L'uomo uccide sempre ciò che più ama

di R e d_V a m p i r e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0. Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Capitolo ***
Capitolo 4: *** II. Capitolo ***
Capitolo 5: *** III. Capitolo ***
Capitolo 6: *** IV° Capitolo ***
Capitolo 7: *** V° Capitolo ***



Capitolo 1
*** 0. Prologo ***


L'Uomo Uccide Sempre Ciò Che Ama
Allora seppi che avrei dedicato ogni minuto che ci restava da passare insieme a renderla felice, a riparare al male che le avevo fatto e a restituirle ciò che non avevo mai saputo darle.
[Il gioco dell'angelo - C.R.Z]



L'uomo uccide sempre ciò che più ama
{Ma anche il purgatorio può ambire al paradiso}





L'ultimo ricordo di Matt è una sigaretta caduta dalle labbra, il rumore degli spari e l'odore nauseante del proprio sangue.
Per non parlare dell'agghiacciante consapevolezza che tutto sia finito proprio in quel momento e che, insieme alla vita, scivoli via anche quel sorriso sicuro e sfrontato dalle labbra pallide eppure intrise di rosso.
A Matt non è mai piaciuto il rosso. Gli ricorda i propri capelli, le proprie orgini così incerte.
Gli ricorda troppe cose, eppure mentre cadeva per terra non glien'è venuta in mente neppure una. Buffo, il destino. Non si dice forse che quando muori ti si dipani davanti la tua vita, come assurdi flashback o fugaci istantanee? Ecco, il proiettore dei suoi ricordi deve essersi decisamente fottuto, perché non gli è passato proprio un cazzo davanti agli occhi. Si è limitato a cadere sulle ginocchia, le mani ancora comicamente alzate in segno di resa.
L'ultimo pensiero è andato a lui, certo. Ma non è del tutto sicuro che siano stati pensieri dolci. Forse qualche insulto, quel 'fanculo' che non è riuscito a dirgli quella mattina ed i giorni prima ancora, per averlo mandato a morire come un cane per un piano idiota, decisamente idiota.
Chissà se quella testa di cazzo platinata si è salvata il culo, alla fine? Chissà se, almeno lui, ce l'ha fatta.
Chiude gli occhi al mondo con questa domanda, Matt. E, per quanto schifosamente stucchevole possa essere, non sono nient'altro che gli occhi di Mello quelli che vede per l'ultima volta. Ed è ironico che diciannove anni di vita si riducano solo a questo.


«No, cazzo.»
«Non possiamo trasportarlo da nessuna parte, ha perso troppo sangue.»
«Non me ne fotte un cazzo, qui non ci rimaniamo.»
«Illuminami, vuoi forse ucciderlo tu visto che la scorta di Takada non c'è riuscita?»
Dietro la maschera dell'ossigeno appannata da un respiro frammentato, Matt non è del tutto sicuro di quello che sente. E' ovattato e distante, potrebbe trattarsi benissimo di un sogno. Strano, però. Non credeva che da morti si potesse ancora sognare.
Bella fregatura, ad ogni modo. Il suo sogno ha le voci dei numero uno e due della Wammy's House.
Che cazzata, decreta, in un attimo di lucidità. Deve essere sicuramente morto, non c'è ombra di dubbio, e finito per giunta all'Inferno.
Questo spiegherebbe perché sente dolore in tutto il corpo e ha nelle orecchie il ciarlare di quei due. Lo sapeva che aiutare quell'invasato biondo l'avrebbe portato a bruciarsi il culo fra le fiamme eterne e bla bla bla. E dire che non è nemmeno credente, lui.
E con questo pensiero, e quelle che crede siano urla - e il rumore di qualcosa che si infrange contro un muro... ci saranno i muri, nell'aldilà? -, scivola di nuovo nell'incoscienza.



>>>>>>>>>>>


Angolino Rosso


Eccomi tornata con una long. .
Post sparatoria della scorta di Takada ed esplosione del furgone. E i nostri eroiH sono ancora vivi, sì anche questo. Anche se Matt non si sa per quant- *fissa i forconi e i pomodori* -non dico più niente, va. Ad ogni modo, volevo cimentarmi in un ''...e se fossero sopravvissuti?''. Vedremo più avanti in che modo, però. Anche questa volta devo dire che gli aggiornamenti non saranno periodici. Ma ci siamo tutti abituati ormai, su. Quindi al prossimo capitolo (quando arriverà <3).
See U

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Capitolo 2
*** I. Capitolo ***


Alla fine si è arreso.
No, non arreso. Lui non si arrende mai. Diciamo piuttosto che è venuto a patti con se stesso e ha decretato, saggiamente, che lasciare questo posto non sia la scelta migliore in una situazione come questa.
Ovviamente non darebbe mai la soddisfazione al nano albino di ammettere che avesse ragione. Ma dopo tre vasi rotti, quattro tavolette di cioccolata fondente ingurgitate e svariate ore passate a fissare il ragazzo disteso nel letto bianco di quella fottuta stanza bianca, non ha potuto che constatare come un trasferimento, in quel preciso momento, potesse solo significare la dipartita di quest'ultimo. E non ha fatto tanto per salvargli la vita solo per ucciderlo lui stesso, alla fine. Non che lasciarlo crepare sotto tutti quei proiettili sarebbe stato tanto diverso, in fin dei conti.
Ma era preventivato, no? Sapeva perfettamente come sarebbe potuta finire. Ne hanno parlato tanto in quei giorni in cui i silenzi bruciavano sulla pelle più delle parole - più del fuoco che gli ha lasciato quell'orrenda cicatrice addosso.
Eppure nessuna delle scene visualizzate, nessuna delle possibilità preventivate, terminava con la morte del nerd nicotinomane. La sua, oh certo, la sua c'era. Era chiara, lampante, per quanto il suo compagno non volesse che se la lasciasse sfuggire dalle labbra. E faceva paura pure a lui quella possibilità che non era mai stata come in quel momento una sicurezza. Però sorrideva, di quel ghigno storto, e scuoteva il capo tornando ai suoi piano, sbuffando qualche ''testa di cazzo'' e ignorando lo sguardo preoccupato di chi gli stava al fianco.
Aveva paura della morte? Non c'aveva mai pensato prima di quei giorni. Neppure mentre faceva esplodere il covo, nemmeno mentre il suo corpo veniva divorato dalle fiamme e la plastica diventava un tuttuno nauseante con la pelle. E nemmeno dopo, a delirare e soffrire come un cane su di un letto dalle lenzuola sempre pulite - nonostante le piaghe, il sangue e quello che la sua vescica non riusciva a contenere - perchè c'era qualcuno a prendersi cura di lui, a cambiarle, a dargli forza. A impedirgli di impazzire, ad ignorare le sue preghiere folli, i suoi sguardi spiritati, gli ordini urlati di piantargli una pallottola in mezzo agli occhi ma, cazzo, farla finita con tutto quello.
Sembrava impossibile pensarci realmente, in quei momenti, anche se la fine era così vicina.
Ma mai, mai come in quella settimana. Passata a contare le ore, i minuti. A guardare l'orologio dal quadrante scheggiato appoggiato sul frigorifero - perchè «Dannazione, cosa ti costa piantare un fottutissimo chiodo?» «Dopo, lo faccio dopo» e ovviamente quel dopo non era mai arrivato.
In ogni caso, quell'attesa era per se stesso. Non per il ragazzo stravaccato sullo stretto divanetto di pelle, in una posizione che lasciava intuire come sembrasse non sapersene che fare di quelle gambe troppo lunghe a penzolare oltre il bracciolo logoro. Non certo per lui e per i suoi capelli rossi, per quegli stupidi occhiali dai vetri gialli e un sorriso stretto su un tubicino di carta. Certo, prima o poi sarebbe arrivata anche la sua ora, ovvio. Ma per un cancro ai polmoni, vista la quantità di merda ingurgitata in tutti i tiri fatti.
Un tempo ridevano, fra un pugno e uno ''stronzo'' bofonchiati, stretti in quello stesso divano a profetizzare la propria morte per overdose da zuccheri o diabete, chissà, e poi un sorriso, un punzecchiare il braccio sano e chiaro ed arcuare le sopracciglia rossicce con tanta di quella serietà da non poter prendersela sul serio ed, in fondo, «Cazzo, biondina, secondo me creperai soffocato dentro questi corpetti da puttana».
Era bello, ripensa adesso che non riesce a guardare più in su del bordo del materasso che ha davanti, era bello nonostante tutto e sembrava che non dovessero mai trovare la parola fine. Ma era anche consapevole che la loro non era certo una fottuta favola.
E nasconde il viso tra le mani guantate, china il capo perchè non si possano notare gli occhi lucidi - anche se nessuno potrebbe, visto che l'unico altro presente in quella stanza è in coma.
I suoi schemi, tutti i suoi piani. Una variabile sbagliata. Era così anche alla Wammy's House. Per questo era ed è destinato ad essere per sempre il secondo. Neanche stavolta è andata come aveva previsto.
Perchè la scorta della Takada non avrebbe dovuto aprire il fuoco.
Perchè lui non sarebbe dovuto sfuggire a Kira e sopravvivere.
E tutto ciò che gli resta, tutto ciò che gli rimane del sapere di essere vivo, è solo il sapore amaro come fiele di una vittoria a metà - sempre che di vittoria si possa parlare.


E' passata una settimana.
Una settimana lunga come un mese, lì nella sede dell'SPK. Nel covo del suo rivale.
Ironico, non avrebbe mai pensato di ritrovarsi, un giorno, ad essere ospitato da quel nanerottolo albino.
Evita accuratamente, in ogni caso, di andarsene in giro per il palazzo. Soffoca la curiosità congenita in lui e non si smuove dalla stanza dove tengono il suo compagno.
Dopo aver ostinatamente rifiutato una camera propria e minacciato di morte più di uno degli uomini di Near alla fine Lidner si è decisa a far portare un altro letto nella stanza del malato - decisa, si badi bene, non rassegnata; Halle non può certo farsi battere dalla volontà di un moccioso vestito di pelle e fissato col cioccolato in maniera quasi disgustosa, per quanto inquietanti possano essere quegli occhi così chiari quando sono inniettati di sangue.
E' passata una settimana e non si nota nessun miglioramento nel ragazzo disteso ancora su quel letto. I monitor segnano il battito regolare del suo cuore e i livelli cerebrali, lo tengono sotto sorveglianza costante come se non bastasse quella del suo compagno di stanza.
Il viso di Matt sembra sereno, nel sonno. Certo, è fasciato peggio di una mummia - e se fossero ad Ottobre sarebbe anche ironica come cosa - e non si muove nemmeno a pregarlo. Però è vivo. Sta solo dormendo.
Mello si rannicchia contro il muro a cui è addossato il suo letto, scartando distrattamente l'ennesima tavoletta di cioccolata. Sta solo dormendo, si ripete, per convincersi a guardare quello che è stato il suo migliore amico.
Soffermandosi a contemplare il rosario dal piccolo crocifisso d'oro bianco, adagiato sulle bende del petto, che lui stesso gli ha messo al collo giorni prima.
E' strano non sentirlo più sulla propria pelle. Ma sa che è giusto così, lo sente.
Lo ha riparato, recuperando uno ad uno i grani rossi e facendoli correre lungo un nuovo filo. Perchè si è rotto. Oh, si è rotto sì. Ha ceduto improvvisamente, crollandogli in grembo. E in quell'istante ha capito che i suoi piani non erano andati come aveva previsto. In quel preciso momento, avvertendo sulle gambe il peso di quello che è un regalo di Matt, ha capito che gli fosse successo qualcosa. Che le sue sicurezze, che gli avevano dato forza fino a quel momento, erano semplicemente sbagliate.
Per questo motivo non ha tolto il casco. Per questo motivo ha sentito Takada imprecare a bassa voce e si è voltato, sparandole allo stomaco nudo, vedendola accasciarsi con un lamento. E si è gettato fuori dal furgone in corsa, prima dell'impatto contro il muro della chiesa. E dell'incendio che ha inghiottito ogni cosa. Un foglietto con un ''Mihael Keehl'' qualunque, senza la possibilità di poterlo associare ad alcun volto conosciuto. Approfittando della confusione per freddare, senza alcun rimpianto, un giovane accorso per aiutare, scambiandosi velocemente d'abito con lui e gettandone il cadavere fra le fiamme. Chi mai avrebbe potuto capire che quello non fosse l'obbiettivo di Kira? Importava solo che Kira stesso... che Light Yagami credesse di averlo ucciso.
Ma ha stretto fra le mani i resti del rosario stipati nella tasca dei jeans un po' troppo larghi, mentre al cellulare mormorava poche parole a denti stretti ad un sorpreso e silenzioso Near «... Matt... aiutalo...».
E Near l'ha aiutato. I suoi uomini sono intervenuti in fretta, portando via in ambulanza il ragazzo dai capelli rossi che, incredibilmente, respirava ancora nonostante tutto quel sangue. Nonostante...
«...tch...»
Uno sbuffo, il rumore di un quadrato staccato rabbiosamente dalla tavoletta. E il flusso dei pensieri che riprende a correre, osservando ancora Matt dormire - solo dormire.
Incredibilmente i proiettili che sono riusciti a colpirlo erano meno di quanto il sangue sui suoi vestiti e per terra lasciassero intendere. Certo, alcune ferite erano abbastanza profonde, ma nessuna che abbia intaccato direttamente organi vitali. Ha semplicemente perso troppo sangue e durante le... le operazioni, subite, la sua situazione si è aggravata. Ed è subentrato il coma. Ma questo sembra stare aiutando la ripresa, i suoi valori sembrano essersi stabilizzati.
Ed allora perchè non si sveglia?


«Ci vuole tempo.»
La voce del ragazzo dai capelli bianchi è bassa, simile ad un mormorio. Non ha inflessioni particolari, sembrerebbe quasi annoiata.
Guardandolo da dietro la frangetta bionda, Mello non si stupisce troppo che non sia cambiato di una virgola dai tempi della Wammy's House. Insomma, lui ha avuto tutti gli aiuti necessari, tutta la protezione e i confort. Come sarebbe dovuto cambiare, il numero uno? E' quasi disgustoso pensare a come loro si siano fatti il culo, mentre il nanetto stava lì, con tutta una serie di giocattolini ipertecnologici e un'intera squadra ai suoi ordini.
Senza correre il rischio di farsi ammazzare come un cane.
«Non me ne fotte un cazzo... e poi che minchia ne sai, tu, di quello che ci vuole? Adesso sei anche un fottuto dottorino?!»
C'è rabbia nella voce del più grande, una rabbia a stento contenuta ed antica. Rancore, misto a disperazione. Near rannicchiato per terra se ne accorge distrattamente, arrotolandosi una ciocca attorno all'indice, riflettendo. Mello non gli fa più paura. Sì, è in grado di incutergli ancora un certo timore con quell'aria da pazzo pronto ad estrarre la propria pistola e piantarti un proiettile in fronte - magari mangiando ancora cioccolata e ridendo come uno psicopatico, chissà - ma non ha più il terrore che aveva da bambino nei suoi confronti. Forse perchè l'ha capito.
L'ha capito che, in questo momento, quello dei due che ha più paura è proprio lui.
E forse è sempre stato così, ma non ci scommetterebbe. Le percentuali sono troppo basse e lui non è il tipo che va a sentimento, nemmeno in queste cose.
«No» scandisce, piano, puntando gli occhi grandi, neri, gli stessi di quando era solo il fantasmino, sul viso deturpato dell'altro «Però quelle sono le parole dei medici che si prendono cura di lui, Mello. Quindi sta buono e aspetta, una volta tanto.»
Non rimane sorpreso, non davvero, nel vedersi crollare davanti la piramide di lego bianca che stava costruendo, alcuni pezzi che vengono sbalzati contro il petto magro nella foga che l'altro ci ha messo a spazzarla via con un braccio.
E lo guarda tranquillamente, ora in piedi davanti a lui, tremante di rabbia e con la mano ancora sollevata, lo sguardo allucinato.
«Tu non mi ordini proprio un cazzo, Near. Hai capito? Proprio un cazzo! Io... io...»
Ma la voce sfuma, e il braccio crolla lungo il fianco, all'improvviso privo di forze.
«...non ce la faccio più ad aspettare.»
E' un sussurro sofferto, e quando si rende conto di averlo pronunciato proprio davanti a lui gli rivolge uno sguardo crudele e colpisce con un calcio i pezzi di torre non ancora crollati, infierendo su quel gioco come se potesse farlo sul suo rivale stesso. Non dice più nulla, gira semplicemente i tacchi e se ne va via, a passi pesanti. Diretto in quella stanza, con ogni probabilità.
Near rimane a guardare silenzioso i pezzi sparsi per terra, in un artistico disegno privo di senso. Poi, piano piano, li raccoglie e torna a metterli uno sopra l'altro.
«Quel tipo è pazzo.» decreta con una smorfia Halle, rimasta in silenzio fino a quel momento, frenata dal rivolgersi contro al biondo solo dagli ordini di Near.
Che piega le labbra in un piccolo sorriso, arrotolandosi con più forza la ciocca attorno al dito sottile, aggiungendo un altro blocchetto alla pila senza alzare lo sguardo sulla donna.
«Già. Per questo spero che Matt, contro il pronostico, si svegli al più presto.»



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Capitolo 4
*** II. Capitolo ***


Allora seppi che avrei dedicato ogni minuto che ci restava da passare insieme a renderla felice, a riparare al male che le avevo fatto e a restituirle ciò che non avevo mai saputo darle.
[Il gioco dell'angelo - C.R.Z]





L'uomo uccide sempre ciò che più ama
{Ma anche il purgatorio può ambire al paradiso}







Invece Matt non si è svegliato.
Non si è svegliato la settimana dopo, nè quella dopo ancora.
Ha continuato a dormire, con quell'espressione quasi beata su un viso emanciato ed in netto contrasto col rossore cupo dei suoi capelli. Con il rumore in sottofondo delle macchine, così diverso a quello a cui era abituato e che gli ha fatto rimpiangere l'assurda musichetta dei suoi videogiochi.
Dopo un po' ha rinunciato a voler capire cosa riporti lo schermo, Mello. E dire che lui è un tipo che non si dà mai per vinto. Ovviamente ha compreso come si tratti dei parametri vitali di chi riposa su quel letto - troppo - bianco. Ma non riesce a comprendere cosa significhino tutti quei numeri e quelle linee e se si concentra gli viene il mal di testa o si ritrova a fissare quelle dannate apparecchiature senza vederle realmente; del resto, quello bravo con la roba tecnologica è lo stesso a cui quelle merde e il loro fottuti beep senza senso è attaccato.
Non ha nemmeno voluto sapere della conclusione del caso Kira. Ha fissato senza espressione - e dire che quello con mimiche facciali azzerate è sempre stato proprio l'altro - Near mentre lo informava della morte di Light Yagami come si informa qualcuno del cattivo tempo. Non ha gioito, sapendo di aver contribuito alla risoluzione e la chiusura di quello che probabilmente verrà ricordato come il caso del secolo.
«Non ho contribuito proprio ad un cazzo
Negli occhi la tempesta e fra le labbra il sapore amaro del fallimento, che non è servito altro che ad avvelenare quello dolce della cioccolata staccata e macinata con rabbia dai denti.
Lo sguardo fisso sul ragazzo immobile, senza soffermarsi a guardare ciò che lo circonda perchè non riesce proprio ad accettare la vista delle flebo e di tutte quelle altre robe che concorrono ad alimentarlo e mantenerlo in vita.
«Sarei dovuto morire, eh Matt? Allora sarebbe servito a qualcosa. Ma non sono morto»
Scandisce, e la voce si abbassa fino a ridursi in un sussurro febbrile come se temesse di disturbare il riposo dell'altro.
«No. Non sono morto. E sai una cosa, coglione? E' tutta colpa tua.» un altro morso rabbioso alla tavoletta, ed il rumore secco di cioccolata spezzata ed un altro beep, poi.
Annuisce fra sè e sè, curvato in avanti in una posizione ingobbita, gli avambracci che posano sui jeans logori che coprono le gambe magre al posto dei soliti pantaloni di lucida pelle nera. Se uno degli uomini del nano albino, o quella puttanella di Lidner, si affacciasse adesso a guardare dalla finestrella sulla porta probabilmente penserebbe seriamente di farlo internare.
Sembra quasi un folle, parla da solo - ma no, parla a Matt, a Matt che testa di cazzo com'è lo ignora e non gli risponde.
«E'... è quasi divertente, sai Matt? Divertente, già. Insomma, i miei piani sono andati a puttane. Tutto il nostro lavoro... e Yagami è anche morto. Dimmi, c'è una cosa che è andata come doveva?»
Scuote il capo, arcuando le sopracciglia bionde - quello che gli rimane, dal lato sano del suo viso. Agita la tavoletta come se stesse argomentando un gran discorso o avesse appena ricevuto una risposta arguta - solo un altro beep fra i tanti.
«Insomma, io sono qui e tu stai lì, come un cazzo di vecchio con un catetere su per il culo perchè non puoi nemmeno andare a cagare. Non è divertente, Matt?»
Chiede, ancora, e c'è l'accenno di una risata nella sua voce, di quelle che promettono di trasformarsi in isterismo o pianto.
Non si è nemmeno accorto di aver finito la cioccolata. Tiene in mano l'involucro vuoto, ma lo sguardo allucinato è fisso sul viso dormiente del suo migliore amico. Di quello che può vederne, almeno.
Le dita della mano vuota tremano, strette nel guanto, si sollevano appena dal ginocchio su cui hanno tamburellato fino a quell'istante e si avvicinano esitanti ad una guancia chiara e fredda - perchè è così freddo?
«Ehi, Matt... ero anch'io così? Dopo l'esplosione, dico. Mi vedevi anche tu così? Cazzo, sembri una fottuta mummia. Non sei mai stato una bellezza, ma così...»
La voce si rompe, i polpastrelli sfiorano il bendaggio e ritrae la mano come si fosse scottato. Le spalle tremano lievemente, l'intero corpo minuto trema. Ma non c'è alcuna risata. E nessuna lacrima.
Alla fine cede, si lascia cadere e nasconde il viso contro il suo petto, celato dalle braccia - e non capisce se è quello di Matt il respiro che sente o sono le macchine.
Rimane in silenzio, respirando l'odore di disinfettante e medicinali, cercando di distinguere una traccia di quello più familiare dell'hacker; quella nauseante puzza di nicotina di cui si è sempre lamentato.
«Perchè non muovi quel pigro culo da drogato di videogames e ti svegli? Hai dormito abbastanza e siamo qui da quasi un mese...»
Se è una lacrima, quella che solca la pelle deturpata dal fuoco, si perde e muore nel lenzuolo su cui poggia il viso. Nessuno la vedrà mai.
E si sente piccolo, Mello. Si sente il bambino che era alla Wammy's House. Come se tutti quegli anni non fossero passati. Come se non fosse successo niente.
«... svegliati, Mail... voglio tornare a casa...»


Per una delle rare volte nella sua vita, Nate River si sente preso in contropiede.
Abbassa il robottino con cui stava giocando, deponendolo ordinatamente insieme agli altri sul basso tavolinetto, mentre osserva la donna davanti a lui come a decidere se stia scherzando o meno. Cosa improbabile, tra l'altro.
Il viso di Lidner è una maschera ed è difficile capire se prevalga di più il sollievo, lo sconcerto o l'indisposizione nella sua espressione. Decide che possano andare bene tutte e tre le cose.
«Cosa?»
Raramente Near spreca parole per formulare una domanda su qualcosa che gli è stato detto. Ma stavolta ne sente il bisogno. Com'è che si dice? Non ha sentito bene, ecco. Deve essere decisamente così.
L'altra sposta nervosamente il peso da un piede all'altro, stringendo le mani in pugni lungo i fianchi ma mantenendo contegno nella sua posizione.
«Mello se n'è andato» suona così strano e al contempo così normale da non sapere come pronunciarlo «Non ci sono più le sue cose nella stanza. Uno dei ragazzi dice di averlo visto uscire dall'edificio e di aver preso per poco una pallottola dritta in fronte per essersi arrischiato a chiedergli dove avesse intenzione di andare.»
Halle riporta fedelmente quanto le è stato riferito, cercando di indovinare i pensieri sul volto del successore di Elle. Ma come sempre è difficile, dato che negli occhi neri di Near non si riflette altro che un febbrile ragionamento sottolineato dal rigirare sistematicamente un ricciolo bianco attorno all'indice.
Dalla velocità con cui lo fa, Halle ne deduce che quella era una variabile che non aveva previsto.
«Capisco. Bene. Continuate con le cure a Matt e fatemi avere notizie sulle sue condizioni. E' tutto.»
...o forse sì? 

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Capitolo 5
*** III. Capitolo ***


 Allora seppi che avrei dedicato ogni minuto che ci restava da passare insieme a renderla felice, a riparare al male che le avevo fatto e a restituirle ciò che non avevo mai saputo darle.
[Il gioco dell'angelo - C.R.Z]



L'uomo uccide sempre ciò che più ama
{Ma anche il purgatorio può ambire al paradiso}








La casa che hanno preso in affitto in Giappone è proprio un buco. Lurida, dai muri nudi e coperti di muffa. Il salotto che prima era ricolmo di computer e telecamere, oltre alla televisione e le consolle, adesso mostra i segni della rabbia di chi l'ha abitata in questi giorni; è tutto distrutto, hard disk gettati per terra tra le custodie infrante dei cd, cavalletti riversi e dalle gambe rotte, schermi scheggiati e vetri sul pavimento impolverato e cosparso di cartacce di cioccolata ad indicare l'unico nutrimento del ragazzo seduto sul vecchio divano di pelle rovinata.
La poltrona e i pouf  sono stati fatti a pezzi come le altre cose, gettati alla rinfusa per quella stanza che ora sembra più un campo di battaglia che la postazione di Matt, come era stata per tutto quel tempo.
Ma no. Non era solo la postazione di Matt, o il luogo in cui il ragazzo si svagava giocando ai suoi stupidi giochi. Quello era anche il posto della casa in cui potevano passare più tempo insieme, anche soltanto a guardare i notiziari, scorrere i documenti o parlare, chi mangiando cioccolata chi fumando e guardando il soffitto. Sembrava quasi una vita normale, la loro, in quei momenti.
Ma il solo pensarci fa arricciare le labbra del ragazzo dai capelli biondi in una smorfia amara, che indurisce ed incattivisce un'espressione resa perennemente arcigna dalla cicatrice che deturpa un viso che mostra ancora i segni di una bellezza passata. Eppure quegli occhi che non sembrano capaci di afferrare un solo colore e mantenerlo, cangianti e perennemente in tempesta, nuvoli come un mare sferzato da pioggia e vento, non riescono a mostrare un'emozione che sia una. Non odio, non rabbia, nemmeno rassegnazione.
Sta lì senza un perchè, Mello. Sta lì senza rendersi realmente conto di esserci. Potrebbe passare giorni interi su quel divano, come anche ha fatto fino ad oggi, e lasciarsi consumare e morire. A chi importerebbe? Nessuno si accorgerebbe della sua scomparsa da questo mondo. Una ben misera uscita di scena rispetto a quella che gli si era prospettata quasi due mesi prima. Arrivando al punto di rimpiangere l'aver tenuto il casco impedendo a quella puttanella della Takada di farlo fuori come sue intenzioni.
Sarebbe stato meglio farlo, nel momento in cui suoi occhi si posavano sul piccolo schermo tenuto vicino al volante del furgone. Nel momento in cui il peso della croce d'oro gli era piombato fastidioso in grembo e aveva visto il corpo dell'altro cadere in ginocchio ed accasciarsi al suolo, simile ad un burattino a cui vengono tranciati bruscamente i fili.
Divertente come tutto sembri piccolo e inconsistenze dietro il vetro di una telecamera. Quasi quello che si vede non stia accadendo realmente. E forse è stata la speranza di ciò a costringerlo ad aggrapparsi alla vita e salvarsi il culo.
La speranza di poter rivedere gli occhi ridenti e il sorriso sfacciato di Matt.
Una speranza che è andata morendo, di giorno in giorno, di ora in ora, ad ogni fottutissimo beep che non era altro che uno stillicidio.
Perché non era forse morire insieme a lui, in quella stanza, quello che stava facendo?
Logorandosi nervi ed animo, perdendo i contatti con la realtà e quel poco di lucidità rimasta. Nella speranza, solo nella speranza di vederlo muoversi... almeno un poco. Solo un po', per poter capire che quell'attesa valesse realmente qualcosa.


L'urlo che squarcia il silenzio forse non è nemmeno il primo, di certo non sarà l'ultimo. Si ritrova semplicemente a gridare, Mello, cercando così di sfogare la frustrazione e tutto ciò che si agita dentro di lui e che non trova risposte. Un puzzle a cui mancano molti, troppi pezzi per poter essere completato a dovere.
Buffo, perché lui odia i puzzle. Gli ricordano la Wammy's House, gli ricordano Near...
Near. Quell'odioso nanerottolo.
Una sola cosa in vita sua gli ha chiesto, abbassandosi ad ingoiare il proprio orgoglio. Una sola volta ha chiesto aiuto a lui, e nemmeno per se stesso - ma bugiardo lo è sempre stato, è più facile convincersi di questo che del proprio egoismo.
E non è riuscito a far niente. Nulla. Dov'è finita tutta la genialità di cui si è sempre vantato? Che fine ha fatto il prediletto di Elle?
«E' questo che sa fare il Numero Uno? E' solo questo che sa fare?!»
Grida, grida fino a sentire bruciare fastidiosamente la gola ma, anche allora, continua a gridare. Grida perché non riesce a piangere, perché non ha altro modo per sfogare il dolore se non tornare a devastare una casa distrutta.
Si rannicchia sul divano, stringendosi nelle spalle e nascondendo la testa fra le gambe. Cerca di non vedere, di dimenticare, di contenere le urla ed il dolore.
Ma sono sempre lì, che graffiano sottopelle. Che bruciano come fuoco nelle vene e lungo la gola, riarsa e simile a carta vetrata adesso che non ha più un singolo fiato da spendere.
E vorrebbe solo ripetere che gli dispiace, che è colpa sua. Che non avrebbe dovuto, che non avrebbe voluto.
Che non è altro che un codardo anche adesso, incapace di rimanere al fianco di chi ha mandato a morire perché terrorizzato dall'idea di vedere finire tutto. Di rendersi davvero conto di averlo ucciso - poco importa che le pallottole non fossero quelle della sua pistola.
Dondola su stesso, come un bambino spaventato dal mondo e che cerca inutilmente di difendersi da esso convincendosi che nessuno lì potrà toccarlo. Invadere il suo spazio vitale.
Maledizione a lui e quando ha permesso a Matt di farlo. Maledizione a lui e maledizione a Matt, che non ha voluto mandarlo a fanculo quando avrebbe dovuto. Che gli è sempre tornato al fianco, anche dopo essere cacciato via più e più volte, in più e più modi.
Tra lo spiraglio delle braccia poi li vede.
Sono gettati per terra, vicino ad un cuscino spiumato, con crudele noncuranza.
I vetri arancioni (o forse gialli?) ammiccano verso di lui, colpiti dalla fioca luce che filtra dalle tapparelle rotte.
Sembrano quasi dimenticati lì, come se il loro distratto proprietario li avesse lasciati cadere giocando ai videogames. Può quasi immaginarsi di vederlo girare con aria perplessa - idiota, assolutamente idiota - per la stanza, chiedendogli a gran voce se li avesse visti, per caso, che dei fottuti occhiali non possono mica sparire nel nulla o mettere i piedi e andare a farsi un giro al centro.
Un sorriso affiora sulle labbra screpolate, ma è solo una smorfia. Una smorfia bagnata da un'unica lacrima e che scandisce un'ammissione fastidiosa.
Consegnata a nessun altri che alle macerie della propria vita e ad un paio di occhialoni da pilota.
«Ti ho ucciso io.»


Il cellulare squilla, squilla fastidiosamente e vibra sul pavimento sporco su cui è stato abbandonato.
Chissà da quant'è che squilla, non lo sa e non gli importa.
Viene ignorato e lasciato lì, a suonare da solo, a vibrare la sua protesta senza che il suo proprietario si degni di allungare la mano per premere un singolo bottoncino.
Che sia quello per accettare o rifiutare la chiamata.
Ma cosa importa, cosa importa...
Si sente così stanco, la sua mente non collabora figurarsi il corpo. Se solo non fosse bloccato, come in uno stand by catatonico, forse arriverebbe a chiedersi chi diamine abbia il suo numero di cellulare. E rendersi conto che non sono in molti ad avere il privilegio - o l'onere, forse.
Il cellulare squilla ancora una, due volte. Poi sembra rassegnarsi.
Oh, finalmente.
Il display si illumina per un attimo, però. Ha dimenticato la segreteria telefonica.
Sono un netto contrasto con lo sfondo i caratteri neri che compongono il nome di chi così a lungo sembra averlo cercato.
Near. Near? Eppure è troppo lontano...




>>>>>>>>>>>

Angolino Rosso
Ahm. Sono sparita, lo so. Ho lasciato perdere questa long, lo so di nuovo.
Ero quasi indecisa se cancellarla, se devo proprio essere onesta. Continuavo a rileggerla e non mi convinceva, oltre al fatto che non riuscissi proprio a buttare giù una frase che fosse una per continuarla. Però, però... però c'è chi di voi mi ha chiesto di farlo, di provarci. E mi sono detta... perché no? Perché buttare un lavoro nel cestino senza nemmeno sforzarmi di provare a continuare?
E allora c'ho provato.
Questo capitolo l'ho voluto dedicare a Mello e a ciò che l'ha spinto ad abbandonare Matt. Mi piace come personaggio, il biondo, mi piace giocare con la sua psicologia e cercare di capirlo. Non dico di riuscirci, ma almeno ci provo e mi dà la spinta per continuare.
E così è questa, una prova. Non assicuro che riuscirò a dare un finale a questa storia, né che da ora inizierò magicamente ad aggiornare periodicamente e stabilmente. Sarebbero promesse che non posso mantenere.
Però provo a non abbandonarla, se posso.
E ne approfitto per ringraziare chi mi ha spinto a provarci di nuovo. Ugh... sembra così tanto drammatico. La chiudo qui che è meglio.
Chuu...?

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Capitolo 6
*** IV° Capitolo ***


Allora seppi che avrei dedicato ogni minuto che ci restava da passare insieme a renderla felice, a riparare al male che le avevo fatto e a restituirle ciò che non avevo mai saputo darle.
[Il gioco dell'angelo - C.R.Z]



L'uomo uccide sempre ciò che più ama
{Ma anche il purgatorio può ambire al paradiso}









''Ho una comunicazione che reputo per te importante da fornirti, richiamami.''
Primo messaggio.

''Il cellulare continua a squillare, Mello, so che lo senti. Rispondi, è importante.''
Secondo messaggio.

''Questa è la ventiquattresima volta che chiamo. Non sono fatti miei, questo è certo, ma gradirei sapere che fine hai fatto.''
Terzo messaggio.

''Potrei pensare che tu possa aver smarrito il cellulare o che ti sia stato rubato. Ma le percentuali che ciò possa essere realmente accaduto sono molto basse, quindi stai volutamente ignorando le mie chiamate. Se non volessi essere rintracciato avresti già disabilitato questo numero e provveduto ad attivarne uno nuovo, ma non l'hai fatto. A che gioco stai giocando?''
Quarto messaggio.

''Inizio a trovare questa storia seccante, come sai ho ben altro da fare che farti da balia. Spero per te che tu non sia morto in quel buco che chiami casa. Sarebbe davvero il colmo oltre che assurdo, proprio ora. Se sei ancora vivo, richiamami.''
Quinto messaggio.

''Suppongo che alla fine la batteria si sia scaricata o tu l'abbia tolta. Quest'ultimo caso presuppone che tu abbia sentito i miei precedenti messaggi. Quando sentirai questo messaggio ti consiglio di venire al quartier generale appena puoi, Mihael. So che fare il bastardo è ciò che ti riesce meglio, ma una volta tanto dovresti proprio mettere il tuo egoismo da parte e smettere di piangerti addosso. Mail ha bisogno di te, ora. E' arrivato il momento che tu ricambi il favore.''
Sesto messaggio.





Near guarda il cellulare con pacata insistenza, quasi si aspetti di veder lo schermo illuminarsi e lampeggiare il nome della persona a cui ha lasciato una marea di messaggi vocali.
Non l'aveva mai fatto prima e sul momento è risultato difficile, crede anche di aver combinato qualche guaio prima che Lidner si muovesse a pietà e gli spiegasse come funziona una segreteria telefonica. E' stato interessante, in ogni caso. Non assolutamente indispensabile ma di certo utile per un caso come quello.
Mello è così tanto testardo e pieno di sé che non lo ha stupito per nulla il fatto che non abbia risposto ad una singola chiamata in tutti quei giorni.
Rigira lentamente un ricciolo candido attorno all'indice, il successore di Elle, lo sguardo che vaga sui pupazzetti che ricoprono il pavimento su cui è seduto. Si sofferma su quello che ha sottili capelli biondi e l'aria feroce, con una brutta cicatrice su un lato del volto e una croce appesa al collo; sotto di esso c'è un foglio di carta con un grosso punto interrogativo stampato sopra.
Deve dire che inizia un po' ad essere in ansia per il vecchio rivale. La sua non è vera e propria paura, quanto più preoccupazione per ciò che potrebbe fare; del resto, dopo Matt, lui è l'unico a conoscerlo abbastanza da poter fare delle ipotesi abbastanza azzeccate. Non crede che sia morto, questo no.
Non ancora, almeno.
Effettivamente il tedesco è il tipo che possa lanciarsi in un'ennesima, pazza, missione suicida che ha significato soltanto per lui. Non ha un filo di amor proprio e non conosce cosa sia l'autoconservazione.
Soprattutto adesso, suppone. Ora che crede di aver perso anche l'ultima catena che lo teneva ancorato a questo mondo.
«Sono così strani, i legami.» si ritrova a mormorare sottovoce, allungando una mano verso il pupazzetto dai capelli rossi che è adagiato su di un lettino bianco. Lo solleva, stringendolo delicatamente fra le dita e socchiudendo appena le labbra pallide in un lieve sospiro.
«Possono annientare un uomo senza nemmeno rendersi consapevoli. E allo stesso tempo possono salvarlo. E' buffo, no?»
Halle, seduta sulla sua poltrona bianca, rimane a fissare il ragazzino che è il suo capo con cipiglio confuso. Probabilmente non riuscirà mai a capirlo pienamente e nemmeno ha intenzione di farlo perché potrebbe soltanto ritrovarsi con un'emicrania senza precedenti.
Però è curiosa, perché a quella storia volente o meno si è affacciata e ora ne fa parte almeno un poco. Magari solo come una spettatrice, od una comparsa che ha l'onore di qualche battuta di tanto in tanto. Non le è mai piaciuto far parte di qualcosa senza nemmeno sapere quale sia il copione.
«E' quello che ci rende esseri umani.» fa presente, cercando una reazione sul viso dell'altro.
Ma il nuovo Elle sbatte soltanto un paio di volte le palpebre tenendo sollevata la bambolina davanti al viso, che poi ripone con una certa cautela sul tavolo. Questa volta di fianco a quella bionda, annuendo fra sé e sé come se la cosa lo soddisfacesse.
«Sì, credo di sì. E anche Mello è un essere umano, nonostante il più delle volte faccia di tutto per dimenticarlo.»
La donna bionda inarca un sottile sopracciglio, mostrandosi involontariamente incredula per quelle parole.
«Questo vuol dire che anche lui ha dei legami?»
Near ci pensa un po' su, poi sorride. Ma è solo lo spettro di una risata che mai è riuscita a prendere forma sulle sue labbra, un qualcosa che non riesce ad arrivare allo sguardo nero da bambino e uomo insieme.
Halle è pienamente d'accordo, in quel momento, con chi dice che non possa esserci genio senza almeno un pizzico di follia. Qualsiasi sia la sua natura.
«Non te ne sei accorta? Eppure il suo legame più forte è nostro ospite da ormai quasi quattro mesi. Potrei, senza presunzione, annoverarmi anch'io fra ciò che viene chiamato in quel modo... ma ciò che lega me a Mello è un nastro di stoffa e come tale soggetto all'usura e il logorio del tempo.»
L'agente china il capo di lato, su di una spalla, sentendosi in qualche modo sciocca. Aveva ovviamente capito che quel biondino andato di cervello ci tenesse particolarmente al ragazzo che occupa da mesi una delle loro stanze, ma non era riuscita fino ad allora comprendere fino a che punto.
In qualche modo lo trova strano, anomalo. Forse perché convinta che quel ragazzo non possa provare proprio niente oltre l'indiscussa, forte, rabbia che lo ha sempre alimentato da quando lo conosce.
«Mi stai dicendo che ama Mail Jeevas?» si informa, perché proprio non riesce a crederlo possibile. Più facile farlo con una storia di quaderni e dei della morte, che una cosa così terrena. Forse tutta questa storia ha finito per farle trovare meno strana la normalità o quello che dovrebbe esserlo.
Il capo del SPK dondola un po' su se stesso, come un bambino, studiando le due statuine ora vicine. Forse è ancora geloso, come alla Wammy's House, del rapporto che intercorre fra il numero due ed il numero tre.  Ma questo non intacca il suo metro di giudizio o la sua visione d'insieme. Purtroppo non ne sa abbastanza dei sentimenti umani per poter dare ad Halle la risposta che vuole.
Scrolla le spalle, così, appoggiando una guancia su di un ginocchio e rivolgendo alla donna uno sguardo che lei interpreta quasi come malinconico. Ma forse è solo il suo pensiero che falsa ciò che ha davanti realmente.
«Forse sì, forse no. Quello che sto dicendo è che Matt è sempre stato ciò che gli ha impedito di perdersi completamente. Mello vive da tempo sull'orlo del baratro del suo personale Inferno. Ed ora che è convinto non ci sia più nessuno a trattenerlo, ho paura che possa decidere di fare quel passo nel vuoto.»


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Capitolo 7
*** V° Capitolo ***


Allora seppi che avrei dedicato ogni minuto che ci restava da passare insieme a renderla felice, a riparare al male che le avevo fatto e a restituirle ciò che non avevo mai saputo darle.
[Il gioco dell'angelo - C.R.Z]




L'uomo uccide sempre ciò che più ama
{Ma anche il purgatorio può ambire al paradiso}




Se Halle Lidner provasse a sbirciare adesso dalla porta della stanza che piantona da quella che le sembra più di un’ora – del resto quando si ci annoia il tempo scorre in modo davvero bislacco – probabilmente si chiederebbe per l’ennesima volta cosa passi per la testa piena di riccioli candidi del ragazzino che è il suo capo.
L’ambiente completamente immerso nel buio impedisce, in ogni caso, di riuscire a scorgere nulla più che gli indistinti profili dei macchinari e della scarsa mobilia quando non le figure di chi al suo interno si trova.
I beep lenti e regolari sono l’unico suono costante da così tanto tempo, lì dentro, che all’improvviso sentire il fruscio delle lenzuola sembra quasi una nota stonata alle orecchie di Near; gli occhi grandi e scuri rimangono fissi su ciò che riesce a scorgere, ormai abituato all’assenza di luce, oltre le coperte immacolate che ricadono troppo lunghe al lato sinistro del letto creando disarmonia nel complesso dell’immagine.
Rimane in silenzio anche quando vede una mano pallida emergere dal buio, sollevarsi a mezz’aria  e rimanere lì esitante, le lunghe dita a tremare leggermente e ripiegarsi in brevi scatti muovendosi sgraziate e senza un’apparente meta fino a che non incontrano la plastica grigio-azzurra della mascherina per l’ossigeno resa opaca dal respiro che, finalmente, torna ad essere naturale.
Il verso che segue dopo è un rantolo rauco, sembra più quello di un animale che di un uomo e Nate, rannicchiato sulla sedia al lato opposto della stanza, quasi sorride nel percepirci un insulto. Forse se l’è solo immaginato, ma sarebbe decisamente da lui tornare alla vita con un ‘’cazzo’’ fra le labbra.
Passano lenti i secondi, le dita bianchissime stringono quel pezzo di plastica debolmente eppure con disperazione; non accenna ad allontanarlo da sé, ne ad abbassarlo fra le coperte. Il lungo tubo trasparente a cui è unito è l’unico collegamento con il macchinario che l’ha tenuto in vita fino ad ora, un cordone ombelicale di plastica e acciaio che è arrivato il momento di tagliare.
La gabbia toracica si espande appena, sotto la camicia ospedaliera azzurrina, e poi torna
a restringersi ed il petto abbassarsi. Ma questo basta a concedere un sospiro di sollievo al ragazzo dai capelli albini, che si rende conto solo in quel momento di aver trattenuto il suo di respiro in attesa di vedere con i suoi occhi se il miracolo sia avvenuto o meno.
Miracolo, che termine inesatto poi. Ma l’altro lo definirebbe senza dubbio in quel modo e quindi non può che farlo a sua volta, anche se solo nella sua testa.
«Non ne hai più bisogno. E’ un buon segno» commenta, a voce bassa, spezzando l’innaturale silenzio che è familiare abitudine nei loro incontri.
I giorni subito dopo il suo risveglio ha parlato tanto, più di quanto sia mai stato abituato a fare, per entrambi. Ma il suo interlocutore non ha mai detto una singola parola, malgrado fosse visibilmente sveglio e vigile.
Passando i giorni ha iniziato a parlare sempre meno e rimanere sempre più in silenzio, limitandosi alla compagnia data dalla propria presenza.
L’ex numero uno della Wammy’s House sa perfettamente che non è certo questo di cui il suo ospite ha bisogno o desidera, non è certo sciocco al punto da credere che sia la sua presenza ad essere voluta lì dentro.
Del resto l’unica volta in cui ha sentito la voce del redivivo hacker, nelle due settimane precedenti, è stata quando ha udito un sussurro affaticato molto simile ad un ‘’dov’è?’’ che si è infranto contro la plastica della mascherina ed è stato quasi inghiottito dal rumore dei macchinari.
Ha subito compreso cosa intendesse, ma è rimasto ugualmente in silenzio per tutta la mezz’ora successiva. E quando alla fine si è alzato per andarsene, fermo sulla porta e consapevole che il ragazzo sul letto non stesse affatto dormendo malgrado così ad un occhio poco attento potesse sembrare, ha semplicemente mormorato un laconico ‘’è vivo’’ abbandonando poi la stanza e lasciando il suo abitante a rimuginare su quelle parole prive di qualsiasi sfumatura a cui aggrapparsi.
Del resto, nei giorni che sono seguiti, il numero tre non ha più fatto alcuna domanda ed è tornato al suo mutismo e la sua lotta contro il respiratore artificiale – contro il suo stesso corpo.
Ed oggi, finalmente, ha vinto.


Near socchiude gli occhi, infastidito dall’improvvisa luce che filtra tra le tapparelle e che lo ferisce al pari di una lama arroventata; li sente bruciare e lacrimare, ma non combatte la reazione naturale e si limita a calare le palpebre e strofinarvi contro il dorso di una mano, portando via le lacrime intrappolate fra le ciglia e che non hanno avuto il tempo di rotolare lungo le guance.
Fuori dalla finestra il leggero vento porta via qualche petalo rosa dall’imponente Sakura che è diventato nido per le rondini. Quando finalmente riesce a riaprire gli occhi senza vedere più chiazze colorate fa in tempo a cogliere il volteggiare di uno degli uccelli neri attorno ad un ramo, guardandolo poi schizzare aggraziato su nel cielo azzurro punteggiato di nuvole bianche. Attende solo qualche istante ancora, prima di voltarsi e dare le spalle alla finestra che si è deciso a spalancare. C’è bisogno di cambiare aria, lì dentro.
Non si stupisce nell’accorgersi che nessuno dei suoi movimenti ha prodotto alcuna reazione nel ragazzo seduto nel letto, che rimane ancora abbandonato ai cuscini bianchi poggiati contro lo schienale con le mani riverse in grembo, sopra le coperte leggere che coprono le lunghe gambe.
La brezza che spira da fuori, e gonfia le tende ai lati della figura minuta del nuovo Elle, gli accarezza gentilmente il viso e le braccia nude fino al gomito increspando leggermente quella pelle troppo pallida e scompigliando affettuosamente i capelli di un rosso cupo, spento, che ricadono ormai sulle spalle e incorniciano un viso emanciato. Non ha mai avuto chissà quale peso importante, se si toglie il periodo dell’infanzia che lo ha visto come un bambino ciccione con un assurdo taglio a scodella, ma adesso è ancora più magro. La malattia ne ha modellato i tratti, rendendoli affilati e gli zigomi sporgenti, ma non ha cancellato la bellezza. C’è ancora, come un’ombra sul viso, ma è delicata e in un certo qual modo commovente.
Tiene gli occhi chiusi, le ciglia scure fremono appena e così la pelle sottilissima delle palpebre, sono cerchiati da un’ombra scura che piano piano scomparirà. O così Nate si augura.
Non c’è alcun segno sulla sua pelle, niente cicatrici evidenti a deturparla – quelle sono nascoste sotto la camicia, si trovano sul petto e sulle spalle, sono piccole e circolari e non andranno mai via.
Ispira fragilità ed è sempre stata una nota stonata quando si parla di lui.
Il più piccolo di quello che non è mai stato, veramente, un trio attende.
Attende qualsiasi cosa, non sa nemmeno lui cosa aspettarsi, ma sa di doverlo fare. Lo sente, in qualche modo.
E quando finalmente il ragazzo sul letto apre gli occhi, fissando dritto davanti a sé, con il vento a scompigliargli i capelli e la luce a bagnare la sua figura rendendolo tutto un gioco di chiaro scuri, si permette un sorriso.
«Com’è… la giornata, oggi? »
Poco importa che sia piccolo e triste. E che senta il bisogno di distogliere lo sguardo da lui, voltandosi di nuovo a guardare fuori dalla finestra, socchiudendo gli occhi. Anche se questa volta non può dare la colpa alla luce, per il bruciore che avverte.
«Oggi è uscito finalmente il sole, Mail»



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Angolino di Red: so di essere un mostro per ben più di un motivo. Ma non nascondo che, per quanto le idee ci fossero, sia stata la voglia a mancare. Semplicemente non riuscivo a buttare giù il capitolo, perché sentivo che non sarebbe venuto come avrei desiderato.
E questo è un capitolo delicato e corto (ma così doveva essere), oltre che quello che suppongo molti di voi si aspettavano. Oltre al fatto che sia Near che Matt potrebbero risultare un po’ OOC, e me ne scuso in anticipo ma... mi sa che sarebbe stato impossibile altrimenti dato il contesto.
Probabilmente non lo avreste immaginato così, vero?
Lo so, lo so. E mi dispiace, vi assicuro, perché Matt è uno dei miei personaggi preferiti in generale non solo per quanto riguarda il fandom.
Che fine ha fatto Mello in tutto questo? Mandiamolo a Chi lo Ha Visto (?). No, ok, no.
Lo scopriremo, ve l’assicuro.
Intanto piangete con me per il povero Matt, il cui primo pensiero da appena sveglio va subito a lui. Avevo bisogno di MattMello per i miei feels, comprendetemi.
So, ho deciso di dedicarmi a questa storia. Nessun progetto a lungo termine fino a che non l’avrò terminata. Al limite OS occasionali (le drabble, ahimé, non fanno per me e nelle flash finisco sempre per sforare). Ecchevifregaavoi? Avete ragione.
Quindi la chiudo qui, ringrazio chi ha letto e chi vorrà continuare a seguirmi anche dopo aver perso la speranza. Se volete farmi domande, correzioni, insultarmi (?), o anche solo darmi il vostro parere sarò ben contenta di leggere.
Ci si ribecca alle note finali del prossimo capitolo.

See ya!

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