Never will I surrender?

di Beatrix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hangar d'attracco D24 ***
Capitolo 2: *** Non sei sola ***
Capitolo 3: *** Qualcun altro avrebbe potuto sbagliare ***
Capitolo 4: *** Difficile da spiegare ***
Capitolo 5: *** Punto cardinale ***
Capitolo 6: *** A modo mio ***
Capitolo 7: *** Quando ***
Capitolo 8: *** Tiaré ***
Capitolo 9: *** Take the Earth Back! (Inferno) ***
Capitolo 10: *** Never Will I Surrender? ***



Capitolo 1
*** Hangar d'attracco D24 ***


Capitolo 1 – Hangar d’attracco D24.



Osservava le navi passare, con i gomiti appoggiati al davanzale: il suo riflesso appariva flebile nella spessa vetrata rinforzata, mentre il suo respiro l’appannava sensibilmente.

Le mani gelide, le dita intrecciate tra loro, lo sguardo che fin troppo presto aveva perso il bersaglio ed ora era fisso su un’inferiata in lontananza, spento. Quasi vacuo. Le nocche sbiancavano ad intervalli più o meno regolari, le unghie incidevano quasi la carne, mentre sia la sua psiche che il suo cuore erano davvero ad un passo dal cedere.

Steve era appena giunto in corsa sfrenata, al corridoio che portava al molo d’attracco della Normandy. Si era catapultato fuori dall’ascensore, quasi prendendo a spallate le porte: non gli era piaciuto quello sguardo, anche se capiva benissimo lo stato d’animo. Ma quello sguardo non doveva appartenerle.

Non al Comandante Shepard, non in quel preciso frangente. Non quando hai una galassia da salvare e stai camminando bendata su di una fune, sospesa su un ipotetico Gran Canyon. Aveva scosso la testa, poco dopo che lei si era diretta verso l’ascensore che collegava l’Huerta Memorial Hospital al resto della Cittadella.

Aveva scosso la testa, spaventato. Preoccupato.

Shepard aveva abbandonato il gruppo, riunitosi poco prima nello stretto corridoio che portava alla degenza. Giustamente, era entrata solo lei in quella maledetta stanza – quella prossima alla camera ove settimane prima aveva vegliato sul Maggiore Alenko, praticamente devastato – tra il mutismo dell’equipaggio. Nessuno aveva osato proferir parola, né alla sua entrata, né alla sua uscita.

Non c’erano cose da dire. Qualsiasi cosa sarebbe risultata inutile e fuori luogo. Era una di quelle situazioni in cui potevi stare fermo a pensare senza riuscire a spiccicar parola, oppure la tua mente avrebbe viaggiato a velocità così elevata che avresti potuto vomitar fuori una miriade di concetti, ma non adatti.

Nella prima situazione stazionavano rispettivamente Garrus e Liara. Quest’ultima aveva la mano premuta sulla bocca, la schiena parzialmente rivolta all’entrata della camera, la mano sinistra stretta in quella rispettiva del Turian. Gli occhi chiusi, bagnati da una lacrima che non era riuscita a trattenere.

Nella seconda situazione stazionava James.

Un veloce sguardo spento, privo di emozioni – distrutta nel corpo e nello spirito – si era diretta verso l’uscita, le labbra serrate in un mutismo assoluto, disorientata – quasi il suo corpo si muovesse per inerzia. Un Geth sarebbe stato più espressivo e fu questo pensiero a mettere in moto le gambe di Cortez, veloci, passo dopo passo.

James gli aveva urlato qualcosa, che lui non ascoltò, limitandosi a liquidare il tutto con un braccio teso verso di loro e uno sguardo duro.


Era convinto che si fosse diretta alla Normandy, nel suo appartamento, ma un fugace sguardo l’aveva scoperta in quel particolare posto, sulla destra della struttura. Nel vederla laggiù, gli si strinse il cuore e le sue gambe tremarono per quell’istante esatto da farlo appoggiare al pilastro immediatamente accanto al suo passaggio.

Riprese un’andatura stabile e misurò il passo: era silenzioso come un gatto, quando voleva.

-Shepard… - aveva sussurrato, lasciando quasi morir l’ultima parte del suo cognome, in una nota dolce.

Il Comandante non gli aveva rivolto lo sguardo: continuava ad osservare un punto fisso non meglio definito al di là della vetrata, distaccata dal mondo esterno. Non aveva tradito nessun sussulto quando la sua voce le era giunta all’orecchio.

Cortez la osservò come se fosse un fantasma, le spalle che si abbassarono maggiormente, assumendo una posizione ancor più di resa. Era una situazione difficile, terrificante.
Ma era una situazione che lui stesso aveva sopportato duramente, aveva provato sulla sua pelle e che stava metabolizzando pian piano – sebbene una cosa del genere la si impara a gestire nell’arco di anni e anni – solo grazie a lei.

Maxime era riuscita a farlo aprire, era riuscita a far sbocciare tutto il suo sconforto. Non che fosse difficile farlo, Cortez era sì una persona riservata ma sapeva molto bene che in quel determinato frangente aveva un estremo bisogno di aiuto. James – persona più vicina all’essere il suo migliore amico – aveva tentato con i piedi di piombo, mille volte, a farlo sfogare, ma mai nessuno aveva saputo toccare il suo cuore come il suo Comandante.

Perché con una semplicità disarmante, l’aveva preso, più e più volte, inaspettatamente. Passo dopo passo, con una giusta faccia tosta – ma che mai cadeva nell’inopportuno – era riuscita a farlo parlare e sfogare. Si era trovato a pensare molte volte al come realmente ci fosse riuscita, ma con Shepard era così: non potevi dirle di no, non potevi negarle qualcosa. A pelle si erano trovati subito, complice anche una leggera adulazione reciproca.

E Shepard adorava i suoi piloti. Steve sapeva che il primo posto nel suo cuore era occupato da Joker – anche perché quell’uomo era un mostro ai comandi – ma aveva avuto modo di notare con quale sguardo lasciava ogni volta la Kodiak: uno sguardo di apprensione. E quello brillante di orgoglio, quando lui riusciva a fare cose assurde con quella scatola di sardine che si trovava sotto ai loro sederi.


Non vedendola voltare, si avvicinò di qualche passo, fino a raggiungerla. Era pronto a maledirsi fino in fondo per il gesto che stava per fare, era pronto anche a prendersi uno strattone e qualche insulto. Allungò la mano, appoggiandola leggermente sulla sua spalla destra, stringendo poi piano, ma con franchezza.
Al tocco Maxime si raddrizzò con lentezza, lasciando che la sua mano scivolasse un po’ più indietro, prima che la raggiungesse, intrecciando le dita con le sue.

Sussultò, sorpreso, ma stette in silenzio, ricambiando quella stretta. La sentì tremare per un istante. Una visione fugace attraversò la sua mente, la visione di un palloncino ad elio in balia di un uragano forza cinque.

- Non funziona, Esteban - esordì lei a bassa voce, gli occhi sempre fissi in un punto a caso nel panorama della Cittadella. Rimase un attimo interdetto, al sentire quelle parole.
-Non funziona cosa? - replicò qualche secondo dopo, mal celando un istante di smarrimento.

Shepard si girò a guardarlo, rivelando uno sguardo lucido e disperato. Stringeva la mascella con forza.
- Quello - e indicò le navi che sfrecciavano innanzi a loro - Quest’andirivieni mi rende isterica. Non funziona con me - aggiunse voltandosi e lasciando la presa. Un singhiozzo la scosse come un terremoto scuote un palazzo di dieci piani.

- Shepard, non- ribatté al volo, colmando la distanza, ma lei lo spinse via, portandosi le mani al viso per poi farle scivolare verso i suoi capelli corvini. Un sospiro che assomigliava ad un rantolo, le dita che andarono a stringere le corte ciocche del ciuffo nero, quasi a volerle strappare.

- Non doveva morire così - ringhiò tra i denti, tirando con decisione perché il dolore fisico superasse quello che da dentro la stava dilaniando.
- NON DOVEVA MORIRE COSI’! - urlò con tutto il fiato che aveva in corpo, con le lacrime che eruppero dagli occhi serrati e gli incisivi che penetravano nel labbro per la disperazione, fino a che due mani la presero con forza e la tirarono a sé, strattonandola per evitare che si autoinfliggesse dolore gratuito e privo di senso.

Due occhi color dell’oceano la stavano guardando con dolore e con una vena di rimprovero. Poteva supporre che Shepard fosse sempre stata destata in qualche modo quando si ritrovava in crisi, ma non poteva pretendere di fare determinate cose che non erano per nulla nel suo carattere. E anche perché quella figura disperata innanzi a lui era il suo Comandante.
Una strigliata in quel frangente avrebbe solo contribuito a farla cadere – e Steve capiva seriamente che Maxime si trovava ad un passo dal baratro. Di questo lui ne era fermamente convinto, ed era ciò che lo terrorizzava maggiormente.

Non si può essere forte per sempre. Anche le rocce prima o poi si crepano e una crepa, ora, era oltremodo evidente. Oltre al piccolo dettaglio che l’intera galassia contava su di lei e che solo parte dell’equipaggio della Normandy aveva afferrato il concetto che era fatta di carne ed ossa come tutti – checché ne dicessero gli impianti che Cerberus le aveva installato quando si era preoccupato di riportarla in vita e rilanciarla in quell’inferno che la Via Lattea era diventata, senza chiedere il suo parere.

Prima l’artigliere Williams, poi Mordin, ed ora Thane.
Thane.
E la sua, di morte. Ancora si domandava come fosse possibile che Shepard non fosse ancora impazzita, imbracciando un fucile e iniziando a sparare a caso, seminando terrore e morte sulla Normandy.


- Lo so… - le disse, abbassandole con forza le braccia, stendendole lungo i fianchi.
- Lo so -ribadì, avvolgendola in un abbraccio sincero, spingendole con forza la fronte contro la sua clavicola. Chiuse gli occhi, amareggiato e arrabbiato, mente per quell’istante Shepard cercò di articolare qualcosa, qualcosa che fu poi coperto dai singhiozzi, mentre sentiva le sue lacrime scivolare sul suo collo e le mani del Comandante andavano a stringere convulsamente il tessuto della sua divisa.

- Andiamo - sentenziò, trascinandola via e sorreggendola, mentre lei si imprimeva una mano sul viso per vergogna e il dolore, incapace di fermare le lacrime e i fremiti.

- James, raggiungimi sulla Normandy - concluse, abbassando la mano dall’auricolare, prima che le porte dell’ascensore si chiudessero.





Meanwhile, in Beatrix's Headquarter...
Buonasera, signore belle! (e signori, qualora ve ne fossero, ma non ho dati disponibili a riguardo!)
Eccomi qui, alla stregua di un porcino appena spuntato dopo la pioggia primaverile - in ritardo sulla tabella di marcia, per carità - con il mio ingresso nella sezione. Ebbene sì, prima fanfiction su Mass Effect e prima fanfiction dopo una lunga, interminabile, pausa durata qualche annetto. :) Ho trovato il tempo necessario di finire questa storia, ma soprattutto ho trovato il coraggio di pubblicarla. Grazie anche a qualcuna di voi, che ringrazio sentitamente per l'incoraggiamento - e anche velate minacce fisiche, aggiungo. xD
Questa sarà una fanfiction terribilmente... Depressa. Quindi preparate il coltellaccio da macellaio per tagliare l'atmosfera, oltre che una buona dose di xanax, perché non voglio nessuno sulla coscienza. :p Corbellerie a parte, diciamo che è una beta. Beta nel senso che il mio intento era quello di fare il mio ingresso con una trilogia dedicata alla mia coppia preferita, la Shakarian, tuttavia per impegni e mancanza di tempo, ho preferito iniziare da questa: al di là che Thane sia uno dei miei personaggi prediletti (siamo in fissa a livello Expert, visto che ci ho chiamato il gatto con il suo nome xD), ho colto al volo quest'opportunità per mettere nero su bianco la mia reazione a determinati avvenimenti presenti in Mass Effect 3.
In più, vi è il desiderio di vedere protagonisti personaggi di norma lasciati un po' in ombra, come James e Steve, i quali col tempo e le innumerevoli partite a Mass Effect, si sono guadagnati un posto speciale nel mio cuore - oltre che il posto fisso in squadra, per quanto riguarda il primo. :) Adoro leggere di loro, ma sono sempre troppo poche le storie che li vedono come protagonisti...
Vi libero del mio ciarlare alla stregua di una cicala, lasciandovi un paio di informazioni sulla mia Shepard (che è quella dell'avatar, per intenderci):

Maxime Shepard
Ricognitore
Terrestre (Cuba)
Eroe di Guerra
Paragade


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Capitolo 2
*** Non sei sola ***


Capitolo 2 – Non sei sola.
 
 

James era passato velocemente dall’armeria per levarsi di dosso quell’ingombrante corazza e per cambiarsi. Sebbene i loro alloggi fossero da un’altra parte, lui si era creato un piccolo antro personale – con tanto di branda – dietro il deposito accanto al banco da lavoro. Una sorta di tana, come l’appellava l’amico.
 
Quella giornata era stata interminabile: l’attacco di Cerberus alla Cittadella, quella corsa contro il tempo, Kai Leng, la morte di Udina, la morte di Thane. Era successo l’impensabile in poco meno di una decina di ore, inutile dire che si ritrovava a pezzi.
 
Si passò stancamente le mani sul viso, stropicciandosi la faccia come appena alzato. Prese la solita maglietta bianca e si risistemò le medaglie al collo accuratamente, quando la porta dell’armeria si aprì.
 
- Hola… Come sta il Comandante? - si affrettò a raggiungere Steve, mentre il collega sbuffava sommessamente e si fermava in mezzo all’atrio d’ingresso – le mani sui fianchi. Sembrava che un Mako gli fosse appena passato sulla schiena, parcheggiandosi in retromarcia.
 
- Sta come è intuibile che stia. Distrutta… E la capisco bene, purtroppo - commentò affranto il pilota, mentre Vega si grattava la nuca con fare pensieroso. Era indeciso sul da farsi, l’equipaggio si era ritirato a leccarsi le ferite e Cortez era giusto innanzi a lui.
 
- Perché sei tornato giù, Esteban? - domandò, non riuscendo a capacitarsi del motivo per il quale lui ora non fosse al primo piano, con lei. Lui era l’unico che potesse capire appieno la situazione e che le potesse essere di conforto, d’aiuto a superare quei momenti tragici.
 
Non era riuscito a reagire alla Cittadella: quello che era uscito da quella stanza dell’ospedale, non era stato il Comandante, piuttosto un fantasma evanescente. Si era sentito perso, si era impressionato ed era rimasto senza parole, annaspando nel cercare lo sguardo degli altri e accorgendosi che tutti quanti erano impegnati a formulare i suoi stessi pensieri, chi più chi meno.
Insomma, ne era uscito abbastanza scosso. Lui aveva un’immagine ben definita di Shepard, che rispettava determinati canoni dimostrati ogni giorno nei suoi gesti, modi e anche nei rapporti che aveva con tutto l’equipaggio. Si era trovato quindi annichilito, alla stregua di un cane bastonato.
 
Ma ora, a mente fredda, si era maledetto per quell’incertezza mostrata. Avrebbe voluto fare qualcosa ed ora si sentiva tremendamente in colpa per non averlo fatto: non si poteva parlare di certo di negarle la giusta riconoscenza, visto che chiunque non poteva non ammettere che quando avevano bisogno lei c’era sempre, in un modo o nell’altro. Tuttavia James, per come era fatto e per il rispetto che nutriva per quella donna, si sentiva in dovere di fare qualcosa. Anche se sinceramente non sapeva cosa.
 
Il pilota l’aveva chiamato, conscio che lui riuscisse a sdrammatizzare qualsiasi situazione, ma quando se lo era ritrovato davanti con quello sguardo di pena e le spalle strette, quando avevano capito che non c’era veramente niente da sdrammatizzare, aveva ragionato che doveva pensarci lui. E James non aveva dissentito, anzi.
 
 
Steve aveva riso sommessamente, scuotendo un poco la testa. Vega era senza speranza, lui si affidava alla sua capacità di prendere le persone per sfinimento: per lui le cose andavano risolte subito, poco importava se quel preciso attimo era terribilmente sbagliato. Cosa sulla quale Shepard stessa concordava, generalmente parlando.
 
- E’ il nostro Comandante, James. Se mi fa intendere che mi devo levare dai piedi, io mi levo. Diamine, analizza la situazione… Ha appena perso l’uomo che amava, cosa credi che possa dire o fare?! - esclamò convinto, allargando le braccia per sottolineare la cosa. L’aveva affrontata al molo d’attracco, era andata bene. Bene nel senso che era riuscito nel suo intento di caricarsela emotivamente in spalla, evitando accuratamente l’eventualità di lei che lo mandasse a quel paese: non si poteva mai sapere in una situazione limite come quella.
 
- Per me può anche sbattermi a calci in culo fuori dal suo appartamento. Quella poi si mette a pensare e non deve farlo ora. O per lo meno non da sola. Mi hai chiamato per questo, o no? – cercò di spiegare con il suo fremere, gesticolando più del solito, mentre l’amico poggiava arreso una mano sulla fronte, realizzando che in ogni caso non l‘avrebbe ascoltato. E difatti non ebbe il tempo neanche di aprire gli occhi, che sentì la porta metallica dell’armeria scorrere.
 
Prima di allacciare quella sorta di amicizia con Shepard, Steve sapeva che solamente due erano le persone con cui il Comandante aveva stretto un rapporto che non si limitasse a quello tra commilitoni di una stessa squadra. E questi due individui erano Garrus e Joker, per motivi probabilmente che andavano ricercati in tempi ancora acerbi rispetto alla situazione odierna – tralasciando ovviamente Thane.
Ora, con gli attrezzi in mano e lo sguardo perso nel vuoto, una domanda lo tormentava e gli creava un nodo allo stomaco: aveva fatto bene?
 
Sbuffò sommessamente, mollando gli attrezzi in un angolo e massaggiandosi il collo. Era troppo distratto per lavorare e lui non lavorava così.
Ho bisogno di qualcosa di forte…
 
 

Si era gettata nella doccia, non appena Estaban era riuscito a restituirle un controllo degno del suo grado e del suo nome. Quando capì di essere in grado di mettere un passo dietro l’altro, l’aveva pregato di andarsene: solo ora aveva realizzato quanto problematico doveva essere stato quel gesto, ma ringraziava con tutta sé stessa il fatto che fosse arrivato lui in suo soccorso. Di certo, comunque, era crollata ed ora era torturata non da uno, ma ben due pensieri: se il primo era lampante, il secondo era il sentirsi in colpa verso l’amico.
 
Non per averlo esortato di andarsene – lui aveva capito e accettato la situazione – ma per essersi permessa di cedere innanzi a lui, in quel modo. Non che fosse una persona estremamente orgogliosa, tanto da ostentare a tutti i costi quella maschera di freddezza imposta dal suo ruolo, ma non aveva mai ceduto di fronte a qualcuno, mai… Aveva visto il suo sguardo preoccupato, spaurito.
Questo l’aveva fatta tornare in sé. Perché lei sapeva di essere la figura che ancora, smacco dopo smacco, teneva unita la Normandy: e missione dopo missione, la proporzionalità tra vittoria e sconfitta stava pendendo inesorabilmente verso la seconda opzione. Se cedeva lei, cosa sarebbe rimasto degli altri? Cosa avrebbero dovuto pensare?
Se il Comandante Shepard cedeva, spariva con lei anche l’ultimo baluardo di speranza.
 
Strinse gli occhi sotto il getto di acqua calda, sbattendo violentemente il pugno destro contro la parete del bagno, più volte. Si sentiva tremendamente indifesa ora, perché non poteva avere neanche il tempo di piangere il suo uomo, di prendersi una normalissima pausa di riflessione per mettere assieme tutti i cocci, come era sensato fare dopo un fatto del genere.
Ma Shepard il tempo non ce l’aveva. Joker aveva ripreso i comandi della nave e stavano viaggiando verso il portale galattico: sarebbe passato pochissimo tempo prima che Hackett – o chi per esso – li contattasse per nuovi ordini, per nuovi incarichi e missioni.
 
I Razziatori stavano stringendosi a tenaglia attorno a qualsiasi essere organico fosse ancora in vita, Cerberus ce la stava mettendo davvero tutta per interferire con la missione. Migliaia di morti si contavano ogni giorno, i pianeti stavano scomparendo uno dopo l’altro.
 
Chi si sarebbe preso la briga di fregarsene di come lei si sentisse? Mai come in quel momento malediceva il fatto di essere viva. Non le era mai andato giù il Progetto Lazarus, non aveva mai provato gratitudine nei confronti di Ceberus. C’era qualcosa di tremendamente sbagliato: lei era morta ed era così che sarebbero dovute andare le cose. Tuttavia l’unica cosa che aveva potuto fare, era stata stringere i denti e ritornare a fare ciò che faceva prima.
 
Ma… Perché continuare a combattere una battaglia che pareva persa in partenza? Maxime aveva sempre stretto i pugni cercando di parere ottimista, chiudendo i dubbi in sé stessa perché le persone attorno a lei si convincessero che davvero ce la si poteva fare, ma ora come ora si chiedeva quanto ancora avrebbe dovuto sopportare una simile pressione. Stava cedendo, piano ma inesorabilmente.
La situazione era disastrosa, ancor più che le Asari avevano negato l’aiuto alla comunità galattica.
 
Faticava a mantenersi tutta d’un pezzo, a mantenere l’immagine del “Grande Comandante Shepard”, palle cubiche e avanti a caricare.
No. Le fosse stata concessa una scelta, ora come ora avrebbe mandato al diavolo tutto il resto e avrebbe raggiunto Thane, l’unica persona con cui, senza mezzi termini, si era permessa di far affiorare le sue paure. L’unica persona che si era permessa di amare, ben sapendo che il tutto sarebbe finito, presto. L’unica persona che era riuscita a ferirla nel profondo. Perché sebbene non si fosse scomposta, quando lui le aveva comunicato che entrambi sapevano che sarebbe finita così – là, all’Huerta Memorial Hospital, appena arrivata alla Cittadella dopo aver lasciato Anderson al suo destino sulla Terra – dentro di lei qualcosa si era rotto.
 
Sì, era consapevole che Thane fosse terminale. Erano stati separati a causa del mandato di arresto per la questione Batarian, e Shepard era stata presa, impacchettata e rispedita sulla Terra, senza se e senza ma. Quei sei mesi di prigionia erano passati con la consapevolezza che non si sarebbero più rivisti, probabilmente.
 
Ma quando lui l’aveva ricontattata, lei si era fiondata. Incredula, terribilmente incredula ma felice, quasi come una bambina. Si era ripromessa di stargli accanto fino alla fine in qualche modo, e si sarebbe adoperata in tal senso, per trovare una soluzione che potesse convivere con la situazione odierna generale.
Ciò nonostante lui non gliel’aveva permesso. E in quel momento, quando lo salutò con un “Abbi cura di te”, mentì con tutta sé stessa: avrebbe voluto mollargli un pugno, un pugno che difficilmente avrebbe dimenticato. Perché lei aveva bisogno di lui, di averlo accanto, di stargli vicino, la mano stretta nella sua - anche a costo di farsi male, molto male.
 
Così non fu. E lei, per quanto capisse le motivazioni, il suo moto d’orgoglio, la sua filosofia di vita, non l’aveva mai accettato. Era stata incarcerata ingiustamente, la Terra era stata messa a ferro e fuoco dalle forze dei Razziatori, aveva dovuto lasciarsi tutto alle spalle per tornare alla Cittadella a trattare con dei politici ciechi come talpe e lungimiranti quanto una ciabatta usata.
 
L’illusione di averlo ancora accanto era stata assaporata dal primo secondo di quella chiamata. Quell’attimo di felicità prematura aveva avuto l’effetto di un’altra pesante tegola.
 
 

Si era avvolta in un asciugamano, ravvivandosi i capelli corti con uno più piccolo, per poi gettarlo per terra. Buttò uno sguardo fugace allo specchio: i suoi occhi erano pesti e arrossati, tanto da farla guardare altrove. Si sentiva un bidone della spazzatura. Ringraziò la Chakwas per averla convinta a levarle gli esiti degli interventi di ricomposizione, perché per lo meno la faccia non le sarebbe caduta a pezzi più del dovuto. Odiava con tutte le sue forze quelle cicatrici: non esisteva che una cicatrice in faccia rivelasse il suo carico di stress, il suo umore, il suo stato d’animo. Per quel motivo, più simile ad un moto di conservazione, non aveva battuto ciglio riguardo al prezzo di quell’intervento risolutivo. E di certo Karin – che la trattava quasi fosse sua figlia – non ebbe nulla da ridire.
 
Uscì sistemandosi più volte l’asciugamano attorno al corpo, rapita dai suoi pensieri, tanto che non s’accorse minimamente della presenza di James al di là degli scalini che portavano alla zona letto. Era in piedi, con un datapad in mano e il ciglio destro alzato.
Quando lo sentì schiarirsi la voce, per poco non mollò un’onda biotica che avrebbe raso al suolo tutta la stanza.
 
- Dannazione, James! - urlò, rifiondandosi in bagno, mentre sentiva il soldato ridere pian piano - Ma che diavolo, non è un porto di mare il mio appartamento! -
- Hai solo da chiuderlo a chiave, Lola! - aggiunse, ridacchiando sincero, mentre Shepard sospirava e si chiedeva perché Vega crescesse come il prezzemolo in ogni angolo della Normandy. Immaginava il perché della sua presenza, immaginava anche che Esteban non avesse fatto cuneo per impedirgli di salire – anzi, probabilmente per lui era un sollievo sapere che fosse di sopra a far danni.
 
- Potresti passare in un altro momento?
- No.
Shepard sbuffò infastidita. Era una situazione veramente odiosa e lei non aveva voglia di ridere in quel momento.
- Tenente, non sto scherzando… - lo ammonì.
- Neanche io, Lola - replicò a volo, questa volta con un tono un po’ più serio. Era solito prenderla scherzosamente alla leggera, ma era consapevole del fatto che avrebbe preso realmente in considerazione di andare contro gli ordini del suo Comandante. E lo sapeva anche lei.
 
- Passami la divisa, allora… - cedette.
- Quale?
- La solita… Primo scomparto dell’armadio… -
Vega si mosse verso l’anta semiaperta, ricavandone l’attaccapanni su cui la divisa classica dell’alleanza  - lo stesso tipo che usava vestire Cortez – su cui era appesa. Si fermò osservandosi allo specchio, esibendo poi un sorriso malizioso, che poi si tramutò in una risata a bassa voce, mentre scandagliava ogni minimo dettaglio del primo cassetto dell’armadio.
 
- Ti venisse un po’ di bene, James! – berciò lei, lottando per non uscire dal bagno, un’espressione che dire imbarazzata ed infuriata risultava quasi un eufemismo. E scoppiò definitivamente a ridere quando vide il flacone del bagnoschiuma arrivargli dritto in fronte, sollevato nel vedere un mezzo sorriso dipingersi sul volto del Comandante, mentre afferrava la divisa col braccio disteso tanto da farsi male.
 
 
- Ti stai prendendo un po’ troppe libertà, Tenente… - esordì, una volta uscita nuovamente dal bagno. Si appoggiò allo stipite del divisorio, la parte delimitante della teca che conteneva quei deliziosi modellini delle più celebri astronavi, che tanto le piacevano.
Le sue braccia erano conserte, i suoi capelli gocciolavano leggermente lungo le sue tempie.
 
James, dal canto suo, l’osservò con il volto inclinato leggermente da una parte.
- Non prenderla sul personale, Lola, lo sai che sono un buffone… - la guardò complice, ma era evidente quel velo di tristezza sul suo viso e i suoi lineamenti.
- Volevo solo assicurarmi che stessi bene - il suo sguardo si sgranò per un attimo, mentre si passava nervosamente una mano tra i capelli, capendo solo ora quanto fosse inopportuna la sua presenza lì in quel momento per via di quello sguardo gonfio e arrossato.
 
E di fatti Shepard chiuse gli occhi mestamente, abbassando per un istante la testa in cenno di profondo assenso, per poi tornare a guardarlo negli occhi.
 
- Scusami, ti ho fatto un’esternazione cretina - confessò a bassa voce, mentre si alzava imbarazzato e si muoveva verso di lei, stringendosi nelle spalle - E’ che non sopportavo di stare con le mani in mano… -
- Non ti scusare, James - lo interruppe Maxime, sospirando e avvicinandosi , sciogliendo quella mise rigida, chiusa tra le proprie braccia.
- Capisco e ti ringrazio - aggiunse, mollandogli una leggera pacca sulla spalla - Ma ho bisogno di stare un po’ da sola… Di avere un po’ di tempo per me, prima della prossima missione - sottolineò, quasi come si ritrovasse a chiedere un piacere, una pausa, prima di rimettersi al lavoro.
 
Il terminale alle sue spalle trillò in quel preciso istante, evidenziando il fatto che ci fossero messaggi non letti ed in attesa di essere visionati.
Shepard si girò lentamente, buttando un occhio al computer, scuotendo la testa.
- Ecco… A tal proposito - commentò, dirigendosi su per i due scalini e premendo l’accesso sulla sua tastiera personale.
 
Le andò dietro, fermandosi al principio della scrivania e aspettare che lei visionasse il monitor.
- Bueno Lola, ci vediamo di sotto… Ehi…
Sollevò il ciglio destro, non udendo risposta.
- Shepard?
Osservò il suo Comandante bloccarsi innanzi allo schermo, le braccia che scivolarono sui fianchi e il volto che sbiancò di colpo, come se tutto il suo sangue fosse defluito di colpo verso il basso.
Lesse quel messaggio, in silenzio, gli occhi che seguivano le righe, colmi di incredulità, per poi sbarrarsi man mano che la fine dello scritto digitale si avvicinava.
 
- Che succede?! - chiese allarmato, mentre la vedeva passarsi le mani sul viso e accasciarsi a terra, spalle al muro, strisciando sommessamente verso al basso. Ed ecco nuovamente che restava senza parole, annichilito da quello sguardo vuoto, quasi spento, che mai aveva visto sul volto del suo Comandante.
- Lola…- si accovacciò prendendole la mano, cacciando uno sguardo confuso verso il monitor, per poi focalizzarlo in maniera migliore sul mittente.
 
Thane. Quel messaggio era di Thane.
Confuso, lesse le prime righe. Righe che non erano altro che l’incipit di un addio, lungo e sofferto. Era il suo addio, a lei, parole che probabilmente non era riuscito a dirle.
Distolse lo sguardo per rispetto.
 
- Shepard, dì qualcosa, ti prego…
- COSA DIAMINE DEVO DIRE, JAMES! - l’aveva preso per il collo della t-shirt, scosso, con gli occhi colmi di disperazione e di dolore, tirandolo a sé, per poi spingerlo lontano – tanto che il Tenente perse quasi l’equilibrio all’indietro, un cipiglio incredulo e vagamente atterrito, in completo panico.
- Cosa diamine devo dire… - ribadì, arricciando le gambe e appoggiando la fronte sulle ginocchia e la voce che le moriva in gola. La sua mano venne stretta nuovamente da quella del suo sottoposto, mente lui si inginocchiava a terra, a testa bassa – un sospiro lungo e addolorato.
 
- Noi esistiamo anche per questo.
Gli occhi chiari e arrossati di Maxime, incontrarono quelli tristi di James.
- Non privarci di questa cosa, Shepard… Tu ci hai dato ciò che nessuno poteva darci: la speranza. Lasciaci ricambiare anche solo per un momento ciò che tu ogni giorno fai per noi, te ne prego…  Dacci solo questa piccola possibilità - aggiunse, mentre lei nascondeva il viso nuovamente tra le ginocchia e stringeva forte la sua mano, in un gesto di assenso, sconfitta da tutto e tutti.
 
Stettero così, mano nella mano, schiena al muro, stretti in un abbraccio invisibile che forse era troppo osare chiedere in quel momento.





Meanwhile, in Beatrix's Headquarter...
Ed eccoci qui con il secondo capitolo, che sancisce l'entrata in scena di James. Man mano che scrivevo questa storia, mi sono accorta di provare molta difficoltà nel trattare questo personaggio. Trovo che sia stato molto poco approfondito, rispetto alla stragrande maggioranza degli altri e se ciò da una parte mi da molto campo libero ed inventiva, dall'altra mi spaventa un po'. Perché credo che ognuna di noi abbia idealizzato James alla sua maniera, non avendo gli stessi dati forniti sulla personalità di Garrus, o Thane, oppure anche Wrex, tanto per non citare un personaggio da romance.
Insomma, spero di non aver scazzato, ecco. Giusto per essere sincera in maniera disarmante. xD
Detto questo, approfitto per ringraziare ancora una volta Johnee e Shadow per aver recensito il primo capitolo e per l'entusiasmo che hanno mostrato, oltre per i complimenti ricevuti e per averla inserita nelle storie preferite e seguite, assieme a NadShep. ;) E tutti quelli che si sono soffermati nel leggerla, grazie. ^^
Al prossimo capitolo! ;)

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Capitolo 3
*** Qualcun altro avrebbe potuto sbagliare ***


Capitolo 3 – Qualcun altro avrebbe potuto sbagliare.

 
 


L’accolse con il braccio destro, quando lei – dopo essersi calmata e aver taciuto i singhiozzi – era crollata addosso alla sua spalla. Si era mosso non appena aveva sentito il suo tocco, accoccolandola al suo petto per un attimo e stringendola debolmente, un sospiro profondo e preoccupato.
 
Osservò i suoi capelli neri e spettinati, prima di passarle la mano sul braccio delicatamente.
 
Si era tenuto sempre informato sul Comandante Shepard, da poco dopo che si era arruolato nella Marina dell’Alleanza fino a quell’incontro: la sua era inizialmente pura curiosità venata da ironia, immaginando quanto timore potesse mettere al nemico quel corpicino che arrivava a metro e settanta, ad essere generosi.
Poi aveva visto realmente di cosa fosse capace. E, diamine, gli si era quasi slogata la mandibola.
 
Lui non aveva poteri biotici. Era un soldato come tanti altri, felice come un bambino nell’avere un arsenale a disposizione e tronfio nel mostrarlo, ma un poco la invidiava.
Erano anche quelli, a estendere quell’alone di misticità ed epicità alle sue battaglie. In particolare, si esaltava come un ultras allo stadio, quando la vedeva partire in carica biotica – quella era la sua special preferita: aveva in tutto e per tutto la minacciosità di un Krogan, e lui rideva sincero nel vedere quella pallina da pinball impazzita vagare sul campo di battaglia, mentre loro erano impegnati a far sì che potesse farlo.
Non l’avrebbe mai ammesso, neanche sotto tortura, ma avrebbe voluto averli ed il motivo era uno in particolare: poter prendere a testate la gente senza farsi male. Quando gliel’aveva confessato, lei si era lasciata andare in una risata liberatoria – in quel degli arresti domiciliari a cui era stata sottoposta.
 
Si erano conosciuti lì. Non era il suo carceriere, ma spesso andava a farle visita. I protocolli erano rigidi a riguardo, ma ogni tanto era riuscito a corrompere i colleghi con i suoi modi.
Verso la fine, aveva praticamente assunto lui il ruolo di guardia, tanto che Shepard molte volte gli aveva chiesto se non avesse niente di meglio da fare.
Lui rideva a quelle domande, per poi rispondere semplicemente che il suo posto era lì, e la sua pena era quella di starlo ad ascoltare.
 
James credeva fermamente in lei. Per lui era un mito – razionalmente parlando – un modello, una figura degna di ammirazione e rispetto.
Ma la cosa più importante è che si fidava di lei in tutto e per tutto.
La voglia di sapere, chiedere di più, ascoltarla, gli traboccava fuori da ogni sua cellula, ma le telecamere erano lì per un motivo e di certo, se avesse calcato la mano, non sarebbe più potuto andare e venire quando voleva.
Allora aveva optato per una sorta di osmosi: attraverso mezzi termini, era riuscito a discutere e farsi un’idea un po’ più completa di quanto fosse successo sia sulla questione Batarian, sia sulla Base dei Collettori, così come Saren, l’indottrinamento. Sull’Araldo. 
Cose che conosceva già in parte, ma voleva sentirle da lei.
E Shepard aveva capito gli intenti di James.
 
- Tieni duro, Comandante – l’aveva salutata il giorno prima del suo incontro con il Consiglio dell’Alleanza. Non aveva potuto stringerle neanche la mano, e in seguito l’aveva pure mandata al diavolo per aver lasciato Anderson sulla Terra.
 
 
La osservò nuovamente dall’alto, appoggiando poi la guancia sulla sua nuca, pensieroso.
Era affranto. In quel momento pensò realmente a quanto fosse difficile la vita del Comandante Shepard, a quanti pensieri e problemi avesse in testa. Non voleva credere che stesse cedendo, non se lo sarebbe mai aspettato da lei, ma in quegli istanti di quiete – mentre lei dormiva – aveva rimuginato a lungo.
 
Shepard era umana. Non era una macchina, aveva anche lei i suoi problemi, i suoi timori e i suoi scazzi.
Hai scoperto l’acqua calda… Probabilmente al posto suo sarei già uscito di testa” pensò, serrando le labbra e ripensando alla sua ultima missione prima di essere reclutato sulla Normandy.
Si accorse di quale abisso vi fosse tra loro due. E verso altri compagni di questa nave.
 
- Tieni duro, Comandante – aveva sussurrando, stringendola debolmente per permetterle di riposare.
 
 
L’avviso di nuova posta in arrivo lo fece sobbalzare e una piccola vertigine lo colse, anche se ben sapeva di non poter andare da nessuna parte, seduto com’era sul pavimento.
 
Ok. Bella cazzata… Ed ora che faccio?” si domandò con un sopracciglio alzato e timore crescente, cominciando a pensare al fatto che fosse tremendamente tardi per tirarsi indietro e sgattaiolare, al solito.
Non era uno bravo a gestire le situazioni limite e lo sapeva bene, bastava pensare a poco prima. Quel trillo aveva avuto l’effetto di riportarlo alla realtà, evidenziando come si fosse in un certo senso lasciato andare rispetto ai suoi canoni di comportamento con lei.
 
C’era una sorta di timore reverenziale di fondo che imponeva la sua presenza, benché molte volte si fosse sentito in dovere di spingersi oltre l’eventuale rapporto tra Superiore e Sottoposto. Un po’ per carattere, un po’ perché nel momento in cui ebbe conosciuto Shepard, capì quanto fossero inesatte le informazioni pubbliche sul suo conto. Perché, benché calma e misurata, estremamente fredda e robotica in alcuni casi, era una persona normale. Un soldato normale, terribilmente affezionato al suo equipaggio – in maniera tale che molti militari avrebbero quasi storto il naso. Diversi individui avrebbero riso a quell’affermazione, ma le apparenze spesso ingannano e lui l’aveva appreso direttamente sul campo.
 
Però, la cosa che da sempre l’aveva preoccupato, erano le conseguenze dirette ad un comportamento del genere. Più che preoccupato, in verità, era la confusione generata dall’essere un individuo piuttosto gioviale e semplice, anteposta al ruolo stesso di soldato obbligato a stare in determinati ranghi.
Sentiva come se avesse sempre il freno a leva tirato, sul baratro di un testacoda. E questo produceva dentro di lui un fastidio che non riusciva a gestire razionalmente.
 
Sul filone di quei pensieri Shepard si mosse.
- Ehi Lola… - sussurrò, con una vaga inquietudine. Lei mormorò un qualcosa di indefinito, prima di riprendere la cognizione dello spazio e del tempo, alzando la testa e ritrovandosi quegli occhi color nocciola che la osservavano con un po’ di mal celata incertezza.
Ma non riuscì a cogliere quella sfumatura, impegnata a far luce a proposito di quanto tempo fosse passato.
 
- Due ore più o meno… Mi ero addormentato anche io… - mentì.
- Così tanto? - domandò sorpresa lei, sfilandosi il braccio di James da dietro le spalle e stropicciandosi gli occhi. Lui giurò di vedere una bambina di poco più di undici anni, destata dal pisolino pomeridiano che non faceva da giorni. Provò un moto di tenerezza irrefrenabile, ma solo per un brevissimo istante, prima di fare i conti col sentirsi la coscienza sporca. Ciò lo fece alzare con energia, mentre Maxime si lamentava di un forte cerchio alla testa e cercava a tentoni il bordo della scrivania per tirarsi su.
 
Non le negò tuttavia una mano, rimettendola in piedi: la fissò in volto interdetto, senza dire una parola e notando che il nero del suo trucco le era colato giù per le guance.
 
- Grazie, James… Che c’è? - sussurrò lei, grattandosi la testa e sistemandosi il ciuffo che pareva fosse esploso sotto una granata, posando poi il suo sguardo interrogativo e assonnato nel suo. La realtà era che Maxime probabilmente stava ancora dormendo in quel momento, dopo quel crollo psicofisico che aveva, ragionevolmente, avuto. Lo si poteva notare dalla sua totale mancanza d’arguzia e attenzione ai dettagli.
 
- No, niente Lola… - aveva risposto con un sorriso nervoso - E’ solo che… Quello - indicò il suo viso, mimando il gesto di qualcosa che scende e cercando un appiglio nel vuoto che giustificasse il suo essere senza parole.
- Che c’è che non va? - domandò un tantino allarmata lei, girandosi per osservarsi nel vetro della teca contenente i modellini.
- Ti si è sciolto il… Sembri Alice Cooper, ecco - la prese in giro, trovando la sua espressione terribilmente divertente. Shepard annuì ridendo e portandosi una mano sul viso. Era un sorriso stanco, sì, ma pur sempre un sorriso.
 
 - Ho bisogno di riposare, ho un mal di testa terribile… Dì a Steve che sto bene - concluse, muovendosi verso il letto e sedendosi sopra le coperte. Sistemò i cuscini uno sull’altro.
- Va bene, Lola… Se hai bisogno-
- Vi chiamerò… Sì, ho capito… - lo interruppe e congedò con gesto di assenso, mentre il Tenente si lasciava alle spalle la porta dell’appartamento. Udì in un secondo momento la voce di Shepard che ordinava ad IDA di vietare l’ingresso a chiunque per le prossime sei ore, e fu in quel momento che si appoggiò con la schiena alla serratura olografica.
 
- Madre de Dios… - mormorò, portandosi alla fronte la mano e stropicciandosi la fronte e le tempie. Scese poi sulla barba, con la voglia di prendersi a schiaffi. Dieci lunghi minuti di riflessione, dominati da una sensazione che ben poco gli piaceva. Oltre ad una stanchezza terrificante, che lo fece sentire molto simile ad uno straccio unto e logoro.
James, sei un cretino…” avrebbe voluto dire a sé stesso, ma quello che risuonò in quel piccolo disimpegno fu la voce di IDA, atta ad informarsi del perché non avesse già preso l’ascensore per raggiungere i suoi alloggi e se potesse fare quindi qualcosa per lui.
 
Sussultò, sollevando il viso d’istinto verso il soffitto della Normandy.
- Diamine IDA, mi hai fatto prendere un infarto! - berciò, con voce bassa tuttavia, affinché Shepard non lo sentisse.
- Non rilevo nessun danno fisico, Tenente Vega. La frequenza cardiaca è più alta della norma, ma il tuo apparato cardiocircolatorio è perfettamente funzionante. C’è qualche problema? - ciarlò l’IA, mentre James si metteva a sogghignare leggermente, scuotendo la testa.
 
- Tutto a posto IDA, lascia perdere - fu la sua risposta, mentre si dirigeva verso l’ascensore.
 
 
 
 
- Quanto vorrei che tu fossi qui... - ammise, mentre i piani della torre del Velo cominciavano a collassare a causa delle prime esplosioni. Parti dei vetri a specchio della struttura Salarian stavano cadendo tutte intorno a lei e al suo interlocutore, ma stranamente precipitavano tutte nel raggio di parecchi metri lontano da loro.
 
- Non necessiti del mio aiuto - le rispose Mordin, strabuzzando gli occhi per un istante.
- Invece sì… Sapresti consigliarmi. Mi hai sempre consigliato, Mordin. E’ inutile semmai negarne l’evidenza… - sottolineò lei.
- Incorretto. Non ho esperienza in questo campo. Io sono uno scienziato, nulla di più, nulla di meno - aveva ribattuto, avvicinandosi a lei e allargando le braccia. Un frammento di architrave d’acciaio provocò un fragore assurdo ad un paio di passi da loro.
 
- Almeno mi distraevi e mi facevi ridire… - gli sorrise con le lacrime agli occhi.
- Possibile. Diversi esemplari della mia specie e non, mi attribuiscono questa qualità.
- Perché proprio io, Mordin? - gli domandò, risollevando lo sguardo nel suo, questa volta teso e smarrito.
Il Salarian controllò automaticamente qualcosa sul suo Factotum, passandolo poi sul piano sagittale della figura di Shepard e dando un’occhiata.
- Qualcun altro avrebbe potuto sbagliare - rispose disarmandola, con quel sorriso rarissimo che aveva mostrato pochissime volte, prima di sparire attraverso le porte dell’edificio. Shepard provò ad impedirglielo, facendo per corrergli dietro, ma una mano le bloccò il braccio.
 
Succedeva sempre, in quei sogni. Ogni volta che Mordin varcava la soglia facendo intendere che era sua responsabilità, che sarebbe andato e mai più ritornato per riparare a tutto quello che i Salarian avevano fatto subire ai Krogan, per rimettere le cose a posto di suo pugno, Shepard aveva cercato invano di impedirglielo.
E nell’istante in cui scattava, tendendogli una mano oppure nell’intento di accompagnarlo e non lasciarlo solo al suo destino – per quanto nobile ed eroico – un qualcosa glielo impediva fisicamente. Non importava se uno scoppio, qualcuno, o la fine dell’incubo.

Non riusciva a sorpassare quelle porte.
 
Si voltò nervosamente, cacciando via quella mano e riprendendosi il braccio, con espressione ferita e risentita, prima di riuscire a vedere l’identità del responsabile.
 
Le si fermò il cuore, mentre tutto attorno a lei diventava nero. Lo sfondo del cielo, il piano frontale, il pavimento: si trovò sospesa nel vuoto in quel nero liquido come i suoi occhi, che la fissavano con immensa malinconia – più del suo solito cipiglio vagamente triste.
 
- Non andare… Non puoi e non devi - aveva aggiunto, mentre l’accoglieva tra le braccia e lei piangeva a dirotto, picchiando il pugno destro contro il suo petto tanto da fargli male. Strinse poi la pelle della sua giacca grigia per dargli uno spintone e discostarsi da lui.
 
- Perché… Dimmi solo il perché! - gli aveva ringhiato, ferita e stanca, dopo aver esaurito le forze per continuare a ripetere quel concetto. La voce dalla sua gola ne era uscita strozzata, mentre Thane si riaggiustava il polsino della giacca e continuava imperturbabile ad osservarla con quell’espressione di poco prima.
 
Rimase in silenzio ancora per un lunghissimo istante.
- Lo sai il perché. E avevamo messo in chiaro tutto ancor prima della missione suicida, ricordi? - rispose calmo e misurato, avvicinandosi a lei. In tutta risposta Shepard gli aveva mollato un sonoro ceffone in pieno viso, la mano avvolta in quell’alone blu che riuscì a dipingere varie sfumature cromatiche su quella parete nera che li avvolgeva.
 
- Stronzate, Thane! - l’aveva ripreso, e così anche la sua rabbia - Come pensi che io abbia vissuto quei giorni sulla Terra? E cosa pensi che abbia provato quando mi hai contattato dall’Huerta Memorial Hospital?! Non prendermi in giro, ti prego… - aggiunse, con la voce che gli moriva man mano e si trasformava in un gemito di frustrazione.
 
- Davvero non comprendi?
Thane si era parato innanzi a lei, questa volta con sguardo duro. Sguardo che durò un instante, prima che sciogliesse quell’espressione, vedendo lei che si disperava tra le lacrime e i singhiozzi. Le sue ginocchia caddero sotto il peso della sua sofferenza, ma lui la resse e la abbracciò nuovamente, stringendola a sé.
 
- Ti credevo morto -mormorò - Mi ero già preparata psicologicamente alla cosa, anche se faceva male. Volevo solo avere l’opportunità di starti accanto ancora per un po’, dopo che mi avevano rubato sei mesi della mia vita. Quei sei mesi della mia vita! - sottolineò, sollevando il volto sfigurato dalle lacrime e sudato, mentre lui appoggiava la fronte alla sua e due grosse lacrime gli rigavano le guance.
 
- Mi manchi, Thane… - singhiozzò tremando come una foglia al vento autunnale – Mi manca tutto di te… Mi manca la tua presenza, la tua voce, i tuoi consigli… Mi mancano i tuoi baci  - gli urlò in faccia tutta la sofferenza che provava, prima che le sue labbra incontrassero quelle dell’unica persona che avesse mai amato, sebbene in così poco tempo. Ma di questo ne era sicura.
 
- Mi sento persa, vuota… Avrei dato la mia stessa vita perché tu morissi con me sul campo di battaglia, e non in quella maniera meschina - riuscì a proseguire, prima che i singhiozzi troppo forti le impedissero di continuare. Avrebbe voluto dirgli di più, assicurargli che quel dannato soldatino di Cerberus avrebbe avuto la morte che si meritava, ma sapeva che lui avrebbe dissentito.
 
Tuttavia quella frase in particolare era vera: se proprio doveva morire sotto ai suoi occhi, doveva farlo in battaglia e non in una camera asettica di un ospedale, tra spasmi di dolore, fremiti, colpi di tosse e fame d’aria.
E per quanto a quel punto Thane fosse sembrato sereno nell’arrendersi, per quanto fosse rimasto ferito mortalmente in una battaglia contro Cerberus e con lei presente, non potè fare a meno di ricordarsi degli ultimi e interminabili minuti nell’orbita di Alchera.
 
Anche lei era morta in modo analogo. E solo il fatto di potersi ricordare e portare alla mente quei dolori lancinanti di quella lenta agonia, la uccideva una seconda volta. Pensare che Thane avesse sofferto almeno quanto lei, era un concetto che non poteva accettare.
 
- Non devi pensare a quello. Mi eri accanto, mio figlio mi era accanto e tanto mi è bastato per andarmene serenamente. Scaccia quei pensieri, ti prego - le aveva sussurrato lui prendendole il viso tra le mani, mentre quegli occhi viola appannati dalle lacrime e arrossati gli straziavano il cuore.
 
- Lo sai che sono al tuo fianco e che ti aspetterò al di là del mare, ma quel giorno non è oggi. Respira, Siha - continuò, accarezzandole il viso e appoggiando nuovamente la sua fronte contro il suo ciuffo corvino.
- Sono stanca… - ammise disperata, rubandogli nuovamente un bacio e cingendogli le spalle, perché non potesse andar via o svanire.
 
Nuovamente la guardò negli occhi.
- Sono con te.
- Non mi basta…
- Deve bastarti - l’ammonì lui, scivolando via dal suo abbraccio e stringendole i polsi, riportando le braccia sui suoi fianchi.
- Ci incontreremo di nuovo, ti ho fatto una promessa. Ma non oggi. Non sei ancora pronta. Ed ora respira, ti prego.
 

 
Si svegliò cacciando un urlo strozzato, mentre la gola le bruciava e i polmoni le esplodevano. Si era resa conto di essere andata in apnea, inconsciamente e la prima boccata d’aria fu come alcool nelle vene. Tossì ripetutamente, rantolando e aggrappandosi alle lenzuola blu scuro.
 
Il suo sguardo smarrito vagò per la stanza, mentre dentro di lei una diga si rompeva e cedeva alla fiumana di emozioni forti e violente. Appena riuscì ad alzarsi in piedi prese lo stesso flacone di bagnoschiuma che aveva lanciato addosso a James poco prima, e lo gettò contro il muro, con tutta la forza possibile.

Si dilaniò le nocche, colpendo ripetutamente la Normandy, figurandosi Kai Leng e quel suo sorriso beffardo. Lacrime di rabbia, a fiotti e una frustrazione immane per averlo fatto fuggire, prima di rovesciare con un gesto risoluto del braccio tutto il contenuto del piano inferiore della scrivania.
 
- Ti ammazzerò, figlio di puttana! - urlò nel cuore della notte con il sudore che le bagnava la fronte – Abbi fede, arriverò da te e ti ucciderò con le mie mani. Rimpiangerai di esserti messo sulla mia strada, bastardo! Fosse l'ultima cosa che faccio! - aggiunse, generando un’onda biotica verso il pavimento che dall’intensità ben riassumeva il suo stato d’animo. Gli oggetti più svariati volarono letteralmente come proiettili verso ogni lato della stanza, mentre un datapad si conficcò nel vetro dell’acquario, formando una grossa crepa.
 
Pochi secondi passarono prima che l’acqua cominciasse a fluire da quella fenditura – con i pesci che mancarono più battiti e che correvano in lungo e in largo terrorizzati. Come una grossa secchiata d’acqua versata sulla fiamma di un falò, Maxime si spense.
 
La rabbia svanì in un solo colpo, mentre ritornava lucida e accorreva verso l’acquario, tamponando con le mani l’acqua e premendo con forza contro la crepa.
- I-IDA?! - urlò spaventata, mentre osservava il livello dell’acqua scendere e il suo appartamento allagarsi man mano.
- Sì, Shepard?
- Vieni a darmi una mano… Ti prego… - mormorò, vergognandosi nel profondo del suo cuore.



Meanwhile, in Beatrix's Headquarter...
Ringrazio con affetto e copioso capovolgimento sul mio stesso asse, Shadow per i complimenti, l'entusiasmo e le dritte. ;) 
Ah, noto con marcata ilarità che i pesci di quel dannato acquario, appaiono sempre nelle storie di tutte e... hanno delle coronarie di tutto rispetto. xD
ps. Quando ho scritto questa parte di Thane, non avevo ancora giocato al Citadel... Per evitare paradossi interni alla storia, ho deciso di non considerarlo in toto (e quindi non solo in tema Thane) nella stesura della fic, se non per una piccola parte alla fine. ;)

 

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Capitolo 4
*** Difficile da spiegare ***


Capitolo 4 – Difficile da spiegare.

 
 
James era sceso in armeria che era ormai la mezzanotte e mezza passata – ora della Terra. Quando non fai altro che viaggiare nello spazio, in quel nero puntinato di bianco e con motori iperluce, tendi tranquillamente a perdere la cognizione del tempo che passa. 
 
Si chiedeva sinceramente dove Joker portasse la Normandy tra un ordine e l’altro: certo, una volta raggiunti i portali ad effetto massa l’itinerario appariva nitido, ma nel mentre? Probabilmente vagavano a velocità bassa tra un sistema e l’altro? Stavano fermi?
Si ripromise di chiederglielo.
 
Era passato a farsi una doccia, mentre l’intero equipaggio si era ritirato nei dormitori – che lui non digeriva molto bene. Quella giornata aveva scosso tutti quanti e riflettere su quanto fosse successo prima non gli era per nulla d’aiuto. Con questi pensieri in testa, non si accorse neanche che Esteban fosse alle prese con gli stabilizzatori della Kodiak, marciando dritto verso la sua postazione e spegnendo i led luminosi in un gesto risoluto.
 
Il pilota stette ad osservarlo con la faccia interrogativa, mentre spariva dietro i container e non spiccicava parola. Lanciò gli stivali in un angolo e si coricò sul suo personale materasso: Cortez si chiedeva quale recondito motivo spingesse James a rintanarsi in quel metro quadro di spazio, con tutta la nave a disposizione.
 
- Rendi partecipe anche me, oppure lascio perdere direttamente? – domandò mentre Vega faceva capolino con la faccia stranita dallo spigolo dell’ultimo blocco. Steve lo guardava mentre riponeva gli strumenti e faceva tappa al terminale per gli acquisti della Cittadella.
- Scusa, non ti avevo sentito… Sei ancora alle prese con quella scatoletta di sardine? Ma lo sai che ore sono?! – lo canzonò ridendo, tirandosi nuovamente in piedi, mentre lanciava la t-shirt sul bancone. Si avvicinò al centro della stanza, proprio lì dove aveva “ballato” mesi prima con Shepard.
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso.
 
- Quella scatoletta di sardine salva la pellaccia a voialtre sardine quando scoppiano i casini… - rispose di rimando con la stessa ironia – E ringrazierai la mia continua manutenzione quando ti troverai un Razziatore a due passi, e miracolosamente sbaglierà il bersaglio…
- Tutto ciò è molto bello Esteban, ma cosa ti ha detto il Comandante?
- A proposito… Come sta? Sei stato più di due ore di sopra - l’aveva interrotto, mentre Vega perdeva qualsiasi fisionomia ilare o scherzosa dal suo viso. Si schiarì la gola, cercando le giuste parole per non sembrare davvero un autentico cretino.
 
- E’… Difficile da spiegare – puntualizzò, grattandosi la nuca con fare pensieroso. Spostò lo sguardo sul terminale lì di fronte, massaggiandosi le spalle ed emettendo numerose vocali per trovare il giusto incipit del discorso, ma Esteban non ci mise molto a cogliere la sua espressione imbarazzata.
 
Sembrava un bambino colto sul furto di caramelle.
 
- James… Cosa è successo nell’appartamento del Comandante? – domandò con un tono a metà tra l’ammonimento e l’incredulità. Teneva le labbra semiaperte, cercando di sondare il territorio a tentoni, con passi di piombo, perché se James era rimasto senza parole un motivo valido c’era. Eccome.
Il Tenente a quel punto focalizzò il suo cipiglio, bloccandosi come morso da un serpente dal suo stringersi nelle spalle e contrasse il viso in una smorfia divertita.
 
- Accidenti Esteban, cosa vuoi che combini?! E stai tranquillo?! – e rise con evidente imbarazzo, mentre l’amico incrociava le braccia e caricava il peso sulla gamba sinistra – il capo leggermente reclinato da una parte.
- Tu e la parola tranquillo non siete mai andati d’accordo. E la tua faccia non me la racconta giusta… - strinse gli occhi come per passarlo ai raggi x, e lo seguì con lo sguardo nel momento in cui Vega si tirò su a sedere sul bancone centrale.
 
James continuava a tacere mentre nel cervello del pilota cominciavano a suonare numerosi campanelli d’allarme. Fu in quel preciso momento, ovvero quando Steve cominciava a dare l’aria della slitta di Babbo Natale, che fece cadere quella maschera di ilarità per tornare nuovamente serio.
 
- Le è arrivata una mail di Thane… Postuma alla sua morte, s’intende. Deve averla programmata sapendo che un giorno non troppo lontano sarebbe morto, o magari il figlio l’ha spedita da parte sua, non so – esordì, mentre Esteban scuoteva la testa con espressione depressa. Ripensò che quella mail potesse avere lo stesso peso distruttivo di quel video che assieme abbandonarono al muro dei caduti alla Cittadella.
 
- Stavo per andarmene quando è arrivata. Ero riuscito a tirarla un po’ su di morale facendo il cretino, ma puoi capire che effetto le abbia fatto… - lasciò cadere lì il discorso, mentre il pilota si grattava la barba e sbuffava sommessamente.
 
La capiva… Oh, se la capiva. Capiva quella situazione molto più di chiunque fosse sulla Normandy. Il problema era che se lui aveva dovuto voltare pagina perché membro integrante della squadra del Comandante Maxime Shepard, lei invece era il Comandante Maxime Shepard.
 
Erano due ruoli diversi, due vite diverse. Due posizioni diverse.
Dal gesto di Shepard, Steve aveva imparato molto, tuttavia la questione verteva su questa domanda: come diavolo ricambiare il favore? Che, per inciso, avrebbe desiderato con tutta l’anima l’eventualità di non ricambiarlo vita natural durante, ma il destino era stato davvero beffardo, benché intuibile a differenza sua. Ringraziò in quello stesso momento la sfacciataggine di James, tuttavia aveva capito che ne fosse rimasto piuttosto scosso. Il motivo? Era difficile vedere James non ciarlare come una cicala. E a tal proposito la sua faccia pensierosa poco gli piaceva.
 
- Che è successo dopo?
James sogghignò.
- Se te lo dico mi pigli per il culo per un mese di fila… -
Fu il turno di Esteban, ora, di ridere.
- Perché? Cos’hai fatto di così disdicevole ed imbarazzante per un Tenente della Marina dell’Alleanza? – lo canzonò, mimando la pomposità di quei titoli con le braccia aperte.
 
James si ammutolì nuovamente. Quella lieve vertigine rifece capolino, tanto da fargli serrare gli occhi e impegnarsi nel calmare quel fremito di consapevolezza.
Oh, andiamo…
Quando alzò nuovamente lo sguardo, si trovò il pilota dritto davanti a lui con quegli occhi color dell’oceano che lo guardavano parecchio allarmato – la fronte tirata.
- Cazzo James, mi stai facendo preoccupare…
Frase emblematica, della quale il egli stesso non capì il reale significato nascosto dietro a quelle parole che letteralmente gli sfuggirono.
Lo osservò bene, mentre lui strascicava una piccola risata e scendeva giù dal bancone. Era terribilmente inquieto e non era da lui esserlo, ragionò Steve.
 
- Sono solo in pensiero - confessò lui, ben celando altri precisi discorsi. Non era pronto ad ammetterlo, neanche innanzi al suo migliore amico, né in quel preciso momento. C’erano stati momenti topici, di riflessione su determinati momenti passati assieme a lei, su determinate missioni e sue reazioni ma… Doveva rifletterci sopra, anche a costo di non dormirci la notte.
 
- Sono preoccupato per questa cosa, Esteban… Cioè, Shepard è Shepard, e questo lo sappiamo, ma ho visto ben poco del Comandante poco fa. E non so se sia un bene o un male – continuò, massaggiandosi la fronte e camminando in cerchio.
 
Dal canto suo, Steve si arrese all’evidenza: James gli nascondeva qualcosa e lui l’aveva capito, perché ormai lo conosceva da abbastanza tempo per leggerlo come un libro aperto.
Ma decise di rispettare i suoi spazi e i suoi tempi, anche se un lungo brivido di allarme gli percorse la schiena. Un vago sentore ce l’aveva… Strinse le labbra.
 
- Ce la farà.
- Tu dici?
- Certo che sì… Come hai detto tu, stiamo parlando del Comandante – spiegò Steve, non nascondendo un sorriso – Non può permettersi di abbandonarsi al suo dolore in un momento come questo. E lei lo sa –
Le sue parole furono dure, complice anche il modo in cui le mise in tavola, tanto che Vega lo guardò quasi accigliato.
- Lo so che detto così è brutto, ma è la sola cosa che non la farà mollare.
- Se avessi visto la sua espressione disperata e tutto il resto, non so se saresti ancora così ottimista - sbuffò, passandosi una mano sulla fronte, mentre l’amico tornava a pararsi innanzi a lui.
Sollevò lo sguardo, sorpreso di notare un’espressione mista tra il dolore e l’ammonizione.
- La vedo tutti i giorni guardandomi allo specchio, James. Ma sono ancora qui. E se io sono qui lo sarà anche lei – gli disse con tono duro, mentre l’amico tentava di dire qualcosa, forse di scusarsi o spiegarsi, ma Steve proseguì risoluto.
- James, abbi fiducia nel Comandante – addolcì il tono.
- Ce l’ho…
- Ricordati – incalzò il pilota – Che lei è quella che ha ucciso Saren e che ha spedito via a calci in culo i Collettori. Non sarà questo a fermarla, anche perché nessuno di quest’equipaggio lo permetterà, ok?
James rise nuovamente, questa volta sottovoce.
 
- Ok… Ok, non ti arrabbiare – concluse, mollandogli una pacca sulle spalle colma di gratitudine e terminando lì la conversazione. Si salutarono per ritirarsi a dormire e questo Steve lo fece a malincuore: aveva colto il suo sguardo lucido quando aveva menzionato i Collettori e tutto ciò che Shepard presentava per la Galassia intera.
E più ci parlava assieme, più tirava in ballo quel cognome, più informazioni riusciva ad estrapolare. Sì, James era un libro aperto, per quanto lui difendesse con le unghie e con i denti la sua sfera privata. Ma il fatto di esser sicuro di non sbagliare, non lo rese affatto felice. Anzi…
 
Fermati prima che ti faccia del male… Non è pronta per questo… Non adesso, è troppo, troppo presto. Finirà male, James, e la cosa peggiore è che non te lo meriti” pensò scuotendo la testa, prima che le porte dell’ascensore si chiudessero.
 
 
 
- Ecco fatto – decretò, dopo aver armeggiato qualche secondo, osservando poi il vetro con apatica soddisfazione. La crepa era sparita e l’acqua era stata finalmente fermata, prima che l’appartamento si trasformasse in una piscina termale con tanto di spa.
- Grazie IDA.  
- C’è qualcos’altro che posso fare per te, Comandante? – aveva risposto l’IA, mettendosi nella sua classica posa longilinea, con le mani dietro la schiena.
IDA era… Disarmante. Fu questo quel che pensò Maxime, osservandola per qualche istante. Probabilmente il motivo risiedeva nel fatto che non fosse umana, ma adorava nel profondo del suo cuore la sua espressione ingenua. O almeno era quello che personalmente le comunicava.
 
- Sono a posto IDA, grazie…
- Da uno screening completo del tuo corpo, rilevo un’anomalia ormonale portata da forte stress. La serotonina è sotto i livelli normali, così come il cortisolo. Consiglierei una visita dalla Dott.sa Chackwas – aveva appena sentenziato con quella sua vocina suadente, mentre Shepard ridacchiava sottovoce. Un commento del genere da qualsiasi altra persona avrebbe mosso in lei irritazione, ma proprio non ce la faceva con lei.
 
- IDA… E’ tutt’altro che una giornata felice  - ammise con un pungente sarcasmo – E sono parecchio stanca.
- Jeff ha espresso la sua preoccupazione per te – incalzò IDA, mentre Maxime sospirava e si sedeva sul letto, contrariata. Quella situazione le stava sfuggendo di mano e l’equipaggio cominciava a dare segni di agitazione. E questo non poteva permetterlo.
 
- Sto cercando di elaborare una risposta al problema, ma non riesco a formulare una tesi che avvalli le preoccupazioni di Jeff. Gli ho posto delle domande a riguardo, ma lui si è messo a ridere come al solito, sviando la conversazione. Come te lo spieghi? – aggiunse, mentre il suo volto si deformava in una smorfia leggermente interrogativa.
 
Maxime chiuse gli occhi abbozzando un tiepido sorriso.
Sì, IDA era davvero disarmante.
 
- Le emozioni umane sono difficili da spiegare…
Benché avesse tutto tranne che la voglia di parlarne, si rimboccò le maniche cercando di spiegarle la situazione in sintesi, ma non omettendo determinati dettagli necessari. IDA la seguiva, interrompendola più volte, mentre registrava il tutto nei suoi file. Aveva espresso tempo prima il desiderio di capire più a fondo la razza umana, per ovvie ragioni, ma gli interrogativi erano molti, forse troppi.
 
- Le mie informazioni a riguardo, dimostrano che tu eri a conoscenza del futuro che vi aspettava.
- Sì, è così.
- Non ne capisco il motivo, allora. Dal mio punto di vista la risposta corretta sarebbe stata l’autoconservazione e l’accettazione. Per il bene comune. Dove sbaglio, Shepard? – domandò innocente e desiderosa di chiarimenti.
Maxime portò gli occhi nei suoi, un sorriso mesto.
- Non sbagli IDA. Tuttavia, noi non siamo esseri totalmente razionali - e avrebbe voluto aggiungere anche diversi altri aggettivi, tra i quali "tutt'altro che delle linci" le sembrava quasi appropriato, non avesse poi dovuto spendere una notevole quantità di minuti per spiegarne il significato terrestre di quel paragone.  
- E’ nella nostra natura, soprattutto di noi umani da quanto ho capito. Quando ami una persona, vorresti che ciò non finisse mai, a prescindere da tutto il resto…  Anche dalla realtà delle cose - lasciò cadere lì il discorso, abbracciando le proprie ginocchia al petto e rimandando la mente a quante volte, mesi fa, si fosse posta il problema.
L’IA stette in silenzio per circa una decina di secondi, lo sguardo inespressivo fisso su di lei.  
-  Credo di aver capito – sentenziò poi, sciogliendosi da quella sua classica posa – Grazie Shepard. Ti lascio riposare, ne hai bisogno – concluse, mentre il Comandante poggiava la testa sulle ginocchia e la salutava con un gesto della mano.
 
E chi dorme più…




Meanwhile, in Beatrix's Headquarter...
Piccola postilla che francamente mi ha suscitato parecchia ilarità: ok, ho notato solo ultimamente che i primi quattro capitoli sono parte di un gigantesco missing moment, in un lasso di tempo anche abbastanza breve. Capitolo che grossomodo conclude la prima parte: quando l'avevo stesa, sinceramente non avevo mai fatto caso a ciò. Dal prossimo comunque, la scena cambierà. ;)
Last but not least, un ringraziamento speciale a Shadow per i tuoi pareri dettagliatissimi e i tuoi consigli! ^^
Alla prossima!

 

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Capitolo 5
*** Punto cardinale ***


Premessa: dedico questo capitolo a shadow_sea, per ringraziarla di tutto il suo supporto pre e durante la pubblicazione di questa mia storia, la sua disponibilità e i suoi consigli. Grazie cara. :)

 
Capitolo 5 – Punto cardinale.

 
 
L’avventura su Thessia, in seguito agli avvenimenti di Rannoch, fu l’equivalente di uno squarcio nel ventre della Normandy. Ovvero il panico più totale.
Maxime era uscita terribilmente provata dalla missione Quarian e per quanto fosse felice di riavere a bordo e in squadra Tali, aveva ancora nella mente le immagini di Legion che si girava a guardarla e a suo modo le dava l’addio.
 
Ed erano quattro.
 
Si erano presi spesso, lei e Legion. Passi un intero girone infernale a combattere contro i Geth e poi ti arriva a bordo quel… coso, che gentilmente pesta i piedi per aver ragione ed illustrare le sue motivazioni. E diamine, era riuscito a farle comprendere la situazione, benché avesse quasi dato per scontato che i Quarian avessero piena ragione in quella guerra.
Ma dai primi attimi in cui ebbe modo di parlarci, la sua comprensione dei fatti cambiò radicalmente, così come la sua considerazione per i Sintetici. Da un lato la spaventavano, e parecchio… Ma se quel che Legion sosteneva era vero, allora avrebbe dovuto rimettere in discussioni parecchi aspetti. Cosa che fece.  
 
E Organici e Sintetici non erano così diversi, per contro. Questo era ciò che aveva detto anche a IDA, quando le chiese quale fosse lo scopo per un Sintetico, nella vita.
 
Legion. Lui e il suo pezzo di armatura N7 incastrato ad hoc perché… C’era un buco.
Aveva riso, all’epoca, a quell’affermazione. Il motivo era semplicemente perché quell’affermazione sembrava pregna di una forte ironia, benché impossibile. Si era sempre chiesta se effettivamente lui avesse compreso il motivo di quel suo gesto, oppure aveva ignorato quella sorta di comportamento Organico sviluppato sin da subito.
 
 
Ed erano quattro.
Ed erano due volte consecutive che quel dannato Kai Leng la prendeva per i fondelli.
Di nuovo.
 
Urlò nel silenzio della parte inferiore della stiva, scagliando un terrificante pugno biotico su uno dei piccoli container accatastati alle pareti. Ignorava cosa contenessero, probabilmente attrezzi e via discorrendo, dal suono metallico che la scatola fece quando venne completamente trapassata e schiacciata contro la Normandy.
 
Adams l’avrebbe perdonata. Infondo là sotto, Jack ne aveva combinate di tutti i colori. Se per una volta era lei a perdere le staffe, fanculo, avrebbero dovuto accettarlo!
Ben presto si era accorta di aver oltrepassato i propri limiti. Dopo Rannoch, ma soprattutto prima e dopo Thessia – complice il tergiversare delle Asari e la situazione sulla Terra, per non dire dell’intera Galassia, che stava degenerando a vista d’occhio – i suoi poteri biotici non rispondevano più alla sua volontà.
 
Non riusciva più a controllarli.
Pulsavano, ricoprendola di quella luce intensa, nei momenti di stress. In battaglia riusciva a dissimulare bene la cosa - era un ricognitore addestrato in avanguardia ed era sempre all’erta, celata nell’oscurità e pronta a finire quello che aveva iniziato. Di norma succedeva sempre così: il compito della sua squadra era quello di coprire i fianchi, mentre lei si gettava in avanti.
 
Avanti e caricare. Così era Shepard.
Un fulmine azzurro che attraversava i campi di battaglia, sui quali non cresceva più nulla.
 
Ma era fuori dalla battaglia che tutta la sua inquietudine cominciava a traboccare, oltre ad essere evidente. Fremeva, fremeva con ogni sua fibra corporea nell’intento di trattenersi: si sentiva “piena”, il suo corpo le stava urlando che doveva scaricarsi o sarebbe letteralmente esplosa contro qualcuno.
 
Liara, nella sua stanza, aveva perso le staffe. Era furiosa, arrabbiata, disperata. Le era addirittura volata negli occhi, come si suol dire, mentre Maxime metteva da parte con estrema difficoltà – come tutte le innumerevoli, dannate, volte - il suo dolore e le sue personali emozioni per cercare di calmarla.
 
Come era entrata, aveva sentito subito la sua pelle bruciare, qualcosa che stava per scivolarle dalle le mani senza che lei potesse fermarlo. Aveva dovuto fare appello a tutte le sue forze per non cominciare a piangere dal nervoso, dalla frustrazione.
Aveva dovuto mettere da parte tutto, sigillarlo. Fu il pensiero di Thane e della sua filosofia, il suo esempio a tappare la falla e ristabilire la giusta pressione, almeno per quel momento.
 
L’aveva abbracciata stretta, dopo essersi costretta – ed essere stata costretta da Garrus e Tali, che erano terrorizzati all’idea di vedere Liara fuori di testa, oltre che varcare la soglia del suo alloggio – ad affrontarla. Era il ruolo del Comandante, oltre a quello di amica e Liara aveva pochi amici – e molti, forse troppi conoscenti.
 
Ma in verità, non voleva essere lì. E si sentiva in colpa per questo.
Avrebbe voluto urlarle in faccia, nel mentre che lei vomitava tutto il veleno che poteva, che fin da quando aveva messo i piedi sulla Normandy, nella sua mente correvano le stesse immagini. L’immagini della Terra completamente distrutta, dilaniata da quei dannati esseri.
 
Ma a cosa sarebbe servito?
A nulla… Se non a peggiorare la situazione, perché si sarebbe sentita una merda con la “m” maiuscola, subito dopo averle risposto con tutta la rabbia e lo stress che aveva in corpo. Doveva sfogarsi, sì, ma non poteva farlo urlando in faccia alla gente. E, diamine, cominciava a diventare davvero difficile farlo. Anche perché fino a quando l’equipaggio se ne stava buono e tranquillo, le cose erano abbastanza semplici da dirigere, affrontare. Delimitare.
 
Ora…
 
Un altro pugno biotico, questa volta più forte e intenso di prima, mise a soqquadro la parete esterna della stiva, mentre la carne delle sue nocche di lacerava e il pugno veniva arrestato dalla solidità della struttura. Ma Maxime non sentiva il dolore, in quel momento. O meglio, sentiva un altro genere di dolore, non di certo quello fisico. Probabilmente dopo se ne sarebbe pentita, era un copione che conosceva a menadito.
 
Ma ora non era dopo. E viceversa.
 
Riaffondò le nocche nel metallo, macchiando di sangue la parete resa già rossa dalle luci.
- Fanculo! - ripeteva, mentre si dilaniava le mani e si dannava per essersi fatta fregare: nella sua mente si susseguivano gli scenari della Cittadella, durante l’attacco di Cerberus ai danni del consigliere Salarian.
Poi la lama di Khai Leng ricoperta dal sangue di Thane, lui che si accasciava alla fine contro la parete. La sua corsa febbrile per fare il suo dovere, quando non avrebbe voluto staccarsi da lui neanche sotto tortura.
 
Lo schianto sugli anelli esterni della Cittadella, il tempo che scorreva inesorabile, l’epilogo tanto scontato quanto doloroso.
 
Poi quella dannata cannoniera, il combattimento su Thessia, il modo in cui li aveva umiliati e la mano sua che veniva stretta attorno a quella di Liara, sull’orlo del baratro. Il suo ghigno, le sue parole di scherno, il suo indugiare viscido in quella sala.
 
Il suo corpo brillava ad intermittenza, seguendo picchi randomici, come se stesse andando totalmente in corto circuito. E la realtà non era molto distante da quella consapevolezza.
Si voltò verso le scale, pronta a scagliate un’onda biotica capace di sradicare la piantana di supporto delle griglie superiori, quando il suo sguardo intercettò quello di una figura ben nota.
 
Era Garrus.
 
Il Turian fece solamente in tempo a muovere le mandibole, impercettibilmente, mentre distintamente – quasi a rallentatore – vedeva l’onda prendere forma e avanzare inesorabile.
Maxime riuscì a smorzarla con la sola memoria muscolare, ma quella vagonata di energia investì ugualmente il compagno, che si ritrovò a cozzare contro le scale, le gambe per aria e la confusione più totale per la botta presa.
 
- Shepard… Per gli… Spiriti… - annaspò - Ma mi vuoi ammazzare?!
Le prime parole uscirono quasi in un sibilo soffocato, mentre le ultime – la domanda retorica – si colorirono quasi di indignazione. Si sollevò da terra, servendosi del primo appiglio a disposizione, per focalizzare la sua figura attraverso il visore rimasto miracolosamente illeso.
 
E quel che vide, fu il Comandante con le mani insanguinate premute sulla bocca, lo sguardo sgranato e il corpo che continuava a fremere di quella luce. Si bloccò dopo un passo.
Le lacrime le rigavano il viso e il sangue gocciolava dalle sue mani, mentre lei a sua volta indietreggiava della stessa misura.
 
- Shepard…
- Vai via…
- No.
- VAI VIA! SONO FUORI CONTROLLO! – urlò con disperazione. Un urlo seguito da un nuovo campo di forza, che scagliò una parte di lamiera contro di lui. A quel punto Garrus capì che i pensieri di Cortez e Vega non erano da sdrammatizzare.
 
 
Steve aveva parlato con lui, riguardo alla sua preoccupazione per il Comandante e così aveva fatto, qualche giorno prima, anche James. Garrus aveva vissuto tutto il periodo precedente e contemporaneo alla missione suicida accanto a lei e a Thane, e gli aveva spiegato grossomodo cosa era successo tra loro. Avesse avuto le sopracciglia, alla richiesta di James di fare qualcosa e alla serietà con cui gliel’aveva chiesto, sarebbero arrivate a metà cranio. Ma aveva visto in prima persona la faccia tirata di Shepard al ritorno da Thessia, perché era là con lei e Liara, e non nascondeva che una chiacchierata sulla faccenda volesse farla comunque.
 
- Tu e Joker siete quelli che la conoscete da più tempo – era quello che gli aveva detto il compagno, facendogli capire che nessuno se la sentisse di affrontarla. E con il senno di poi ringraziò il fatto che il Marine si fosse rivolto a lui e non al pilota, perché Jeff era una persona terribilmente diretta, dal cuore d’oro e dal forte senso di onore, ma riusciva ad andare in panico in zero secondi quando si parlava di problemi personali.
Ne sarebbero, paradossalmente, rimasti solo i femori.
 
Capì, tra l’altro, che quei due cominciavano a rimuginare tanto da rimanere svegli la notte – e personalmente, benché coscio dei livelli di stress non solo di Maxime, ma di tutta la Normandy, non aveva capito così bene il motivo.
Sarebbe andato lui, quindi, a sondare il territorio, a vedere dove si fosse cacciata perché nessuno la trovava e IDA aveva avuto l’ordine di non rivelare la sua posizione. Ma Garrus conosceva bene la Normandy, benché tirata a lucido e modificata. Gli ci era voluto un po’. Aveva prima sondato l’appartamento, cercando di captare la sua presenza là dentro.
 
Era poi passato da Steve, che l’aveva guardato con un’espressione martoriata, la stessa di James. Aveva ripercorso ogni antro, aveva pure cercato di convincere IDA con l’aiuto di Joker – celando la cosa al resto dell’equipaggio il più possibile - finché non gli venne in mente il posto di Jack.
Non mancò di darsi dell’idiota.
 
 
Schivò la lamiera con una prontezza degna solamente di un Turian, per poi scattare in avanti, rapido e preciso. La situazione era pericolosa, lui lo sapeva, ma urgeva farla rinsavire. Doveva riprendere il controllo e, tristemente, ciò era già successo dopo il casino Batarian ed erano stati lui e Thane ad occuparsi della cosa. Il suo essere diretto e la diplomazia di Thane avevano fatto un mezzo miracolo allora: Maxime non era mai stata una testa calda, aveva sì la giusta faccia tosta, ma non aveva mai dato l’idea di essere una matassa difficile da sbrogliare.
 
Ma quando arrivò l’ordine d’arresto, in quel momento così delicato, non ci aveva più visto. Ci vollero più di due ore di continue urla, per impedirle di marciare direttamente sul consiglio con il Thanix spianato, perché quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso – e quella mezza idea l’aveva avuta realmente.
 
Non aveva mai creduto che fosse così difficile arrestare un umano in corsa. Letteralmente.
La sua rabbia era stata così intensa, da donarle delle forze sovraumane – e di questo era profondamente sicuro, perché non esiste che un umano riesca ad avanzare mentre un Turian e un Drell, tutt’altro che gracili e per giunta quando uno dei due ricopre la carica di migliore assassino della Galassia, sono atti a bloccarle braccia e gambe.
 
Ora, però, era solo davanti a lei – equivalente ad una testata nucleare in procinto di esplodere: non c’era Thane, con la sua calma e razionalità. Era lui solo, armato di buoni propositi.
 
 
Le arrivò addosso come un treno, bloccandole i polsi e schiantando entrambi contro la parete posteriore della stiva. La vide sbattere la testa violentemente, così come la schiena. Vide la sua smorfia di dolore sul suo volto, mentre lei riapriva gli occhi e posava nuovamente lo sguardo nel suo, dapprima accigliato, colmo di ira traboccante, per poi scemare subito dopo e tingersi di paura.
 
Gli occhi azzurri del Turian la trapassarono come due enormi stalattiti di ghiaccio, terrorizzandola. Rimase catatonica quasi, incapace di respirare, mentre la sua armatura le schiacciava il torace e le sue gambe perdevano l’appoggio al terreno.
 
- Calmati.
La rabbia riaffiorò e si illuminò come un albero di Natale, ma Garrus la schiacciò ancora di più contro la parete, lo sguardo inchiodato nel suo e le mani atte a stringere ancora di più i polsi.
- Ti ho detto di calmarti – ribadì lentamente, mentre a lei sfuggiva un gemito e la gola le si annodava, impedendole di dire qualsiasi cosa.
 
Dovette convincere il Turian più volte di essersi calmata, per riprendere a respirare regolarmente e non come se avesse un macigno sul petto. Nuovamente, si spense come un falò colpito da una secchiata d’acqua.
 
 

- Portami con te, Maxime – gli aveva detto alcuni minuti dopo, passati completamente nel silenzio delle pareti ammaccate del sotto scala. Le prese la mano destra e cominciò a medicarla a dovere con il medigel. Sì, se l’era portato appresso, memore dell’esperienza precedente.
Lei lo guardò confusa, soprattutto perché ben rare volte lui l’aveva chiamata per nome.
- Dove…?
- Quando andrai a fare il culo a Kai Leng – ribatté sogghignando – Voglio venire con te. Non posso perdermi quel momento e… - prese una pausa, ritornando serio, mentre il Comandante finiva per lui la frase – Perché vuoi tenermi d’occhio – scherzò lei, socchiudendo gli occhi per un istante.
 
- Esattamente. Non fraintendere Shepard…
- No, non fraintendo. Ho bisogno di te, Garrus… Ho già coinvolto te, James, Esteban… Non voglio che questo accada di nuovo, basta – negò con il capo per sottolineare la cosa – Scusami, scusami davvero. Sono mortificata, ho - si portò una mano sulla fronte, stringendosi il ciuffo corvino tra le dita – Ho perso il controllo. Mi vergogno profondamente, queste cose non devono succedere.
 
- Non vergognarti… Non sei una macchina – Garrus le tolse la mano dalla fronte e la prese tra le sue, osservando la pelle squarciata in più punti. Era dannatamente assurdo che la pelle degli umani fosse così tenera e delicata.
– Dovevo venire da te prima.
- Con la situazione che ti ritrovi su Palaven, avevi ben altro a cui pensare, Garrus. E non è colpa tua – gli rispose, notando il suo tono colpevole – Vi ho già chiesto troppo.
- Shepard, se per tre volte l’hai fatto, non ti sei chiesta se è davvero di questo che hai bisogno? – l’ammonì lui, prendendole l’altra mano e cominciando a medicarle le nocche.
- Non posso permettermelo.
- Stronzate!
 
Nuovamente la guardò con quegli occhi azzurri, penetranti, che sapevano infondere sia sicurezza che inquietudine allo stesso tempo. Abbassò lo sguardo, facendosi sfuggire un sospiro. Garrus la sentì sciogliere finalmente.
 
- Diamine, ti ho fatto volare come un aquilone… Dai.
- E io ti ho inchiodato al muro. Siamo pari – scherzò nuovamente lui, mentre l’aiutava ad alzarsi e guardava con ironia allo stato della stanza. Lei si guardò le mani tutte impastate dal medicamento, mimando successivamente la camminata di uno zombie, con tanto di versi, provocando nel Turian quasi un soffocamento. Era bello vederla scherzare, di tanto in tanto.
 
- Sai chi mi manca, Garrus?
- Fammi indovinare… – rise, incrociando le braccia – Ma sei seria? Davvero?
Il viso di Shepard si distese in un’espressione serena, mentre annuiva - espressione che da troppo tempo Garrus non vedeva dipinta sul suo volto.
Sia benedetto sì, quel dannato Krogan. Il trio dei vecchi tempi, non ancora maturi, ove si rubavano le navi e si mandava a quel paese il Consiglio.
 
- Sento molto la sua nostalgia… Lo sai che non ho mai nascosto la mia debolezza per Wrex. E neanche tu, per quanto ti ostenti a negarlo – lo guardò complice.
- E lo farò vita natural durante, Shepard! Comunque grazie a te in questo momento si starà divertendo sicuramente più di noi – scosse la testa, cercando di cancellare quelle immagini improponibili che gli stavano passando davanti agli occhi e che lo fecero rabbrividire.
Fosse stato possibile, pensò, a quest’ora avrebbe già ingravidato mezza Tuchanka.
Divoratori compresi.
 
- Questo è poco, ma sicuro… – rise di cuore lei, mollandogli una pacca sulla spalla.
 



Meanwhile, in Beatrix's Headquarter...
Ok, ecco che qui viene fuori tutto l'amore per il Turian dagli occhi di ghiaccio. Oh, mi sono dovuta trattenere per tutta la storia, perché ben presto mi sono resa conto mentre scrivevo, che se avessi cominciato a dare spazio a Garrus in questa fanfiction, sarei passata inesorabilmente a parlare di lui, ed ovviamente di Thane. Dannate ossessioni, dannati alieni. E pensare che prima di ME, non me li sarei filata neanche di striscio - gli alieni. 
Ma non ho potuto resistere, però, nel dedicargli un capitolo a sé stante, dovevo farlo. E ho dovuto mettermi proprio un cuneo, arginare la frenesia, perchè tutto a suo tempo, come si suol dire. ;) Perchè questa è un'altra storia. 
Spero, tuttavia, di aver fatto un buon lavoro, o per lo meno di aver fatto capire il peso di Garrus nella vita di Maxime. Più avanti, sarà ancora più chiaro. ;)

Concludo ringraziando Shadow e Andromeda per le loro recensioni e il supporto. ;) Grazie mille, ragazze!

 

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Capitolo 6
*** A modo mio ***


Capitolo 6 – A modo mio.

 
 
Si era appena seduta a quella postazione di controllo che molte volte, mesi addietro, aveva visto quando l’ologramma dell’Uomo Misterioso si presentava a lei. Si ricordava i colori brillanti di quella stella che sembrava miscelarli con estrema accuratezza, costantemente e ci mise un attimo per riprendere la giusta concentrazione e finire il lavoro.
 
La Specialista Traynor, dopo un’idea a dir poco geniale, era riuscita a tracciare gli spostamenti di Kai Leng. E quando Maxime capì che vi era la concreta possibilità di mettere le mani addosso a quell’ex agente N7, quasi si scordò che la posta in gioco non sarebbe stata solamente una ragguardevole vendetta.
 
Dopo la pettinata che Garrus le aveva dato, si era ripromessa di stare calma. E ci era grossomodo riuscita: aveva fatto chiarezza, aveva preso un lungo respiro e aveva giurato che quei momenti di debolezza nei quali disgraziatamente i suoi l’avevano pizzicata, sarebbero stati gli unici e gli ultimi.
 
Come una maschera di cera, sul suo viso riemersero i normali lineamenti per i quali era famosa: calma e ponderatezza, con il giusto pizzico di faccia tosta che non guastava. Quegli occhi color dell’ametista più pura erano tornati a squadrare l’obiettivo in preda ad un controllo oltre il normale, capaci di terrorizzare grazie a quell’alone di posatezza, privo di qualsiasi sentimento intuibile alla prima occhiata.
Quello non era gelo, quella era semplicemente sicurezza.
 
L’intero equipaggio se ne era accorto. Avevano parlato tra di loro, discusso brevemente, ma inconsciamente tutti erano arrivati alla stessa conclusione: il Comandante stava facendo uno sforzo sovraumano per riprendere le redini, ma le aveva riprese. Tutti sapevano quanto forte era il legame tra lei e Thane, sapevano che Kai Leng sarebbe morto a breve, ma erano consapevoli che ora l’atteggiamento di Shepard avrebbe portato ad una sicura vittoria.
 
 
A parte il recupero ovvio dell’IV Prothean, aveva deciso di rendere chiari gli ordini con poche parole: qualsiasi cosa fosse successa, Kai Leng doveva essere consegnato ad Hackett. Era un testimone importante per il futuro, legato direttamente all’Uomo Misterioso. Anche se parlare di futuro, ormai con i Razziatori che facevano il bello e il cattivo tempo, sembrava a dir poco ridicolo.
Tuttavia, proprio per far sì che la sua mente rimanesse concentrata e non perdesse definitivamente la ragione, aveva chiarito sia con James che con Garrus le sue intenzioni.
 
Quell’agente N7 doveva rimanere vivo.
James aveva sollevato un sopracciglio a quell’ordine, Garrus invece aveva tenuto a stento una risata soffocata. Il primo non conosceva così a fondo Maxime, ma il Turian era consapevole del fatto che quel bastardo non avrebbe messo i piedi sulla Kodiak, tantomeno sulla Normandy.
Non ci credeva nemmeno lei, e loro lo sapevano, ma se Shepard insisteva su quel punto e stava montando stronzate su stronzate a tema legale, burocratico, informativo e menate varie di quel tipo, un motivo c’era e andava accettato in quelle circostanze.
 
Così stettero in silenzio, scambiandosi talvolta qualche sguardo eloquente. Doveva avere le redini, questa era la cosa fondamentale e l’avevano capito. E in ogni caso, nessuno avrebbe mosso un dito nell’eventualità di un contrordine – né tantomeno avrebbero avuto qualcosa da obiettare.
 
 
Ciò che quel trio fece dal momento in cui Cortez li lasciò fuori dalla base, all’istante in cui lei si sedette alla postazione del QG dell’Uomo Misterioso, bene si sposava con il termine strage. C’era stata una muta comunicazione, più in particolare tra James e Garrus: erano soliti ormai prepararsi per scendere con lei quasi sempre, fatta eccezione per il Tenente negli ultimi scontri e per ovvie ragioni.
Ma dopo Thessia, Maxime l’aveva rivoluto in squadra, fisso. Come lo era stato sempre Garrus, dall’alba dei tempi.
Avevano raggiunto un grado d’intesa molto buono, era inutile negarlo. D’altronde Vega sarebbe stato destinato all’addestramento N7 – del tutto superfluo secondo il Turian, perché il miglior addestramento esistente nella Galassia lo stavano avendo sotto il comando di Shepard – non era uno sprovveduto, per quanto Garrus a volte non riuscisse a capirlo a fondo.
 
Ma sapeva che, come lui, avrebbe fatto miracoli pur di impedire a chiunque di permettersi anche solo di pensare a sfiorarla. O di fallire. Questo lo sentiva a pelle e bastava guardarlo in faccia per capirlo.
 
Quanto a Maxime, in quel momento stava cercando in tutti i modi di sfogare l’ira che le traboccava dal petto, per evitare appunto di perdere il controllo quando sarebbe stato il momento di affrontare Kai Leng. Non lo temeva, non era quello il punto. Avrebbe vinto lei, su questo non aveva dubbi.
Ma il come sarebbe stato importante. Doveva farlo da sé stessa, non come un mostro accecato dall’ira e dall’odio: non se lo sarebbe perdonato, e neanche Thane l’avrebbe fatto – questo era ciò che la sua coscienza le comunicava senza tregua da giorni.
 
Le fila di soldati cadevano come mosche.
Ad una certa, James non aveva celato la scossa d’adrenalina che tutto quel trambusto gli aveva procurato. Si muovevano come un’entità sola, senza lasciare anima viva alle spalle, una macchina da guerra perfettamente coordinata.
Garrus sentiva che tutto ciò accadeva per la prima volta per il compagno e non risparmiò una sorta di sorriso nei suoi confronti, soddisfatto di quello che i suoi occhi potevano apprezzare: per un Turian, quell’empatia da campo di battaglia era una conquista unica.
Si ritrovò quasi nostalgico, ripensando a Wrex prima e a Thane poi, ovvero quelli che avevano costituito il terzo elemento della squadra personale di Shepard. Quella era la sensazione, meravigliosa sensazione.
Di fronte a quel capolavoro bellico, sebbene ognuno di loro avesse il proprio stile, non aveva  a disposizione aggettivi adeguati: solo il silenzio era tale da descrivere eloquentemente la cosa.
 
Oltre al sorriso di lei, sicuro e determinato, le poche volte che si voltava per assicurarsi delle loro condizioni.
 
 
Kai Leng era stramazzato al suolo, faccia rivolta al pavimento. Per quanto mal ridotto e affrontato in prima persona dal Comandante, era ancora vivo e tutt’intero. Aveva sputato qualche dente – su questo i due ne erano sicuri – e le sue costole probabilmente erano il surrogato di un puzzle, ma l’aveva lasciato a terra, dirigendosi verso il terminale per scaricare più dati possibili che potessero servire alla causa e recuperare il maltolto.
 
Garrus rise scuotendo la testa, mentre osservava i pannelli olografici innanzi al suo naso. Sbirciava ogni tanto la figura di lei, atta a lavorare attorno a quei file e riprendersi ciò che era suo di diritto.
 
- Quanto passerà prima che decida di suicidarsi? - gli aveva chiesto James, sottovoce per far sì che Shepard non potesse sentire, quando aveva visto l’agente rimettersi in piedi a fatica, sangue dalla bocca e l’espressione di uno che non si rassegna ad accettare l’atto pietoso.
 
Il Turian non lo guardò neanche. Avevano sentito chiaramente i suoi movimenti. Tutti e tre li avevano sentiti.
- Dieci secondi. Vuoi scommettere qualcosa? - ghignò, mentre James incrociava le braccia, spalle al terminale e sguardo assorto nella stella pulsante innanzi a lui.
 
- Non scommetto sull’inevitabile, Cicatrici… Piuttosto, gli ordini del Comandante non erano diversi? Dobbiamo fare qualcosa? -
La domanda suonò irriverente ad entrambi.
- Sì. Goderci la scena. Non se ne renderà neanche conto – rispose Garrus, voltandosi lentamente.
 
 
Sette secondi.
Entrambi lo guardarono con la considerazione con la quale si osserva un povero pazzo suicida, alla stregua di un verme che si contorce sul terreno arido di un deserto.
 
Aveva sentito sia i suoi passi sgraziati e il suo strascicarsi. Era lontano qualche metro e il suo respiro era terribilmente affannoso.
Quando era caduto a terra aveva avuto l’impulso di incenerirlo. Letteralmente. Per levare dalla circolazione qualsiasi sua testimonianza, perché più lo guardava, più riviveva quelle immagini negli uffici della Cittadella e tutto quel sangue.
 
I dati scorrevano sul display, velocemente. Mancava molto poco alla resa dei conti, erano ormai con fiato sul collo all’Uomo Misterioso, anche se non l’avevano ancora trovato. Ma la prossima tappa sarebbe stata la Terra e scommetteva un rene che in qualche modo sarebbero arrivati faccia a faccia. E non vedeva l’ora.
 
Cinque secondi. 
Una schermata nera di transizione, rapida rivelò la figura ad un metro da lei, le mani strette attorno all’elsa della katana che saliva verso l’alto, in quell’ultimo atto di stupidità.
 
L’avresti ucciso… Fosse successo solo sei, sei fottuti mesi fa, l’avresti ucciso senza problemi. Dannazione!” strinse la mascella con forza, tanto da farsi male mentre malediceva il destino. Se solo fosse stato in forma, Thane se lo sarebbe mangiato.
Letale ed elegante, quella combinazione da subito l’aveva stesa, rendendola incapace di non interessarsi a lui e di staccargli gli occhi di dosso. E poi era venuto tutto il resto.
Per lei era impossibile non amarlo, per quanto lui il suo passato lo dipingesse sempre come pregno di colpe e di azioni tutt’altro che lecite, e si dannava costantemente di quello che era ed era stato.
 
Tre secondi.
James non celò un moto di insicurezza, quando la lama della katana brillò nell’alone luminoso di quella stanza.
- Siamo sicuri?
- Vega… Hai idea della donna che hai davanti? -
 
Un secondo.
Sollevò lo sguardo innanzi a lei. Fissò apparentemente il vuoto, ma in quel vuoto rivide quell’ultima carezza.
Le dita che scivolavano sulla sua pelle, un istante prima che esalasse l’ultimo respiro.
I suoi occhi si assottigliarono, incapaci di captare alcuna luce.
 
Zero.
Nell’istante immediatamente prima che Kai Leng abbassasse la lama, si alzò di scatto.
Un riflesso sovraumano, il polso che, secco, infrangeva la lama in un tocco metallico, che durò un battito di ciglia. La chiara consapevolezza che quel teatrino architettato poco prima si sarebbe infranto come un cristallo che impattava con il suolo e che produceva lo stesso rumore.
 
Io non sono te, Thane…
 
Lo guardò in viso, per l’ultima dannata volta. Colse la sua espressione interdetta, mentre lui non aveva avuto il tempo necessario di muovere gli occhi dal vuoto colmato da Shepard fino a poco fa.
Rapida, si portò al suo fianco, la mano destra che attivava l’Omniblade.
 
Ci ho provato… Non ci riesco. Devo risolvere alla mia maniera e non mi vergogno minimamente di farlo… Ma io sono il Comandante Maxime Shepard, ed è questo ciò che farei. Senza remore.
 
Si sentì soddisfatta nel constatare la sua espressione atterrita, di chi comprende che la sua vita da lì a poco sarebbe terminata.
Lo sguardo di Maxime era duro come una lastra di marmo e pregno di una luce inquietante.
La lama compì la sua rotazione e finalmente si distese, mentre il suo corpo si portava oltre il fianco del nemico e il braccio si preparava all’affondo.
 
Questa storia deve finire. E deve farlo a modo mio!
 
Il suono dell’armatura di Kai Leng che si lacerava, la sensazione fisica che la lama le trasmetteva mentre affondava nella sua schiena, le provocarono una vibrazione di piacere così immensa, che dovette trovare il tempo di fermarsi per assaporarla al meglio.
 
Lo osservò nei suoi lineamenti colmi di terrore e stupore, la bocca aperta e insanguinata, mentre lottava con tutta sé stessa per non ritirare la lama e pugnalarlo ripetutamente, fino a rendere quel guscio vuoto totalmente irriconoscibile, finanche dalla donna che lo aveva messo al mondo.
 
Avrebbe voluto piangere, lei. Avrebbe voluto lasciarsi andare.
Ma non lo fece.
 
- Questo era per Thane, figlio di puttana! – ringhiò liberandosi, estraendo con tutta la forza che poteva la lama e la chiara intenzione di lasciargli ancora una sensazione atroce, prima che chiudesse gli occhi per sempre.
 
L’ex agente N7 si limitò a cadere faccia nella polvere. Garrus sorrise soddisfatto nell’ammirare quella sequenza di eventi prima, l’espressione di James dopo: imbracciava il fucile, l’indice ancora sul grilletto e gli occhi fissi sul Comandante che decretava la fine della missione. Sconcerto misto all’estasi più pura, le labbra socchiuse e la fronte tirata.
 
- Non abbiamo più nulla da fare qui – ordinò lei, secca.
Ma il Tenente era solamente riuscito ad annuire, il respiro che gli si era mozzato in gola.
 
- Andiamo – lo esortò Garrus, continuando a ridere sottovoce e scuotendo leggermente la testa. Si voltò per l’ultima volta ad osservare quello spettacolo cosmico, mentre sistemava il fucile al suo posto.
 
Thane… Questo non servirà di certo a riportarti in vita” rimuginò il Turian, distendendo l'espressione e sfiorandosi la fronte in un gesto leggero e appena abbozzato, che ricordava vagamente un saluto militare “Ma ovunque tu sia, spero non ti sarai perso la scena. Ora puoi riposare in pace davvero, amico mio”. 




Meanwhile, in Beatrix's Headquarter...
Dedicato a tutte le Thanemancer... In particolare ad Andromeda. :) 
Chiedo scusa per gli ultimi ritardi sia nelle recensioni, che nella pubblicazione. Spero di essere un po' più puntuale, sopravvivendo al meglio ai vari casini giornalieri di questo periodo. Ringrazio Shadow, Ann e Nad per il supporto e i loro complimenti. Me commossa. ç_ç
ps. Ho usato la traduzione inglese, perchè francamente in quella frase (quella che Shepard rivolge a Kai Leng) mi piace molto, molto di più. :3

 

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Capitolo 7
*** Quando ***


Capitolo 7 – Quando.

 
 
- E’ la prima volta che mi finisci in infermeria, Tenente - commentò divertita Karin, passando la garza imbevuta di medigel e adeguatamente stretta tra le pinze chirurgiche - Posso sapere cosa è successo per avere il naso ridotto in quella maniera? -
 
Il tono della Chakwas era bonario, al solito. Non le interessava realmente la motivazione, tanto quanto la presenza proprio di Steve là dentro. Quando lo vide varcare le porte scorrevoli, pensò ad un particolare allineamento planetario e si mise a ridere di quello stesso pensiero.
 
Il pilota socchiuse gli occhi, abbozzando un sorriso stanco, osservandola di sottecchi. Chiuse gli occhi quando sentì il medigel bruciare sulla ferita.
- Idiozia. E tanta stanchezza, suppongo… - scrollò le spalle - Prometto che non capiterà più… - precisò allargando il sorriso e sentendosi come un bambino delle elementari alla prima scazzottata, secondariamente alla convocazione in presidenza.
- Promesse, promesse… Oh, lo spero per voi, ragazzi miei. Per lo meno tu non fai tante storie nel farti medicare - fu lei questa volta a stringersi nelle spalle, lasciandosi andare in una risata cristallina, alla quale seguì quella di Steve, grato per la sua capacità di sdrammatizzare una situazione che avrebbe voluto dimenticare in fretta.
 
 
 
Osservava la sua immagine riflessa allo specchio, senza però focalizzarla o cercare qualcosa che giustificasse il suo stazionamento innanzi al lavandino da ormai qualche minuto.
Aveva aperto un varco sulla superficie appannata con il palmo della mano, mentre si sistemava successivamente l’asciugamano stretto alla vita, ma i suoi gesti si fermarono poco dopo per lasciare passo alla sua personale riflessione.
 
Non riusciva a togliersi dalla testa quelle immagini: doveva ammetterlo, quel gesto ai limiti di una scena da film l’aveva colpito molto, e ci pensava da due giorni di fila ormai, senza che la sua mente gli desse tregua. Ma il problema non riguardava solo l’evocazione di lei che con quel gesto fluido e controllato, senza dispensare ulteriore pietà o pena per Kai Leng, conquistava la sua personale vendetta.
No. La cosa più fastidiosa, dolorosa e preoccupante, erano quei fremiti che provava ogni volta che ci pensava o il batticuore forsennato che gli prendeva quando la incrociava sulla Normandy.
E la vergogna, il senso di colpa, per quella scena pietosa accaduta in Armeria, poche ore prima.
 
 
 
Sebbene in quei giorni il Comandante non lo si fosse visto molto in giro, lui l’aveva evitata appositamente, rintanandosi in armeria e ricominciando come sempre il controllo dell’arsenale da zero. Doveva pensare – come se questo sarebbe servito a qualcosa, non mancò di sottolineare a sé stesso. Si era giustificato con Cortez spiegandogli semplicemente che mancava poco alla fine di quella storia e che non voleva assolutamente fare una pessima figura nel suo ruolo.
 
L’aveva detto ridendo, come suo solito, ma Steve non l’aveva bevuta. Era lecito essere tesi, dopotutto non sapevano come avrebbero rivisto la Terra da quando l’avevano lasciata, o se sarebbero riusciti ad atterrarci, visto che i Razziatori avevano eretto un muro di cinta attorno al pianeta.
Le aspettative per quella che si sarebbe rivelata un’epica battaglia con la partecipazione di tutta la Galassia riunita, erano molto alte. Avevano l’esercito più forte mai visto e sarebbe stata Shepard a comandarlo.
Sembrava realmente una cosa assurda, si disse.
 
Tuttavia, James scattava come una molla e si allenava con ancora più insistenza nei i rari momenti che mollava il banco delle modifiche. E la cosa peggiore era che non spiccicava parola, non spontaneamente almeno.
 
Steve aveva deciso di gettare la spugna quando i toni si erano alzati, poche ore prima, dopo che pian piano aveva convinto il Tenente a parlarne.
Gli aveva fatto capire chiaramente che se ne fosse accorto da tempo, e in questo modo James non poté far altro che confessare quel suo spiccato interesse per Shepard, che ormai non poteva essere più solamente descritto come ammirazione e rispetto – con una giusta dose di imbarazzo.
 
- Perché ti ostini ad essere così testardo? – aveva domandato, con un accenno di tono d’accusa nella voce, mentre scuoteva la testa e abbassava le spalle.
James non sorrideva, questa volta. Gli aveva voltato le spalle, tornando alle sue faccende ma non omettendo una frase pungente che mai aveva rivolto al suo migliore amico. O meglio, Steve non aveva mai udito un tono del genere da parte sua.
 
- Non avevi una navetta da riparare, te?
In sé la frase non risultò così pesante, ma il tono strascicato e la voce roca, quasi cupa, con cui la pronunciò rese bene l’idea di ciò che stesse provando.
E Steve non la prese molto bene: fissò statico la schiena dell’amico, con un ciglio alzato. Si sfilò poi dalla spalla il cencio macchiato e umido, lanciandolo con forza sul terminale.
 
- Fai che diavolo vuoi… Vuoi spaccarti la testa? Spaccatela allora! – ribatté con rabbia, avviandosi verso la cassetta degli attrezzi e chiudendola con un strattone. James lo guardò come se avesse le antenne, stupito da quella risposta fin troppo energica per i suoi canoni e i suoi modi sempre gentili e comprensivi, sentendosi in colpa per quella frase inadatta che gli era sfuggita poco prima.
 
- Esteban… Scusa, non-
- Taci, per cortesia – ritornò al centro della stanza, indicandolo con l’indice della mano destra e osservandolo con uno sguardo granitico.
- Vuoi stare con lei? Vuoi lei? Bene, ti consiglio di attrezzarti con un bell’impermeabile integrale, perché non hai idea dell’uragano di merda che ti riceverai in faccia – proseguì risoluto, mentre James lo raggiungeva di fianco ai banconi centrali e gli regalava uno sguardo che non prometteva nulla di buono.
 
- Mi vuoi spiegare che problema hai?! – gli tuonò letteralmente in risposta, fermandosi innanzi a lui e sovrastandolo con la sua altezza e mole.
- Cos’è? Shepard fa un’eccezione?
 
Mai considerazione dettata dal sangue bollente, fu più stupida e la frustrazione del pilota arrivò al limite fisiologico di sopportazione.
L’unica replica che si udì nell’armeria da parte di Steve, fu un sonoro pugno che gli arrivò dritto al volto, tra la mandibola e la mascella destra. Era rimasto talmente sdegnato da quelle domande che non trovò parole appropriate per fargli capire quanto assurde ed inadeguate, se non irrispettose, potevano essere.
 
- Non ti permettere – sibilò Esteban, ben conscio di ciò che aveva appena scatenato. Aveva perso la pazienza, lui. Steve era uno controllato, lacrime a parte, ma era fatto così: raramente si scomponeva in comportamenti da taverna, era per la diplomazia e di norma il suo ruolo era quello di paciere. O arbitro. Effettivamente, nel cercare molte volte di calmare le acque, se l’era pure prese – per sbaglio, ma se l’era prese.
 
Non mosse tuttavia ciglio, quando le nocche di James impattarono contro al suo zigomo, rivoltandolo contro alla pila di metallo, come un calzino in centrifuga. Probabilmente, pensò, se l’erano cercata entrambi, e per quanto detestasse quei momenti – un po’ per carattere, un po’ perché, dannazione, Vega menava duro quando menava – decise di cogliere la palla al balzo e togliersi qualche sassolino dalla scarpa alla vecchia maniera.
 
Trascorsero dieci minuti di botte da orbi, ove l’atmosfera della stiva si incendiò dei peggio improperi mai sentiti, mentre come una reazione a catena si dilaniavano a vicenda, via via in crescendo, sia fisicamente che moralmente. James vedeva rosso, perché non capiva il motivo per il quale Steve lo stesse quasi obbligando a lasciar perdere quella faccenda: eppure lo sapeva, era famoso per fare di testa sua. E l’avrebbe fatto, anche in questo caso.
 
Steve, dal canto suo, aveva deciso di lasciare il corso degli eventi a loro stessi: se dovevano pestarsi, si sarebbero pestati. Se James doveva sfogarsi per farsi ascoltare, l’avrebbe fatto sfogare. Se doveva affrontare i Razziatori con il naso rotto, che naso rotto fosse, sempre meglio – si diceva – che non affrontare il problema.
Voleva un bene inimmaginabile a James, lo considerava sempre più come un fratellino grande e grosso. Si chiedeva perché non arrivasse a capire che, sostanzialmente, volesse solo proteggerlo. E nulla più. Perché no, non poteva funzionare neanche a pregare negli oscuri e arcaici dialetti dei margini della Galassia.
 
Erano in piedi, bloccati in una chiave articolare. Se Vega poteva dire la sua in fatto di potenza, Steve ne sapeva a pacchi sulle leve. E quelle, contro colossi del genere, servivano.
Ansimavano esausti e pesti.
 
- Lascia perdere, James.
- Non voglio essere… Protetto – e scandì bene quella parola, con un largo margine di ironia – Da te! Sono grande e vaccinato, non ho bisogno di queste cose! – esclamò, spazzandogli con il piede destro il baricentro e lasciando che Steve crollasse per terra come un sacco di patate.
 
Punto per lui, pensò il pilota.
- La mia vita privata è affar mio, ok? Solo mio, se permetti! – berciò, mentre l’amico si rialzava a stento, tenendosi la schiena e osservandolo con uno sguardo ferito. Aveva preso una bella botta, avrebbe fatto male per giorni. Ma non gliel’avrebbe data vinta, non a quel James che si stava comportando come un ragazzino di quindici anni.
 
Sputò un grumo di sangue a terra, prima di lanciarsi – letteralmente – in un placcaggio, prendendolo visibilmente di sorpresa. Lo inchiodò al suolo, con tutto il suo peso e la sua buona volontà, mentre l’amico lo guardava con occhi sgranati e increduli.
 
- Io ci sono passato, idiota! – replicò in rimando, urlandogli letteralmente in faccia, mentre il soldato distendeva i lineamenti in un’espressione più rilassata di quella di poco prima e notando quegli occhi sgranati riempirsi di lacrime.
- Levati, dai – fu la sua unica risposta, esalata dopo qualche secondo di silenzio.
- Non potrà mai dedicarsi a te, James, cazzo! Non ora! Non puoi sostituire Thane, lo vuoi capire o no? Non ci si libera la mente, sono passati un paio di mesi. Thane è ancora là dentro, ti distruggerà… - continuò Esteban, serrando gli occhi quasi con disperazione, mentre James teneva la testa alzata da terra e osservava le gambe del terminale alla sua sinistra, la mascella serrata.
- Lo sto dicendo per te, ti prego di ascoltarmi… Sei l’ultima persona su questo mondo che merita una cosa del genere. So cosa vuol dire! Non è il momento!
- E allora quando?! QUANDO!
 
In un nuovo scatto d’ira, Vega si levò di dosso Cortez, questa volta alzandosi in piedi e rimanendo fermo e a distanza. Un lungo fremito percosse il suo corpo, la mascella che a momenti si sarebbe spezzata.
 
- Quando sarà questo fottuto momento, Esteban! Quando, cazzo! Il giorno dopo aver ricacciato i Razziatori nel rescisso oscuro da cui sono strisciati fuori?! Non siamo neanche sicuri di avere un domani, un dopo! Un tra un po’, un tra cinque minuti! – sbraitò, incapace di controllare il tono di voce.
- Madre de Dios, una cosa mi serviva: la tua comprensione! Ma neanche quella, no, tu ti preoccupi che mi spezzi il cuore dicendomi “Oh, James, vacci piano che sono da poco rimasta vedova”. Ma va?! Ma dai? Oh, ti giuro che non ci avevo pensato… Grazie tante per averlo fatto tu al posto mio, cazzo!
 
Un fiume in piena.
Un fiume in piena che sarebbe straripato ad oltranza, se lo sguardo di Steve non si fosse paralizzato sulla figura che in quel momento aveva varcato le porte scorrevoli dell’armeria e stava a braccia incrociate, occhi gelidi sui presenti.
 
James intercettò con un brivido la traiettoria, voltandosi lentamente. Aveva il labbro spaccato, una guancia tumefatta e il sopracciglio destro che aveva visto giorni migliori.
Ma tutto il dolore che sentiva in ogni osso facciale si annullò, nel momento che – con orrore – si rese conto di avere il Comandante davanti agli occhi.
 
Li guardò entrambi, con le labbra serrate, un istante lungo secoli ove i due non osarono fiatare. Solo Steve ebbe l’accortezza di alzarsi, mentre l’amico rimase alla stregua di una statua di sale – la domanda bloccata in gola, così come il fiato.
 
Shepard  allargò le braccia in un gesto di stizza, muovendo un paio di passi nella stanza.
- Io… Io non ho parole – esordì, scuotendo di poco la testa in un convulso cenno del capo in senso di diniego, la voce roca e un poco strascicata, in un moto di stizza – Tempo che IDA mi avvisi, scendo di sotto e vi trovo devastati. Ora – e li trapassò con uno sguardo granitico, puntando l’indice – Io non voglio sapere il perché o il per come di questa rissa da bar, ma esigo – e sottolineò l’imperativo alzando il tono di voce – che finisca qui. Sono stata abbastanza chiara? – domandò, mentre entrambi abbassavano lo sguardo sulle punte dei loro stivali.
 
- Avete perso anche i timpani a suon di pugni, oltre che il senno?! Vi ho dato un ordine! – tuonò, con un’espressione che solevano vedere unicamente sul campo di battaglia. O verso il Consiglio. Sì, si può sempre parlare di campo di battaglia.
- Sì, Comandante – risposero all’unisono, osservandola sfilare verso l’ascensore a passo di marcia. Si scambiarono solo un fugace sguardo significativo, prima che James imboccasse la porta e lasciasse Steve con una buona dose di sensi di colpa.

 
Afferrò la maglia pulita e accuratamente ripiegata sul lavandino, per infilarsela. Successivamente si sistemò le medagliette al collo, in un respiro che assomigliava ad uno sbuffo teso e contrito.
- Bravo, Signor Vega. L’oscar per il Miglior Cretino della Galassia te lo sei guadagnato appieno – bofonchiò con sarcasmo, prima di lasciare il bagno in direzione dell’ascensore.




Meanwhile, in Beatrix's Headquarter...
Dunque, preciso che sono terribilmente insicura su questo capitolo, su questa sorta di rissa da bar. E' probabile abbia parecchio idealizzato questi due miei personaggi preferiti, ma ho trovato carino inserire una scena del genere per dare un fulcro a quello che un po' tutti ci chiederemmo in questa possibile situazione (e che - credo - vi starete chiedendo via via che questa breve storia va avanti), oltre al fatto che prima o poi si doveva affrontare questa situazione. *Ho Steve che mi batte la mano sulla spalla, in segno di comprensione, sottolineando l'evidenza*
Che dire? Bah. Voglio torturarvi ancora un po'. xD Vi ringrazio comunque per le "ole" dello scorso capitolo, vedere che bene o male tutte quante si sono trovate a proprio agio con la mia voglia di polverizzare quel damerino con la spada, mi ha reso tronfia e terribilmente soddisfatta con i miei sentimenti di vendetta. xD
Al prossimo capitolo! ;)

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Capitolo 8
*** Tiaré ***


Capitolo 8 – Tiarè

 
 
Una cosa, Maxime, aveva capito durante il breve periodo passato insieme a Thane e del gioco assurdo di comportarsi come una coppia quando potevano: lui odiava farsi fotografare. Lo detestava proprio e, francamente, era tutt’altro che fotogenico.
Lo sapeva lui, lo sapeva lei. Non era un segreto. (*)
 
Possedeva una sola foto stampata di lui, ma la teneva gelosamente custodita nel cassetto. La guardava di tanto in tanto, quando i momenti erano duri, ma era arrivata alla conclusione che quell’immagine peggiorasse ancora di più la situazione.

Gli aveva spiegato all’epoca quanto per gli umani – o comunque per tutte le razze che non avessero quel dono/maledizione dei Drell – fossero importanti le fotografie, per evocare ricordi o emozioni. E a lei piacevano le foto, molto. Lui aveva borbottato qualcosa con quella sua voce roca e imbronciata, per poi accettare di non distruggere tutte le copie disponibili presenti nel suo factotum, dicendole che andava bene se avesse voluto tenerle, ma che preferiva non vederle appese al muro della Normandy – come lei voleva fare.
 
 
L’aveva tirata fuori, sistemandola sul comodino, ma era durata un giorno. Quel dettaglio nella sua camera le rimandava alla mente troppi dolorosi e freschi ricordi, la distraeva continuamente e si ritrovava a guardarla ogni istante che passasse nei suoi alloggi.
Ma aveva trovato un modo diverso, Maxime, un modo che la facesse sentire meno a pezzi e che la confortasse allo stesso tempo.
Il modo che stava utilizzando or ora, quando mancavano più o meno cinque ore al portale Sol e a tutto ciò che si sarebbero trovati davanti.

La sua giacca.
Quando aveva dovuto fare i bagagli per il processo per la questione Batarian, distrattamente essa era finita tra i suoi effetti personali. Si ricordava di aver fatto su lo stretto necessario, di aver svuotato lo stipetto, ma quella giacca era spuntata con sua grande sorpresa una volta che aveva disfatto i bagagli nell’appartamento adibito ai domiciliari. Era stato lui, di sicuro.  
 
Ed ora, come molte altre volte, si era avvolta dentro a quel pezzo di pelle che tutto sommato le andava anche bene: un po’ più lunga di come stava a lui, ma comoda abbastanza da dormirci assieme. Non tirava su la zip, se la passava da fianco a fianco, accoccolandosi sul letto, perdendosi nel suo ancora presente profumo che evocava la sua presenza.
 
 
Joker aveva avvisato del countdown con una comunicazione generale e tutti quanti si erano ritirati nelle proprie stanze, salutandosi con sguardo teso dopo quella che sarebbe stata l’ultima riunione sulla Normandy SR2 prima della battaglia.
Poche parole, sorrisi tirati. Chi si era dileguato, chi preferiva stare assieme. Lei, si ritrovò ben presto a varcare le porte dell’ascensore e schiacciare il bottone con il numero uno e sebbene di norma trovasse essenziale rimanere da sola a riflettere in quei determinati momenti di tensione, il nodo alla gola che le si era formato dal momento che aveva salutato tutti, esacerbava quanto trovasse triste e doloroso passare quelle ultime ore in solitudine, nel tentare – stupidamente – di dormire un po’.
 
Perché era ovvio che non ci sarebbe riuscita. Aveva anche pianto, in silenzio, per qualche lunghissimo minuto, riscoprendo quanto fosse fragile e terribilmente umana, terrorizzata da ciò che avrebbe visto, affrontato. E sentendosi, ora, terribilmente sola.
 
Era quindi passata nuovamente a controllare tutti i dati delle forze alleate, partendo prima dalle truppe Turian per finire con i Geth, evidenziando le stime e i rapporti di localizzazione costante che le navi inviavano a lei e all’Alleanza, quando un bussare alla porta del suo appartamento la fece sobbalzare sul letto.
 
Si alzò controvoglia, appoggiando la giacca sull’angolo del letto, per poi sbloccare la serratura olografica e trovarsi di fronte a James e Steve e al loro sorriso a trentadue denti.
Alzò un ciglio, sorpresa, per poi osservare i loro lividi e medicazioni causati dalla rissa di poche ore prima e scuotere la testa.
 
- Beh? – esordì con un sorriso tirato, incapace di capire il motivo per il quale quei due apparissero di ottimo umore.
- Comandante… - prese la parola per primo Vega, mostrando la valigetta che teneva stretta al petto – Io ho portato le carte, Esteban li approvvigionamenti. Non sarà la nostra, ma ce la faremo andare bene lo stesso, no? – le spiegò, mentre Steve tirava su un cestello da dodici birre e lo mostrava come un trofeo duramente conquistato.
 
 
 
- Oye…
Un sussurro flebile, che Steve sentì solamente perché non era alle prese con la Kodiak, ma con il terminale delle armature da battaglia che aveva deciso, come se non bastasse, di dare problemi.
Si girò piano, un grosso cerotto sul naso, posando lo sguardo sulla figura di James che abbandonava lo stipite della porta e si faceva largo nella stanza.
 
- Oye… – ripeté quasi catatonico, alzando per un istante il ciglio nel constatare il doloroso taglio che l’amico esibiva sul labbro. Ci erano andati giù pesanti, entrambi.
James si era avvicinato incerto, mentre il pilota ultimava le riparazioni del terminale e riposizionava gli attrezzi nella cassetta alla sua destra, in religioso silenzio. Si sentiva colpevole, aveva riflettuto a lungo da solo su cosa fosse successo ore prima in armeria e si domandava, davvero, come diavolo avessero fatto ad arrivare alle mani.
 
Aveva anche capito ciò che Cortez aveva voluto dirgli in tutto questo tempo, di come l’avesse capito ancor prima che lui stesso se ne rendesse conto: comprendeva ora tutte quelle frasi che sembravano non avessero significato, quelle occhiate indiscrete e diversi discorsi lasciati a metà, ai quali lui – preso come fosse a tentare di pensare ad altro – non aveva prestato attenzione. Ed era anche arrivato alla conclusione che il tutto era dettato da quella stramaledetta battaglia finale, dal fatto che le loro vite fossero appese ad un filo. Per quanto si sentisse stupido, alla stregua di un condannato alla fucilazione, il quale richiede una sigaretta come ultimo desiderio, era incapace di sottrarsi a quel pensiero.
 
Questo era il motivo basilare che influenzava tutto. I suoi sentimenti verso il Comandante, ancora piuttosto confusi, il comportamento verso l’amico e verso sé stesso. Era semplicemente troppo stanco e spaventato per autoinserirsi un cuneo nel cervello e obbligarsi ad usare la ragione sempre e comunque.
Si era lasciato andare e aveva bisogno di questo, agognando anche l’approvazione del suo migliore amico – ed era rimasto terribilmente turbato nel constatare quanto gli stesse a cuore questa cosa.
Ma davanti ad un’obiezione così serrata, aveva perso la cognizione.
 
- Esteban… - lo chiamò, una volta che fu al suo fianco. Steve si girò una seconda volta.
- Volevo dirti che mi dispiace, mi sono comportato da coglione – ammise, mentre lui lo interrompeva scuotendo la testa e facendogli segno negativo con la mano.
- La colpa è mia.
- Non è vero – ribatté James.
- E invece sì. Avrei potuto affrontare la cosa in maniera diversa, o forse alla solita maniera. E’ un bel po’ di tempo che ho questo tarlo nel cervello e, insieme a tutto il resto…- si fermò, sospirando e massaggiandosi il collo – Non lo so. Io non so proprio cosa dirti James, se non chiederti scusa. Non sono affari miei... – lasciò cadere, con un tono che non appariva troppo convinto, ma che appariva come l’unico frammento evidente di verità in quella situazione assurda.
-  Non è che non siano affari tuoi, Esteban… - aveva provato a ribattere James, prendendo un sospiro profondo, ma l’amico lo fermò nuovamente.
- Hai già sofferto per tante cose, in passato, e il pensiero fisso che ti cacciassi in un casino più grosso di te, mi ha mandato in panico. Lo sai che sei come un fratello per me… Però so anche che nulla ti farà cambiare idea, testardo come sei – aggiunse Steve, con un flebile sorriso e chiudendosi nelle spalle, mentre l’amico ridacchiava sotto ai baffi, sollevato di sapere che tutto fosse tornato alla normalità.
- Hai scoperto l’acqua calda…- lo prese in giro dapprima, per poi recuperare la giusta serietà - Chiudiamola qui, ok? Come se non fosse successo nulla. Almeno abbiamo decretato che in battaglia potresti farci comodo… Non hai la mano leggera – gli mollò una pacca sulla spalla, mentre Steve rideva in rimando e gli faceva segno di non sballottarlo a destra e a manca, perché già si sapeva che Vega non fosse un damerino quando ci si metteva.
 
 
Passò circa una mezzora, ove spiegarono i loro punti di vista vicendevolmente, in tutta tranquillità, per poi finire sull’inevitabile domanda che James trovò il coraggio di fare: cosa, effettivamente, aveva sentito Shepard?
 
- Non credo molto…- si portò la mano al mento, grattandosi il pizzetto più lungo del normale – E’ entrata alla fine del discorso – aggiunse Steve, mentre il soldato si massaggiava le tempie nervosamente e sperava in cuor suo che Maxime non avesse indugiato ad entrare.
- Quella cosa della vedova…
- Avrebbe obiettato, o comunque avrebbe detto qualcosa… Cioè, se a Shepard non sta bene una cosa, di norma lo fa notare – cercò di consolarlo come poteva, incrociando le dita pure lui. In ogni caso, a prescindere da ciò, non avrebbero avuto tempo di pensarci o di discutere.
 
- Cosa vuoi fare? – domandò Steve dopo un istante di silenzio.
- A proposito di cosa?
- Vuoi andare da lei? Hai sentito la comunicazione di Joker, no?
Sospirò rumorosamente, spegnendo i terminali e riponendo gli attrezzi sotto ai banconi, mentre il pilota lo guardava con un ciglio alzato.
- Tu come stai…?- era stata la domanda che poco dopo, nel mutismo di Steve alla risata serafica di Vega, risuonò nell’armeria. Lo osservò senza ben capire ove volesse andare a parare, sollevando le spalle, ma lo sguardo addolcito che James ora gli rimandava evidenziò il significato di quella domanda.
 
Si appoggiò al piano di metallo, quando ebbe capito che il suo non era un tentativo che verteva su quelle ferite fisiche.
- Eh… Mi servirebbe una birra – ammise ridendo, ma con quei due occhi blu lucidi come la superficie di un lago, mentre James lo fissava assorto.
Non voleva lasciarlo da solo. Non quella notte, e si era già riproposto di risolvere la situazione giorni addietro, quando l’obiettivo della Terra era diventato concreto. Aveva in mente un piano, ma con tutto quello che era successo in quegli ultimi giorni…
 
- James, stai tranquillo per me – affrettò a dire, mentre l’altro gli piantava addosso uno sguardo brillante e un sorriso che la sapeva lunga. Ma davvero lunga.
- James…
- Non voglio lasciarti da solo, me lo sono promesso dall’inizio di questa missione. Ma non ho intenzione di lasciare sola neanche lei. Anche perché tu non avresti il coraggio di salire là sopra- sentenziò, puntandogli l’indice davanti al naso e con un tono che non prometteva nulla di buono – Ascolta il mio piano diabolico – proseguì, mentre l’amico cominciava a sudare freddo e tentava di replicare qualsiasi cosa possibile per dissuaderlo di partire, al solito, in quarta.
- Prendi la birra, io prendo la mia valigetta e andiamo su dal Comandante. E già che ci siamo, ci scusiamo – concluse, avviandosi fuori dall’armeria di corsa.
 
Steve rimase con le braccia lungo ai fianchi, una frase che gli morì in gola.
- Sei ancora lì?! – si udì dai corridoi.
- Non… Non credo che sia una buona idea, James! – protestò, ma non ricevette risposta. Si portò le mani al volto, stropicciandosi occhi e guance, e prendendo un lungo respiro.
- Oh, al diavolo… Aspettami!
 
 
 
- Cosa, esattamente, ci fate qui? – scandì il Comandante, con una specie di risata tirata, mentre James entrava tranquillo nel suo alloggio e Steve socchiudeva gli occhi e abbracciava nervosamente il cartone di birra appena tirato fuori dalla zona rifornimenti.
- Passare il tempo, Lola – la sfotté James, a cui seguì la pronta rettifica del pilota – Siamo passati per porgere le nostre scuse per il comportamento di oggi e per assicurarti che è tutto risolto. E per sapere come… Stavi – ammise in un moto di incertezza.
 
Maxime rimase interdetta, in particolar modo per la seconda parte della frase. Quell’andirivieni di significati che solo loro tre sapevano, per via di ciò che era accaduto negli ultimi mesi, la rendevano terribilmente nervosa e loro lo intuivano. Questo era il motivo per cui Steve aveva mosso remora, ma l’amico aveva insistito, asserendo semplicemente che forse sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero potuto pensare di fare una cosa del genere.
Al massimo li avrebbe sbattuti fuori, cosa sarebbe mai potuto accadere? Nulla avrebbe interferito sull’esito della missione, si parlava di rapporti personali, di fare un bel gesto nei confronti di persone alle quali sei affezionato. Nulla di più semplice.
 
- Lola, ascolta - fu James a prender parola, nel momento in cui le labbra di lei furono in procinto di muoversi per dire qualcosa – Né tu, né lui – e indicò Steve con l’indice della mano destra – dovete stare da soli in un momento come questo, non stiamo a prenderci in giro – disse in un tono terribilmente serio e sicuro, mentre i due si scambiavano un’occhiata a metà tra il confuso e lo scioccato – E per quanto riguarda me, beh, l’idea di passare una notte insonne a guardare il soffitto non è che mi allettava poi così tanto. Se non ci vuoi qui, ce ne andiamo e non è un problema, sul serio, ma ci penserei… – aggiunse, mentre lei si era fatta avanti e lo osservava con quegli occhi color violetto così glaciali da mettergli i brividi e Steve si sentiva lentamente morire, rimandando la mente a quelle frasi dette da Vega in armeria.
 
Si fermò innanzi a lui, le braccia incrociate e l’espressione di quando doveva – a malincuore – avere a che fare con il Consiglio.
Nervosamente, James tentò di asserire ancora qualcosa, ironizzando quella situazione come poteva, ma le frasi a disposizione erano molto poche. Quelle lecite e intelligenti ancora meno.
- Sì, lo so che non è un porto di mare il tuo appartamento…
- E…? – incalzò lei, facendo un passo ulteriore verso di lui e facendolo indietreggiare. Aveva messo le mani sui fianchi ora, impettendosi alla stregua di un tacchino. Un minaccioso tacchino.
- E che non posso comportarmi in questa maniera davanti al mio Comandante in grado?
- E…?-
- Oh, ma davvero vuoi che me ne vada? – protestò sconcertato, mentre lei scoppiava a ridere sinceramente e Steve tirava un sospiro di sollievo, uscendo dall’apnea di quei lunghissimi istanti.
- Falla finita e siediti. E tu non rimanere sulla porta, entra…  
 
 
- No, ma sul serio! Fai schifo!  
Cortez se la rideva, con una lattina di birra in mano e un full d’assi con regine appena steso accanto alla scala di James, mentre Shepard lanciava le carte in direzione sua e sbuffava afflitta.
- Io non ho parole…- commentò poco dopo, scuotendo la testa e osservando James che si dannava per aver, nuovamente, perso la mano contro l’amico.
- Non ci credo. Non ci credo, hai più culo che anima! E’ la quarta volta consecutiva! La quarta! – abbaiò fagocitando scompostamente una manciata di patatine.
Per contro Steve si era letteralmente sdraiato sul letto a ridere soddisfatto, in una posa liberatoria e con un’attinenza così serena e leggera che Shepard non aveva mai visto.
- Meno male che non stiamo giocando a Strip Poker, James… Finiresti nudo alla terza mano.
- Ti piacerebbe eh?
- Signor Vega! – aveva esclamato rialzandosi di scatto, mentre Maxime rideva di gusto – Siamo d’innanzi ad una signora! La Signora! Contieniti, suvvia… - aggiunse, mentre una lattina vuota lo colpiva alla tempia e il Comandante si alzava dal letto, ripulendo le briciole che si erano ammucchiate, asciugandosi una lacrima che le stava per scendere giù dall’occhio destro, scossa ancora dai sussulti.
 
- Credo che sia il caso di darci una regolata – fece notare, con voce morbida – Due ore e dovremo prepararci.
- Bueno, tanto la birra è quasi terminata – le fece eco James, alzando il cartone contenente ancora due misere lattine – E quattro di queste se l’è scolate lui! Col cazzo che mi ci porti sulla Kodiak, manco a pagare, piuttosto mi defenestro dal portellone della Normandy! – lo accusò, menandogli una sorta di manata sulla schiena che quasi gli fece sputare i polmoni. Si era lasciato parecchio andare, Steve, e francamente per il suo ruolo, per il momento imminente, e per tutta una serie di ragioni, occorreva che ci desse subito un taglio.
 
Ma Shepard non gli aveva detto nulla, anzi, anche lei aveva attinto volentieri alle scorte trafugate, senza battere ciglio. Era uno di quei rari momenti ove quasi tutto era permesso, sarebbe stato stupido tener strette le redini e rovinare l’atmosfera che, miracolosamente, si era alleggerita. E pazienza se Steve aveva bevuto: al massimo avrebbe ingurgitato tanto di quel caffè da passare le prossime ore sul water.  
 
Sorrise imbarazzato al cenno del capo del Comandante.
- Ok, per stasera basta così.
- Volete riposare un po’? – chiese lei, inginocchiandosi nuovamente sul copriletto blu scuro – Manca poco ormai – aggiunse, con un inflessione greve che non voleva dare, ma che non seppe trattenere.
I due si guardarono insicuri.
- Vuoi dormire un po’, Shepard? – fu Steve, questa volta, a prendere le redini in mano, mentre James pareva essersi calmato e fatto piuttosto silenzioso, curioso della sua risposta in merito.
Maxime sbuffò, guardandosi in giro più volte e tormentandosi il ciuffo nervosamente.
Dormire? Certo, come no… Di sicuro sarebbe riuscita ad infilarsi nel letto, scansare i datapad abbandonati ai piedi di esso, reinfilarsi la giacca di Thane addosso e dribblare adeguatamente il comodino per evitare di tirare fuori la sua fotografia e tutto il resto che sarebbe seguito.
 
Molte volte aveva “odiato” Vega per il suo continuo spuntare come il prezzemolo, ovunque lei andasse e, soprattutto, nei momenti più sbagliati. Ma stasera le aveva fatto uno di quei regali così inattesi e inimmaginabili, che avesse potuto dargli un braccio gliel’avrebbe dato senza esitare un solo istante.
Le era grata, sia a lui che a Steve. Non aveva trovato il coraggio di chiedere un po’ di compagnia, divisa tra le cose da fare e tutta la marea di emozioni che la stavano letteralmente per travolgere.
Ma ci avevano pensato loro.
 
Sono fortunata…” ammise a sé stessa.
 
- Vorrei sapere chi diavolo riuscirebbe a dormire in una notte come questa – fu la sua secca risposta dopo qualche istante di indecisione – Non dormirei neanche se la Chackwas mi infilasse quattro aghi nel… Vabbè, no, sono pur sempre il vostro Comandante, devo darmi una regolata – commentò ironica, provocando l’attenzione di James, che magicamente sembrò tornare in sé.
- Io personalmente non ho sonno – rispose lui, seguito da Cortez che alzava le mani in segno di resa.
- Non hai qualche film? Qualcosa da guardare?
Shepard si alzò dal letto, dirigendosi verso la teca dei modellini e chinandosi per aprire un cassetto contenente numerosi aggeggi elettronici. Cominciò a rovistare, bofonchiando titoli di tanto in tanto, i quali vennero profondamente bocciati.
 
- Con permesso, Lola – rise James, inginocchiandosi a sua volta, mentre Steve rimaneva in piedi con le mani sui fianchi e scrutava pure lui i titoli contenuti in quello scomparto. Vi era una lista scritta su di un datapad tascabile, messo lì da non si sapeva chi, come anche la provenienza di quel piccolo archivio.
- Certo che… Sono vecchi secoli – commentò il pilota – Ma roba degli ultimi cinquant’anni no?
- Ah, non prendetevela con me – rispose Maxime, alzando le mani – Me li hanno infilati qua dentro e me li sono ritrovati. Non so se sia stata un’idea di Anderson o di Hackett… O addirittura di un addetto rifornimenti. Non ho esattamente avuto il tempo per recuperare i film in uscita, sapete com’è. Sono stata un tantinello impegnata in sti ultimi tempi – aggiunse, mentre Vega cominciava a sghignazzare tra sé e sé, provocando la curiosità dei due, che come civette gli si fecero addosso dall’alto.
 
- Vogliamo ironizzare la sorte? – riuscì a pronunciare, mentre una forte crisi di riso andava via via scemando ed Esteban non riuscì a non mimare un gesto scaramantico nel basso ventre.
- James… Buon Dio…
- Che cos’è?
Il soldato sventolò il chip davanti ai suoi occhi, un sorriso a trentadue denti.
- Armageddon. Datato 1998… L’ho visto quando ero un ragazzino, rovistando nei vecchi scatoloni di mio nonno. Almeno fa ridere – replicò con visibile entusiasmo. (**)
Shepard lo guardò come se avesse le antenne e con una smorfia di puro sarcasmo dipinta sul volto. Con tutti i trilioni di film che erano stipati là dentro… Scosse la testa, come soleva fare e guardò dritto negli occhi Steve, il quale ricambiò con un gesto di resa esacerbato da un sorriso stanco, che sottolineava quanto fosse inutile cercare di far cambiare idea all’amico, se si fosse fissato.
 
- Se vogliamo sfidare il destino, allora… - lasciò in sospeso la frase, prima di essere letteralmente trascinata sul divano e che sullo schermo partissero i crediti iniziali.  

 
 
Passò mezzora prima che la stanchezza, quella vera e fisiologica, si facesse sentire. Si erano sistemati perfettamente, con numerosi cuscini sul tavolino per appoggiare i piedi – James e Maxime - per stare per lo meno comodi. E della comodità avevano approfittato letteralmente.
 
Steve era  collassato dopo i primi dieci minuti del film, sulla “L” del divano, tempia sull’angolo e braccia lungo i fianchi, Shepard l’aveva seguito venti minuti dopo, scendendo pian piano sulla spalla del soldato, mentre quello si sistemava per meglio accoglierla con un braccio attorno al collo.
Aveva sorriso quando li aveva visti crollare come dei cachi maturi, e di tanto in tanto rimandava qualche occhiata e qualche sussulto di riso rivolto ai rumori degni di un trombone che Esteban riusciva a produrre russando.
 
Avrebbero potuto anche bombardarli, che non si sarebbero svegliati.
Non riusciva a prendere sonno, lui, non ce l’aveva fatta. Shepard era scivolata più in giù rannicchiandosi su un fianco e lui l’aveva assecondata, per evitare di stampargli l’ascella in faccia e tirando a sé – in un moto da equilibrista – il poggia piedi con la punta dello stivale.
Sebbene avesse voluto con tutto sé stesso condividere quella muta vicinanza con lei e il suo migliore amico durante quella notte fatidica, concentrarsi sulla pellicola era… Qualcosa di assurdamente impossibile. Che, per inciso, sperava in una serata senza pensieri, trovandosi tuttavia solo con sé stesso e con il cuore a mille. Ma si era ripromesso di riguardare quel dannato film per conservare quel minimo di dignità che ora, nel silenzio e nell’incoscienza degli altri due, cercava di sfuggire al suo controllo.
 
Si limitò ad accarezzarle la schiena e il braccio sinistro, in un movimento costante di discesa e salita, mentre appoggiava parte del mento e la guancia sui suoi capelli: gli venne spontaneo inspirare il suo profumo.
Tiarè… Una cubana che profumava di Hawaii.
E si sentì letteralmente morire, mentre un nodo alla gola era salito mozzandogli il fiato, quando lei gli si strinse addosso, nel sonno, aggrappandosi convulsamente alla stoffa della sua maglietta bianca e scoprendogli parte del fianco.
Probabilmente stava sognando. Il respiro si era fatto scostante, accelerato in determinati momenti. La sua guancia premeva di tanto in tanto contro al suo petto, la mascella serrata nel digrignare dei denti.
 
Cercò di ironizzare, pensando che per lo meno poteva essere un comodo cuscino, ma l’amara realtà si fece largo in quella stretta stanza affollata.
Buttò un occhiata al soffitto, nel preciso momento in cui l’inevitabile si insinuò nel suo cervello ed istintivamente i suoi occhi si bagnarono di lacrime, che tuttavia non trovarono breccia: aveva appena assodato che i suoi non erano dubbi. Lui, ormai, era perso. La sua reticenza, radicata ancor più per tutti i casini riguardo alla missione, al presente e passato e al grado, era data dal fatto di non voler accettare di essersi innamorato di lei.
 
Una cosa così semplice, da risultare difficile. La normalità delle cose in una situazione che di normale aveva solo il nome.
 
Perché mi devo sempre complicare la vita…” pensò, portandosi una mano al volto, mentre con l’altra mano la stringeva debolmente a sé per non svegliarla. Non avrebbe pianto, questo mai.
Se non desiderassi altra donna all’infuori di te, Lola, ti odierei con tutto me stesso. Cosa diavolo devo fare, ora? Con che controllo scenderò al tuo fianco, sapendo che potresti morirmi davanti agli occhi? Esteban ha ragione…” aggiunse, con un piccolo sussulto del petto “Mi sono divertito a giocare col fuoco, per tutto questo tempo, nonostante tutti i buoni propositi. Quindi, bravo coglione, ora leccati le ferite! Ma, dannazione, nessuno dei miei superiori era te! E che considerazione del cazzo è, aggiungo…
 
Il batticuore e quei pensieri martellanti, si erano evoluti in una mezza crisi di panico: imprecò mentalmente per la posizione che aveva assunto, la quale non gli permetteva il minimo spazio di manovra.
 
Stette i seguenti trenta secondi a guardarsi attorno, alla disperata ricerca di trovare un qualcosa, un qualsiasi cosa, per poi notare l’ora: mancava poco meno di quarantacinque minuti alla sveglia di Joker.
Fanculo…” pensò, stringendo i denti.
Si abbandonò contro allo schienale del divano con un tonfo, serrando gli occhi e regolarizzando il respiro come poteva, mentre il film entrava nel vivo.
Successivamente crollò.
 
 
 
Spalancò gli occhi, inquadrando un braccio umano che giaceva sulla sponda del suo divano. Come se fosse intrappolata in una gabbia, realizzò di fare fatica a muoversi, ma riconobbe appunto la sua stanza e ricollegò in fretta la situazione. Mosse leggermente il volto verso lo schermo, sul quale scorrevano i titoli di coda e sentì un respiro profondo provenire dalle sue spalle.
 
Imprigionata in quella realtà rallentata, la sua mente volò alle immagini di poco prima: nuovamente quel sogno, ma con un epilogo a tratti oltre l’inquietante. Il fuoco che bruciava attorno a lei e a quel bambino all’incirca sui dieci anni, abbracciati e sorridenti, sotto i suoi occhi.
Serrò le palpebre quando un fortissimo senso di nausea la pervase, per poi riaprirli e trovarsi la fibbia dell’uniforme di James sotto al naso. E come d’incanto, ecco che il corpo cominciava a darle le informazioni spaziali: si accorse di essere rannicchiata sul fianco, il volto appoggiato sul suo ventre e il braccio atto a cingerlo per la vita.
 
I suoi occhi si mossero a destra e a sinistra, febbrilmente per qualche secondo, mentre nel profondo del suo cuore trilioni di domande e sensazioni prendevano il sopravvento, come la piena di un corso d’acqua che trova spazio tra le rapide di un terreno scosceso.
La nausea, però, si rifece sentire molto più forte di prima, impedendo l’escalation di distruzione che era pronta ad innescare.
Arresto fisiologico. Moto di conservazione forse, l’ultimo barlume di amor proprio.
Era… Stanca. Stanca di pensare, stanca di sognare, stanca di vivere ogni giorno la stessa tortura. Un singhiozzo la scosse, ma non la sorprese, mentre appoggiava nuovamente il capo sul fianco di lui e lo abbracciava, con la delicatezza di una piuma d’uccello che si appoggiava sullo stelo di una spiga di grano. Premette la fronte, sperando di sparire, mentre le lacrime bagnavano la sua t-shirt bianca.
 
Decise di spegnere il cervello e tutto ciò annesso e connesso, passando gli ultimi dieci minuti nel cercare di calmarsi e riprendere il controllo di sé stessa. 





Meanwhile, in Beatrix's Headquarter...

Due semplici note:
(*) Semplice speculazione da fangirl. Ho provato ad immaginare un Thane un po' meno accondiscendente sulla totalità degli usi e costumi delle altre razze. E poi, diciamocelo: per quanto lo amiamo, è tutt'altro che fotogenico davvero. Ma davvero davvero. xD
(**) Lo so che esistono trilioni di film più belli/profondi/adatti in un momento come quello, ma ho tirato in mezzo Armageddon per il fatto che, quando nel '99 mi avevano regalato la videocassetta - per la mia Cresima - sono riuscita a guardarmelo (e non scherzo, perchè le ho contate) ben 51 volte. So quasi tutti i dialoghi a memoria. xD Beh, sono malata di Bruce Willis, non penso ci sia molto da aggiungere, ma volevo inserire questo piccolo tributo a quel film tragicomico che all'età di 13 anni mi aveva fatto innamorare. <3

Dovete sapere che l'idea di scrivere questa fanfiction, mi è arrivata da questa canzone di Pink (e preciso che solamente questi capitoli finali avranno una soundtrack, appunto per mia scelta). Allora, io sono metallara nel sangue, non c'entra nulla con il mio genere, ma questa canzone è stata per me un tormentone: ero in macchina che tornavo da casa del mio ragazzo, e mentre l'ascoltavo per la settordicimillesimavolta, mi si è dipinto questo particolare momento. Non c'entra chissà cosa il testo, è la musica e in parte il ritornello che mi ha ispirato questa scena: quando ero in romance con Thane, non ce l'ho fatta a passare quella notte da sola. Mi ha aiutato Liara ^^'' Mi sento ancora in colpa adesso per quella scelta, ma sarebbe stato ancora più triste immaginarmi la mia Shepard sola e disperata, a contare i secondi prima dell'annuncio di Joker. 
Quindi ho pensato: ma se, romance a parte, ci fossero stati James e Steve a tenerle compagnia? Perchè no? :) E via, all'inizio dovevano essere il primo capitolo, il secondo capitolo e questo qui, a comporre questa storia. Con un finale diverso. Ma poi la passione per quest'avventura mi ha fatto propendere per una fic leggermente più lunga, che approfondisse un po' di più i protagonisti. 

Concludo questo piccolo sproloquio col ringraziare immensamente Shadow e Ann per il loro supporto continuo: grazie ragazze! Non posso descrivere quanto vi sia grata per le vostre opinioni e il vostro incoraggiamento. ^^
Alla prossima!

 

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Capitolo 9
*** Take the Earth Back! (Inferno) ***


Premessa: mi scuso profondamente per il ritardo con cui pubblico. Dovevo farlo a Natale, ma alla fin fine è passato un dannato mese. Ho avuto un periodo che non so neanche io come descrivere, se non incasinato, pessimo, travagliato e... Basta mi fermo. Ieri notte, a mezzanotte, ho finalmente trovato il tempo e l'ispirazione giusta per portare a termine la riscrittura di questo capitolo, che mi ha creato davvero innumerevoli problemi. Ma ci sono! :) E vi auguro una buona lettura. :)

 



Capitolo 9 – Take the Earth Back! (Inferno)
 
 
Si erano lasciati tutti e tre in silenzio, salvo le risposte agli ordini di Shepard sulle immediate mosse. Joker li aveva avvisati, svegliando James e Steve, ancora addormentati sul divano in un sonno che profondo risultava un eufemismo.
Maxime, invece, si era rifugiata in bagno qualche minuto prima vomitando anche l’anima, ma uscendone grossomodo in ordine. Impeccabile, avrebbe detto qualsiasi altra persona che non la conoscesse, ma era chiaro che aveva abusato, quasi, del trucco per coprire quei segni in viso che in ogni caso erano evidenti.
 
Si scambiarono un’occhiata pensierosa, salutandola e scendendo per prepararsi. Erano l’aprifila dell’esercito più epico che si fosse mai costruito e il portale Sol era dietro l’angolo: esattamente mezz’ora mancava, prima di agganciare la Normandy al portale ad effetto massa ed essere catapultati nell’incubo.
 
Shepard si era cambiata, mettendosi l’armatura già lucidata e conservata nel suo appartamento. Sistemò il visore, per poi passare l’ultima volta innanzi allo specchio per sistemarsi i capelli.
Sospirò rumorosamente, guardando la sua immagine riflessa allo specchio e ritrovandosi a constatare che il cestino della spazzatura aveva di sicuro un aspetto migliore di lei.
 
Doveva fare ancora una cosa, prima di andare di sotto sul ponte di comando: aveva rimandato quel momento fino alla fine, ma doveva farlo e doveva mostrare un po’ di sana spina dorsale a sé stessa. Mosse i primi passi, incerti, per poi incedere con più sicurezza. Arrivò spedita al comodino, aprì il cassetto e afferrò in un gesto brusco la foto di Thane.
 
Trattenne il fiato per una manciata di secondi, aspettandosi che – come al solito – le lacrime rompessero gli argini, ma così non fu. Lo osservò quindi per quasi un interminabile minuto.
 
- Non ti chiederò di darmi la forza, questa volta. Sono io che dico una cosa a te – esordì, nel vuoto della sua stanza, sentendo un’onda di adrenalina inondarle le vene – Ti prometto che arriverò fino in fondo. Finché potrò, combatterò. E anche quando non potrò più farlo, lo farò lo stesso. E’ una promessa, Thane… E’ una dannata promessa – concluse con gli occhi e la bocca asciutta, in un sibilo, riponendo la foto nel cassetto e chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
- Comandante, ci siamo – fu la risposta di Joker all’incedere dei suoi passi nella cabina di comando. Lo vedeva lì, di fronte a lei: la luce azzurro vivo quasi l’ipnotizzò e dovette serrare gli occhi con forza.
La fugace visita di Hackett a bordo riuscì a calmare momentaneamente gli animi, e forse anche a scaldarli: non era tanto la figura di prestigio conosciuta alla galassia a fare ciò, ma al fatto che era riuscito – assieme a Shepard – ad arrivare fin lì e portare una speranza che non era una frivola idea, ma un esercito capace di spazzare via mezza galassia.
 
Abbassò nuovamente la maschera di freddezza e determinazione che la contraddistingueva, mettendosi rapidamente in contatto con tutta la flotta: mano a mano, risposero ordinatamente alle chiamate. Non c’era individuo sulla Normandy che non provò un brivido di soddisfazione, via via che le chiamate alle armi ricevevano risposta positiva.
Serviva ancora solamente una cosa.
 
- Ci avviciniamo al portale Sol.
Ecco la telecronaca di Joker, con il suo tono di voce quasi eccitato.
- Trenta secondi all’uscita dal portale.
 
Il raggio agganciò la Normandy: una forte luce azzurra si sostituì allo sfondo dello spazio puntinato di stelle, prima di arrivare nei pressi di Plutone in un lasso di tempo tale che solo poche parole potevano riempire.
 
- C’è da esserne fieri, Comandante – fu l’ultimo commento del pilota, che si voltò leggermente verso di lei, regalandole un sorriso compiaciuto come solo lui sapeva fare.
E Maxime mostrò la sua voglia di sorridere, nonostante tutto, a quel complimento, prima di catalizzare la sua attenzione sulla stella che brillava davanti ai suoi occhi: il Sole.
Passarono Nettuno e Urano, rapidissimi, Saturno incantò – come sempre – con i suoi colori e i suoi anelli, mentre Giove non mancò di impressionare con la sua mole e la sua tempesta perenne.
 
- Alleanza in posizione. Turian in posizione. Asari in posizione.
- Flotte Quarian schierate e perfettamente operative – si sentì, dall’altra parte dell’autoparlante.
- Geth in posizione – scandì nuovamente Joker, vedendo sugli scanner che il restante delle navi cominciava il suo afflusso attraverso il portale Sol. Un vero peccato non essere in mezzo a quella formazione, ora, perché lo spettacolo di veder apparire tutte quei prodigi della scienza e dell’ingegneria era qualcosa di impagabile.
 
Passarono la fascia di asteroidi e il pittore cominciò a stendere il colore sulla tela. Ed ecco Marte e poi, Lei, la Terra, nei suoi colori così meravigliosi. Erano tornati a casa.
 
- Flotta in posizione, Comandante. Pronti ad ingaggiare al tuo comando – proseguì, mantenendo la piena concentrazione sulle sue mani che si muovevano febbrilmente sui tabulati elettronici dei comandi che aveva innanzi alla sua postazione, mentre Maxime teneva gli occhi fissi sul Pianeta Azzurro, il quale riportava già da quella distanza segni di turbamento.
 
Era emozionata. Differenti emozioni stavano facendo a pugni dentro di lei: soddisfazione, rabbia, nostalgia, gioia e terrore. Rimase in religioso silenzio, mentre la concentrazione per la missione lottava per non abbandonarsi a quelle correnti impetuose, finché non li vide.
 
Chiaramente.
Le sagome di quei dannati esseri che si preparavano ad ingaggiar battaglia. Non trasparì nessuna smorfia sul suo viso, alzò solamente lo sguardo sull’obiettivo primario, nello stesso momento in cui l’allarme della Normandy cominciò a suonare all’impazzata.
 
“E’ sarà solo l’inizio della resa dei conti…”
- Ci siamo gente! Attendete il mio segnale.
“Vi spazzerò via… Dal primo all’ultimo. E’ questo il mio compito e intendo portarlo fino in fondo”.
Una manciata di secondi che parvero secoli, nei quali osservò quelle creature terrificanti, la loro forma, i loro movimenti, la loro massa. Quei bracci – o gambe – che cominciavano ad aprirsi per scatenare una potenza di fuoco allucinante, ma che avrebbero trovato pane per i loro denti.
Oh, se l’avrebbero trovato.
 
- FUOCO!
 
E poi, il delirio. Riorganizzata la formazione di Caccia dell’Alleanza, e dato il via libera al fuoco d’avanguardia, l’obiettivo era quello di eludere le forze nemiche e passarne agilmente la linea, pronti per lo sbarco sulla Terra.
 
Fu semplice. Ma solo perché ai comandi c’era il Luogotenente Moreau. Si scambiarono uno sguardo intenso, prima che il pilota si esibisse nel saluto militare classico: fiducia ed orgoglio. Non era un segreto il fatto che Joker stimasse il Comandante in lungo ed in largo, ma leggergli negli occhi quella trasparente verità, in quello sguardo così difficile da trovare dipinto sul suo volto, riuscì a farla sentire a metà tra il lusingato e il terrorizzato.
 
- Fa attenzione – una frase forse scontata da dire in quei casi, ma non con quegli occhi verdi che le stavano urlando di ritornare con le sue gambe sulla Normandy. E glielo stavano chiedendo per favore.
- Scordati le raccomandazioni. Ce la caveremo… Resta concentrato, Jeff – fu invece la diretta richiesta di Shepard, lo sguardo duro e determinato. Si doveva fare compiere un miracolo, e per farlo dovevano essere tutti estremamente lucidi. In particolare l’unica persona in grado di portarli via da quell’inferno incarnato in terra.
 
 
Se quello nello spazio attorno alla Terra poteva essere definito come delirio, ciò che trovarono a Londra… Beh, era difficile trovare un termine che fungesse da rafforzativo al precedente. La formazione era la classica, perché funzionava davvero alla grande: Shepard e James in avanti, a caricare alle loro maniere, Garrus invece nelle retrovie con il suo Black Widow, a facilitare – e non poco – le cose. Il ruggito di quel capolavoro di ingegneria bellica era qualcosa di indescrivibile, musica per le orecchie di ciascuno di loro.
 
Ma quella non era una missione normale. Quella era LA missione. Una fottuta carneficina, se non volevi trovarti a far compagnia ai vermi. Poche parole spese Shepard tra la tensione di ogni avanzata e il ritrovo dei vecchi colleghi, superiori, commilitoni: mai fermarsi. Neanche quando l’equivalente Razziatore delle Torri Jammer agganciarono la Kodiak.
 
Steve ebbe un moto di sorpresa e gli chiese se fosse impazzita, ma lo fece con un professionalissimo “Signora?!”
 Sarà stata la rabbia, l’adrenalina… Maxime aveva intenzione di spianarsi la strada, con qualsiasi mezzo, anche andare a piedi a recuperare quelle dannate armi pesanti.
 
Ma quando la Kodiak venne colpita, successivamente alla loro avanzata a terra, provò per la prima volta un terrore tale da impedirle di muovere anche un solo muscolo. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola, urlò il nome di Steve tanto forte che quasi si scorticò la laringe.
 
- Shepard, sto bene. Ma non posso recuperarvi, devo atterrare – rispose, misurando ogni più flebile nota del tono, cercando di non farsi sfuggire nessuna sfumatura particolare, mentre serrava i denti per ignorare il gran casino che i terminali della navetta stavano facendo.
 
Era troppo presto tirare un sospiro di sollievo. E lei lo sapeva. Soprattutto, sapeva che sopra a quelle macerie li aspettava una festa di tutto rispetto.
E l’unica cosa che riuscì a dire in quella corsa frenetica, preoccupata per lei stessa, i compagni, le truppe, fu la solita frase scontata, quella muta richiesta di aiuto. A quanto pare era difficile non fare le raccomandazioni, pensò. Era difficile realmente andare avanti a muso duro, rimanendo concentrati, passare oltre ed oltre, a tutto e a tutti.
 
- Fa attenzione – esalò, rendendosi conto di quanto si sentisse paradossale e piena, intrisa di dubbi. E terrorizzata dalla punta dei capelli agli alluci, mentre si sforzava di salire sui contrafforti degli edifici ormai distrutti.
 
- Per te questo ed altro – concluse Steve, con una nota così dolce da farle strappare un sorriso tenero e una gran voglia di abbracciarlo e mandarlo al diavolo allo stesso tempo, con un sonoro calcio nel sedere.
La grandezza di un Capo, di una Guida, di un Leader, la si determina dal valore dei suoi uomini. E quel manipolo di uomini, umani e alieni, che ora stavano al suo fianco, ne dimostravano oltre l’umana immaginazione.
 
 
 
Attendeva alla sua postazione oltre alla cinta del quartier generale adibito per l’occasione, osservando i soldati innanzi a sé, alcuni concentrati e freddi, altri piuttosto spaventati. Tutto sommato, comunque, il gruppo sembrava avere il controllo sulle loro emozioni.
 
Si erano scambiati un cenno di assenso, seguito da un sorriso di sollievo, quando James le aveva semplicemente detto che Cortez era tutto intero. La vide precipitarsi dentro la sala telecomunicazioni, un gesto per comunicargli di aspettare lì.
L’aveva sentito poco prima che lei arrivasse ed era stato un sollievo: avevano parlato per cinque minuti scarsi, ma si erano detti tutto quello che dovevano dirsi.
 
 
- Hey, Esteban! Non è poi così male come pensavamo, dai… Una birra ghiacciata, un divano dismesso e una bella spogliarellista avvinghiata ad un palo… Bastano poche cose per raddrizzarmi la giornata, lo sai. Vieni qui a tenermi compagnia – esordì James, allargando le braccia e racchiudendo tra pollici e indici lo sfondo della vetrata che dava sul corso principale, a formare un rettangolo.
 
Il pilota gli riservò uno sguardo sorpreso per quel lasso di tempo necessario a capire che la sua irriverenza, nonostante il casino, fosse rimasta immutata.
 
- Quanto sei scemo, James! – soffocò una risata, scuotendo la testa e avvicinandosi di più al terminale – Ma rifiuto gentilmente l’offerta, visto che la cosa più simile ad una spogliarellista qui fuori è una dannata Banshee… O in alternativa, un Cannibale. Per questa volta passo.
 
Consumarono le risate di quel momento, per poi trovare di nuovo la giusta serietà per affrontare quella situazione.
 
- Mi han detto che vi siete dati da fare…
- Vorrei poter dire normale amministrazione – rispose Vega, ponendo le braccia sui fianchi ed esibendo un sorriso sghembo – Ma non mi crederebbe nessuno stavolta.
- Hai la mia benedizione… Mi sembra superfluo dirlo ora – cambiò rapidamente discorso, Steve, arrivando indolore al punto. Non era riuscito a far quadrare i conti e quello era l’unico e ultimo momento per farlo. L’espressione di James mutò da sorniona a sorpresa, lanciandogli uno sguardo smarrito, non aspettandosi una piega del genere. Affatto.
- Non credo che…
- Fallo – l’aveva interrotto – So che lo vuoi fare e ti stai chiedendo quando poterlo fare. Non sarà mai il momento, e tu lo sai – aggiunse, mentre l’amico rispondeva con un sorriso amaro, lanciando uno sguardo alla stanza vuota attorno a sé, fatta eccezione per il soldato alle prese con il terminale, che a dirla tutta si stava facendo gli affaracci suoi.
 
- Ma il tempo stringe.
- Lo so. Me ne rendo conto perfettamente – aveva confessato con l’aria stanca, gesticolando all’inverosimile come soleva fare quando terribilmente agitato. Quel tarlo aveva scavato a fondo, lo sapevano entrambi.
 
Steve gli sorrise bonariamente.
- Potrebbe essere l’unica occasione, James. Potremmo morire tutti da un momento all’altro – ammise con una franchezza disarmante, mentre James lo guardava con occhi mortificati. Avercela a fianco era stressante, per il semplice fatto che la doveva proteggere. Ma non avercela… Aveva camminato in lungo ed in largo da quando si erano divisi, al quartier generale, tanto da fare il solco sul terreno al suo incedere perpetuo. Un nodo terrificante alla gola era nuovamente ricresciuto e non voleva saperne di andarsene, ma si era augurato di poterlo fregare, quel dannato pilota, una volta tanto.
 
- Nel caso migliore mi farà saltare un molare. Credo che il treno sia passato, ormai. Non posso in una situazione del genere, non me la sento e non voglio una responsabilità tale in questo momento – ammise, aprendo le braccia e guardandosi le punte degli stivali con aria rassegnata.
 
- Non puoi saperlo James…
- Ho il terrore di saperlo, Esteban. E sono un codardo, lo sai tu, lo so io. Quel che devo fare ora, è salvarle la pelle per salvare noi tutti. Senza Shepard, questa guerra è persa – parlò concitatamente, il respiro che faceva fatica a rimanere regolare. Stava per aggiungere qualcosa di importante – così evinse Steve dal suo sguardo – ma il factotum evidenziò un messaggio, il quale venne letto con un lungo sospiro da entrambi.
 
- Devo tornare in formazione, Esteban. Non fare stronzate, te! Promettimelo. Riporta quel tuo dannato culo sulla Normandy, o giuro che scenderò all’inferno per il puro gusto di prenderti a calci!
 
Quegli occhi color nocciola e quell’inflessione così dolce e malinconica nella sua voce, furono una stilettata nel cuore di Steve, che mai come in quel momento desiderò imbracciare un fucile, mettersi un’armatura e sfidare la sorte per il puro intento di raggiungere quel fratellino troppo cresciuto che ora si trovava da tutt’altra parte.
 
- Te lo prometto e tu vedi di far lo stesso, dannazione. Shepard ce la farà.
 

- Sei veramente tutto intero?
Cortez non poté fare a meno di ridere nuovamente.
- Voi due avete così poca fiducia in me? – domandò con ironia, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi – Sono tutto intero, sì, non dico di essere mai stato meglio, ma sono vivo almeno per il momento – aggiunse, inclinando la testa su un lato.
- Sei stato silurato da quei dannati esseri…
- Sai, capita quando devi guidare una navetta nel bel mezzo di uno scontro intergalattico…
Maxime mise le mani sui fianchi, la fronte corrugata.
- Ok, tu sei stato troppo tempo a contatto con Joker – ammise, non riuscendo a finire la frase con tono serio e minaccioso, per scoppiare in una risata distesa, alla quale seguì quella di Steve.
 
- E’ stato un onore essere al tuo fianco, Comandante. E credimi che vorrei essere lì con te con tutto me stesso. Mi spiace.
- Lo so. Ma combatteremo lo stesso assieme, anche se divisi. Io… - prese una pausa, massaggiandosi il collo e abbassando gli occhi per qualche istante, giocherellando con le parti metalliche dei guanti  – Si potrebbe dire che sia brava con i discorsi, ma la verità è che…
- Ce la farai, Maxime. So che ce la farai – confessò candidamente, mentre lei riportava gli occhi nei suoi. Avrebbe voluto davvero che lui le fosse accanto, con la sua calma e ponderatezza. Con la sua dolcezza, anche solo per un abbraccio, una pacca sulla spalla. Un contatto che fosse uno.
 
- Resta viva.
La fermezza con cui il pilota pronunciò quella frase, fu simile allo sguardo mesto di James ricevuto da lui stesso poco prima.
- Lo farò – rispose semplicemente lei, avvicinandosi all’ologramma – E anche tu, amico mio. Non mi abbandonare ora, Steve – gli disse con un filo di voce.
- Non ti ho abbandonata prima, non lo farò adesso.
 
 
Le poche parole che aveva scambiato con Esteban avevano avuto l’effetto di un gigantesco uragano emozionale su di lui. Fino a quel momento aveva optato per due cose: la prima era non pensarci. Quando sei sotto fuoco nemico devi stare concentrato, se non vuoi semplicemente aumentare le tue chance di morte. Concentrazione, capacità deduttiva ed intuitiva, capacità di ignorare la fatica e il dolore, un paio di gambe e di braccia veloci.
La seconda cosa era stata ergere una diga di considerevole spessore e dimensioni, per impedirgli correre da lei, dirle tutto quello che voleva dirle e di minare il suo delicato equilibrio mentale con quella rivelazione.
Andare lì da lei, fermarsi di fronte e confessare quanto odiasse il fatto di ritrovarsi a provare vergogna dei propri sentimenti, di quanto si sentisse inadeguato, piccolo, di quanto si sentisse fuori posto e quasi un peso. E quanto fosse egoista quel suo slancio, in un momento ove i problemi erano ben altri.
 
Appoggiato al paramano rossiccio dell’area verde che delimitava quello spazio tra le rovine, sentiva crescere dentro di sé un paradosso sempre più pesante da ignorare: Steve aveva detto il vero, da un momento all’altro poteva giungere la fine della storia dell’intera Galassia, non solo di quell’avventura intrapresa per merito.
No, non si trattava di una cosa personale, individuale. Quella era un’opzione che riguardava tutti quanti. E a fronte di quella realtà, quello che sentiva come proprio egoismo, aveva rilevanza? Eppure non si trattava di un torto, di una cosa brutta. Lui si era semplicemente innamorato della donna che l’aveva sempre affascinato, dapprima come soldato, poi come Comandante in grado, poi come persona. Sapeva di essersi ritagliato un rapporto un po’ diverso dal normale con lei, che verteva sulla leggerezza di prendersi in giro a vicenda, benché il confine tra il lecito e l’illecito in quel frangente fosse così sottile da essere impalpabile.
 
Si morse il labbro, abbassando la testa, mentre coi gomiti appoggiati alla superficie rugosa reggeva il suo peso. La cosa che più lo faceva infuriare era quella di sentirsi realmente un ragazzino: aveva avuto molte storie prima di arruolarsi definitivamente nella Marina dell’Alleanza e decidere che quello sarebbe stato il suo posto, ma da quel giuramento, giurò anche a sé stesso di rispettarne i principi – anche se determinati principi non erano scritti nero su bianco, piuttosto erano una linea guida per non complicarsi la vita inutilmente. A detta sua, ovviamente.
Complice forse la sua giovinezza rispetto alla stragrande maggioranza del gruppo, si prese il lusso di supporre. Ma effettivamente la realtà era quella: francamente non sapeva a quanti anni umani corrispondessero l’età di Garrus, o di Tali, ma era quasi pronto a scommettere di essere uno dei principali ad abbassare la media. Forse Traynor gli avrebbe dato una mano, ma Joker era più vecchio di lui, Kaidan anche. Steve se li portava egregiamente, ma era evidentissima la differenza di età. Liara… Beh, aveva candidamente espresso di essere ormai oltre al secolo, Javik era un caso a sé stante, IDA non faceva testo. E sì, il Comandante viaggiava ormai oltre la trentina e di certo Thane non era un ragazzino, visto il figlio che si ritrovava.
 
Sbuffò rumorosamente. Si domandò se quelle considerazioni letteralmente idiote fossero suggerite direttamente dal suo istinto di autoconservazione, dal suo subconscio, dal suo farsela letteralmente sotto dalla paura.
 
Stavano per combattere la battaglia finale contro i Razziatori, e lui cosa faceva? Si barcamenava a destra e a manca tra discorsi di età e crisi adolescenziali?
Madre de Dios… Ci mancava il mal di testa” pensò, strizzando gli occhi e massaggiandosi le tempie, poco prima di sentire una mano appoggiarsi sulla sua schiena e la voce inconfondibile di lei.
 
Si voltò di scatto, come per ridestarsi e incontrò il suo sguardo preoccupato.
- James, c’è qualche problema?
La realtà dei fatti fu che quella domanda gli era stata posta dal suo Comandante, dal momento che era la terza volta che lo chiamava, senza ottenere risposta. Quello che invece i suoi sensi colsero, furono quegli occhi colmi di sfumature tra i toni caldi e i freddi, interdetti e velati, quasi fossero liquidi.
 
- James…
Abbassò gli occhi, quando sentì la sua mano sulla guancia, premere leggermente le dita per poi farle scivolare leggermente fino alla corta barba incolta. Abbassò gli occhi quasi come riverenza, come timore, mentre lei cominciava a preoccuparsi sul serio.
- Scusa Comandante, non ti avevo sentita – rispose flebilmente e in maniera poco convincente. Inarcò un sopracciglio, Shepard, a quella risposta.
- Mi hai fatto preoccupare, dannazione… Tra poco scenderemo in campo per l’ultima avanzata. Ero passata per illustrarti la strategia, Garrus sta salutando il gruppo.
 
Sentì il cuore in gola, le lacrime di panico affacciarsi da i suoi occhi, mentre si immaginava di tornare da quello scontro epico senza di lei. Vide chiaramente uno di quei dannati esseri toglierle la vita, in modo brutale.
 
Avrebbe capito, Shepard? Probabilmente sì. A meno, questo fu quello che gli comunicò la sua parte emozionale. La coscienza, invece, quella poca lucidità che gli era rimasta mentre effettivamente si stava sentendo morire dentro, diceva di lasciar perdere.
 
Domani potremmo essere tutti morti…
Il suono delle parole di Steve giunsero ovattate alla sua mente, distorte come lo era il suo udito, nel momento nel quale prestava la minima attenzione necessaria a seguire il filo del discorso, visionando il grafico sul suo factotum e rispondendo affermativamente alle sue direttive.
Ma Shepard non era stupida, si era accorta che il soldato stava con la testa da tutt’altra parte: tacque per un lungo istante, osservandolo perdere lo sguardo nella trasparenza dell’ologramma visualizzato sulla fittizia parete arancione.
Era lontano anni luce da quella situazione, era questo ciò che lei vedeva.
 
- James… Devo essere sicura che tu abbia compreso nei minimi dettagli questa cosa – esordì, non proprio gentilmente. Voleva il massimo da lui. Non gliel’aveva mai chiesto, perché Vega era uno che dava il massimo, sempre e comunque, tuttavia doveva avere la mente adeguata per farlo. Cosa che ora non aveva, era palese.
 
- Levati qualsiasi altro pensiero dalla testa, ho bisogno che tu sia concentrato. Tu e Garrus mi dovrete coprire le spalle, devo arrivare là dentro viva o è finita qui. Se devi dirmi qualcosa, fallo ora – aggiunse, avvicinandosi e scrutandolo in volto con uno sguardo più morbido questa volta, ma piuttosto preoccupato, mentre lui si irrigidiva e sgranava gli occhi colmi di disappunto per quell’osservazione tutt’altro che gradita.
E per quell’inaspettata invasione di privacy.
 
- Ho mai sbagliato? Ho mai commesso un errore del genere? – fu la sua replica, visibilmente punto sul vivo, alla quale Maxime reagì incrociando le braccia al petto.
- No, non l’hai mai commesso – fu la sua risposta.
- Esatto. Quindi non preoccuparti per questo. Ti coprirò le spalle, come al solito. Fosse l’ultima cosa che faccio, ti farò arrivare viva là dentro. Diversamente, non potrei mai perdonarmelo. Mai – proseguì, lasciando morire l’ultima frase, quasi parlasse con sé stesso, salvo poi pentirsi amaramente di aver proferito quelle parole, quando incrociò quei due occhi color violetto osservarlo con infinita fermezza e serietà.
 
- Dio, Lola, non guardarmi così… - sfuggì dal suo sguardo, ridendo nervosamente a bassa voce e voltandosi verso gli edifici, con i gomiti nuovamente sul paramano.
Trascorse un lungo istante di mutismo, da parte di entrambi, quando fu Shepard a riprendere il discorso.
 
- Ti ho sentito in armeria.
 
Furono parole pesanti come macigni, gelide come stalattiti di ghiaccio e taglienti come coltelli. Voleva una semplice reazione, una semplice scossa, lei, confessandogli quell’episodio. Ma dall’espressione del volto di James, capì di aver generato molto di più.
Si voltò di scatto, ammutolito, pietrificato. La osservò per secondi che parvero secoli, mentre lei non gli staccava gli occhi di dosso e si aspettava una qualsiasi risposta, un modo qualsiasi per farlo ritornare con la testa sulle spalle ed evitare che venissero travolti e uccisi appena girato l’angolo.
 
Finì per passarsi stancamente una mano sul volto, un sorriso amaro e un senso di vergogna provato pochissime volte.
- Shepard, lasciamo perdere. Te ne prego – tagliò corto, indietreggiando di un passo, il suo classico modo per mettersi sulla difensiva.
Avrebbe pregato di sparire, di venir prelevato da un elicottero o da un dannato Divoratore, qualsiasi cosa pur di non affrontare quel discorso ora.
- Non fuggire come fai sempre, James. E’ questo il problema? – domandò lei, per nulla pietosa.
- Il problema è parlare di questa cosa ora, Lola.
 
Non che ci volesse un genio a capire che James provasse qualcosa nei suoi confronti, ma se non fosse stato per quell’uscita infelice, non se ne sarebbe mai accorta. Quando aveva sentito quelle parole colme di sarcasmo nei confronti di Steve, era rimasta attonita, ferma sul posto, interrompendo la corsa con la quale si era precipitata all’ultimo piano della Normandy, atta a concludere quella rissa da bar.
Ma aveva deciso di non dire nulla, di lasciar perdere per svariati motivi: era stata travolta da un nuovo treno infinito di pensieri, nei secondi successivi  a quella lavata di capo a tutti gli effetti. Era talmente sconvolta da quella rivelazione, che optò per chiudere la falla con un enorme tappo improvvisato: avrebbe mantenuto il segreto, avrebbe fatto finta di nulla, perché si rese conto che non avrebbe né avuto le energie necessarie ad affrontare un discorso del genere, né si sognava di intavolare determinate carte, in primis con sé stessa.
 
In quel momento, seduta nella sua cabina, si lasciò andare in una risata stanca, mentre un brivido le percorse la schiena. Scosse poi la testa, incredula, appoggiandola poi sulle ginocchia nel tentativo di chiudere la mente a chiave, per non pensare. E grossomodo ci riuscì, come riuscì a rimanere impassibile quella sera. Non cambiava nulla. Non era una cosa brutta, ma era una cosa troppo complicata anche solo da dipanare e non se lo poteva permettere.
 
Tuttavia non aveva preso in considerazione l’altra parte: probabilmente Steve gli doveva aver detto qualcosa, perché il James odierno era lontano anni luce da quello visto dall’atterraggio della Normandy fino al Quartier Generale. Si sentì in colpa a scrutare il suo viso.
 
- Anzi, non ne voglio parlare. Lasciami almeno l’ultimo barlume di dignità prima di questa battaglia. Almeno questo – aggiunse, con una durezza e una frustrazione che non voleva far trasparire così intensamente, ma che proprio non riuscì a trattenere.
Il suo orgoglio era andato in frantumi, ma, soprattutto, non sapeva ove volesse andare a parare lei. Gli vennero in mente tutti quei possibili epiloghi già vagliati milioni di volte, dei quali non aveva alcun bisogno.
 
Vedendo quel muro di pietra, Maxime sospirò, abbassando gli occhi e scuotendo la testa. Si chiese effettivamente il motivo di quella sua uscita, perché solo guardandolo negli occhi, ora, capì quanto sconclusionato fosse quel discorso appena iniziato. Seriamente, rifletté, neanche lei sapeva ove volesse andare a parare e nuovamente quel brivido per tutta la schiena, la scosse.
L’unica cosa che trovò come plausibile, era il timore di non avere James al suo fianco, come sempre. Però forse aveva sbagliato approccio, questa volta.
 
- Va bene, James. Va bene – sussurrò stancamente, decisa a lasciar davvero perdere, superandolo in direzione del punto di raccolta – Per quel che vale, non è un problema. Non me la sono presa. Cinque minuti e scendiamo in campo, datti una mossa – tagliò corto, questa volta lei – Voglio solo che tu sopravviva. Voglio solo vederti tirar fuori le palle, in mezzo a quel casino, e levare quello sguardo da cane bastonato dalla faccia – concluse andandosene, ma una stretta sulla spalla la fece voltare di scatto.
 
 Si ritrovò le sue labbra di James premute con rabbia sulle sue, con le mani che raggiunsero poi le sue guance, mentre lei si irrigidiva quasi alla stregua di una bambola di ceramica – pallida in volto come la Luna ed incredula, confusa, spaventata. Le prese quasi un coccolone, colta alla sprovvista ed incapace di reagire, dandosi della cretina per aver provocato esattamente quello che più la terrorizzava della faccenda.
 
Non aveva un piano per questo. Non aveva voluto farlo.
 
 
- Questo è il problema, Lola – esordì lui, con la voce spezzata, l’istante immediatamente seguente ad aver lasciato le sue labbra. Lottò con l’impulso di fuggire via, quando lesse quel lampo di disagio intercorrere negli occhi di lei, nel momento in cui alzò lo sguardo.
L’unica cosa che poté fare, fu stringerla tra le braccia, troncando quel contatto visivo che lo avrebbe di sicuro annientato.
 
La sentì tremare flebilmente contro di lui. Di nuovo la sua codardia fece capolino, impedendogli di staccarsi da lei e guardarla negli occhi per proseguire.
- Non voglio niente, non mi aspetto niente – e mentì con tutto sé stesso, facendo una pausa e stringendosi di più, cercando una paradossale protezione nella sua stessa fonte di terrore. Il nodo alla gola, quel bastardo, gli troncò il fiato in gola, facendogli pronunciare la frase successiva in un gemito strozzato.
 – Questa situazione mi ha portato all’esasperazione. Io non sarò mai come-
 
Le sue parole furono spezzate dalle braccia di lei che si strinsero di rimando attorno alla sua vita, mentre appoggiava il mento sulla sua spalla. Intuì la piega del discorso e lo volle fermare. Non doveva dirlo, non voleva che lui lo dicesse.
Non doveva pronunciare quel nome, aprire quel vaso di Pandora che era stato solamente isolato momentaneamente per necessità,  dopo averla lanciata di rimando contro una realtà che, capì secondo dopo secondo, frase dopo frase, gesto dopo gesto, terrorizzava entrambi molto più di quanto pensassero.
 
- E’ tutto a posto, James. Rilassati – mentì a sua volta, appoggiandosi guancia a guancia, mentre lui ricominciava a respirare lentamente.
 
- Lola…
 
Ma nonostante tutta la buona volontà, fu la diga di lei ad infrangersi.
Tradì un singhiozzo e lui se ne accorse. Fece per sciogliere l’abbraccio e guardarla in faccia, questa volta, ma lei non glielo permise: gli bloccò la torsione con le dita incassate nella sua clavicola destra – un gesto impregnato di forza e disperazione allo stesso tempo, con l’intento di calcare non tanto la sua posizione, ma la sua dignità.
 
Non l’avrebbe mai più vista in quello stato. Era un moto di conservazione che lei considerava legittimo, benché il suo corpo tradisse tutti quei buoni propositi.
Le lacrime scendevano dai suoi occhi, mentre essi erano incollati alla figura di Thane ferma oltre al muretto, che la guardava in silenzio, con un’espressione morbida in viso, dolce come non mai.
 
- E’ tutto a posto, James – ripeté, lottando con tutta le sue forze per non perdere quell’immagine ed impedendosi per questo di chiudere le palpebre.
- E’ solo che ti uccide. Fa tremendamente male - concluse, arrendendosi e affondando il viso nella sua pelle e impedendosi di aggiungere ulteriori parole, mentre lui tratteneva a stento un urlo di dolore e le lacrime, stringendola con forza tanto da farle male, per soffocare quel pianto silenzioso con l’unica cosa che potesse darle in quel momento, da uomo innamorato quale era.
 
Ovvero, tutto sé stesso. 




Meanwhile, in Beatrix's Headquarter...
Ormai ho seriamente perso il conto di quante volte io abbia modificato e riscritto questo capitolo. :/ E continua a non piacermi, senza trovare una motivazione valida per questa convinzione. Rimane uno dei pezzi che ho più odiato e amato stendere, alla stessa maniera. Spero solo che quest'attesa che mi sono presa per avere la mente sgombra e un'ispirazione che non fosse sottile come un foglio di carta, non abbiano prodotto l'esatto risultato opposto. ^^''
Non è da me riportare passo passo alcuni stralci dei filmati, ma la parte dello sbarco sulla Terra (il famigerato "Fleets Arrive"), penso sia in assoluto il mio pezzo preferito: tutte le volte ho la pelle d'oca ovunque, gli occhi lucidi e un senso di esaltazione tale che spesso me ne vergogno. xD 

Ringrazio al solito Shadow e Ann per le recensioni e lo sfrenato supporto. :) E scusate ancora per il ritardo con il quale ho pubblicato. .-.
Alla prossima! Con l'ultimo capitolo... Confesso che tutto ciò mi fa sentire terribilmente vuota e triste. T_T Ma rimando le tragedie e i melodrammi alla prossima pubblicazione. 
Gosh. (Che ansia! xD)

 

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Capitolo 10
*** Never Will I Surrender? ***


Premessa: siamo arrivati all’ultimo capitolo e… Confesso che mi dispiace, in un certo senso, ma provo anche una grande soddisfazione per aver portato a termine questo piccolo progetto. Scrivere di Shepard e di James e di Steve, non credevo mi riuscisse, assorbita come sono da Garrus e Thane, ma si è rivelata un’esperienza motivante, ma soprattutto diversa. Una bella sfida.
Prima di lasciarvi alla lettura, preciso un paio di cose: ho leggermente modificato il “saluto” tra loro due, perché… Sì, mi piace tutto sommato come la Bioware l’ha pensato, ma c’era una frase che mi stonava in quelle battute e ho sentito la necessità di romanzare un po’. Insomma, mi sono permessa questo lusso. Spero non rappresenti un problema.
Buona lettura, ci rileggiamo al fondo. ;)
ps. Le immagini che ho inserito in questo capitolo, non appartengono a me, ma ai rispettivi autori.




 
Capitolo 10 – Never Will I Surrender?
 
 
Il suo cuore mancò un battito, quando il Mako venne scaraventato dal raggio addosso a lei. Sentì quel mezzo fendere l’aria, nonostante il frastuono terribile attorno a lei: d’istinto , si fece scivolare a terra, sfruttando lo slancio della corsa a suo vantaggio.
Quando riaprì gli occhi, si voltò immediatamente dietro di sé, focalizzando lo sguardo sulle figure di James e Garrus, ferme sul posto, atterrite. Un nuovo mezzo era stato scagliato e si era piantato di muso nel terreno, a pochi passi da loro.
 
- Via! – gridò con tutta sé stessa, mente entrambi si gettavano a lato e il mezzo esplodeva scagliando pezzi in ogni direzione. Riprese a correre, saltando letteralmente il secondo Mako in tutta la sua lunghezza: erano vivi, per fortuna, anche se parte delle loro corazze stava andando a fuoco ed entrambi erano ridotti ad una maschera di sangue.
 
- Garrus! – fece segno di seguirla, mentre lei prendeva per un braccio un James stordito per l’esplosione e se lo tirava a sé. Prese copertura dietro ad altri mezzi appena giunti sul posto, atta a comunicare il ritiro della propria squadra.
Sarebbe andata avanti da sola.
 
Quando James vide la Normandy, le relegò uno sguardo interrogativo, incapace di darsi una spiegazione. Si sentì trascinare dal Turian, mente il suo braccio destro veniva percosso da dolori lancinanti, ma la sua attenzione era completamente rivolta a lei.
 
- Posso ancora combattere! Dammi un dannato fucile! – provò a protestare, mentre Shepard comunicava con Joker via auricolare l’ordine di portarli subito via da quell’inferno.
- Dovete andarvene – rispose asciutta e risoluta, spostando lo sguardo impercettibilmente verso Garrus e sperando che almeno lui avesse compreso la situazione. Lo vide muovere le mandibole debolmente, interpretandolo come un sì, anche se la sua espressione denotava ben altri intenti.
 
Dall’altra parte James non voleva saperne.
- Lola, dannazione! – berciò, lottando contro la presa di Garrus che lo teneva saldo – quegli occhi azzurro ghiaccio fissi in quelli del Comandante - e contro il dolore che si era irradiato, ora, in qualsiasi parte del suo corpo.
Non poteva lasciarla lì, da sola. Si era ripromesso di starle accanto, qualsiasi cosa sarebbe successa, ma nel suo progetto non aveva considerato una decisione del genere.
E la trovava profondamente ingiusta.
 
Un nuovo fragore del raggio che impattava contro qualcosa, la raggelò, costringendola a voltarsi per controllare la situazione. Era terribilmente pericoloso far sostare la Normandy in quel disastro, era un bersaglio fin troppo facile.
Ma le immagini intorno a sé furono quasi meno dolorose dello sguardo che James le mostrava in quel momento: arrabbiato, disperato e ferito, desideroso di avere una spiegazione che comunque non avrebbe accettato.
 
 
 
Strinse la mascella, respirando a fondo per buttare già quel nodo alla gola che le era salito bruscamente compiendo qualche passo all’ombra del portellone.
 
- Ho bisogno di credere che qualcuno esca vivo da tutto questo – replicò in un attimo di calma apparente, usando il tono più convincente di cui disponesse. Ed era vero: quella discesa in campo era risultata alla stregua di un suicidio. Non che si aspettasse diversamente, ma davanti alla possibilità di salvarli non poteva tirarsi indietro.
 
Quell’affermazione lo inchiodò al pavimento, perché erano le uniche parole che non voleva assolutamente sentire. Shepard gli aveva appena detto addio, a suo modo. Era pronta a morire realmente, e quel pensiero gli arrivò dritto al cuore come una pugnalata.
Le sue paure, finora tenute a bada dal non ritrovarsi fisicamente sul quel campo di battaglia, ruppero gli argini della sua coscienza come un fiume in piena rompe una diga.
Come poter controbattere ad un’affermazione del genere? Come farle cambiare idea?
Non conosceva la risposta a quelle domande. Fece per dire qualcosa, ma il suo sguardo – come quello di Shepard e Garrus – fu catturato dall’allinearsi del Razziatore innanzi a loro.
 
- Andate!
- No! Garrus, mollami! – urlò cercando di incedere e di liberarsi da quella forza che lo tratteneva, ma le sue gambe cedettero, facendolo accasciare sul lato destro dell’hangar navette.
Alzò nuovamente lo sguardo verso il suo Comandante, trovando i suoi occhi contrariati ma colmi, allo stesso tempo, di una velata tristezza.
- Diamine, togliti quello sguardo di dosso! – inveì contro di lei, cercando di fare un altro passo, ma il suo incedere fu arrestato dalla Normandy che si apprestava a decollare.
- James…
- Promettimelo! Prometti di non morire, Maxime!
- Te lo prometto – gli rispose in un sussurro che James non poté udire a causa del rumore dei motori, ma non si perse quel sorriso impregnato di dolcezza, ma anche di compassione. E in quel momento capì di aver commesso l’errore più grande della sua vita, nel pronunciare le parole di poco prima, sprecando forze e tempo che avrebbero trovato un migliore impiego se fossero stati utilizzati per recuperare le forze necessarie, atte a liberarlo da quella presa.
 
L’idea, tuttavia, che non tutto fosse ancora perduto, venne cancellata dalle ultime parole che lui poté udire dalle labbra della donna che amava più di sé stesso.
 
- Garrus, portalo via! E’ un ordine!
Il Turian la guardò per un lungo istante, prima di chinare il capo e deglutire, facendo poi cenno di sì con la testa. Osservare Garrus che si piegava in tal modo ad un suo ordine, senza una parola, senza provare a fermarla, le comunicò quanto dolore gli stesse infliggendo, quanto orribile e crudele fosse quell’ordine.
Si era piegato alla sua volontà. Aveva visto l’epilogo, aveva ceduto il passo in segno di rispetto.
 
Si morse il labbro, chiedendogli scusa dal profondo del suo cuore e ringraziandolo con un’espressione colma di gratitudine per la comprensione che lui, e solo lui, aveva saputo regalarle da quando si era trovata persa come una bambina in un bosco, di notte, da quando Cerberus l’aveva ributtata in quell’incubo.
Garrus la conosceva bene, c’era sempre stato: c’era quando Wrex le aveva puntato l’arma alla fronte, quando Saren esalò l’ultimo respiro, quando lei era morta, quando poi l’aveva ritrovato, quando avevano fatto saltare la base dei Collettori, quando Mordin fece la cosa giusta, quando Bakara riconquistò Tuchanka, quando Thane era entrato nella sua vita e quando ne era uscito.
Quando aveva consumato la sua vendetta.
 
Avrebbe voluto lasciarli in un'altra maniera, ma li preferiva sapere vivi e contrariati, piuttosto che felici ma morti. Sorrise flebilmente a quel pensiero.
 
- Shepard! Dannazione, levati! – ruggì sovrastando il frastuono dei motori e tentando di spingere via il Turian, ma Garrus lo prese di peso, lasciando che il portellone si chiudesse senza ostacolo alcuno.
La sua disperazione svanì per l’istante necessario a liberarsi dalla morsa, lasciando spazio ad uno sguardo colmo di ira e risentimento: ci mise tutta la sua buona volontà e la sua forza d’animo, per guadagnare l’equilibrio necessario a farlo arrivare alla parete del portellone, la quale venne colpita da entrambi i suoi pugni.
 
- Joker, apri il portellone! – ordinò azionando l’auricolare nel suo orecchio destro. Ma non ottenne nessuna risposta dall’altra parte.
- JOKER, DANNAZIONE, APRI QUESTO CAZZO DI PORTELLONE! –
- Non può – gli sussurrò appena Garrus, la voce spezzata e la mano che raggiungeva la sua spalla e la stringeva debolmente. James si voltò furibondo, colpendola con forza per scrollarsela di dosso in un gesto risoluto.
- Non mi toccare! – ringhiò - JOKER!
- Ma perché non capisci! – lo aggredì, l’espressione dolorosamente disperata, di  chi aveva compreso un gesto estremo e colmo di amore e rispetto, benché difficile da accettare.
- Io mi rifiuto di capire! E’ tanto difficile da comprende per voialtri?!
 
Le lacrime gli annebbiavano lo sguardo ed inesorabilmente scesero lungo il suoi lineamenti chiusi in un sentimento che ormai andava oltre la disperazione. Tornò a dimenarsi contro la parete metallica con più forza. Garrus a quell’affermazione si lasciò semplicemente cadere in ginocchio, sconfitto.
 
- Non potete farmi questo! – proruppe in un grido strozzato – IDA! IDA, ASCOLTAMI, APRI IL PORTELLONE, TI SCONGIURO! Almeno te… Non voltarmi le spalle, ti prego…
Un fruscio appena udibile e le successive parole colme di pena, decretarono la resa di James, che si accasciò a terra piangendo le lacrime più amare e disperate della sua vita.
 
- Non posso.
 
 
 
 


- Perché ho la sensazione che qualsiasi scelta, mi renderebbe complice di tutto ciò che ho sempre combattuto?
Questa era stata la considerazione di Shepard, quando quel ragazzino evanescente terminò la lunga e complicata spiegazione ai suoi dubbi.
 
Si era voltata, osservando quelle colonne di colori diversi con espressione sconcertata: si era morsa la guancia, si era data anche dei pizzicotti per essere sicura di non stare sognando il solito incubo. Ma i casi erano due: o non riusciva assolutamente a svegliarsi, oppure tutto ciò era la pura e semplice realtà.
 
Una realtà piuttosto assurda” pensò, guardandosi attorno per l’ennesima volta. E per quanto fosse una con i piedi per terra, desiderava con tutta sé stessa l’eventualità dell’incubo, perché l’immagine di Anderson era così crudele da farla smettere di respirare. A quel pensiero, portò la mano sulla ferita che sanguinava copiosamente: osservò il sangue rosso scuro scorrere alla base delle dita, fin poi sul bordo esterno del palmo.
Quello era vero. L’odore metallico anche.
 
Chiuse gli occhi, riaprendoli in quelli del Catalizzatore.
- Puoi sempre non scegliere.
- Questo mai. E sarebbe comunque una scelta – replicò seduta stante, rifiutando categoricamente anche di considerare una cosa del genere. Arrivare fin lì e arrendersi? Non scherziamo. Le sue responsabilità continuavano ad essere tali e più vive che mai, sedersi e abbandonarsi al destino era come mancare di rispetto a chiunque, addirittura al suo acerrimo nemico.
 
- Devo riflettere – aggiunse, voltandogli le spalle e riportando lo sguardo su ciò che aveva innanzi a sé. Tra le tre opzioni, la Sintesi le sembrava quella più assurda. Quel verde tenue che di norma veniva associato alla speranza, comunicava quanto quella scelta fosse la via più semplice per creare – in un modo o nell’altro – ciò che finora avevano combattuto.
 
Sintesi, significava riunire sotto la stessa categoria, Organici e Sintetici, creando una nuova specie unica. Si guardò le mani sporche di sangue per un istante, sentendosi pienamente un ibrido: dopotutto lei non era un Sintetico, ma non era più un semplice Organico da tempo.
Sorrise mestamente a quell’evidenza, cosa che aveva sempre saputo, compreso ma non accettato. Ma aveva accettato il peso della sua nuova vita, il suo scopo. Tuttavia non si sentiva bene in quei nuovi panni fiammanti, perché non si sentiva più lei: certo, il suo aspetto era ben diverso e ingannava chiunque, forse anche il suo equipaggio, ma non sé stessa.
 
E, allora, come poteva pretendere che quella fosse la scelta da fare? Azzerare le diversità in favore di una forma complementare? A prescindere se fosse o meno la cosa giusta, si soffermò sul perché. Le immagini di IDA e Legion le affiorarono in un battito di ciglia: era chiaro come convivendo assieme, entrambi avessero sviluppato caratteristiche Organiche fuori dal rigido schema di una mente Sintetica, in particolare IDA. E non era mai stato un problema da parte sua, non aveva mai neanche storto il naso come altri avevano fatto, all’idea che un Sintetico arrivasse a considerare la controparte Organica come una cosa naturale.
 
Perché quindi distruggere quella diversità sostanziale, se vi era la reale possibilità – a quel punto – che tutto potesse convivere? Perché obbligare un Sintetico a diventare un mezzo Organico e viceversa?
No, non era quella la scelta giusta, seppur le parole del Catalizzatore fossero state chiare: sotto un certo aspetto, avrebbe potuto salvare capre e cavoli.
 
Tutto troppo, dannatamente, semplice”.
 
Passò lo sguardo su quella colonna azzurro scuro, dalla quale – specularmente a quella rossa – si ramificavano delle tubazioni. Alla vista di quella struttura non poté nuovamente non considerare una realtà distorta, ma cercò di mantenere la calma e la concentrazione.
 
Controllo: il concetto, qui, era più difficile. In prima battuta aveva scartato senza riflettere quell’ipotesi: controllare i Razziatori e piegarli alla propria volontà?
Aveva rifiutato categoricamente per un semplice motivo: la teoria dell’Uomo Misterioso, teoria che aveva combattuto dall’istante nel quale aveva capito le intenzioni di quel pazzo scatenato, che riponeva nei Razziatori il futuro dell’intero Universo. Perché per lei, Razziatori ed Universo erano due termini che non potevano coesistere in un ipotetico futuro.
 
Ma ora? Ora che era finalmente lì, in condizioni diverse, con molti meno dubbi rispetto a prima su certe cose, e molti altri di origine etica, era davvero un’opzione da scartare? Quel ragazzino le aveva garantito il pieno controllo, esprimendo quel concetto con quell’alone di sadismo con il quale l’avversario consegna la coppa al diretto concorrente.
In cuor suo sentiva di non potersi fidare, però. Tutta la Galassia aveva trovato il coraggio di mettersi nelle sue mani, e se non avesse funzionato? E se fosse stata la mossa per dare scacco matto al Re?
Ma, invece, se avesse funzionato? Controllarli direttamente e contribuendo una volta per tutte a modificare i segni del loro passaggio, acquisendoli come difesa primaria verso qualsiasi altra eventuale minaccia per la Galassia.
 
Diventare l’Araldo.

Tutto ciò suonava come un enorme premio per la salvaguardia collettiva futura, in cambio della sua stessa vita. E allora perché quel rifiuto le saliva per la gola sotto la forma di magone ed inadeguatezza?
 
Perché io dovrei riuscirci, quando tu conoscevi meglio di me i Razziatori? Li avevi studiati per tutta una vita, avevi subito il loro indottrinamento… Cos’è, una forma di sottomissione per il fatto che non ce l’hanno fatta a distruggere il mio cervello?” commentò mentalmente, come se si stesse rivolgendo al suo ex capo e provando, successivamente, una forte pena per lui.
Ci aveva provato in tutti modi a capire quell’interesse, ma non vedeva prodigio in quelle… Bestie. Vedeva solo distruzione, dolore e morte. Senza possibilità di scelta.
 
E se fosse accaduto lo stesso a lei? Ovvero quello di cominciare a crede che la mietitura fosse una cosa necessaria ed inopinabile? In quel momento non lo credeva possibile, ma se fosse realmente accaduto? Per qualsiasi intento o risultato, non avrebbe retto quell’enorme peso, non avrebbe retto nell’avere tutte quelle vite sulla coscienza per un bene comune. Poco importava se sarebbe diventata un’entità impalpabile, perché se la sua coscienza fosse rimasta viva, si sarebbe ben presto trovata innanzi a quel dilemma etico. E se non fosse rimasta viva, allora era inutile anche solo considerarla.
 
D’altra parte, rimaneva solamente una scelta: quella di mettere fine a tutto, la Distruzione. Il suo cuore la spingeva ostinatamente verso quella destinazione ed era stata la prima che avrebbe preso, se il Catalizzatore non le avesse concesso la riflessione di quei brevi istanti.
 
Ma qual era il prezzo da pagare? Lo sterminio di tutte le vite Sintetiche? Il buttare all’aria una fetta di quel lavoro duramente portato a compimento, in favore della preservazione della vita Organica più pura? Ebbe tempo di lasciarsi andare in un ghigno sarcastico: il ragazzino non mancò di sottolineare come la sua vita non sarebbe stata preservata. Gli impianti avrebbero smesso di funzionare e lei sarebbe morta comunque. Non si trattava di protesi, si trattava di una ricostruzione da zero. Quei dannati impianti erano la base di tutto il suo funzionamento vitale, della sua nuova esistenza. Ma non era la morte che la spaventava, bensì quella considerazione evidenziata prima, durante il suo spiegare le nuove variabili.
 
La Sintesi è la soluzione”.
Lui era la coscienza dei Razziatori. Le aveva risposto che lei stessa aveva introdotto nuove variabili, alla quale si sarebbero comunque piegati.
Perché aveva la netta sensazione che ci fosse qualcosa sotto, che si stessero prendendo gioco di lei, lasciandole in mano la decisione per il futuro? Mettendo la loro essenza nelle sue mani?
 
Perché la distruzione della tecnologia moderna e dei Sintetici faceva così male, ma quell’opzione era stata la prima che aveva considerato come giusta?
Tutto d’un tratto trovò veritiera l’affermazione del ragazzino: prima o poi il conflitto tra Organici e Sintetici nasce. E inevitabilmente scoppia una guerra. Ma per quale motivo doveva essere così, sempre e comunque?
 
Tuttavia, quella tubazione rossa rappresentava un reset, la fine del conflitto basilare in favore di una strada futura ben delineata, con responsabilità nette, dalle quali non si sarebbe potuto scappare. Qui si trattava seriamente di sacrificare delle vite per gettare nuove basi e la possibilità di non ripetere gli stessi, identici errori commessi e ricommessi.
 
Ma poteva prendersi il rischio di porre fiducia nelle future generazioni?
O negli stessi Razziatori, per contro?
 
L’immagine di Legion che si accasciava a terra le tornò alla mente, assieme al suo rivolgersi in prima persona: in quel momento desiderava ardentemente avere quella possibilità, quella di sacrificare la propria vita per il bene comune. Ma solo la sua.
 
Sacrificio… La parola chiave, in ogni scelta, era il sacrificio. Scegliendo la Sintesi, avrebbe sacrificato la libertà di Essere di qualsiasi forma di vita. Scegliendo la Distruzione, avrebbe sacrificato un’intera forma di vita, in favore di un’altra. Rabbrividì, nel momento in cui realizzò che il Controllo fosse sotto una certa ottica la scelta meno dannosa per l’intero Universo.
 
Ma non voglio!
Si accasciò in ginocchio, stringendo la mascella con forza, tanto da farsi male e provando una rabbia irrefrenabile: non le interessava controllare quei mostri e rischiare di non aver risolto nulla, se – guarda caso – altre variabili si fossero affermate. Dare ragione realmente all’Uomo Misterioso ed arrendersi al fatto che avesse visto giusto? Arrendersi all’evidenza che il concepimento dei Razziatori fosse realmente la soluzione?
 
I Razziatori non sono la soluzione. Per lo meno non la mia!” continuava a ripetersi, mentre quell’entità rimarcava il fatto che il tempo scorreva inesorabile.
 
Fu colta dal panico, perché sapeva che più tempo passava, più la quarta scelta si avvicinava. Sentì la gola ardere, il sapore del sangue in bocca. La sua fine era vicina, lo sentiva chiaramente, ma doveva fare qualcosa.
 
Che cosa diamine devo fare?! Scegliere se diventare un Razziatore? Scegliere di fare una mezza mietitura o di riscrivere il DNA? Non sono un Dio, dannazione! Devo fare la cosa giusta, ma fatico a credere che tra queste opzioni ce ne sia una!” pensò con la disperazione più totale, serbando per sé quelle considerazioni, mentre le lacrime cominciavano a fluire lungo le sue guance.
 
Le tornarono in mente gli scambi di opinioni con quelle forme aliene, in particolare l’ultimo avuto su Rannoch, il quale le aveva ripetuto – come era già successo su Virmire, con la Sovereign – che loro non potevano capire. Che quell’indiscriminazione attuata da quegli ibridi, fosse necessaria per riportare in equilibrio un sistema che inesorabilmente tendeva verso il caos.
Non potevano capire. Perché, ai suoi sensi, quell’affermazione era inconcepibile.  
 
Thane… Che cosa devo fare? Qual è la scelta giusta?
Si morse un labbro, serrando gli occhi. Thane non aveva tutte le risposte, ma aveva la capacità di portare le altre persone a ragionare con la sua calma e la sua obiettività. Non le avrebbe di certo detto cosa fare, ma le avrebbe sicuramente dato una mano.
 
Pensò a come dovesse essere in quei minuti la situazione sulla Terra e nell’Intera Galassia soggiogata ai Razziatori. Pensò a Palaven, alla speranza di Rannoch e Tuchanka, alle ferite di Thessia e a tutti i caduti dall’inizio dei tempi in quella guerra.
Pensò ad Ashley, poi a Mordin, al suo Drell e di nuovo a Legion, ai loro sacrifici per il bene comune, al loro essere eroi: quanto li invidiava. La sua tolleranza era arrivata al limite, perché si era sempre presa le sue responsabilità, ma ora si trattava di una faccenda troppo, troppo grossa.
 
Qual è la scelta giusta?!” urlò disperatamente la sua coscienza, con la speranza di ricevere una risposta netta, forte, inopinabile.
- La tua.
 
Alzò lo sguardo, trovandosi Thane davanti ai suoi occhi, avvolto quasi in un ombra. E in quel momento capì che doveva scegliere ora, o non avrebbe più avuto né tempo, né occasione.
- La mia? – chiese, con voce tremula e stanca, non riuscendo a capire il significato di quella risposta.
La sua mano andò ad appoggiarsi sulla sua guancia, accarezzandola dolcemente mentre sorrideva e la guardava dolcemente con quei suoi occhi neri, capaci di ipnotizzare.
- Non devi chiederti quale sia la scelta giusta, Siha. Non c’è mai una scelta giusta – aggiunse, irrigidendo le labbra per un istante, mentre si avvicinava a lei e le prendeva entrambe le mani.
- Perché devo essere io il Giudice? – esalò, sentendosi il petto pesante, come se fosse schiacciato da un macigno invisibile.
- Perché ti sei guadagnata il diritto di scegliere – rispose immediatamente, dopo la sua domanda, appoggiando la fronte contro la sua – Sei arrivata fin qui, non fermarti ora. Non ti ha fermata la morte, non ti fermerà una scelta, su questo ne sono pienamente sicuro.
- Tu cosa sceglieresti, se fossi al mio posto?
Si sentì estremamente stupida nel porgerli quella domanda, ed infinitamente debole, quasi insignificante. Thane si allontanò leggermente, riprendendo il contatto con i suoi occhi e guardandola con tutto l’amore che gli fosse possibile.
- La coerenza – rispose, semplicemente, svanendo come aveva fatto nel quartier generale e lasciandola con le mani a mezz’aria, ma donandole la giusta strada per ottenere quella risposta tanto agognata.
 
 
 

Un rantolo si susseguiva, debole, nel silenzio più totale. Una lieve luce illuminava quello spazio ristretto in cui lei era più che incastrata, mentre il torace si alzava e si abbassava a scatti sotto il peso delle macerie. Il suo sguardo era fisso sul raggio luminoso di un probabile led che era rimasto intatto dopo l’esplosione, seppure inclinato quasi di sessanta gradi.
 
Poteva apprezzare solamente una piccola porzione di ciò che la circondava, uno spiraglio grigio chiaro nel buio più totale. Ignorava in quale settore della Cittadella dovesse trovarsi, perché nulla le ricordava il luogo di poco prima: non vi era niente di familiare, sembrava un basamento e non quella stanza specchiata sullo Spazio.
 
Riuscì appena a tossire, per poi sentire un rivolo caldo scendergli giù dal mento: era ancora viva, purtroppo. Strinse gli occhi per sopportare quell’eco di dolore che arrivò tutto assieme, mentre ogni fibra del suo corpo urlava in contrapposizione alla sua incapacità di muoversi ed emettere anche solo un grugnito.
Riuscì solo a piangere lacrime amare, per quell’agonia che il destino le aveva regalato: un altro dono macabro, un’altra tacca da aggiungere al muro del dolore che negli ultimi due anni non era riuscita a distruggere, benché l’avesse voluto con tutta sé stessa.
 
Perché non finiva tutto questo? Perché non riusciva a morire?
Il suo compito era giunto al termine, la sua scelta l’aveva fatta e chiedeva soltanto di riposare in pace: era completamente spezzata nel profondo, era esausta, stanca di lottare, di trovare soluzioni, di sopportare. Si sentì come una spugna logora immersa nel grasso, lasciata poi asciugare al sole: era incapace di assorbire nuovi avvenimenti, nuove eventualità, nuove difficoltà.
 
Era stanca di vivere.
Un nuovo colpo di tosse generò una fitta al torace, tale da strapparle un urlo soffocato e annebbiarle la vista, abbracciando le sue estremità in un gelo profondo.
Trovò la forza di sorridere, però, quando davanti ai suoi occhi appannati si fece largo un tunnel dalla luce bianchissima, quasi abbagliante.
 
 
- Ho seguito il cuore… E mi sento profondamente egoista – aveva sussurrato, quando le braccia di Thane le cinsero le spalle e il suo corpo aderì al suo. Aveva appoggiato la fronte alla sua spalla, mentre lui l’abbracciava stretta e le baciava la fronte. Rispose in segno di diniego con il capo.
- Non riesco a togliermi dalla testa il fatto che io abbia sbagliato.
- I Razziatori non esistono più, Siha – esordì lui, guardandola negli occhi con fermezza – Hai fatto sì che nessuno in futuro sarà costretto a vivere il destino di questo ciclo e dei cicli precedenti . Nessuna civiltà affronterà più una mietitura. E hai fatto sì che nessuno debba più sopportare un peso del genere. Trova la forza in questo.
 
Maxime sorrise mestamente, osservando il vuoto attorno a sé per poi volgere lo sguardo nuovamente nel suo, uno sguardo disperato.
- Come posso affrontare Jeff? – chiese, con gli occhi colmi di lacrime – Ho ucciso IDA. Ho ucciso tutti i Geth. Come posso affrontare il giudizio degli altri?
Affondò le dita nella sua giacca nera, all’altezza dell’avambraccio. Lui la guardava con un’espressione afflitta, incapace di consolarla e conscio di aver difficoltà anche solo ad immaginare come si stesse sentendo in quel preciso istante.
 
- Posso arrendermi, una buona volta? Mi è concesso?! – aveva aggiunto, l’amarezza nella gola e le sue braccia atte a stringerla ancora più forte di prima.
- Tutto questo non è reale, lo sai?
- Fammelo credere. Voglio smettere di lottare, sono stanca di questa lenta agonia – proseguì disperata, sentendo la sua mano scostarle i capelli dalla fronte con una gentilezza e un amore estremi.
- Hai fatto una promessa, Siha.
- Ho fatto un errore.
 
 
Dapprima un rumore, poi alcune voci indistinte.
Socchiuse gli occhi, cercando di immagazzinare più aria e producendo un altro rantolo. La sua espressione si contrasse ancor di più di quanto fosse possibile, mentre desiderava con tutta sé stessa che gli impianti esaurissero la loro funzione e che il medigel della sua armatura terminasse.
 
Thane la osservava affranto, mentre lei gli prese la mano e mosse qualche passo in quell’alone bianco. C’era una sorta di pace e tranquillità in quel nulla, così vuoto, così sterile di colori e di suoni da risultare meraviglioso e inquietante allo stesso tempo.
 
Trasse un lungo sospiro, voltandosi nuovamente verso di lui. I suoi occhi erano tristi, così come apparivano in quel sogno, dopo che l’aveva fatta desistere nell’intento di seguire Mordin. Si era innamorata della sua personalità e del suo fascino, ma la chiave di tutto erano quelle due pozze nere liquide che sapevano lenire ogni sua ferita.
 
- Basta – rimarcò la sua scelta, mentre le sfumature delle sue iridi si facevano più scure, di un viola quasi cupo.
- Ne sei sicura?
Avrebbe voluto dirle che tutti i quanti ne sarebbero usciti straziati da quella perdita, in particolare Steve, Garrus e… James. Ma lei lo sapeva bene, ne era conscia. Avrebbe commesso un altro gesto egoista.
Le venne in mente per l’appunto lo sguardo disperato di James, la sua richiesta di tornare viva, lo sgomento quando il portellone venne sigillato su suo preciso ordine e quelle parole di promessa. Prima di avventurarsi in quell’ultimo passo aveva considerato quel pensiero, non poteva negarlo. Aveva considerato la possibilità che un giorno avrebbe potuto anche funzionare.
 
Si era illusa per un attimo, per un breve periodo di calma che anticipava la tempesta, che come incipit aveva visto un lungo discorso carico di determinazione da parte sua, attingendo a piene mani nell’orgoglio e nelle emozioni più intense racchiuse nei loro cuori.
James l’aveva lasciata con parole precise, senza chiedere nulla per lui, ma con un sorriso forte e una pacca sulla spalla, come soleva sempre fare. Aveva evitato altre domande, aveva capito che non fosse assolutamente il caso e lei gli fu estremamente grata per quel lusso che le aveva concesso.
 
Era un brav’uomo, James. Aveva un cuore grande, un ottimo senso dell’umorismo e una faccia tosta che, alla fin fine, aveva sempre apprezzato.
Era forte dei suoi limiti, lui, benché si fosse più volte spinto oltre. Ma era pur sempre un Uomo, un Uomo giovane e pieno di dubbi, così come di speranze.
In quel momento si sentì tremendamente colpevole, immaginando cosa ne sarebbe stato. Quei suoi occhi color nocciola, disperati – un’espressione che non aveva mai visto dipinta sul suo volto – le stringevano il cuore in una morsa tale, da farle veramente male.
 
- Ma non posso, James. Perdonami – sussurrò con un sorriso amaro, le lacrime che solcavano il viso e s’infrangevano sull’armatura frantumata.
 

 
Uno scossone incrinò parzialmente quel mondo perfetto, facendola voltare in direzione delle voci – ora concitate - e della sensazione di peso che diminuiva. Sentì chiaramente un corpo caldo che le toccava la mano, per poi stringerla con vigore.
 
Ciò nonostante, i suoi occhi socchiusi in direzione del led luminoso inquadravano quel bianco candido, abbracciando la calma. Era giunto il momento di effettuare la sua ultima scelta.
 
 
 

“E’… Stremante e ridicolo allo stesso tempo, complicato e paradossale. Vorrei avere la forza di dirti tante cose, vorrei dirti quanto tu sia dolce, quanto tu sia meraviglioso, quanto adori il tuo modo di essere, quanto fortunata sarà la donna che un giorno sposerai, perché te lo giuro… Uscirai vivo da tutto questo. E’ una promessa reciproca, la nostra. La verità è che ti voglio un bene infinito, James, la verità è che potrei innamorarmi seriamente di te, la verità è che sei importante per me. Ma, la verità è anche che ora come ora, non ci riesco. Se provo a mettermi nei tuoi panni, provo una vergogna profonda verso me stessa… Non sapevo. Non potevo neanche immaginarlo. Non merito tutto questo amore da parte tua. Come tu non meriti tutto questo… Sono una persona crudele. Sono uno zombie che cammina. Sono una persona morta… Morta due volte”.
 
Strinse gli occhi, premendo la fronte contro la sua guancia, alla fine di quel lunghissimo e silenzioso abbraccio in cui lui l’aveva stretta, facendole da scudo da qualsiasi fonte di dolore, pregando di essere abbastanza, sforzandosi di darle tutto l’amore, l’affetto, la comprensione possibile.
Perché per lui, lei era tutto. Era il suo risveglio la mattina, era il sospiro prima di addormentarsi la notte. Era ciò che gli aveva donato un’altra possibilità, un’altra chance, quando la sua vita stava andando a rotoli, quando la sua mente era stata sconvolta da avvenimenti che non era riuscito a sopportare, malgrado quella maschera di leggerezza e sicurezza sempre calata sui suoi occhi.
 
Lei era lei.
 
I factotum presero a trillare, sancendo lo scadere del tempo. Si doveva tornare in prima linea, dovevano andare. Era l’ora. Era il momento.
 
- Lola… - sussurrò, beandosi di quel contatto e sfiorando con le labbra i suoi capelli corvini.
Socchiuse gli occhi, focalizzando il Quartier Generale in lontananza, i soldati alleati raggrupparsi in formazione. Vide Garrus guardare in sua direzione e soffermarsi su di loro.
Si guardarono per qualche istante, marmorizzati in quel quadro, nel silenzio spezzato dalle esplosioni e da qualche urlo in lontananza, dai colpi dei mezzi corazzati, dai veicoli che atterravano in zona franca.
 
Sorrise, Garrus. Non fu apprezzabile, ma James lo immaginò. E immaginò giusto.
 
- Dimmi.
- Combatterò con te, combatterò per te. Andrò fino in fondo e lo sai che quando inizio una cosa, la porto a termine.
- Lo so.
- Bene. Fammi una promessa, non ti chiedo altro. Credici. Credi al fatto di non essere sola, non farti logorare da ciò, più di quanto tu non lo sia – prese una pausa, accarezzandole la testa - Io sarò con te fino alla fine. Questo è il mio ruolo e intendo mantenerlo. Ed ora andiamo – parlò piano, ma con fermezza, mentre lei lo stringeva in un nuovo abbraccio, incapace di trovare le parole adatte per concedergli una risposta che avesse lo stesso peso delle sue parole, che gli trasmettessero lo stesso raggio di luce in quella notte cupa e gelida che si portava nel cuore.
 
- Agli ordini… James.
 
Quella flebile, forse inaspettata, speranza che ci fosse un domani. Anche per lei.
Anche per loro.

 
 
 
Si ritrovò seduta in riva al mare, sulla risacca, vestita con la divisa classica dell’Alleanza e gli stivali immersi nell’acqua. Thane era in piedi, accanto a lei, la sua mano tesa e le labbra incurvate in un sorriso colmo di tenerezza. Un ultimo sguardo carico di determinazione, e poi di serenità, per poi accettare il suo aiuto e alzarsi in piedi – una spolverata distratta alla sabbia che impregnava i suoi abiti.
 
La salsedine le riempì i polmoni, mentre un vento caldo le scompigliava i capelli e il silenzio regnava incontrastato.
 
- Grazie – fu la sua ultima parola, prima di immergersi con lui nell’infinito. 




 
Meanwhile, in Beatrix’s Headquarters…

Eccoci. Dunque, vorrei usare questo spazio per spiegare alcune cose, che di sicuro rimarcherò nelle eventuali risposte, ma avrei piacere di condividere la mia esperienza sul finale di Mass Effect inserito in questa storia. Non parlo delle scelte – sono spiegate già nella storia – ma del carico emotivo generale.

Questo capitolo è stato, credo, quello più straziante da scrivere per mille mila motivi. Ed è stato anche il più “pesante”, ma non in senso negativo, ma nel senso che è stato scritto tutto in una notte, mi ha letteralmente ritrascino all’epoca del salvataggio della romance con Thane, ed ha consolidato il destino di questa determinata Maxime Shepard.
E’ sempre doloroso far morire il proprio personaggio, ancora quando non ti ha solo accompagnato in una storia, ma anche nel videogioco. Bioware ci lascia con un cliffhanger alla fine dell’epilogo “rosso”, un sostanziale finale aperto, benché ci siano trilioni di opinioni in merito alla salvezza di Shepard, almeno in questa scelta.

Mi piace leggere di autori che, nonostante la situazione difficile, fanno vivere la propria Shepard? Ovvio che sì.
Poteva sopravvivere Maxime?
No. E penso di aver spiegato adeguatamente questo aspetto lungo tutta la storia. James non è bastato a darle la forza di vivere.

So che è triste, terribilmente triste, ma non l’ho trovato verosimile. La mia Maxime, in un romance con un epilogo del genere, benché si tratti del Comandante Shepard, Marina dell’Alleanza, non può che partire con l’intento di mettere la parola fine a questa storia. E lei è parte integrante della storia.

Spezzata dal dolore per la perdita dell’unico uomo che ha saputo trapassarla, ammaliarla e in un certo senso annientarla, mi sono sempre collegata al fatto che non volesse ritornare in vita, che se un essere era morto, morto doveva rimanere. Ha compreso infine il perché Cerberus l’ha ricostruita, ma non l’ha mai accettato, né condiviso. Però si è fatta forza concentrandosi sull’effetto di quel prodigio della scienza, benché si sentisse sempre di più un Razziatore più che un’umana: regolare i conti e vincerli.
Ecco i due motivi per cui la mia Maxime in Romance con Thane, muore al termine del finale della distruzione. Sentendosi una persona oltretutto egoista, nei confronti di James – conscia di causargli una ferita non indifferente – ma desiderosa di scegliere per una buona volta il suo destino. Non ha scelto solo Thane, ha anteposto i suoi desideri a quelli degli altri, per una buona volta.

Confesso che amo i finali tragici. E mi distruggono, ma mi son sempre chiesta perché, nonostante la tristezza che mi possono mettere, sia sempre portata a sceglierli nelle mie storie. xD Mi devo far vedere da uno bravo, mi sa. xD

Che dirvi, quindi, se non grazie? Grazie per esservi imbarcati in questa storia delirante e di avermi tenuto compagnia, dato consigli, dato idee e supporto. Esco soddisfatta da questa mia prima esperienza qua dentro e sono felice, oltretutto, di aver stretto nuovi rapporti con alcune di voi, che diversamente non avrei avuto modo di stringere, non fossi venuta qui.

E grazie anche a Mass Effect e alla Bioware, per avermi regalato un mondo meraviglioso in cui perdermi. <3

Grazie a chi ha recensito fino alla fine, a chi lo sto facendo in questi giorni, a chi lo farà. Grazie a chi ha anche solo letto questa storia, e a chi mi concederà il lusso di ricordarla. ;)

Ma non vi saluto ancora. La storia è sì ufficialmente finita, ma ho in mente di inserire qualche capitolo bonus. ^^ Uno è di sicuro il dopo missione dell’Avvento, qui giusto accennato. Mi sono accorta di non aver potuto inserire un flashback di Maxime e Thane, prima del triste epilogo. Insomma, vedrò cosa tirare fuori dal cilindro, vedrò se trattare anche il dopo, da parte di James e Steve – anche perché, non sono sicura che Steve fosse sulla Normandy. Mi sa che è rimasto sulla Terra, non ho informazioni a riguardo al momento. Mi documenterò.

Quindi… Alla prossima? :D Tenete d’occhio la pagina nei prossimi tempi, di sicuro un paio di capitoli a stampo oneshot li pubblicherò ancora. E poi si vedrà… Ho già qualche idea.


Love you long time,
Beatrix

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