica, che vennero poi decuplicati dal Cerchio d’argento e ulteriormente amplificati dagli incantamenti del guanto. Si trattava di una semplice e banale magia di fuoco, un raggio che, all’impatto, sarebbe esploso, atto a rafforzare il fuoco nero illusorio.
«Spiriti del fuoco e della distruzione, spiriti della natura e di decadenza, rispondete al mio richiamo e manifestatevi con tutta la vostra furia più spietata. Date supporto alla mia magia e abbattetevi contro il mio nemico con tutta la vostra potenza.»
Le entità evocate si concentrarono attorno all’incantesimo che si stava formando sul palmo destro di Adeo: lanciato, esso attraversò i dieci scettri e raggiunse Yuuki che ancora stava a terra agonizzante.

Gli altri Scorpioni non dovevano aver apprezzato la perdita del loro compagno e, furiosi, attaccarono Gilia con tutto il loro potere. Il leone lo attaccò con un colpo della sua ascia fiammante che generò un’esplosione al momento dell’impatto, scagliandolo indietro, e a riprenderlo fu una tempesta di lance di ghiaccio, generata dall’aquila. Esse si scheggiarono e infransero contro l’impenetrabile armatura di Adamantio, ma i colpi contundenti facevano comunque male, soprattutto il penultimo, che centrò in piano la colonna vertebrale dell’uomo.
«Gh!» esclamò in una smorfia di dolore e capitolò a terra, faccia in avanti.
I due nemici armati per lo scontro ravvicinato gli si lanciarono nuovamente addosso, ma ciò che veramente lo preoccupò fu percepire una grande concentrazione energetica proveniente dal lupo, che stava avvolgendo una freccia in una densa nube nera che terminava in una pericolosa punta.
‹Un incantesimo di penetrazione di quel livello potrebbe anche superare la tua armatura.› notò preoccupato Asthar mentre azzannava violentemente il collo di un drago della Setta, decapitandolo.
‹He.› rispose poco convinto, ben consapevole che le parole dell’Incubo erano veritiere.
«Pugno titanico!» esclamò, battendo entrambi i palmi a terra.
Due gigantesche mani di marmo nero si ersero dal terreno e presero gli Scorpioni in pieno, lanciandoli via. Arrivò la freccia dello spettro con l’armatura da lupo, ma il Cavaliere la bloccò con una parete di marmo nero.
«Armatura di sabbia.» disse, trasformando la terra attorno a sé in sabbia marmorea.
Essa si unì all’armatura della tigre, entrando in risonanza con gli incantamenti e modificandola d’aspetto. Gli avambracci furono rivestiti da escrescenze che ricordavano artigli, le spalliere furono rivestite da delle vere e proprie rappresentazioni di artigli di tigre e le zanne della bocca dell’elmo, dentro a cui si trovava la copertura del volto, si allungarono fino a diventare quelle di una tigre a sciabola. Il marmo nero che lo rivestiva era denso, più denso di qualunque altro dei suoi incantesimi di marmo nero, e questo lo rallentava, seppur di poco, ma gli permetteva anche di utilizzarlo per le sue magie senza doverlo creare dall’ambiente circostante. Volò rapido verso il lupo, Bengala rimandata a Oblivion e Enedome ithil afferrata con entrambe le mani, il suo elemento Sisma e l’Incubo di Syrius combinati attorno alla lama della spada. Lo spettro tentò di difendersi con una barriera mentre fuggiva, ma la componente di marmo nero nell’incantesimo di Sisma permise al tondo dritto di superarla come se non ci fosse nemmeno stata e di dissiparla, poi raggiunse il nemico e con uno sgualembro manco lo tagliò in due da spalla sinistra a fianco destro.
Toccò terra con i piedi appena in tempo per essere scosso da un terribile boato che giunse dalla direzione in cui stavano combattendo Adeo e il vampiro millenario. Una grande esplosione di fuoco, il cui calore arrivò anche a Gilia, illuminò il cielo e il moro si chiese da cosa avesse avuto origine perché i vampiri non possedevano poteri di fuoco e Adeo certamente non era in grado di lanciare magie di quel calibro. O almeno così aveva sempre creduto, ma dopo averlo visto all’opera nemmeno un’ora prima, aveva iniziato a mettere in dubbio tutto ciò che sapeva del Cavaliere eccentrico. Sorrise nel sapere che aveva vinto (non si poteva sopravvivere ad una magia di quel calibro), ma la sua felicità sparì subito nel vedere la grande fiamma estinguersi in poco tempo.

Nel mezzo di quell’inferno di fuoco, Adeo aveva sentito un grande urlo di Yuuki ed aveva sperato che fosse solo la disperazione del demone; invece una grande sfera di sangue cancellò tutto il fuoco e lo Scorpione si rialzò. Bruciacchiato e fumante, con la rigenerazione già in atto, il potente vampiro millenario si era protetto con innumerevoli barriere di sangue, molte delle quali avevano ceduto, a giudicare dai danni inferti dall’esplosione, ma comunque l’incantesimo del Cavaliere non era bastato. E pensare che si trattava del suo asso nella manica.
Uscì dallo stato di calma assoluta e cadde in ginocchio. La scena era molto simile a quella di Evendil contro Raiden, dopo che l’elfo aveva lanciato il suo inno mistico, la sua temibile Folgore bianca. Adeo sorrise e ridacchiò a pensare che stava per morire come il suo amico.
Poi pensò a Siirist, a quante volte il “Salvatore dei sette” sarebbe morto se non fosse stato proprio per gli interventi suoi, a quanto ancora il Cavaliere d’Inferno avrebbe avuto bisogno di lui, perciò richiamò tutte le sue forze e si rialzò, per quanto barcollante.
Fece per prendere una pozione dal mantello, ma il vampiro fu più veloce. Volò rapido verso di lui, la spada destra in avanti, avvolta dal sangue e dal potere dello stormo notturno, assieme alle sue emozioni e a quello che doveva essere il colore dell’armatura. Proprio ora doveva rivelare l’Ambizione, il maledetto, ora che Adeo era stravolto.
Il Cavaliere si difese con due scudi di Adamantite illusoria, uno dietro all’altro: il primo fu trapassato, il secondo solo crepato. Yuuki sorrise. Adeo trasalì nel vederlo muovere il braccio sinistro e sferrare un rapido colpo rotante di nitouryuu con cui tagliò gli scudi in quattro pezzi. Questo poteva voler dire solo una cosa. Ma non si diede per vinto e liberò una fiammata che investì in pieno lo Scorpione.
Adeo capì di essere perduto quando lo sentì ridere.
«Tutto questo tempo, non erano che illusioni. Mi devo complimentare con te, non avrei mai immaginato potessero esserci illusioni reali, ma ora sono curioso, lavorerò per svilupparle anche io. È un vero spreco ucciderti, trasformarti in un mio schiavo sarebbe molto più vantaggioso: ma siamo realisti, sappiamo entrambi che non resteresti un ghoul per nemmeno un minuto prima di diventare un vampiro indipendente.»
Adeo chiuse gli occhi quando si vide arrivare addosso una tempesta di fruste di sangue che gli fecero a pezzi l’armatura di Cristallo dopo aver superato e dissolto quella illusoria. Cadde a terra indebolito e ferito.
Yuuki ripose le sue spade e andò a recuperare la sua falce: per ovviare alla parte di lama spezzata, usò il suo sangue indurito. Adeo usò quell’opportunità (erano questi i momenti in cui amava di più l’arroganza dei demoni maggiori) per raggiungere, seppur a stento, una fiala e estrarla da una delle tasche del suo mantello arcobaleno. Se la portò sotto al viso e la stappò, facendone uscire un denso fumo arancione chiaro. Lo inalò a fondo e chiuse gli occhi, sentendo la grande forza che lo stava invadendo. Tutto il corpo incominciò a tremare sempre più violentemente e incominciò a liberare un gran quantitativo di energia magica. Lo Scorpione si accorse di ciò e, ringhiando, volò di scatto verso di lui, ma Adeo, datosi una spinta con le mani contro il terreno, evitò l’attacco. Il corpo gli si stava ingrossando, ogni fibra muscolare aumentava di volume e non solo, stava pian piano raggiungendo un’altezza superiore a due metri. I resti della sua armatura di Cristallo vennero definitivamente rotti e caddero a terra mentre Yuuki si preparava ad eseguire un attacco con la falce nella destra e una katana nella sinistra; per uno studioso del Juyo, quello sarebbe stato un attacco interessante da osservare.
Adeo sbatté i suoi pugni uno contro l’altro, sorridendo con aria di sfida.
«Cos’è questo rinnovato vigore, umano? Io sono un potente demone di classe X! Ho capito il segreto delle tue illusioni reali e con la tua sola forza fisica, non potrai farmi nulla!»
«Non amo usare questa mia forma, non è molto raffinata ed elegante, ma ora che mi hai costretto ad impiegarla, vedrai quanto ti posso fare con la mia forza fisica.»
Lo Scorpione liberò due potenti sferzate con le sue armi, vanificate da un possente diretto destro di Adeo, che, di conseguenza, si ritrovò il pugno e l’avambraccio lacerati. Ma subito si rigenerarono ed il Cavaliere non perse tempo, scattando verso l’avversario e assestandogli un montante sinistro sotto al mento che lo sollevò e con un altro diretto destro, lo colpì sullo sterno, schiacciandolo e scagliando indietro il demone. Nel ricevere entrambi i colpi, il vampiro aveva cercato di scomporsi nello stormo notturno, ma per impedirgli di farlo, il Cavaliere aveva utilizzato la sua Ambizione e l’aveva unita ad un’illusione reale per simulare il colore dell’armatura e colpirlo ugualmente. Ma non aveva più la forza mentale per utilizzare certe tecniche, perciò, d’ora in poi, si sarebbe dovuto affidare completamente alle sue pozioni. Prese una una fiala celeste e ne inalò i fumi ed essa gli modificò la composizione chimica della pelle, trasformandola in argento, e con tutte le sue abilità mentali dirette a rafforzare la sua barriera psichica, corse alla carica.
Grazie alla fiala dai fumi arancioni, che potenziava esponenzialmente ogni sua capacità fisica, rigenerazione inclusa, aveva ottenuto tutto il potere necessario per debellare un demone. Ma doveva fare in fretta, perché il suo corpo non avrebbe resistito a lungo ai suoi effetti. Inoltre il vampiro sembrava aver accusato poco i colpi ricevuti fino a quel momento, mentre egli era ad un passo dal collassare, e non era detta che sarebbe durato il tempo necessario per vincere. Per fortuna aveva piantato quelle pozioni, prima.
Con un possente gancio sinistro, colpì il demone nella bocca dello stomaco, facendogli sputare sangue, dopodiché lo spinse indietro con un diretto destro. Seguì rapido con una gomitata ed una ginocchiata in salto che lo prese in faccia, per poi schiacciargli il capo contro il terreno, proprio sopra ad una delle fiale che aveva disseminato.
Essa si infranse e liberò un fumo tossico che corrose la pelle dello Scorpione e lo infettò con spore batteriche che contenevano polveri d’argento.
Il vampiro ringhiò furioso e si rialzò, roteando furioso la sua falce, ferendo l’uomo al busto.
‹Maledizione, odio i poteri solidificati…›
Per quanto l’argento annullasse ogni potere demoniaco, una volta solidificato, non bastava il mero contatto fisico per dissiparlo; per rendere nuovamente inutilizzabile la falce, avrebbe dovuto superare lo strato di sangue indurito. Almeno doveva essere grato di combattere di notte, così che l’altro non avesse modo di sfruttare il suo potere d’ombra. E allo stesso tempo, doveva essere grato di possedere le capacità organiche necessarie per vedere perfettamente al buio senza sprecare costantemente energia per una magia di luce o oscurità.
Yuuki menò un doppio colpo in rapida successione di falce e katana, entrambe avvolte in sangue indurito e stormo notturno, che Adeo parò portando in avanti le braccia. Esse vennero amputate all’altezza dei gomiti, ma almeno riuscì a superare le armi avversarie e colpirlo con una testata in faccia alla quale fece seguire un poderoso calcio laterale in pieno ventre. Intanto il braccio sinistro del Cavaliere era subito ricresciuto ed egli si chinò per afferrare il destro e rimetterlo a contatto con il moncherino, e le due parti si riunirono.
‹Dovresti sviluppare una pozione che ti doni un corpo d’ombra come quello di Siirist. Per lui non ci sono problemi, anche se perde le mani con i Cerchi d’argento, perché tanto si ricreano, mentre tutti voi altri Cavalieri dovete sempre essere attenti a non perdere la mano con il Cerchio.› commentò Skimir.
‹Lieto di sentirti ancora parlare, devi esserti ripreso da quella brutta situazione di prima.›
‹Sì, Asthar mi ha salvato e poi un Cavaliere della quarta brigata mi ha guarito l’ala.›
‹Lo dovrò ringraziare abbondantemente, più tardi.›
‹Sì, ma ora pensa a Yuuki.›
Si scrocchiò il collo e inspirò ed espirò a fondo prima di svanire nella sua furtività e colpire a tradimento il nemico. Gli portò via dal fianco la katana ancora riposta e la lanciò via senza che quello se ne accorgesse nemmeno, per poi colpirlo con una gomitata alle costole.
Il fiato mozzato, il demone ansimò prima di riprendere il suo attacco. Il ladro notò l’occhiata rapida che quegli lanciò al suo fianco sinistro, accorgendosi dell’assenza della sua arma, e ringhiando, intensificò il suo attacco.
«Come hai fatto?!» domandò furioso, cercando di vincere la prova di forza in cui erano finiti, con Adeo che teneva saldi i suoi avambracci e gli impediva di abbassare le armi.
«Sondami la mente, se vuoi scoprirlo.» sorrise.
«Argh!»
Prese il volo e si mosse indietro, assestando dei tremendi calci ai gomiti del Cavaliere, spezzandoglieli, per poi roteare in aria e menare un fendente con la falce. Il ladro lo evitò con facilità, spostandosi di lato grazie alle tecniche della Volpe, e si nascose nella furtività. Con l’Ambizione vide il nemico prevedere la sua mossa e falciarlo in due, perciò cambiò strategia e gli rimase davanti, dove lo tempestò di pugni, per poi finire con due colpi di mano a lama e le dita trapassarono il petto del demone. Cercò di superare lo sterno e strappargli il cuore dal petto una volta per tutte, ma non fece in tempo perché lo Scorpione lo attaccò con una ginocchiata, sollevandolo in alto. Stava per venire tagliato in quattro da falce e katana, ma afferrò rapido i due pugnali e parò i colpi dopo averli avvolti momentaneamente in un’illusione reale.
‹Ancora un metro.›
Li lanciò contro l’avversario che li evitò con due passi indietro e con il piede sinistro ancora  sollevato, Yuuki fu fatto scivolare sul terreno di qualche centimetro dall’esplosione generata da una fiala lanciatagli addosso. Mise il piede su quella nascosta nella crepa nel terreno e di nuovo fu attaccato dalla sostanza corrosiva. E questa volta ebbe effetto.
«Kh…! Cosa?!» ringhiò, il piede paralizzato.
«Fiù!» sospirò Adeo, cadendo in ginocchio.
«Cosa mi hai fatto?!»
«La Triade benedica l’argento, sia lodato Titano per averlo concepito. Veramente, credo che, senza, noi Cavalieri avremmo perso la guerra con voi demoni prima ancora della venuta del quarto Cavaliere d’Inferno!»
«Aaahhh!» esclamò dolorante, trattenendosi per non gridare.
«Non c’è bisogno di fare finta, so che stai soffrendo terribilmente, è grazie alle particelle d’argento che hanno invaso tutto il suo sistema circolatorio. Ti stai man mano immobilizzando e i tuoi poteri demoniaci sono sigillati già da un po’. Sinceramente, sono sorpreso tu sia riuscito a volare, poco fa. Basta.» esclamò con un sospiro, cadendo indietro esausto e completamente rotto.
‹Povero Siirist, sempre costretto ad usare l’Assorbimento del Lampo… Come lo capisco…›
E mentre Yuuki veniva man mano trasformato in una statua d’argento, Adeo si addormentò.

 

~

 

Ce l’ho fatta, finalmente! Dai, è comunque passato meno tempo che tra lo scorso aggiornamento e quello precedente! E udite, udite…! Ho già terminato i prossimi due capitoli! Il prossimo capitolo si intitola FUOCO E VENTO e sarà pubblicato domenica 15. Adeo ora si gode il meritato riposo, ma la battaglia di Gilia non è ancora finita.

Ritorna all'indice


Capitolo 88
*** FUOCO E VENTO ***


FUOCO E VENTO

Quello non era il momento di pensare ad Adeo; strinse i denti quando sentì il potere mentale dei due nemici rimasti intensificarsi.
‹Basta, non ce la faccio più…› ansimò.
Stava per annullare le magie di marmo nero quando sentì la sua mente invasa da un senso di freschezza e la sua barriera rafforzata, gentile concessione di Asthar che aveva unito la sua mente a quella del Cavaliere.
‹Se non siamo insieme, può essere pericoloso fondere le menti perché non abbiamo l’abilità di Eiliis e Alea di concentrarci al meglio su più di una situazione, e visto che anche io sono alquanto impegnato, non posso mantenere la fusione di menti per più di cinque minuti. Scusa.›
‹Va più che bene: cinque minuti in più con il marmo nero possono significare anche mille Scorpioni in meno!›
Tutti gli attacchi dei nemici rimasti erano vanificati dall’armatura di sabbia marmorea, così come le loro difese, perciò erano obbligati ad evitare anziché parare.
«Giavellotto vibrante!» esclamò creando una lancia di Sisma dal palmo sinistro, sfruttando la sabbia marmorea.
Lo comandò magicamente, guidandolo con forza verso il leone, ma l’aquila riuscì a deviarlo colpendolo con un gigantesco martello di ghiaccio il cui manico era costituito dalla spada corta a forma d’ala. Ma l’incantesimo del Cavaliere d’Incubo non era così banale.
«Raffica d’aculei!»
Il Giavellotto vibrante, formato da sabbia ben compattata, si divise in cinque lance della stessa grandezza, ma molto meno dense, che volarono verso i due nemici e dalla posizione in cui si trovavano lo spettro ed il suo martello, non poteva colpirle di lato. Allora l’aquila generò un tornado che fece uscire le lance di Sisma dalla loro traiettoria e il leone seguì, incendiando il vortice d’aria che fu poi diretto verso Corvinus.
«Ruggito della tigre!» esclamò, richiamando il suo famiglio.
Esso ruggì una tempesta di sabbia marmorea contro il tornado, disperdendolo, e Gilia corse rapido verso i nemici aiutato dall’elemento Sisma, la componente di fulmine che lo velocizzava e quella di terra che gli permetteva di scivolare più agevolmente e rapidamente sul terreno.
Ma sfruttando la copertura fornita dall’esplosione del tornado fiammante che veniva dissipato, lo spettro era sparito, lasciando Gilia a cozzare Enedome ithil contro lo scudo del leone.
«Trivella divina!»
Con una combinazione di sabbia marmorea e elemento Incubo, Gilia perforò lo scudo e il corpo dell’elfo oscuro, ma questi svanì, rivelando un’illusione.
‹No. Quando mi ci sono scontrato era reale, si deve essere nascosto nell’illusione dopo per fuggire. È vicino.›
Difatti venne colpito alle spalle dal bordo dello scudo dorato, il colpo che andò ad infierire sulle scapole, e un secondo attacco, un calcio, lo raggiunse, ma rafforzando il corpo con l’Ambizione, il Cavaliere non sentì nulla.
Il famiglio cercò di attaccare l’elfo oscuro, ma venne fermato da una barriera di ghiaccio, facilmente dissolta dai suoi artigli di marmo nero, ma ormai il leone era sparito, di nuovo mascherato da un’illusione.
‹Stanno prendendo tempo, attaccandoti di tanto in tanto per affaticarti e distrarti, intanto intensificando i loro attacchi mentali.› lo avvisò Asthar.
‹Lo so, me ne sono accorto. Ciò che è peggio è che credo abbiano capito che controllare il marmo nero sia incredibilmente difficile e stiano aspettando che lo smetta di usare. Eh?›
Scosse la testa di scatto sbattendo gli occhi. Aveva la testa leggera.
‹No…› pensò incredulo e infastidito.
‹Dove?› domandò preoccupato l’Incubo.
‹Non lo so.›
Quel maledetto spettro stava risucchiando l’ossigeno attorno a lui, ma il punto di focalizzazione della magia non poteva essere troppo vicino, altrimenti sarebbe stata neutralizzata dalla pietra di Titano. Sollevò la spada, la sabbia marmorea che ci si concentrò attorno.
«Vortice di sabbia!»
Generò una tremenda sferzata rotante di sabbia marmorea che, innalzandosi verso il cielo, annullò l’incantesimo dell’aquila e subito il Cavaliere ritornò a respirare normalmente.
‹Appena li trovo, li ammazzo.›
Ma i due Scorpioni dalle armature d’oro erano spariti e non ve ne fu più traccia fino al momento in cui Asthar, scusandosi, smise di alimentare la mente del suo Cavaliere con la fusione psichica e questi dovette interrompere il suo uso del marmo nero. L’armatura magica si era appena scomposta in polvere che già era tornato il leone, il filo della sua ascia incandescente, la fiamma così concentrata da diventare tagliente. Cozzò con il grande scudo invocato da Gilia, i cui incantamenti resistevano, ma il moro si trovava bloccato dalla grande forza del nemico, accresciuta dalle possenti fiamme smeraldine che lo circondavano. Il famiglio cercò di assistere il suo mago, ma ormai privo del potere del marmo nero, venne consumato dalle fiamme dell’elfo oscuro.
‹In due possono giocare a questo gioco.›
«Spiriti della terra, potenti custodi dei Beor, datemi forza!» evocò.
Con un grido di rabbia spinse indietro il leone e fece per abbattergli Enedome ithil avvolta nel Sisma in testa, ma l’aquila intervenne, costringendolo ad evitare il colpo per non riportare un trauma cranico.
‹Era tanto bello quando anche quello lì usava un’arma da taglio, perché è dovuto passare ad un’arma contundente?!›
Quando il gigantesco martello di ghiaccio lo attaccò di nuovo, menò un poderoso sottano dritto che lo tagliò in due e si preparò a crivellarlo con guglie di Sisma, ma non ebbe nemmeno il tempo di liberare l’energia magica richiamata che venne investito da un uragano infiammato. Ancora ringraziò gli incantamenti eccellenti di Hans: Adamantio o non Adamantio, se gli incantamenti fossero stati scritti da un incantatore inferiore, a quest’ora starebbe friggendo all’interno della sua armatura.
Con una sferzata della spada, carica della sua Ambizione, il Cavaliere estinse le fiamme e con rabbia guardò verso i due nemici che stavano concentrando una palla di fuoco amplificato dal diametro di oltre cinquanta metri.
Infilò la spada nel terreno, trasformandolo in sabbia ferrosa che emanava intense scariche viola scuro e alzò la sua arma in un montante, liberando la magia.
«Tempesta di sabbia!»
Essa colpì i nemici, ma la grande sfera fiammante si fece largo attraverso di essa e lo stava per colpire quando nuovamente infilò la lama della Falce di luna nella roccia.
«Cancello dei Beor!»
Un imponente muro di marmo nero, alto cento metri e largo ottanta, si innalzò, vanificando la magia combinata degli Scorpioni, e prima ancora che la Tempesta di sabbia perdesse la sua efficacia, il Cavaliere si aprì un varco nella sua barriera e corse rapido verso i due, sostituendo l’armatura con quella del serpente. Rimandò a Oblivion anche lo scudo e impugnò la Falce di luna nella sinistra, lasciando la forma base di Enedome ithil nella destra. Velocizzato dall’elemento fulmine, giunse a un metro dall’aquila in un istante e lo colpì al busto, aprendogli l’armatura, ma quello era riuscito a spostarsi indietro a sufficienza per evitare un colpo mortale. Gilia non poté farne seguire un secondo perché attaccato alle spalle dal leone, ma grazie all’agilità incrementata dall’armatura gialla, poté compiere un movimento rotante in orizzontale e schivare la lama fiammante dell’ascia, per poi abbattergli la Falce di luna sulla gola.
L’aquila si era allontanata per andarsi a guarire ed il leone capitolò a terra mortalmente ferito, ma Corvinus sapeva bene che doveva finirlo o si sarebbe solo rigenerato. Si riequipaggiò nuovamente con l’armatura bianca della tigre e, lo Spaccaossa nella sinistra, lo abbatté con forza sulla colonna vertebrale dell’elfo oscuro, spezzandogliela, appena prima di trafiggergli il capo con Enedome ithil.
A sconvolgergli i piani fu una tempesta di ghiaccio che gli congelò il lato destro e lo allontanò dal nemico e lo spettro gli volò rapido in contro, innumerevoli armi contundenti di ogni dimensione e fattura immaginabile, tutte generate dal suo potere di ghiaccio, che gli vorticavano intorno ed attaccavano l’avversario. Istantaneamente, questi si riequipaggiò con l’armatura rossa del toro, in tempo per ricevere i primi colpi dati da due martelli e cinque mazze, due delle quali acuminate, che lo inchiodarono al terreno. Appoggiò i palmi a terra e liberò la sua magia, trasformando il terreno in sabbia e sprigionando il suo più potente incantesimo di terra.
«Ruggito della terra!»
Un’area circolare dal diametro di cento metri fu delimitata da un enorme muro di sabbia che si innalzò di altrettanti metri, e in mezzo ad esso si formarono quattro gigantesche teste di tigre, ognuna in uno dei punti cardinali, che ruggivano feroci. I due Scorpioni si riunirono al centro e quando le manifestazioni del famiglio del Cavaliere si abbatterono tutte insieme su di loro, pronte a divorarli, in pochi secondi furono trasformate in vetro dalle fiamme del leone e poco dopo furono infrante da nuove armi di ghiaccio.
«Quattro muri di pietraferro.» esclamò, facendo crescere quattro delle classiche barriere di Adamar.
Con la forza della sua magia le piegò in modo da creare una cupola attorno a sé, così da proteggersi dagli insistenti attacchi delle armi di ghiaccio, e riprendersi.
‹D’accordo, qui ci vuole una nuova strategia.›
‹Sono impressionato che quell’elfo oscuro sia riuscito a liberarsi così facilmente del tuo più potente incantesimo di terra. Mi stanno preoccupando sempre più. Purtroppo qui la situazione non sembra migliorare e se me ne andassi, molti draghi e Cavalieri verrebbero eliminati dai draghi terrestri, altrimenti sarei già lì ad assisterti.›
‹Lo so, ma non preoccuparti, quel leone maledetto non potrà liberarsi così facilmente del Ruggito della terra ancora per molto: non lo senti perché sei distante, ma il suo quantitativo energetico è sceso drasticamente, mentre io ho usato un minimo della mia riserva. Finché utilizzo incantesimi semplici e li costringo a debilitarsi, posso vincere. Intanto recuperiamo le nostre facoltà mentali, perché il marmo nero potrebbe essere di nuovo necessario per il colpo finale.›
‹D’accordo.› rispose, prima di esalare un Ruggito che pietrificò un drago terrestre in procinto di schiacciare un Cavaliere della nona brigata.
«Sabbie mobili.» mormorò, affondando nel terreno.
Allontanatosi di una ventina di metri, ritornò in superficie il più silenziosamente possibile, al sicuro dietro ad una roccia, e avvolto in un incantesimo di invisibilità oscura, volò verso l’alto. Aveva raggiunto l’altezza delle mura nere e, da lì, osservò il campo di battaglia, sbigottito: tra l’imponente muro di marmo nero, l’area di sabbia ferrosa e quella di sabbia comune rimasta dopo il Ruggito della terra, quel punto dell’isola non si riconosceva più.
‹Non sarà facile riportarla al suo aspetto originale.›
‹Specie dopo la magia che stai per lanciare.› commentò Asthar.
‹Hehe.›
«Ira devastante di Raijin!»
Liberò la sua energia nel cielo, ammassando dense e scure nubi da cui subito si liberarono saette su saette che crearono terribili solchi sul terreno, investendo in pieno i nemici.
‹Dici che avranno capito che uso parecchio terra e fulmine?›
‹Sì, è il momento.›
Volò rapido verso l’aquila, energia magica nella sinistra e spada nella destra, e liberò il suo incantesimo: come previsto, lo spettro creò una spessa parete di giaccio atta a parare magie di terra e neutralizzarne di fulmine. Ciò che non si era aspettato era un incantesimo perforante di oscurità concentrata dalla forma di una catena che terminava in una punta acuminata. Giunta a pochi centimetri dal bersaglio, si divise in quattro e perforò il ventre dello Scorpione, arpionandolo, e Gilia tirò indietro, schiacciandolo contro il muro di ghiaccio da lui stesso creato, per poi trafiggerlo in testa con Enedome ithil.
Se fosse stato un novellino che non percepiva la magia in atto, avrebbe pensato che fosse finita lì, ma Corvinus si accorse subito dell’incantesimo di rigenerazione lanciato dall’aquila prima di venire trafitto e stava per far esplodere il suo elemento Incubo quando dovette lasciare andare la presa della spada per evitare l’attacco dell’elfo oscuro.
‹Ne hai eliminati due, eppure questi rimasti sono ancora più fastidiosi di prima quando erano in quattro.› osservò Asthar.
‹Non me lo dire…› sbuffò.
In volo sopra alla testa del leone, Gilia aprì il palmo destro e glielo appoggiò sul capo.
«Buco nero.»
Uno degli incantesimi predefiniti dell’ombra divoratrice di Syrius, quello era fra i più potenti e complessi attacchi di entrambi i Cavalieri d’Incubo, e l’elfo oscuro fu veloce abbastanza da accorgersi del pericolo e allontanarsi, altrimenti sarebbe rimasto ben poco del suo corpo. A giudicare dal punto in cui era stato toccato, sarebbero rimasti i moncherini delle sue gambe al di sotto delle ginocchia.
Senza perdere tempo, Corvinus rimise mano ad Enedome ithil, ma non prima che l’aquila se ne liberasse, ma rimaneva comunque arpionato alle catene strette nella sinistra del Cavaliere.
«Puoi anche arrenderti e farti ammazzare, perché io non lascio la presa.»
Conoscendo il segreto della creazione oscura avrebbe potuto creare delle catene fisiche come era solito fare il Cavaliere nero, e da esse liberare il suo Sisma in tutta la sua potenza, ma tutto il fulmine che poteva incanalare attraverso l’oscurità era l’Incubo di Syrius, affatto efficace in quel frangente.
‹Dovresti lavorare su un incantesimo predefinito che liberi lame di Incubo dalle Catene d’ombra.› meditò Asthar.
‹Non è il momento!› esclamò, impegnato a schivare gli attacchi combinati degli Scorpioni.
L’aquila aveva dissolto il suo muro di ghiaccio, perciò era libero di muoversi contro il nemico come un cane rabbioso che attaccava il padrone che lo teneva al guinzaglio.
«Ho detto che non lascio la presa! Catene d’ombra!»
Dalle catene già nel corpo dello spettro se ne crearono di nuove che lo perforarono dall’interno, facendogli emettere un verso strozzato e debilitandolo al momento. Con un grido di rabbia, Gilia roteò il braccio sinistro e sbatté lo spettro a terra in mezzo all’area di sabbia ferrosa, per poi alzare il braccio destro e parare con la spada l’ascia del leone.
«Corona del deserto!» esclamò, trafiggendo lo spettro.
Lasciò la presa della Catene d’ombra, che si dissolsero, e invocò Amur nella sinistra e la abbatté sull’elmo dell’elfo oscuro, rintontendolo, per poi menare un tondo dritto con Enedome ithil, che però andò a vuoto.
Guardò con fastidio il leone che volava verso l’aquila e alzò la spada al cielo, avvolgendola nel fulmine.
«Giudizio di Ramuh!»
La saetta colpì l’elfo oscuro alla schiena, abbattendolo, per poi andare ad unirsi alla sabbia ferrosa e fondersi per creare il Sisma, fulminando ulteriormente i due nemici.
«Fauci voraci.»
Lanciò il suo incantesimo vivente d’acqua che diede forma ad un megalodon, il quale si diresse versi i nemici sfruttando l’umidità nell’aria per nuotarci. Addentò il leone, negandone il fuoco e staccandogli braccio e gamba destri.
‹Eh no, basta!›
Nel vedere l’aquila rialzarsi in volo, seppur lentamente, comandò mentalmente al megalodon di attaccarlo mentre preparava un secondo Giudizio di Ramuh. Evitò una sequenza di palle di fuoco verde mentre concentrava la sua magia, e finalmente la liberò colpendo lo spettro che era stato bagnato dal megalodon che si era fatto esplodere. Per finire, con la Falce di luna nuovamente combinata a Enedome ithil e Bengala nella sinistra, Corvinus andò ad attaccare il leone, solo per essere fermato da un nuovo arrivato, dall’armatura un compagno di quelli con cui aveva combattuto fino a quel momento, che aveva la testa che raffigurava un ariete.
‹Un altro, eh?› pensò infastidito.
‹Fusione mentale?› chiese il drago.
‹Ancora no, riprenditi ancora un po’. Questo nuovo arrivato è già abbastanza provato, ne sento il fiatone fino a qui: deve essere fuggito da un’altra battaglia, a giudicare dalle crepe nella sua armatura e dalle ferite. E quel ghiaccio… Hehe, sei finito male, amico.› commentò felice, osservando come il lato sinistro del nuovo nemico fosse ghiacciato dal fianco al tallone, ed il ghiaccio continuava ad espandersi e a freddare.
L’ariete lanciò due raggi di luce in direzione dei compagni, guarendoli quasi all’istante e Gilia sbuffò, ma tutta la rabbia che aveva provato fino a poco prima era svanita, sia perché aveva visto quel ghiaccio, sia perché fra poco avrebbe investito tutti con la sua inarrestabile sabbia marmorea.
Aquila e leone, ripresisi, si stavano per rialzare in volo, ma Gilia li fermò sul posto con una serie di Catene d’ombra che li trapassarono. L’ariete lanciò due grandi lame di luce che vanificarono l’oscurità del Cavaliere per poi attaccarlo con due diretti di fila, parati dal grande scudo di Adamantio invocato al posto di Bengala. Si spostò rapido per evitare un attacco combinato di fuoco e vento che, invece, investì l’ariete e immise la sua energia magica nella sabbia ferrosa, innalzandola per un secondo Ruggito della terra.
Ancora una volta fu l’elfo oscuro dall’armatura di leone a vanificare l’attacco del moro, fondendo la sabbia ferrosa, ma ancora più di prima accusò il colpo e cadde a terra in ginocchio.
‹Sei mio.›
«Lancia di Raijin!» esclamò, puntando in avanti la spada avvolta da fulmini neri.
L’ariete tentò disperatamente di difendere il compagno con una barriera di luce, ma essa venne infranta dalla magia del Cavaliere d’Incubo che andò a tagliare in due il leone all’altezza del petto.
‹Fusione mentale?›
‹Fusione mentale!›
Le due aree di sabbia e sabbia ferrosa, ormai miste fra loro, si trasformarono in sabbia marmorea, unita anche a quella ottenuta dalla scomposizione della grande barriera precedentemente eretta.
«Neutralizzate questo! Ruggito della terra!»
Come topi contro le fameliche tigri cardinali, i due Scorpioni rimasti tentarono disperatamente di fuggire, riuscendo ad evitare di essere inghiottiti dalla prima, ma la seconda tigre sabbiosa prese l’ariete nelle fauci e lo inghiottì, schiacciandolo con tutto il peso della terra. Abile con il vento seppur così vicino al marmo nero, l’aquila riuscì a fuggire, solo per venire trafitto da una freccia in fronte e due in petto, per poi trasformarsi in una statua di ghiaccio e andare in frantumi.

 

~

 

Il prossimo capitolo si intitola DRAGHI CONTRO SCORPIONI e sarà pubblicato domenica 29. Si vedranno altri punti di vista della grande battaglia che infervora nella Rocca e l’arrivo di un nuovo, temibile nemico.

Ritorna all'indice


Capitolo 89
*** DRAGHI CONTRO SCORPIONI ***


DRAGHI CONTRO SCORPIONI


Quegli Scorpioni sapevano il fatto loro, doveva ammetterlo. La loro invasione era stata pianificata egregiamente, prima con l’attacco dei Valendiani, atto a debilitare i Cavalieri, che li avevano attaccati dopo averli privati dei loro poteri mistici; poi con la carica dei draghi terrestri, manipolati grazie a quello strano collare, avevano eliminato un gran numero dei Cavalieri già indeboliti prima ancora che gli alati potessero ritornare a dar loro man forte, e ciò causò la morte anche di un gran numero di questi ultimi. E ora che i Cavalieri sopravvissuti si erano ripresi ed erano nuovamente al fianco dei loro compagni mentali, erano arrivati gli Scorpioni di più alto rango: mistici di prima categoria e demoni maggiori, assieme ad un’apparente infinità di guerrieri da mandare al macello, umani, orchi o nani che fossero.Con una barriera di fuoco freddo, Althidon protesse Lars da una sfera di fuoco di un mistico umano. Lo fissò con rabbia, prendendone il controllo mentale nonostante le difese dello Scorpione e portandolo a suicidarsi trafiggendosi la gola con il pugnale.
«Maestro!» chiamò Lars.
«Vieni qui e stai in guardia. Avverto una forte aura maligna.»
Drain, il drago arancione scuro, quasi rosso, si avvicinò a Zelphar e Lars estrasse una freccia dalla faretra e la incoccò.
A poca distanza da loro apparve a terra il sigillo nero del drago e da esso uscì un gigantesco adamanthart, il Primo di Hashmal, il cui collo serpentino si allungò ed azzannò il ventre a Zelphar che aveva fatto appena in tempo ad ingrandirsi per contrastarlo, impennando.
Me ne occupo io.› disse Althidon al suo drago.
Con un rapido incantesimo slegò i lacci che gli assicuravano le gambe alla sella e volò via, dirigendosi verso l’invocatore, spada e daga già unite e avvolte nel suo personale fuoco viola, ma a fermarlo fu un grande cono di magma. Avrebbe riconosciuto quell’incantesimo fra mille.
No…
Orripilato guardò verso destra e vide il suo vecchio amico Daratrine che faceva roteare il suo artiglio assicurato al pomolo della spada. Lo lanciò verso il viso di Althidon, che lo evitò per un soffio, procurandosi comunque un graffio sulla guancia sinistra. Il suo istinto guerriero reagì e impugnata la daga con la destra, la separò da Runianorna e la infiammò con il fuoco freddo, pronto a colpire il nuovo nemico, ma vedendolo in faccia, l’anziano e vissuto Cavaliere perse tutta la sua concentrazione e la magia perse effetto. Per tutta risposta, Daratrine mosse la sua spada avvolta nel cono di magma, ustionando gravemente il lato sinistro del volto dell’altmer. 
Non distrarti!› intimò Zelphar.
Althidon volò rapidamente via, maledicendo gli undici demoni che prima erano riusciti a rompergli l’elmo. La sua altra falla nell’armatura era all’altezza del bacino, sul lato destro: doveva starci attento.
«Maestro!» chiamò Lars.
«Stai indietro!»
Mentre Zelphar e l’adamanthart continuavano a combattersi furiosi e Lars e Drain si occupavano di un manipolo di guerrieri in avvicinamento, Althidon e il corpo rianimato di Daratrine si fissavano. L’alto elfo ricongiunse le sue due armi e, sospirando, incominciò a far roteare la sua arma doppia, infiammandola con il suo fuoco personale. Ma quando lo zombie attaccò, Althidon reagì con insicurezza e fu spinto indietro dal cono magmatico, dal quale si estesero due grandi fauci da mastino.
Smetti di essere così arrendevole, non è il primo negromante che affronti, sai che quello che hai davanti non è più Daratrine! Ora fatti forza e combatti come sai fare!› ruggì il drago viola.
«Kh…»
Stringendo i denti e con lacrime di tristezza e rabbia che gli bagnavano gli occhi, Althidon usò anche la sinistra per roteare magistralmente la sua arma e grazie ad un movimento della Danza del Serpente e la Gru, si inchinò in avanti inarcando la schiena così da evitare un tondo dritto dell’avversario. Si alzò di scatto, l’arma nella sinistra, e menò un possente montante che tagliò in due la testa di Daratrine, facendone scomporre tutto il corpo e cadere a terra le ossa assieme alle vesti, l’armatura e le armi.
L’altmer le osservò un momento, notando come fossero delle copie quasi identiche di quelle che aveva un tempo brandito l’altro Maestro: il negromante che lo aveva resuscitato sapeva il fatto suo. Althidon espanse la mente, partendo dal residuo magico sulle ossa usate per resuscitare Daratrine per trovare il mago nemico. Si sarebbe trovato ad affrontare un nemico di tutto rispetto che avrebbe avuto indubbiamente al suo servizio una schiera infinita di guerrieri di alta classe. In genere, per resuscitare qualcuno con la negromanzia era necessario essere in possesso del suo corpo, ma quello di Daratrine era stato cremato assieme a tutti gli altri Cavalieri caduti nella battaglia per il Pomolo. Questo significava che lo Scorpione aveva usato le ossa di un’altra persona assieme a qualcosa che era stato di Daratrine: un capello, un’unghia, il suo sangue… L’unico nemico affrontato da Daratrine nell’ultima battaglia a Vroengard era stato Raiden, che lo aveva ucciso e non si era appropriato di alcuna parte del suo corpo. E per secoli, prima, era stato alla Rocca come Maestro. Che il negromante si fosse appropriato del necessario per resuscitarlo prima che fosse diventato un Maestro? In tal caso dovevano averlo incontrato insieme, perché ai tempi in cui avevano servito nella terza brigata, Althidon e Daratrine erano stati inseparabili. Ma era passato tanto di quel tempo, non riusciva a ricordare…
Tutto il suo corpo fu percorso da brividi quando percepì l’attivazione della sinistra magia che era la negromanzia. La terra attorno a lui incominciò a tremare e da essa uscirono diversi cadaveri e nuovamente pure Daratrine si rianimò, la terra, trasformata in fango, che si andava ad unire alle ossa per ricostituirne il corpo. Althidon vide umani, elfi, nani, demoni, Cavalieri, persino draghi terrestri e alati. Come aveva sospettato, quel negromante non era qualcuno da prendere sotto gamba.
E improvvisamente si ricordò. Pochi anni prima di diventare Maestri, cinquanta o sessanta, Althidon e Daratrine erano stati mandati in missione a Spira, dove erano stati segnalati degli incidenti di natura mistica lungo la via Djose. Tra i due insediamenti elfici di Guadosalam e il Bosco di Macalania, diversi elfi erano stati trucidati e i corpi dissacrati, evento che aveva fatto sospettare l’opera di un negromante. E proprio quello incontrarono, un altmer deviato che era stato fatto a pezzi dai due Cavalieri, ma non prima che fosse riuscito ad appropriarsi di una cospicua ciocca di capelli di Daratrine.
Althidon strinse forte la sua arma con entrambe le mani. Con Zelphar impegnato a combattere l’adamanthart e quattro draghi resuscitati, uno dei quali un alato, non poteva contare sul suo aiuto, anzi, gliene avrebbe dovuto dare lui, e presto.
«Spire alate!» esclamò, richiamando il suo famiglio.
Dal fuoco viola prese forma un grande pitone dalle ali piumate che si avvolse attorno al suo mago, formando una barriera, dandogli modo di piantare la sua arma doppia nel terreno e mordersi il labbro, passare il palmo guantato destro sulla ferita, battere le mani ed iniziare a formare i settantadue sigilli del drago per invocare alcuni dei suoi daedra.
Alla sua destra si aprì il portale giallo brillante da cui uscì un unicorno striato del piano di Bahamut. Con un secondo sacrificio di sangue, l’alter ripeté l’operazione, invocando una chimera nera dal piano di Fenrir, poi un’anima di fuoco dal piano di Ifrit e un garuda scheletrico dal piano di Zalera, il tutto in meno di trenta secondi, giusto in tempo per riafferrare la sua arma e balzare via per evitare una lama di oscurità che superò la barriera del suo famiglio.
«Ruota infernale!» gridò, roteando la sua arma e liberando il suo fuoco freddo contro un demone rianimato.
Lo colpì in pieno petto e così fece con altri sei nemici.
«Fiamme della penitenza!»
Gli zombie furono congelati nel ghiaccio viola e Althidon balzò a destra, il busto ruotato verso sinistra e la sua doppia arma portata davanti a sé per proteggersi dal doppio fendente di un demone maggiore. Due Cavalieri, entrambi suoi vecchi allievi, uccisi durante la battaglia per il Pomolo, gli giunsero dai lati, obbligandolo a saltare verso l’alto, roteando il corpo e ritrovandosi con la testa verso il basso: alzò il braccio, la lama di Runianorna fra i tre nemici.
«Bianca luce della penitenza.»
La luce ardente di Aulauthar bruciò così intensamente da dissolvere i corpi rianimati per metà, ma il Cavaliere sapeva fin troppo bene che, se non avesse eliminato il negromante, si sarebbero solo rigenerati.
Doveva pensare. Anche circa mille anni prima quel mago non si era mai fatto vedere: come avevano fatto a scovarlo?
La sua linea di pensiero fu interrotta dalla catena assicurata alla spada di Daratrine, subito seguita dal cono di magma e da un calcio, poi un getto di acqua pressurizzata e bollente. Althidon fece appena in tempo a proteggersi con una barriera di luce e il suo famiglio intervenne per attaccare il vecchio amico, ora ridotto ad un semplice schiavo.
Vide accorrere alcuni Cavalieri che invocarono i loro daedra e con essi ed i loro draghi, quelli rianimati, almeno, vennero impegnati, lasciando un po’ di respiro a Zelphar.
Eliminato questo fastidioso adamanthart, potrò aiutarti, pazienta ancora un po’.
Non preoccuparti e non affaticarti troppo. Abbiamo una certa età, ormai, certi sforzi non ci fanno bene.
Parla per te, bipede, io sono in forma come lo ero mille anni fa!
Althidon sorrise e appoggiò la mano a terra mentre il suo famiglio ed i daedra tenevano i nemici rimasti in piedi lontani da lui. Se non ricordava male, il negromante era stato un esperto di terra, acqua (fondamentali per generare il fango necessario per rianimare i corpi), oscurità e magia organica, soprattutto magia del sangue, da cui derivava proprio la negromanzia. Grazie alla sua maestria di terra e acqua, non solo era stato in grado di creare il fango, ma aveva anche usato una magia simile all’elemento Natura di Ascal, difatti si era nascosto fra gli alberi del Bosco di Macalania, rendendosi impossibile da rintracciare. Ora non c’erano alberi, e se ce ne fossero stati, Althidon si sarebbe assicurato di ridurli in cenere, ma questo non significava che il maledetto non si potesse nascondere sotto terra: questo avrebbe anche spiegato come avesse fatto a piantare tutte quelle ossa.
Sorrise nell’accorgersi di aver individuato il bersaglio.
«Zanna del drago di fuoco!»
La lama di Runianorna fu avvolta nelle fiamme viola a bassa concentrazione, così che non congelassero ma rafforzassero solo l’attacco, dando forma ad una grande zanna fiammante. Si trattava del più potente incantesimo di perforazione dell’altmer, capace persino di tagliare le scaglie di un drago con facilità, al quale erano dedicati gli incantamenti della coccia della spada e degli anelli che indossava su indice e medio sinistri. Impugnata la doppia arma come fosse uno spadone a due mani, volò rapido verso l’adamanthart immobilizzato da Zelphar e gli assestò il colpo di grazia, rimandandolo ad Oblivion e causando la morte dell’invocatore che già nel frattempo aveva perso tutti gli altri daedra che aveva invocato.
Sono pronto quando vuoi.› disse Zelphar, volando in alto e concentrando una grande palla di fuoco in gola.
Lars, mi serve il tuo aiuto.› disse all’allievo.
Arrivo, datemi un momento.
Il ragazzo scagliò la sua ultima freccia che, colpito il nemico alla spalla, lo pietrificò. Drain si voltò scuotendo la testa e dilaniando un orco, per poi sputarlo e prendere il volo, dirigendosi verso Zelphar.
No, stai più indietro, può essere pericoloso, ma mi serve il tuo aiuto nella magia che sto per lanciare.
D’accordo.
L’affinità elementale del ragazzo era impressionante, era paragonabile a quella che aveva Siirist con il fuoco, tant’è che aveva sviluppato incantesimi complessi ed elaborati in pochi anni. Non erano niente di innovativo come lo era stata, al tempo, la sabbia di Adamar, ma se il Cavaliere delle sabbie aveva imparato a pietrificare un nemico con una freccia impolverata in sessant’anni, Lars lo aveva fatto in due. E possedeva un Flusso di 420, che non lo metteva al livello di certe leggende, ma era sufficiente per farlo rientrare nei venti Cavalieri in vita dal legame più alto. E per quanto il Maestro potesse lanciare quell’incantesimo anche da solo, con il supporto dell’allievo sarebbe stato più semplice e, ancora più importante, sarebbe stato libero di contrastare un eventuale contrattacco del negromante.
Dovrai allargare la crepa che sto per aprire.› informò il ragazzo.
Questi annuì e Althidon alzò la sua arma doppia ancora impugnata come uno spadone e ancora avvolta nella Zanna del drago di fuoco, ma, per mantenerlo, lo aveva momentaneamente fornito di 80mila douriki energetici, così che potesse utilizzare il Flusso per altro.
«Spaccaterra!» esclamò, menando il suo poderoso fendente, aprendo una gigantesca crepa nella roccia della collina.
Allora intervenne Lars, che la divaricò, ma come aveva previsto Althidon, il contrattacco del negromante, che doveva aver percepito la magia di ricerca del Cavaliere, non si fece aspettare ed uscì dal terreno sotto forma di idra famelica.
A differenza delle resurrezioni precedenti, questa idra non era completamente riformata e appariva come un cadavere in putrefazione. Certo, nessuno zombie poteva essere scambiato per vivo, ma se non per la pelle grigiastra e gli occhi inespressivi, Daratrine era stato riportato al suo aspetto originale. Le teste serpentine dell’idra erano in rovina e perdevano pezzi di carne, sintomo che l’energia del negromante era quasi terminata. Ottimo.
Il famiglio nuovamente lo avvolse nella barriera quando arrivò la terribile fiammata di Zelphar che obliterò l’idra e Lars fece rapidamente seguire una magia che creò una serie di spunzoni di terra indurita che obbligarono il negromante ad abbandonare il suo nascondiglio.
Volato fuori venne agguantato da Althidon che lo sbatté a terra.
«Fai un lavoro migliore, questa volta.» disse con aria di sfida.
«Senz’altro.» rispose il Cavaliere, decapitandolo e poi carbonizzandone il corpo.

Immobile al centro della piazza d’ingresso, Bial guardava fisso in avanti, gli occhi iniettati di sangue, mentre i suoi petali di ciliegio volavano intorno dilaniando Scorpioni. Ren deglutì ancora una volta nel vedere il suo capitano. Chi non lo conoscesse bene, paragonandolo a come aveva combattuto precedentemente, avrebbe potuto pensare che si fosse calmato, invece era tutto il contrario. Usare Kainelde pio lokter scomposta nell’elemento Danzante e ricreare innumerevoli armi mutanti da usare nello scontro ravvicinato era lo stile preferito di Bial e quello che gli risultava più semplice perché era con quello stile che era cresciuto come Cavaliere, sotto la tutela di Eimir. Ma quando voleva veramente rendere il suo potere inarrestabile e devastante, utilizzava l’Onda di petali. Dall’offesa e la difesa impeccabili, era quella magia a renderlo un candidato come futuro Consigliere. Certo, concentrata in un’unica forma, l’incantesimo risultava più potente, ma contro quell’orda di Scorpioni di basso rango, l’Onda di petali era più che sufficiente. Nemmeno i pochi guerrieri equipaggiati con armature di Cristallo incantato erano in grado di sopravvivere; i pochi i cui incantamenti erano concepiti apposta per contrastare la tipologia di magia sfruttata dall’elemento Danzante, venivano comunque dilaniati con un secondo attacco ancora più deciso dell’Onda di petali.
‹Abbiamo visite.› indicò Zabi.
Ren guardò via da Bial e vide avvicinarsi due demoni, il primo che impugnava una spada nella destra, il secondo che ne brandiva una per mano, ma entrambi reggevano tre foderi sul fianco sinistro.
‹Il capitano ha attirato troppa attenzione, è naturale che entrino in gioco i pesci grossi.›
Zabi si lanciò in picchiata e Ren alzò la spada, sollevando il Loki aran che ruggì. Lo abbatté sul primo demone, ma questi bloccò le fauci del serpente metallico con solo una spada; il Cavaliere lo vide girare una delle spade al fianco con la sinistra, rivolgendo la curvatura verso il basso, per poi impugnarla alla rovescia ed estrarla violentemente, generando una sferzata così devastante da tagliare in due l’incantesimo vivente del rosso ed annullarlo.
«Tch…!»
I due demoni si scambiarono un segno di intesa e spiegarono le ali: il primo volò verso l’alto in direzione di Ren, il secondo andò ad attaccare Bial.
Questi nemmeno si voltò, ma la sua Onda di petali si frappose fra sé ed il nemico, respingendolo. Bene, non c’era nulla da temere, il capitano se la sarebbe cavata egregiamente da solo: Ren doveva pensare al suo di avversario.
Dalle grosse ali membranose, questi roteò su se stesso liberando due potenti sferzate dalle spade, ma una fiammata di Tyrel le disperse. Nel vedere il drago di Bial giungere in loro aiuto, sia Ren che Zabi si preoccuparono (non avrebbe avuto problemi ad affrontare un alato da solo?) e si offesero: li reputava così deboli da mandare il suo drago ad aiutarli?!
Il demone superò Tyrel e la sua zampata e menò un fendente sinistro a Ren, parato dalla sua spada, ma il tondo dritto che subito seguì avrebbe preso il Cavaliere al collo se Zabi non avesse improvvisamente perso quota.
‹Mi serve della terra.›
Il drago annuì e arrivò a una decina di metri dal suolo, permettendo all’uomo di allungare la sua spada e richiamare la roccia che si stava man mano trasformando in metallo e avvolgendo attorno alla lama.
«Loki aran!» esclamò, ridando forma al suo incantesimo vivente.
Aveva dato quella forma al suo famiglio in onore del serpente alato di Althidon, suo vecchio Maestro, e non avrebbe permesso che venisse insultato al punto da venire distrutto con un solo attacco una seconda volta. Avrebbe mostrato a quell’alato il vero potere della sua magia!
Mentre Zabi riprendeva quota ed evitava le sferzate di nitouryuu miste a fiamme blu scuro, il Re serpente inghiottiva una gran quantità di pietra e Ren sollevò il braccio per lanciare il suo incantesimo finale di magma.
«Cannone scheletrico!»
Lo Scorpione lo evitò facilmente, ma così facendo finì nelle grinfie di Tyrel che lo dilaniò con una violenta zampata, scaraventandolo a terra, e facendo seguire una rovente fiammata che lo investì. Ma non fu sufficiente ad ucciderlo. Ren percepì l’energia demoniaca del nemico muoversi per attivare la sua rigenerazione, così spronò Zabi ad inseguirlo. Incanalò la sua energia magica attraverso il tatuaggio del sigillo del toro che aveva sul gran dorsale destro e a mezz’aria si aprì il portale per Oblivion, da cui uscì il grosso babbuino bianco. Esso piovve con violenza sul demone ed incominciò a colpirlo furiosamente, mentre la coda da serpente lo azzannava, iniettandogli il suo veleno.
Ren liberò il famiglio dalla spada ed esso volteggiò in aria, attendendo il momento propizio per attaccare, ma non senza lasciare dietro di sé una parte del suo corpo sufficientemente grande perché il mago potesse formare i Denti del serpente. La spada assunse la sua forma uncinata e, slegati i lacci, Ren volò via dalla sella di Zabi, la sua mano che andò al fianco destro da cui slegò l’ascia, preferibile in quella circostanza agli artigli. Menò un fendente, allungando la spada nella sua forma di frusta e amputò una gamba al demone, ma questi rimaneva pur sempre un demone classe S e ora che il danno inferto da Tyrel era stato rigenerato, i colpi ricevuti dal daedra di Ren non erano che carezze, a confronto. Mosse entrambe le sue katana e lo tagliò in quattro pezzi, per poi aprire le ali e riprendersi a mezz’aria, mentre la gamba amputata cadeva a terra. Volò in contro al Cavaliere e abbatté le due katana con un doppio sgualembro incrociato, schivato per un pelo, a cui fece seguire un doppio tondo, parato con Loki aran. Ma il colpo fu così violento da spezzare i polsi dell’uomo e fargli tremare le braccia. La guardia rotta, senza fermare il suo movimento, il demone attaccò con un doppio affondo, solo per essere interrotto dal famiglio del mago, che approfittò dell’opportunità per allontanarsi e rimontare in sella a Zabi. Appoggiò la spada fra il suo corpo ed il pomolo stringendo i denti.
‹È già tanto tu sia riuscito a mantenere la stretta e a non farla cadere.› osservò il drago.
Liberatosi del gigantesco serpente metallico, l’alato volò verso il suo nemico, solo per essere fermato da Tyrel.
‹Così non va, è troppo forte.›
Ren guardò a terra e vide l’altro demone utilizzare il santouryuu mentre Bial continuava a deflettere ogni colpo nemico grazie all’Onda di petali. Ad un occhio inesperto, poteva sembrare che il Cavaliere fosse stato messo alle strette, sempre sulla difensiva, ma in realtà ogni sua difesa arrivava sempre in tempo, anzi, addirittura un momento prima dell’attacco nemico: era invece il demone ad affaticarsi sempre di più. Tra non molto avrebbe subìto la piena furia dell’elemento Danzante.
Ren aprì e chiuse le mani e le mosse in tutte le direzioni che la fisionomia umana gli permetteva: bene, non c’erano stati problemi con la guarigione. Se c’erano parti del corpo che detestava guarire con la magia organica, erano proprio polsi e caviglie, con tutte le loro fastidiose ossa minuscole, difficili da rimettere a posto. Ma forse il problema era che si era abituato troppo a contare su Adeo, in situazioni simili; dove poteva essere mai finito quello scansafatiche?!
Strinse nuovamente l’impugnatura di Loki aran, apprestandosi a lanciare un incantesimo d’aria che scombinasse le correnti ascensionali, impedendo al demone di volare bene. Non trattandosi di un incantesimo predefinito, dovette concentrarsi qualche secondo, dando il tempo a Zabi di avvisare Tyrel. Dopo un respiro fiammante più intenso dei precedenti, il drago celeste si allontanò dall’aria d’effetto dell’imminente magia.
«Aria calda, smetti di soffiare.»
L’alato sgranò gli occhi con orrore quando si sentì destabilizzato e piovve a terra senza modo di riprendersi.
«Martello di ghiaccio.» esclamò ancora Ren.
Formò un blocco cubico di aria solidificata dal lato di venti metri e lo abbatté violentemente sulla schiena dell’avversario, schiacciandolo contro la roccia e spezzandogli qualche osso. Ma non si illudeva potesse bastare. Volò nuovamente via dalla sella e ricombinò il famiglio con la spada.
«Cannone scheletrico!»
Consumando una vertebra del suo corpo metallico, il serpente aprì le fauci e generò una palla di fuoco amplificato a vento misto a metallo fuso, l’elemento Incandescente, la personale variante di Ren del più comune magma. Liberò la magia che sciolse in pochi secondi il blocco di ghiaccio e ridusse il demone sotto di esso a carbone in un’abbondante manciata. Il Loki aran si dissolse e, sospirando, Ren ripose la sua spada.
Guardò indietro e vide il secondo alato spinto indietro e subito seguito da Bial che portò la mano all’Onda di petali e solidificò uno spadone a due mani con il quale mozzò il capo all’avversario in un violento tondo dritto.
Il vice-capitano stava per complimentarsi con il suo superiore quando percepì dalla direzione della piazza centrale l’esplosione di un potere demoniaco di livelli mostruosi, inconfondibile, che aveva già sentito quarantacinque anni prima. Deglutì a ripensare che potesse essere tornato.

Gli Scorpioni arrivavano uno dopo l’altro. Ma a differenza di ciò che accadeva nel resto della Rocca, lì nella piazza centrale della Sala del Consiglio, la biblioteca e il portale di Oblivion si erano concentrati solo Scorpioni di alto rango. Nessun umano, orco o nano ci si era avvicinato, e solo corrotti e demoni maggiori avevano avuto l’incarico di tenere occupato il Consiglio mentre il resto della Setta e dei suoi alleati si occupava di sterminare i Cavalieri più deboli. Certo, avevano comunque a che vedere con i draghi, ma in grandi numeri e dotati di armi incantate appositamente per superare le impenetrabili scaglie draconiche, anche questi non risultavano invincibili, specie quando impegnati a proteggere i loro Cavalieri. Inoltre avevano addirittura perso il vantaggio del volo, perché i primi attacchi degli Scorpioni erano sempre stati alle ali membranose ed indifese e non tutti i Cavalieri erano in grado di guarirli rapidamente.
La situazione descritta dalla settima divisione era terrificante, ma né Aulauthar né gli altri Anziani erano riusciti a lasciare la piazza centrale. Doveva escogitare qualcosa.
Vide Syrius vanificare un raggio magico combinato di luce, fuoco, vento, acqua e terra sotto forma di lama metallica grazie al suo Manto d’ombra, che assorbì l’incantesimo nemico; dopodiché, con lo stesso movimento di braccio, portò il lembo del mantello a coprirsi il capo e sparì, dislocandosi alle spalle dei cinque nemici che lo avevano attaccato ed estendendo la catena della sua doppia falce, allungandone una metà e tagliando gli Scorpioni all’altezza del busto con un sol colpo.
Vedendosi arrivare addosso altri nemici, concretizzò delle catene attorno all’avambraccio sinistro e mosse in avanti il braccio, la mano aperta con le dita rivolte in avanti; le catene si allungarono e andarono a trapassare gli avversari, per poi moltiplicarsi e colpirne degli altri, creando un’intricata rete metallica a cui erano legati gli Scorpioni, alcuni trapassati in più di un punto.
A terra, Eimir tentava quasi disperatamente di colpire un nemico con il suo spadone, ma l’elfo oscuro era troppo agile, perciò il Cavaliere si riequipaggiò con la sua armatura di rapidità, leggera, rossa e blu metallo, tendente al grigio, e in mano brandiva due daghe. Evitò agilmente il contrattacco dell’avversario e gli passò oltre, aprendo quattro portali per Oblivion da cui uscirono altrettante catene che si legarono attorno a polsi e caviglie dell’elfo oscuro, immobilizzandolo; il momento in cui l’invocatore pronunciò un’evocazione che decapitò la testa ad uno spettro, per poi piantare le daghe nella fronte ad un secondo umano corrotto, l’elfo posseduto venne squartato e le catene ritornarono nella dimensione intermedia.
Ma per quanti nemici Syrius e Eimir potessero falciare e Aulauthar potesse bruciare, chi causava più danni alle fila di Scorpioni era Adamar.
Dopo essere stato messo alle strette da un grande numero di corrotti e demoni dai poteri di fuoco, che rendevano la sua sabbia inutile, anche l’elfo più calmo dell’Ordine perse la pazienza e per quanto il suo anziano corpo non ne potesse sopportare più di tanto lo stress, incominciò ad usare i suoi incantesimi spazio-temporali. Accelerò lo scorrere del tempo attorno ai bersagli, facendoli morire di vecchiaia nel giro di pochi istanti; tagliò lo spazio attorno a loro, facendoli a pezzi; lo compresse fino a ridurli a poltiglie irriconoscibili. E incantamenti protettivi sulle armature o no, le magie del Cavaliere delle sabbie facevano sempre effetto perché non andavano a colpire direttamente i nemici, quanto ad influenzarne l’aria attorno. Se avesse avuto una maggiore forza fisica che gli permettesse di sfruttare al meglio i suoi poteri e un Flusso superiore, per quanto ce lo avesse già eccezionale, Adamar sarebbe stato considerato il più potente Anziano senza ombra di dubbio. Ma per quanto potesse utilizzare il Vuoto, il fatto che non lo avesse mostrato fino a quel momento era un chiaro segno: i suoi poteri erano troppo grandi per lui.
Con la sua ombra divoratrice che circondava le lame delle falci, Syrius negò ogni sorta di barriera e incantamento e tagliò il Cristallo delle armature come burro: d’altronde nessuna protezione era strutturata per difendersi da una magia simile. Sì, se il Cavaliere nero avesse avuto a disposizione il vero Vuoto, sarebbe stato molto più efficace. Aulauthar sorrise nel pensare a come lo utilizzasse con facilità Siirist, addirittura riuscendo a farlo valere contro il fuoco nero di Obras. Per un momento pensò che sarebbe stato davvero bello se il Cavaliere d’Inferno fosse stato lì, ma poi si imbarazzò nel realizzare di aver affidato le sue speranze ad un novellino di nemmeno settant’anni. Finché rimaneva un membro del Consiglio, doveva avere più orgoglio!
Una gigantesca lancia tenebrosa, dall’aspetto una magia perforante, gli arrivò a pochi metri di distanza, ma l’altmer non dovette che menare un colpo di spada, liberando la sua magia.
«Purificazione delle tenebre.»
La magia nemica si disperse, ma non poté ridurre chi l’aveva lanciata in cenere perché questi era già stato bucherellato dai raggi di luce di Xander. Se quell’impudente pensava che lo avrebbe ringraziato, si sbagliava di grosso.
Aulauthar!› chiamò Adamar.
Lo guardò e vide che aveva richiamato un grande numero di scettri grazie ad una dislocazione. Che volesse…? Il Cavaliere d’argento annuì e ritornò a terra accanto al collega, fiancheggiato da Injros, che eresse la sua più potente barriera esagonale a ventiquattro strati.
«Non la posso mantenere troppo a lungo, quindi sbrigati, per piacere.» disse ad Adamar.
Questi annuì ed incominciò a concentrare la sua energia attraverso i vari amuleti disposti a spirale attorno a lui, sommandola per creare un’infinita concatenazione. Aulauthar appoggiò la mano sulla spalla del bosmer e gli fornì la sua energia magica oltre ad immettere il suo stesso Flusso nella magia del Cavaliere delle sabbie.
Speriamo riesca a resistere allo sforzo…› commentò Skryrill, intento a bloccare due draghi terrestri ed ucciderne un terzo nel settore della settima divisione.
Se ci fosse stato qualche altro modo, il Cavaliere d’argento non avrebbe permesso ad Adamar di utilizzare quell’inno di Vuoto, ma per quanto i membri del Consiglio fossero forti, stavano combattendo da quasi due ore e si stavano stancando, mentre gli Scorpioni arrivavano uno dopo l’altro. Avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per sostenere l’amico.

Quando terminò la preparazione, Adamar avvisò il resto dei Consiglieri ed essi si disimpegnarono dai loro scontri personali e volarono rapidi verso la barriera di Injros, intanto trasformata nella sua superiore forma dodecagonale. Il Cavaliere delle sabbie incominciò a cantare la formula del suo inno mistico, intonata pure da Ashemmi.
«Dinanzi a me, la storia si conclude; il sipario si apre sull’Era del Nulla; io apro il Cancello del Dolore: Genesi della fine!»
Lo spazio attorno alla barriera dodecagonale di Injros incominciò a venire consumato dal Vuoto che, lentamente, prese la forma di una sfera, cancellando il terreno al di fuori della barriera. Poi, di scatto, si espanse, eliminando tutto ciò che incontrava; arrivò a sfiorare la biblioteca, che mai Adamar si sarebbe sognato di danneggiare, ma lo stesso non si poteva dire per la Sala del Consiglio e l’edificio che conteneva il portale di Oblivion, che vennero rimossi dall’esistenza. I pochi Scorpioni rimasti, fortunati abbastanza da essere oltre il limite imposto dalla biblioteca, vennero invece eliminati dall’ombra divoratrice di Syrius, che aveva anch’egli appoggiato una mano alla spalla di Adamar e gli aveva fornito il suo potere.
Con un grande sospiro da parte di tutti, Adamar annullò la magia e Injros dissipò le sue barriere.
Si stavano tutti per rilassare quando Aulauthar avvertì un’esplosione di energia demoniaca come l’aveva sentita solo quarantacinque anni prima quando Raiden comandò il fuoco nero. Per fortuna l’aveva percepita anche Injros che aveva nuovamente eretto la sua barriera dodecagonale a ventiquattro strati, appena in tempo per bloccare intense fiamme del fuoco sacro dei demoni. In quanto potere divino, esso bruciò facilmente attraverso i primi strati della barriera, ma essa era strutturata così bene da non cedere del tutto, per di più si rimarginò istantaneamente nei punti danneggiati. Come per risposta, arrivarono ondate di fuoco nero ancora più ardenti e per di più sospinte da un terrificante potere di vento.
No, quello non era il potere di Raiden!
Ancora una volta, la barriera venne distrutta ma non completamente, e subito si riformò. Injros la potenziò ulteriormente con nuovi strati, tra cui la sua barriera cubica da sessantadue strati, quella piramidale da quarantaquattro e quella ottagonale da diciotto. Arrivò una fiammata rafforzata da un uragano, ma la potente magia dell’Anziano continuava a resistere.
Impressionante…› pensò con ammirazione il Cavaliere d’argento.
Pensare che delle semplici barriere magiche, per quanto frutto di un’elaborata unione di magia elementale e spazio-temporale, qualcosa che nemmeno Aulauthar era mai riuscito a comprendere, potessero fermare il potere divino del fuoco nero… Certo, lo aveva fatto anche Siirist al torneo a Hellgrind, ma si era pur sempre trattato dell’apice della magia spaziale, il Vuoto, rafforzata da chi sa quale tecnica del ragazzo; in più egli stesso era un successore di Obras, pertanto conosceva il fuoco nero meglio di Injros. Eppure…
«Che c’è, hai deciso di arrenderti?» disse con aria sprezzante Injros.
In aria si formò una gigantesca spada fiammante che scese con la violenza di una ghigliottina, attraversando le barriere come non ci fossero neppure state e tagliando in due Injros.
Sbigottito e troppo scioccato per riuscire a reagire, Aulauthar osservò il collega morire così rapidamente da, probabilmente, non essersene neppure accorto.
Ma come…?
Rapidi e feroci volarono loro in contro quattro draghi marini di fuoco nero. Sì, vedendo anche quelli, il Cavaliere d’argento riconobbe pure la spada, che era stata la stessa impugnata dai vari Susanoo che aveva visto al torneo. Ma non dal gigante di Raiden, che aveva avuto sì lo scudo impenetrabile, ma una semplicissima spada.
Adamar creò in cielo una gigantesca sfera di Vuoto che fu superata dagli Amaterasu, ma ogni volta che la superavano, egli ne creava una nuova. Alla fine, sfinito, collassò, ed i quattro draghi raggiunsero Felaern, divorandolo.
«Raiden-sama non mentiva, siete veramente forti se siete riusciti a costringermi a partecipare. Ma adesso fate i buoni: non sono bravo a trattenermi e preferirei non uccidervi tutti perché voi del Consiglio mi servite vivi.» disse una voce nel cielo.
Aulauthar alzò la testa e vide un alato dalle immense ali piumate nere, più del doppio di quelle delle bestie del fulmine, che teneva la parte superiore della sua veste abbassata e cadente oltre la vita, dove teneva, assicurata alla fascia, due katana sul fianco sinistro. Stava con le gambe incrociate come se fosse stato seduto, in volo non grazie alle sue ali ma a un leggero e quasi impercettibile vortice d’aria sotto al sedere, il braccio sinistro appoggiato al ginocchio corrispondente e l’avambraccio destro che, appoggiatoci sopra, bilanciava una lunga asta nera appoggiata alla spalla.
Nell’incrociare lo sguardo con il Cavaliere d’argento, ghignò.

 

 

~

 

 

Chi sarà questo nuovo demone non legato alla famiglia reale ma comunque in grado di comandare le sacre arti del fuoco nero?
Il prossimo capitolo si intitola GELIDA FURIA e sarà pubblicato domenica 13 ottobre.

Ritorna all'indice


Capitolo 90
*** GELIDA FURIA ***


GELIDA FURIA

Sobbalzava. Sentiva le forti correnti sbattere contro la sua armatura e urtarla di conseguenza. Ahia. Aveva sempre pensato che il Flusso fosse un luogo calmo, eppure avvertiva dolore anche lì…
No. Era perché non si trovava nel Flusso, bensì ancora nell’Emean.Aprì gli occhi e debolmente riuscì a vedere l’oscurità del mare illuminata da una forte aura brillante. Che cos’era? Notò di essere assicurata alla sella di un drago azzurro e accanto a lei, seduto, si trovava un Cavaliere dall’armatura in tinta con il drago. Saphira e Tidus? Notò che la dragonessa reggeva il corpo esanime di Eiliis nelle zampe anteriori, una barriera di ghiaccio attorno alla sua testa per permetterle di respirare. Sì, ce la aveva anche lei. Si mosse leggermente, ma era troppo debole.
Ben svegliata.› sentì la voce del vice-capitano nella sua testa.
Dove siamo? Che è successo?
Stiamo tornando a Vroengard. Siamo stati tutti colpiti dagli infrasuoni dei Valendiani ma sono riuscito a proteggere me e Saphira con una barriera di ghiaccio prima di precipitare in mare. Purtroppo sono riuscito a trovare solo voi due…
Alea si morse il labbro per la rabbia e il dolore, gli occhi che incominciarono ad inumidirsi: era colpa sua se anche i dieci al comando di Tidus erano stati abbattuti, colpa sua che aveva attratto l’attenzione dei nemici con quel suo inutile e impulsivo gesto.
Non è questo il momento di abbatterti. Fatti forza, abbiamo ancora un’invasione da respingere, potrai metterti a piangere quando sarà tutto finito. In verità, c’è poco che io possa fare, a confronto tuo, non sono così arrogante da credere di poterti proteggere. E se ti succedesse qualcosa, Siirist mi farebbe a pezzi, non trovi?› sorrise.
All’interno della valle mentale dell’elfa, l’uomo le tese la mano e la aiutò a rialzarsi.
Grazie.› disse sorridendo anch’ella.
Saphira emerse dal mare e si accasciò sulla sabbia di un’isoletta a est di Vroengard, sulla spiaggia che Alea conosceva bene perché era lì che aveva donato a Siirist la sua Collana del Giuramento. La dragonessa azzurra era stremata, nuotare per tutto quel tragitto dopo essere stata colpita dagli ultrasuoni non doveva essere stato qualcosa da poco, specie se considerava che Eiliis era ancora priva di sensi.
«No…!» mormorò Tidus a denti stretti, portando la destra alla sua spada e la sinistra allo scudo.
Alea guardò su dalla sua compagna mentale e impallidì nel vedere sette persone equipaggiate con armature d’oro raffiguranti diversi animali e un uomo alto dagli abiti inusuali, di fibra d’argento e rosso sangue, con i lunghi capelli, anche essi argentati, tenuti in una coda di cavallo; al fianco sinistro reggeva due spade dalla fattura inconfondibile, due katana demoniache, e nella destra impugnava una grande falce nera dall’aspetto infausto.
Con la coda dell’occhio notò un uomo su una piccola barchetta di legno che si allontanava dall’isoletta.
«Ma che fortuna, due Cavalieri con i loro draghi! Posso ucciderli? Posso, posso?!» chiese con fervore sempre maggiore l’ariete, dalla voce un elfo oscuro.
«Fai come ti pare.» rispose il demone con un accento molto marcato, prima di girarsi verso Vroengard e incamminarsi.
L’elfo oscuro dall’elmo d’ariete si mise a ridere felice, una risata che Alea aveva già sentito e che le diede i brividi, e concentrò nelle mani una forte luce celeste spettrale.
«Maledizione, sono troppo stanco per muovermi…» mormorò Tidus, che si accasciò sulla sella di Saphira e spinse via Ilyrana con il movimento del suo busto.
Lo Scorpione diede forma ad una grande lama che tagliò in due Tidus e Saphira, il cui sangue esplose e colpì Alea, che guardò la scena orripilata, incapace di fare alcunché.
«NOOO!» urlò furiosa, prima di rivolgere la sua attenzione verso gli Scorpioni.
Ne erano rimasti solo tre, l’ariete e due dalle armature di toro e tigre. Questi si avvicinò all’uccisore di Tidus e Saphira e gli mise una mano sulla spalla, richiamando la sua attenzione e poi indicandogli Eiliis.
«Una dragonessa bianca? No… Tu non sarai mica Alea, vero?» disse l’ariete con voce maniacale sempre più forte.
Alea non rispose, la sua furia che si manifestava con sempre più violenza, incominciando a ghiacciare la sabbia attorno a lei.
Alea…?› mormorò Eiliis, che si stava riprendendo.
«Sì, questo potere, questo elemento… Sei Alea, non ci sono dubbi, sei la donna del Cavaliere d’Inferno, la donna che ha ucciso il mio adorabile fratellone! Me la pagherai, me la pagherai! Ti farò soffrire, bambolina.» disse, la voce che aveva assunto un tono di sadico divertimento e la fanciulla avrebbe potuto giurare che, sotto la copertura dell’elmo, l’elfo oscuro stesse ridendo maniacalmente.
Nel sentire l’ultima parola, l’ira della Cavaliere esplose definitivamente sotto forma di un tremendo uragano a 360° che ghiacciò tutto ciò che toccò ad eccezione di Eiliis e i corpi martoriati di Tidus e Saphira. I tre nemici si erano protetti rispettivamente con una barriera di luce, terra e fulmine e avevano messo mano alle armi: il toro sguainò due pugnali dai foderi che reggeva sulle cosce, la tigre afferrò un lungo tridente che aveva fino a quel momento tenuto in una fondina legata alla schiena e l’ariete estrasse degli artigli dai guanti d’arme e si mise in guardia.
In un istante, il vento di Bufera di Alea si placò ed ella, con un atteggiamento quasi privo di emozioni, portò la mano all’impugnatura di Raama tel’ arvandorea e la sguainò lentamente, già avvolgendone la lama nel suo potere, mentre invocava anche lo scudo più piccolo sul braccio sinistro.
Scusami, non posso aiutarti per il momento, mi devo ancora riprendere. Ce la farai da sola?› disse Eiliis.
Non significa che non ti attaccheranno. Ce la fai a difenderti, almeno?› rispose con tono quasi indifferente.
… Forse… Sì, credo di sì…› rispose, ancora non abituata a questo modo di fare di Alea quando si concentrava appieno.
«Grande massiccio.» esclamò, avvolgendo la dragonessa in una spessa barriera di ghiaccio di Bufera.
… Grazie.
L’ariete non perse tempo e si slanciò in avanti, il braccio sinistro indietro e pronto a colpire con un diretto. Con un passo indietro, Alea evitò gli artigli per pochi millimetri, ma essi vennero avvolti dalla luce dell’elfo oscuro e si ingrandirono, costringendola a spostarsi di lato, ma non prima di venire colpita sul lato sinistro dell’elmo. L’Adamantite e gli incantamenti resistettero, ma la fanciulla aveva percepito forte e chiaro il cozzare mistico e sapeva che, insistendo, il nemico avrebbe anche potuto superare le sue difese. Se ne sbarazzò con una folata di Bufera che, oltre a scaraventarlo verso gli alberi, lo incominciò inesorabilmente a congelare a partire dal petto, dove era stato colpito, e fece per richiamare i suoi cigni, ma non fece in tempo perché venne attaccata dagli altri due. Trasformò la sua spada in lancia e la lunga asta di legno, usata per bloccare, non fu nemmeno scalfita dai pugnali del toro. Roteò la sua arma, colpendolo in testa con il fondo del bastone e poi abbattendo la lama sulla tigre, che però si difese con il suo tridente avvolto in intense scariche vermiglie. Questi liberò un forte fulmine, anche esso un incantesimo perforante, che colpì violentemente Alea, lanciandola indietro, ma non riuscì a penetrarle l’armatura. Ella non aspettava altro.
«Danza dei cigni.» pronunciò con tono impassibile.
Tutta l’isoletta e la superficie del mare nel raggio di un chilometro si congelarono e attorno a lei sorsero i sei aspetti del suo secondo famiglio.
«Armatura piumata.»
Ma i cigni non si unirono subito a lei perché bloccati dai tre Scorpioni, piuttosto combatterono grazie al loro potere di Bufera ed attesero il momento più propizio per assistere la loro maga. Il momento in cui ella calciò via il toro con un calcio sinistro laterale rafforzato dal fuoco freddo, due cigni si andarono a combinare a Raama tel’ arvandorea, appena in tempo perché la Cavaliere potesse menare un colpo sul capo dell’ariete. Ma a bloccarlo fu la tigre.
In solo quei due scontri, aveva capito come l’elfo oscuro che controllava il fulmine fosse particolarmente capace nell’erigere barriere. Il suo elemento non era visibile all’occhio nudo, ma Ilyrana ne percepì il leggero potere magico attorno a tutta la sua armatura: era sicura che si sarebbe attivato automaticamente se lo avesse attaccato. Aveva bisogno di magie di perforazione capaci di superare con facilità il fulmine. Sorrise nel pensare a quanto fosse stato sfortunato lo Scorpione dall’elmo di tigre a finire contro una maestra del vento come lei.
Sostenuta dal suo elemento affine, ella volò via per evitare di venire colpita da una raffica di pietre comandate dal toro.
«Grande massiccio.» disse alzando il braccio sinistro e concentrando la magia nello scudo.
Unito agli incantamenti, l’incantesimo diede forma ad uno scudo circolare dal diametro di novanta centimetri, il ghiaccio resistente quanto l’Adamantio. Era fortunata a non essersi trovata contro nemici che controllavano il fuoco, perché per quanto la sua Bufera fosse in grado di congelare pressoché qualunque fiamma, non era detta che non ci fosse nessuno in possesso di un fuoco caldo quanto quello d’Inferno di Siirist.
Mentre veniva bersagliata dalle rocce e si difendeva con lo scudo, l’avambraccio sinistro sorretto anche dal dorso della mano destra, altri due cigni riuscirono a raggiungerla, unendosi alle gambe.
«Ali della fenice.»
Dalle caviglie si distesero le ali dorate di Aulauthar ed ella saettò verso l’alto, raggiunta dagli ultimi due cigni che completarono il suo rafforzamento dell’armatura. Rimandò lo scudo a Oblivion e invocò il suo arco, che dal punto in cui era finito nel mare ritornò nella dimensione parallela prima di apparire nella sua mano sinistra. Con Raama tel’ arvandorea che levitava accanto a lei, mise mano a due frecce della faretra invocata dietro la schiena e le incoccò. Ricavato dagli alberi del Boschetto Bianco, una delle zone più antiche della Yaara Taure al confine con la regione altmer, il legno delle frecce era stato addirittura rivestito da Cristallo incantato e ciò era risultato resistente abbastanza da riuscire a sopportare l’impatto dovuto alla forza dell’arco fantasma. Con la punta di Adamantio, incantato per essere ancora più penetrante, i dardi erano riusciti anche a perforare uno scudo di Adamantio non incantato: la Rocca era stata invasa da draghi terrestri, Alea non avrebbe avuto problemi a sbarazzarsene, ma prima doveva pensare ai nemici che aveva di fronte.
Tese l’arco e liberò le frecce che raggiunsero l’ariete, ma egli eresse una barriera di luce che si fuse al fulmine della tigre, generando un elemento di fusione dal colore violaceo. Le frecce non se ne curarono e lo colpirono al cuore, abbattendolo. Immediatamente Alea incoccò un’altra freccia e prese la mira, questa volta avvolgendola con la Bufera che si concentrò attorno alla punta, trasformandola e dandole l’aspetto di una stella a cinque punte, ognuna zigrinata, le due più vicine all’asta uncinate; il peso del ghiaccio era zero, perciò non avrebbe sbilanciato il dardo. Aprì la mano destra ed esso saettò verso il toro che erse una parete di roccia di fronte a sé. Certo, generalmente la terra sarebbe stata efficace contro il vento, ma quella non era la pietraferro di Adamar e la Bufera di Alea era un elemento dalla potenza difficilmente pareggiabile, perciò lo trapassò e prese lo spettro in piena fronte, superando l’armatura di Cristallo come fosse burro.
Afferrata due frecce dalla faretra invocata sul fianco destro anziché da quella della schiena, tese per la terza volta l’arco, cuore e fronte della tigre presi di mira, quando avvertì qualcosa che non andava con la sua barriera mentale. Dopo la caduta dei due Scorpioni, l’attacco mentale perpetrato dai nemici era naturalmente diminuito di potenza e il bosco della fanciulla si era potuto infittire per bloccare l’avversario rimanente. Invece, all’improvviso, aveva percepito qualcosa, come se ci fossero nuovi invasori nel suo mondo interiore che, anziché tentare di invaderlo con la forza, lo stessero penetrando di soppiatto.
«Volo di rondine: Scontro di rondine.» pronunciò, spostando la freccia in direzione dell’ariete.
Scoccò nel momento in cui i due aspetti del primo famiglio si formarono, che istantaneamente si diressero verso la freccia, rafforzandola, avvolgendola in un vortice d’acqua pressurizzata dalla punta acuminata. L’elfo oscuro, avvolto in un’aura lucente, scivolò sul terreno con una magia di levitazione, fuggendo al dardo della Cavaliere, lanciato a 610 metri al secondo, grazie alla sua velocità di luce. Si mosse in maniera imprevedibile, curvando continuamente, ma le rondini di Alea lo continuarono ad inseguire imperterrite.
L’attacco mentale di tigre e toro si rafforzò, mentre quello dell’ariete perse potenza, impegnato com’era a non venire trapassato dalla freccia. Mentre la tigre andava a combattere con Ilyrana, il toro si occupò di assistere il compagno; Alea lo intercettò con una raffica di frecce che liberarono un’esplosione di fuoco freddo. Raama tel’ arvandorea, controllata dai due cigni che le si erano uniti, si occupò di tenere a bada la tigre mentre la maga concentrava la sua magia per richiamare il terzo famiglio.
«Ululato di lupo.» disse, tendendo l’arco.
La freccia raggiunse il toro con tutta la potenza di un uragano, circondata da un’aura di Bufera a forma di lupo famelico. Lo Scorpione evitò il dardo ma il famiglio si liberò da esso ed attaccò il nemico, dilaniandone la gamba destra dopo aver perforato l’armatura d’oro con le zanne.
Rimandato l’arco fantasma a Oblivion, Alea mise mano alla sua arma primaria e terminò l’azione intrapresa dai cigni, uno sgualembro diretto dato con la lama secondaria subito seguito dalla primaria. Dopo una serie di scambi, la fanciulla scese di quota, incitando il nemico ad inseguirla, e si avvicinò alla superficie dell’acqua congelata. La tigre attaccò con il tridente, bloccato da un pilone di ghiaccio eretto dal mare e subito seguito da altri tre ai lati e alle spalle dell’elfo oscuro. Egli generò un’esplosione di fulmini così potente da sciogliere il ghiaccio della altmer, indispettendola non poco, tant’è che corrugò la fronte anche nel suo stato di concentrazione assoluta.
«Cascata di stelle.» esclamò.
La lancia puntata in avanti e impugnata con entrambe le mani, liberò una raffica di proiettili di luce avvolti da acqua che roteava su se stessa ad altissima velocità, il che la rendeva capace di perforare anche la pietraferro più resistente di Adamar. La tigre innalzò una barriera e al contempo schivò verso la propria destra, ma affaticato come era per essersi protetto dall’attacco precedente dell’elfa, fu comunque colpito da uno dei proiettili della Cavaliere sul fianco sinistro: non riportò danni grazie alla sua armatura, ma accusò il colpo fisico.
Senza perdere tempo, Alea lasciò la presa della lancia e invocò nuovamente l’arco fantasma, una freccia già nella destra.
«Fiume di stelle.» mormorò nel tendere la corda.
Anche questa volta la magia perforante non riuscì a superare le difese nemiche (doveva essere incantato contro acqua e luce), ma essendo più concentrata dell’incantesimo precedente, intaccò leggermente l’armatura dorata, crepandola all’altezza del cuore.
Due frecce estratte dalla faretra sulla schiena e incoccate, Alea aveva già concentrato nuovamente la sua energia magica.
«Lancia del destino.»
La magia di Bufera utilizzò entrambi i dardi come catalizzatori e diede forma ad una lunga ed acuminata scheggia di ghiaccio, avente, nella parte più spessa, una circonferenza di quattordici centimetri. Aprì la mano destra ed essa saettò verso il nemico, trapassandolo da parte a parte nonostante avesse eretto una potente barriera.
Dall’altra parte dell’isola, la freccia guidata dalle rondini fu definitivamente fermata dalla carica di un grosso cinghiale di luce, probabilmente il famiglio dell’elfo oscuro, che riuscì a dissipare la magia delle Rondini di pioggia. Grazie al legame alla faretra, la freccia ritornò nella faretra alla vita con una dislocazione.
«Lancia del destino.» disse nuovamente, altre tre frecce incoccate.
Colpita, della testa della tigre rimasero solo sangue, cervella e qualche frammento d’osso, e lo Scorpione, che aveva incominciato a rigenerarsi il buco nel petto, morì. Finalmente ne aveva eliminato uno.
Rimandò arco e faretre a Oblivion e, scudo piccolo imbracciato e lancia nella destra, si occupò dell’altro elfo oscuro che la aveva raggiunta. Si scambiarono colpi su colpi a pochi centimetri dal suolo e dopo essere stato investito da una folata di vento, l’ariete capitolò sullo strato di ghiaccio che aveva ricoperto il mare. Anche Alea tornò a dietro, pattinando rapidamente sul ghiaccio, e concentrò la magia per il suo primo famiglio all’interno del mare sotto di loro.
«Volo di rondine: Drago marino.»
Sfruttando l’acqua marina, i due aspetti del famiglio si ersero dall’oceano sotto forma di drago marino, rompendo il ghiaccio e attaccando voracemente il nemico. Questi si difese con una barriera di luce che riuscì a bloccare il famiglio, così Alea trasformò la composizione della sua creatura magica da semplice acqua marina ad acqua acida. Il drago sfondò lo scudo avversario e lo azzannò al busto, creando nuovi buchi nella corazza; dalle fessure nell’elmo uscì un rivolo di sangue, sputato dall’elfo oscuro.
Con uno degli occhi mentali che stavano seguendo l’azione dello spettro toro contro il famiglio lupo, Ilyrana vide lo Scorpione generare una gigantesca tarantola dal terreno che riuscì a lanciare via la creatura di Bufera, dando tempo al suo padrone di allontanarsi e giungere in soccorso del compagno. Alea alzò la mano destra e dalla superficie di ghiaccio partì una raffica di stalattiti che lo abbatterono, facendolo capitolare al suolo.
«Cannone di neve.» esclamò, puntano in avanti la lancia.
Dalla lama di Raama tel’ arvandorea partì un concentrato di Bufera allo stato solido che investì il grande ragno con la forza di una valanga e lo intrappolò in una prigione di ghiaccio, che in breve lo estinse. Il lupo, ringhiando feroce, raggiunse lo spettro sotto forma di vento e si ricompose nel momento in cui lo azzannò alla gola, penetrandone l’armatura.
Con la preveggenza della sua Ambizione, Alea vide l’ariete lanciare un ultimo disperato attacco che la prese alla schiena, così evitò il raggio di luce che, invece, colpì il toro. Ma quello fu un colossale errore da parte della Cavaliere. Le bastò percepire il residuo magico dell’incantesimo per capire che non si era trattato di qualcosa di offensivo e in meno di un secondo, il toro si riprese completamente e lanciò via il lupo con un pugno, tutte le ferite risanate.
Calma e glaciale come la sua Bufera, Alea corrugò la fronte e strinse forte la sua doppia lancia con entrambe le mani. Attaccò senza sosta il nemico, cercando di eliminarlo prima che anche l’elfo oscuro si riprendesse; fisicamente la altmer era inferiore allo spettro, perciò ogni colpo della doppia lancia era amplificato dalle verdi fiamme di Althidon (per quanto le sue fossero viola) e lo Scorpione, lontano dalla terra, non era capace di lanciare attacchi a sorpresa. Non era il caso di Ilyrana, che ergeva stalagmiti acuminate ad ogni passo del nemico, arrivando a bloccarne ogni movimento.
Con un’ampia figura ad otto, Alea pattinò sul ghiaccio evitando gli attacchi di luce dell’ariete, ora ritornato in gioco. Approfittando del momento in cui la Cavaliere non lo cercava di crivellare, il toro fuggì verso la terra ferma. Notandolo grazie ai suoi svariati occhi mentali, l’elfa alzò una lama di ghiaccio dopo l’altra, ma il toro riuscì ad evitare ognuno degli attacchi.
«Danza del drago dei cieli.» disse, lanciando in alto la sua lancia.
Attorno a lei si formò un turbine d’aria che diede forma al suo primo incantesimo vivente, le cui ali avevano al centro le due di cigno che costituivano la lancia, ora divisa in due, ed esso volò verso l’ariete. Giratasi verso lo spettro, Alea invocò ancora una volta arco e faretre e questa volta estrasse una freccia da quella che reggeva sul fianco sinistro. La scoccò il momento in cui il toro mise il piede sul terreno ghiacciato; egli la schivò ed essa andò a conficcarsi in un albero. Altre due frecce incoccate, le liberò mirando alla gamba destra del nemico: una lo prese nel polpaccio, l’altra si piantò nel terreno.
Il toro, dovendo aver ritenuto di essersi allontanato a sufficienza (come se il ritrovarsi nella lunga distanza contro Alea fosse più vantaggioso che affrontarla da vicino), si voltò verso la sua nemica e alzò le braccia, ma non fece in tempo a richiamare il suo misticismo che l’albero colpito dalla prima freccia si animò: ingranditosi e liberatosi dal ghiaccio, sollevò le radici come fossero piedi e allungò i rami come fossero braccia, nel tentativo di afferrarlo. Allora balzò via, ma dal punto in cui ritornò a terra si erse una gigantesca pianta carnivora. Volò via e, alto nel cielo, concentrò la sua energia, ma nel farlo attivò i semi presenti nella freccia che aveva nella gamba e da dentro il suo corpo si risvegliò il mietitore rosso, una pianta parassita capace di prendere il controllo di corpi organici e ucciderli sul posto, trasformandoli in un obbrobrio sanguinante. Il toro, morto, cadde a terra dove mise radici.
«Aaahhhh!» urlò l’ariete.
Impassibile, Alea si voltò verso di lui e lo osservò fuggire via, avvolto nel suo elemento.
Non lo insegui?› domandò Eiliis, finalmente pronta a muoversi e a combattere.
Pensavo potessimo farlo insieme.› sorrise, uscendo dal suo stato di concentrazione assoluta.
Bentornata.
Scusa, so che non ti piaccio molto quando mi concentro in quel modo. Ma con i loro continui attacchi mentali, non potevo permettermi di andarci piano.
Non sembra hai avuto particolari problemi.› rispose, lanciando un Ruggito che sciolse la barriera di Bufera, permettendole di uscirne.
È prevalentemente grazie alle armi di Hans. Per favore, prendi con te l’elfo oscuro dall’armatura di tigre, vorrei farne esaminare gli incantamenti per capire come abbia fatto a resistere alla mia acqua stellare.› disse con tono più stizzito di quanto avesse voluto.
La dragonessa annuì e si diresse al cadavere dello Scorpione. Lo afferrò con la zampa anteriore destra e, alzatasi sulle posteriori, calciò da terra, librandosi in volo. Alea la raggiunse e si sedette sulla sella, Raama tel’ arvandorea nella sua forma di doppia lancia legata alla sella.
Eiliis andò nella direzione in cui era volato l’elfo oscuro e a qualche centinaio di metri di distanza, sentirono entrambe l’inconfondibile energia sprigionata dal Ruggito della terra di marmo nero di Gilia.
Sta facendo sul serio.› osservò la dragonessa.
Se si fosse trovato ad affrontare gli altri quattro corrotti dalle armature dorate, non mi sorprenderebbe. E c’era anche quel demone.
Eiliis accelerò e Alea già preparò il suo arco. Vide da lontano le quattro tigri cardinali divorare l’elfo oscuro dall’elmo di ariete ma un secondo Scorpione, dalle fattezze di aquila, riuscì a scampare ai famigli del Cavaliere d’Incubo. Tre frecce estratte dalla faretra sulla schiena, Alea le incoccò e le scagliò dopo averle avvolte nel potere della Bufera. Esse raggiunsero il nemico in meno di un secondo e lo presero al centro esatto della fronte e al cuore. In un istante egli si congelò e andò in frantumi.
Sbattendo forte le ali per decelerare, la dragonessa bianca atterrò ad una ventina di metri da Gilia. Questi indossava la sua armatura bianca e si girò, la visiera aperta, mostrando un’espressione di sollievo come non gliene aveva mai viste.
«Mi avete fatto prendere un colpo, lo sapete?»
«Scusa. Ce la siamo vista brutta, in effetti, e non intendo contro questi Scorpioni dalle armature d’oro.»
«Suppongo ne abbia affrontati tre: gli utilizzatori di luce, fulmine e terra?» domandò l’uomo.
Alea annuì. Gilia rimandò la sua armatura a Oblivion e si stese a terra, sfinito.
«Non dirmi che ti hanno fatto faticare così tanto.» esclamò incredula.
«No, loro no. Erano fastidiosi, non lo nego, ma niente di impossibile, soprattutto grazie agli equipaggiamenti di Hans. Ma manipolare il marmo nero è un’impresa a sé.» sbuffò.
Alea aprì la sua visiera e si accovacciò accanto all’amico.
«C’era anche un demone con loro. Che fine ha fatto?»
«Non lo so, ci ha combattuto Adeo. È da un po’ che non ne percepisco più l’energia, deve essere morto.» rispose ad occhi chiusi.
«Adeo? Da solo?! Quel demone era indubbiamente un classe X!»
«Sì, era un vampiro millenario.»
«Che cosa?! Non può essere in grado di affrontarlo!»
«Fidati, ho visto fare ad Adeo cose che non credevo nemmeno possibili. Non avrà problemi. Anzi, come ti ho detto, non sento più l’energia demoniaca del vampiro, dunque direi che Adeo ce l’ha già fatta.»
Alea corrugò la fronte, incerta. Come poteva Adeo, quell’Adeo, essere in grado di sconfiggere un vampiro millenario da solo? Ma se Gilia era così rilassato da riposarsi e quasi farsi un sonnellino, si sarebbe fidata.
«D’accordo, Adeo starà bene da solo, ma ti ricordo che è in corso un’invasione della Rocca e che ci sono ancora molti nemici da eliminare!»
«E io ti ricordo che sono sfinito. Dammi cinque minuti e un trattamento completo e allora potrò rimettermi in piedi. Se andassi ora, sarei solo un peso morto per Asthar. E considera che se ne è anche andato dalla piazza principale perché bastava Bial a massacrare tutti gli Scorpioni. Ora è nel settore della quinta divisione.»
Alea annuì mentre gli toccava il braccio, toccandone il Flusso con il proprio per iniziare a rigenerare tutti i muscoli indolenziti del moro. Per la stanchezza mentale c’era poco che potesse fare, ma tanto il Cavaliere d’Incubo aveva con sé delle pozioni che gli aveva preparato appositamente Adeo.
Gilia sorrise beato nel rimettersi a sedere, muovendo spalle e collo, e si mise in piedi mentre prendeva una pozione da una saccoccia invocata. La bevve tutta d’un fiato e in pochi secondi il suo sguardo si fece nuovamente deciso.
«Vado da Asthar. Ci vediamo quando sarà tutto finito.» disse senza alcun dubbio nella sua voce.
Alea sorrise a sua volta e guardò l’amico volare via avvolto nella luce bianca e nera del portale di Oblivion da cui uscì la sua armatura della tigre.
Possiamo anche lasciare il quinto settore a Gilia e Asthar. Il nono mi sembra quello più in difficoltà, andiamo lì?› domandò Eiliis.
Sì, fra un minuto. Aspettami qui.
Slegò la doppia lancia dalla sella e pattinò verso il punto in cui aveva visto Adeo con un occhio mentale, il terreno che si ghiacciava automaticamente grazie all’azione della Bufera che le circondava gli stivali d’armatura. Abbandonò il sentiero, ormai devastato, che conduceva alla Rocca e entrò nella foresta. In uno spiazzo trovò Adeo che dormiva beatamente accanto ad una statua d’argento, dall’aspetto senza dubbio il demone che Alea aveva visto sulla spiaggia. Come si fu avvicinata di un paio di metri dall’uomo, questi aprì gli occhi e la fissò con il suo solito sorrisino enigmatico.
«Ma che dolce, ti preoccupi per me.» disse con il broncio, come a imitare il viso carino di un bambino.
L’elfa ridacchiò e lo aiutò ad alzarsi. Girò la testa verso la statua d’argento.
«E lui?»
«Ti piace? Sto pensando di tenerlo: la sua espressione sofferente mi ricorda un vecchio “amico” durante le nostre prime volte…»
Alea lo guardò con espressione allibita e un mezzo sorriso, divertita al pensiero della reazione di Siirist se avesse sentito le parole del Cavaliere dal mantello multicolore.
«Come hai fatto a sconfiggere un vampiro millenario?» domandò, andando oltre la digressione dell’amico.
«Un po’ di illusioni, un po’ di alchimia per trasformarlo in argento… Il solito.» disse con noncuranza.
Illusioni? Contro un vampiro millenario? D’accordo che Adeo era rinomato nel campo della mente, ma tenere testa alla tipologia di demone più potente sotto quell’aspetto non era qualcosa di tutti i giorni. D’altronde l’aveva detto Gilia: gli aveva visto fare cose altrimenti ritenute impossibili.
«Complimenti.»
«No, mia cara, devo fare io i complimenti a te. Hai sviluppato da sola, e in molto meno tempo, la mia stessa tecnica della calma assoluta. Non è proprio ai livelli miei, ma ci sei quasi. Finita questa battaglia ti voglio regalare la mia parte di grimorio riguardante la mente: sono certo che, studiandolo, saresti anche più potente di me.»
Alea lo fissò sbigottita.
«Oh, avanti, ho dato a Siirist il mio grimorio completo, perché non dovrei darlo anche a te, anche se solo una parte, che sei molto più meritevole di quell’incompetente? Gli ci sono voluti due anni solo per padroneggiare il livello base delle mie tecniche di concentrazione, sono sicuro che in metà del tempo tu riusciresti a produrre illusioni reali al mio livello se non ancora più potenti. Ma ora basta chiacchiere. Io rimango qui, sono troppo stanco, oltre la soglia per la quale basta qualche pozione, ma tu sei fresca come una rosa, come sempre, d’altronde, perciò vai a riunirti alla battaglia, ci sono molti Cavalieri e draghi a cui farebbe comodo il sostegno tuo e di Eiliis. E mi dispiace.» disse, andandosi a sedere contro un albero, abbassando il tono di voce nel dire l’ultima frase.
Per un momento, Alea uscì dalla sua impostazione marziale e permise alle sue emozioni di invaderle la mente, sentendo una fitta al cuore per la perdita di Tidus. Ma subito scosse la testa e accennò un sorriso, lo sguardo deciso.
«Sì. A dopo.» rispose semplicemente.
Nel suo tragitto di ritorno alla dragonessa, le due compagne mentali specularono su cosa potessero essere le illusioni reali menzionate dall’altro Cavaliere e, Raama tel’ arvandorea nuovamente assicurata alla sella, Eiliis prese il volo.
L’arco fantasma stretto nella sinistra, mentre la dragonessa volava verso il settore degli alloggi della nona brigata, l’elfa liberò frecce su frecce contro gli Scorpioni più potenti che vedeva a terra. Ma giunte a destinazione, sentirono una forte pressione di magia gravitazionale e furono schiacciate a terra.
«Torre del sigillo.» mormorò con difficoltà.
Attorno al corpo della dragonessa si creò un cerchio di vento che si innalzò in pochi secondi, creando una torre di ghiaccio di sessanta metri. Quella particolare modifica elementale dell’elfa, il gelo vampirico, consisteva nell’assorbire ogni forma di energia, che fosse magica o demoniaca, di fatto negando determinati tipi di attacco. Cancellò l’incantesimo gravitazionale per poi dissolversi e, freccia alla mano, la fanciulla la incoccò immediatamente e la liberò in direzione di un umano vestito con una lunga tunica verde scuro, i bordi e il colletto rosso acceso, un grande mantello giallo spento con un cappuccio che gli copriva il viso e stivali di un verde ancora più scuro della tunica; alla vita reggeva una cinta dello stesso colore che reggeva un pugnale ingemmato. Ovunque sugli abiti erano legati amuleti e in mano impugnava una lunga asta di legno inciso, indubbiamente ricavato dagli alberi della Yaara Taure.
«Grande massiccio.» disse, proteggendone il cadavere all’interno della barriera, così da evitare che altri si impossessassero di tutti quegli scettri che l’elfa voleva prendere per sé.
Come se ne avessi bisogno, con il tuo legame con il Flusso e gli incantamenti di Hans.› osservò la dragonessa.
Lo so, ma qualcuno di quegli scettri può risultare interessante. E se non per me, per qualche altro Cavaliere. Almeno così siamo sicuro che gli altri Scorpioni non se ne impossessino.
«Ven Gaar Nos!» Ruggì la dragonessa mentre, mentalmente, concordava con il ragionamento della Cavaliere.
La magia draconica generò un ciclone che colpì un gruppo di Scorpioni, scagliandoli in alto nel cielo. Una decina di secondi dopo, si schiantarono tutti a terra, morendo sul colpo.
La terra iniziò a tremare, così Eiliis, per non correre rischi di venire colpita da attacchi di terra, prese il volo. Invece dalla roccia uscirono scheletri su scheletri e pure il mistico all’interno della sua barriera di ghiaccio si rianimò ed iniziò a cercare di sfondarla.
Magnifico, ci mancavano i negromanti…
Messe tre frecce al suo arco, lo tese e le liberò dopo averle infuse dell’energia del gelo vampirico e intrappolò tre corpi resuscitati in blocchi di ghiaccio; assorbita la magia che li aveva riportati in pseudo vita, essi smisero di muoversi nelle loro prigioni.
Una freccia le arrivò alle spalle, ma Ilyrana la anticipò grazie al colore dell’osservazione e la schivò con facilità con una torsione del busto, per poi rivolgere il suo arco all’arciere nemico. Lo prese in testa, abbattendolo.
Giunsero numerosi Scorpioni, assistiti anche da Cavalieri rianimati, che incominciarono a dirigere un’infinità di incantesimi perforanti contro fanciulla e dragonessa. Eiliis non avrebbe mai potuto evitarli tutti, perciò la altmer rimandò arco e faretre a Oblivion e impugnò la doppia lancia con entrambe le mani. Molti degli incantamenti su guanti, spada e corazza si illuminarono.
«Gemma lucente.» esclamò, erigendo la sua più potente barriera di luce a otto strati.
Con quella protezione, nessuno degli attacchi nemici riuscì a raggiungerle, ma ciò che la fanciulla non aveva calcolato era una granata vibrante che le arrivò addosso emettendo forti ultrasuoni e che, esplodendo, cancellò la barriera.
No!› pensò furiosa.
E proprio come quando era precipitata in mare, Eiliis, priva di sensi, si schiantò al suolo. L’urto fu così devastante che Alea si lussò la spalla destra. Emise un verso di dolore e, ansimante, si riuscì a girare e slacciarsi dalla sella, per poi strisciare a terra e mettersi in ginocchio. Con tutte le sue barriere magiche e gli incantesimi che si era applicata per resistere meglio a danni vari e al dolore spariti, a stento era in grado di tenere gli occhi aperti. Ma anche con le sue sole forze, sarebbe dovuta essere in grado di resistere ad una mera spalla lussata – per Soho, aveva passato di peggio! Allora cos’era? Possibile che la bomba inibitrice di prima non fosse solo quello, ma fosse un congegno diverso che indebolisse anche i bersagli?
La sua linea di pensiero fu interrotta da un elfo oscuro che le apparve davanti con la spada puntata per un affondo; il braccio scattò e la lama la colpì al petto, proprio sopra al cuore, ma l’Adamantio non fu nemmeno scalfito da quel semplice Cristallo incantato. La forza dell’impatto fu comunque sufficiente a farla cadere indietro, sulla schiena, ancora più alla mercé del suo aggressore, e a provocarle un acuto dolore nel punto in cui era stata colpita.
Tentò di richiamare il Flusso, ma sentiva che la sua energia interna era ancora in subbuglio a causa della granata, perciò non poté far altro che aspettare che si ristabilisse e sperare che lo Scorpione non disponesse di incantesimi di perforazione sufficientemente potenti per superare la sua armatura.
Come se le avesse letto nel pensiero (cosa impossibile, poiché la sua difesa mentale non era stata superata), l’elfo oscuro sollevò la spada per un fendente mentre la avvolgeva in un elemento di fusione di alto livello, un misto di luce dal colore verde scuro, brillante ma al contempo cupo, e oscurità nera come la notte. La magia assunse la forma di una grande falce e, nel vedersela arrivare contro, Alea, impotente, chiuse gli occhi.
Siirist…!› pensò, una lacrima che le rigava la guancia.
Cosa l’avesse spinta a riaprire gli occhi, Alea non avrebbe saputo spiegarlo nemmeno dopo mille anni. Fatto sta che sapeva di doverlo fare, sapeva di dover vedere. Quell’improvvisa, leggera ma potente onda di energia demoniaca mista ad una ben nota energia magica le arrivò addosso come una brezza primaverile.
Fra lei e lo Scorpione era apparso Siirist, il busto girato verso sinistra nel caricare un diretto, il corpo avvolto da fumi tenebrosi che si stavano dissipando sempre più se non attorno all’avambraccio sinistro, dove si stavano concentrando. Con il pugno prese in pieno la falce nemica, dissipando l’incantesimo, che si spezzò con il rumore di vetri rotti, infrangendo la spada per poi andare ad afferrare il volto dell’elfo oscuro.

 

 

~


 

Mi scuso per questo ritardo ma domenica scorsa sono stato impegnato e poi, da lunedì, sono stato senza internet fino a ieri.

Il prossimo capitolo si intitola IL CAVALIERE DELLA LEGGENDA e sarà pubblicato lunedì11 novembre. Il Cavaliere d’Inferno è tornato e dimostrerà di meritarsi appieno il suo titolo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=314213