Ascolta il tuo cuore

di Ever Lights
(/viewuser.php?uid=92672)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Troppo complicato. ***
Capitolo 2: *** Senza esitazioni ***
Capitolo 3: *** Un innocuo pezzo di carta. ***
Capitolo 4: *** Ai piedi del Big Ben ***
Capitolo 5: *** Un passo alla volta ***
Capitolo 6: *** All I want for Christmas is you ***
Capitolo 7: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 8: *** Lasciarsi andare. ***
Capitolo 9: *** In volo per l'amore ***
Capitolo 10: *** La chiave del cuore ***
Capitolo 11: *** Come Home ***
Capitolo 12: *** Hero ***
Capitolo 13: *** Abbiamo stanotte, chi ha bisogno di domani? ***
Capitolo 14: *** Avviso ***



Capitolo 1
*** Troppo complicato. ***


Ascolta il tuo cuore



Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 1: Troppo complicato.

EDWARD


Tutto troppo difficile.
Alzai lo sguardo, esaminando le mie bambine dormire abbracciate. Meredith e Viola, due cucciole così indifese e fragili che solo io potevo proteggere.
Rigirai fra le mani il biglietto e rilessi le frasi scritte in argento.
Tanya Denali e Gregor Astron annunciano il loro matrimonio che si terrà il 24 giugno alle ore undici.
Tanya si risposava. E neppure un mese prima mi lasciava, con una neonata di due settimane e una bambina di sei anni.
Incredibile. Lei se n’era andata, dicendomi che non ne poteva più di questa vita. Aveva fatto armi e bagagli, aveva baciato entrambe le bambine ed era uscita dalla mia vita.
E mi aveva lasciato tutto il nostro passato insieme. Tutto quello che avevamo creato.
Perché? Perché io ero un fallito. Un uomo che si dedicava alle figlie e alla loro istruzione e stava tutto il giorno con loro. E soprattutto non avevo un lavoro.
Invece Greg era un ricco spilorcio che possedeva un paio di multinazionali sparse nel mondo. Ovviamente molto meglio di me.
La testa mi cadde fra le mani, sempre più incredulo. Rimasi ancora qualche minuti perso nei miei pensieri fino a che le coperte al mio fianco non si smossero.
Meredith mi venne accanto, facendo attenzione a non svegliare la sorellina.
«Che succede, papy?»
La guardai, al chiarore tenue dell’abat-jour. I capelli lunghi, di quel colore misto al biondo e al bronzo, erano scompigliati. Gli occhi, così grandi e luminosi, anch’essi un miscuglio fra i colori dei suoi genitori, mi guardarono curiosi.
Le diedi un buffetto sulle guance e la presi fra le braccia. «Niente piccola mia. Il papà è solo un po’ stanco.»
Strinsi Meredith a me e inspirai il suo profumo. «Sicuro? Mi sei sembrato preoccupato.»
Sorrisi. «Mary, sono sicuro. È che sai… Viola non fa molto dormire ultimamente.»
«Ha male al pancino?»domandò, osservando la sorellina.
«Un pochino. Ma sai anche tu che è normale. Quando sono piccoli i bambini hanno spesso il mal di pancia.»la rassicurai, carezzandole i capelli.
Io e Tanya nei mesi precedenti avevamo cercato nel migliore dei modi a spiegarle che la sorellina avrebbe movimentato la nostra routine e fortunatamente Mary aveva compreso, per quanto possibile.
«Dici che sente anche lei la mancanza della mamma?»
Feci spallucce, colto alla sprovvista dalla sua domanda. «Probabile tesoro. Insomma… A te manca la mamma, no?»
La bambina scosse il capo. «No. O almeno non tantissimo. Sto molto meglio con te, papà, che con mamma che urla sempre quando si arrabbia e sembra un animale inferocito.»
Trattenni un risolino. «Sul serio?! Quindi preferisci me al posto della mamma?»
«Certo. E poi papà tu sei più dolce della mamma.». Si accoccolò meglio sul mio petto, con quel sorriso dolcissimo e sincero sul viso.
Un groppo salì in gola e cercai di reprimerlo. Nonostante fosse così piccola, aveva un’intelligenza superiore alla media.
Era capace di tirarmi su di morale con una battuta o semplicemente con uno dei suoi sorrisi stupendi.
Una delle cose più belle che la vita mi aveva regalato. Come si poteva chiamare errore?
Lentamente ci alzammo e andammo in cucina, lei in braccio a me.
Le preparai la colazione e rimanemmo a guardare i cartoni animati finché Viola non si svegliò, strillando, nell’altra stanza.
«Arrivo subito.»mormorai, baciando i capelli della mia bambina, e mi diressi nella camera adiacente.
Mi avvicinai al letto e presi fra le braccia quell’esserino così fragile e sensibile. Viola smise subito di piangere e mi guardò con quei suoi occhioni grigi.
Quando tornai in cucina, Meredith aveva appena finito la colazione e stava guardando placida la TV, esattamente come l’avevo lasciata.
«Viola, saluta la tua sorellona.»sussurrai come un idiota alla mia piccolina, facendole muovere la manina con il ‘ciao ciao’.
La bambina rise e si avvicinò per prendere la sorella fra le braccia, mentre io preparavo il biberon.
Mary era una perfetta babysitter e quasi sempre si occupava di Viola mentre io facevo le faccende domestiche.
I loro faccini così vicini, gli occhi di Viola incatenati a quella della sorella, l’attenzione che mostrava la piccola verso Meredith.
Erano perfettamente identiche. Viola assomigliava moltissimo a Mary da appena nata, nonché a me.
Di Tanya avevano ben poco, a parte qualche rara sfumatura negli occhi e nei capelli di Meredith.
Per il resto erano uguali a me da piccolo. Stessi comportamenti, stessi lineamenti nel viso… E sì, anche l’intelligenza, proprio per essere modesti.
Per Viola ancora c’era tempo, anche perché aveva appena un mese e mezzo e capire a chi assomigliasse era proprio un’impresa.
Ma Meredith, anche se poteva ancora cambiare fisionomia, era la mia fotocopia, il mio clone.
Ripresi fra le braccia quel minuscolo corpicino, nonostante il peso fosse elevato per l’età. Quasi cinque chili di puro amore.
Ma Viola era nata abbastanza cicciottella. Tre chili e ottocento grammi, a dispetto delle stime dei dottori.
La piccola si attaccò voracemente alla tettarella del biberon e prese a succhiare, producendo strani versi che fecero ridere me e Meredith.
«Comincia a vestirti piccola.»dissi a Mary, guardando l’orologio. Erano già le otto e un quarto e presto saremmo usciti, per andare a trovare Tanya.
Dovevamo cercare un modo per dire alla bambina che la madre si sarebbe risposata.
Ma ancora non capivo cosa c’entravo io nella questione.
Avevamo già tutto prestabilito. Al parco Tanya ci sarebbe venuta incontro e attaccando bottone avremmo spiegato a Meredith la faccenda. Ma non sapevo se l’avrebbe presa bene o meno.
Perché dopotutto aveva pur sempre quasi sette anni. Era un argomento delicato da gestire e io non ero pratico, proprio per niente.
La seguii in camera e la aiutai a scegliere qualcosa di comodo. Dopotutto andavamo al parco e si sarebbe messa a giocare appena arrivati.
Mentre Meredith si lavava, io cominciai a cambiare Viola, che mi guardava estasiata.
«Ciao piccina.». Le feci una pernacchia sul pancino e lei fece un versetto, che mi sembrò quasi una risata.
Le cambiai il pannolino e la vestii con una delle tutine più carine. Nel mese che Tanya era andata via, mia madre e Alice mi avevano comprato tanti vestiti per le bambine e per me, mentre io cercavo di trovare un lavoro.
«Papà, mi aiuti?»
Mi girai verso Mary, che teneva in mano le scarpe. La feci sedere sul letto e la aiutai ad allacciarle.
«Vedi? Prima ci va l’asola di sinistra, poi il laccio va qui dentro e il fiocco viene.»
Mi sorrise. «Grazie papy.» e mi baciò la guancia.


Sistemai meglio il lenzuolino su Viola, adagiata nella carrozzina, e mi sedetti sulla panchina con Meredith.
«Dorme?»domandò, sporgendosi verso il passeggino.
Annuii e guardai la neonata. Il ciuccio racchiuso nella boccuccia si muoveva appena, le manine chiuse e il petto si abbassava e alzava ritmicamente.
Il cellulare in tasca vibrò e quando accesi il display, comparve un messaggio.
Sono arrivata, sto parcheggiando.
Tanya.
Non risposi e alzai lo sguardo verso i cancelli del parco. Tanya, racchiusa nel suo giubbotto, sembrò sorridermi ma io distolsi lo sguardo.
«Arriva la mamma.»mormorai a Meredith in un orecchio e lasciai che la donna si avvicinasse a noi.
«Ciao a tutti.»
Tanya cercò di sembrare benevola nel sorridermi, ma secondo me nella sua mente mi malediceva e mi insultava in tutte le lingue del mondo.
Meredith la abbracciò e le baciò la guancia. «Ciao mamma.»
La donna si protese verso l’interno della carrozzina, guardando la piccola.
«Sta benone.»mormorò sorpresa.
Cos’era, pensava forse che con il latte artificiale i bambini non crescessero più di tanto? Era lei che se n’era andata. Io ancora non producevo latte! Mica sono una donna!
«Sì. Pesa quattro chili novecentosessanta grammi. Il pediatra dice che è in forma.»
Tanya mi guardò torva e poi si accomodò accanto a Meredith. «Come va a scuola?»
La bambina fece spallucce, indifferente. «Bene. Papà è molto bravo ad aiutarmi a fare i compiti.»
Sorrisi a mia figlia, quasi per essergliene grato. Grazie piccina.
«E… Viola?»
Sospirai. «Ha le coliche, ma anche Mary le aveva, quindi è normale. Però cresce bene. Prende il biberon sei volte in ventiquattro ore e la notte dorme. O quasi.»
Meredith ridacchiò. «Si addormenta solo quando siamo tutti e tre nel lettone.»
Tanya non rispose e mi guardò, in cerca di un aiuto per parlare alla bambina del matrimonio.
Il sole di metà ottobre illuminò il lenzuolino candido della carrozzina e la spostai di un poco.
«Meredith, la mamma deve dirti una cosa.»disse ad un certo punto la madre, accarezzando i lunghi capelli di sua figlia.
I grandi occhi di Mary si illuminarono e alla luce del sole sembravano quasi di ghiaccio. «Dimmi mamy.»
Nella voce della bambina c’era sempre una nota di acidità quando parlava con la madre. Si capiva benissimo che ce l’aveva con lei perché mi aveva lasciato… ma non volevo che il loro rapporto si disintegrasse per colpa mia.
«So che sei molto arrabbiata con me per aver piantato papà, ma vedi tesoro le cose stavano andando male da un po’ di tempo. Abbiamo aspettato che nascesse Viola per dividerci.»
«E come al solito a me non pensate.»mormorò la bambina, con il capo chino, visibilmente arrabbiata.
«Non è così, piccola.», la rassicurò Tanya. «Ora le cose sono cambiate e sia io sia papà stiamo meglio e mamma ha una novità per te.»
Novità… Certamente Tanya.
La donna passò a Meredith lo stesso invito che mi aveva spedito un paio di giorni prima.
«Cos’è?»sussurrò, poco prima di leggere.
I suoi occhi sgranarono all’improvviso e mi guardò esterrefatta. Le lentiggini divennero ancora più evidenti, dato che era sbiancata all’improvviso.
«Tu… ti sposi?»mormorò la bambina, in un imminente crisi di pianto. Strinsi a me Meredith e la camicia prese a bagnarsi.
«Vattene mamma.»singhiozzò e tanya si allontanò, mentre mia figlia mi allacciava le braccia al collo.
«Stt, è tutto okay piccola.». Le carezzai la testa e lei mi guardò. Gli occhi azzurri erano lucidi ed erano arrossati.
«Non è giusto papà.»
«Lo so piccola. E' tutto troppo complicato, ma si risolverà. Vedrai.

________________________
Anno nuovo, LongFic nuova.
BUON ANNO A TUTTI QUANTI!!
Non sono uscita fuori di testa, tranquille.
Allora. Questa FF era un progetto incompiuto e non so come ho deciso di postarla.
Sono elettrizzata e so che dovrei finire le altre... ma credetemi, non potevo resistere.
So che nella cover c'era solo Meredith ma era una sorpresa la piccola Viola (:
I nomi delle bambine sono speciali. Uno è quello della mia Giusy (Meredhit89) e uno è quello della mia piccola Viola, la cucciolotta di Monica.
Questa FF è dedicata a tutte le meravigliose persone che ho conosciuto grazie a EFP.
Grazie a GingerS, Meredhit89, Monica, Martina D.R, Annalisa S., Francesca G, Fiorella S. e Cloe, Camilla, KrisCullen, Chuck, Simona S.
Grazie ragazze. Vi voglio bene <3
Bene... meglio che mi dileguo prima che mi uccidiate.
Lascereste una recensioncina, giusto per farmi sapere i vostri primi giudizi? :3
Grazie mille <3
Bacioni,
G.



Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Senza esitazioni ***


Ascolta il tuo cuore



Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 2: Senza esitazioni.

EDWARD


Mi svegliai di soprassalto, con il fiatone.
Sembrava tutto così vero… Altro che sogno! Mi era parsa proprio la realtà.
Mi girai verso l’altro lato del letto. I petti di Meredith e Viola si abbassavano e alzavano ritmicamente.
Tirai un sospiro di sollievo. È stato un sogno, pensai, è stato solo un bruttissimo sogno.
Accarezzai le loro guance e Mary si scostò un poco dalla sorellina, sbadigliando.
Erano solo le cinque del mattino, ma non sarei riuscito a chiudere nuovamente gli occhi. Il volto di Tanya, che rideva malignamente, mi sarebbe riapparso nuovamente e… No, meglio di no.
Scostai le coperte calde e sudate e mi trascinai verso gli infissi. L’atmosfera nella camera mi sembrò pesante, afosa e spessa. Discostai leggermente la finestra, giusto per far entrare un po’ di aria fresca.
Mi lasciai cadere sulla poltroncina accanto alla finestra. Nonostante fossimo quasi alla fine di ottobre, il caldo non era ancora scomparso.
Riguardai le bambine. Erano teneramente abbracciate, come ormai capitava di continuo.
Meredith aveva paura che Viola potesse cadere dal letto e allora la stringeva a sé.
I capelli chiari di Mary contrastavano quelli d’ebano della piccola. Dormivano tranquille, sognando chissà quale fantasia lontana.
Presi il cellulare e mi diressi nel salotto, cercando di non fare il minimo rumore.
Scorsi in rubrica fino ad arrivare al numero che desideravo, poi cliccai la cornetta e attesi.
«Pronto?»
Ridacchiai. «Ciao Emmett.»
«Cristo amico.»borbottò,tossendo. «Ti sembra il caso di chiamare a quest’ora?»
«Scusami.»mormorai, distendendomi sul divano. «Non… Non riuscivo più a dormire.»
«Okay… Come stai? Le bambine?»
Sospirai. «Sto bene. Meredith e Viola pure. E se vuoi sapere le ultime notizie… Tanya si risposa.»
«Cosa?!». La voce di Emmett aumentò di qualche ottava. «Ma cosa passa per la testa a quella donna?»
«Emm, non sono più affari miei. Lei ha deciso di andarsene e nonostante io abbia provato a farla ragionare non mi ha voluto dare ascolto. Non fa più parte della mia vita. So che è pur sempre la madre delle mie figlie, ma con lei ho chiuso, definitivamente.»
«Mi fa piacere sentirti così, che ti sei rinsavito.»
Risi. «Non posso sempre sembrare il solito imbecille che si lascia mettere i piedi in testa.»
«Questo è l’Edward che conosco!»quasi urlò, con la sua voce profonda e tuonante.
«Ci sono anche altre notizie? Altre ragazze in vista?»continuò, sbadigliando.
Tossii. «Ma ti pare? Sono appena uscito da una storia che già ne comincio un’altra… E’ impossibile, dai.»
«Be’…»mormorò, «Tanya ci è riuscita.»
«Sì ma lei è un caso particolare.»
Ridemmo insieme e poi sentii dei passi. Meredith, con l’orsetto sottobraccio, mi guardò teneramente.
«Emmett, cause di forza maggiore mi reclamano. Ti chiamo appena so qualcos’altro.»
«Perfetto, io torno a dormire.»
Risi.«Okay. Allora buona pennichella.»
Lo sentii ghignare e attaccai la cornetta. Mi avvicinai a mia figlia e le carezzai i lunghi capelli.
«Che ci fai già sveglia?»
Mi sorrise teneramente. «Ti ho sentito parlare e allora sono venuta a vedere.»
Le baciai la fronte e la presi fra le braccia. «Viola dorme?»
«Sì, l’ho messa nel lettino così non cade.»
Era ancora meglio di me. Pensava a tutto, anche a svegliarsi nel cuore della notte per dirmi che Viola piangeva e io, nel sonno più profondo, non riuscivo a sentire la bambina che piangeva.
Ci sdraiammo sul divano, Meredith sopra di me, abbracciati sotto il plaid.
«Mi prometti una cosa papà?»fece ad un certo punto, proprio mentre stava per cedersi a Morfeo.
«Che cosa, piccola?»
Sbadigliò. «Promettimi che mi troverai una seconda mamma, più dolce e più bella.»
Cercai di non ridere e la presi sul serio. «Te lo prometto, tesoro»
Chiusi le palpebre e il volto di Tanya fortunatamente non ritornò nei miei sogni.


«Chi è questa bellissima bimba?»
Guardai torvo mia sorella. «Se la sbatacchi ancora, guarda che ti vomita addosso.»
Alice mi fece la linguaccia. «Non lo farà perché Viola ama la sua zia! Non è così piccolina?»
Scossi il capo e guardai Meredith. Era sdraiata a terra e guardava Jolly, il volpino di Aly.
«Non mi lecca, visto papà?». Mary aveva battuto tutte le mie supposizioni su quel cagnolino.
Avevo sempre cerato di impedire a mia sorella di portarlo a casa nostra, ma non mi dava mai ascolto. Avevo sempre il terrore potesse leccare Viola da quando era con noi ma non era mai capitato, a mio stupore.
Presi il biberon dallo scaldino apposito e mi accoccolai sulla sedia con Viola sul petto, pronta a una nuova dose di cibo.
Il rito della poppata da giorni si ripeteva frequentemente ma la pediatra mi aveva detto di assecondarla…
Alice le sfiorò la testolina. «ma quanta fame hai, eh piccola?»
Ridacchiai e mi accorsi che Meredith s’era seduta accanto a me e giocherellava con i piedini della sorellina.
Viola finì il latte in fretta e si appisolò tranquilla fra le braccia di Meredith, che la guardava beata.
«Io ora vado.»mormorò Alice, baciando le fronti delle bambine. L’abbracciai dolcemente e le dissi che per me lei era tutto, con nostra madre.
Alice era la prima che mi capiva quando avevo un problema, che mi aiutava se ne avevo bisogno e sì, era anche la prima a mandarmi a quel paese, se era necessario.
La guardai uscire dal vialetto con la sua nuova auto, e allontanarsi, mentre Jolly mi guardava dal bagagliaio.
Meredith depose Viola sul letto con i cuscini attorno e tornò in salotto da me, accoccolandosi sul mio petto.
«Me lo prendi un cagnolino papà?»mormorò e quando vidi il suo sguardo da cucciolo, risi.
«Amore, dove lo mettiamo un cane?»
Sospirò. «Dalla nonna! Nonna ha tanto spazio in giardino!»
Sorrisi. «Sì, ma poi la nonna si arrabbierebbe. Magari appena papà si mette in sesto con il lavoro, ci pensa.»
«Allora aspetto buona e tranquilla.»
Rimanemmo abbracciati ad ascoltare i nostri respiri. Non aveva voluto accendere la TV ma solo stare sul mio petto per quel poco tempo che Viola dormiva e ci lasciava un po’ di tempo per noi.
Poi mi venne la brillante idea di fare una torta e ridendo io e Mary ci cataplutammi in cucina.
«Sei sicuro che vada così?». Meredith si mise apposto una ciocca dietro l’orecchio.
«Se è scritto sul libro, penso sia giusto.». Mi grattai la testa, visibilmente confuso. Mia figlia era la prima persona che riusciva a complicarmi con le sue domande.
Finimmo la torta –se si poteva chiamare ancora così, dato che era una specie di massa compatta e scura, e la infornammo, impostando il timer dato che sennò ce ne saremmo dimenticati completamente.
Io e Meredith rimanemmo in cucina, seduti al tavolo, con Viola nella sdraietta che guardava curiosa la sorella che faceva i compiti.
«Sei a buon punto con l’esercizio?»
Mary alzò il capo dal libro e mi sorrise. «Sì, sto scrivendo le ultime operazioni.»
Sorrisi e feci il solletichino a Viola, che parve sorridermi.
Qualche secondo dopo, il mio cellulare vibrò, procurando una specie di ronzio sulla superficie di legno del tavolo.
«Arrivo subito, guarda per un attimo Viola.»mormorai, afferrando il telefono.
Non badai al nome visualizzato e cliccai la cornetta.
«Pronto?»
«Edward, sono Tanya.»
La verità, che avevo cercato era un po’ di dissuadere, era tornata a incombere. «Oh. Ciao Tanya.»
«Volevo dirti che passo a prendermi le mie figlie e le porto al parco.»
«Cosa? Aspetta, io avevo altri programmi per la giornata.»mormorai, allontanandomi dalle bambine, cosicché non sentissero.
«Non mi importa, Edward. Voglio godermele qualche ora, prima che io e Gregor, con la figlia, partiamo.»
«No, guarda Tanya oggi le bambine non possono, sul serio.»
«Ti ripeto che fra due ore me le vengo a rendere e le porto al parco.»sibilò come un serpente e sonagli.
«Sai che ti dico Tanya?» dissi piccato, brandendo il cucchiaio dal lavello. «Sai che ti dico? Fottiti.»
Meredith, che era accorsa accanto a me, mi guardò un istante. Forse pensava non dicessi sul serio.
«Sono stato il tuo zerbino per anni. Mi trattavi come una pezza da piedi e ora che fai? Mi telefoni, all'improvviso e dici che vuoi prenderti per qualche ora le bambine. No Tanya, mi dispiace.
Non siamo mai stati sposati e nessuno mi dice che devo darti le bambine per qualche ora. Sono stanco del tuo comportamento. Sono stanco di te. Mi sono rotto. Ho cose migliori a cui pensare. Vaffanculo Tanya.»
Con la rabbia che mi ribolliva dentro, le attaccai la cornetta in faccia.
Quando mi girai, trovai Mary imbambolata come uno stoccafisso, gli occhi sgranati.
«Tu non hai sentito nulla. Non proferirne parola con nonna o con la zia, chiaro?»
Lei annuì soltanto. «Certo papà.»
«Voglio che rimanga un segreto fra noi due.»le mormorai, placcandole le spalle.
Lei, visibilmente spaventata, acconsentì. «Bocca cucita, sul serio.»
L’abbracciai, e ancora rimestai le parole di Tanya. «Brava piccola.»
Mia figlia era l’unica persona che ancora riusciva a rimanermi fedele. La mia ultima ancora, colei che ancora mi tratteneva sulla Terra.
Senza di loro non sarei rimasto due minuti in più in quella città e sarei scappato lontano.
Eppure qualcosa mi tratteneva, qualcosa mi costringeva a continuare a lottare.
Loro due, le mie uniche salvezze. Coloro che non mi avrebbero mai abbandonato.
Coloro che mi avrebbero sempre voluto bene, senza tradirmi mai.
Se loro per me ci sarebbero state, la cosa sarebbe stata reciproca.
Senza esitazioni né ripensamenti.


________________________
Muahahaha rieccomi *^*
Allora, c'ho messo tutto il ♥ per scrivere ed eccone il risultato... Spero vi piaccia!
Ringrazio Meredhit89, Moni e Viola ♥, Francesca G, GingerS, KrisCullen, Nicoletta, BettaCullen, Claudia L, martina D.R., Camilla, Leti, Simona S e tutte voi che seguite ♥ Vi adoro, vi voglio bene ♥
Allora, il prossimo sarà un capitolo molto bello ma non so dirvi quando aggiornerò, penso domenica ma non vi assicuro nulla perchè devo anche scrivere Smile e dopodomani ci sarà il mio compleanno *^*
A parte questo, vi lascio il mio account FB: QUI 
Grazie mille, ancora. Aspetto le vs. recensioni!
Bacioni,
Giulia.



Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un innocuo pezzo di carta. ***


Ascolta il tuo cuore



Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 3: Un innocuo pezzo di carta.

EDWARD


Sistemai meglio il giubbino a Meredith. «Guarda che fuori fa freddo.»
La piccola fece spallucce. «Non importa, io voglio uscire. Prendo la borsa di danza così dopo il parco andiamo a ballo.»
Le sorrisi e la lasciai scappare nella sua camera. Avevamo deciso che la sera, dopo una doccia a casa di nonna Esme, saremmo andati a fare dolcetto e scherzetto. Dopotutto, era la notte degli spiriti, o no?
«Da cosa ti vestirai?»domandai placidamente non appena Mary tornò dalla sua stanza. Infilai il cappottino a Viola che si stava addormentando e la misi nella carrozzina.
«Da strega.»mormorò, sorridendomi. «Mi piace essere una strega. Fanno gli incantesimi!»
«Ma allora sei una strega buona o cattiva?»
«Buona, ovviamente! Ti pare che potrei essere cattiva?». Mi stampò un bacio sulla guancia e poi si allontanò ridacchiando.
Le diedi un buffetto e poi una carezza sulla chioma riccioluta chiusa nello chignon. «Avanti, altrimenti arriviamo tardi.»
Acconsentì con un gesto del capo e si proiettò già nel vialetto, accanto all’auto.
Nel giro di pochi minuti eravamo già al parco, sulle altalene a ridere come se in realtà fossi stato anche io un bambino.
«Stasera vuoi invitare qualcuno a fare dolcetto e scherzetto con noi?»
Spinsi più in alto l’altalena e Meredith si girò per qualche secondo. «Uhm, no sinceramente. Magari solo noi due.»
Annuii. Sapevo che avrebbe risposto così. Ultimamente aveva dimostrato una sorta di necessità di starmi accanto ancor più di quanto fosse possibile. Passavamo interi pomeriggi assieme e sembrava non bastarle. Forse era gelosia…
Viola fra le mie braccia prese a lamentarsi e presi dalla borsa il biberon nel termos con il latte caldo. Prese a poppare la tettarella così avidamente da produrre strani suoni.
«Sai papà che la maestra di danza dice che sono bravissima?»fischiettò Mary, pronta a saltare giù dallo scivolo.
«Davvero?». La osservai buttarsi giù da quel misero metro che la separava da terra e poi i fu una nuvola di sabbia intorno ai suoi piedi.
«Sì!»
La strinsi a me con un braccio  mentre l’altro sorreggeva Viola e il biberon. Ero diventato davvero esperto. Ormai riuscivo a fare tutte le azioni normali con una sola mano e con l’altra tenevo Viola.
«Non ne avevo dubbi, sai piccola?»mormorai all’orecchio della bambina e lei arrossì.
«Ma secondo me non è vero… Per esempio, c’è Hope che è molto più abile di me. Più agile, più magra… Io invece sembro un salame coi piedi che balla…»
La guardai torvo. «Ehi, se stai insinuando che sei cicciona non è vero! Chi ti mette in testa certe idee?!»
«Nessuno… ma è la verità, papà.»fece spallucce, abbassando la testa.
Le catturai il viso fra le mani e poi la guardai dritta negli occhi, come era solita fare lei per convincermi di qualcosa.
«Piccola, togliti dalla zucca che mai e poi mai devi pensare certe cose. Tu sei bellissima –non per niente assomigli a me, e non devi farti condizionare da niente e nessuno. Intesi? Sei perfetta nella tua imperfezione, se sei così ci sarà un motivo. Per me tu sei la bambina più bella in assoluto.»
Sorrise e mi abbracciò, mentre Viola ci guardava con i suoi occhi grigi, chiarissimi.
«Ti voglio bene papà.»mormorò, adagiandosi sulla mia spalla.


Parcheggiai la carrozzina nell’atrio e accoccolai Viola sul petto. «Va’ a cambiarti, Mary. Io tranquillizzo Viola.»
Infatti la piccola stava urlando a squarciagola da svariati minuti e non accennava a calmarsi.
Meredith annuì e scappò verso gli spogliatoi.
Appoggiai la neonata sulla spalla e cominciai a camminare avanti e indietro nel corridoio, dandole piccoli e leggeri colpi sulla schiena.
Eppure non sembrava proprio voler smettere di urlare come un aquilotto. Non potevano essere coliche… Non penso potesse avere fame: aveva mangiato pochi minuti prima…
Le sfiorai il nasino e lei mi guardò con i suoi occhioni chiari, strabuzzandoli.
Il suo pianto decelerò, trasformandosi in un lamento basso.
«Ti sei calmata, eh, piccola?». Le baciai le guance piene e tornai nella sala dove la musica aveva cominciato ad espandersi e dove probabilmente tutte le madri stavano guardando vicino alle altre bambine.
Mi sedetti sull'unica sedia ancora libera, con Viola avvolta nella copertina e, dopo aver perlustrato la sala, trovai Meredith tutta intenta ad osservare l'insegnante, danzando accanto alle compagne.
Come una calamita, il mio sguardo si posò sulla donna davanti a tutte le bambine.
Non molto alta, magra ma con le giuste curve, con i lunghi capelli raccolti nello chignon sulla nuca, guidava le piccole con movimenti aggraziati, seguendo il tempo della melodia di sottofondo.
«L'insegnante è davvero brava» mormorò qualcuno dietro di me. Tesi l'orecchio.
«Sì, molto! Sai come si chiama?»
«Se non sbaglio Nicole me lo aveva riferito... Bella, se non erro.»
Bella di nome e di fatto, pensai.
Poi mi tirai una pacca sulla testa, certo che qualcuno mi avesse visto e avesse pensato che fossi uno squilibrato.
Dio, come riuscivo a pensare che la maestra fosse davvero bella? Mi sentii tanto un depravato e scacciai le immagini poco caste che mi si marchiarono a fuoco nella mente.
Forse era tutto dovuto al fatto che non facevo sesso da mesi ormai... Sì, probabilmente il mio lato pervertito si stava risvegliando.
Meredith mi fece tornare alla realtà e mi sorrise. Era tutta contenta che fossi lì. Era una delle poche volte in cui potevo accompagnarla e vedere i suoi progressi.
La lezione trascorse così velocemente che mi pentii non poter assistere a tutte… Era meraviglioso vedere Mary piroettare e ridere quando sbagliava qualcosa invece di abbattersi.
Era proprio per questo che adoravo, amavo mia figlia, oltre a una serie di fattori –ovviamente dopo a quello che era sangue del mio sangue, una parte di me risiedeva in lei.
Era capace di sorridere alle difficoltà e scavalcarle senza pensare che tanto non ci sarebbe riuscita.
Mi alzai in contemporanea con le altre mamme e Meredith mi corse incontro.
«Hai visto? Sono stata brava?»
Aveva il fiatone e mi guardava con quei suoi grandi occhi azzurrini da cucciolo.
Risi. «Sì, sei stata bravissima amore mio!»
Sorrise e poi l’insegnante le richiamò a raccolta.
Dio, aveva una voce splendida.
«Allora ragazze. Dato che oggi è Halloween, che ne dite se venite a fare dolcetto e scherzetto?»
Le bambine gridarono e Mary si girò verso di me. Annuii, capendo le sue intenzioni.
Bella mi lanciò un’occhiata. «Ovviamente anche i genitori possono venire.»
La mia bambina mi venne incontro. «Vieni papà? Per favore!»
«Okay. Ho ancora un sacco di latte per Viola nei termos.»
Ero solito a portarmi dietro più latte del previsto perché c’erano giorni in cui Viola mangiava di più, altri in cui mangiava di meno.
«Allora andate a prepararvi e poi andiamo a festeggiare Halloween!»
Meredith scattò verso gli spogliatoi correndo, seguita da tutte le altre amichette.
Ritornai nell’atrio e accoccolai Viola nella carrozzina. Lei socchiuse appena gli occhietti e fece un vagito.
Tutte le madri accorsero intorno e cominciarono a fare versetti e a dire quanto fosse bella la mia piccola.
Bella si avvicinò, fasciata nella sua tuta monocolore. «Oh ma quanto è piccola! Quanto ha?»
«Fa due mesi fra due giorni.»
Viola mosse le manine e aprì completamente gli occhietti, osservandosi attorno.
Meredith mi venne accanto e sfiorò la guancia della sorellina.
«E’ davvero bellissima questa bimba.»mormorò qualcuno. E come dargli torto?


«Dolcetto o scherzetto?»
La vecchietta, sulla soglia della porta, sorrise. «Oh che carine! Ecco a voi delle caramelle!»
Sentii Meredith ridere e poi sporse il suo cesto a forma di zucca, che venne riempita da una quantità stratosferica di caramelle e dolciumi.
Osservavo in disparte lo spettacolo, cullando Viola adagiata nella carrozzina.
«ehm… Lei è il papà di Meredith?»
Mi voltai e trovai Bella davanti a me, con le guance arrossate e le man dietro alla schiena.
Annuii. «Sì, sono io.»
Cercai di alleggerire il clima e le sporsi la mano, cortesemente. Lei la strinse, impacciata.
«Io… Sono Bella.»
«E io Edward.»
Sorrise. «Meredith… Ha dimenticato le scarpette da danza in spogliatoio.»
Non nascose più le mani dietro alla schiena e mi porse le babbucce.
«Oh.»mormorai stupito. «Ultimamente ha la testa fra le nuvole la mia piccola.»
Enfatizzai le ultime parole e sapevo perfettamente che si poteva capire che Meredith era il mio tesoro, assieme alla sorella.
Attesi qualche secondo e capii che più di così non avremmo parlato, e invece la donna mi stupì.
«Meredith… E’ molto brava. È una delle più brave del suo corso.»mormorò, mischiando i ciottoli sparsi sul marciapiede.
«Davvero?»risposi, «A volte Mary me lo ripete… E’ molto orgogliosa di quello che fa.»
«E’ davvero brava. Sul serio. Ci tiene molto a quello che fa. Glielo si legge in viso.»
Alzai il capo e incontrai i suoi occhi. Erano bellissimi, così scuri ma allo stesso tempo brillanti e puri.
«E’… sempre stata così. Da quando è piccolissima.»mormorai, osservando le bambine giocare a rincorrersi. «Grazie per riferirmi queste cose. La ringrazio davvero.»
«Non diamoci del Lei… Siamo entrambi giovani, a mio parere. Il tu ci può stare.»
Sorrisi ancora. «O…okay. Io non potrò esserci sempre agli allenamenti di Meredith… mia madre a volta racconta un po’ di frottole e quindi…»
Bella aprì la sua borsa a tracolla e magicamente ne estrasse una penna e un foglio di carta. Cominciò a scrivere una serie di cifre e poi me lo porse.
Era… era…
«Questo è il mio numero di telefono. Se hai bisogno di sapere progressi su Meredith, basta che mi mandi un sms e… be’, ti aggiornerò sulla situazione.»
Rimasi di stucco e sorrisi come un imbecille, su due piedi. Lei sbatté le lunghissime ciglia e mi dette ancora una rapida occhiata, prima di tornare dalle bambine.
Riguardai quel bigliettino, quel bigliettino favoloso.
Cos’era per me? Una semplice cifra, niente di più.
Eppure mi pareva valesse oro. Oro brillante nella notte, nonostante fosse solamente un innocuo pezzo di carta bianco iridescente sotto la luce dei lampioni.  


________________________
Lo so... Quanto tempoo è che non aggiorno?
Portate pazienza ma la scuola è una cosa assurda ultimamente... Ho appena il tempo di scrivere due righe che già arriva la sera e devo andare a letto!
Improponibile!
Vabbò, che dire? Che è una m****a di capitolo, tutto qui. Cagato così, su due piedi e niente più. uno schifo, bleak.
Ho cercato di non complicare la vita a sti due... Sono umani, non è che dal cielo cadono bigliettini con numeri di telefono! Quindi boh...
Fa schifo, punto
A parte questo, il mio account FB: QUI 
E' tardissimo... vado a ripassare he è meglio! Scrivetemi una recensioncina per dirmi che ne pensate :3 Ps: questo capitolo è per Fiorella Francesca che ha compiuto gli anni! Auguri tesoro!
Grazie mille a tutte voi <3
Bacioni,
Giulia.



Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Ai piedi del Big Ben ***


Ascolta il tuo cuore



Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 4: Ai piedi del Big Ben.

EDWARD

«Hai il numero di telefono di una ragazza e non me lo hai detto?»
Scartai un’altra carta dal mazzo e feci segno a mio padre di abbassare il tono di voce.
«Stt papà! Svegli le bambine!»
Annuì soltanto. «Hai ragione, scusami. E solo che sono il tuo vecchio e, cerca di compatirmi… dopo quello che è successo con Tanya… Be’, sono un po’ su di giri!»
Scossi il capo, divertito. «Pa’, non farti filmini mentali come la mamma. Ho il suo numero, ma la conosco appena.»
«E allora? Magari le chiedi un appuntamento e…»
«Papà, per favore!». Risi sonoramente: mio padre era capace di immaginarsi le situazioni in uno schiocco di dita. «Figurati se le mando un messaggio con su scritto “Senti, non è che usciresti con me?”»
«Secondo me in poco tempo rimarrà incantata da te e vedrai che, come per magia, diventerà mia nuora.»
Ovviamente aveva cominciato ad andare un po’ troppo oltre con la mente.
«Certo papà, sogna.»borbottai. «Rimarrò un ragazzo padre per molti anni mi sa.»
Sghignazzò soltanto. «Sono sicuro che un giorno si avvererà ciò che penso, vedrai.»



«Amore, quindi non ti senti bene?»
Meredith scosse il capo, con gli occhi lievemente socchiusi. «Mi fa male la testa, papy. Tanto tanto.»
Appoggiai le labbra sulla sua fronte. La pelle era più calda del solito e il viso era tutto rosso, come se fosse stato su un fuoco.
«Non ce la fai ad andare a scuola?»mormorai, carezzandole i capelli.
«Ma le gambe mi tremano e ho freddo. Non sto bene.»
Sospirai. «Vorrei sapere come hai fatto ad ammalarti. Questo è successo perché non ti sei asciugata i capelli quando ti sei fatta la doccia. Te lo dico sempre Mary…»
«… che posso prendere il raffreddore, lo so.»borbottò e si avviluppò di più fra le coperte.
Rimasi qualche minuto ad osservarla. Tremolava vistosamente e continuava a prendere lunghi sospiri per scaldarsi  un po’.
«Allora solo per domani starai a casa da scuola. Però se domani non hai più febbre, andrai a scuola, okay?»
Annuì e chiuse gli occhi, addormentandosi profondamente.
Controllai Viola nella culla, che placidamente riposava da qualche minuto. Mi distesi allora di fianco a Meredith, nonostante avesse la febbre. Ma poco mi importava. Dopotutto, ero il suo papà e le avevo promesso che le sarei sempre stato vicino.
La bambina si rannicchiò scontro il mio petto, con le manine sotto il mento. Il suo corpo era un brivido unico anche se la sua pelle scottava.
Alla luce tenue della lampada, intonai le prime note della ninnananna che ormai cantavo da sei anni e mezzo con Mary accanto a me.
Era diventata la nostra abitudine sin da quando era nel grembo di Tanya. Quando eravamo ancora felici e non avevamo problemi.
Quando eravamo ancora giovani e totalmente spensierati, incoscienti e… ci amavamo.
Mi faceva male trarre certe conclusioni a mezzanotte, con la mente semi addormentata ma una parte ancora lucida.
Il perché era semplice: ero un perfetto idiota. Avevo lasciato che Tanya se ne andasse e mi piantasse su due piedi come un cretino.
E forse mio padre aveva ragione: per quanto non lo avesse sottolineato, voleva che instaurassi un rapporto con un’altra donna, per dimenticare Tanya.
Eppure mi sembrava impossibile. Io, uomo dedicato solo al lavoro e alle bambine, sarei stato totalmente maldestro a ricominciare un percorso amoroso.
Malgrado ciò, il mio cervello pareva essersi momentaneamente impuntato su quell’idea, cocciuto e impenetrabile.
La notte trascorse senza che ce ne accorgessimo e la sveglia suonò come da routine. La voglia di scansare le coperte e scendere dal letto era pari a zero e oltretutto Mary dormiva ancora, quindi perché per una volta non potevo concedermi un po’ di relax?
Un pianto spacca timpani si propagò nella stanza… Avevo parlato fin troppo presto.
In cucina, Viola bevve la sua solita razione mattutina di latte, guardando distrattamente la televisione. Ogni giorno quella piccolina mi donava nuove sensazioni, con le sue scoperte giornaliere e… be’, i suoi bellissimi occhi, che cominciavano sempre di più a schiarirsi, mi facevano sempre tornare il sorriso.
Dal corridoio si ampliò uno strascichio di piedi sul pavimento. Meredith spuntò dall’angolo, avvolta nel plaid blu, con i capelli biondi scompigliati.
«Pensavo stessi dormendo.»mormorai, posandole un bacio sulla guancia.
Scosse il capo. «No. Ero sola di là e volevo stare con te.»
Si sedette dall’altra parte del tavolo, con la bocca leggermente dischiusa e gli occhi ancora umidi dal sonno.
«Hai fame?»
La bambina annuì con un cenno del capo, senza distogliere lo sguardo dal cartone animato trasmesso in TV.
«Vuoi che ti prepari la colazione?»le chiesi ma lei scosse il capo, dirigendosi verso lo scolapiatti.
«Papy, sono capace.»borbottò, guardandomi con i suoi occhi splendenti, come se fosse stata la cosa più ovvia al mondo, quasi per banalizzare la mia domanda.
«Lo so, piccola, ma vuoi una mano?»
Scosse ancora il capo. Era la mia piccola donna, così responsabile per i suoi soli sei anni. Molto più affidabile di suo padre di certo.
La osservai svolgere quelle piccole azioni, andando avanti e indietro per la cucina, con la tazza colma di latte e cacao in polvere.
Quando ebbe finito, si accomodò nuovamente davanti a me, versando una generosa manciata di cornflakes nella scodella.
«Ti senti meglio di ieri sera?»dissi, adagiando Viola, nuovamente appisolatasi, nella carrozzina.
«Sì, non ho più freddo e mi è passato il mal di testa.»rispose goffamente, data la bocca piena di fiocchi di mais.
Quando le toccai la fronte mi accorsi che la temperatura era scesa di qualche grado durante la notte; era leggermente più fresca, meno accaldata e non era velata di sudore.
«Mh… Direi che non hai più la febbre. Può darsi che fosse solo un malanno passeggero.»
La bambina mi guardò attentamente. «Come faccio a non ammalarmi con questo freddo?»
Risi. «Hai ragione, amore.»
Lasciai cadere il discorso e spinsi il passeggino fino alla mia camera, giusto per non svegliare Viola pulendo casa.
Svolsi le solite faccende giornaliere, mentre Mary guardava la televisione.
Quella quotidianità non mi aveva mai riempito eccessivamente le tasche, stressandomi e annoiandomi. Anzi, ogni giorno lo consideravo un dono, perché la sera, che mi coricavo a letto, non sapevo dove mi sarei trovato il giorno dopo: se fossi stato sempre a casa oppure dall’altra parte del mondo… Oppure ancora se avessi mai aperto ancora gli occhi, oppure se l’anima mi avesse abbandonato.
La vita mi aveva fatto troppi scherzi e non riuscivo a prendere alla leggera i giorni che passavano. Si era beffeggiata di me, facendomi diventare un illuso e un totale cretino.
Non volevo più ricadere nei miei errori ma imparare da essi, esibendoli come cicatrici.
Sapevo che ne ero capace, senza paura anche se ogni tanto mi sentivo un codardo.
Distolsi la mente dai miei ragionamenti contorti, ritornando alla realtà. Dovevo per forza chiamare mia madre per avvisarla…
Tastai le tasche dei jeans, senza trovare il telefonino. Eppure mi pareva di averlo lasciato lì, e invece non c’era più.
Mi girai, perlustrando la stanza con lo sguardo. Sul tavolo e di fianco al televisore zero. La mia attenzione si focalizzò su Meredith, che teneva qualcosa fra le mani.
«Amore, che stai facendo con il mio cellulare?»
Lei sollevò gli occhi, sgomenta. L’avevo beccata e ora si trovava in grossi guai.
«Io? Nulla, papà!»
Mi restituì l’apparecchio, che vibrò per qualche secondo. «Questa è tua nonna che mi chiama per sapere di domani.»
E invece non era una telefonata ma bensì un messaggio.
Era…
“Mi farebbe molto piacere. Allora ci vediamo al Parliament Square alle 15.
Bella.

Oh, Cristo.
«Meredith, che diavolo hai combinato?!»
Mia figlia mi guardò, semplicemente sorridendo, furbamente. «Abbiamo un ‘appuntamento’ con Bella.»


«Mary, non so cosa ti farei. Perché mi hai incasinato in questo pasticcio?»
Avevo un appuntamento con una ragazza, per lo più organizzato dalla mia bambina pestifera.
Cavolo, aveva solo sei anni eppure era più furba di una volpe ed era capace di combinare qualsiasi cosa.
«Perché… Uffa, papà! Dovresti ringraziarmi! Finalmente uscirai con una donna dopo tanto tempo e invece che fai? Ti arrabbi solo perché non te lo aspettavi!»
Sospirai. «Non mi sto arrabbiando ma… Mary, se ci tenevi tanto potevi anche dirmelo! Invece mi hai fatto fare la figura del babbuino e dello spavaldo, cosa che invece non sono!»
«Un po’ babbuino lo sei…»mormorò la bambina.
Le lanciai un’occhiataccia e perlustrai la zona intorno a noi. I erano solo bus e taxi che andavano avanti e indietro per le vie, le persone camminavano placidamente accanto a noi.
Una ragazza, poco lontano da noi, ci sorrise, accelerando un po’ il passo.
«Meredith!», mormorò gioiosa, sfiorando le guance arrossate della mia piccola. Poi mi rivolse un sorriso tenero, sincero. «Ciao, Edward.»
Cristo, mi sentivo così idiota! Non sapevo cosa fare, totalmente maldestro e insicuro.
«Bella.»risposi timidamente, cercando di sembrare il più possibile disinvolto. Ma ovviamente il mio tentativo fu invano e la mia voce tremolò sonoramente.
Bella si sporse verso la carrozzina, carezzando il visino di Viola, addormentata e avvolta da tutti quegli strati di coperte e vestitini.
La donna si sfregò le mani nude, forse provando a riscaldarle. «Andiamo a prendere un caffè qui vicino? Mi sto congelando!»
Io e Meredith annuimmo contemporaneamente e, spingendo il passeggino, seguimmo Bella poco più in là dell’imponente Big Ben.


________________________
Ehm... Okay, so che è tanto che non aggiorno ma vi prego, non linciatemi.
L'ultimi 2 mesi sono stati stressanti con la scuola e purtroppo non so quando avverrà il prossimo aggiornamento... ovviamente, di cuor mio, spero presto, ma non vi posso promettere nulla.
A parte questo, il mio account FB: QUI 
Ora è tardi, domani ho una giornataccia :S Mi lasciate una recensioncina? :3
Grazie mille a tutte voi <3
Bacioni,
Giulia.



Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Un passo alla volta ***


Ascolta il tuo cuore



Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 5: Un passo alla volta.

BELLA

Sorseggiai un altro sorso di cioccolata calda, osservando l’uomo davanti a me.
I capelli rossicci erano leggermente scompigliati, gli occhi verdi scattavano da una parte all’altra del cafè.
«Mary, fa’ attenzione a non scottarti.»mormorò, baciando la testa della bambina seduta sulle sue ginocchia.
«Sì, papà.». Meredith si girò verso di me, con gli occhi puntati al cielo. «Fa sempre così.»
Ridacchiai. Erano così carini: si somigliavano molto. Quella punta di verde negli occhi azzurrini della bambina, la tonalità soffusa scarlatta nei capelli…
«Be’, Edward, raccontami un po’ di voi… Sono curiosa.»sussurrai imbarazzata. Ero sempre stata una ficcanaso, mia madre me lo aveva sempre ripetuto fino alla nausea. E anche quella volta la solfa non era cambiata, tranne per un fatto. Quell’uomo, Edward, mi faceva ancora di più incuriosire… Ma senza un motivo apparente.
Il suo viso prese una piega triste, quasi malinconica. «Da dove cominciamo, piccola?»disse, rivolgendosi alla figlia, che sorrise.
«Comincia dall’inizio! Come nelle storie!»esclamò, come se fosse stata la cosa più scontata al mondo.
«Va bene.»mormorò, deglutendo. «Allora, otto anni fa conobbi Tanya e… be’, dirti che ci amavamo è banale. Poi, un giorno, questa marmocchia è arrivata nelle nostre vite, e devo ammettere che avevo ventitré anni e non cercavo figli. Poi a settembre è arrivata Viola, e le nostre vite sembravano felici…»
Nella voce vi era un’alterazione, quasi come se invocasse dei ricordi di un passato recente.
Non mi azzardavo a chiederne il motivo, ero già parsa troppo indiscreta per i miei gusti e non avevo la benché minima voglia di diventarlo ancora di più.
«Vuoi sapere il motivo per cui ho detto quell’ultima frase, vero?»domandò Edward, continuando a sorridere. Scossi il capo, mentendo, ma lui subito capì che in realtà era tutto l’opposto.
«Te lo si legge negli occhi. Comunque, la spiegazione è semplice. Due settimane dopo la nascita di Viola, Tanya ha deciso di mollare tutto, me e le bambine, e andarsene… Solo dopo ho scoperto che forse mi tradiva.»
Aprii la bocca, incredula. «Mio dio, mi spiace, non immaginavo…»
«Capita. Però, con le mie ragazze, ho passato quel periodo.»
Sorrisi, solamente. «Sei molto fortunato ad avere due bambine così splendide.»
«Diciamo che sono le mie ancore di salvezza, ecco. Penso che senza di loro avrei preso a fumare e avrei perso ben presto la testa.»
Distolsi lo sguardo dal suo e osservai quella bambina così piccola risposare tranquilla avvolta fra tutte quelle copertine.
«E’ bellissima.»ebbi la forza di mormorare. Sembrava un angioletto: il viso paffuto era macchiato da due piccole chiazze rossastre proprio sulle guance, gli occhietti chiusi vibravano appena.
«Vuoi prenderla in braccio?»
Guardai Edward. Non diceva mica sul serio?
«Ma se poi mi cadesse? O se le facessi male?»farneticai frettolosamente, cercando di evitare la questione.
«Tranquilla: non puoi farle nulla in nessun modo e poi non guizzerà via come un’anguilla.»
Prese quel corpicino così fragile e me lo depose fra le braccia che mi tremavano vistosamente. Eppure la piccola non aprì gli occhi né cominciò a piangere. Allora capii che in nessun modo avrei potuto nuocerle. La strinsi un po’ al petto e aspirai il profumo che la sua pelle emanava.
Sapeva di latte e di camomilla.
«E’ così piccina.». Le sfiorai le guance cicciottelle e poi il naso. Era morbidissima, quasi come se la sua cute fosse stata di velluto.
L’uomo mi sorrise e non disse nulla, ma continuò a guardare me e quel piccolo gioiello che mi dormiva sul petto.


«Ho passato un gradevole pomeriggio.»
Continuavo a balbettare come una stupida e le mie guance avvampavano furiosamente ogni due secondi.
«Sì, anche noi.»rispose, cercando di sembrare il più gentile possibile, anche se pure lui era visibilmente impacciato.
Ci fu un attimo di silenzio che si ruppe quando Edward riprese la parola.
«Vuoi venire un attimo dentro?»
Spalancai ancora di più gli occhi e annaspai. «Co… Cosa?»
In realtà avevo metabolizzato bene la sua domanda ma il problema serio era che non riuscivo a crederci.
O meglio… Non volevo crederci. Dopotutto, ero una perfetta estranea, no?
«Ehm… Sempre se vuoi, ecco.» mormorò, schiarendosi la gola.
Annuii solamente, seguendolo fino alla porta d’ingresso.


EDWARD

Se qualcuno mi avesse chiesto perché le avevo posto quella domanda… Be’, la mia risposta sarebbe stata un blaterare unico.
Era stato un impulso. Forse il voler essere gentile con lei… Non ne avevo idea del perché.
E in quel momento Bella era seduta al tavolo della cucina, con Viola fra le braccia che la guardava curiosa.
Non mi andava di farle un saluto così su due piedi e poi tornarmene dentro, mentre lei sarebbe andata a casa per i fatti suoi.
Deposi sul tavolo le due tazze contenenti la cioccolata calda e le sorrisi. «Vuoi che la prenda io?»
Le alzò lo sguardo e scosse il capo. «No, non è un problema.»
Viola chiuse tranquilla gli occhi, cullata dai dolci movimenti di Bella, che le sfiorava di tanto in tanto il nasino con la punta delle dita.
Bevemmo con calma la bevanda, parlottando e facendo qualche battuta ma talmente eravamo imbarazzati che ne uscirono solo guance arrossate.
«Ora devo andare.»mormorò ad un certo punto, alzandosi e appoggiando Viola nella carrozzina. Mi rivolse un sorriso sincero e uscimmo nel vialetto.
Il cielo era già buio, puntinato di stelle piccole e scintillanti.
«Mi ha fatto piacere poter passare del tempo con voi.»disse, premendo il cappuccio alla testa.
«Sì, anche a noi.»
Non sapevo cosa fare. Baciarle la guancia era eccessivo, farle un cenno con il capo era troppo poco.
Le strinsi una mano, delicatamente. Era una via di mezzo plausibile per non sembrare un perfetto deficiente.
Bella si allontanò, camminando verso la fermata dell’autobus, senza voltarsi. Rientrai in casa, scuotendo il capo.
Bene, per colpa di mia figlia mi ero ritrovato a un appuntamento con la sua maestra di danza. Non mi ero potuto preparare psicologicamente e avevo fatto la figura del… babbuino.
Sospirai. «Sono un'esimia testa di cazzo.»
Meredith mi guardò di sbieco. «Che vuol dire "esimia testa di..."»
Le misi una mano sulla bocca, zittendola. «Niente, amore di papà. Non va assolutamente ripetuta o ti faccio lavare la lingua con il sapone come faceva nonna Esme con me e zia Alice.»
Sgranò gli occhi e fece una smorfia di disgusto. «Bleah, ma che schifo!»
Risi e le diedi una pacca sulla schiena. «Avanti, vai a finire di fare i compiti, okay?»
Non disse nulla e ritornò nella sua stanza, canticchiando qualcosa sottovoce.
Insomma… Potevo considerarlo come primo appuntamento? Oppure solo come una specie di prefazione amichevole?
Nessuna delle due, ovvio. Un incontro combinato dalla mia –troppo- intelligente bambina di sei anni, di sicuro più furba di me.
Però ci andava un passo alla volta, uno dopo l’altro, con calma e senza affrettarsi più del dovuto.

________________________
Allooooora.
Buona sera. Sono riuscita ad aggiornare prima del 17 dato che poi parto :3
Devo dire innanzitutto grazie a Marystew per il titolo *_* Io ero a corto di idee.. ._.
Poi mi scuso per la brevità del capitolo ma il motivo è dovuto dal fatto perchè come sapete era la seconda parte del secondo capitolo. E ammetto che è una schifezza.
Da ora capiteranno cose importanti.. A meno che la mia mente non impazzisca di nuovo.
Vi lascio
il mio account FB: QUI 
Vado a ripassare storia nella vana speranza che non interroghi domani la prof. Mi lasciate una recensioncina? :3
Grazie mille a tutte voi <3
Bacioni,
Giulia.



Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** All I want for Christmas is you ***


Ascolta il tuo cuore



Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 6: All I want for Christmas is you.

EDWARD

Non so come e non so il perché, ma ad un certo punto il mio cuore aveva ripreso a battere davvero.
Forse era l’aria festosa del Natale che mi avvolgeva e rendeva tutto più facile.
Fatto stava che dopo tanto tempo mi ero risentito me stesso.
Era bastato un mese solo per farmi capire nuovamente cosa volessi davvero, cosa potessi provare per un’altra persona o comunque ritornare alla realtà, senza più dover soffrire.
Mi era sembrato davvero strano, perché avevo fatto quasi l’abitudine a convivere con quell’oppressione e non speravo neanche più che se ne andasse.
E invece in quel mese pieno di sorrisi, chiacchiere e sì, anche di forti emozioni, avevo riavvolto il nastro, tornando a quei momenti in cui non desideravo altro che l’amore verso una persona.
Mi ero dovuto di certo ricredere. La tranquillità aveva ricominciato a regnare nel mio cuore.
E dovevo anche dire grazie alla mia bambina. Aveva un padre che era un babbuino come pochi. Ma ora eravamo felici davvero. Io per primo.
Strinsi distrattamente la mano di Bella. Era una di quelle poche persone che erano capaci di farmi tornare bambino.
Però ancora non le avevo detto tutto. O meglio, ci stavamo frequentando ma ancora non avevo il coraggio di dirle davvero ciò che provavo per lei.
Dovevo dare tempo al tempo e magari ci sarei riuscito.
Era però meraviglioso poter passare un po' di tempo all'infuori delle bambine. Dopotutto Tanya era troppo presa da quello spilorcio e non aveva chiamato manco per sapere a che punto fossero i preparativi o se avessimo bisogno. Ma da lei me lo sarei aspettato. Insomma, c'ero stato assieme per dieci anni e non mi serviva di certo un genio per capirlo. 
Ma poco mi importava. Mancava solo un giorno a Natale e davvero, non volevo pensare a chi davvero non mi meritava.
«A me cosa regali, papà?»
Meredith smise di saltellare davanti a noi e mi guardò. Il berretto rosso le copriva gran parte della visuale e lei fu costretta a sbirciare da sotto il tessuto.
«Amore mio, non insistere. Lo scoprirai domattina.». Era proprio mia figlia: cocciuta fino al midollo, era difficile smuoverla dalle sue idee.
Bella rise e si avvolse ancora di più nel cappotto. «Qualunque cosa sarà, vedrai che ti stupirà.»
Mary fece spallucce e continuò a salterellare, canticchiando qualcosa sotto voce.
Viola dentro la carrozzina tirò su il nasino e fece un veloce lamento. Faceva troppo fredda per tirarla fuori da tutte quelle copertine. 
Ci guardammo attorno. Le strade erano illuminate da migliaia di lucine rosse, bianche e verdi. Ogni vetrina era contornata da liane lucenti e si sentiva qualche melodia natalizia risuonare in lontananza.
All’improvviso feci cenno a Bella di fermarsi e quando Meredith si accorse che non la stavamo seguendo, si girò e ci guardò perplessa.
«Perché vi siete…»
Non finì la frase e si mise ad urlare e strepitare. «Andiamo al McDonald? Sul serio?!»
Le carezzai i capelli e non trattenni un sorriso che mi nacque spontaneo. «Certo, piccola. Dopotutto a Natale si dobbiamo essere tutti più buoni, no?»
Meredith mi saltò letteralmente tra le braccia e si accoccolò sulla mia spalla. Adorava quel ristorante: i miei genitori la portavano estenuantemente là. Era il paradiso del cibo grasso e delle schifezze. E già troppe volte avevo declinato la sua proposta di andarci, quindi mi era sembrato opportuno per una volta accontentarla.
«Ti andrebbe? Intendo mangiare con noi.»mormorai a Bella, mentre entravamo nel ristorante.
«Ovvio.», sorrise, guardandomi negli occhi. Mi sarei ben presto perso nel vortice di quel cioccolato fuso…
«Non vado ne vado matta, però uno strappo alla regola di certo non mi farà male.»
Non sapevo cosa risponderle e mi limitai a sorridere come un perfetto deficiente. Era capace di farmi uscire di testa come nessuna aveva mai fatto e certe volte avrei voluto urlarle cosa provavo per lei. Però il mio coraggio era ben sotto il livello di norma e allora mi tiravo indietro.
«Cosa prendo?». Mary continuava ad esaminare senza sosta il tabellone posto sopra le nostre testo e ripeteva tutti i nomi scritti senza però riuscire sul serio a decidersi.
«Io ho optato per una Coca Cola e un BigMc. Tu prendi l’Happy Meal, così ti danno la sorpresa.»le sussurrai all’orecchio, carezzandole la guancia.
Alzò gli occhi e mi ringraziò, sempre con quel suo bellissimo sorriso sulle labbra.
Intanto Viola continuava a brontolare, probabilmente per la fame, e iniziò a vagire sonoramente.
«Vieni qui, piccina.»
Mi girai verso Bella, che cautamente si era chinata verso la neonata e se la accoccolava teneramente sul petto.
Agli occhi esterni potevamo sembrare tranquillamente una normale famigliola, anche se in realtà Bella non era, purtroppo, la madre delle bambine.
Gli occhi della piccola scattavano velocemente da una parte all’altra e lei osservava interessata ciò che succedeva attorno a lei.
«Voleva solo essere tirata su.»mormorò la donna, baciando la testolina di Viola. «Non è vero, cucciola?»
Mi voltai e sorrisi soltanto, perché non sapevo se commuovermi o strapparmi i capelli. Era tutto così… perfetto e reale. Perché non riuscivo solo ad andare da lei e dirle tutto ciò che da un mese intero mi portavo appresso? Perché?
Il desiderio era smisurato e gliel’avrei detto anche davanti a tutte quella gente se solo…
Se solo avessi avuto le palle.
Non mi azzardavo neppure a sfiorarle la mano o dirle qualcosa all’orecchio perché mi vergognavo troppo.
Sarà stata la presenza di Meredith oppure qualcosa in me che andava dal senso opposto, fatto stava che nonostante provassi ciecamente a raggiungere quell’obiettivo ogni volta mi tiravo indietro.
Ci sedemmo ad un tavolo in un angolo, cercando un frammento di tranquillità in quel posto.
Mi accorsi in una frazione di secondo che Bella era intenta a cullare Viola e non riusciva staccarle gli occhi di dosso. Erano fatte l’una per l’altra, come se davvero una particella della donna avesse fatto parte della bambina.
«Vuoi che la tenga io?». Cercavo di sembrare il più carino possibile e non essere il solito babbuino stupido e senza cervello.
Lei scosse il capo e continuò indisturbata a coccolare la neonata. Più volte le chiesi se voleva una mano eppure continuava a negare e, per quanto mi sembrò stupefacente, riuscì a finire il suo pasto senza neppure posare la bambina nella carrozzina.
Ero rimasto senza parole e lo rimasi per tutta la serata, fino a che non l’accompagnammo sotto casa.
«Grazie mille.»mormorò. Gli occhi, nonostante la stanchezza, erano sempre scintillanti.
«E di cosa?»
Fece spallucce e rise.«Della bella giornata, sul serio. Penso che sarei morta dalla noia se fossi rimasta a casa tutto il pomeriggio.»
Sorrisi.«Be’, almeno hai girato un po’.»
Annuì soltanto e fece per scendere, finchè non si girò e mi abbracciò. «Grazie Edward.»
Rimasi senza parole e cercai di salvare ogni singolo momento di quel contatto. «Grazie a te.»
«Buon Natale.»,mormorò infine, risplendendo ancora. Chiuse la portiera e si avvicinò al portone di casa sua.
Ero proprio cotto a puntino.


«Papà! Svegliati! Voglio aprire i regali!»
Meredith continuava a sballottarmi da una parte all’altra e strillava talmente forte che i miei timpani sembrarono cedere.
«Sono sveglio! Ora ti mangio!»
La presi fra le braccia, cogliendola di sorpresa, e iniziai e mordicchiarla ovunque, mentre le sue risate colmavano la stanza.
«No! Non mangiarmi!»
Si calmò quasi subito e rimase attaccata a me ancora un po’. Le sue braccia erano allacciate alle mie e continuava a sussurrare qualcosa di assolutamente sdolcinato all’orecchio.
«Dai, che è tardi! Voglio aprire i regali! Sono già le undici!»ricominciò subito a strillare, spingendomi giù dal letto.
Scesi dal mio comodo giaciglio e la guardai frastornato. «Ma io avevo sonno!»
«Tu hai sempre sonno!»borbottò, tirando il mio braccio. «Dai!»
Risi e lasciai che corresse in salotto, dove c’era l’albero addobbato. Viola era nel lettino, tranquilla, che fissava il soffitto. Stranamente nonostante le urla della sorella non si era spaventata e neppure messa a piangere.
La presi fra le braccia e la feci distendere sul mio petto, con la testolina sulla mia spalla. Le baciai i fini capelli e le feci qualche carezza sulla schiena, anche se non ne aveva bisogno perché si stava riaddormentando.
«Buon Natale, piccina.»mormorai e lei mi rispose con un breve vagito.
I momenti che ne proseguirono furono solo risate e strepitii. Meredith continuava a fissare il suo regalo, ancora impacchettato, senza decidere cosa farne. Voleva sapere a tutti i costi cosa ci fosse dentro.
Alla fine la obbligai ad aprirlo e quando vide il contenuto scoppiò in lacrime. Alla fine, ero riuscito a regalarle ciò che davvero desiderava da tanto tempo: una chitarra.
Avevo messo da parte i risparmi e con l’aiuto dei miei genitori avevamo racimolato abbastanza da permetterci una chitarra acustica, simile alla mia di quando ero ragazzo che custodivo gelosamente nel mio armadio e che ben poche volte salvavo dalle ragnatele per strimpellare qualcosa.
Vedere il viso della mia bambina trasformarsi in una smorfia di stupore puro mi aveva colmato il cuore tanto da farlo straboccare d’amore.
Ero riuscito a trasmetterle il mio amore per la musica e ora ero riuscito a renderla ancora più felice di quello che già non fosse.
Dopotutto, avevo iniziato proprio alla sua età a dilettarmi al pianoforte che mio padre teneva nel mansardato e avevo iniziato ad approcciarmi alla musica sempre più intensamente, fino a che non riuscii a frequentare corsi avanzati per sentirmi sempre più fiero.
Per me la musica era la mia compagna di vita, e forse era proprio per quello che Tanya mi aveva mollato… Non amava quei suoni che per lei non avevano un senso. Tutte le volte che io provavo a far imparare a Mary qualche nota, lei strillava e diceva di buttare quell’arnese di legno o che lo avrebbe fatto lei stessa.
Mi sentivo un bambino davanti a tutta quella gioia che la mia piccola voleva condividermi e la ascoltavo placido, mentre scorreva le dita minuscole lungo le corde.
E se per sbaglio la nota saltava o veniva particolarmente fastidiosa, faceva un sorriso tirato come per dire:”Ops, che guaio! Che pasticcio!” e poi cominciava a ridere.
Ora eravamo davvero liberi.



BELLA.

«Rose, calmati, per l’amor del cielo!»
Condividere le ultime novità con una delle mie migliori amiche era come andare al patibolo, perché con tutte le loro domande rischiavano di sotterrarti.
«Aspetta, tu esci con uno e non me lo dici?! Ma ti sembra il caso di trattarmi così?!»continuava a sbraitare, e nonostante le sue urla coprissero gran parte dell’ambiente che la circondava, riuscivo a captare rumori provocati da oggetti che cadevano e simili.
Evidentemente si stava scaldando, e non poco.
«Rose, perdiana, datti una regolata!»urlai, attivando il vivavoce e sbattendo il cellulare sul letto. «Non esco con lui… Cioè, ci frequentiamo ma non è nulla di più!»
«Non ci credo! Punto! Dai, mi hai sempre raccontato tutto e ora non mi dici più nulla? Cos’è ‘sta storia?»
Sbuffai. «Va bene. Tra poco esco, vado a casa di Alice che mi ha invitato per festeggiare il Natale con lei e la sua famiglia, okay?! Tutto lì!»
«Però scommetto che da Alice c’è anche suo fratello. Com’è che si chiama, già? Ah sì, Edward!»
Deglutii rumorosamente e non risposi, asciugandomi la fronte con il dorso della mano.
«C’ho azzeccato! Cazzo, mi sento un genio! Oh yeah!»cominciò ad esultare, canticchiando allegramente. «A me non puoi nascondere nulla, tesoro! Perché tanto lo scopro sempre
«Va bene, hai vinto! Penso ci sia pure lui, ma non ne sono sicura al cento per cento. So solo dirti che non so cosa cavolo mettermi.»
«Se c’è lui, mettiti un bell’abito scollato al massimo e super corto… Puoi stare certa che cascherà ai tuoi piedi
«Rose!», dissi, con un tono falsamente stupito e scioccato. «Sai che odio vestirmi in quel modo!»
«Ma per una volta, cosa vuoi che sia? Dai! Che poi voglio vedere le foto!»
Sbuffai, e continuai la mia ricerca tra le centinaia di abiti che tenevo rinchiusi nell’armadio a prendere polvere. «Non trovo nulla! Che colore?»
«Rosso! O nero! Però rosso mi piace molto di più! Sei una Mamma Natale molto cattiva in quel modo.»
Feci finta di non aver sentito e scovai un abito che non avevo mai messo. Rosso, con una scollatura a cuore, lungo appena sopra il ginocchio. Avevo speso inutilmente dei soldi, quella volta che l’avevo comprato, perché non l’avevo mai indossato.
O meglio, non avevo mai trovato un momento decisivo per indossarlo.
«Okay, l’ho trovato! Scarpe nere, collant trasparenti e poco trucco. Che dici?»
Rose schioccò la lingua. «Baby, secondo me farai un figurone! Vai così!»
Risi soltanto e mi vestii velocemente. Erano già le venti e trenta e io dovevo essere da Alice nel giro di quindici minuti o poco più.
Quando mi guardai allo specchio, rimasi estasiata. Stranamente, il vestito mi calzava a pennello e non mi faceva sembrare una mega fragola con due tette enormi. Mi fasciava adeguatamente e le scarpe slanciavano le gambe.
Lasciai i capelli sciolti sulle spalle. «Rose, sono pronta!»
«Perfetto! Dai, ora vai, o altrimenti arrivi in ritardo! Poi voglio tutti i dettagli, honey! Un bacio!»
Chiusi il telefono e lo gettai nella pochette. Nonostante i tacchi alti ben dieci centimetri, a cui ero ben poco abituata, scesi le scale in fretta e furia e quando mi sedetti in auto, dovetti fare dei lunghi respiri per poter riprendere conoscenza e lucidità.
Ero davvero troppo agitata eppure mi sentivo euforica e quando mi trovai davanti alla casa di Alice, sul mio viso si era dipinto un sorriso sereno e pieno di aspettative.


EDWARD.

Mia sorella Alice, come tutti i Natali, era riuscita ad addobbare magnificamente il suo salone. Era pieno di ghirlande e luci caleidoscopiche, il profumo dello spumante frizzava nel naso e c’erano tantissime risate.
«Papy! Guarda!»
Meredith richiamò la mia attenzione. «Dimmi.»
«La nonna ha detto che sto benissimo vestita così.»mormorò, con le guance rosse e il sorriso sempre stampato in volto.
In effetti ero davvero orgoglioso di come fosse vestita la mia bambina. Le avevo fatto indossare un vestitino rosso scuro che le stava magnificamente e le paperine nere la rendevano ancora più graziosa.
Sorrisi a mia madre e lasciai che Mary corresse di nuovo in giro per le stanze, a giocare e a correre con gli altri bambini.
Ero un po’ a disagio, perché mi sentivo solo e mi mancava qualcosa. Viola dormiva placidamente nella carrozzina di fianco al divano dove era seduta mia madre e non sapevo cosa fare.
Mi sentivo così inutile.
«Deve arrivare ancora qualcuno?». Mi rivolsi a Alice, che stava portando gli antipasti nel salone.
«Uhm non lo so, sinceramente, ma…»
Il suono del citofono la interruppe e lei volò ad aprire il portone. Non so perché, ma in quel momento mi sentii su di giri, come se avessero caricato una molla nel mio corpo e l’avessero lasciata partire.
Continuavo a fissare la porta e quando Alice ricomparve, mi si mozzò il fiato.
Alle sue spalle, c’era l’angelo più bello che avessi potuto mai vedere. Bella era fasciata in un aderente abito rosso e… era bellissima.
Non trovavo le parole adatte per descriverla perché era ogni aggettivo era insignificante in confronto a lei.
Mi sorrise timidamente e dovetti avvicinarmi a lei. Era stato un neurone del mio cervello a dirmelo, e io non avevo resistito.
«Ciao, Edward.»mormorò, quando Alice si levò dai piedi.
Provai a ricambiare il sorriso ma ciò che ne venne fuori fu una smorfia orribile. Almeno ero riuscita a farla ridere.
Stemmo assieme cercando di allacciare un discorso concreto, senza impallarci a metà frase. Ma ciò che davvero sbloccò la situazione fu la musica.
Mio padre era arrivato al pianoforte verticale che c’era nella stanza e Meredith lo seguì. Tutti ci voltammo verso di lei, che divenne subito rossa.
Si schiarì la gola. «Vorrei dedicare a tutti quanti una canzone.». Marcò sul tutti e mi fissò, facendomi capire che era soprattutto per me.
Mi venne il magone in gola e tossicchiai nervosamente.
«Vorrei cantarvi una canzone che la nonna mi ha insegnato e che io adoro. Vai, nonno.»
Le note di “All I want for Christmas is you” si distesero e la voce argentina della mia bambina intonò le prime parole.
L’ascoltai incantato e non mi accorsi che il mio braccio si era legato attorno al fianco di Bella, che per non si era scansata e non aveva detto nulla. Anzi, sorrideva.
Ad un certo punto, alzai lo sguardo e notai un rametto penzolare sopra la mia testa.
Era…
«Cosa stai guardando?». Bella mi fissò stralunata e si accorse di quella cosina verde.
«Quello è… vischio?»domandai, e mi accorsi che c’avevo azzeccato.
Lei annuì e mi fissò ancora più impaziente. «Cosa vorresti dire?»
«Sai cosa succede quando ci si trova sotto il vischio?»chiesi, guardandola negli occhi. Non capii se aveva annuito o meno, però di sicuro aveva capito cosa intendeva.

I just want you for for my own
More than you could ever know
Make my wish come true
All I want for Christmas is you
You baby

Le mie labbra si adagiarono su quelle di Bella. Pensai subito che mi desse uno schiaffo, ma la sua mano si appoggiò sulla mia spalla. Era… strano.
Qualcosa dentro di me era cambiato in positivo. La parte che mi sembrava mancante ora era nuovamente integra.
Il fiato dolce della ragazza mi invase i polmoni e quando mi accorsi che tutti avevano smesso di cantare e ci guardavano, non me ne curai. Le labbra di Bella seguivano le mie e non avevo bisogno di niente e nessun’altro in quel momento.
Meredith riprese a cantare, e con la coda dell’occhio mi accorsi che piangeva vistosamente. E intanto io continuavo a sentire quel vortice di emozioni che mi turbinava nello stomaco, nei polmoni.

'Cause I just want you here tonight
Holding on to me so tight
What more can I do
Baby all I want for Christmas is you
You

Sentii solo più le mani di Bella sulle mie e poi solo il mio cuore palpitare nuovamente perché finalmente ero tornato me stesso.
Guardai Bella negli occhi, con le mie labbra a fiore delle sue.
«Baby all I want for Christmas is you.» ebbi solo la forza di mormorarle, prima di tornare a bearmi quel momento magico e perfetto che nessuno avrebbe potuto portarmi via.


________________________
Sono stra di corsa. Scusatemi ç_ç Allora grazie a Afu per il primo banner ♥
E' un capitolo che personalmente adoro :') chissà perchè u.u
Cmq, grazie a tutte coloro che seguono e a delle persone molto speciali che mi sostengono. Loro sanno chi sono <3
Vi lascio il mio account FB:
QUI 
QUI il gruppo di FB :3
Mi lasciate una recensioncina? :3 Daaaai!
QUI il look di Bella :3
Ora vado, notte!
Giulia!


Grazie a Giovanna per questa cover :3 ♥



Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Un nuovo inizio ***


Ascolta il tuo cuore

Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 7: Un nuovo inizio.

BELLA

«Meredith, esci di lì!»

Mi affacciai verso il corridoio e intravidi Edward postato davanti alla porta del bagno, con la fronte appoggiata al legno scuro.
«No! Non voglio uscire! Rimango qui!»
L’uomo sospirò, girando lentamente il capo verso di me. «Cosa devo fare?»
«Che succede?», gli chiesi, sfiorandogli la spalla. Sbuffò di nuovo, bussando alla porta. «Papà, non esco! Smettila!», strillò di nuovo la bambina dentro alla stanza.
Edward si stancò e si scostò da lì, avvicinandosi a me. «Dovevo farle il bagno, ma non vuole uscire di lì. E poi penso ci sia anche qualcos’altro.»
Mi accarezzò la guancia e poi appoggiò il capo sulla mia spalla, cominciando a dondolare avanti e indietro. «Vuoi una mano?»gli domandai, sfiorandogli la nuca con la punta delle dita, dove i capelli erano più ispidi.
«Se riesci a convincerla, non so cosa ti faccio.»sussurrò, mentre io ridacchiai imbarazzata. Mi lasciò un lieve bacio e tornò nella stanza, dove Viola forse si era addormentata.
Appoggiai le dita alla maniglia. «Mary, mi fai entrare?»
La serratura scattò e la bambina mi lasciò entrare. Sebbene Edward pensasse il contrario, mi ero accorta che da giorni Meredith faceva costantemente capricci, soprattutto con il padre. Se lui le chiedeva qualcosa, lei faceva tutto l’opposto e così scattavano i castighi e i bisticci fra i due… Non sapevo però chi fosse il bambino.
Per me, il fatto che Mary si comportasse così, era dovuto a tutto ciò che era successo nell’ultimo mese. Forse era una specie di gelosia nei miei confronti… E potevo capirla perfettamente. Ero sbucata nella vita del padre in un lasso di tempo davvero corto e quello che era successo alla festa di Natale…
Be’, dopotutto era una bambina di quasi sette anni… E capire la situazione era di certo molto complicato per lei.
Quando entrai nella camera, Meredith non si girò neppure. Ritornò a sedersi sul bordo della vasca, dove probabilmente era stata tutto il tempo.
«Che succede?». Le carezzai i lunghi capelli biondi, mentre lei mi fissava con uno sguardo perso.
«Non voglio fare il bagno e non ho voglia di andare da nonna, stasera.»mormorò, rannicchiandosi sulla mia spalla. «Voglio stare con papà.»
Quante volte io da piccola desideravo stare con mio padre? La strinsi un po' più forte a me, e sembrò che il contatto non la turbasse affatto.
«Ma è solo per cena, no?»
La bambina scosse il capo. «No, fino a domattina. Ma io non voglio stare con la nonna. Mi fa fare solo degli stupidi giochi di società. Può andare Viola, ma io voglio stare con il mio papà.»
Ci pensai su per qualche secondo. Eppure mi pareva che Edward mi avesse riferito che avrebbe portato Meredith da sua madre solo per la cena e che poi l'avremmo riportata a casa per festeggiare assieme il capodanno...
Qualcosa non mi quadrava.
«Ah. Vabbè, senti, che ne dici se ora ti fai il bagno e poi dopo andiamo a vederci un film? Faccio scegliere a te, okay?»
Mary annuì con decisione, e l'espressione triste che era sul suo volto pochi istanti prima sparì per lasciar spazio a un sorriso a trentadue denti.
«Vado allora a chiamare tuo padre.». Davanti a lei non mi capacitavo di chiamarlo Edward... Forse perchè era tutto così naturale da non riuscire a cambiare nulla.
«No!»esclamò, quasi urlando, per poi diventare paonazza. «Rimani tu qui.»
Rimasi piacevolmente sorpresa a quell'affermazione. Insomma, io per lei ero una perfetta estranea, la sua insegnante di danza. Però questo a lei non dava fastidio, anzi, continuava a sorridermi.
«Okay.». Provai a sembrare il più disinvolta possibile, e mi sentivo quasi una stupida perchè era una bambina e non provava imbarazzo di fronte a me. «Allora, sbrighiamoci.»
Si sedette sul bordo della vasca, in bilico, mentre mi osservava regolare il calore dell'acqua.
Annegammo in un improvviso silenzio, rotto solo dallo sciabordio nella vasca.
Meredith dondolò i piedi, fissandosi le scarpine viola. Si voltò verso di me.
«Lo sai», cominciò. «papà mi ha regalato una chitarra grande come la sua.»
Stentai un sorriso. «Forte», fu l'espressione più convincente che riuscii a trovare.
«Già!», trillò. «Papà è un bravissimo maestro. Sa tutto.»
Annuì con così tanta decisione che rischiò di cadere. «Sa proprio tutto tutto.»
La vasca da bagno era ormai colma di acqua.
Fortunatamente non ebbi bisogno di chiederle nulla: Mary saltò sul tappeto e cominciò a sfilarsi la maglia del pigiamino, rifiutando ogni mio tentativo di aiutarla.
«Sa fare bene i regali. Secondo me ti piacerà.»
Quella volta mi appoggiai io al bordo della vasca, aspettandola. «Di cosa parli?»
«Del b...»
Vidi il suo colorito diventare paonazzo; si tappò la bocca con le manine.
«Ops!»
Inarcai le sopracciglia, spalancai la bocca. Quante altre sorprese mi avrebbe ancora riservato Edward?
«C'è qualcosa che tuo padre non mi ha detto?»
Scosse il capo, probabilmente per riparare all'errore compiuto. «No, no.». Si tolse i pantaloni e le mutandine e si tuffò dentro la vasca.
Il silenzio tornò a regnare tra noi due. Meredith teneva lo sguardo basso, gli occhi fissi sulla schiuma.
«In ogni caso, dopo convinco papà a suonare qualcosa. Sarei felice se lo ascoltassi.»
«Se tuo padre è d'accordo, per me non ci sono problemi». Sorrisi.
Iniziò a insaponarsi il corpo minuto, passando la spugnetta in ogni lembo di pelle sprovvisto di bagnoschiuma.
«Non mi avevi chiesto di fartelo io il bagno?», chiesi, cercandole di sembrarle perlomeno disponibile come lo era il padre.
«Sono grande», bofonchiò.
«Se sei grande come dici non dovresti fare tutti quei capricci. Fai star male Edward.»
I suoi occhi si riempirono di curiosità. «Sta male perché bisticciamo?»
Annuii. «Già.»
«Oh», mormorò, lasciandosi lavare i capelli. «Non lo sapevo.»
«Me l'ha detto ieri. È tanto triste, sai? Sii più ragionevole e brava, se non vuoi che ci rimanga male.»
«Me lo segnerò.»
Le sciacquai il sapone di dosso e la avvolsi nell'accappatoio. «Ecco fatto», mormorai, posandola sullo sgabello.
«Grazie», disse, osservandomi con occhi dolci e caritatevoli. «Lo vediamo il film, alla fine?»
«Ovvio, te l'avevo promesso.». Le sfregai il tessuto dell'asciugamano sul corpo, asciugandola alla bella e meglio.
Sorrise. «Vado a vestirmi in cameretta.»
Sparì oltre la soglia, guizzando via dalle mie braccia. Mi massaggiai le tempie, cercando di capire cosa Mary e Edward mi tenessero nascosto.
«Che succede?»
Alzai lo sguardo e notai che Edward sorrideva piacevolmente, appoggiato allo stipite della porta.
«Ti ha fatto impazzire?»
«No, affatto», sussurrai, mentre si sedeva accanto a me. Averlo così vicino mi mandava in tilt: il battito cardiaco aumentava, tanto da sembrare che il cuore potesse balzarmi fuori dal petto da un momento all'altro; il respiro accelerava, il mio corpo non rispondeva ai miei comandi.
La sua presenza mi lasciava letteralmente paralizzata.
«E' stata bravissima. Probabilmente ha voluto solo un po' di compagnia.»
Mi aveva preso la mano, carezzandone il dorso. «Sì, forse. Ma non capisco perchè ce l'abbia con me.»
«Ed, hai pensato alla gelosia?»
Mi guardò torvo, la fronte corrugata. «Gelosa? Di te?»
Annuii. «Ha pur sempre sei anni, è una situazione complicata per lei.»
Ci ritrovammo adagiati sul sofà nel salotto, le mie mani nelle sue. «Ma perché dovrebbe essere gelosa? Insomma, ti conosce da quasi due anni.»
«E' vero», borbottai, guardandolo negli occhi. «ma tu cosa faresti se da un giorno all'altro tuo padre o tua madre conoscesse qualcuno? Per lei sono una specie di rimpiazzo di Tanya.»
Sgranò gli occhi. «Cosa?»
«Non guardarmi così. Io direi di andare con calma, si deve abituare a quest'idea.»
Fummo interrotti da Meredith che spuntò dal corridoio, con addosso una tuta azzurra e le babbucce. «Bella, mi fai le trecce?»
La feci sedere sulle ginocchia e l'abbracciai dolcemente. «Hai gli elastici?»
Me li porse e aspettò pazientemente che ebbi finito. I capelli biondi sembravano, al tatto, di velluto. «Grazie», mormorò, dandomi un bacio sulla guancia.
«Che film guardiamo?», chiese, appoggiando la testa sulle ginocchia.
«Quello che vuoi tu.»
Scese dal divano e iniziò a perlustrare le mensole alla ricerca di un film che le potesse piacere. Anche se, a detta di suo padre, ormai li sapeva tutti a memoria.
«E, in ogni caso, se fosse gelosa di te, non ti avrebbe chiesto di farle il bagno.», mi sussurrò all'orecchio Edward.
Alzai gli occhi al cielo e Meredith tornò accanto a me, stringendo fra le mani la custodia del film. «Guardiamo questo, è il mio preferito.»
«Mary, l'hai visto centinaia di volte.», dissentì Ed, posando il braccio sullo schienale del divano, sfiorandomi la schiena con la punta delle dita. Rabbrividii.
«Ma, papà», contraddisse la bambina. «Rapunzel è bellissimo! E poi sono sicura che Bella non l'ha ancora visto, vero?»
Scossi il capo, perchè tutto sommato era vero. Non ero solita guardare lungometraggi, ma non volevo fare un dispiacere a Meredith. «No, ma mi sembra il momento giusto di recuperare.»
L'uomo si strinse nelle spalle e inserì il DVD nel lettore e premette Play. «Buona visione.»
Prima di andarsene, mi sorrise. «A dopo.»
Assaporammo ogni immagine del film. A mia sorpresa, Mary aveva adagiato la testa sulle mie ginocchia e senza che me ne resi conto avevo cominciato ad accarezzarle i capelli.
«Mi piacerebbe avere i capelli lunghi come quelli di Rapunzel.», sussurrò ad un certo punto. «Solo che sarebbe difficilissimo pettinarli.»
Ridacchiai. «I tuoi sono bellissimi così, credimi.»
Commentò a sprazzi qualche scena ma nulla di più. Quando il film finì, Meredith si stiracchiò e scese dal divano.
«Carino, vero?»
«Molto» fu tutto quello che riuscii a commentare. Era un bel cartone animato, sebbene ormai fossi abbastanza grandicella per quel genere di cose.
«Devo parlare un attimo con papà». Corse nella stanza adiacente, urlando “Papà”.
La seguii e capii che doveva discutere con Edward. E non era una faccenda sbrigativa, tutt'altro.
«Papà, perchè stasera devo stare dalla nonna e non con voi?»
Ed corrugò la fronte, confuso. «Perché quest'anno volevo passare il Capodanno con degli amici e con Bella. Tu starai con la nonna. Dopotutto, vi divertite, no?»
«No!», esclamò la bambina. «Non è giusto! Io voglio passare del tempo con te! Con la nonna mi annoio, facciamo sempre le stesse cose! Perchè non posso venire con voi? Perchè, papà?»
L'uomo si chinò all'altezza di sua figlia, e le prese il volto fra le mani. «Perchè, tesoro mio, papà ha bisogno dei suoi spazi. Ti prometto che è solo per stasera, okay?»
«Voglio stare con te! Uffa!», piagnucolò Meredith, incrociando le braccia al petto. Edward la strinse a sé, baciandole la fronte. «Davvero, pulcino, è solo per stasera, te lo giuro.»
«Voglio. Stare. Con. Te». Mi meravigliai del tono che la bambina utilizzò, data la sua giovane età. «Ti prego.»
«Edward», entrai nel discorso, imbarazzata. «se vuole venire con noi, per me non è un problema.»
«Per il bowling, intendi?»
«Andate al bowling?!». Meredith sgranò gli occhi, incredula. «Davvero?!»
«Sì, tesoro.», sopirò Edward.
«Comunque intendevo per il bowling, non per la cena.», borbottai, e mi resi conto che le mie guance stavano prendendo fuoco.
Un altro sospiro, un'altra concessione. «Va bene. Avviserò gli altri che si aggiungono a noi queste due principesse.»
«Allora vado a prepararmi, dato che fra poco devi accompagnare a casa Bella». Mary sparì dalla circolazione con un sorrisetto soddisfatto stampato in faccia.
Edward si avvicinò, circondandomi i fianchi con le braccia. «Riesce sempre ad averle tutte vinte, ogni volta. È bravissima nel ricatto, tale e uguale a suo padre.»
Mi venne da ridere ma scacciai quell'istinto. «Sarà, ma io sento che è ora che mi porti a casa, se vogliamo arrivare puntuali per la cena.»
Sebbene i baci fra noi fossero strettamente rari, ogni volta che me ne concedeva uno mi sentivo mancare. Appoggiò le labbra sulle mie, accarezzandomi le guance con la punta dei pollici. Dopo pochi secondi si staccò da me, con un sorriso timido sulle labbra.
«Okay, ora penso che possiamo andare.»


«Ma quindi state assieme, sì o no?»
Mi girai violentemente verso Rosalie, fulminandola con lo sguardo. «No!»
«Insomma, uscite assieme, vi baciate e non vi siete messi insieme? Tempo perso, ragazza mia.»
La guardai torva. «Rose, sul serio. Un passo per volta, non voglio che accada le stessa identica situazione di tre anni fa, okay?»
Sbuffò. «Va bene. Ah, oltretutto, ancora io non l'ho conosciuto.»
«Te l'ho promesso: presto lo incontrerai.»
«Promesse da marinaio, le tue. A che ora deve venirti a prendere?»
«Alle otto mezza». Riguardai l'orologio: in effetti avevo a disposizione ancora molto tempo, considerando che erano solo le diciannove meno quindici minuti.
«Allora sbrigati, che poi scegliamo assieme i vestiti.», mi dileguò in fretta, spingendomi verso il bagno.
La doccia non fu abbastanza lunga da farmi meditare su ciò che avrei passato nelle prossime sei o sette ore. La coscienza e il cuore non seguivano la stessa lunghezza d'onda, andando in strade diverse. E dire che ero confusa era un eufemismo, perchè avevo il cervello avvolto da una coltre di nebbia, con gli ingranaggi bloccati.
Ottimo, perfetto direi.
Provai a prendere più tempo mentre mi asciugavo lentamente ogni parte del corpo. Mi spazzolai i capelli, ciocca per ciocca, disfacendo ogni nodo, esaminando le punte.
Ho bisogno di pensare, di riflettere, di capire cosa devo fare. Se dare ascolto al cuore o alla mente.
Mi avvolsi nell'accappatoio e uscii dalla stanza, ritornando in camera da letto, dove Rosalie mi attendeva.
«Vedo che ti sei sveltita. Presto, devo renderti presentabile.»
Mi fece subito sedere sul letto, per poi setacciare i suoi cassetti alla ricerca di qualcosa. Ne estrasse tutti i trucchi che aveva, pinzette per le sopracciglia, lamette e rasoi e altri aggeggi che mi fecero accapponare la pelle.
«Rose, mi sono rasata nella doccia; non ho bisogno che ritocchi le mie sopracciglia, che tra l'altro ho sistemato ieri o che tu strappi peli di altri parti del mio corpo.»
Sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Con te non c'è gusto.»
«Lo so, e ne sono perfettamente consapevole. Sono stata creata per sgretolare tutti i tuoi progetti.»
Rise sommessamente. «Oh, non c'è bisogno che mi renda i piani ancora più complicati di quel che sono già. Però non puoi rifiutarti di accettare qualche mio consiglio nel campo dell'abbigliamento.»
Discutemmo una mezz'ora abbondante sul fatto che volessi indossare capi comodi, poiché non avevo tempo di cambiarmi per il bowling. Alla fine, riuscii a convincerla ad optare per un paio di jeans e una maglia dei Rolling Stones, la mia preferita. Sebbene Rose volesse farmi apparire il più formale possibile, i suoi tentativi furono distrutti dai miei gusti, che prevalsero anche quella volta.
«Ecco fatto, ho finito». Aprii gli occhi e mi guardai allo specchio: la mia migliore amica era riuscita a far risaltare i miei occhi con un trucco pastello e senza fronzoli.
«Stai benissimo, anche se non avrei scelto quei vestiti, ma non importa». Fece una smorfia, indicando i pantaloni e la T-Shirt.
Immaginavo che non sarebbe stata d'accordo, ma dopotutto è la mia serata.
Pochi istanti dopo, il citofono squillò, con conseguente guaiti da parte di Lia, la cagnetta di Rosalie.
«E' arrivato, lo faccio salire?»
L'ansia mi si fermò in gola, assieme alle parole. Annuii appena, girandomi verso lo specchio per osservarmi ancora qualche secondo.
Sarò all'altezza? Sarò presentabile?
«Vieni, entra pure Edward». La voce di Rose era pacata, tranquilla... Esattamente il contrario della mia, ancora bloccata sulle corde vocali.
Quando l'uomo si fermò nell'ingresso, ebbi l'impulso di affacciarmi. Cosa dovevo fare?
O la va, o la spacca.
Fortunatamente, avevo preferito le mie Converse color verde acido, così da non scivolare rovinosamente a terra, presa dall'agitazione. A passi incerti, arrivai all'entrata e gli sorrisi. Indossava un paio di jeans blu scuro, una giacca in pelle e sotto potei intravedere una camicia.
Abbastanza informale.
«Ciao», sussurrai, sorridendogli come un ebete. «Ciao», rispose lui, ricambiando il sorriso.
Posso morire?
«Rimarrà da sola stasera, Rosalie?»
La mia amica alzò gli occhi al cielo. «Non puoi darmi del tu?»
«Rimarrai da sola stasera, Rosalie?», ripeté, trattenendo una risata. Rose annuì, scrollando le spalle. «Già.»
«Perchè non ti unisci a noi?», le domandai, guardandola di sottecchi. «E' un problema, Ed?»
«No, affatto. Siamo al “All Star Lanes”, sulla Southampton Row, verso le 22:30.»
«Perfetto, non lo dimenticherò. Grazie, allora», mormorò la mia amica. Potei vedere nei suoi occhi la felicità che la stava travolgendo. «divertitevi e tu, Bella, non bere troppo.»
Sospirai. «Certo che no. A stasera.»


«Ecco a voi.»
La cameriera posò davanti a noi i piatti colmi di delizioso cibo. Edward aveva prenotato un tavolo in un ristorante italiano e non so come diavolo avesse fatto a capire che era uno dei miei preferiti.
«Come sai che amo il cibo italiano?». Guardai i miei ravioli ai funghi, uno dei miei piatti preferiti, o meglio lo era diventato dopo il viaggio in Italia.
«In realtà piace anche a me. Mi ci portava spesso mio padre», mormorò, girando le tagliatelle al ragù bolognese nel suo piatto. «e mi è rimasto nel cuore.»
Sorrisi. «Oh. L'Italia è un paese pieno di cultura.»
«Ci sei stata?»
«Sì, ho vissuto là per diciotto mesi.»
«Dove?»
«Roma.»
«Deve essere molto bella.»
«Già», sussurrai, mentre mi venivano in mente tutti i bei momenti passati laggiù, nella magnifica Roma. «Ho avuto i momenti più belli del mio periodo post-adolescenza.»
Non avrei mai potuto dimenticare ciò che era successo. Avevo avuto la mia prima storia seria, con Christian. Eravamo stati insieme per due anni, i due anni più belli che ricordo. Però, ovviamente, tutte le storie prima o poi finiscono.
Sorrise. «Io desidero con tutto me stesso visitarla. Mi affascina. Anche se, devo ammetterlo, vorrei girare il mondo. È il sogno di una vita.»
Oh, si sta rivelando. Dovrei approfittarne?
«Finora ho visitato solo l'Italia e la Spagna, ma alla fine mi sono innamorata di Londra.»
«Ah, non sei di qui?»
Scossi il capo. «No, in realtà sono nata in Irlanda, però i miei genitori sono americani.»
«Oh», ridacchiò, strabuzzando gli occhi. «non avrei mai immaginato.»
Sorrisi. «Sono stata solo due anni in Irlanda, e poi i miei genitori si sono trasferiti in Scozia, dove siamo rimasti fino a che io ebbi compiuto sedici anni. Poi siamo andati a Mallorca e, dopo il soggiorno in Italia, i miei genitori sono tornati a Mallorca, dove alloggiano per metà dell'anno e l'altra metà abitano in Scozia, e io sono venuta a Londra.»
Sgranò ancora di più gli occhi. «Una giramondo, insomma.»
«Abbastanza». Terminammo entrambi il cibo, chiamammo una cameriera che ci presentò la seconda portata.
«Ma ora raccontami di te». Appoggiai il mento alle mani, congiunte, e fissai intensamente il suo sguardo. «Raccontami della tua vita, sono curiosa.»
Sospirò, posizionando la forchetta sul bordo del piatto. «Non è molto entusiasmante, è bene che tu lo sappia dall'inizio.»
«Non importa.»
«Ho sempre vissuto qui, i miei genitori sono londinesi da generazioni ormai. Ho frequentato il college, ho studiato medicina, il mio sogno. Ho preso solamente la laurea triennale, poi ho conosciuto Tanya, e ho abbandonato gli studi.»
Ha smesso di seguire il suo sogno... per amore?!
«Io avevo 23 anni, lei 20. E' stato... un colpo di fulmine. Una scemenza, lo so, ma mi sono innamorato lei subito. Dopo solo tre mesi, siamo stato disattenti e lei è rimasta incinta. A marzo del 2005, è nata Meredith. Nonostante i suoi genitori le dicessero di abortire, dissentimmo entrambi. Eravamo maggiorenni, vaccinati e pronti alla vita di neogenitori. Abbiamo trascorso questi anni in tutto l'amore che due persone si possono scambiare.»
Assunse un'espressione triste, il capo chino, gli occhi lucidi, gli argini pronti a cedere.
«Nel 2010, dopo un anno di tentativi andati a vuoto, Tanya è rimasta incinta. Dopo quasi due settimane oltre il termine, è nata Viola, nel settembre del 2011. Poi... be', poi è successo quello che è successo.»
Gli strinsi la mano che era deposta inerte sul tavolo, nel tentativo di dargli un po' di conforto.
«Quando Viola ebbe compiuto quattordici giorni di vita, Tanya prese le sue cose e ci abbandonò al nostro destino, con la scusa:”Perdonami Edward, ma tra noi non funziona più come un tempo. È bene che la finiamo qui, per la salute di entrambi e delle bambine“. E da allora, ce la caviamo da soli. E, ciliegina sulla torta, Tanya si sposa. Suoniamo le trombe!»
Fece una risatina isterica e avvolse la mia mano nelle sue. «Però adesso va molto meglio, grazie a te.»
Arrossii violentemente. «Grazie... a me?»
«Sì, davvero», mormorò, baciandomi il dorso della mano. «E ti devo dare una cosa.»
Estrasse dalla tasca dei jeans una scatolina rossiccia.
Ma che diavolo...?
«Tieni, è per te». Mi fece aprire il coperchio e si svelò il mistero. Avvolto nella stoffa bianca, giaceva un piccolo bracciale color argento, con incastonate delle perle blu.
«Edward, ma cosa...»
«E' il mio regalo di Natale per te, anche se è fatto un po' in ritardo.»
Ecco di cosa parlava Meredith in bagno, oggi pomeriggio!
«E' bellissimo, davvero. Non so che dire», borbottai, esaminando il braccialetto. Mi prese il polso e ci sistemò il gioiello e allacciò il bottoncino. «Non c'è bisogno che tu dica qualcosa. Sono contento che ti piaccia.»
Si sporse verso di me e mi baciò dolcemente le labbra, lasciandomi spiazzata. Risposi al bacio, sebbene durò pochi secondi. «Grazie.»
Finita la cena, uscimmo dal locale e ci ritrovammo nelle strade spopolate di Londra. Dai bar vicini arrivavano canzoni e urla delle persone pronte a festeggiare l'arrivo del nuovo anno, ad accoglierlo a braccia aperte.
Mi si congelò ogni singola parte del corpo, fatta eccezione per la mano che Edward stringeva spasmodicamente.
In auto fra noi rimase il silenzio. Esaminavo Edward, soddisfatto e con un sorriso sulle labbra. Sembrava rilassato, le mani parevano accarezzare il volante.
«Siamo in perfetto orario». Inquadrai il cruscotto, dove vi erano segnato le 21:15.
Parcheggiammo davanti a una dimora illuminata dalle luci natalizie. Guardai Edward, con fare interrogativo. «Dobbiamo prendere Meredith e Viola.»
Che sciocca! Me n'ero completamente scordata! Perchè l'amore mi faceva quest'effetto?
Quando entrammo, Mary ci corse incontro, buttandosi fra le braccia del suo papà. «Papy, hai mantenuto la promessa!»
Lui le scompigliò i capelli biondi, teneramente raccolti in due codini. «Mi pare ovvio, principessa. Sei pronta per andare?»
«Sì!», esultò la bambina, rimettendosi in piedi. Indossava un paio di leggings fucsia e una maglia lunga blu, coperto da un poncio lilla.
Edward si staccò da noi, per andare incontro alla madre che stringeva la piccola Viola. Meredith mi osservò. «Sei bellissima vestita così.»
Le carezzai una guancia, tremolante. «Oh, grazie. Anche tu sei molto carina, stasera.»
Le sue guance si imporporarono, le sue labbra si curvarono in un sorriso, ma non disse nulla.
Ed si avvicinò a noi, con in braccio Viola che si era placidamente addormentata. «Possiamo andare.»


«Papà, posso giocare anche io?»
Non era ancora arrivato nessuno, al locale. Sedevo accanto a Ed, che mi accarezzava la schiena. «Ovviamente, tesoro. Sono domande da fare?»
«Era per chiedere. Però io non so le regole.»
«Se vuoi, ti posso aiutare io», intervenni, mentre la bambina si dondolava sui piedini. Sorrise, forse per la centesima volta in cinque minuti, e mi fece di sì con la testa.
Il mio cellulare vibrò. Era un messaggio di Rose.

Tesoro, perdonami ma non potrò essere presente questa sera. Emmett mi ha invitato a passare la serata con dei suoi amici in un locale. Scusami, davvero. Rivolgi le mie più sincere scuse a Edward.
xx
Rose.

Sospirai. «Rosalie non potrà venire.»
«Ah.» fu tutto quello che Edward riuscì a dire, colto alla sprovvista. «Dille di non preoccuparsi.»
Sentimmo delle risate poco lontane e in simultanea io e Edward ci alzammo. «Arriva qualcuno.»
Due figure svoltarono l'angolo e quasi cascai a terra quando vidi di chi si trattava.
«Rose?!»
«Bella?»
La mia amica mi corse incontro, abbracciandomi, anche se era confusa quanto me. «Ma non dovevi essere con Emmett?»
Mi voltai e quel colosso di ragazzo mi rivolse un ampio sorriso. «Ciao, Bellina.»
Edward assunse un'espressione corrucciata. «Voi due vi conoscete?»
Emm rise. «Amico, non ti ricordi della mia tanto sentita Rose? Eccola.»
Emmett, quell'Emmett, il ragazzo di Rose, conosce Edward?!
«Ma io non pensavo che fosse davvero... lei.», borbottò Ed, scuotendo il capo.
«Fatemi capire», mi schiarii la voce, roca e molto flebile. «siete amici?»
«Emmett è il mio migliore amico, da sempre.»
Le parole di quello che potevo definire “Il tipo con cui esco” mi fecero andare di traverso la saliva, facendomi tossire.  
«E' una situazione alquanto bizzarra», mormorò Rose, scambiandomi un'occhiata complice.
«Puoi dirlo forte, ragazza», le rubai la battuta e le strappai una risata.
Edward tossicchiò per attirare l'attenzione. «Non è tempo di presentazioni, pare che vi siate già visti.»
I due uomini si misero a chiacchierare e a scherzare, mentre Rose mi chiese i dettagli della serata.
«Abbiamo cenato in un ristorante italiano e poi mi ha regalato questo». Le mostrai il braccialetto al polso e strabuzzò gli occhi.
«Però, il signorino», rise, riferendosi a Edward. «Insomma, molto galante.»
«Già», sussurrai, persa a osservare quel ragazzo così semplice. «molto.»
Piano piano, arrivarono tutti gli amici. Edward me li presentò uno per uno, dicendomi i loro nomi che però dimenticai subito. C'era anche Alice, a mia fortuna.
«Allora, chi vuole fare una partitina?»
Tutti alzammo la mano a quella frase. Meredith mi venne vicino. «Posso giocare anche io, quindi?»
«Certo, piccolina»
Dovetti ammettere che Edward era molto bravo a giocare a bowling. O forse mi piaceva solamente vedere il suo fondo schiena nel mio campo visivo...
«Bella?»
Mi voltai e trovai il faccino di Mary a poca distanza dal mio. «Dimmi.»
«Io non sono gelosa di te.»
«Cosa?»
«Papà mi ha detto tutto», sorrise, abbracciandomi. «Non sono gelosa di te.»
Perchè le ha accennato la nostra conversazione? Perchè?!
«Io sono felice che tu e papà stiate assieme. Siete carini, dolci. E tu mi piaci, Bella. Sai, un po' di tempo fa a papà avevo accennato del fatto che volessi una nuova mamma e tu sei arrivata all'improvviso... PUFF! Sono contenta che tu renda felice papà.»
Oh...
La strinsi di più a me, sentendo il suo profumo inebriante.
E' così dolce con me... Come ho fatto a dubitare del fatto che potesse essere gelosa?
«Tu al mio papà piaci, ne sono sicura. Ti mangia con gli occhi», mormorò sul mio petto. «Si dice così, vero?»
Ridacchiai. «Sì, tesoro. Comunque anche io sono contenta che il tuo papà sia felice, con me.»
«Bella! Tocca a te!»
Mi alzai di scatto e mi avvicinai alla pista. Edward mi sporse la palla.
«Ecco», si sporse e mi dette un bacio veloce sulle labbra. Posizionai meglio le dita nei buchini e presi una piccola rincorsa, per poi gettare la palla.
Ti prego... Ti prego.
Beccò otto birilli su dieci ma nonostante l'ottimo punteggio il vincitore fu Edward, che mi strinse a sé, baciandomi i capelli.
«Io vinco sempre, al bowling.»
«C'è qualcosa che tu non sappia fare?»
Rise. «Sì. Me la cavo abbastanza male in campo relazioni. Ma con te sarà diverso, me lo sento.»
Sorrisi sulla sua bocca. «Incrociamo le dita.»
Mancava poco alla mezzanotte e ci furono offerti dei drink. Improvvisamente, sentii la mia temperatura corporea salire. Mi sfilai il poncio, rimanendo in T-Shirt. Il mio corpo era in fiamme.
Isabella, non devi bere tanto.
Forse scolai ancora tre o quattro Cosmopolis. La mia vista si annebbiò, però sentivo chiaramente le voci accanto a me.
Non riuscivo a staccarmi da Edward, che mi baciava e abbracciava.
All'improvviso, partì il conto alla rovescia.
«Dieci! Nove! Otto! Sette! Sei! Cinque! Quattro! Tre! Due! Uno...»
Tutti attorno gridarono, dando il benvenuto al nuovo anno.
Edward mi baciò ancora, i nostri corpi a contatto. «Buon anno.»
«Buon anno anche a te.»
Mi porse un calice e brindammo. «Nella speranza di vivere grandi emozioni insieme.»
Svuotai il bicchiere e poi divenne tutto ovattato, ma continuai a sentire il calore di Edward su di me.


_________
CAPITOLO BETATO.
Sono viva e vegeta, e se vi foste chiesti dove diavolo fossi finita... Non ho una risposta.
Dopo gli esam mi sono adagiata sugli allori e ho scritto questo capitolo in una settimana, con l'aiuto di quella figona pazzesca di IncenseAsh.
Dovete leggere tutto ciò che scrive, è sbalorditivo. Fatelo, o vi vengo a prendere LOL
Btw, che ve ne pare? Io lo adoro, anche perchè diciamo *coff* che è abbastanza decisiva come svolta, per questi due. Anche perchè il titolo dice tutto *coff*
Anyway, vi lascio i miei contatti!
Gruppo Facebook, Profilo Facebook, Pagina Grafica
I look: BELLA, EDWARD
Avviso: SARO' ASSENTE DAL 13 AL 20/21 PER FERIE! SE VOLETE CHIEDERMI QUALCOSA, RISPONDERO' IL PRIMA POSSIBILE.
Detto questo, attendo numerose le vostre recensioni! E spero che qualcuno di nuovo si faccia sentire :)
Grazie a tutti per i preferiti, seguiti e ricordati! E per tutte le recensioni! Mi rendete davvero felici :)
Un bacio,
Giulia.






Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Lasciarsi andare. ***


Ascolta il tuo cuore

Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 8: Lasciarsi andare.


BELLA

Mi stiracchiai, allungando le braccia sopra la testa, fino a sfiorare la testiera del letto. Il buio mi avvolgeva, abbracciandomi. Ero rannicchiata nel piumino, al caldo, protetta.

Percepii un soffio caldo sul mio collo e mi irrigidii.
Che diavolo...?
Due braccia mi strinsero per i fianchi, e mi accostai di più a quella persona accanto a me. Qualcuno mi baciò i capelli.
«Pensavo stessi dormendo.»
Merda. Edward?!
«Ehm... Non proprio. Che ci faccio qui?»
La mia domanda fu diretta, dato che la confusione si faceva largo nella mia mente. Ma purtroppo non fu abbastanza veloce da rispondere che sgattaiolai via dal letto, correndo verso il corridoio. Appena trovai il bagno mi rivoltai sopra il gabinetto, rigettando tutto il contenuto del mio povero stomaco.
Edward mi raccolse i capelli in una coda improvvisata, sorreggendomi la fronte con la sua mano.
«E' tutto a posto, tranquilla.», mormorò al mio orecchio, mentre il mio fiato cominciava a diventare corto. Odiavo vomitare, mi procurava solo ansia, ne ero terrorizzata. «Sssst, va tutto bene.»
Mi sedetti sul pavimento freddo e appoggiai le braccia sul ventre, aspettando che i conati passassero.
Mi accorsi, nonostante la vista appannata, che addosso non avevo più i jeans e la T-shirt. Al loro posto vi era un comodo pigiama di flanella blu, più grande di qualche taglia.
«Il pigiama... è tuo?»
Annuì. «Già.»
Le gote avvamparono. Quindi...
Mi avrebbe svestito e messo lui questi vestiti?
Come se mi avesse letto nel pensiero, mi carezzò teneramente la guancia. «Ieri sera eri un po' brilla e portarti a casa non mi era sembrata una buona idea. Quindi ti ho portata qui e quando siamo arrivati, prima che tu finissi in coma profondo, ti ho aiutato a cambiarti, sennò crollavi a terra come un sacco di patate.»
Mi sentii ancora più rossa e bollente. Dio mio... Mi aveva svestita! Quindi mi aveva vista solo in biancheria! Oddio... E io non ero nemmeno cosciente!
«Poi dopo ti sei rannicchiata contro il mio petto e ti sei addormentata.»
«Noi due... Insomma... Hai capito, no?» Mi coprii il volto con le mani, a disagio. Dio, era un momento davvero imbarazzante!
Rise sonoramente e mi strinse a sé. «Tranquilla. Eri fin troppo ubriaca per farlo.»
Mi passai il dorso della mano sulla fronte, madida di sudore. «Quanto.. quanto ho bevuto?»
Divenne pensieroso, cominciando a contare sulle dita. «Quattro Cosmopolis, due Mojito e tre Bacardi. Ah, e un calice di Champagne.»
Spalancai gli occhi, borbottando lettere sconnesse. Cristo, che deficiente! Non ero abituata a sopportare tanto alcool.
Il mio stomaco fu stretto in una morsa e mi affacciai di nuovo verso il WC. «Che cogliona sono stata!», mormorai, tra i conati.
Mi accarezzò dolcemente la schiena, sorreggendomi il viso. Mi lavai il viso e sciacquai la bocca, cercando di far sparire il gusto amaro del vomito.
«Che ora è?»
«Le sei. Hai dormito solo tre ore.»
Mi strinse a sé e tornammo nella sua camera da letto. Era un po' strano, però, dormire assieme a lui. Ci frequentavamo da così poco tempo...
Mi adagiai sul suo petto, mentre le sue braccia mi avvolgevano, strette. Il suo respiro caldo mi carezzava l'orecchio, la guancia, il collo. Le sue labbra erano posate dolcemente sulla mia fronte, cantando una nenia.
«Non ti da fastidio che io sia qui?», mormorai, accarezzando la sua maglia. Avrei voluto alzare il viso, guardarlo negli occhi, sentire le sua bocca sulla mia, le mie mani intrecciate nelle sue.
Invece rimasi in quella posizione, mentre lui rideva fra i miei capelli. «Che schiocchina che sei. Ma figurati! Anzi, per me è una sensazione nuova averti qui, accanto a me.»
Sorrisi. «Per me è lo stesso.»
Ci beammo entrambi del calore che l'altro emanava, distesi sotto il piumone. Edward pettinava delicatamente la massa informe che erano i miei capelli, mentre io ascoltavo il suo cuore palpitare.
Chiusi gli occhi, mentre il sonno si impadroniva di me.


Qualcuno mi baciò una guancia, destandomi dai miei sogni.
Socchiusi gli occhi, e mi trovai a pochi centimetri dal viso di Edward, che sorrideva tranquillo.
«Sei proprio una dormigliona.»
Mi misi seduta, stiracchiando le braccia verso il cielo. «Che ore sono?»
«Le undici. E stranamente le bambine dormono ancora.»
Uno strano brontolio mi percosse lo stomaco, diventando poi abbastanza udibile. Mi misi una mano sulla pancia. «Accidenti.»
Ed rise e mi prese la mano, facendomi alzare. «Vieni, facciamo colazione.»
In casa c'era il silenzio assoluto, rotto solamente dal fischio della teiera sul fuoco. «Faccio i pancakes. Ne vuoi anche tu?»
Ovviamente, a rispondere fu il solito borbottio. «Sì, grazie.»
Edward era bravo anche in cucina. Vederlo alle prese con padelle e spatole gli dava un'aria ancora più sexy...
Mi diedi una pacca sulla fronte, sperando che non mi vedesse. Evidentemente avevo ancora dell'alcool in circolo che mi faceva perdere qualche neurone.
Si sedette accanto a me, porgendomi le frittelle e una tazza di tè fumante. Mi guardava, con quegli occhi così dolci e limpidi, di quel verde meravigliosi.
I pancakes erano ottimi, superavano addirittura quelli di mia madre, che fino a quel momento avevo ritenuto i migliori sulla faccia della Terra.
«Diamine, potrei mangiarne centinaia, tanto sono squisiti!», borbottai fra i bocconi, mentre lui mi osservava divertito.
«Sono contento che ti piacciano. Anche Meredith ne va pazza.», sussurrò, massaggiandomi la mano.
Sorrisi, impacciata. Come diavolo riusciva a farmi quell'effetto? Era così carino, modesto, simpatico, premuroso... Tutto ciò che in Christian mi era parso di vedere, ma che in realtà poi si era rivelato falso.
Deposi i piatti nel lavello, continuando ad annusare di nascosto il buon profumo che il suo pigiama che avevo addosso. Sapeva di caffè, ammorbidente... Di lui.
Era fantastico sentirlo così vicino, nonostante fosse solo un suo abito.
Le sue braccia si avvolsero intorno ai miei fianchi, spingendomi dolcemente contro il suo petto. «Sei bellissima.»
Il mio cuore perse un battito, decelerando paurosamente. Era... una delle prime volte che me lo diceva. Trattenni il fiato, scrutando il suo volto. Era serio, mi osservava tranquillo.
Nascosi il viso nella sua maglia, per non lasciar trafugare il rossore delle mie gote.
Cominciò a dondolare, e mi ricordai di quando ero piccola, quando mio padre faceva lo stesso: io seduta sulle sue ginocchia, in giardino, a ridere assieme a lui, che mi cullava, accomodato sulla sedia a dondolo. Era un bel ricordo, e mi lasciai sfuggire un sorriso contro il suo petto.
«Davvero, Bella. Sei splendida, dolce.»
Gli stampai un bacio a fior di labbra, rapido. Dovevo ancora prenderci la mano con questa nuova... relazione.
«Ho bisogno... di farmi una doccia.» Già, necessitavo di liberarmi di quello spocchioso odore di alcool e fumo che si era appiccicato alla mia pelle, ai miei capelli. Annuì, sfiorandomi la guancia. «Il bagno sai dov'è. Puoi usare il mio accappatoio.»
A quell'affermazione, il mio cuore tonfò di nuovo. «O... Okay.»
Mi avviai per il corridoio, mentre la mia vocina interiore esultava gioiosa. Cosa potevo fare?
Mi tolsi tutti i vestiti, escluso l'intimo, giunta una volta nel bagno. Mi guardai allo specchio, sospirando e arrossendo nello stesso momento.
Mi aveva visto così, mentre io appena riuscivo a reggermi in piedi. Ero certa che se mi avesse cambiato mentre fossi stata cosciente, il mio corpo sarebbe stato un tremolio unico, presa dal turbinio di emozioni che mi stava sconvolgendo in quell'istante, osservando la mia immagine riflessa.
Aprii il getto dell'acqua calda, saltellando da un lato colta alla sprovvista dallo sprazzo gelido che mi arrivò addosso.
Il calore e il vapore emanato erano un ottimo toccasana per il mio povero cervello ancora annebbiato. Spalmai il sapone sul corpo con solo l'uso delle mani, sfregando ogni singolo tratto sprovvisto.
Quanto avrei voluto che fossero state le mani di Edward...
Scossi il capo. Come potevo fare certi pensieri? Ci conoscevamo da appena due mesi, e uscivamo assieme da solo uno. Ed era stata una sorpresa trovarmi annidata sul suo petto, quella mattina.
Però erano piacevoli scoperte e fantastici passi avanti per il nostro rapporto. Mi sentivo arrugginita, dato che non avevo una relazione amorosa da tre anni abbondanti... Però il pensiero di quella brutta esperienza con Christian era pronta a spuntare ogni singolo momento, nella mia pace quotidiana al fianco di Edward.
Quando ebbi finito, mi avvolsi nell'accappatoio di Ed. Mi sembrava che fossero le sue braccia a stringermi. Il tessuto era morbido, esattamente come le sue braccia, il suo petto, il suo viso.
Presi gli slip, il reggiseno e il pigiama e uscii dalla stanza. C'era ancora il silenzio di prima, sentivo solo il mio respiro affannato.
Silenziosa, scivolai fino al salotto, dove Edward era comodamente sdraiato sul divano a guardare noiosamente la TV.
Quando si accorse che addosso avevo soltanto l'accappatoio, sgranò gli occhi, mentre io dondolavo sui piedi, visibilmente agitata.
«Ehm... Dove sono i miei vestiti?»
Si avvicinò a me, e allacciai le braccia al suo collo. Esaminò il mio petto, dove solo il seno era appena coperto dall'asciugamano. «Sei stupenda. Non so cosa avrei fatto se non ci fossi stata tu negli ultimi mesi.»
Accostai il mio viso al suo, le nostre labbra così vicine.
«Sei meraviglioso.», mormorai, azzerando la distanza fra noi. La sua bocca si modellò perfettamente alla mia, che cercava prepotentemente di andare un po' oltre a quel bacio.
Le mie dita presero ad accarezzargli la nuca; l'altra mia mano scese sul suo petto e fu subito coperta dalla sua. Intanto un suo palmo era scivolato dentro l'accappatoio, massaggiandomi delicatamente un seno. Ansimai a quel contatto, assolutamente impreparata.
Continuò con quel movimento per un tempo che mi parve infinito, fino a che lui non si staccò, sentendo dei passi nella camera vicino.
Lo guardai, accaldata. «Penso si sia svegliata Mary.»
I suoi capelli erano diventati una massa informe, completamente scompigliati dalle mie mani che ancora si trovavano sul suo collo.
Le nostre supposizioni furono corrette perchè dopo pochi secondi Meredith arrivò trotterellando, esaminandoci con quegli occhietti vispi.
«Buongiorno! Che stavate facendo?»
Mi schiarii la gola, cercando un aiuto da parte di Edward, che in realtà se la rideva sotto i baffi.
«Parlavamo, piccolina.», dissi, carezzandole i capelli.
Si strinse nelle spalle, per poi scrollarle. «Ah. Io ho fame, papà. Sono avanzate delle frittelle?» Edward annuì, incitandola a cominciare ad andare in cucina e dicendole che lui l'avrebbe seguita.
Quando i nostri discorsi non furono più alla portata dei padiglioni uditivi della bambina, sospirammo, insieme.
«C'è mancato poco.», mormorò, sulle mie labbra. Ridacchiai, stringendogli la maglia. «Diciamo che una parte di me avrebbe preferito approfondire...»
Mi baciò con passione, spingendo il mio corpo contro il suo, come poco prima. L'eccitazione e l'ansia che c'era fra noi era palpabile.
«Papà?! Cosa stai combinando?!» L'urlo di Mary giunse alle nostre orecchie come un avvertimento, così ci staccammo e lasciai che si affacciasse verso il corridoio. «Arrivo, tesoro!»
Mi fissò ancora una volta, dandomi un bacio leggero quanto un soffio sulle labbra. «I tuoi vestiti sono nel mio armadio.»
Sgattaiolai verso la camera da letto, mentre dalla cucina arrivavano le gioiose risate di Meredith, e fra esse potei distinguere un'implorazione riguardo il fermarsi di farle il solletico.
Velocemente esaminai la mia T-shirt, che odorava d'alcool e fumo, esattamente come la puzza che c'era sulla mia pelle prima della doccia.
Fui contrariata di indossarla e setacciai il guardaroba di Ed, nel tentativo di trovare qualche cosa che mi assomigliasse quanto meno alla mia taglia, sebbene lui fosse molto muscoloso e corpulento. Scelsi infine una semplice camicia bianca a righe blu, con un taschino sul seno destro. Indossai i miei jeans e andai a piedi nudi in cucina, dove Edward contemplava sua figlia.
«Ecco a lei, signorina: degli ottimi pancakes della casa e una tazza di cioccolata fumante.»
La bambina rise, sporgendosi di più verso il viso del padre per schioccargli un bacio sulla guancia.
«Grazie! Ah, e ti prego: tagliati questa barba. Dà fastidio.»
Edward la guardò, accigliato. «Perché codesti peli sfregiano le sue delicate guanciotte?»
«Sì! Se hai la barba non sei un principe azzurro!»
Osservai divertita la scenetta, appoggiata allo stipite della porta. Erano così simili, anzi erano proprio due gocce d'acqua. Solo gli occhi li aveva ereditati dalla madre, essendo di un azzurro così intenso. I capelli invece erano gli stessi del padre, solo con una sfumatura di rosso più attenuata.
«Ciao Bella!» Meredith si accorse di me, facendomi segno di avvicinarmi. Quando Ed si accorse che portavo addosso la sua camicia, fece un sorrisetto compiaciuto, mentre Mary mi fissava interrogativa.
«Perchè indossi una camicia di papà?»
«Perchè io gliel'ho prestata. Le sue cose erano sporche.», intervenne il padre, salvandomi per un millesimo di secondo.
«Aaaaaaaaaaaaah!», annuì la bambina, fiondandosi sulla colazione. «Potevo darle qualcosa di mio, comunque.»
La risata di Edward mi inondò il cuore. Era una risata genuina, pura, così leggera. «Amore, non penso che le entrerebbero i tuoi vestiti.»
«Dici di no?»
L'uomo scosse la testa. «No, pulcino.»
Intanto la sua mano era lentamente scesa vicino al bordo dei mie jeans, sollevando la camicia.  Un brivido mi salì per la colonna vertebrale, facendomi tremare leggermente.
Ci godemmo quel momento tutti e tre assieme, seduti al tavolo, a parlare del più e del meno. Meredith proponeva delle attività da svolgere insieme, anche se dovemmo ricordarle più volte che era il primo dell'anno e molti negozi e posti erano chiusi.
Ad un certo punto, il mio Blackberry iniziò a vibrare. «Arrivo subito», mormorai, allontanandomi da loro e chiudendomi nella camera da letto di Edward.
Lessi il nome sul display: Rosalie.
«Pronto?»
«Ciao, splendore!», urlò lei, tanto forte da farmi allontanare il cellulare dall'orecchio. «Come stai?»
«Ciao anche a te, Rose». Mi sdraiai sul letto, portandomi il cuscino di Edward vicino al viso, per aspirarne il profumo. «Sto ancora lottando con i postumi della sbornia, e ho un mal di testa terribile...»
«Io te l'avevo detto di non esagerare con gli alcoolici...»
«Se non avessi bevuto non sarebbe accaduto quello che è successo...»
Rose rimase senza parole, sospirando. «LO AVETE FATTO? AVETE FATTO SESSO?!»
«No!», esclamai, contrariata. «No, per niente! Ieri sera, a detta di Edward, ero troppo brilla per fare qualsiasi azione che non fosse dormire.»
«Ah». Era rimasta molto delusa, lo percepivo dal suo tono. «Sai, pensavo che finalmente fosse la volta buona...»
«Rose, non voglio ripetere gli stessi errori. Anche se prima... Be', ci siamo andati vicini...»
«Davvero? Che ti ha fatto?!»
Soffiai, esasperata. «Niente di che...» Mi accorsi di essere arrossita e mi toccai le guance, che andavano a fuoco. «Preferisco parlartene a casa, questa sera.»
«Mi sta bene, ma voglio ogni singolo dettaglio!»
Ridemmo insieme. «Va bene, Miss Impicciona del nuovo anno! A stasera.»
Attaccai non appena mi salutò. Rosalie riusciva sempre a farmi pentire di rivelarle le cose. Era sempre così schietta da farmi imbarazzare.
Mi massaggiai le tempie, cercando di metabolizzare tutto ciò che era successo nelle ultime dodici ore.
Anche se le immagini e le sensazioni di poco prima continuavano a tormentarmi assiduamente. Le sue mani su di me, la sua bocca sulla mia... Stavo per impazzire.
Il telefonino vibrò nuovamente, appoggiato sul mio addome. Alzai la cornetta e mi schiarii la voce.
«Pronto?»
«Ciao, tesoro mio!»
Sorrisi. Era la splendida voce di mia madre, Renée. «Ciao, mamma.»
«Perdonami se mi faccio sentire solo adesso ma ieri sera io e tuo padre eravamo a cena fuori e mi era morto il cellulare! In ogni caso, buon anno, tesoro!»
«Buon anno anche a voi. Come state? Fa freddo a Palma?»
«Ora ci sono 15 gradi e si sta abbastanza bene, tutto sommato. Anche se di notte fa molto freddo. E lì?»
«Penso che ci siano 9 gradi...»
«Capisco. Senti, ti ho anche chiamata per un'altra cosa. Ti ricordi di tua cugina Kate? Si sposa! Il 29! Vuole che ci sia anche tu!»
«Cosa?!»
Io avrei presto iniziato i corsi all'università, in più la scuola di danza sarebbe ricominciata... Era sempre tutto più intrecciato.
«Sì! Sarebbe entusiasta se partecipassi anche te!»
«Mamma», interruppi il suo entusiasmo. «Non so se potrò. Dove si svolge la cerimonia?»
«Qui a Palma.»
Ancora peggio. Un volo da Londra a Maiorca durava due ore e mezza, all'incirca. Ma il problema non era consistentemente quello. Come facevo a trovare in quattro settimane un abito per un matrimonio?
«Mamma, davvero non so se parteciperò. Ho tante cose da fare...»
Mi piangeva il cuore comunicarle un probabile no, ma sarebbe stato un mese pieno di impegni, tra l'università, la scuola di ballo... E Edward.
«C'è qualcos'altro, vero?»
Mi ridestai dai miei pensieri. «Cosa, mamma?»
«Dal modo in cui mi parli», mormorò, e la immaginai che fissava il pavimento. «Sei pensierosa, sembri più... serena.»
Sospirai. Era vero. Con Edward al mio fianco mi sentivo più libera e avevo la testa più leggera.
«C'è un ragazzo, vero?», esordì mia madre, probabilmente con un fiero sorriso sulle labbra.
Come faceva a capire tutto ciò che mi succedeva? A volte pensavo potesse leggermi nel pensiero...
«Sì...», sussurrai, giocherellando con i bottoni della camicia. Lei, dall'altra parte, prese un grosso sospiro, per poi fare un gridolino eccitato.
«Tesoro, sono così felice per te! E dimmi, com'è? È carino?»
«Oh, sì, molto...». Anche io stavo andando su di giri, per via di quel discorso. Edward, carino? No, no, era molto di più. «E' fantastico, è così premuroso...»
«E quando me lo farai conoscere?»
«Ehm...» Le parole mi morirono in gola. In realtà io e Ed non stavamo neanche assieme, ci frequentavamo da poco e non potevo considerarlo ancora “Il mio fidanzato”.
«Ho avuto un'idea: lo porti al matrimonio! Così lo conosciamo tutti! Ora però devo scappare! Ti voglio bene, tesoro!»
Non ebbi il tempo di dissentire che la comunicazione era già finita. Mia madre era imprevedibile: mai svelarle la tua situazione in campo amoroso, o sono guai.
Rimisi il BlackBarry nella tasca dei jeans e mi accorsi che Edward e Meredith s'erano spostati nel salotto, dove nell'aria aleggiava una musica di valzer, molto dolce e armoniosa.
«No, papà! Stai sbagliando tutti i passi!»
«Amore, io non so ballare!»
«Ma è facile! Dai papà, uffa!»
Mary era sui piedi del padre, cercando inutilmente di farlo danzare. Invece, i movimenti dell'uomo non erano per niente aggraziati, ma sembravano piuttosto messi a casaccio.
«Cosa succede qui?»
La bambina mi sorrise, per poi indicare Edward. «Papà non sa ballare ma deve per forza imparare a farlo!»
Alzai un sopracciglio, confusa. «E perchè?»
Ed sospirò. «Nella sua scuola hanno programmato il ballo di primavera con i papà... Una cosa da liceo, comunque. E ovviamente dovrò danzare con lei, peccato che non sia praticamente capace.»
Ridacchiai, guardandolo negli occhi. «Non è difficile, sai?»
«Tu sai ballare il valzer?»
Annuii. Il balletto mi aveva appassionato sin da piccola, quando Charlie mi faceva danzare sui suoi piedi, seguendo le note delle sue melodie preferite, esattamente come Edward e Meredith in quel momento. «Diciamo che me la cavo.»
Gli occhi della bimba si illuminarono. «Sul serio?! Allora insegneresti a papà?»
«Per me non c'è problema.»
Mary abbracciò il papà, stringendolo il più possibile. «Dai, papà! Ti prego!»
Dopo vari tentativi, Ed cedette, sospirando sonoramente. «Oh, e va bene! Ma solo perchè sei tu!»
Meredith gridò felice e andò verso lo stereo, cambiando canzone. «Andate!»
Quando sentii le prime note, ricordai subito il film: High School Musical. Quando avevo lavorato come babysitter, una bambina mi aveva obbligato a vedere l'intera trilogia di film per chissà quante volte...
«Posso avere questo ballo?», mi chiese Edward, spontaneo. Sul mio viso nacque un sorriso, e seguimmo le parole e le note della canzone.

Take my hand, take a breath
Pull me close and take one step
Keep your eyes locked on mine,
And let the music be your guide.

Ero stretta fra le sue braccia, e feci il primo passo, mentre gli occhi di Ed rimanevano allacciati ai miei. Mimai con le labbra le parole delle canzone, mentre lui sorrideva.
«Dai, è facile. Lasciati trasportare dalla musica.», mormorai, facendo attenzione che non gli pestassi i piedi o viceversa.

It's like catching lightning the chances of finding someone like you
It's one in a million, the chances of feeling the way we do
And with every step together, we just keep on getting better
So can I have this dance
Can I have this dance

«Papà, sei bravissimo!». Meredith ci fissava con lo sguardo commosso, seduta sulla poltrona. Suo padre, invece, non aveva occhi che per me. Mi rimirava, sempre sorridendomi. La sua mano, posta sul mio fianco, mi accarezzava, mentre l'altra teneva saldamente la mia. Nonostante non fosse capace, se la cavava egregiamente. Andava perfettamente a ritmo e seguiva ogni mia azione.
Danzare era stupendo, ma con lui la cosa diventava infinita. Sentirmi stretta fra le sue braccia mi faceva sentire protetta dal mondo esterno, amata e soprattutto corteggiata.
Non badammo più alla musica, ma solo a noi due. Mi faceva volteggiare, tenendomi comunque tenacemente per la vita. Era diverso ballare assieme a lui. I suoi sorrisi mi colmavano il cuore, facendomi vacillare. Il suo corpo così vicino al mio mi mandava in tilt e avrei voluto stargli più vicino, poter fare di più... Ma dovetti ricordarmi mentalmente che con noi c'era Meredith e quindi sarebbe stato più sicuro non fare passi falsi.

Oh no mountains too high enough, oceans too wide
'Cause together or not, our dance won't stop
Let it rain, let it pour
What we have is worth fighting for
You know I believe, that we were meant to be

Mi soffermai sulle parole. “Nessuna montagna è troppo alta, nessun oceano è troppo profondo, perchè assieme o no, il nostro ballo non si fermerà. Lascia che piova, lascia che diluvi, quel che abbiamo fa valere la pena di lottare. Sai che io ci credo, che siamo fatti apposta per stare assieme.
Eravamo davvero fatti per stare insieme? Eravamo due pezzi perfettamente combacianti di un puzzle che è la vita? Lo guardai negli occhi, così profondamente da perdermici. Sì, forse ero davvero pazza di lui, forse avrei davvero voluto unire quelle due tessere per ricreare una nuova persona, un nuovo legame e soprattutto una nuova vita. Ero davvero sicura? Mi ero perduta in lui.
La canzone finì, e lui mi baciò dolcemente, mentre Meredith applaudiva dietro di noi. «Sei perfetta, Bella.»
Sprofondai sul suo petto, mentre le sue labbra lambivano dolcemente le mie. «Sei perfetta, per noi. Siamo due tessere indivisibili.»
Forse era vero... Forse mi sarei solo dovuta lasciare andare, per ora. O forse fidarmi di lui e lasciare che mi guidasse, sempre e comunque.

____________________
CAPITOLO BETATO.
Buonasera! Anzi, buonanotte! Come state?
Sono tornata dopo 2 settimane ad aggiornare :) L'ispirazione è con me, e non posso che esserne felice!
Sono davvero contenta per le vostre meravigliose recensioni! Davvero! *_*
Devo dire grazie alla mia beta IncenseAsh, che mi sopporta costantemente u.u Grazie, moglia <3
E grazie a Simo, Francy, Martina, Camilla, Aurora, Monica e Viola <3, Giusy, Bianca, Benny... Siete troppe, fanciulle <3 vi voglio bene <3
Grazie! Grazie a chi mi ha messo nei preferiti, nei ricordati e nei seguiti! Sono numeri da far girare la testa!
Davvero :') Magari non è che, qualcuno di nuovo, avrebbe voglia di farsi sentire?
Aspetto numerose le vostre recensioni, per sapere se il capitolo vi è piaciuto o meno :)
Un bacio!
Giulia



Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** In volo per l'amore ***


Ascolta il tuo cuore

Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 9: In volo per l'amore.


BELLA

Guardai il calendario. Il 26 gennaio. Mi sorpresi di come il tempo mi scivolasse dalle dita, scorrendo veloce e non lasciandomi prendere fiato.
Era stato uno dei mesi più belli di quel periodo. Io e Edward ci eravamo legati ancora di più, passando molto tempo assieme e in compagnia delle bambine. Avevamo trascorso molte notti in compagnia, fermandomi a dormire a casa sua. Era un ottimo modo contro la solitudine, dato che Rosalie era partita da ormai venticinque giorni per la Francia, in compagnia di Emmett. E oltretutto, sembrava che Meredith fosse molto felice di avermi fra i piedi...
«Ti va di rimanere qui, questa notte?». Le braccia di Edward mi strinsero da dietro, mentre io ero completamente presa dal cercare di preparare un pasto decente. Mi baciò dolcemente la guancia, costringendomi a voltarmi.
Lo guardai negli occhi, in quei suoi bellissimi occhi. Era stato capace di farmi nuovamente comprendere cosa fosse l'amore vero, quello corrisposto, quello dove se sbagli non vieni linciato o tramortito, ma vieni perdonato della mancanza e ti viene offerto un aiuto.
QUELLO era il vero amore. E lo sentivo dentro: nel cuore, quando si avvicinava a me, facendomi perdere battiti; nello stomaco, quando mi sussurrava “sei bellissima” e le farfalle iniziavano a sbattere le loro ali, impetuose; nella mente, quando la sera vedevo il suo viso fra i miei sogni, nei miei ricordi, e sorridevo inebetita; nella pelle, che si accendeva quando mi sfiorava con quelle lunghe dita; nell'anima, dove sarebbe rimasto a lungo, come un pensiero a cui ti tieni aggrappato costantemente.
«Ovviamente se vuoi. Non è un problema se dici di no perchè vuoi tornare a casa dalle bambine.»
Sorrise, sfiorandomi la fronte con le labbra. «Rimango qui. Mi serve cambiare aria, per un po'.»
Mi sentii sollevata a quelle parole, eppure non ero su una nuvola, o in un sogno. Era reale, e io ero davvero fra le sue braccia, stretta, protetta, come in una campana di vetro.
«Non so cosa preparare, però...», ammisi, grattandomi il capo. In quei giorni, quando ero in casa da sola, per colmare il silenzio, mi buttavo sul cibo, inghiottendo di tutto, guardando film romantici.
«Possiamo sempre ordinare qualcosa, se ti va.», mormorò, fra i miei capelli, senza perdere il contatto.
Sbuffai. «Non mi va di farti spendere altri soldi. Fai già tanto così...»
«Schiocchina...». Mi acconciò una ciocca dietro all'orecchio. «Sono felice di farlo, per te. E se proprio ci tieni, puoi pagare metà del conto.»
Sospirai, di nuovo. Perchè faceva così? Non andavo pazza del fatto che sperperasse i suoi soldi solo per me, mentre avrebbe fatto meglio a usarli per le bambine e per se stesso...
«Oh, va bene. Pizza?», proposi, e mi accorsi che mi stavo rimpinzando di cibi estremamente grassi e poco salutari... Ma quello Edward non lo sapeva, affatto.
«Vada per la pizza.»
Mi sedetti sul bancone, mentre lui digitava il numero della sua pizzeria preferita, sempre guardandomi negli occhi. Non riuscivo a distogliere lo sguardo, sebbene fossi imbarazzata. Dopo pochi secondi, riattaccò la cornetta al muro, sorridendomi. «Arrivano fra dieci minuti.»
Le sue labbra si posarono sulle mie, calde. Allacciai le braccia dietro al suo collo, le mie gambe si unirono sui suoi fianchi, spingendolo verso di me. Le sue mani mi strinsero le cosce, per poi intrufolarsi sotto la maglietta, su per la mia schiena. Ansimai sulla sua bocca, pronta a sfilargli la camicia, ma lui fu più veloce e tolse la mia.
Scese verso il collo, baciandolo, mentre io gemevo, senza controllarmi. Qualcuno suonò alla porta e si staccò di colpo, rimettendosi a posto i capelli e andando verso il corridoio.
Mi morsi il labbro. Maledizione.
Saltai giù dal pianale e riacciuffai la t-shirt, infilandomela. Il mio fiato era ancora corto, e il mio collo andava a fuoco.
Mi affacciai verso lo specchio che c'era nell'entrata, e mi accorsi dei miei capelli. Oddio.
Erano una massa informe, disordinati. Provai a sistemarli, anche se il tentativo fu alquanto vano. Al diavolo.
«E' per te». Mi porse un pacco, abbastanza grande. Il mittente era mia madre. Cosa diamine...
Appoggiai la scatola sul tavolino, leggendo il biglietto.

Spero si riveli utile per il matrimonio di domenica.
Un bacio,
la mamma.

Il contenuto era un pellicciotto bianco, di piume di cigno... Probabilmente l'aveva pagato una fortuna.
«Oh». Ero rimasta senza parole, e avevo deciso di lasciarlo all'interno del pacchetto. Non volevo rovinarlo.
Intanto, il fattorino delle pizze era arrivato, e ora Edward mi fissava con i cartoni in mano. «Tutto okay?»
Annuii, e spostai il regalo di mia madre in un angolo, così da consentire a Ed di appoggiare le pizze.
«Vado a recuperare un coltello». Cercai di fuggire dalle sue grinfie, e mi rifugiai nel cucinino. Mi assalii la conversazione con mia madre della mattina di Capodanno, quando mi aveva proposto, o meglio: obbligato, di portare Edward al matrimonio. E io ancora non gli avevo accennato ancora nulla.
Ero nella merda.
Tornai nel salotto, dove Ed aveva già aperto le pizze e stappato le birre. Teneva in mano il telecomando e faceva oziosamente zapping, alla ricerca di qualche programma interessante.
Quando si accorse di me, mi sorrise e tagliò le fette, per poi prendermi fra le braccia e sedersi sul divano. Le nostre gambe erano intrecciate, la mia testa sulla sua spalla, i suoi occhi con i miei.
«Sei stupenda...», sussurrò, accarezzandomi con la punta delle dita la guancia. «Sei fantastica.»
Lo baciai delicatamente, per pochi istanti, chiusi gli occhi e gli strinsi le mani. Era un contatto superlativo, avrei dato qualsiasi cosa perchè durasse in eterno.
Si staccò da me e mi offrì una fetta di pizza, accostandola alle mie labbra. La morsi e ridacchiai per l'espressione che il suo volto aveva assunto.
Ci godemmo la cena rimanendo abbracciati, cambiando in continuazione canale. Guardammo per la maggior parte del tempo una commedia romantica, scambiandoci dolci effusioni e piccoli baci. In realtà Edward era più attratto dal mio collo che dalla televisione...
Ad un certo punto attirai la sua attenzione. «Vorrei chiederti una cosa...»
«Dimmi.»
Sospirai, prendendo coraggio. «Fra quattro giorni c'è il matrimonio di mia cugina, e dovrei partire dopodomani.... Solo che...»
Abbassai il capo, fissando le nostre mani unite. «Solo che?»
«Solo che da sola non voglio andarci. Insomma, ho raccontato di te a mia madre, e sarebbe felice di conoscerti...»
«Il tuo è un invito a partecipare al matrimonio?», rise. Mi unii alla sua risata, rendendomi conto di quanto fossi stata impacciata.
«Praticamente sì.»
Mi strinse a sé, mettendomi un braccio intorno alle spalle. «Ovvio che vengo. Sarebbe fantastico conoscere la tua famiglia.»
«Ma... le bambine?»
«Le bambine le posso lasciare per due giorni da mia madre, penso non avrebbero grandi problemi.»
Sorrisi. Trovava sempre le soluzioni, a differenza di me... «Sei sicuro?»
«Certo. Voglio passare un po' di tempo, solo, con te. Ora che me lo fai pensare, chiamo Esme.»
Guardai l'orologio, erano le nove passate, e non sapevo se in realtà Meredith dormiva già...
«Pronto? Ciao, mamma. Sì, stiamo bene. Senti, stasera rimango qui, da Bella. È un problema se Mary e Viola dormono da te? Okay. Quindi l'accompagni tu domattina a scuola? Perfetto. Sì, passamela che le do la buonanotte. Sì, anche io, mamma. 'Notte.»
I suoi occhi si illuminarono quando, probabilmente, dall'altra parte del ricevitore la sua bambina gli aveva detto qualcosa.
«Ciao, piccola. Sì, stasera dormo da Bella. Domattina sarò a casa, e quando tornerai da scuola, sarò da te, tranquilla. Ti voglio bene anche io, piccina. Tantissimo. Oh, okay, allora le do il cellulare.»
Mi porse il suo Iphone, alzando le spalle. «Vuole parlare con te.»
Il mio cuore sussultò. «Ehi, ciao, Mary.»
«Ciao, Bella!». La sua voce era carica di entusiasmo. E io che pensavo che fosse ormai nel mondo dei sogni... «Come stai?»
«Tutto a posto, e tu? Non devi andare a letto?»
«Oh, sì! Ma la nonna mi lascia stare ancora qualche minuto alzata! Anche se in realtà, l'ho sentita parlare al telefono e allora sono venuta di qua
Sorrisi. Era così spontanea, con me. Mi raccontava sempre tutto, e in quel mese avevamo imparato a conoscerci meglio e lei era diventata molto affettuosa nei miei confronti.
«Quindi stasera papà rimane da te?»
«Già.»
«Forte! Ci vediamo domani, se vieni a casa nostra! Buonanotte!»
«Buonanotte, piccolina.»
Ripassai il telefono a Ed, che salutò sua figlia, prima di attaccare e di risedersi accanto a me.
Passammo il resto della serata a chiacchierare, a baciarci e a guardare noiosamente la TV, nonostante non ci fosse nulla di affascinante da seguire.
«Prima Mary mi ha detto che era contenta che stessi un po' con te.»
«Davvero?», mormorai, incredula. Quella bambina si rivelava ogni giorno più matura per la sua tenera età.
«Sì. Mi sorprende, perchè non mi aspettavo una reazione del genere.»
«Già», sussurrai, sbadigliando. «Nemmeno io.»
Mi carezzò i capelli, sorridendo. «Forse è meglio se andiamo a dormire, che dici?»
Annuii solamente, e lasciai che spegnesse la tv, cosicché il silenzio ci abbracciasse. Mi tirò per le braccia, facendomi alzare, e nel buio brancolammo fino alla mia camera, dove accesi la luce.
«Ti lascio il bagno della stanza, io vado in quello che da sul salotto.»
Sparii oltre la soglia, dirigendomi nel salotto. Quando arrivai nella sala da bagno, mi tolsi la blusa e il reggiseno, infilandomi poi il pigiama.
La situazione era... diversa. Eravamo soli, per la prima volta. Di solito, quando eravamo da lui, Meredith si intrufolava nel lettone nel cuore della notte oppure Viola iniziava a piangere e quindi ci trovavamo in quattro.
Però quella sera eravamo solo io e lui. E il mio cuore aveva iniziato a battere velocemente, prendendo il volo, mentre il mio cervello iniziava a lavorare senza sosta, e io mi facevo filmini mentali come un'adolescente.
Quando tornai nella camera da letto, Edward era già sotto le coperte, con la luce del comodino vicino. Teneva le braccia sotto la testa, osservando il soffitto e pensando a chissà cosa. Aveva addosso la T-shirt di ricambio e i probabilmente pantaloni della tuta.
«Sei stato più veloce di me.», sussurrai, in piedi, davanti alla porta. Lui abbassò il capo, sorridendomi. «Vieni qui.»
Salii a carponi sul letto, inginocchiandomi accanto a Ed. Mi osservò per bene, alzò un sopracciglio e poi scoppiò a ridere.
«Che c'è? Perché ridi?»
«Nulla.. è solo che il tuo pigiama è strano. Sembra uno da antistupro.» E via ad un'altra cascata di risate.
«Ah sì?», dissi. «Lo pensava anche Christian...»
Mi fissò interrogativo. «Christian?»
«Sì», sospirai, mantenendo il capo chino. «Il mio ex ragazzo.»
Si sedette a gambe incrociate e mi alzò il mento. «Che succede, adesso?»
«Oh, niente». Provai a sviare la conversazione, rimboccandomi le coperte sulle gambe. «Sono solo stanca.»
«Isabella.», bofonchiò, con tono duro e restio. Mi sorpresi del fatto che mi aveva chiamato con il mio nome di battesimo, oltretutto per esteso. «Sarò anche imbranato, ma un po' le donne le capisco. E ho compreso che stai cercando di tenermi nascosta una parte del tuo passato che non ti piace. Ho ragione?»
Strabuzzai gli occhi, e nonostante fossi nella penombra sapevo benissimo che poteva vedermi. Come aveva fatto a...? Be', ovvio. Dal mio viso tutti riuscivano a scorgere una virgola triste o malinconica, oppure se era successo qualcosa che mi aveva relativamente toccato.
«Perchè ci riuscite tutti, perchè? Che palle.»
«A fare cosa, Bella?»
«A capire se c'è qualcosa che non va! Sì, sì! È una parte della mia vita che cerco inutilmente di cancellare.»
Distolsi subito lo sguardo dal suo, con gli occhi lucidi e il labbro intrappolato fra i denti. Non volevo e non dovevo piangere, assolutamente. Proprio perchè stavo ricominciando a vivere, e a lasciarmi quei brutti ricordi alle spalle, e non avevo la benché minima voglia di vederli riaffiorare e di darmi il tormento come due mesi prima.
Mi prese fra le sue braccia e iniziò a coccolarmi, massaggiandomi la schiena. «Va tutto bene.»
Arrivai a un punto in cui trattenere le lacrime era diventato impossibile e fui percossa dai singhiozzi, mentre le lacrime scorrevano placide lungo le guance.
«Non ti chiederò di parlarmene. Voglio che tu sia libera di farlo, non voglio costringerti a parlarmi della tua vita, se non vuoi.»
Aspettai che gli scossoni fossero passati, per potergli rispondere chiaramente. «E' che... E' così difficile. Ho ancora le ripercussioni oggi, nonostante siano passati tre anni.»
Mi accarezzava dolcemente la schiena, i capelli, le braccia, nel tentativo di rassicurarmi. «Ne vuoi parlare?»
Scossi il capo e lui mi lasciò andare, tenendomi sempre, però, le mani. «Non mi va di dire molto. Amavo Christian, mi ero illusa che potesse provare qualcosa per me veramente, che potesse sorreggermi e starmi vicino. Poi un giorno ha cominciato... a comportarsi in modo diverso. Era diventato cattivo, era possessivo, e io non volevo vivere una vita del genere. Così l'ho mollato ma lui ha continuato... E' stato il periodo più brutto della mia vita. E ancora mi ricordo tutto, sebbene sia passato così tanto tempo.»
Era la prima persona a cui confidavo quello che era successo, oltre a Rose, ovviamente. Nonostante il tempo avesse guarito le mie ferite, io pensavo continuamente a Christian. Era stato un capitolo importante del mio cammino, così importante che era quasi impossibile cancellarlo.
Mi rannicchiai contro il suo petto, mentre le sue braccia mi circondavano. «Oh, Bella...»
«E' tutto passato, eppure continua a farmi male come se lui fosse ancora con me. È una sensazione odiosa, non la sopporto. Sono venuta a Londra nel tentativo di dimenticarlo, ma si fa ancora strada fra i miei pensieri. È angosciante.»
Mi prese il volto fra le mani, catturandomi gli occhi con i suoi. «Ora ci sono io qui con te. Non voglio che tu stia ancora male. Voglio che tutto passi. Voglio che tu sia felice.»
Cancellai la distanza fra i nostri visi, appoggiando le labbra alle sue. Percepii il suo sorriso, e le sue braccia mi strinsero ancora più forte. Le mie mani salirono sulle sue guance, carezzandole amorevolmente. Levò dalle guance le ultime lacrime, asciugandole con i pollici. «Ora dormiamo. Sei stanca morta.»
Annuii e ci rintanammo sotto i piumoni, senza perdere il contatto reciproco. Mi baciò teneramente i capelli e mi accarezzò una guancia. «Ci sono io qui con te.»
Sorrisi e, stretta fra le sue braccia, caddi in un sonno profondo, sperando di non avere spiacevoli visite da lontani e tristi ricordi.



EDWARD.

Nonostante il sonno volesse impadronirsi di me, continuavo a viaggiare in un continuo dormiveglia, e spesso aprivo gli occhi per vedere che ora fosse... Ma il tempo passava davvero troppo lentamente.
Stringevo a me il corpo addormentato di Bella, che sembrava volersi aggrappare alla mia maglia per non lasciarmi fuggire.
Ripensai al suo discorso di qualche ora prima. Come aveva potuto quel Christian – oppure come l'avevo soprannominato io: l'Animale, trattarla male? Cosa aveva potuto farle? Picchiarla?
Scossi il capo. No. Non avrebbe mai potuto. Non a Bella. Non a una persona fragile e stupenda come lei.
Era da... codardi e da mostri picchiare una ragazza come lei. E i motivi, quali erano stati? Non lo sapevo, e in realtà non avrei manco voluto conoscerli, o la mia rabbia, o il mio schifo, sarebbero saliti ad un livello stratosferico.
«Edward.»
La sua voce flebile mi fece destare dai miei pensieri, mentre la sua mano mi strinse il braccio.
Accesi l'abat-jour e mi tirai su, mentre Bella si stropicciava gli occhi. «Che succede?»
«Devo andare... a prendermi un antidolorifico.»
Si alzò goffamente, ma si dovette risedere subito, tenendosi la testa con le mani. Le sfrecciai accanto, aiutandola a tirarsi su. «Che hai?»
«Mal di testa e mal di schiena.», brontolò, aggrappandosi alle mie braccia. «Ho bisogno di qualcosa che me li faccia passare.»
La portai fino nel bagno, dove accendemmo la luce. «Dove tieni le medicine?»
Mi indicò un armadietto accanto il lavabo, e quando lo aprii vi trovai un vasto assortimento di medicinali.
«E' Rose che compra così tanti farmaci.», disse, quasi leggendomi nel pensiero. Infatti mi ero chiesto cosa se ne facessero...
«Prendi il Tylenol. È dietro ai disinfettanti.»
Setacciai il ripiano e quando trovai la scatoletta rossa, gliela porsi. Mormorò un debole “grazie” e prese una pastiglia, per poi appoggiare la confezione sul lavabo.
La seguii fino alla cucina, dove ingoiò la medicina con un bicchiere d'acqua, sempre massaggiandosi la schiena. «Odio quando mi vengono questi dolori nel bel mezzo della notte.»
«Quindi ti capita spesso?»
Annuì. «Sì. Non mi arriva il ciclo e quindi mi vengono questi disturbi. Vieni, torniamo a dormire.»
Ritornammo nella sua camera e ci abbracciammo sotto le coperte, l'uno stretto all'altra.
«Buonanotte, Ed»
«'Notte.»
E poi non sentii più nulla, e il sonno si impadronì di me.


Arricciai il naso, seccato. Qualcosa mi stava camminando sopra il labbro e mi faceva il solletico... Ma io volevo solo riposare...
Qualcosa di gelido mi sfiorò la pancia, mentre il fastidio sul viso continuava.
«Basta.», bofonchiai indispettito. Qualcuno rise e poi percepii una pressione leggera sulle mie labbra.
«Su, dormiglione.»
Aprii gli occhi e trovai il viso di Bella, divertita, a poca distanza dal mio. «Ma buongiorno.», mormorò lei, dandomi un altro bacio.
«Che ore... Che ore sono?», borbottai, stropicciandomi gli occhi. Avevo bisogno di dormire ancora un po'...
«Le nove.», disse lei tranquilla, e le sue dita iniziarono a tracciare il profilo della mia mascella.
Mi accorsi che era adagiata sul mio petto, tenendosi al materasso per non far pressione su di me. «Ma io ho ancora sonno...»
Ridacchiò, e si puntellò sui gomiti. «Hai dormito un bel po'.»
«In realtà non proprio...»
Mi squadrò, torva. «Che hai fatto? Hai passato tutta la notte a guardarmi?»
«Più o meno...», ammisi, e lei si coprì il volto con le piccole mani. «Non ci posso credere!»
Cadde all'indietro, continuando a ridere. «Non è possibile!»
Mi sedetti sulle sue gambe, immobilizzandola. «Stai ridendo di me?»
«Puoi scommetterci!»
Le mie dita cominciarono a correre sui suoi fianchi, e la sentii irrigidirsi sotto il mio tocco, mentre le sue risate riempivano la stanza.
«No, ti prego! Il solletico no!», gridò, cercando di fermarmi. Mi avvicinai al suo viso, guardandola intensamente negli occhi, e la vidi arrossire, probabilmente per la posizione.
«Ehm...»
Mi scansai e lei mi fissò, imbarazzata; si passò una mano tra i capelli e respirò profondamente.
«Scusami.», mormorai, rendendomi conto di quanto l'avessi messa in difficoltà. Mi carezzò le mani e fece un sorriso sghembo. «Tranquillo. Ti va di fare colazione?»
«Perchè non ci vestiamo e andiamo a fare un giro e la facciamo in qualche bar?», proposi, anche se sapevo bene che la sua voglia di uscire era pari a zero.
«Va... va bene. Allora mi do una sistemata.»
Scese dal letto e sparì oltre la porta a soffietto, e io ricascai sui cuscini.



Il cellulare vibrò, e il tremolio si espanse per tutta la superficie del bancone.

Sono appena arrivata a casa. Ho una grande notizia, te la dirò stasera all'aeroporto.
xx
Bella.

Sorrisi e le risposi subito. Anche perchè avevo un piano differente.

Io avevo un'idea diversa. Sono le cinque meno venti, e non riesco ad aspettare ancora sei ore per sapere questa novella. So, vieni qui che mi devi dare una mano con la valigia e che devo dire ancora tutto a Meredith e rimani a cena da noi. Poi andiamo assieme in aeroporto. ;)
Edward.

Finii di mescolare la crema per il tiramisù e controllai la sua risposta.

Va beeeeeeeeene, capo. Comunque la mia valigia è già pronta, devo solo controllare che ci sia l'indispensabile.
Ancora non gliel'hai detto?
B.

No, torna alle cinque e mezza perchè mia madre l'ha portata al maneggio.
E.

Ah, okay. Allora alle cinque sono da te.
B.

Sprizzai felicità da ogni poro. Non la vedevo da cinque ore, e proprio per quello ero giù di morale. Perchè mi faceva quell'effetto?
Non potevo stare lontano da lei per più di qualche ora, mi uccideva. Era una sensazione nuova, mai provata prima. Sì, c'era stata Tanya ma con lei era diverso.. con lei è stato tutto un po' troppo veloce, e ora ci trovavamo in quella situazione scomoda.
Sì, eravamo innamorati, ci amavamo ma... con Bella era diverso. Tutto diverso.
Sarà stata l'età, dato che ero più adulto e avevo una storia alle spalle, sarà stata la circostanza... Sarà stato quello che era. Fatto stava che il mio cuore era legato al suo.
Composi la torta e la misi in frigo, e mi accorsi che mancava ancora tantissimo.
Sistemai la cucina, mettendo in lavastoviglie i piatti sporchi e ciò che avevo utilizzato. Ero preso dalla frenesia, e non volevo apparire sciatto o disordinato agli occhi di Bella. Lei riusciva a essere perfetta, anche senza fare niente di particolare.
Quando il campanello suonò, corsi alla porta, mentre il mio cuore iniziava a sbandare.
«Ciao.»
Bella mi sorrise, e si alzò in punta di piedi per raggiungere il mio viso e sfiorarmi dolcemente le labbra.
«Ciao. Vieni dentro.»
Le presi la mano e la condussi in salotto, dove Viola gorgogliava dentro la sua carrozzina.
Appena mia figlia vide Bella, iniziò a gridare e ad attirare l'attenzione della mia ragazza. Ragazza? Il mio cervello stava iniziando a viaggiare un po' troppo presto. Insomma, ancora non c'era nulla di ufficiale tra di noi, e sopratutto non ne avevamo mai parlato apertamente. Ci piacevamo e stavamo bene insieme, quello ci bastava, per ora.
«Ciao, piccolina.», sussurrò Bella, prendendo la bambina fra le braccia. «Ha già mangiato?»
Annuii. «Sì, un'ora e mezza fa, all'incirca.»
Si sedette sul divano, con una mano sulla schiena di Viola, che teneva benissimo su la testina. Cullò per un po' mia figlia, che aveva quel sorrisino sdentato e che gorgogliava felice.
Ad un certo punto si addormentò fra le braccia di Bella, così la portammo in camera da letto e accendemmo il baby phone per sentire cosa faceva.
«Allora, questa grande notizia?», le chiesi, sedendomi con lei sul divano.
«Volevo che fosse una sorpresa, ma sapevo che non avresti resistito.», ridacchiò e dalla sua borsa estrasse una busta bianca.
Lessi il mittente.

Oxford University
Saint Cross Road
Oxford OX1, United Kingdom
01865 279500

«La Oxford University? Sul serio, Bella?»
Lei sorrise, impacciata, scrollando le spalle. «Mi hanno offerto una borsa di studio dal prezzo esorbitante per andare lì e finire gli studi. Sarebbe meraviglioso, ma per me è un'ora di auto tutti i giorni e sarebbe davvero faticoso...»
«Ma chi se ne frega della distanza! Ti rendi conto di quanto sia prestigioso? La Oxford, Bella!». L'abbracciai con una forza raggelante, e lei mi carezzò il collo. «Per la distanza non importa, potremo sempre fare qualcosa al riguardo. Ma pensaci: laurearti alla Oxford! Sarebbe il sogno di chiunque!»
Abbassò il capo, guardandosi le dita. «Lo so, però...»
«Però?»
«Però se caso mai dovessi cominciare a pagare le tasse universitarie, come farei? I prezzi non sono per niente convenienti, e lo sai anche tu.»
«Bella». Le accarezzai la guancia, cercando di darle conforto. «Non importa. Tu vivi il presente, al futuro ci si penserà nel momento dovuto.»
Si accoccolò sul mio petto, e io la accolsi e la strinsi a me. «Grazie, Ed.»
«Devi solo stare tranquilla, tutto qui.»
Passarono all'incirca venti minuti e qualcuno aprì la porta dell'ingresso, per poi urlare un sono “sono a casa!”.
Meredith spuntò accanto a noi, sorridendoci. «Ciao!»
Bella si distanziò da me e prese in braccio Mary, che la strinse a sé.
«Vi siete divertite, tu e la nonna?», chiesi alla mia bambina, che annuì con vigore.
«Sì! I cavalli erano bellissimi! Perchè non possiamo avere anche noi un pony, papà?»
Risi. «Perchè non abbiamo posto, amore.»
«Ma uffa!», esclamò, incrociando le braccia al petto. Bella le fece un leggero solletico sul collo e la bambina tornò a ridere.
«Mary, devo dirti una cosa.», le mormorai ad un certo punto, quando Bella era andata in camera per controllare Viola. Meredith mi salì sulle ginocchia, guardandomi negli occhi.
«Dimmi, papà.»
«Basta sono che non ti arrabbi.», le mormorai, carezzandole i capelli. «Prometto che non mi arrabbio.»
«Stasera alle dieci e mezza con Bella devo andare in aeroporto per prendere un volo che ci porterà in Spagna. So che vorresti venire anche tu, però dovremo andare da alcuni parenti di Bella e oltretutto il volo è pagato per sole due persone. Non ti dispiace vero, se ci vado?»
«Ooooh.»
I suoi occhi si illuminarono per un secondo, per poi spegnersi. «Quanto starai via?»
«Torno lunedì mattina, scricciolo.»
«Va bene. Sì, sono un po' arrabbiata con te.»
Sorrisi. Sapevo perfettamente che si sarebbe un po' ingelosita. «Sul serio?»
«Già.»
Iniziai a farle il solletico e le sue risate iniziarono a propagarsi per la stanza. «Basta, papà! Basta!»
«Ah, no! Non mi fermo, io!»
Cominciò a mancarle il fiato e smisi, prendendola in braccio. «Non voglio che tu sia triste, okay? Prometto di fare tante foto, così quando saremo a casa assieme le guarderemo.»
«Okay, papy». Mi baciò il naso e si divincolò dalla mia stretta, correndo verso la camera da letto dove Bella ci aveva chiamato a gran voce.


«Cosa dovrò portarmi?»
Tirai fuori la valigia dall'armadio e l'adagiai sul letto. Bella mi fissò. «Lì fa più caldo che qua, però la notte la temperatura scende di colpo.»
Annuii e cominciammo a sistemare gli abiti nella borsa. Non ci furono problemi fino a quando non arrivammo ai vestiti eleganti.
«Sono obbligato a portarli?», domandai, indicando la fila di smoking in mio possesso. Bella ridacchiò e mi baciò velocemente le labbra, per poi esaminare il contenuto dell'armadio.
«Sono bellissimi. Perchè non dovresti metterli in valigia?»
«Odio indossare smoking. Mi sento tanto un pinguino.», ammisi, facendo il broncio. Lei si intenerì e mi abbracciò.
«Allora sarai il mio pinguino.», mormorò contro il mio petto. «Andrà tutto bene. Ora decido io quali portare.»
Alla fine scelse un completo beige, uno nero e uno grigio, e abbinò tre cravatte differenti. Sistemammo il mio beautycase con tutto il necessario e chiudemmo la valigia... E fui costretto a sedermici sopra.
L'orologio segnava le venti. Avevamo deciso di mangiare un po' prima del previsto, e di chiamare Esme per accompagnarci all'aeroporto.
Guardai Meredith, seduta sul divano, avvolta nel plaid con il suo orsetto vicino, a guardare la televisione. Ciò che più mi dispiaceva era proprio lasciarla sola per due giorni.
Un padre non dovrebbe fare queste cose, cantilenava il mio subconscio, e io mi sentivo terribilmente un cattivo padre, pronto a lasciare la figlia maggiore con i nonni per spassarsela un po'.
«Che hai?». La mano di Bella mi sfiorò la spalla, e poi le sue labbra si poggiarono sulla mia guancia.
«Nulla.», mormorai, scuotendo il capo. «Sto bene.»
«Non è vero. Te lo leggo in faccia che c'è qualcosa che non va.»
Riguardai Mary, che era tranquilla e non ci aveva notato. «Mi sembra di essere un irresponsabile. Non l'ho mai lasciata da sola per così tanto tempo.»
«Ma no». Mi abbracciò da dietro, e io le baciai le nocche della mano. «Edward, sul serio, devi stare tranquillo. Staccare la spina ti può fare bene, ogni tanto.»
«Andiamo un po' da lei.»
Mi avvicinai al divano e Meredith alzò lo sguardo, sorridendomi. «Ehi, cucciola.»
La presi fra le braccia e mi accoccolai con lei sul divano, mentre Bella si sedeva accanto a me, poggiando il capo sulla mia spalla.
Guardammo la TV in silenzio, accarezzando i lunghi capelli di Meredith, che si stava rilassando.
Bella cominciò ad appisolarsi, ma Esme spuntò dalla porta, e quando vide la scena sorrise.
«Ragazzi, sono quasi le dieci. Vi conviene prepararvi che vi accompagno all'aeroporto.»
Mi sentii un burattino perchè in automatico mi vestii e aspettai che gli altri fossero in auto, dove c'era un silenzio impressionante. Massaggiavo la mano di Bella, che tremolava agitata, e l'altra era legata a quella di Meredith, che aveva la testa appoggiata sulle mie ginocchia.
«Mi raccomando: divertitevi, non fate sciocchezze e riposatevi.», disse amorevolmente Esme, nell'attesa di sentire la chiamata per l'aereo.
«Certo, mamma». Mi sentivo stranamente imbarazzato, probabilmente per  via della presenza di Bella. Mi chinai per raggiungere l'altezza del viso di Mary, che mi fissava, un po' addormentata.
Le sfiorai la guancia con la punta delle dita. «Fa' la brava con nonno e nonna, okay?»
Lei annuì, alzando gli occhi al cielo, forse per ricordarmi che era lo stesso discorso che le facevo quando la lasciavo con mia madre. «Certo, papy.»
«Non farla arrabbiare, e dalle una mano con Viola, chiaro? Se vengo a sapere che hai fatto la birba, sono guai, signorina. Ah, e poi...»
Mi interruppe saltandomi letteralmente fra le braccia. «Ti voglio bene, papà.»
Restai per qualche secondo guardingo, e poi mi alzai, sempre tenendola stretta. «Anche io, scricciolo mio.»
Rimanemmo abbracciati fino a che gli altoparlanti non annunciarono la chiamata di imbarco.
Mia madre strinse a sé prima me, poi Bella. «Non mettetevi nei pasticci, okay? Ci vediamo lunedì pomeriggio.»
Con i nostri bagagli e, mano nella mano, io e Bella ci allontanammo, continuando a sorridere a mia madre e a Meredith, che mi salutava piangendo.


«Bella, svegliati.»
Scossi un po' il corpo di Bella, che si era addormentata non appena si era seduta su quel sedile.
«Lasciami dormire.»
Ridacchiai sottovoce, e poi le baciai la guancia. «Bella, amore, siamo arrivati.»
Lentamente aprì gli occhi, per poi fare un sorriso sghembo. «Davvero?»
«Sì. Dai, alzati, così dormi in albergo, dove di sicuro sarai più comoda.»
Eravamo quasi gli ultimi a scendere, infatti a bordo c'erano ancora sei o sette persone. La tenni saldamente per la vita, onde rischiare rovinose cadute, e andammo verso il nastro trasportatore per recuperare i nostri bagagli.
«Sonno?», mormorai all'orecchio di Bella, mentre salivamo sul taxi. Lei annuì con poco vigore, e capii che era quasi nel mondo dei sogni.
«Ed?», biascicò assonnata. Le accarezzai i morbidi capelli, di rimando. «Dimmi.»
«Ti amo.»



____________________
CAPITOLO BETATO.
E rieeeeeeeeccomi qui! Sì, dopo una settimana e pochi giorni, sono tornata qui e ho aggiornato! :D
Che dire... Approfitto della situazione - ancora niente scuola, per postare :)
Piccolo avviso: PER NON FARVI ADDORMENTARE E ANNOIARE DAVANTI AL MONITOR, IL CAPITOLO E' STATO DIVISO IN DUE PARTI! LA SECONDA PARTE VERRA' AGGIUNTA ENTRO E NON OLTRE DOMENICA 9!
Mi sentivo obbligata a scrivervelo xD Quindi, non è che recensireste subito subito? Non vi lincio se non lo fate, eh! Sia chiaro!
Ah, in più.... CENTODUE MAGNIFICHE E STRABILIANTI RECENSIONI!
No, sul serio, siete veramente dolcissimi. Ho visto arrivare le recensioni da 75 a 102 in pochissimi giorni e dovete sapere che così mi sono sentita ancora più felice di scrivere perchè ho capito che il mio lavoro è amato e apprezzato da qualcuno!
Ora, ripeto che il capitolo è diviso a metà... Ma non è che lascereste una piccola recensione? *_* Dai, su! *_*
Grazie a tutti i preferiti, recensiti, da recensire e i seguiti. Questi numeri mi fanno girare la testa!
Profilo Facebook Gruppo FB per spoiler ecc qui i miei contatti per tenervi sempre in contatto con me! ;)
Ci si vede entro domenica :)
Kiss, Giù.




Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** La chiave del cuore ***


Ascolta il tuo cuore

Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 10: La chiave del cuore.


BELLA

Continuavo a rimuginare mentalmente quelle due parole che avevo farfugliato nel sonno la sera prima, e mi chiedevo se realmente Edward l'avesse prese come uno scherzo oppure come la realtà nuda che lasciavano trapelare.
Osservai di nuovo il corpo assopito di Ed, che riposava a pancia in giù sul letto dell'albergo, dove ormai eravamo da nove ore abbondanti.
Bevvi un altro sorso bollente di tè, analizzando lo spettacolo che si presentava dal balcone della nostra camera. Davanti a me, il mare, al momento tormentato, di Palma. Era ancora più bello di quel che mi ricordavo, anche se erano due anni che non ci tornavo in inverno, ma solo più d'estate, quando avevo più tempo a mia disposizione.
Il vento gelido picchiava sulle finestre, facendo entrare minuscoli spifferi nella stanza.
«Sei già sveglia?»
Mi voltai e vidi Edward stiracchiarsi e sorridere. «Sono sveglia da un bel po', ormai.»
Mi avvicinai a lui, e posai la tazza di ceramica sul comodino. «E comunque: buongiorno.»
Le sue labbra si posarono appena sulle mie, e le sue mani spinsero il mio corpo contro il suo.
«E' un ottimo buongiorno, questo.»
Risi e mi ritrovai sotto di lui, con le sue braccia arpionate ai miei fianchi. Mi baciò con trasporto, mentre le mie mani corsero al bordo della sua T-Shirt, sfilandogliela. Mi staccai e guardai il suo petto, il suo corpo. Dio, era una vista idilliaca.
Nel momento in cui la mia bocca fu di nuovo sulla sua, il mio cellulare iniziò a squillare, ma Edward non se ne curò.
«Ed», gemetti, provando a spostarlo. «Potrebbe essere Esme.»
Subito si staccò, sedendosi accanto a me, con il fiato corto. Recuperai il cellulare e lessi il nome sul display: Mamma.
«Pronto?»
«Ciao, tesoro!». La sua felicità era alle stelle, e potevo ben capirne il perché.
«Ciao, mamma. Come stai?»
«Tutto okay, grazie. E voi? Siete già arrivati?»
Edward mi baciò il collo e si allontanò, chiudendosi nel bagno. «Sì, siamo arrivati stanotte. Ci siamo appena alzati.»
«Bene! Che ne dici se andiamo a fare colazione in uno dei bar che ci sono al molo? Mi piacerebbe molto incontrare questo ragazzo e tuo padre è molto agitato!»
E quando mai, avrei voluto aggiungere, ridendo dentro di me. «Mh, non lo so, mamma. Non so che piani ha Edward.»
«Ecco come si chiamava! Mi sono venuti in mente centinaia di nomi, ma non Edward! Comunque dai, tesoro. Non ti farebbe male prendere un po' d'aria di mare. Ci incontriamo al solito posto, okay? Baci, a dopo.»
Riattaccò subito dopo il mio saluto, e io sospirai. Con Renée era praticamente impossibile ragionare, e su una situazione delicata come questa, lo era ancora di più.
«E' tutto okay?»
Ed era di nuovo di fianco a me, con addosso una camicia pulita e un paio di jeans neri. Quando diavolo aveva preso quei vestiti dalla valigia? Non me n'ero accorta.
«Sì, solo che mia madre si diverte a programmare senza chiedermi il consenso. Quella donna mi farà diventare matta, un giorno o l'altro.»
Rise e le sue labbra si incollarono alle mie. Dio, solo lui riusciva a farmi perdere la testa in quel modo. Risposi al bacio e allacciai le braccia al suo collo, spingendomi verso di lui. Non so cosa avrei fatto pur di andare oltre a quel semplice e insulso contatto, però lui si staccò, alzandosi e lasciandomi con un palmo di naso.
«E' meglio che ti prepari, o arriveremo in ritardo.»
Mi morsi il labbro. Vai a quel paese, Cullen.


«Stai tremando, o sbaglio?»
Scossi il capo, infagottandomi nel cappotto. «No, ho solo freddo.», mentii, ma lui aveva chiaramente capito perché non riuscivo a stare ferma.
Continuavo a perlustrare con lo sguardo i dintorni, cercando di intravedere i miei genitori, che come al solito erano in ritardo. Un'abitudine purtroppo consolidata nel tempo, la loro.
Ero fin troppo agitata e su di giri per rispondere alle domande di Ed, e le schivavo con un'alzata di spalle o qualche borbottio confuso. Sarebbe stato il primo vero incontro, per lo più ufficiale, di Renée e Charlie con Edward. Non ero più abituata a quel genere di cose...
Ed era un bene o un male?
Oh, ma a chi importava. Di sicuro a mia madre sarebbe venuto un coccolone, vedendo quel ragazzo dalle vecchie e magnifiche maniere che era Ed. Non l'avrei presentato come il mio fidanzato, perché ancora non potevo definirlo così, ma magari per lui la cosa aveva cominciato a prendere una piega seria e allora voleva qualcosa di più. E anche io lo desideravo, però avevo paura di ricadere nei vecchi errori... Solo che non potevo sempre tirarmi indietro, e una volta o l'altra avrei dovuto farmi forza e affrontare a mente aperta tutto ciò che poteva succedere.
«Tu non hai paura?», sussurrai, abbracciandolo. Sgranò gli occhi, per poi flettere la testa su un lato. «Perché dovrei esserlo?»
«Non sei agitato di incontrare i miei genitori?»
Mi accarezzò la guancia. «Un po', ma andrà tutto bene, tranquilla.»
«Come fai sempre a essere così... Sicuro di te?». Avrei voluto avere anche solo una briciola del coraggio che aveva lui, e non essere una stupida codarda quale ero.
Ridacchiò. «La prendo con un po' di filosofia e non mi faccio prendere dal panico, tutto qui.»
Sospirai. Magari fossi stata capace anche io.
Quando mi voltai, vidi mia madre venirci incontro. Aveva un sorriso smagliante, e so che avrebbe voluto corrermi incontro, ma si stava trattenendo con tutte le sue forze.
«Oh. Bella!». Mi strinse a sé e il fiato mi mancò nei polmoni, tanta era l'energia racchiusa in quell'abbraccio. «Stai benissimo! Hai preso su qualche chilo, o mi sbaglio?»
Alzai gli occhi al cielo, ridendo. «Mamma, peso sempre uguale, stai tranquilla.»
Charlie se ne stava in disparte, e quando mi intravide, sorrise impacciato. «Ciao, Bells». Mi mise un braccio intorno alle spalle, impacciato, e si avvicinò a me. Sapevo perfettamente che non era il suo genere di situazione ideale.
«Mamma, papà, lui è Edward.», mormorai e ogni cellula del mio corpo impazzì a quella frase. Stava succedendo, adesso... Dio mio...
Ed strinse la mano a entrambi, con un sorriso imbarazzato – lui a disagio?! - sulle labbra.
«E' un bel ragazzotto.», disse mia madre, quando ci avvicinammo al bancone del bar per chiedere la colazione.
«Già...», mormorai sovrappensiero, osservando Edward, che dialogava con mio padre. Entrambi stavano sulla difensiva, con le braccia incrociate al petto, seduti al tavolo. Sorrisi a quell'immagine e presi i due caffè e il croissant e tornai al tavolo.
«Di che confabulavate, voi due?», fece mia madre, offrendo a Charlie il suo cappuccino. «Mi sembra che andiate già abbastanza d'accordo, no?»
«Sì.», borbottò mio padre, schivando i nostri occhi. Abbassai il capo, sempre sorridendo, e lasciai che i miei genitori facessero domande a Ed, che rispondeva prontamente.
«Edward ha due bambine.», sussurrai, provando ad entrare nel discorso. Mio padre sgranò gli occhi, mia madre fece un versetto tenero.
«Come si chiamano?»
«Meredith e Viola». Negli occhi di Edward potei vedere tutta l'emozione che provava parlando delle sue piccole. Gli strinsi la mano e gli sorrisi, facendogli capire che andava tutto bene. «Hanno rispettivamente sei anni, quasi sette, e quasi sei mesi.»
«Oh, che carine!», esclamò mia madre, gongolando. Presi il cellulare e le mostrai una foto delle bimbe, e l'espressione di Renée bastò a farmi capire che il suo cuore si era stretto davanti alla dolcezza di quei visi così familiari per me.
«Che lavoro fai, Edward?», domandò mamma, e Edward ingoiò a fatica il sorso di caffè.
«Attualmente il “mammo”, ma sono alla ricerca di qualcosa di più proficuo.»
Mia madre mi lanciò solo un'occhiata, prima di tornare a occuparsi del mio quasi ragazzo. «E invece... Le bambine presumo provengano da una vecchia relazione.»
«Mamma!». Le pestai un piede da sotto il tavolo, intimandola così a smettere di fare certe domande a Edward.
Alzò gli occhi al cielo, e lasciò che Edward le rispondesse... Forse.
«La madre delle bambine ha deciso di andarsene quattro mesi fa...», borbottò, cercando di non far salire il magone che aveva in gola.
Gli strinsi la mano che teneva in grembo, e lui mi sorrise. «Però ora non mi importa.»
Renée e Charlie mi fissarono, increduli, per poi tornare a guardare Ed. «Oh.»
Calò intorno a noi un'aura triste, piena di malinconia, e per scacciarla mia madre batté velocemente le mani. «Bella, Kate fa un piccolo ritrovo per pranzo, a casa sua. Vi andrebbe di partecipare?»
Gli occhi di Edward incrociarono i miei, e annuii. «perché no? Non avevamo altri programmi, tanto.»
«Perfetto!». La donna prese il cellulare e digitò freneticamente il messaggio a mia cugina. «Sarà così felice! Comunque inizia alle tredici e trenta.»
Quando i miei genitori si allontanarono per pagare il conto, e io ne approfittai per abbracciare Edward. «Sei sicuro di voler venire da mia cugina?»
Mi baciò la fronte, e mi strinse più forte. «Bella, sono sicurissimo. Non è male l'idea di conoscere la tua famiglia.»
Ridacchiai e posai le mie labbra sulle sue, e all'improvviso mi sembrò di essere in agosto. Tutto il mio corpo si scaldò e sentii il cervello bruciare. Mi staccai e lasciai che mi continuasse a stringere a sé, continuando così a scaldarmi non solo il corpo, ma anche il cuore.


Avevamo deciso di fare un salto all'albergo solo per cambiarci e metterci qualcosa di più elegante, nonostante fosse solo un momento per ritrovarsi a bere qualcosa, il giorno prima della fatidica data.
Edward parcheggiò davanti al cancello della casa di Kate, che ci accolse a braccia aperte.
«Oh, Bellina!». Quasi mi soffocò in quel caloroso abbraccio. «Mi sei mancata tanto!»
«Anche tu, Kat». Sorrisi, timida, e lei mi pizzicò la guancia come faceva nonna Claire quando eravamo bambine.
«Hai messo su della ciccetta... Mica diventerai un porcellino?»
«Grazie, Kate. Possiamo entrare o dobbiamo ibernarci?». Infatti tirava un vento molto forte e freddo, che ci picchiava in viso.
Non aveva ancora notato Edward, che se ne stava dietro di me, timido e un po' sulle sue. Quando le passò accanto, mi chiese, mimando con le labbra, se era il mio ragazzo, e io le feci segno che gliene avrei parlato dopo.
Il salotto di casa Dwyer era addobbato con rose rosa ovunque, in piccoli vasi, sui tavoli... E intorno a noi un grazioso aroma di gelsomino aleggiava per la stanza.
«Bella!»
I genitori di Kate, mi vennero incontro, abbracciandomi a turno. «Sei splendida! Come stai?»
«Bene, grazie.»
Presi la mano di Ed, che si avvicinò a me. «Lui è Edward.»
Kate trotterellò al mio fianco, e salutò con una stretta di mano il mio... ragazzo.
Ci accomodammo sui divanetti accanto ai tavoli e ci isolammo nella nostra bolla. Era la prima volta che apparivamo così, come una coppia, con intorno tutte quelle persone...
Kate e le sue amiche si accostarono a noi. «Bella, puoi venire un attimo?»
Voltai il capo verso Ed che mi sorrise. «Tranquilla. Io vedrò di parlare con qualcuno.»
Mi ritrovai in un angolo a confabulare con loro, ed già ero imbarazzata per conto mio... E i loro discorsi non aiutarono proprio per niente.
«Da quanto tempo state assieme?»
Parlare non mi fu facile, perché la mia lingua sembrava non voler andare a braccetto con il mio cervello. «Noi... Non stiamo assieme.»
«Cosa?», esclamò Kate, sgranando gli occhi e offrendomi un bicchiere di vino. «E cosa ci fa lui qua, allora?»
«Non stiamo ufficialmente assieme, ma usciamo, trascorriamo del tempo insieme... Non siamo fidanzati in quel senso.»
Un'amica di mia cugina, una rossa, alta, con una chioma fluente e due grandi occhi blu, mi fissava curiosa. «E avete già fatto sesso?!»
Tossii, quasi strozzandomi. «No... Ovviamente no.»
«Bella, non ricordavo che tu fossi così... lenta, ecco.»
Inarcai un sopracciglio, confusa. «Lenta... Come?»
«Non vai avanti con questa relazione. Sei fissa. Da quanto vi frequentate, almeno?»
«Due mesi e mezzo.», ammisi. Sì, ci eravamo conosciuti ad Halloween e avevamo cominciato a uscire assieme verso la metà di novembre.
«Be', allora avete ancora tempo. Pensavo da molto di più!». Kate ci rise su, finendo così il calice colmo di nettare.
Le mie guance presero fuoco. «Katie, ti voglio ricordare quello che è successo tre anni fa... Non è stata una grande bella esperienza, mi ha segnato, in qualche modo.»
«Bellina». Mi prese le mani e le strinse fra le sue. «Non puoi pensare che tutti gli uomini siano uguali. È vero, quello è stato un errore enorme, ma di sicuro Edward non è così. Riflettici su.»
Sospirai e guardai l'ora sul cellulare. Erano già le tre e mezza... Come volava il tempo.
Passai il tempo restante in compagnia degli altri invitati, sempre al fianco di Edward, che mi stringeva a sé come se fossi stata un oggetto prezioso, che non andava assolutamente perduto.
«Ma guarda chi si rivede.»
Colta alla sprovvista, mi girai verso la voce, che mi era sembrava fin troppo familiare... E in effetti non avevo sbagliato.
Quando mi ritrovai faccia a faccia con quel volto, il mio cuore vacillò e il fiato mi si bloccò nei polmoni.
«Ciao, Isabella.»
Lo squadrai, da cima a fondo. «Christian...»
A pronunciare il suo nome mi si rievocarono lontani e orribili ricordi, e percepii il cuore sgretolarsi e bruciare allo stesso tempo.
«Sei cambiata tanto, in due anni». La sua voce era una specie di evocazione del mio passato, e pareva che lui si divertisse a parlare per scatenare in me tutte quelle sensazioni fastidiose che si erano messe in moto.
Mandai giù il nodo che mi si era formato in gola. «Anche tu.»
«Sei sola?»
Cosa voleva fare? Dio, ero così... spregevole. Mi vennero in mente immagini ben poco carine e caste su quello che poteva accadere se fosse stato così.
Cazzo. Perchè quando Edward si allontanava intorno a me arrivavano gli avvoltoi? Era una situazione orribile, e volevo che si disfacesse subito.
«No...»
Cercai con lo sguardo Ed, che mi aveva lasciato per pochi minuti solo per andare in bagno, ma ancora non si era fatto vivo.
«Sul serio? E con chi sei?»
Sbuffai e gli lanciai un'occhiata fulminea. In momenti come quelli avrei voluto che le mie frecciatine potessero uccidere... «Christian, non penso siano fatti tuoi.»
Qualcuno mi strinse la mano che tenevo dietro la schiena e mi baciò la guancia. «Eccomi.»
Era Edward. Finalmente.
Mi strinsi a lui, come per far capire a Christian che aveva poco su cui sperare. «E lui chi è?», domandò Ed, mentre il suo sguardo scattava da me a Chris continuamente.
«Edward, lui è Christian. Christian, lui è Edward, il mio ragazzo.»
Lo sentii irrigidirsi e aumentare la presa sul mio fianco, costringendomi così ad affondare il capo nella sua spalla. Gli strinse la mano che lui pazientemente aveva sporto. «Felice di conoscerti, Christian.» La sua voce era dura, dritta, di acciaio, quasi vitrea, e non lasciava trasparire nessun' emozione.
«Altrettanto per me, Edward. Parlavo con Isabella proprio adesso di quanto sia cambiata... E vedo che ha anche trovato un consorte...»
Lo guardai, acida, e i miei occhi divennero due fessure. «Christian, smettila. Ripeto che non sono cose di cui dovresti interessare. E tu, invece? Ti sei trovato qualcuna oppure tutte fuggono da te e dai tuoi modi... burberi?»
Fece un ghigno malefico, e mi prese il polso, avvicinandomi a sé. Edward afferrò la sua mano, trafiggendolo con lo sguardo. «Lasciala. Andare.»
Christian non se ne curò, e mi fissò. «Cosa ti crucci, Isabella? Non è interesse tuo ciò che succede nella mia vita privata. Sì, mi ero trovato una donna, e ho avuto anche una bambina... Ma se ne sono andate entrambe, forse perché le tue maledizioni hanno fatto centro.»
Scrollai la mia mano, facendo un passo all'indietro. «Tu, lurido essere schifoso...»
«Non ho fatto nulla a Sharon e a Lilith. Sono loro che mi hanno lasciato.»
Continuava ad osservarmi divertito, così cattivo che tutto il dolore che avevo provato mi pervase i polmoni, le ossa... Lo risentii di nuovo, come se lui mi stesse ancora attaccando, come se mi stesse ancora facendo del male.
Girai sui tacchi, tenendo una mano davanti alla bocca. «Edward, andiamocene.»
«Non sarebbe carino andarsene da una festa, Isabella.», mormorò maligno Christian alle mie spalle. «Almeno dovresti salutare... Però lasci un vecchio amico qui, da solo...»
«Basta. Vattene da lei. Smettila.»
Quando mi voltai li vidi fin troppo vicini per i miei gusti. «Edward, ti prego, andiamo via». Lo tirai per il braccio, facendolo allontanare. «Stai tranquillo.»
Mi cinse le spalle e andammo verso la porta di ingresso, ma lui si allontanò per parlare con Kate, probabilmente per scusarsi di questa nostra anticipata uscita dalla scena. «Va tutto bene.», mormorò contro la mia fronte, allacciandomi la cintura di sicurezza. «Ora ci sono io.»
Rimasi in silenzio per tutto il tragitto, tenendo il pugno chiuso contro le labbra, come se potesse aiutare a darmi forza per non scoppiare in lacrime, e guardando fuori dal finestrino il paesaggio spagnolo.
Edward in ascensore non mi rivolse la parola, ma mi guardò dispiaciuto, e io riuscii a fargli salire l'ansia alle stelle quando arrivammo in camera.
Chiusi con forza la porta e ci sbattei un pugno contro. «Non è possibile!»
Le lacrime mi pungevano gli occhi, il mio cuore aveva iniziato a correre e il fiato cominciò a mancarmi.
«Bella, cosa succede?»
«Proprio quando stavo riuscendo a dimenticarlo, lui torna a farsi vedere!», sbraitai, passando più volte la mano fra i capelli, che mi stavano dando sui nervi. «E' ovunque!»
Edward mi prese il viso fra le mani e cercò di tranquillizzarmi. «Non ti farà nulla, amore. Ci sono io qui, non ti toccherà più.»
Scacciai le sue mani e presi la valigia da dentro l'armadio. Iniziai a metterci dentro grossolanamente i vestiti, provando poi a far chiudere la zip.
«Cosa stai facendo, adesso?»
«Voglio tornare a casa, a Londra! Lontana da lui!»
Le lacrime cominciarono a scorrermi sulle guance, mentre io provavo a scacciarle. «Bella, non dire stronzate. Calmati, per favore.»
«Non voglio vederlo!»
Mi accolse fra le braccia e mi tuffai sul suo petto, mentre i singhiozzi prendevano possesso del mio corpo. «Ti prego, calmati, amore.»
Le sue mani mi carezzavano la schiena e i capelli, le sue labbra mi sussurravano dolci parole. «Ci sono io con te.»
Il mio cellulare iniziò a squillare da dentro la borsetta. Lo presi e guardai il display: un messaggio da un numero che non avevo mai visto prima.
Chi diavolo era?

Non è stato un ottimo modo per rivederci, Isabella. Ma sono sicuro che presto ci rifaremo.
Christian.

«Perché?!», sbottai, fra le lacrime. «Perché mi fa questo?»
Feci leggere il messaggio a Ed, che mi guardò allibito e furioso in contemporanea. «Cosa non gli farei se me lo trovassi qui davanti...»
Strinse i pugni e la vena in fronte gli si gonfiò. «Dio... Non lascerò che ti tocchi, Bella.»
Mi stritolò tra le sue braccia e io sorrisi contro di lui. «Grazie, Ed.»
Non toccai più terra e mi sollevò, cosicché potessi arrivare all'altezza del suo viso, che delicatamente carezzai.
Aveva quel sorriso intimidito ma soddisfatto allo stesso tempo. Il mio cuore pulsò di gioia davanti a quel volto così felice, e sentii davvero che ciò che provavo per lui stava diventando reale.
Forse lo amavo sul serio... Era diventata una cosa concreta, e forse quel suo atteggiamento per proteggermi mi aveva fatto comprendere che teneva veramente a me.
Posai le labbra sulle sue e lasciai che la nostra bolla si riformasse, tenendo lontano ciò che era successo poco prima e tutti i miei incubi.


Sbattei più volte gli occhi, trafitti dall'ultimo raggio di sole della giornata. C'era silenzio, rotto soltanto dal mio respiro leggero.
Mi ero addormentata, stravolta dalle lacrime... In effetti il cuscino era umidiccio.
Puntellai un gomito sul materasso e mi tirai su, per dare un'occhiata intorno. Edward non c'era, di nuovo. Al mio fianco le lenzuola erano sfatte, segno che si era sdraiato accanto a me, mentre io lentamente mi calmavo. Il resto era tutto al suo posto: l'Iphone sul comodino, le sue scarpe accanto alla porta, la sua camicia piegata per bene accanto a me.
Scesi dal letto e feci un giro veloce, e mi accorsi che era sul balcone, che osservava fuori; le ante erano leggermente socchiuse, così in silenzio le distaccai, osservandolo dallo stipite.
Stava fumando una sigaretta, in canottiera – nonostante il vento freddo che gli arrivava addosso, e ancora con i jeans di qualche ora prima. Teneva una mano fra i capelli, accostato alla ringhiera, che rimirava il paesaggio.
«Ehi». Avvolsi le braccia intorno alla sua pancia, appoggiandomi così sulla sua schiena. Si drizzò e mi strinse a sé.
«Mettiti questa, o ti prendi un malanno». Si infilò la T-shirt che gli avevo porto e aspirò un altro tiro dalla sigaretta.
«Pensavo dormissi ancora.»
«No... Non ti ho più sentito accanto a me e allora sono venuta a cercarti...»
Gettò la sigaretta nel posacenere e posò il viso fra i miei capelli. «Da quando è che fumi, tu?», gli chiesi, curiosa. Era la prima volta in quasi tre mesi che lo faceva davanti a me.
«Ogni tanto, quando sono agitato, mi capita. È un modo per scaricare la tensione.»
«Oh...». I suoi occhi continuavano a fare su e giù sul mio corpo, e quando me ne accorsi mi imbarazzai.
«Che c'è, non posso neanche guardarti?»
Ridacchiai, nervosa. «Ma no. È solo che è strano, ecco tutto. Vieni, andiamo dentro.»
Gli presi le braccia e lo tirai nella camera. La sua mano salì su per il mio viso, che dolcemente sfiorò con la punta delle dita.
«Sai che ora è?». Scossi il capo, anche perché non c'avevo fatto caso. «Le sei... E noi fra un'ora dobbiamo essere al ristorante.»
«Che... ristorante?»
Ora ero confusa. Di che stava parlando? Dove dovevamo andare?
Sospirò. «Bella, te l'ho detto prima che crollassi. Tua cugina ci ha invitati a cenare assieme a tutti gli altri invitati, o meglio: a una parte di essi.»
«Non... me lo ricordavo.»
Ingoiai con difficoltà la saliva. Vuol dire che ci sarebbe stato anche... Lui.
«C'è qualcosa che non va?», domandò Edward, vista la mia reazione.
«No... è tutto okay. Vado a sistemarmi, allora.»
Non dissi altro e mi chiusi nel bagno. Cosa potevo fare? Se mi avessero visto mia madre e mio padre mi avrebbero di sicuro detto di farmi furba e di tirare fuori le palle, di diventare coraggiosa e far vedere a Christian che la mia vita senza di lui andava a gonfie vele.
Eppure... Non ci riuscivo.
Ero terrorizzata dal fatto che, dopo avermi vista con Edward, lui potesse farmi ancora del male. Ero ossessionata dai ricordi, dai miei stessi incubi...
Quando tornai nella stanza, Edward era di nuovo scomparso... Probabilmente era andato nell'altro bagno. Presi una busta che Renée mi aveva dato quella stessa mattina, e la aprii. Dentro c'era un biglietto, piegato in quattro.

Spero che ti piaccia e che ti vada... L'ha scelto papà. Ti vogliamo bene.

Già il fatto che l'aveva scelto Charlie mi fece storcere il naso. Forse era un abito addetto a una monaca di clausura...
Invece dovetti ricredermi. Era un abito nero, con una scollatura molto pronunciata, lungo fino a metà coscia.
E bravo papà...
E c'era anche un altro pacchetto, in fondo alla busta, insieme a un altro biglietto...

Spero ti tornino utili, in qualche modo. La mamma.

Rimasi a bocca aperta: il regalo erano due completi di lingerie, uno nero e l'altro bianco, entrambi molto... Seducenti.
Decisi di indossare quello nero, e il mio corpo prese fuoco quando vidi la mia immagine allo specchio.
Il vestito metteva in risalto ogni mia curva, soprattutto il seno, stretto nel reggiseno nero. Le gambe erano avvolte nei collant color carne, forse un po' troppo leggeri.
Era un'altra Bella, quella nello specchio. Era tanto tempo che non mi trovavo carina, un po' attraente.
Acconciai i capelli in un comodo chignon, lasciando qualche ciuffo sparso; stesi sugli occhi solo un velo di matita nera e di mascara, giusto per dare un tocco finale.
Infilai le scarpe nere lucide e presi la borsa, e mentre controllavo l'ora sul display del Blackberry, notai un sms.

Ti aspetto al piano terra, davanti all'ascensore.
Ed.

Sorrisi e mi controllai ancora una volta. Mi piacevo: ero seducente al punto giusto, non davo l'aria della ragazza... Facile.
Chiusi la stanza e presi l'ascensore, mentre il panico si faceva spazio nel mio corpo. Feci due grandi respiri profondi e mi ricordai mentalmente che ci sarebbe stato Edward insieme a me, e che sarebbe andato tutto bene.
A chi importava Christian? Avevo Edward, che mi avrebbe protetta da lui.
I miei pensieri furono interrotti quando le porte scorrevoli dell'ascensore si spalancarono, mostrandomi quel Ben di Dio che era Ed. Indossava lo smoking beige e la cravatta nera. Si rigirava fra le labbra uno stuzzicadenti ed era intento a guardare distrattamente fuori dalle grandi vetrate della hall.
Mi schiarii la voce, per attirare la sua attenzione, e lui si girò verso di me. Inizialmente fece per dire qualcosa, ma non ci riuscì, così mi prese la mano, sempre tenendo gli occhi fissi sui miei.
«Sei bellissima.», mormorò sulle mie labbra. Sorrisi, le mie guance avvamparono. «Anche tu.»
In auto ci tenemmo la mano, parlottando tranquillamente del più e del meno. L'angoscia era sparita, lasciando che l'amore - sì, quello vero, quello che il mio cuore mi aveva fatto conoscere di nuovo, fosse l'unico protagonista.
Anche quando ci trovammo davanti al ristorante alla moda che aveva prenotato Kate l'ansia non si affacciò. Forse avevo finalmente capito che dovevo stare calma e non preoccuparmi di Christian, ma solo di me e Edward, che non faceva altro che guardare le mie gambe semi scoperte...
Quando entrai nella sala che avevano riservato solo ai quasi neosposini e a noi invitati, corsi incontro a mia cugina, per quanto me lo consentissero le scarpe alte. «Kate, perdonami per oggi pomeriggio, non volevo andarmene così...»
Mi interruppe, abbracciandomi. «Tranquilla, Bella. Non pensavo sarebbe successo qualcosa fra di voi... Ho pregato Christian di lasciarti stare, questa sera. Voglio che tu ti goda tutta la tranquillità possibile.»
Le sorrisi e le sussurrai un timido “grazie”. Io e Edward ci sedemmo vicini, io accanto a mia madre, che continuava a guardarmi, insospettita. Ovviamente, non le avevo raccontato nulla su ciò che era successo nel pomeriggio.
La cena andò ancora meglio di quel che speravo. Riuscii a ridere di gusto alle battute degli amici di Kate, e a quelle di mio padre, che però furono meno riuscite.
I miei occhi girarono l'intero tavolo per vedere se lui ci fosse. Ed era così. Era dalla parte opposta, esattamente al fondo, che mi fissava.
Dio... Sembra un maniaco.
Distolsi lo sguardo, tornando ad ascoltare un certo... Mike, o qualcosa del genere, che raccontava aneddoti divertenti sui primi tempi da coppietta felice di Kate e Garrett.
«Come quella sera che li trovammo a pomiciare nell'auto! E Kate che confabulava frasi sconnesse... Che bei ricordi!»
Mia cugina lo fulminò. «Grazie, Mike. Non è colpa mia se ci inseguivate per coglierci sul fatto di atti poco casti! Eravate tu e Ben i depravati.»
L'uomo abbassò il capo e noi tutti ridemmo. Ero riuscita a scollegare la spina e a rimanere sui miei passi. Tutto ciò che mi faceva rimanere attaccata alla realtà era la mano di Edward sul mio ginocchio che mi carezzava fino a metà coscia, dove iniziava il bordo del vestito.
In più, quei due bicchieri di vino cominciavano a darmi alla testa. E forse non avrei dovuto berli a stomaco vuoto, dato che lo sguardo persistente su di me di Christian mi procurava ansia, con conseguente digiuno.
La mano di Edward si spostò verso l'alto, sollevando con la punta delle dita il vestito, facendomi venire la pelle d'oca.
Dio, ancora non mi ero abituata al suo effetto su di me.
Mi diede un pizzicotto e a stento riuscii a trattenere un gemito: proprio ora doveva risvegliarsi il suo istinto mascolino? Non poteva aspettare ancora due ore, o poco più?
Scostai la sua mano forse un po' troppo bruscamente e lui mi guardò con il broncio... Gli sarei anche saltata addosso, in quel momento... se non ci fossero state tutte quelle persone attorno.
Non fece più nulla per attirare la mia attenzione e mi accorsi che Kate stava blaterando su qualcosa di noi da piccole, sul fatto di quanto fosse dispettosa nei miei confronti tanto da farmi sempre scoppiare in lacrime.
Continuammo a ridere e a scherzare per un bel po' ancora, fino a che le persone cominciarono ad andarsene, Christian compreso.
Meno male.
Fummo gli ultimi, assieme a Kate e Garrett, a uscire dal locale, mentre le risate ancora erano la colonna portante della conversazione.
Presto mi ritrovai seduta sul sedile, con un sorrise ebete sulle labbra, a stringere la mano di Edward sul cambio dell'automobile. Anche lui sembrava felice, molto più rilassato di quel pomeriggio.
«Stanca?», domandò, in ascensore. Scossi il capo, e lui si avvicinò di più a me.
Respira, Bella. Respira.
Posò le labbra sulle mie, spingendomi dolcemente contro la parete di legno. Dio mio...
Il suo cellulare iniziò a squillare e lo sentì imprecare. Si staccò da me e rispose.
«Pronto?»
Quando la voce dall'altra parte rispose, il suo viso assunse un'espressione corrucciata. «Tanya, ti pare l'ora di chiamare? Sono le ventitré e... No, non mi importa!»
Intanto aveva sbloccato la porta della camera e si era messo a camminare avanti e indietro, indispettito e furioso. «Oh, Tanya, vai al diavolo! No, non sono a casa. Non penso siano fatti tuoi di dove io sia, va bene?»
Mi sedetti sul letto, guardandolo continuare a imprecare contro la donna che per tanto tempo aveva amato e che ora stava odiando.
«Sì, sì, va bene. Ci vediamo poi, okay? Buonanotte, ciao.»
Attaccò e buttò il telefonino sul divanetto, massaggiandosi poi le tempie. Era visibilmente furente. «Mi fa uscire di testa, quella donna! Dio mio!»
Sospirai e mi slacciai le scarpe, ma lui mi attirò a sé, obbligandomi a guardarlo in quei suoi occhi così belli, e il loro verde sembrò ardere di desiderio tanto quanto il suo corpo stava cercando di dimostrarmelo.
«Devi... stare tranquillo.», ansimai, mentre le sue labbra erano scese sul mio collo e le sue mani erano sui miei fianchi.
«Tu mi calmi». Sentii la sua presa sotto le mie natiche e mi sollevò, prendendomi in braccio. Legai le sue gambe intorno alla sua vita e unii le nostre labbra. Le nostre lingue si inseguivano, curiose di quel contatto.
Percepii le lenzuola sotto la mia schiena ma non più il suo petto contro il mio. Edward, infatti, era in piedi davanti a me, che mi fissava con un sorrisino stralunato. Mi tirai a sedere e lo presi per il colletto della camicia, attirandolo così verso di me.
«Edward...»
Si posizionò in mezzo alle mie gambe e mi sfilò il vestito, mormorandomi all'orecchio di alzare le braccia.
Mi ritrovai in biancheria intima, sotto di lui, con il suo sguardo su di me. Mi travolsero centinaia di emozioni, contrastanti fra loro, e il fiato divenne sempre più corto, probabilmente per l'ansia.
Gli tolsi la giacca e poi la camicia, cosicché rimanesse a petto nudo. Intanto la sua bocca era tornata sul mio collo, baciandomi senza sosta dalla giugulare alla clavicola.
Mi aggrappai al lenzuolo quando dolcemente fece scivolare i collant giù dalle mie gambe. Ero scoperta, mi ero completamente concessa davanti a lui. Con un coraggio che di sicuro non mi apparteneva, gli slacciai i jeans e lui si alzò per levarseli. Pochi secondi dopo, era di nuovo su di me, le sue mani sulla mia pelle accaldata.
Boccheggiai e le sue labbra tornarono sulle mie, bramose di ogni contatto.
Fece per slacciarmi il reggiseno ma il cellulare squillò impazzito, vibrando sul comodino.
«Non... non rispondere.», gemetti, la sua bocca ancora sul mio collo. Inarcai la schiena quanto bastava per permettere alla sua mano di accarezzarmi la schiena, di arrivare al gancio.
Quando lo raggiunse e lo fece saltare, sentii soltanto il “click” e la sua bocca sul mio petto.
«Non ce la faccio... Devo rispondere.»
Si staccò da me, afferrando il cellulare e alzando la cornetta. «Pronto?»
Riallacciai la chiusura e mi misi seduta, scrutandolo. Mi accorsi della situazione, del fatto che ero quasi completamente nuda davanti a lui.
Era quello che volevo? Era quello?
Concedermi ad un uomo... ripetendo i miei stessi errori, come una povera ingenua?
«Che ci fai sveglia, Meredith?»
Distolsi lo sguardo da lui, gli occhi irti di lacrime. Ero così... stupida? Così fragile?
«Sì, ho capito che volevo darmi la buonanotte, scricciolo, ma ora è un po' tardi, no?». Sul suo volto si aprì un sorriso, come accadeva ogni volta che parlava con la sua bambina. «Va bene. Dai, ora vai a letto. Ti voglio bene anche io. Ciao, amore.»
Riposò l'apparecchio sul mobile e mi fissò. «Era Mary. Strano che mia madre non l'abbia spedita a dormire...»
Si accorse che cercavo di non guardarlo ma schivavo i suoi occhi, così mi carezzò appena la guancia.
«Ehi, che succede adesso?»
Una lacrima mi rigò la guancia, seguita da un'altra e un'altra ancora. Scossi il capo, cercando di fingere. «Niente, scusami.»
«Bella...»
Non resistetti più e mi buttai sul suo petto, piangendo dirottamente come una bambina. Ero debole, senza coraggio, senza voglia di combattere davvero i propri mostri.
«Tranquilla...». Prese a massaggiarmi la schiena, le sue braccia attorno a me, che mi stringevano forti.
«Scu...Scusa.», singhiozzai, cercando di coprirmi il volto, ma lui fu più veloce e mi alzò il mento.
«Bella, è stata colpa mia. Non voglio costringerti, okay?». Sembrava tranquillo, anche se mi faceva sentire tremendamente in colpa. «Capirò perfettamente se mi dirai che non sei pronta. Posso aspettare, ho tutta una vita davanti, per te. Voglio che fra noi non ci siano obblighi, va bene?»
Non risposi e lui mi scrollò leggermente. «Mi rispondi, per cortesia?»
«E' solo che tu... Insomma, pensavo che tu volessi, e quindi accontentarti mi pareva la via migliore da seguire.»
Mi squadrò, corrugando la fronte. «Vorresti dire che lo stavi facendo solo per me?»
Annuii e lui scosse il capo. «Non devi assolutamente fare cose del genere. Bella, odio dover parlare come un padre alla sua bambina capricciosa, ma voglio che tu questo lo capisca. Non voglio che tu ti lasci andare solo per un mio beneficio. O lo è per entrambi, o per nessuno.»
Perchè ci riusciva? Perchè era così bravo e mi veniva sempre incontro?
«Ti prego, di' qualcosa.», mormorò, non vedendo una mia chiara risposta. «Va bene, ho capito.»
Mi fece sedere sulle sue ginocchia e mi strinse a sé, inspirando a fondo l'odore emanato dai miei capelli. «Cerco solo di non complicare la situazione, ma di agevolartela.»
Feci un sorriso timido e mi accorsi che mi stava sporgendo la maglia del pigiama. «Grazie», sussurrai, posando la testa sulla sua spalla.
Ci rivestimmo e, rimanendo abbracciati, ci sdraiammo sotto le coperte, a guardare oziosamente la TV.
Le mie dita disegnavano piccoli cerchi concentrici sulla sua maglia, ripensando agli attimi prima. Avevo davvero perso il cervello tanto da lasciare che lui si occupasse di me?
Forse in parte era quello che davvero volevo... Forse, se avessi continuato a stare con la testa in un altro mondo, in quell'istante mi sarei ritrovata felice, con lo stomaco in subbuglio e...
C'erano fin troppi “forse” e “se” nei miei pensieri. In un certo senso avevo fatto bene a mettere in luce quello che avevo pensato, così avevo rimandato tutto a un momento in cui ci sarei stata con la testa e non avrei avuto alcool nelle vene.
Le sue labbra si posarono dolcemente sui miei capelli e poi sulla mia fronte, e io chiusi gli occhi, beandomi delle coccole e dell'attimo che stavo vivendo.


EDWARD.

Cosa può costringere una persona a odiare se stessa e i propri sentimenti?
In quel momento mi sembrava proprio impossibile trovare una risposta a quella domanda, perché sentivo che era assurdo, almeno per me, arrivare a un tale punto era impossibile.
Chi ci riusciva? Chi poteva farlo?
La mano di Bella aumentò la presa sul mio fianco, mormorando qualcosa. Si era svegliata molte volte, nel sonno, quella notte. E aveva anche sussurrato spesso il mio nome...
Come si poteva fare del male a un angelo come lei? Era... inconcepibile.
Sussurrai e scivolai sul fianco, cosicché potessi stringere al meglio il suo corpo addormentato.
Mi sentivo un ragazzino alle prese con il primo amore. Forse perché lo sentivo dentro, come un fuoco che mi accendeva l'anima.
Bella era riuscita a farmi sentire di nuovo vivo, pronto a nuove esperienze ma anche solo ad affrontare ogni giorno della mia vita.
Ero di nuovo me, di nuovo il vecchio e romantico Edward, quello capace di andare avanti per il proprio cammino senza guardarsi indietro.
Mi era bastato capirlo la sera prima, quando Tanya mi aveva chiamato furiosa, per sapere dove mi fossi cacciato.
A lei, però, cosa importava? Era fuori dalla mia vita, fuori dai miei affari, fuori da tutto. Non mi importava più, ora avevo altro a cui pensare: Mary, Viola... E Bella.
Sì, lei era stato uno dei più bei doni che la vita mi avesse offerto in un periodo più nero che nero non poteva essere. Era stata come una luce che aveva schiarito il cielo e fatto tornare il sole, facendo così sparire la notte che si era annidata nel mio cuore.
Era un mix di emozioni... Neanche io sapevo descrivere come mi sentissi. Felice? Su di giri?
Sorrisi di me stesso e aprii gli occhi. Fuori c'era un timido sole e i raggi illuminavano la stanza.
Bella si distaccò da me e alzò le braccia, facendo scricchiolare le ossa. La osservai, sfiorandole la guancia accaldata. «Buongiorno.»
Mi rivolse un sorriso appena accennato e si stropicciò gli occhi. «Che ora è?»
«Quasi mezzogiorno.»
Si alzò bruscamente, guardandomi corrucciata. «Cosa? Stai scherzando.»
Indicai la radiosveglia. «A meno che questo orologio sia indietro, io leggo che sono le 11:45.»
Fece per scansare le coperte ma la trattenni per un braccio. «Devi per forza fare le cose di fretta?»
Sbuffò e si sdraiò supina, con il capo sul mio addome. «Se arriviamo tardi da mia madre, è solo colpa tua.»
«A che ora è il matrimonio?»
«Alle quattro, perché?»
Ridacchiai e lasciai che avvicinasse il volto al mio. «Abbiamo il tempo di andare al ristorante a fare pranzo.»
Sorrise ancora e si alzò per cercare un paio di jeans nella valigia, proprio di fianco al letto.
Era un bello spettacolo, proprio niente male...
«Mi stai guardando il sedere, per caso?». Non mi accorsi che si era voltata e che teneva le mani sui fianchi, guardandomi con il sopracciglio alzato. Cercava di rimanere seria, ma riuscivo a scorgere la sua voglia di ridere.
«Cosa?», domandai, facendo il finto tonto.
«Ti ho visto! Mi stavi fissando il culo!». Si mise a  sghignazzare, tenendosi al mobiletto. «Cosa ha di interessante, poi?»
Intanto mi ero avvicinato a lei e l'avevo afferrata per i fianchi. «Sapessi...»
Mi fermò quasi subito, appena poco dopo che le mie labbra s'erano posate sul suo collo. «Potrai farmi tutte le coccole che vorrai più tardi.»
Si infilò i jeans e lasciai che entrasse nel bagno. Riuscivo a leggerle negli occhi quanto quella situazione la mettesse a disagio, e io non potevo fare granché, perché doveva essere lei a sbloccarsi e a dirmi “sono pronta”.
Mi vestii velocemente, con due cose prese a caso nella valigia. Sembravo uno scappato di casa e quando vidi Bella mi sentii ancora meno a livello.
Indossava dei jeans a sigaretta neri e una camicia a scacchi rossi, e... era perfetta. I capelli scompigliati, sparsi sulle spalle, i piccoli piedi nudi a contatto con il pavimento, le mani intrecciate fra loro, le dita fra i capelli...
Era così semplice quanto bellissima e non riuscivo a trovare le parole davanti a tanta bellezza. Probabilmente parevo un rimbambito perché non riuscivo a chiudere la bocca e se avesse potuto la mascella mi sarebbe caduta e rotolata fragorosamente sul pavimento.
«Perchè mi guardi in quel modo?»
Scossi il capo, tornando alla realtà. «No, niente, mi sono incantato. Scusami.»
Trattenne una risata e recuperò dalla mia borsa lo smoking vero e la cravatta blu.
«A che ti serve, scusa?»
«Ci dobbiamo fermare da mia madre. Ha lei il mio vestito, e poi ci sono le altre cugine che mi devono truccare... Le solite cose da matrimonio.»
Scosse le spalle, come a minimizzare la cosa, e calzò le Converse, porgendomi poi le chiavi dell'auto.
«Andiamo, su.»
Il pranzo scorse veloce, sotto le nostre risate e occhiate fuggenti. Sembravamo due ragazzini che si vergognavano l'uno dell'altra.
Era stupendo poter stare con una persona che davvero ti capiva in ogni tua singola azione. Era da tanto tempo che non succedeva. Con Tanya le cose erano cominciate ad andare male qualche mese prima della nascita di Viola, ma avevamo deciso di rimanere assieme perché secondo lei dopo il parto sarebbe tutto di nuovo cambiato.
Peccato che le sue previsioni non s'erano avverate, ma tutto era andato per il verso opposto...
Non mi pentivo della mia scelta di rifiutarla, anche perché se non l'avessi fatto non avrei mai avuto Bella e la pace che mi aveva portato.
Ed era stato uno dei cambiamenti più radicali della mia vita, dopo la laurea e le bambine. Bella riusciva a farmi risollevare il morale anche dopo una sfuriata, quasi come se avesse un potere magico.
La sua tranquillità era divenuta anche la mia, grazie a tutti i bei momenti trascorsi insieme.
Forse avevo finalmente trovato la tregua di cui il mio cuore aveva sperato per tanto tempo.


«Renée è molto... tradizionalista riguardo a queste cose.»
Charlie mi sporse una birra, sedendosi poi di nuovo accanto a me. L'agitazione era palpabile, i suoi movimenti erano meccanici, quasi avesse paura di sbagliare qualcosa. E in parte lo capivo: la sua bambina era al piano di sopra a farsi bella... per me. Per l'uomo che la stava portando via dal suo papà.
Come mi sarei sentito se l'avessero fatto con me nei confronti di Meredith? Okay, Mary aveva solo sette anni, però era la mia principessa, lo scricciolo che, quando l'avevo presa fra le braccia per la prima volta, mi aveva fatto di nuovo innamorare, rubandomi il cuore.
Era il mio gioiello, quello che nessuno poteva toccare. Se avessi potuto, l'avrei tenuta sotto una campana di vetro, protetta da tutti i cattivi che c'erano in circolazione.
Ma io ero fin troppo iperprotettivo nei confronti delle mie figlie.
«Anche mia madre tiene molto a questi... rituali. Non voglio immaginare quando si sposerà mia sorella.»
L'uomo si pulì i baffi, per poi scrutarmi. «Hai una sorella?»
«Sì», mormorai, fissando il vetro scuro. «Ha tre anni in meno di me, ma i miei genitori la ritengono “la loro principessa”, nonostante abbia quasi ventisette anni. E per me è un po' come se fossimo ancora adolescenti, quando la proteggevo dai suoi contendenti... Ma so che un giorno dovrò lasciarla andare, come i miei hanno fatto con me.»
Sospirò, dandomi una pacca bonaria sulla spalla. «Io ho lasciato andare la mia Bella troppo presto, e me ne sono pentito. Quando ho saputo quello che quel mostro le ha fatto... Dio, sono un poliziotto e ho un arma, ma sarei stato contento di finire in galera se l'avessi ucciso. Me l'ha rovinata, me l'ha resa indifesa. Me la sono ripresa ma so che non sarà mai più la mia piccola Bella sfacciata, quella un po' timida ma comunque temeraria però sempre impacciata. Non tornerà mai più ad essere quella bambina della mia memoria. Ed è colpa mia, perché non l'ho protetta a dovere.»
Quell'uomo, dall'aspetto così duro e autoritario, sembrò sciogliersi come burro sotto i ricordi più belli che aveva di Bella. Non mi pareva possibile che...
Nella mia mente scossi il capo. Era suo padre, colui che le aveva donato la vita, che l'aveva seguita nel corso degli anni e che l'aveva sorretta in quei tristi momenti.
E lo stesso ero io.
«Piangermi addosso non servirebbe a nulla, e a nessuno. Tanto meno a Bells. Devo essere forte per lei, per me, per sua madre. Perchè così lei potrà costruirsi un futuro migliore, imparando dai propri errori, magari per costruirsi un muro di cinta per ripararsi da attimi del genere.»
Non seppi che rispondere, perché ogni parola era inutile davanti a tutto lo strazio che si portava appresso Charlie. E perché si stava rivelando proprio a me, che non ero altro che un ragazzo semisconosciuto?
«Ma sai una cosa, Edward?». Mi fissò negli occhi, e intravidi un bagliore di felicità. «Quando parla di te, o ti guarda, vedo che è felice, come avrebbe dovuto esserlo sempre, senza vivere quelle pessime esperienze. E con te sento che sta vivendo di nuovo, che il suo cuore ha avuto pace.»
Abbassai lo sguardo e sentimmo dei passi sul pianerottolo. Ci alzammo in contemporanea, lisciandoci lo smoking. Ero pronto?
«Mamma, non mi sto per sposare!». Percepii il tono irritato ma divertito di Bella, che probabilmente cercava di tranquillizzare Renée.
Mi avvicinai alla scala, rimanendo accanto alla ringhiera. Un angelo vestito di blu iniziò a scendere leggiadro ogni scalino. Mi sorrise, imbarazzata, tenendo un lembo del vestito cosicché non lo pestasse.
Prese la mia mano, che avevo allungato poco prima che il suo piede toccasse l'ultimo gradino. Il vestito di chiffon blu le avvolgeva il busto, il seno costretto nel bustino a cuore. Sotto, una cintura in brillantini brillava alla fioca luce del lampadario.
I capelli erano racchiusi in un'intricata acconciatura, con perline e piume dello stesso colore dell'abito.
Era splendida, semplicemente perfetta.
«Sei bellissima.», mormorai, mentre lei si adagiava al mio petto. Sua madre stava singhiozzando dietro di noi e una ragazza le porse un fazzolettino.
«Mamma!» Bella si voltò, alzando le braccia. «Quando mi sposerò, cosa farai? Dai!»
Renée sorrise tra le lacrime. «E' che sei bellissima! Oh, la mia bambina!»
«Guarda che ti cola il trucco.», la riprese pacificamente la ragazza, indicando il suo viso. Charlie si schiarì la voce.
«Vogliamo andare, o preferite arrivare in ritardo?»

La chiesa era addobbata con centinaia di fiori, posti su ogni panchina e sull'altare. Le chiacchiere si propagavano, rimbombando leggermente, mentre altre persone accorrevano per trovarsi un posto a sedere.
Noi eravamo nella terza fila da parte della sposa, dietro a una schiera di invitati. La zia di Bella, Carmen, ringraziava chi si avvicinava, stringendo calorosamente le mani.
«Come ti senti?»
Bella posò la guancia sul mio petto, fra le mie braccia. «Sono... un po' agitata. Ho paura che lui sia qui.»
«Non pensarci. Io sono qui, sempre. Ricordatelo. Goditi l'atmosfera e lasciati trascinare dalle emozioni.»
Si strinse nelle spalle, sorridendomi. «Ci proverò.»
La marcia nuziale fece scorrere le proprie note e tutti ci girammo verso la porta, dove Kate era a braccetto con suo padre, Eleazar.
«E' bellissima.», mormorò Bella, quando sua cugina passò accanto a noi. Era incantata dall'abito bianco, dal velo...
«Tu lo sei di più.», sussurrai al suo orecchio. Lei sorrise timidamente e appoggiò la mano sul mio ginocchio.
In men che non si dica, la cerimonia passò, fra le lacrime dei parenti, compresa Renée, e i vari sospiri di ammirazione. Ci fu un caloroso applauso quando il prete annunciò l'unione fra i due amanti, che si baciarono dolcemente. A quell'immagine Bella si posò contro la mia spalla,  e le mie mani le carezzarono le guance.
Come mi aveva annunciato Isabella, il ricevimento non sarebbe stato da meno. Anche lì tutto era arricchito da fiori e ghirlande, con un enorme festone con su scritto “Kate e Garrett – 29.01.12”
Fuori era già tutto buio, e riuscivo a sentire in lontananza lo scrosciare delle onde, che si infrangevano sulla spiaggia.
«E ora, è tempo di aprire le danze!»
La musica si propagò per tutto il locale, e le coppie iniziarono a ballare lentamente, seguendo le note della melodia.
Porsi la mano a Bella, che mi squadrò, alzando il sopracciglio. «Dici sul serio?»
Scrollai le spalle, ridendo. «Perchè no?»
Si adagiò sul mio petto, legando le braccia dietro al mio collo. Piroettammo fino a che non raggiungemmo la balconata che dava sul mare, dove la luna illuminava tutto fiocamente.
Attirai le sue labbra alle mie, in un dolce ma veloce bacio. «Che ci facciamo qui?»
Mi appoggiai alla ringhiera, senza distogliere lo sguardo. La luce lattea le donava un'aria angelica, rendendo la sua pelle ancora più chiara di quel che già era.
«Voglio dirti una cosa.»
Si avvicinò a me, prendendomi le mani. «Dimmi tutto.»
Sospirai, e mi girai verso la luna. «Ricordi, Bella, quando due notti fa mi hai detto che mi amavi?»
Riuscii a scorgere un velo di rossore sulle sue gote, ma non sembrò farci caso. «Sì...»
«Bella, penso che da quella sera qualcosa in me, in noi, sia cambiato. Il mio cuore si è affievolito, è stato percosso da un battito mai sentito prima. Non so cosa stia succedendo, se è la tua presenza, se è l'atmosfera o l'aria diversa che respiro, ma qualcosa sta mutando. Voglio che tu sappia che io non ripeterò mai, per nessuna ragione, ciò che Christian t'ha fatto. Non mi azzarderei mai.»
Abbassò il capo ma prontamente lo risollevai. «Aver paura di amare è come aver paura di vivere ogni singolo giorno della propria vita. Io non voglio che tu abbia timore di amarmi, Bella, perché qui», presi la sua mano e me l'adagiai sul cuore. «sento di provare davvero qualcosa per te. Non so se è amore, o se è qualcosa di differente, ma so che è positivo. Per questo voglio che tu sappia che desidero provarci. Desidero scoprire cose nuove, con te. Mi lascerai provare, per favore? Hai tu la chiave del mio cuore.»
I suoi occhi divennero lucidi e sbatté più volte le palpebre per ricacciarle indietro. «Sì... Sì, ti lascerò, Edward. Sento di amarti come non ho mai fatto con nessun'altra persona al mondo.»
Le sue labbra si posarono sulle mie e il mio cuore balzò nel petto, quasi come se volesse volare via.
«Grazie, sul serio.», mormorai, e rimanemmo così, stretti l'uno all'altra, a fissare la notte che sembrava volerci il suo lato più maestoso, illuminandoci il cuore e l'anima.



____________________
CAPITOLO SEMIBETATO (?).
Non darò più promesse che non posso mantenere... lo giuro.
avevo detto che avrei aggiornato entro domenica, ma purtroppo ho avuto degli impegni che mi hanno costretta a rimandare questo aggiornamento... però direi che in un certo senso ho fatto bene, perché ho sentito tutte le emozioni scrivendo.
Sono un po' di fretta, quindi vi ringrazio molto velocemente perchè siamo riusciti ad arrivare a 115 recensioni e non sapete che gioia indescrivibile!
Spero di poter aggiornare molto presto perchè come ben saprete presto inizieranno le scuole... Io il 12... Che fifa!
Profilo Facebook Gruppo FB per spoiler ecc qui i miei contatti per tenervi sempre in contatto con me! ;)
Ci si vede presto, e aspetto numerose le vostre recensioni! :)
Kiss, Giù.




Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Come Home ***


Ascolta il tuo cuore

Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 10: Come home.


Ascoltatela "on repeat", please.


EDWARD.

«Dorme ancora?»
Socchiusi la porta e sospirai. «Sì, per fortuna.»
Fissai Bella. Teneva lo sguardo basso, gli occhi tristi, le mani che si inseguivano. Era molto tesa e cercava in tutti i modi di sconfiggere l'ansia.
«Ehi.»
Prese la borse e si avviò verso il salotto, ma la bloccai, afferrandola per il braccio. «Ne abbiamo già parlato, Edward.»
«No. Non devi fare così, chiaro? Bella, tu devi andare a Oxford, okay?»
«Non farmi la predica, non adesso, per favore.», scrollò il braccio e si sedette sul divano, la testa fra le mani.
«Se è la sindrome premestruale, okay. Ma se sei già acida da adesso, voglio capire il perchè.»
Scosse il capo, con un sorriso sulle labbra. «Ho paura che sia una scelta presa troppo alla leggera, Ed. E' davvero questo che voglio? Stare lontana da te, dalle bambine, dai miei amici?»
Sgranai gli occhi. «Bella...»
«No, niente Bella. Non voglio assolutamente separarmi da voi, mi si spezzerebbe il cuore. Non... non so cosa darei perchè Oxford fosse più vicina.»
Mi sedetti vicino a lei, prendendole il viso fra le mani. «E' solo per due giorni, lo sai, vero?»
«Appunto. Per me è troppo.»
«Amore, e quando diventeranno settimane, che farai?»
Sospirò e mi guardò negli occhi. «Non... Non voglio allontanarmi da te. Non voglio.»
Appoggiò la fronte contro la mia e le mie braccia, istintivamente, le circondarono i fianchi. «Rimani con me, Edward.»
«Sh... Sono qui, sono qui.»
Alzò lo sguardo e posò le sue labbra sulla mie, allungando la mano sulla mia nuca. «Non so cosa darei per rimanere qui con te tutto i giorno...»
Sorrisi. «Peccato che tu debba prendere fra mezz'ora o poco più un treno che ti porterà ad Oxford.»
«Grazie per avermelo ricordato.» Si tirò su in piedi e prese la sua valigia, con un sorriso mesto sulla bocca.
Arrivammo alla stazione in perfetto orario. Bella saltellava sul posto, i capelli tutti arruffati. «Ti puoi calmare?», le chiesi, vista la sua iperattività.
Mi lanciò un'occhiata fulminea, tirandomi un pugno sul petto. «Sta' zitto. Sono agitata.»
«Me n'ero accorto.»
Si accoccolò sul mio petto, e le baciai i capelli, aspirando quel profumo così buono, che sapeva di fiori e cannella.
«Posso rimanere qui? Ti prego.», cantilenò lagnosa, nascondendo il volto nella mia giacca.
Mi venne a ridere e la strinsi di più. Era così fragile e timorosa... L'avrei anche seguita fino all'università, ma ovviamente avevo le bambine a cui badare.
«Farò finta di non aver sentito.»
Sbuffò e i nostri visi furono a pochi centimetri l'uno dall'altro. «Ti prego...»
I nostri nasi si sfiorarono, e il suo fiato fu sulla mia bocca. «Bella, cosa vuoi che siano 48 ore? Passeranno così veloci che manco te lo immagini.»
«Mi dispiace solo che quando Mary si sveglierà io non ci sarò...»
Le carezzai i capelli, la guancia. «Le spiegherò tutto io, stai tranquilla.»
Chiamarono il numero del suo treno e i suoi occhi divennero tristi. «Devo andare.»
«Già...», sospirai, e la sua mano, così piccola, fu sulla mia guancia. «Su, l'hai detto tu che questi due giorni voleranno.»
«Sì, ma mi mancherai tantissimo.»
Dio, ero diventato così sdolcinato da far venire il diabete. Non riuscivo a staccarmi da lei per un secondo, figuriamoci per due giorni interi. Era come se fosse stata l'aria nei miei polmoni, l'acqua dissetante nella mia bocca, i pensieri nella mia mente. Non era possibile descrivere cosa fosse lei, per me.
«Ehi, lo sai che due giorni sono composti da quarantotto ore, che sono in tutto 2880 minuti, che sono la trasformazione di 172800 secondi?»
Quasi mi uscirono gli occhi dalle orbite. «Cosa stai dicendo?»
«E in tutti questi numeri, che sono follemente troppi, ti penserò e immaginerò di averti al mio fianco.»
D'impulso avvicinai le sue labbra alle mie, in un caloroso bacio. No, non doveva essere un addio... anzi, proprio non lo era. L'avrei rivista appena due giorni dopo, e sarei andato io stessa a prenderla lì, alla stazione, dove in quel momento eravamo uniti in un piccolo ma dolce contatto.
Di nuovo la voce metallica dagli altoparlanti, ancora un altro battito perso.
«Devo andare sul serio, adesso.»
«Chiamami, quando arrivi.» Mi diede un ultimo bacio e abbraccio, prima di prendere la sua valigia e allontanarsi salutando.
Quando risalii in macchina, tutto il vuoto che sembrava essere sparito era tornato a tormentarmi. Impugnai saldamente il volante e accesi l'automobile, dirigendomi verso casa.
Ero diventato così dipendente da Bella. Quasi come una droga. Se qualcuno tre mesi prima mi avesse chiesto se il mio cuore avrebbe potuto amare ancora, la mia risposta sarebbe stata no, perché dopo Tanya non ci avrei creduto più.
E invece ora il mio cuore stava battendo per un'emozione nuova, che solo Bella avrebbe potuto farmi scoprire.
Infilai la chiave nella toppa della porta di casa e mi sorpresi del silenzio che c'era. Mia madre era nella mia camera da letto, sulla sedia a dondolo, a dare il biberon a Viola, che la guardava tranquillamente nella semioscurità.
«Tranquilla, mamma, puoi andare.»
Mi porse la neonata che si annidò sul mio petto, guardandomi con quei suoi occhioni blu. «Mary dorme ancora.»
Se ne andò con tutta la pace che si era portata dietro, e di nuovo un senso di angoscia mi logorò dentro.
Era uno strano sentimento, un qualcosa che mi mancava nel corpo.
Ero davvero Bella dipendente. Anche in quel momento, senza di lei vicino a me, trovavo difficile svolgere qualunque azione, anche le più semplici.
Viola aveva il nasino appoggiato alla mia spalla, il suo respiro era diventato lieve e gli occhietti vibravano appena. Era una vista angelica, pareva una bambolina di porcellana.
Quasi facevo fatica a credere che avesse già cinque mesi, che erano passati così veloci da parere un soffio.
Le carezzai il naso, le guanciotte, i capelli. Era un gioiello prezioso.
«Papà?»
Alzai lo sguardo e Meredith era davanti a me, con il faccino storto in una smorfia triste. «Che succede, cucciola?»
«Dov'è Bella?»
Ahia. Sapevo che l'avrebbe chiesto. «È dovuta andare a scuola, amore.»
«E perchè non mi ha salutata?»
Intanto avevo messo Viola nel passeggino e fatto sedere sulle mie ginocchia Mary, che sembrava piuttosto corrucciata. «Non voleva svegliarti. Perché ora non facciamo colazione?»
Scosse il capo, contrariata. «No, io voglio Bella!»
Capii che era sull'orlo di una crisi di pianto, perchè i suoi occhi erano diventati lucidi e il labbro inferiore aveva iniziato a tremolare visibilmente.
«Amore, sii ragionevole. Ora non può venire, ma domani sera sarà di nuovo con noi.»
Una lacrima le cadde sulla guancia, seguita presto da altre che scorsero velocemente sulla sua pelle. «No! La voglio qui! Uffa! Dov'è? Dov'è? Voglio Bella!»
Sbatté i pugni sul mio petto, e fui solo capace di circondare le mie braccia intorno al suo corpicino. I singhiozzi la percossero e sentii diventare umida la camicia. Mi sentivo un debole quando lei piangeva per qualcosa, anche solo per un capriccio, perchè secondo me non potevo renderla felice in tutti i modi.
Che poi, cosa avrebbe potuto renderla più contenta di così? Aveva me, Bella, i miei genitori che l'amavamo.
L'amore era la cosa più grande che potessi darle, a differenza di sua madre che si ricordava di lei solo quando le pareva comodo.
«Adesso ascoltami, va bene? Se Bella fosse qui, cosa direbbe? Non le piacerebbe affatto vederti piangere, e anche se lei non è qui sappiamo bene che un uccellino le riferirà che hai fatto così.»
Gli occhi azzurri della bambina improvvisamente si illuminarono e comprese il ragionamento. «Davvero?»
Annuii, appuntandole una ciocca di capelli dietro all'orecchio. «Oh, già.»
«La possiamo chiamare, per favore?»
«Se prende il cellulare, sì.»
Estrassi dalla tasca l'Iphone e composi il numero di Bella, che ormai sapevo a memoria. Ogni giorno la chiamavo o le mandavo dei messaggi, ed era stato semplice imparare il suo recapito.
Isabella era diventata importante per me quanto per Meredith, e questo riuscivo a capirlo da solo da quando gli occhi della mia bambina si illuminavano mentre la donna le parlava, oppure anche solo quando le carezzava la guancia o i capelli.
Aveva di nuovo iniziato a vivere, esattamente come me. Ciò che sconvolgeva me, cambiava anche Mary. «Mi manchi, Bella. Quando torni mi fai tante coccole?»
Sorrisi spontaneamente. «Papà ha detto che sei andata a scuola, è vero? Però uffa... Okay, va bene. Vuoi parlare con papà? A domani.»
Mi sporse il telefonino, sospirando. «Cosa ti ha detto?»
«Torna domani sera. Però le manchiamo anche noi, ed è ancora sul treno.»
Le carezzai il viso e le palpebre, e lei si posò sul mio petto. La avvolsi di più nel plaid che aveva sulle spalle, mentre la sedia a dondolo iniziava ad oscillare. «A te manca Bella, papy?»
Sgranai gli occhi, colto alla sprovvista. Cosa potevo risponderle? Aveva quasi sette anni, ma di certo aveva capito che qualcosa stava cambiando in me.
«Tu la ami, vero, papà?», mormorò, osservandomi con quei suoi occhioni azzurri.
Bingo.
A volte era più intelligente lei, di me, di suo padre. Era una cosa un po' preoccupante, ecco.
«Ecco...»
Sorrise e iniziò a ridacchiare, coprendosi la bocca con le manine. «Sei diventato tutto rosso!»
E in effetti aveva ragione: le mie guance bruciavano e iniziavo a sudare freddo. «Ma che stai dicendo?»
Presi a farle il solletico freneticamente, e le sue risate si propagarono per tutta la camera. Era un ottimo metodo, solitamente, per farle cambiare discorso.
Ma quella volta, evidentemente, non funzionò...
«Dai, papà, lo so. Tu ami Bella, vero?»
Sospirai. «Sì. Sì, piccola.»
«Lo sapevo!» Batté le mani e fece un gridolino di gioia, per poi saltellare sulle mie ginocchia. «La ami! Come amavi la mamma! Anzi, no, di più! Molto di più!»
Posai un dito sulle sue labbra, per zittirla. «Stt, non urlare!»
Mormorò un “scusa” per poi tornare a sorridere. «Allora?»
«Amore, provo qualcosa per Bella, è vero, ma non so come definirlo.»
Teneramente, posò il capo sulla mia spalla, stringendo le piccole braccia intorno al collo. «Papà, io so che tu ami Bella. È come in quei film, dove fra i due innamorati scocca la scintilla e loro si sbaciucchiano e...»
La fissai, interdetto. «Come fai a sapere queste cose?»
«Ho visto dei film con zio Emmett. E poi farete... Come l'aveva chiamato lo zio? Ah, sì, sesso!»
Ero sbigottito. Come poteva sapere quelle cose? Aveva solo sei anni, che diamine! E conosceva già quel linguaggio...
Avrei dovuto fare un discorsetto con Emm.
«Ah, papà, a proposito: cos'è il sesso?»
«Te lo dirò quando sarai più grande. E in più, parlerò con zio Emmett...»
Sbuffò. «Va bene, ma uffa!»
Sviai subito l'argomento, onde evitare altre imbarazzanti domande a cui avrei risposto almeno fra cinque anni. «Ora andiamo a fare colazione, okay?»
Saltò giù dalle mie gambe e iniziò ad avviarsi verso la porta, prima di girarsi e guardarmi. «Papà?»
«Sì, cucciola?»
«Tu mi vorrai sempre bene, anche se comincerai ad amare Bella?»
Le diedi un bacio alla eschimese, prima di prenderla in braccio. «Sempre, tesoro mio. Te ne vorrò sempre perché tu hai una parte del mio cuore.»


BELLA.

Le diciotto e trenta.
La giornata era passata velocemente , forse fin troppo, però in tutto quel tempo non avevo fatto altro che pensare alle persone che amavo.
Quanto mi mancavano? Troppo, da morire. Erano come l'aria che scarseggiava nei miei polmoni, dei battiti persi pensando al mio passato, che erano riusciti a farmi dimenticare, o meglio che stavano riuscendo, perchè ancora avevo dei postumi, ma ormai stavano diventando sempre più radi.
«Cosa vuoi per cena?»
Mi girai verso Angela, la mia compagna di stanza, colei con cui avevo passato tutta la giornata nel campus. Stava allacciando il giubbotto ed era in procinto di uscire, probabilmente per comprare qualcosa da mettere sotto i denti.
«Uhm, una pizza e una coca cola.»
Corrugò la fronte. «Non hai mangiato niente per tutto il giorno, e poi hai intenzione di ingozzarti di schifezze? Non è per caso che poi vomiti?»
Scossi il capo, prendendo dalla valigia il computer. «No, figurati, lo faccio spesso.»
«Mh, va bene. Però poi mi spieghi perchè non hai toccato cibo, oggi.», disse, sfilando la chiave dalla toppa. «Ci vediamo fra... Trenta minuti? Se non c'è coda, dovrei metterci poco.»
«Okay, tranquilla». Le sorrisi e lasciai che si richiudesse la porta alle sue spalle, per poi sospirare. Per un attimo, in quella lunghissima giornata, ero da sola, con i miei pensieri, finalmente.
Accesi il portatile, con lo stomaco in subbuglio e il cervello inceppato. Non era troppo tardi e di sicuro Edward non era ancora in cucina per preparare la cena, quindi avevo qualche minuto per vederlo.
Ma lui non era online, ovviamente.

Vedi di metterti online su Skype che la sottoscritta vorrebbe vedere la tua faccia da schiaffi.
B.

Sorrisi del mio stesso SMS, perchè sapevo che odiava essere definito in tale modo. Non per niente, il suo tono nella risposta fu abbastanza... rigido.

Se mi chiami ancora una volta in quel modo non mi vedi più. E non scherzo. Cmq arrivo subito.
E.

Se fosse stato davanti a me, ero certa che sarei scoppiata a ridergli in faccia, con conseguente attacco di solletico. Era il suo modo per alleggerire la situazione.
Il segnale acustico del programma mi fece ricordare cosa stavo facendo, e quando trovai l'avviso di chiamata dovetti fare un respiro profondo per riprendermi.
Appena vidi il suo volto familiare, il mio cuore balzò. Effetto Edward, ecco qual era la causa del mio batticuore continuo.
Aveva gli occhi stanchi, segno che probabilmente Viola aveva fatto i capricci, ma era comunque bellissimo. Almeno per me.
«Ehi.»
Mi sorrise e quel gesto mi scaldò il cuore. «Ma ciao.»
«Come stai?», domandò, sistemandosi la folta chioma rossa. Scrollai le spalle, indifferente. «E' tutto okay, solo un po' stanca. Tu? Non hai una bella cera.»
Sospirò. «Sono dovuto correre per andare a prendere Mary a scuola, che vomitava, ed è andata avanti così tutto il pomeriggio. Ho dovuto chiamare il medico e mi ha detto che è un semplice virus intestinale. Le ha prescritto dei fermenti lattici, così da alleviare i disturbi. E poi Viola ha i dentini che la disturbano, e ha pianto un bel po'.»
«In poche parole sei stravolto.», mormorai, e mi accorsi che mi stava letteralmente rimirando. Aveva il viso appoggiato sulle mani unite e fissava lo schermo, proprio dove ero io.
«Esatto. La scuola com'è? Che te ne pare?»
Per un attimo che non avrei voluto parlarne, ecco che tornava il tormento. «Per ora mi piace, ho conosciuto già alcuni ragazzi del mio corso che, se tutto va bene, si laureano poi a giugno come me. Sì, diciamo che è come me la immaginavo.»
«Bene, dai.» I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi, si erano illuminati, facendo trasparire completamente la sua gioia, quasi come se fosse stato un bambino. «Mary non fa altro che parlare di te. Le manchi da morire.»
Un groppo mi salì in gola e dovetti distogliere lo sguardo per fermare le lacrime. «Anche voi, non immagini quanto.»
«Ehi, ricorda che domani sera sarai a casa nostra, a rimboccare le coperte a Meredith e abbracciata a me.»
Sorrisi, chiudendo gli occhi e beandomi della sua bellissima voce. «Lo so, è che... Dio, penso che sia diventata dipendente da voi tre. Mi manca qualcosa, quando sono lontana, ora come non mai.»
Se avesse potuto, sarebbe entrato nel monitor e mi avrebbe raggiunta, stringendomi fra le sue forti braccia.
Mi resi conto di quanto mi mancasse quel contatto, sebbene non ci vedessimo da quasi dodici ore.
Ed erano troppe, spropositatamente troppe. Avevo bisogno di qualcosa che mi ricordasse lui, o almeno la sua presenza fisica accanto a me.
Sarebbe stata una lunga notte, di sicuro insonne, senza lui accanto.
«Tu divertiti e conosci nuove persone, vedrai che la giornata di domani passerà in fretta.»
«Va bene. Mary? Dorme?»
Lui annuì, sporgendosi verso l'ingresso. «Sì, si è addormentata due ore fa. Svegliarla non mi va, dato che è stata male tutto il pomeriggio. La sveglio poi poco prima di cena, così vedo se vuole mangiare.»
«Capito.»
Fra noi calò il silenzio, e io abbassai il capo. Cosa potevo dire, o fare? Era a chilometri da me, ma io lo volevo accanto.
«Oh, aspetta. Ho sentito dei rumori. Arrivo subito.» borbottò, facendo strisciare rumorosamente la sedia contro il pavimento, e il suo viso scomparì dalla visuale.
Subito centinaia di pensieri mi sovrastarono, e subito pensai al mio amore per lui. Sebbene avessi compreso che entrambi avevamo bisogno di tempo, per riflettere molto su quel sentimento, non vedevo l'ora di quando anche lui mi avrebbe risposto allo stesso modo.
«C'è una persona qui che vuole salutarti.»
Edward teneva saldamente Viola da sotto le ascelle e con un braccio sotto il sederino. Gli occhietti della bimba, che ogni giorno diventavano come quelli del padre, si immobilizzarono sullo schermo, guardandomi.
«Ciao, piccolina.»
Avrei voluto accarezzarle quelle guance così cicciottelle e morbide, che spesso sfioravo mentre dormiva. La sentivo un po' mia, come se fosse stata una specie di nipotina, perchè ogni giorno la vedevo crescere e diventare sempre più bella.
«Come vorrei stringerla a me...». Una lacrima mi cadde lungo la guancia e non fui abbastanza veloce a toglierla che lui se ne accorse.
«Bella?»
Distolsi nuovamente lo sguardo, asciugandomi gli occhi con il dorso delle mani. «Va tutto bene, davvero.»
«Ascolta, adesso basta, okay? Perchè non ti godi un po' questo tempo con delle nuove persone, per pensare e fare ciò che ti piace? Sul serio.»
Sospirai. «Io mi sono divertita, oggi. È tutto grandioso, ma io vorrei essere lì con voi, accanto a Meredith quando si addormenterà e fra le tue braccia. Non mi pare di chiederti la luna, o sbaglio?»
«Amore, hai quest'opportunità, e io non voglio che te la lasci scappare, chiaro? È vero, sei lontana da noi, però pensa che con questo potrai realizzare i tuoi sogni. Non ci sono sempre lati negativi.»
Annuii mesta e lasciai che sbuffasse, fra i gorgoglii di Viola. «Ti prego, fallo per noi.»
Non potei fare altro che accontentarlo, ma quando una voce argentina e familiare di arrivò alle orecchie, sentii la gioia uscire da ogni minuscolo foro della mia pelle.
«Con chi parli, papà?»
Il mio cuore sobbalzò nell'attimo in cui il viso di Meredith fu nel campo della videocamera. «Guarda chi c'è nello schermo, amore.»
Edward le indicò il monitor, proprio in corrispondenza della mia faccia, e Mary emise uno strillo acuto. «Bella!»
Risi della sua espressione e della sua felicità. Era così dolce, semplicemente era facile volerle bene, perché si guadagnava il tuo amore con poco, tipo un sorriso o un piccolo gesto.
«Come stai?», chiese con quel sorriso angelico. Dio, era troppo bella.
«Bene, tesoro, tu?»
«Benino...» La sua voce era triste, e di sicuro c'era qualcosa che non andava, lo percepivo chiaramente.
«Mary, cos'hai?» Guardai Edward, cercando una risposta alla mia domanda, ma il suo volto non tradiva nessun emozione.
«Niente, niente...», mormorò la bambina, fissandosi le mani. A quelle parole, chinò anche il capo e il mio cuore si spezzò.
«Avanti, sputa il rospo.» le dissi dolcemente. «Ti conosco troppo bene, e so che quello è il visino di una bimba triste.»
«Okay...» sussurrò, alzando la testa. I suoi occhi erano pieni di lacrime, quasi specchio dei miei. «Mi manchi tanto, Bella. Quando torni?»
Come potevo rimanere lì, davanti a quel computer, a fissarla? Avrei fatto le valigie e preso il primo treno per Londra, ma sapevo che Edward non sarebbe stato per niente felice di quella mia scelta.
«Domani sera, cucciola.»
Tirò su con il naso. «E stasera chi me la racconterà la favola della buonanotte?»
Come potevo?
Seriamente. Il suo sguardo triste mi struggeva e il mio cuore ormai si era sciolto. Quella bambina mi aveva letteralmente conquistata e io non potevo fare nulla.
«C'è sempre papà. È solo per stasera, davvero. Domani saremo io e te abbracciate nel letto a leggere una bella fiaba, okay? Solo non piangere, che poi sto male anche io.»
Edward le accarezzò i capelli, sorridendole dolcemente. «Hai sentito?»
La bambina annuì e lui le baciò la fronte, stringendola sé. «Ora, da brava, vai a vestirti, su, che la nonna ci aspetta alle sette e mezza.»
Guardai l'orologio del computer. Erano già le sette meno un quarto... Il tempo volava.
«Ok, papy.», mormorò, per poi girarsi verso il monitor. «Allora ci vediamo domani. Buonanotte, Bella.»
«Buonanotte, pulcino.»
Avevo un nodo in gola e non riuscivo a respirare. Sarebbe stata dura, quella sera, addormentarsi, senza la mano di Edward fra i miei capelli e il suo petto contro il mio viso.
Come potevo combattere gli incubi che mi assillavano?
Ed si sistemò i capelli all'indietro, e poi mise a posto la camicia. «Ehi, ascolta, io ora vado a vestire Viola. Ci sentiamo più tardi, okay?»
Sospirai. «Va bene.»
«Bella...» Sbuffò, con quel suo sguardo severo. «Non farmi stare con il patema d'animo per tutta la serata, per favore. Divertiti, esci un po', ti farebbe bene. Per favore, fallo per me.»
«Ci proverò.»
«Grazie». Abbozzò un sorriso, tirandosi su in piedi. «A dopo.»
La chiamata terminò e dovetti scansare il computer dalle ginocchia perchè le lacrime scrosciarono impetuose sulle guance.
Mi sentivo parte di quella famiglia, sebbene conoscessi Edward da relativamente poco. Ma ciò che provavo per quelle bambine e per lui, soprattutto, mi faceva battere il cuore così forte da mozzarmi il fiato.
Mi mancavano, e Ed mi aveva chiesto di pensare ad altro, e non piangermi addosso proprio come stavo facendo.
Ma per lui era facile parlare. Io ancora non avevo fatto l'abitudine di star lontano da loro tre, e anche solo quelle poche ore mi avevano fatto uscire di testa. Figuriamoci come sarebbe stato tra due o tre mesi, quando avrei finito i corsi.
La chiave nella toppa rigirò un paio di volte, e Angela comparve dalla porta, con i cartoni della pizza.
«C'era un po' di coda, scusami.»
Mi asciugai le guance senza che lei lo notasse. Odiavo sembrare più fragile, ma solo al pensiero dei miei tre angeli mi faceva perdere un battito.
«Isa, hai pianto?»
Scossi il capo, negando l'ovvio. «No. no. Mi è finito qualcosa nell'occhio.»
Corrugò la fronte, poggiando sul tavolo il cibo. «Sappi che non ci casco. I tuoi occhi sembrano due pomodori. Quindi, hai pianto. Per quale motivo?»
Sospirai, per poi sedermi accanto a lei. «Ero in video chiamata con il mio ragazzo... E con lui c'era la figlia...»
«Non mi avevi detto che eri fidanzata.»
Alzai le spalle. «Perchè in realtà non lo siamo, insomma... E' tutto un po' complicato, ecco.»
«Oh. E quindi lui ancora non ti ha chiesto nulla, a riguardo?»
«Angela», borbottai, trangugiando una fetta di pizza. «Non abbiamo quindici anni. Siamo adulti, e entrambi abbiamo avuto precedenti relazioni. Sto solo aspettando il momento giusto, tutto qui.»
Finimmo la cena in silenzio, solo con il brusio della televisione di sottofondo. Nessuna di noi due riprovò ad allacciare il discorso, io in particolare per non cominciare a singhiozzare pensando a Ed e alle bambine.
Feci per stendermi sul letto a leggere un po', ma Angela attirò la mia attenzione, tossendo. «Bella, stasera c'è un'uscita fra i ragazzi del campus e del nostro indirizzo. Ti va di venire? Magari ti svaghi un po'.»
«Certo.» Annuii. Dopotutto conoscere nuove persone non mi avrebbe fatto male, tutt'altro. Edward mi aveva detto le stesse, identiche parole, quindi sarebbe stato felice, probabilmente.
«Perfetto. Ci aspettano alle nove nel cortile. Vedrai, ti divertirai da morire.»
Chissà perchè avevo lo strano presentimento che sarebbe stato perfettamente il contrario.


Cosa avevo detto?
Ah, già: non mi sarei divertita. E ovviamente avevo azzeccato, ancora una volta, rendendo così reali i miei pensieri.
Avrei preferito essere in un letto, a Londra, fra le braccia del mio quasi ragazzo, anziché lì, fra tutte quelle persone a me sconosciute.
Angela me le aveva presentate, ma io avevo scordato i nomi pochi secondi dopo che me li disse. Cosa altrettanto ovvia, data la mia sbadataggine.

La prossima volta non darò più ascolto ai tuoi consigli.
B.

Sbuffai, continuando ad ascoltare i discorsi dei presenti. C'era una puzza di fumo onnipresente, che mi bruciava i polmoni e mi ricordava lui.
Voglio scappare, andarmene, fuggire da qui. Tornare a Londra, da Ed, da lui.
Avrei dovuto supplicare Edward di smettere di fumare, perché tutto quello mi faceva tornare in mente il passato, i ricordi terribili.

Perchè? Che è successo, adesso?
E.

Cosa stava succedendo? Avrei voluto fargli un video e inviarglielo per SMS, magari avrebbe capito come mi stavo divertendo.
Sì, divertendo un corno, proprio.

Mi sto annoiando e qui scorrono fiumi di alcool manco fossimo in un bar nell'happy hour.
Mi manchi, voglio tornare da te.
B.

Avrebbe capito, adesso?
Sperai di sì, e l'ennesima zaffata di quell'odioso odore mi penetrò nello stomaco, in tutto il corpo.
Dio, stavo per vomitare.
«Bella, che indirizzo fai?»
Mi schiarii la voce. «Legge, Psicologia e Lingue...»
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, incredulo. «Caspita... Dicono che sia una delle formazioni più difficili ma altolocate che ci siano qui a Oxford.»
«Sì, esatto.»
Tutti quei ragazzi dovevano venire da famiglie benestanti, perchè sapevo benissimo i costi di quell'univeristà...
Tredicimila sterline all'anno, senza contare vitto e alloggio.
Un patrimonio, e io avevo avuto una fortuna immane a capitare lì. Tutto grazie a una borsa di studio.
Anche se avevo sentito da alcune fonti che Oxford non donava sostegni agli studenti... E perchè a me sì? Cosa avevo di diverso?
Niente, ero una semplicissima ragazza come tutti gli altri, uscita con il voto massimo dal liceo – anche quello fu un gran colpo di fortuna.
«Ragazzi, Bella è una nuova arrivata, quindi perchè non darle un dignitoso benvenuto?»
Mi sporsero un bicchiere colmo di vino rosso e mi costrinsero a berlo.
Perfetto, cominciavo a vedere le stelle.
«Ehi, Jacob, come va con Liz?», fece Angela, scolando tutto il nettare. Solo a vederla inghiottire tutta quella roba mi saliva la nausea.
Un ragazzo dalla pelle ambrata si sporse verso la luce, sedendosi sul bracciolo del divanetto. «Va a gonfie vele! Sul serio!»
I suoi occhi mi sembravano così familiari, anche i lineamenti del viso mi pareva di averli già visti...
«Come si chiama di cognome Jacob?», mormorai a Angy. Lei tossì, e mi rispose sottovoce. «Black, se non erro.»
Jacob... Black.
Il mio cervello cominciò a lavorare senza sosta e potevo sentire gli ingranaggi entrare in moto.
Oh, Dio. Era davvero quel Jacob Black? Quel ragazzino così solare e dalla pelle scura con cui avevo trascorso la mia infanzia?
Lasciai che il caos continuasse, e io mi allontanai un po' dalla marmaglia. Avevo bisogno di aria pulita e soprattutto respirabile.

Amore, stai tranquilla. Ancora diciotto ore e sarai da noi.
E.

La sua risposta fu il colpo finale. Diciotto ore, tremendamente troppe. Troppe da sostenere, troppe che il mio cuore potesse sopportare.
Alzai la cornetta, dopo aver composto il numero di Edward, e lasciai che suonasse.
Mi avrebbe richiamata lui, come faceva tutte le volte.
Infatti...
«Ehi
«Ehi...»
«Che è successo?»
«Voglio tornare a Londra. Adesso, seduta stante.»
Sbuffò, dall'altro capo del telefono. «Non dire cazzate. Sono sicuro che ti stai divertendo, in fondo
«Divertendo? Se questo è un modo, per te, di divertirsi, ti stai sbagliando di grosso!» La mia voce uscì più acida e stridula di quanto avrei voluto, e sperai che non mi mandasse a quel paese.
«Ora ascoltami: torna di là e prova a fare meno l'asociale.»
Mi stava prendendo per il culo? Io, introversa? Ma quando mai?!
«Da quando sarei un'asociale, io?!», borbottai, pensando di chiudere la comunicazione.
«Insomma, non sembra che tu stia cercando di legare, stasera...»
«Non prendiamoci in giro, Edward!» Non sapevo più che dirgli, dato il mio nervosismo. «Se vuoi torno in quella stanza, ma sappi che domani faremo i conti.»
Sospirò, di nuovo. «Avanti, non fare così. Non diventare una bambina capricciosa.»
«Ah! Quindi io sarei una bambina capricciosa?!» Dio, riusciva a farmi uscire di testa in pochi secondi, e nel lato negativo del termine, per giunta. E in quel momento mi aveva davvero stufato. «Va bene! Allora ti lascio stare, dato che volevo solo sentire la persona più importante della mia vita! Grazie, davvero, Edward. Ci vediamo domani. Ciao.»
Attaccai furiosa la cornetta. Merda, mi era anche venuto mal di testa.
Al diavolo lui e i suoi discorsi del cazzo.
Il mio cellulare iniziò a vibrare forsennatamente. Se pensava sul serio che potessi rispondergli dopo quei pensieri, poteva anche andare a dormire, perchè non avrei mosso un dito.
«Tutto bene?»
Sobbalzai a quella voce, e mi voltai. Jacob era davanti a me, con un accendino e un pacchetto di sigarette in mano.
«Sì, è tutto a posto, grazie.»
Si accese una sigaretta, continuando a fissarmi. Il suo sguardo mi infiammò le guance e dovetti voltarmi.
«Sai... Tu assomigli tanto a una persona che conosco.» borbottò, affacciandosi sul ponticello, assumendo la mia stessa posizione.
Osservai l'acqua dello stagno, ghiacciata e ferma. Il prato era spoglio e le fronde degli alberi scricchiolavano scosse dal vento.
«Sul serio?»
«Sì. Non la vedo da tanti anni, però sono sicuro che avete qualche cosa in comune.»
Tutto si fece più chiaro, cristallino. «Ti va di parlarmene?»
Lui annuì, espirando tutto il fumo, che formò piccoli cerchi avvolti nella nebbia notturna. «Ci eravamo conosciuti all'asilo, in Scozia. Avevamo legato da subito, era la mia migliore amica. Frequentammo le scuole assieme, ma lei a sedici anni fu costretta a trasferirsi in Spagna. Mi manca da morire. Fu come se una parte di me se fosse andata, lasciandomi incompleto.»
Il fiato mi manco nei polmoni e le mie convinzioni si fecero reali. «Come si chiamava di cognome?»
«Swan.» La sua voce divenne un sussurro appena percettibile, e io mi irrigidii. Okay, perfetto.
Era davvero lui...
«Che c'è?»
«Sei... Sei tu, Jake?» Il mio cervello andò in stand-by, e la mia lingua si mosse da sola. «Sei... Jacke il pirata?»
Strabuzzò gli occhi, indeciso sul da farsi. «Bells?»
Le lacrime salirono agli occhi e ruppero gli argini. Lo strinsi fra le braccia e lui mi sollevo. Quanto mi era mancato, quanto?
«Dio, non ci posso credere! Sei davvero tu!», singhiozzai e asciugò le lacrime, sistemandomi i capelli.
«Dove sei stata, per tutti questi anni? Non sei cambiata per niente!»
Abbozzai un timido sorriso, ricontrollando i ricordi. «Da troppe parti. Ho il cervello in subbuglio. Ma ora sono qui, a Londra. Speriamo per un bel po'. E tu che ci fai, a Oxford? Non ricordo che andassi così bene al liceo!»
Mi pizzicò il fianco, proprio come era solito fare da adolescente. «Tieni a freno la tua linguaccia. Alla fine non ero un ribelle, lo sai anche tu. Sono uscito con dei buoni voti, poi ho conosciuto Liz e l'ho seguita qui.»
«Il solito romanticone da strapazzo.», scherzai e lui rise. Mi era mancato anche quello: il suo sorriso, le sue risate nel cuore della notte in campeggio in tenda nelle vacanze estive.
Rimanemmo qualche secondo a sorriderci a vicenda, fino a che lui alzò il dito, come se nel suo cervello si fosse accesa una lampadina.
«Canti ancora, qualche volta? Avevi una bellissima voce, ricordo che amavi questo tuo talento.»
Sospirai, girando una mano come a sminuire la cosa. «Ho quasi abbandonato del tutto la musica perchè il ballo mi ha presa totalmente. Ho anche aperto una scuola di danza con delle mie ex compagne di istituto, sempre a Londra.»
«Che figo!», esclamò, dandomi una pacca sulla spalla. «Però ogni tanto canti qualcosa? Anche solo per hobby?»
«Sì, capita. La mia doccia conosce bene tutte i miei acuti.»
Ridemmo insieme, come ai vecchi tempi, quelli che avevo amato, quelli che avevano preceduto il periodo nero.
«Perfetto! Allora vieni, ti faccio sentire dagli altri, ne sarebbero entusiasti!»
Mi strattonò per il braccio senza darmi il tempo di controbattere che fummo di nuovo nella stanza di prima, lui che si schiariva la voce e annunciava ai ragazzi di questo mio desiderio.
O meglio: quella costrizione.
«Che ti va di cantare?»
Sbuffai. «Se ce l'hai, Rolling in the deep.»
I suoi occhi si illuminarono, mentre i miei cercavano di schivare tutti quegli sguardi curiosi.
Le note si propagarono nell'aria tesa, e io avrei voluto solo scomparire.
Eppure, presi coraggio e iniziai a cantare le prime parole, e a mio malgrado furono tutte giuste e perfettamente intonate.
Tutti mi osservavano, le ragazze schioccavano le dita a tempo con la musica e i ragazzi mi fissavano allibiti.
Terminata la canzone, mi aggrappai le braccia di Jake, che diede inizio al coro di applausi.
«Sei stata grandiosa! Hai una voce stupenda!»
Sorrisi, impacciata, a tutti i complimenti che mi furono porsi, fino a che un Erik non fece segno di abbassare i toni.
«Ehi, Bella, senti: noi stiamo cercando una cantante per la nostra band, ti andrebbe di farne parte? Se non ti va, puoi anche dire di no, non ci offendiamo.»
Strabuzzai gli occhi, incredula. Era stato il sogno della mia adolescenza poter prendere parte a un gruppo, ma non ebbi speranze.
Ora, mi si stava riproponendo la stessa occasione, e non potei lasciarmela sfuggire. «Certamente! Ne sarei felicissima! Basta mettersi d'accordo bene sulle date, e io ci sarò.»
Erik mi circondò le spalle con il braccio, proclamandomi nuova cantante degli Skulls.


EDWARD.

Riprovai ancora una volta a fare il numero di Bella, che però non rispose.
Cazzo, erano dodici ore che non la sentivo, e cominciava a salirmi l'ansia. Dopo la nostra litigata, la sera prima, non mi aveva più risposto al cellulare.
E la situazione non era tanto cambiata, nelle ultime ore.
Le inviai un messaggio, aspettando una sua risposta. Nulla, niente di niente.
Ero stato solo un coglione, e ora lei forse si era anche offesa perché l'avevo chiamata in quel modo. Proprio come succedeva a me quando mi chiamava “faccia da schiaffi”.
«Papà, tutto bene?»
Meredith mi tirò la manica della giacca, attirando la mia attenzione. Le accarezzai i capelli, prendendola in braccio.
Eravamo nei corridoi della sua scuola perchè era il “Daddy Day”, e tutti i padri erano stati chiamati per prendere parte a quella giornata, giusto per fare qualche lavoretto e passare del tempo con i propri figli.
Viola era nel passeggino, accanto a noi, che mordicchiava il sonaglio. «Ehi, Mary, sai che giorno è oggi?»
La bambina mi guardò di sottecchi, curiosa. «Il “Daddy Day”?»
Scossi il capo, sorridendo. «Anche, ma anche?»
Ci rifletté su, senza però trovare una risposta. «Un aiutino?»
«Che data è?»
«E' il due febbraio duemiladodici, e sono le dieci del mattino, perchè?»
Alzai gli occhi al cielo. «Il numero due non ti dice nulla?»
Aprì la bocca a “O”, per poi scendere dalle mie braccia e prendere fra le sue la piccola Viola, ovviamente con il mio aiuto.
«Oggi è il complemese di Violy!»
Risi della sua reazione, e cominciò a baciare le guance della sorellina. «Sono cinque mesi. Auguri, scricciolo.»
Cinque mesi... Cinque mesi che la mia seconda stella era con noi ma quasi cinque mesi che Tanya se n'era andata.
Scacciai via quel pensiero, guardando le mie figlie. Erano due gemme preziose, tutta la mia vita, tutte le mie ragioni di esistere erano racchiuse in loro.
La voce della maestra di Mary ci richiamò. Misi Viola nel marsupio e presi la manina di Meredith, che saltellò entusiasta.
«Ti voglio bene, papà! Grazie per essere qui!»


Era stata, tutto sommato, una bella mattinata. Avevo visto Mary ridere e divertisti assieme alle sue compagne, e soprattutto insieme a me.
Dopo tanto tempo, la vedevo sorridere di gusto, proprio come avrebbe dovuto sempre fare, come tutte le bambine della sua età.
Ora si stava buttando letteralmente a capofitto sul suo piatto di lasagne.
«Amore, racconta alla nonna cosa abbiamo fatto oggi.»
Mia madre le raccolse la lunga chioma in un elastico, cosicché non finisse nel sugo, e poi le diede un buffetto sulla guancia piena.
Meredith le sorrise. «Abbiamo fatto dei disegni insieme, con la signorina Flach, e poi siamo andati nel laboratorio di musica, dove papà ha fatto sentire...»
«Ingoia il boccone, tesoro.», la rimproverai, e lei si scusò, per poi riprendere da dove aveva interrotto. «Dove papà ha fatto sentire quanto è bravo a suonare il pianoforte! Glielo ha insegnato il nonno, vero?»
Esme annuì, così tremendamente rapita dalla sua nipotina. «E poi abbiamo fatto altri disegni e un laboratorio di falegnameria, dove abbiamo costruito un giochino per Viola! Poi quando andiamo a casa te lo faccio vedere, okay?»
Risi delle sue espressioni convinte. Era capace di rubarmi il cuore in ogni suo singolo gesto. La mia principessa, che ogni giorno diventava grande e io volevo tenerla stretta a me e non lasciarla fuggire.
Il mio cellulare, deposto sul tavolo, vibrò e sul display comparve il suo nome.
«Scusatemi un attimo.»
Mi allontanai il giusto indispensabile, per poi alzare il ricevitore. «Se non fosse perchè ti ho chiamata dieci volte in tutta la mattinata, mentre ero a scuola con Mary, e tu non mi hai degnato neanche di un segno di vita, non ti saluterei neanche e ti manderei a quel paese. Ma dato che tu per me sei importante, voglio solo dirti che mi manchi da morire.»
Dall'altra parte lei non mi rispose, ma riuscivo comunque a sentire il suo respiro affannato, pesante.
«Bella? Ti prego, dimmi qualcosa.», la implorai, sbottonandomi i polsini della camicia. Cominciavo ad avere caldo, e lei che si comportava così non mi dava un grande aiuto.
«Edward...»
Il suo tono era freddo, duro, distaccato.
Merda, l'avevo davvero fatta grossa.
«Dio, Bella. So di essere stato un coglione, e voglio scusarmi per ieri sera. Non... non volevo dirti quelle parole, non le penso affatto. Sei stupenda, non so che farei. Ti prego, perdonami, non era mia intenzione.»
Lei sbuffò, e potei immaginarla tamburellare le dita sul tavolo. «Ti perdono, ma solo perchè sei tu
Sospirai, felice. «Davvero, grazie. Non puoi immaginare come mi sia sentito...»
«Shhh... E' tutto a posto adesso. Stai tranquillo, va tutto bene. Scusami tu se non ti ho più risposto, ma dopo quella... litigata ero troppo furiosa e ti avrei solo insultato. E poi quando sono arrivata in camera ieri sera, a mezzanotte, ho spento solo il telefono e sono crollata. E ho finito all'università.»
«Ah... Ora però è tutto passato, no?»
Lei rise, come una bambina. «Certo che sì, sciocchino. Ah, a proposito, devo raccontarti tante cose quando tornerò a casa
«E io le ascolterò tutte.»
La sentii sorridere contro il cellulare. «Bravo. E c'è anche un'altra cosa
«Che cosa?»
«Ti conviene andare alla stazione al più presto possibile, perchè sono quasi arrivata
«Co.. Cosa?!», domandai, incredulo. Come poteva... «Com'è possibile?»
«Ti spiegherò tutto appena arrivo. Ora sbrigati, manca mezz'ora. Non vedo l'ora di abbracciarti.»
«Sì, anche io. A dopo.»
Chiusi la conversazione in fretta e furia e tornai al tavolo, prendendo la mia giacca e sporgendo a mia madre il costo del pranzo.
«Dove vai?», mi chiesero Esme e Mary, aggrottando la fronte.
«Ci vediamo a casa. Sta arrivando Bella, a dopo.»
Detto quello, uscii dal ristorante e misi in moto l'auto, mentre il mio cuore prese a battere così velocemente che pensai mi sarebbe uscito dal petto.


BELLA.

Aria di Londra. Pioggia, la mia amata pioggia. Anche se pure a Oxford il tempo non era stato clemente.
Presi la mia valigia, con un sorriso ebete in faccia, e inspirando l'odore di umido che era entrato nel vagone.
Stavo per rivederlo, finalmente. Sarei presto stata di nuovo fra le sue braccia, il mio rifugio, il mio posto.
Scesi dal treno, guardandomi intorno. Non lo vedevo, ma sapevo bene che era nei paraggi. Lo sentivo, percepivo il suo profumo tra tutte quelle persone.
Mi incamminai verso la piccola ala d'attesa, cercandolo. Ed era lì: le mani in tasca, la testa che si fissava le scarpe, i capelli arruffati.
Gli corsi incontro, e quando fui a poca distanza gli feci squillare il cellulare e mi voltai.
«Dove sei?», domandò, alzando lo sguardo e osservandosi intorno.
«Prova a guardare davanti a te.»
Fece come gli avevi riferito, e quando mi vide sorrise soltanto, e i suoi occhi divennero lucidi.
Affondai il viso nel suo petto, stringendolo a me.
Ero fra le sue braccia, di nuovo. Il suo odore mi inondò i polmoni, le mie dita si intrufolarono fra i suoi capelli, morbidi come il velluto.
«Sono finalmente a casa.», mormorai, guardandolo negli occhi. E solo in quell'istante capii quanto fossero importanti quelle parole.
A casa. Ero a casa, in un luogo che mi apparteneva e in cui ero amata.
«Sei qui, sei qui.»
Appoggiai le labbra alle sue, mentre le nostre lacrime si mischiarono. «Sono con te, sono qui.»
«Amore mio...»
Ecco cosa era per me: il mio rifugio felice, il mio posto segreto. La mia casa.
Ero nel mio paradiso, finalmente felice e tranquilla.



____________________
CAPITOLO BETATO.
Holaaaaaa :D
Rieccomi qui, nonostante gli impegni, ma sono qui, con voi! u.u
Sono, o non sono brava? eeeeeh, dai!
Anyway, eccovi un capitolo di passaggio lungo come la Quaresima .-. Non è colpa mia, davvero! E' che quando scrivo di loro mi lascio prendere la mano...
Non è normale ç_ç
Ringrazio Aniasolary per il betaggio improvvisato ♥
Ringrazio le 192 persone che hanno inserito AITC nei seguiti, le 63 nelle preferite e le 16 per le ricordate <3
E poi le 40 anime pie che mi hanno inserito fra gli autori preferiti <3
E poi grazie a Simo, Bià, Marti, Ania, Frà, Ilaria, Moni, Chuck, Sanya, Aurora, Giuls e a tutte le altre <3 Vi voglio un mondo di bene <3
Sappiate che be'... avrete mie notizie molto presto u.u Quindi Stay Tuned :3
Ah, tanto che ci sono mi autopubblicizzo AHAHHAAH XD
Originale Romantica Anime Infrante (Twilight)
Se ci fate un salto fatemelo sapere :3
E qui i miei contatti: Profilo FB Gruppo FB
Rimanete collegate, mi raccomando u.u Ci sentiamo la PROSSIMA SETTIMANA *-*. E fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto o meno, mi farebbe molto piacere ricevere le vostre solite e dolcissime recensioni :')
Un bacio <3




Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Hero ***



Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 12: Hero.


BELLA.

«Tira fuori la lingua e di' “ah”.»
Stavo accanto al lettino, dove era seduta Meredith, che veniva scrupolosamente visitata dal medico.
Ormai era una settimana che la notte non si dormiva più, e che Mary stava male, con febbre alta e nausee continue.
E ci era venuta la fantastica idea di portarla dal pediatra dopo ben sette giorni di pura agonia e sofferenza per quella povera bimba, che aveva fatto non pochi capricci alla notizia di una visitina dal dottore…
Ma alla fine, tutta la paura e l'agitazione della bambina erano svanite quando il pediatra le aveva dato una caramella... Che le avesse letto nel pensiero?
L'aveva fatta accomodare sul lettino nero, e aveva appena iniziato la sua ispezione quando mi fissò per un lungo, interminabile secondo.
«Lei è...?»
Arrossii di colpo, torturandomi le unghie. «Ehm...»
«Lei è la fidanzata di papà, James!»
Grazie, piccolina...
«Oh...», mormorò, tremendamente a disagio, proprio come me. «Non sapevo che Edward...»
«Non... è niente di ufficiale. Ci conosciamo da poco tempo, tutto qui.»
«Capisco.», disse. Fece alzare la felpa a Mary e le posò lo stetoscopio sulla schiena, procurando un sussulto della bambina.
«Ora respira, Mary.»
Manteneva una calma impressionante e dovetti reprimere l'impulso di chiedergli cosa potesse avere la... mia bambina.
Perchè cominciavo a sentirla così, o quasi. Forse ero io che andavo troppo veloce e quindi stavo perdendo il controllo della situazione, ma il mio cuore si stringeva tutte le volte che Meredith tornava a casa da scuola o mi rivolgeva un sorriso.
«E' tutto a posto a livello bronchiale.»
Trattenni un sospiro di sollievo ma il suo sguardo si incupì quando notò qualcosa di diverso.
«Che succede?», domandai allarmata. I miei nervi erano ormai a fior di pelle e la mia voce uscì più stridula di quello che realmente pensavo.
«Ha delle bolle, qui, sulla schiena.», borbottò, lo sguardo era corrucciato. «Mary, tesoro, ne hai altre?»
La bambina annuì, scoprendo la manica. Sul suo braccio, le stesse macchioline di un'ora prima.
«Okay. Grazie, piccola.»
Mary saltellò giù dal materasso, per poi avvicinarsi a me. «Bella, puoi venire un attimo alla scrivania?»
Acconsentii e quando mi sedetti, appoggiai Meredith sulle mie ginocchia, stringendola a me. «Hai ancora mal di testa?»
«Sì...»
Le carezzai i capelli, cullandola per qualche minuto, fino a che non si calmò e non socchiuse gli occhi.
«Bene, vorrei solo farti qualche domanda.»
Lasciai che continuasse, mentre il respiro di Mary si affievolì sul mio petto. «Ha avuto mal di testa, febbre molto alta, vomito o altro?»
«Sì, ha la febbre ormai da quattro giorni...»
Annuì varie volte con il capo, scrivendo tutto su un foglietto. «Date le bolle sul braccio, potrei dire chiaramente che si tratta di varicella. Qui trova tutto ciò che è meglio fare in questo caso.»
Lo ringraziai e feci alzare Meredith, che protestò vivacemente, aggrappandosi alle mie braccia mentre le infilavo il capotto.
«Ehi, Mary.» James attirò la sua attenzione, chinandosi all'altezza del suo viso. «La vuoi una caramella?»
Gli occhi della bambina si illuminarono, ma io lo fermai. «Però devi fare la brava bambina.»
«Va bene. Ora posso avere il dolcetto?»
Risi e lasciai che il dottore le sporgesse un lecca lecca, prima di aprirci la porta e augurarle una buona guarigione.
Il peso nel cuore sparì appena salimmo in macchina, quando Meredith iniziò a canticchiare una canzoncina. Stava meglio, ora che aveva capito che cosa aveva. Ovvio, la varicella era una malattia che prendevano tutti i bambini, ma sapere che stava male mi procurava ansia.
Come quando io avevo gli incubi, e Edward mi stringeva nel cuore della notte, sussurrandomi che andava tutto bene, che era con me.
La stessa cosa succedeva con Mary. Abbracciarla mi rendeva felice, serena. Sapere che si sentiva bene era tutto ciò che più desideravo.
«Mettiamo la musica?»
Aggrottai la fronte, osservandola dallo specchietto. «Ma non avevi mal di testa?»
Scosse il capo, con quel sorrisino in viso. «No! Mi è passato! La mettiamo, per favoooore?»
Risi e aspettai il semaforo rosso per porgerle il porta CD. «Decidi tu, a me piacciono tutti.»
Scorse le dita fra gli scomparti per poi porgermi un disco. «Questo!»
Lessi velocemente il nome riportato, facendo attenzione alla strada. «Adele?»
«Sì! È la cantante preferita di papà, sai? La ascolta sempre!»
Ecco un nuovo tratto a me ancora nascosto di Edward...
Azionai il lettore musicale e cliccai play, saltando qualche traccia. Era un'altra cosa in comune che avevo con quell'uomo: la musica. Sapevo che Ed amava suonare, ma non pensavo ascoltasse anche quel genere di canzoni.
«Lascio questa?»
Mary gioì e quando la voce della ragazza iniziò a cantare, lei la seguì. Aveva una voce bellissima, così melodica che fu un piacere ascoltarla. Si dondolava nel seggiolino, battendo le mani a tempo, e non potei trattenere una risata quando ad un certo punto tossicchiò perché la musica aveva raggiunto un livello troppo alto perché lei potesse cantare.
Parcheggiai  davanti a casa, spegnendo la radio e estraendo il cd. Mary intanto si era già slegata la cintura ed ero in procinto di aprirle la portiera, se non fosse stato per la vibrazione incessante del mio cellulare.
«Che succede, Bella? », domandò la bambina, vedendo il mio sguardo interrogativo. «Va tutto bene, tranquilla. Perchè non cominci ad entrare, che io ti raggiungo?»
Pronunciai quelle parole con poca attenzione, intenta ad accedere ai messaggi. Era un numero sconosciuto, e ovviamente non faceva parte della mia rubrica.

Ciao, Isabella. Che ne dici per un tè alle cinque, in qualche bar?
Lascio decidere a te.
Christian.

«Oh, merda.», mormorai, completamente dimenticandomi che avevo di fianco a me una bambina di sei anni. «Mary, tesoro, andiamo.»
Lei annuì e spalancò la porta. «Sicura che è tutto a posto?»
Annuii indifferente, carezzandole i capelli, e mi accorsi che le mani mi tremavano vivacemente. Possibile che non potessi avere un attimo di pace?
«Su, andiamo da papà.» Abbozzai un sorriso, nel tentativo di tranquillizzarla e ci dirigemmo nel salotto, dove Edward chiacchierava con i suoi genitori.
«Papà!» Mary gli corse incontro, per poi finire fra le braccia di suo padre, che interruppe il discorso per sollevarla.
Rivolsi un sorriso a Carlisle, seduto sul divano, e lui fece lo stesso. «Ciao, Bella.»
Esme si avvicinò, avvolgendomi in un caloroso abbraccio da cui difficilmente riuscii a slegarmi. Tutti mi volevano un bene dell'anima, e io non capivo il perché... Insomma, ero una normale ragazza di ventidue anni, non avevo fatto niente di così straordinario.
«Che vi ha detto il pediatra?», domandò ansioso Ed, sedendosi con Meredith sulle ginocchia. La bambina abbassò il capo, arricciando una ciocca di capelli sull'indice. «Ho la varicella... Ma guarirò, vero?»
Si rivolse a Carlisle, che a quanto mi aveva detto Edward, aveva studiato medicina e lavorava da parecchi anni in ospedale. «Certo, pulcino. È una malattia che prendono tutti i bambini, non ti devi preoccupare. Una, o due settimane e andrà via, e potrai tornare a scuola.»
Subito il corpo di Meredith si rilassò, e lei si accomodò accanto al nonno che la strinse a sé.
Continuai a fissare Edward, e quando il suo sguardo incontrò il mio, potei capire dalla sua espressione la domanda che mi stava facendo.
Mimai con le labbra “Puoi venire un attimo di là?” e lui annuì, congedandosi dal discorso.
Mi spostai nella cucina, lontano dalle orecchie dei suoi parenti, e non accesi neanche la luce, lasciando così la camera nella leggera penombra.
«Bella, tutto a posto?»
Le sue braccia mi strinsero da dietro, ma io le scacciai, tremando. Le lacrime furono sull'orlo, pronte a sgorgare, e ricacciarle indietro sembrava un'azione troppo complicata.
«Che hai?» La sua voce si tramutò in una vibrazione unica, e mi prese il viso tra le mani. Gesticolai confusamente, mordendomi il labbro, e cominciai a piangere dirottamente. L'unico modo per zittire i singhiozzi fu di affondare il volto nella camicia di Edward, che rimase spiazzato.
«Sh...», mormorò fra i miei capelli, le sue mani mi accarezzavano la schiena. «Tranquilla, va tutto bene.»
Aspettò che mi calmai, per chiedermi cosa stesse succedendo.
«E' Christian. Mi ha inviato un messaggio.»
Il suo sguardo si incupì. «Fammelo leggere.»
Gli sporsi il cellulare, aspettando una sua risposta, che ovviamente fu ben poco... calma e seria.
«Io quello... Lo strangolo! Dio, non può lasciarti in pace? Adesso che stai meglio... Spero di non trovarmelo mai davanti.»
Le mie dita gli sfiorarono il profilo della mascella. «Tanto ho deciso che non voglio avere più niente a che fare con lui, davvero. Farò finta di niente.»
Annuì mesto, poco convinto delle mie parole, ma la rabbia che aveva in petto era troppa per riuscire a farlo ragionare.
«Torniamo dagli altri, si chiederanno che fine abbiamo fatto.», mormorai, asciugandomi le guance con le maniche del maglioncino. Gli presi la mano e ci dirigemmo nel salotto, dove Carlisle era sparito e Meredith fissava fuori dalla finestra.
«Amore, dov'è finito il nonno?»
La bambina fece finta di nulla, scrollando le spalle, ma notai che stava ridendo sotto i baffi. «Non lo so! Ha detto che andava un attimo sul balcone e poi tornava!»
Guardai confusa Edward, e il suo sguardo era lo specchio del mio. Teneva le sopracciglia corrugate, girando il capo per vedersi intorno, ma di suo padre nemmeno l'ombra.
Ad un certo punto, suonarono il campanello, e Mary schizzò verso il corridoio, e Viola iniziò a piangere.
«Io prendo Viola, tu vai a vedere che succede.», dissi a Edward, ma sua figlia sgranò gli occhi per poi urlare: «NO!» e il suo volto prese fuoco. «No, vado io. Tu, papà, stai qui.»
Ed fece spallucce, e io mi diressi nella camera accanto, dove Viola strillava e voleva essere presa in braccio.
L'adagiai sul mio petto e subito si zittì, facendomi un sorrisino ancora sdentato. Quanto poteva essere dolce?
Quando svoltai l'uscio, mi accorsi che Meredith chiamava a gran voce suo padre, che mi fissò altrettanto perplesso.
«Dai, papà, corri!», gridò ancora Mary, però questa volta si affacciò e ci fece segno di seguirla. Obbedimmo, e quando arrivammo davanti alla porta, ancora chiuso, la scrutammo interrogativi.
«Posso aprire?», domandò a qualcuno lì fuori, che le rispose di sì, e la sorpresa fu enorme quando ci ritrovammo Carlisle davanti.
«Che cosa…?»
Si scansò, e due uomini in divisa ci sorrisero, prendendo di peso un oggetto alquanto grosso, coperto da un telo bianco e imbottito di polistirolo.
«Dove lo posiamo?» Carlisle indicò lo spiazzo libero in salotto accanto al divano. Ci fu un tonfo quando posarono sul pavimento la cosa a noi ancora sconosciuta.
«Si può sapere cos’è?»
Meredith posò le manine sulla bocca, per trattenere una risata, e Carlisle tolse il telo, facendoci rimanere con un palmo di naso.
«Un…»
«Pianoforte.», concluse Edward per me. Intravidi una piccola lacrima segnare la sua guancia, e come un bambino di fronte a un regalo inaspettato – e in realtà era proprio così, Ed si buttò a capofitto verso suo padre, che lo abbracciò ridendo.
«Il mio ometto che si commuove.», commentò, dando una pacca sulla schiena del figlio.
«Oddio, papà, è fantastico!»
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto.»
Anche Carlisle si era emozionato, e a stento riusciva a trattenere la gioia.
«Tu sai suonare il pianoforte, Bella?», mi chiese Meredith, esaminando i tasti bianchi e neri alternati della tastiera.
«Ehm… A dire il vero ho preso qualche lezione alle medie, ma nulla di che…», sussurrai e cercai in tutti i modi di scemare quella rivelazione. Erano passati quasi dieci anni ma ancora qualcosa mi ricordavo.
La bambina batté felice le mani, saltando sul posto. «Allora ti insegnerà papà! Lo farai, vero?»
Si girò verso suo padre, che le sorrise per poi scompigliarle i capelli. «Se Bella vorrà, tesoro, certo che sì.»
Intanto Carlisle ci aveva salutato, lasciandoci da soli. Avevo appoggiato il capo sulla spalla di Edward, che mi stringeva il fianco. Viola, fra le mie braccia, si divertiva a giocare con la mia collanina.
«Sono sicura che sarai un ottimo maestro.», mormorai sul collo di Ed, che mi baciò la fronte.
«Vedremo, Miss Swan, vedremo.»



«Bella, è tutto okay?»
Vediamo, quante volte mi era stata porta quella domanda, in tutta la giornata?
Tante, troppe, innumerevoli e infinite volte.
Alzai gli occhi al cielo, esasperata. «Alice, davvero, sto bene. Non preoccuparti.»
«Mi preoccupo perché sei strana. Che ti succede? È per via di Edward? Guarda, se è colpa sua, basta dirle le cose, che…»
Mi misi a ridere, scuotendo il capo. Ovvio, se c’era qualcosa che non andava era per via di suo fratello. Anche se, in realtà, proprio lui mi faceva sentire meglio, dimenticando Christian e tutti i miei errori.
«Tuo fratello è fantastico, sul serio. Perché dovrebbe fare qualcosa?»
Scrollò le spalle, indifferente. «Non lo so. Però oggi… Non ne ho idea, hai lo sguardo diverso, non so se capisci.»
«Infatti non ho capito.», dissi, aggrottando le sopracciglia. «Se riuscissi a spiegare il tuo concetto, sarebbe più semplice.»
Sbuffò. «Va bene. Ultimamente vedo nei tuoi occhi una luce differente, soprattutto quando Edward ti sta vicino, o ti abbraccia, o anche solo ti sfiora. Anche se, ammetto, che quando ti tocca tu diventi tutta rossa. Però sei diversa, con lui.»
Abbassai il capo, sorridendo imbarazzata. Alice arrivava sempre a comprendere se qualcosa, in me, stava cambiando. «E’ che… Non lo so, Al. Dio, con lui mi sento completa, come se quella parte del mio passato con Christian fosse svanita, o almeno lasciata in disparte, se c’è lui accanto a me. E’ davvero difficile da spiegare.»
La mia migliore amica emise un versetto di gioia per poi abbracciarmi, facendo cadere i festoni che stavamo attaccando ai muri.
«Oh, la mia Bella!», mormorò fra i miei capelli, cullandomi. «La mia Bellina innamorata!»
Ovvio, era una novità, per lei, vedermi perdere la testa per qualcuno. Ma ormai era già un mese abbondante, anzi quasi due, che mi ero accorta di provare qualcosa di più di una cotta per Edward. Quindi, perché dirmelo solo ora?
«Tra parentesi: dove si è cacciato mio fratello, dato che ti ha fatto venire qui da sola?»
«E’ andato a portare Meredith e Viola da Esme, e poi doveva fare una commissione, però mi ha detto che per le sette è qui.»
Alice scrollò di nuovo le spalle, e si arrampicò sulla sedia, prendendo la ghirlanda. «Avanti, finiamo qui che poi ti devo presentare una persona.»
Attaccammo gli ultimi palloncini e sistemammo le decorazioni mancanti, per poi ammirare il risultato finale. Dopotutto, avevamo fatto proprio un bel lavoro.
Di certo Ally non avrebbe potuto fare figuracce proprio alla sua festa di compleanno.
Mentre decidevamo che musica mettere, il campanello suonò e schizzammo entrambe in piedi.
«Vado io!» Alice scomparì dalla mia vista e mi ritrovai a fissare il pavimento, con la schiena contro il muro.
Pochi minuti dopo, lei fece la sua comparsa con accanto suo fratello, che quando mi vide, sorrise.
Il mio cuore iniziò a correre, quasi uscendomi dal petto; il mio respiro aumentò improvvisamente e dovetti calmarmi mentalmente per non saltargli letteralmente fra le braccia.
Lui e i suoi effetti su di me. Mi sarei mai abituata?
«Ciao.» Mi diede un bacio leggero sulla guancia, che avvampò. Tutto il mio corpo stava letteralmente andando a fuoco.
Abbassai il capo, con un sorriso ebete sulle labbra. «Com’è andata? Mary ha fatto capricci?»
«Stranamente no. Era piuttosto tranquilla, anche perché sapeva che stasera si sarebbe annoiata.»
Annuii, abbracciandolo. «Ci saranno solo adulti, sono sicura che con Esme si divertirà di più.»
Alice intanto era sparita, di nuovo, lasciandoci soli. Le braccia di Edward mi circondavano i fianchi, la sua bocca era fra i miei capelli. Tra noi aleggiava tutta la tranquillità possibile che i nostri cuori potessero desiderare.
«E’ arrivato il momento…», sussurrò a se stesso. Di cosa stava parlando? Momento per fare che cosa?
Mi irrigidii e lo fissai sconcertata negli occhi. «Di che…»
«Devo dirti una cosa.»
A quelle parole iniziai ad turbarmi. C’era qualcosa che non andava? Magari riguardava le bambine? O il nostro rapporto?
Appoggiò la fronte contro la mia, carezzandomi il mento. «Non iniziare ad agitarti, però. È una cosa bella, tranquilla»
«Va bene. Allora sputa il rospo.»
Prese un grosso respiro, come per calmarsi e per dire quella rivelazione nel miglior modo possibile.
«Ho trovato un lavoro.»
Sgranai gli occhi, incredula, e avrei scommesso che la mia mascella sarebbe cascata, se non mi fossi ripresa all’istante.
«Co… Cosa? Da quando? Perché non me le hai parlato?» Ero diventata improvvisamente una macchinetta, sfornavo domande alla velocità della luce e gli afferrai la camicia, facendolo sorridere.
Ovvio, mi preoccupavo e lui se la rideva.
«Da oggi. Sono andato a fare il colloquio prima. Mi hanno preso subito.» Potevo leggere la sua gioia attraverso l’emozione che traspariva nella sua voce.
Allacciai le braccia al suo collo e affondai il viso sul suo collo. «E’ fantastico! Dio, sono così felice!»
Rise e depose le sue labbra contro le mie. Avrei voluto piangere e scoppiare di gioia, ma mi trattenni. Da settimane era alla ricerca di un lavoro, anche piccolo, ma che li desse l’opportunità di staccare un po’ la spina e riprendere un’attività. E gli avevo dato il mio appoggio, aiutandolo a cercare fino a notte fonda gli annunci su tutti i giornali di Londra e non solo, e ci addormentavamo sempre stremati sul divano, e non ci preoccupavamo se le nostre schiene chiedevano pietà.
E a me poco era interessato se, soprattutto negli ultimi giorni, ero parsa uno zombie a lezione, con quelle poche ore di sonno in circolo per il corpo, con il cervello che chiedeva pietà ma con il cuore gonfio di speranza per Edward.
Ci tenevo davvero a lui e ai suoi progetti, e in quel momento, quella notizia mi aveva fatto capire che i nostri tentativi erano valsi a qualcosa.
Le nostre bocche si plasmavano, seguendo una la forma dell’altra, e quando qualcuno tossì, richiamando la nostra attenzione, ci staccammo.
«Vi liberiamo una stanza, nel caso voleste anche fare qualcos’altro, piccioncini.»
Emmett ci fissava, tenendo le braccia conserte, e aveva un sorriso soddisfatto stampato in faccia.
«Molto divertente, Emm. Davvero.», commentò sarcastico Ed, stringendomi la mano. Ridacchiai sommessamente per poi abbracciare Rosalie, che mi era venuta incontro.  
«Calma i tuoi bollenti spiriti, Bellina.», sussurrò, dandomi una pacca sulla spalla. Sentii le guance bruciare –di nuovo, e le sfiorai con la punta delle dita.
«Mh, che simpatica, Rose, come sempre.», borbottai, imbarazzata. Alice, al suo fianco, ridacchiò e mi diede un buffetto. «Piccola e innocente Bella.»
«La piantate? Grazie.»
Ridemmo tutte e tre insieme, pensando alla mia reazione. Di certo ancora dovevo abituarmi ad essere soggetto di commenti sulla mia nuova storia.
Piano piano arrivarono tutti gli ospiti e mi sentii subito più tranquilla. Almeno l’attenzione sarebbe stata proiettata sugli altri e meno su di me.
«Bella?»
Da dieci minuti abbondanti ero avvinghiata a Edward e chiacchieravamo tranquillamente, ma in quel momento qualcuno mi stava chiamando e dovetti staccarmi da lui a malincuore.
«Aspetta...», mormorai sulle labbra di Ed, prima di girarmi verso Alice, che teneva sottobraccio un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi azzurri.
«Bella, Edward, lui è Jasper.»
Gli strinsi la mano, cercando di non fargli domande. Conoscendomi, curiosa com’ero, lo avrei messo in soggezione nel giro di pochi secondi.
Edward fece la stessa cosa, guardandolo interrogativo. «Piacere.»
Esaminai il volto di Alice, e capì che le stavo per fare una domanda.
«Lui è… il mio nuovo ragazzo.», mormorò lei, guardando negli occhi l’uomo che le teneva la mano e le sorrideva di rimando.
La mano di Edward si irrigidì intorno alla mia, e dovetti più volte fargli capire con lo sguardo e con gli occhi che andava tutto bene.
«Oh…» fu tutto quello che Ed riuscì a mormorare. Era visivamente spiazzato, e di certo non si aspettava una notizia del genere, non che non fosse gradita, però Alice era la sua sorellina e si sentiva in dovere di proteggerla.
«Alice mi ha parlato tanto di te, Edward.», disse lui sopra la baraonda provocata dalla musica ad alto volume.
«Oh… Spero tutte cose positive!»
Risero entrambi, tranne Edward che era davvero posato. Stava prendendo la questione troppo seriamente, eravamo lì per divertirci…
Jasper ingoiò con difficoltà la saliva e io strinsi la mano di Ed, che si girò verso di me. «Dai, andiamo a prendere qualcosa da mangiare.»
Lui annuì e si scusò con la sorella, per poi seguirmi oltre il lungo tavolo colmo di vivande.
«Ehi…» Presi il suo volto fra le mani e incatenai i miei occhi ai suoi. «Calmati, dai.»
«Bella, è mia sorella… Non posso crederci che un altro uomo sia entrato nella sua vita.», sospirò, e io gli carezzai la guancia.
«Ed, ha compiuto oggi ventisette anni, non è più una bambina…», mormorai, abbracciandolo. «Sta vivendo la sua vita. Prova a immaginare come sarebbe la tua senza di me.»
«Non voglio neanche provarci.» Mi baciò le labbra, facendomi sorridere. Riusciva, sempre e comunque, a essere sdolcinato, anche nei momenti in cui era più agitato.
«Ecco, quindi vedi di fare uno sforzo per Alice. Mi sembra felice, perché non dovresti esserlo anche tu?»
Sorrise. «Hai ragione, come sempre.»
Chiusi gli occhi e mi beai di quel contatto fra noi. Era così bello essere fra le sue braccia: mi faceva sentire sicura, protetta e… amata.
La musica ad alto volume fu un ottimo modo per esternarci dal caos di invitati, e sono al momento della torta riuscimmo a essere più presenti. Anche se, comunque, una parte del mio cervello era andata a farsi un giretto…
Le ultime canzoni furono abbastanza scatenate, e mi meravigliai quando lasciarono il posto ad alcune molto lente e romantiche.
«Ti va?»
Inarcai un sopracciglio, guardandolo. «Dici sul serio?»
«Perché no?»
Risi con lui e iniziammo a volteggiare dolcemente fra le coppiette presenti. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo viso, dai suoi occhi, dalle sue labbra, che erano come un dolce richiamo per i miei pensieri.
«Sei bellissima.»
«Non è vero.», mormorai sul suo petto, e le sue braccia mi strinsero ancora di più.
«Sì, lo sei. Lo sei per me, per Mary, per tutti. Sei bellissima perché sei te stessa, rimani al naturale, non cambi solo per piacere agli altri. Questo particolare lo amo, amo tutto di te.»
Le mie guance si scaldarono e dovetti strusciarle contro la sua T-Shirt per raffreddarle, sebbene l’effetto non sembrasse svanire.
Ballammo per sei, sette canzoni, non tenni il conto, persa com’ero nei suoi occhi. Ogni cosa che faceva mi attirava come una calamita, facendomi perdere la cognizione del tempo nel giro di pochi secondi.
Le persone cominciarono a dissolversi, e ben presto ci ritrovammo solo io e lui, al centro della pista da ballo, a baciarci e a sussurrarci smancerie che fino a poco tempo prima non mi sarei mai permessa.
«Andiamo a casa.», mormorò ad un certo punto sulle mie labbra, e improvvisamente mi sentii impaziente. Non capii il perché, forse era stato il vino, o forse era semplicemente l’effetto di Edward su di me.
Quelli che per la mia mente furono secondi, che in realtà si rivelarono minuti, volarono fra saluti veloci agli ultimi presenti e a una camminata spedita mano nella mano fino all’auto di Ed, mentre il mio cervello formulava pensieri sconnessi, fin troppo difficili per essere tenuti a freno.
Edward mi teneva la mano, guidando tranquillamente per le strade notturne di Londra. Che ora era? Mezzanotte? Le due? O stava quasi per sorgere il sole?
Sinceramente non volevo saperlo, anzi rimanendo all’oscuro mi sentivo più sicura, certa che la notte non poteva essere passata.
«Manca ancora tanto?», domandai, e mi sentii una bambina: ero troppo impaziente di tornare al più presto a casa, solo per essere da sola con lui, senza le bambine.
«Calma.» Mi baciò le nocche della mano, per poi tornare a fissare l’asfalto. Dio, come poteva fare così?
Appena il buio mi circondò, e scesi dalla macchina, sentii le sue mani sui miei fianchi, le sue labbra sulle mie. All’improvviso, il mio stomaco prese ad attorcigliarsi, i miei pensieri divennero confusi e iniziai a non capire più niente, il cervello era annebbiato, un groviglio di immagini mi popolò la mente.
«Bella…», gemette, staccandosi da me. Avevo la mano sul suo petto, e potei perfettamente percepire il suo cuore correre in sincronia con il mio, che sembrava impazzito.
Dio, avevo così tanta voglia di lui… quella sera mi sarei lasciata andare, sì.
Basta pensare al passato, basta tormentarsi con le paure e soprattutto basta Christian. Eravamo solo io e Edward, e in quel momento ero più pronta che mai, cosciente delle mia decisione.
«Sei stanca?», commentò ad un mio sbadiglio, carezzandomi i capelli. Sorrisi timidamente, anche se sapevo benissimo che non lo ero per niente.
La casa era deserta, silenziosa, a differenza di mezza giornata prima. Ed accese la luce delle scale, la sua mano era sempre legata alla mia, e lo seguii fino alla sua camera da letto, dove si tolse la giacca.
«Preparo il letto.», sussurrò, avvicinandosi. Non riuscivo a togliermi quello stupido sorriso che si era marchiato sulle mie labbra.
«Va bene…»
Posò un bacio sulla mia fronte, facendomi sussurrare. «Ho bisogno di qualche minuto…»
Lui annuì e mi lascio fuggire in bagno, dove mi rifugiai. Tutto il mio corpo stava andando a fuoco, faceva ancora più caldo del normale, le mie mani sudavano e tremavano, i miei capelli erano scompigliati e l’unico mio pensiero era cosa diavolo avrei dovuto fare con quell’uomo nell’altra camera che mi metteva gli ormoni in subbuglio, procurando così una festicciola per i miei pensieri.
Mi appoggiai al lavandino, fissando il mio riflesso nello specchio.
Okay… Va tutto bene, pensai, per poi scuotere il capo, ma chi voglio prendere in giro? Non va per niente bene. No, per niente. Cosa devo fare?
Guardai la mia immagine che era lo stereotipo del terrore puro. Sinceramente, mi stavo spaventando di me stessa, e della mia reazione davanti a quello che era successo.
Sciacquai le braccia sotto il flusso freddo del rubinetto, cercando di abbassare la temperatura. Sentivo solo le fiamme addosso, volevo sconfiggerle, almeno prima di…
Scossi il capo, scacciando il pensiero. Non volevo pensarlo, ed ebbi altri ripensamenti. Dio, ero così indecisa…
Una volta non ero così: qualche anno prima non sarei mai riuscita a tirarmi indietro da una situazione del genere, ero sempre stata tenace e anche un po’ troppo sicura di me stessa, forse anche fiduciosa, nel modo più assoluto, degli altri.
E invece avevo proprio sbagliato a concedermi a Christian, eppure in qualche modo mi aveva cambiata, mi aveva reso una donna, mi aveva fatto sentire per la prima volta completa. Ma ero diventata il suo oggetto, e mi usava per il proprio piacere, e non avrei mai voluto, per nulla al mondo, ripetere quell’esperienza.
Ma Edward no, ero certa che mai avrebbe fatto una cosa del genere. Non sarebbe stato effettivamente possibile, non quel viso d’angelo che aveva. Non con quei suoi sorrisi rivolti quando mi faceva un complimento e io arrossivo. Non con quei suoi gesti apparentemente così dolci e sensibili.
Non era il tipo di persona capace di certe azioni, e su questo non ci pioveva. Era chiaro e cristallino come l’acqua che potevo fidarmi di lui.
Che dovevo fidarmi di lui.
Eppure cos’era che mi frenava? Paura, imbarazzo, o solamente i miei ricordi?
Sì, forse erano proprio loro, quei maledetti, a farmi tirare indietro. Non volevano che io provassi nuove esperienze, volevano farmi vivere nell’angoscia e nel terrore del passato, non volevano che io vivessi di nuovo. Come una persona normale. Come una persona amata e che amava.
«Non essere codarda, torna di là.», mormorai. Presi un grosso respiro e tornai nella camera da letto, con le gambe tremolanti. Nel buio riuscivo a scorgere migliaia di puntini luminosi, provocati dalla mia confusione e dal mio stato d’animo.
Ad un tratto, mi trovai davanti alla sua stanza, e quando provai a girare la maniglia, mi accorsi che era chiusa a chiave.
«Posso entrare?»
Bussai un paio di volte ma parevo invisibile. Ma a un certo punto la porta si spalancò e qualcuno appoggiò le mani sul mio viso.
«E-Edward?» Sussultai, impreparata, e il suo fiato caldo mi carezzò l’orecchio.
«Stai tranquilla.», sussurrò, e mi spinse leggermente nell’interno della camera. Un profumo di vaniglia mi inondò i polmoni, e la mia testa iniziò a vorticare, facendomi sentire leggera e disorientata.
Era un odore troppo intenso, quasi mi annebbiava i sensi. Sbattei più volte gli occhi, coperti dalle sue mani, provando ad immaginare cosa potesse esserci di così tanto prezioso da non farmi vedere.
«Quando potrò…»
«Ancora due secondi, per favore.» La sua voce era dolce, vellutata e assolutamente tranquilla, dentro non si trovava una nota che evidenziasse un problema o qualcosa di sgradevole. Era calmo, non aveva fretta.
«Okay… ma perché non posso vedere? Cosa mi stai nascondendo?»
Ridacchiò, scostando una ciocca di capelli dal mio volto. «Perché è una sorpresa, e voglio che tu rimanga sbalordita.»
«Odio le sorprese.», commentai, scettica. «Non ci riuscirai così facilmente.»
Potei immaginarlo scuotere il capo con quel suo sorriso stampato sulle labbra. «Va bene. Ora promettimi che non guardi finché non te lo dico io.»
Sbuffai. «D’accordo, ma non farmi scherzi.»
La pressione che fino a poco prima pressava leggermente sulle mie guance sparì e dovetti reprimere l’impulso di spalancare le palpebre. Dovevo mantenere la mia parola, se lui voleva davvero rendermi felice, in quel modo.
Passarono secondi, o forse minuti, prima che mi accorgessi di un brusio attorno a me. «Edward?»
«Dammi ancora qualche istante.»
Mi ritrovai a sbattere ritmicamente il piede sul pavimento, in attesa di avere una risposta a tutto quello. Ero pronta ad aprire gli occhi per capire cosa diamine stesse combinando, ma nel momento esatto in cui la mia mente formulò quel pensiero, una musica cominciò a propagarsi nella stanza, e io divenni ancora più confusa.
«Ma cosa…»
Le sue labbra si posarono sulle mie, bloccando la mia domanda. «St… Non dire nulla.»
Sospirai, carezzandogli una guancia. «Posso almeno aprire gli occhi?»
Annuì contro la mia guancia, e poi si scostò. Una fievole luce mi costrinse a sbattere più volte le palpebre, sebbene fosse leggera, ma il buio era stato padrone per tanto tempo.
Misi a fuoco l’ambiente circostante e mi accorsi che… c’erano candele ovunque. Sul davanzale, sui comodini, accanto agli armadi e perfino sulla testiera del letto. Decine di piccole fiammelle che danzavano sotto la melodia della canzone.
«Sono riuscito a sorprenderti, o no?»
Non risposi e lui si mise a ridere, evidentemente divertito dalla mia espressione.
«Ma… Come hai fatto?»
«Un uomo non svela mai i propri segreti.», ammiccò. Il suo volto era ancora più bello esposto a quella debole luce.
Alzai un sopracciglio. «Non è che mi nascondi una donna, Cullen?» Venne verso di me, sfoggiando il suo sorriso sghembo che tanto mi faceva impazzire.
«Già gelosi, signorina Swan?» Iniziò a tracciare il profilo del mio collo lentamente, lasciando dei piccoli baci che sulla mia pelle si trasformavano in scie di fuoco.
«N-No…», mormorai, socchiudendo gli occhi. La sua bocca iniziò a torturarmi il lobo dell’orecchio, e le mie mani salirono fra i suoi capelli, stringendoli fra le dita.
Ad un certo punto, si staccò da me per poi fissarmi negli occhi. «Stai bene?»
Aggrottai la fronte, cercando nel suo viso il perché di quella domanda. Che senso aveva farmela ora? Ovvio che stavo bene… forse ero solo agitata, ma dentro di me sentivo tutta l’energia premere per sprizzare fuori dalla pelle.
«Certo che sto bene…»
Sospirò, prendendomi le mani fra le sue. «Voglio solo sapere che lo stai facendo per me, o perché lo vuoi anche tu. Solo questo.»
Fui presa dall’impeto di scoppiare a ridergli in faccia, ma posai solo le labbra sulle sue. «Non sto desiderando altro che questo, adesso.»
Come presa consapevolezza delle mie parole, appoggiò nuovamente la sua bocca alla mia, e cominciarono a modellarsi, come in una dolce danza. Era come scoprirsi per la prima volta, come un contatto mai provato, una nuova sensazione, piccoli tocchi fugaci, timidi, senza alcuna pretesa. Le sue mani si posarono sui miei fianchi, le mie tornarono fra i suoi capelli, ma non perdemmo il contatto che si era stabilito.
Il suo fiato dolce mi inondò i polmoni, lasciandomi completamente spiazzata da come poteva rendermi completa ma allo stesso tempo instabile.
Le nostre lingue schioccarono nel momento in cui si incontrarono, come se si fossero bruciate, come se fossero state trafitte da una scarica elettrica. Mi staccai, giusto per riprendermi, e intravidi i suoi occhi ardere di desiderio tanto quanto il suo corpo stava cercando di dimostrarmelo.
Dolcemente, cominciò a sbottonare la mia camicia, senza distaccare lo sguardo dal mio.
«Il blu ti sta benissimo, te l’ho mai detto?», mormorò, posando un’infinità di piccoli baci sul mio collo. Sentii le guance avvampare quando fu in procinto di slacciare l’ultimo bottone.
«Va tutto bene?», chiese Edward, vista la mia reazione. Annuii solamente, presa com’ero da controllare i miei istinti.
Quando la camicetta fu totalmente aperta, alzò lo sguardo, quasi come a chiedermi il permesso che diedi solo con una veloce occhiata. Fece scivolare velocemente l’indumento dalle mie braccia, lasciando così la parte superiore del mio corpo con solo il reggiseno addosso.
Strano, in un'altra situazione mi sarei sentita sicuramente imbarazzata, invece ora... ora fremevo dalla voglia che avevo di lui.
Prima che potessi di nuovo arrossire, gli sfilai la T-Shirt, e mi stupii di me stessa e dell’audacia, del controllo e della padronanza dei miei istinti che avevo avuto.
«Sei bellissimo…», mormorai, esaminando il suo petto. Indugiando, posai una mano sul suo ventre, e lo sentii tremare sotto il mio tocco.
«Non quanto te, però.», rispose lui. La sua voce era diventata roca, vellutata, così profonda da farmi accapponare la pelle.
La mia pelle appiccò fuoco ancora una volta quando lui iniziò a lambire la pelle della mia spalla, da dietro l’orecchio alla clavicola, girando intorno alla bretellina del reggiseno.
«Meredith… Meredith mi aveva detto quanto tu amassi Adele.», sussurrai, rincorrendo la voce della cantante. Mi era rimasto impresso quel pezzo di conversazione con sua figlia in automobile, quel pomeriggio, e in quel momento stavo appurando la verità di quelle parole.
Percepii il suo sorriso su di me, quasi se si stesse vergognando. «Sai com’è… il sangue e la voce inglese hanno un loro perché.»
Ghignai ma subito dovetti riprendere le redini del mio autocontrollo, e quando provai a slacciarmi i jeans lui mi fermò.
«Voglio che tu me lo ripeta.»
«Che cosa, Edward?» Lo guardai confusa, provando a capire a cosa si potesse riferire. Era il momento di fare domande, quello? A malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti, e lui mi chiedeva certe cose. Da scherzo.
«Dimmi… Dimmi che lo fai per entrambi. Per me quanto per te, soprattutto per te.» Non finì la frase, che si trasformò in un sussurro, e i suoi occhi cercarono i miei, come per trovare una risposta, un ancora a cui aggrapparsi.
Gli carezzai il profilo della guancia, fino al mento, dove mi incantai, per poi tornare un pochino più sopra, sulla sua bocca, su quel suo labbro arricciato, torturato nell’attesa di una risposta.
Un brivido mi risalì la schiena ma non me ne curai. Ero mezza nuda, al freddo, in piena notte, a febbraio, ma il suo sguardo addosso mi faceva prendere fuoco, ogni singola parte del mio corpo ardeva e sprigionava calore.
«Sciocchino, mi pare che ne avessimo parlato pochi minuti fa. Dopo quello che è successo a Maiorca, io voglio riprendere la mia vita, voglio vivere nuove emozioni. Voglio essere travolta da centinaia di sensazioni nuove ma anche vecchie, nascoste nel dimenticatoio. Voglio ritrovarle, assaporarle di nuovo, gustarle fino a che non mi verrà la nausea e vorrò fermarmi, ma sarò troppo ingorda e vorrò ricominciare, e andare avanti così per ore, fino a che non ti stancherai di me. Voglio vivere questa esperienza con te, perché so che ne ho bisogno, perché lo voglio davvero. Perché sento che è un bisogno essenziale, perché senza non potrei vivere. Perché senza di te non potrei vivere. Non ti basta?»
I suoi occhi, diventati di un verde scuro, brillante ma seducente e misterioso, mi scrutarono, come a trovare la verità consolidata nel mio piccolo discorso. Mi morsi il labbro, in attesa di una risposta, che arrivò forse troppo prepotentemente, ma che mi fece girare la testa.
La sua bocca si impadronì ancora una volta della mia, e avrei potuto annegare nel suo profumo, se non fosse stato che si era staccato poco dopo. «Dio mio, come riesci? Come fai a farmi sentire un uomo felice, senza tutti quei complessi da idiota? Mi basta, mi basterà per sempre. Dirti che per me vale lo stesso è insensato e senza logica, perché non sarebbe una replica all’altezza del tuo pensiero. Voglio solo che tu sia felice con me, sempre.»
Annuii convinta, e le sue mani mi arpionarono i fianchi, facendomi indietreggiare verso il letto. Solo in quel momento mi accorsi che era coperto da piccole piume bianche, il copriletto completamente sommerso da chiazze soffici che si insediarono fra i miei capelli.
Mi fece appoggiare dolcemente la schiena al materasso, cercando di non aggravare il suo peso sul mio corpo. La sua lingua aveva lasciato una scia calda sul mio collo, proprio dove le prime due costole si congiungevano, dove c’era quella piccola fossetta nella pelle che lo faceva diventare matto.
«Dio, mi fai impazzire…», mugugnò contro il mio collo; il suo naso mi sfiorava la mascella, la sua bocca mi torturava la pelle.
Succhiò debolmente quel lembo, e mi ritrovai a stringere il lenzuolo fra le mani, gemendo.
«Bella.»
Alzai gli occhi, incontrandoli con i suoi. Ancora una volta mi persi in quella boscaglia scura, insidiosa ma altamente provocante. «Sono qui.»
Mi sbottonò i jeans e io alzai il bacino per permettergli di sfilarmeli. Tutto stava succedendo come esattamente lo desideravo: non c’era urgenza nei suoi movimenti, mi stava aspettando, mi tendeva la mano e io dovevo afferrarla ma non correre con lui, ma fare un passo alla volta.
Cercai le sue labbra, come per fargli capire che stava andando tutto bene. Mi sfiorò la pancia, poco sopra il bordo degli slip, e io tremai, sebbene fosse stato un gesto involontario e veloce.
Le sue mani mi carezzarono dolcemente le gambe, dal fianco al ginocchio, per poi risalire e vezzeggiarmi il volto.
Stava diventando tutto così reale…
La luce flebile delle candele rendeva l’atmosfera ancora più romantica, leggera e illuminava leggermente il volto di Edward. Era una vista celestiale…
«Aspetta… non voglio schiacciarti.» Si staccò e si sdraiò al mio posto, facendomi così stare a cavalcioni su di lui. «Così va meglio.»
La sua battuta mi fece sorridere: riusciva in tutti i modi ad alleggerire la situazione, e in un momento come quello era l’ideale.
Scansò i capelli dal mio petto, e le sue labbra scesero di nuovo sul mio mento. Tracciarono lo stesso percorso di prima, arrivando fino alla spalla, per poi tornare su.
«E-Edward…», mormorai quando la sua bocca arrivò proprio sul bordo della coppa del reggiseno. Baciò e accarezzò lentamente la pelle che era diventata così sensibile da far amplificare ogni sensazione. Le sue mani risalirono la mia schiena, sfiorando ogni vertebra e ogni singola fossetta interposta fra loro.
«Ma non eri proprio tu che volevi dormire?», sussurrai, osservandolo dritto negli occhi. Ghignò compiaciuto, per poi baciarmi. «Non ho alcuna intenzione di farlo.»
Ogni cellula del mio corpo si fermò e prese fuoco nel momento in cui fece scattare il gancetto, senza distaccare lo sguardo dal mio. Socchiusi gli occhi, emettendo un sonoro gemito quando le sue mani mi carezzarono appena i fianchi, l’addome, di nuovo la schiena, e le braccia. La sua bocca si avventò sulla mia, facendomi ancora di più perdere il contatto con la realtà. Sfiorai con la punta della lingua la sua, provocando così una scarica elettrica ad entrambi. Su di me, percorse la spina dorsale, per poi irradiarsi sul petto, facendomi tremare sotto il tocco di Edward.
Abbassò le spalline del mio reggiseno, facendole scorrere delicatamente lungo le mie braccia. Essere davanti a lui, senza più quell’ostacolo, mi rendeva nervosa. Era tanto tempo che non mi mostravo così ad un uomo, e forse, proprio perché si trattava di Edward, non riuscivo a tranquillizzarmi.
Il mio respiro aumentò improvvisamente, e la sua mano si posò appena poco sopra il mio seno sinistro, proprio sul cuore. «Calma, amore.»
Annuii e feci sì che le nostre labbra si toccassero di nuovo, che i nostri fiati si mischiassero di nuovo, che le sue mani ritornassero sul mio corpo.
Lo sentii sfiorare il mio petto, le sue dita sotto la mie braccia, la sua bocca scese lentamente verso il basso, lambendo la pelle tesa del collo, del torace. Baciò dolcemente l’incavo fra i seni, facendomi stringere il lenzuolo, la sua lingua mi carezzò appena i capezzoli, e tutte le emozioni che stavo provando mi fecero tremare e contorcere.
«Oddio…», sussurrai, cercando di trattenere i  gemiti. Intanto, ero scivolata di nuovo sotto di lui, con un gesto lento. Allacciai le braccia al suo collo, la sua testa ancora abbassata verso il mio petto.
Inspirai il buon profumo emanato dai suoi capelli. Riuscivo a sentirlo nonostante l’aroma eccessivo di vaniglia che continuava a regnare nella stanza. Sapevano di muschio, di caffè, di borotalco… Di lui. Solamente e fantasticamente di lui, di quell’odore che mi si impregnava addosso durante la notte, quando mi stringeva nel sonno, che mi sfiorava le guance, che stava assaporando ogni centimetro di pelle scoperta che avevo.
«Bella, apri gli occhi, amore.»
Come incatenata dalla sua voce, obbedii, e mi ritrovai ben presto a salutare la buona ragione che mi aveva abbandonato proprio quando ritornai a contemplare il viso di Edward.
«Sto bene, davvero…» Sbattei più volte le palpebre, nel tentativo di mettere a fuoco la sua immagine. Sulle labbra aveva un sorrisino compiaciuto, le sue mani mi stavano accarezzando i capelli sparpagliati sul cuscino.
In realtà, stavo più che bene. Sarà stata la situazione, ma in quel momento capii perfettamente che non ero mai stata più felice, neanche con Christian.
Oddio… Perché lo stavo paragonando a Edward? Ed era centomila volte meglio di Chris, lo sarebbe sempre stato. La sua dolcezza, i suoi sguardi, i suoi baci mi riempivano l’anima, e ci erano riusciti in appena quattro mesi. Con Christian, nei primi quattro mesi c’erano stati appena un paio di carezze.
In poche parole, Edward gli faceva un baffo.
Ricongiungemmo le nostre labbra, in un bacio completamente diverso dagli altri. Non esistevano parole per descriverlo, nessun’espressione poteva rendere l’idea. Conoscendomi, era un grande passo avanti, data la mia insicurezza.
Ma ero con Edward: lui credeva in me, e io in lui. Niente mi importava di più che quel pensiero.
Gli sfiorai la mascella, il collo, il pomo d’Adamo abbastanza prominente con la bocca. Piccoli tocchi e carezze che gli fecero chiudere gli occhi. Solo in quel momento mi accorsi davvero del profumo della sua pelle, di quanto fosse morbida e vellutata, quanto fosse così simile a come me l’ero sempre immaginata.
Tutto di lui mi apparteneva: i suoi occhi, la sua pelle, le sue mani, i suoi gesti, i suoi sguardi, i sorrisi, le carezze.
Era mio. Edward era mio.
Mi sentii egoista a pensarlo, ma viste le circostanze non mi fu difficile capire che era tutto vero.
Ed io ero sua, totalmente e fedelmente sua, lo ero e lo sarei sempre stata.
Con le dita tracciai la sagoma dello sterno, scendendo giù fino al suo ombelico, lì dove la pelle era più tesa, dove potevo sentire se tratteneva il fiato, dove sentivo il suo stomaco pieno di farfalle come il mio.
Gli sbottonai i jeans, lasciandolo alzare per disfarsene e per poi tornare di nuovo su di me. Ci stavamo lentamente lasciando andare, i nostri istinti non più controllati stavano prendendo il sopravvento, il nostro amore stava decollando. Le nostre mani si allacciarono per un istante, per poi dividersi. Le sue tornarono accanto al mio viso, le mie sui suoi fianchi.
Le nostre labbra si unirono, iniziando quella danza che ci pareva tanto familiare ma in realtà più sconosciuta che mai. Tutte le mie terminazioni nervose vibrarono a quel contatto e lo sentii scendere fino ai miei fianchi.
Feci la stessa cosa, e iniziai a giocherellare con l’elastico teso dei suoi boxer. Socchiusi gli occhi, lasciando andare un sospiro colmo di frenesia, e lui se ne accorse, baciandomi così il collo.
«Bella…»
«Stt…», sussurrai, appoggiando il naso contro il suo, le nostre fronti a contatto.
Presi coraggio e provai ad abbassargli l’intimo, ma lui fu più veloce e lo fece al posto mio. Ora era totalmente esposto al mio sguardo, e c’era solo un ultimo ostacolo che mi divideva dall’essere nella stessa situazione.
Edward chinò di nuovo il capo sul mio petto, succhiandomi avidamente un seno. Strinsi i suoi capelli di seta fra le dita, increspandoli; intanto inclinai la testa all’indietro e socchiusi gli occhi, sentendo le sue labbra su di me.
«Edward, ti prego…»
Mentre con una mano mi accarezzava il seno, che si gonfiava sotto il suo tocco, l’altra scivolò fra le mie cosce e io mi irrigidì.
«Bella?»
«S-Sì?», mugolai, e provai a guardarlo nonostante il piacere che stavo provando. Eppure non avevamo fatto praticamente nulla, niente a confronto a quello che sarebbe successo poco dopo.
«Posso?», mi chiese in un sussurro, e io annuii veloce. Non doveva chiedermi il consenso, non in un momento come quello.
Ero accecata dall’appagamento dei sensi, da quel mix di sensazioni che si stavano ampliando nel mio corpo.
Percepii gli slip scivolare lentamente sulle mie gambe e il tocco di Edward mi fece ancora di più vorticare la testa. La sua bocca ancora sul mio petto, sul mio collo, sulle mie labbra. Le mie mani lungo il suo addome, sui suoi fianchi, su quella “V” perfetta.
Gentilmente, la sua mano iniziò a massaggiarmi le cosce e quando fui abbastanza rilassata, si sistemò fra loro.
«Voglio che tu sappia una cosa.» Si era fermato, solo il suo guardo sul mio, nessuna intenzione di proseguire.
«D-Dimmi…»
«Amore, io non ho alcuna intenzione di ripetere ciò che ti ha fatto Christian. Non potrei neanche lontanamente immaginare tutto il dolore che ti farei provare, perché io non voglio farti del male. Io voglio che tu sia felice, con me. Voglio che tu sia accondiscendente in tutto, voglio avere il tuo parere, il tuo permesso. Sento che tu mi ami per quello che sono davvero, e non mi chiedi di cambiare per piacerti. Io ti ringrazio per questo.»
Le lacrime che si erano formate nei miei occhi scesero impetuose sulle mie guance, facendomi singhiozzare. «Edward…»
Delicatamente, cancellò via ogni traccia di tristezza dal mio volto, sfiorandomi le guance con la punta delle dita. «St…»
«Io… io ti darò sempre il permesso. Sai già le risposte e non serve che io te le ripeta.»
«Fammi solo… fammi entrare nel tuo cuore, ti prego.», sussurrò sulle mie labbra e io le catturai in un bacio che sembrava suggellare la mia risposta.
«Sei già entrato nel mio cuore, da tanto tempo.»
La sua bocca tornò sul mio collo e lo sentii premere su di me, ma lo fermai.
«A-Aspetta…»
«Se ti stai preoccupando per quello, ho già messo una protezione.»
Quando l’aveva fatto?
«Non… Non è per quello.»
«E allora per cosa?»
Sospirai, fissandolo dritto negli occhi. «Ho bisogno… Che tu mi dia tempo.»
Sfiorò con le labbra la mia spalla nuda, strusciando il naso nell’incavo del mio collo. «Tutto il tempo di cui hai bisogno. Ho bisogno che tu sia accondiscendente, voglio che tu sappia che se qualcosa andrà storto…»
«Io mi fido di te.», mormorai, carezzandogli il viso. Come se le mie parole fossero state una formula magica, tornò a baciarmi, con più passione questa volta, e in quel momento capii che potevo anche lasciarmi completamente andare: ero pronta, per lui lo ero sempre stata, avevo solo bisogno di aspettare il momento giusto.
«Devi… Devi solo andare piano, tutto qui…», sussurrai, la sua bocca sul mio seno.
Erano nuove sensazioni, o meglio: erano solo state dimenticate, di proposito. Dopo tanto tempo ero riuscita di nuovo a concedermi ad un uomo, essere me stessa e provare ad amare di nuovo.
Edward mi faceva sentire così: amata, desiderata e soprattutto, riusciva a farmi dimenticare quello che avevo vissuto con Christian.
Dolcemente, mi fece divaricare ancora un po’ le gambe, sempre carezzandole con la punta delle dita. Mi sembrava quasi di essere in un sogno, le sue braccia mi avvolgevano e le sue mani mi sfioravano continuamente.
«Se ti faccio male… mi fermo, okay?»
«Tranquillo, ti avviso, ma tu non fermarti.»
Cercò di nuovo il mio sguardo: un altro permesso, che io detti annuendo appena.
Lo sentii premere appena contro di me, per poi iniziare delicatamente a farsi strada. Fui costretta a socchiudere gli occhi, e mi arpionai alle sue spalle, conficcando le unghie nella sua pelle morbida.
Allo stesso tempo, però, corrucciai il viso in una smorfia, e Edward fece per uscire, ma lo fermai, tenendolo per un braccio: se non fosse andato avanti, non avrei potuto sconfiggere quel dolore, anzi fastidio che provavo al basso ventre.
La sua bocca, intanto, era sulla mia, le nostre lingue si intrecciarono. La mia disegnò il profilo dei suoi denti, degli angoli della sue labbra e loro stesse.
«Vai… Vai avanti.», sussurrai, e il suo bacino cominciò ad avvicinarsi sempre di più al mio, il suo calore irradiarsi all’interno del mio corpo.
«Ti sto facendo male?»
«N-No…», mentii, ma in quel momento non badai al fastidio prolungato. «Continua.»
«Sicura?»
Gli carezzai il viso, annuendo un poco. «Io mi fido di te.», ripetei, sentendolo sprofondare sempre di più dentro di me.
Mi morsi il labbro, nel tentativo di soffocare un gemito, e dolcemente cominciò a colmarmi. Non mi mossi, perché non avevo la benché minima intenzione di perdermi ogni singola scarica elettrica che mi stava donando.
«Oddio, Bella…»
Sapevo cosa stava per dire, ma lo bloccai. «St… Zitto, non dire nulla.»
Rimase qualche secondo fermo, sfiorandomi con la punta delle dita i fianchi.
«Puoi… puoi andare avanti…»
Mi sorrise nella penombra ma prima che potesse muoversi sopra di me, indicai lo stereo, le sue labbra di nuovo sulle mie.
«Edward… canta per me, ti prego.»
Era una richiesta strana e forse poco adatta alla situazione, ma vidi di nuovo il suo sorriso e capii che dopotutto l’avrebbe fatto.
Avrebbe fatto qualunque cosa per me.




Would you dance if I asked you to dance?

«Balleresti se io te lo chiedessi?», mormorò sulle mie labbra, in un sussurro quasi impercettibile.
«L’ho già fatto, ogni volta che me lo chiedesti.»

Would you run and never look back?

«Correresti senza mai guardare indietro?»
La sua mano mi carezzò il viso, le sue dita scesero lungo il mio collo e sfiorarono il mio seno.
«Sì…» Non riuscivo neanche più a rispondere in modo comprensibile.

Would you cry if you saw me crying?

«Piangeresti se mi vedessi piangere?»
«Non c’è bisogno che io ti risponda…», ribattei, assecondando ogni suo movimento.
Una frase, una spinta dentro di me, una spinta nella mia anima. Ero letteralmente in un brodo di giuggiole.

Would you save my soul tonight?

«Salveresti la mia anima stanotte?»
Una lacrima sgorgò dai miei occhi e scese lentamente il profilo della mia guancia; Edward la cancellò posandoci sopra le labbra.
«Sì, lo farei, non solo stanotte, ma per sempre.»
Di nuovo quel sorriso, di nuovo un battito perso. Dio, come potevo ragionare in quel modo?
In realtà mi era pressoché impossibile combattere per rimanere lucida, non quando la sua voce mi procurava più piacere che le sue spinte.
Forse perché era roca, un sussurro appena riconoscibile, un sospiro sulla mia pelle, sulla mia bocca.
Non quando le sue mani mi carezzavano il volto, il seno, il ventre, non quando le sue dita mi sfioravano ovunque mandandomi in estasi.
Era tutto così dannatamente perfetto da essere irreale, e Edward era tremendamente sexy da rischiare la galera.

Would you tremble if I touched your lips?

«Tremeresti se io toccassi le tue labbra?»
Lo guardai intensamente negli occhi, lottando con tutta me stessa per mettere a fuoco il suo viso. «Certo, certo che tremerei.»
Mi baciò con trasporto e come se fosse stata una prova alla mia risposta, tremai sotto di lui. «Hai visto? Tremo ogni singola volta che mi sfiori.»
Un altro bacio, una nuova emozione sulla pelle, nel cuore, dentro di me, proprio dove lui stava iniziando a vivere.

Would you laugh…

«Rideresti? Oh ti prego dimmi di sì.»
Mi lasciai scappare un risolino, forse dovuto al fatto che, mentre pronunciava quelle parole, emise un gemito sonoro.
«Vedo che approvi…», ridacchiò, stringendomi con amore la pelle del fianco fra le dita.

Now would you die for the one you love?

«Moriresti per la persona che ami, ora?»
Mugolai sulla sua bocca, aggrappandomi alle sue spalle, come per salvarmi e rimanere per quel poco che mi rimaneva nella realtà.
«Morirei ogni giorno per te, sempre, Edward, sempre.»
«Ripetilo…»
Cominciavo a far fatica a stargli dietro, ma non volvevo abbandonarmi inerte sul materasso, presa dall’appagamento.
«Co-Cosa?»
«Ridi’ il mio nome, ti prego…»
Gemette sul mio collo, cercando di non pesarmi troppo, e io tremai ancora di più a sentire quei suoi versi.
«Edward. Edward, Edward, Edward.», ripetei come una nenia, contro la sua spalla. Intanto, la musica di sottofondo continuò ma non ci badammo più, presi com’eravamo dal controllare i nostri sussurri.
Le sue spinte erano lente, dolci, ma profonde allo stesso tempo e non potei non attorcigliare le gambe attorno al suo bacino, facendolo cozzare con il mio.
Mi fissò per un lungo, interminabile, secondo che mi parve infinito, forse per chiedermi qualcosa.
«Vai... Tranquillo.»
«Non ti senti male?»
«Assolutamente… no. Vai, davvero. Sono completamente tua, adesso.»
Prese coscienza delle mie parole e sprofondò più velocemente, cogliendomi di sorpresa. Erano tutte emozioni dimenticate, in quei tre anni, ma che adesso stavano tornando per farmi rivivere.
Nell’aria, oltre alla musica in sottofondo, si sentivano solo i nostri respiri affannati e i nostri gemiti appena sussurrati sulle labbra, niente e nessuno in quel momento poteva separarci, neanche una delle più grandi catastrofi.
«Bella…»
Dischiusi gli occhi, tenuti per tutto quel tempo chiusi, e lo osservai attentamente: stava mantenendo tutto il proprio autocontrollo per fare piano e non diventare improvvisamente brusco.
«S-Sì?»
Gli carezzai la vena sulla fronte, che in quel momento si era così tanto gonfiata per lo sforzo, provando a rimanere il più cosciente possibile, anche se era ben impossibile dati i suoi movimenti e i miei sussurri.
«Ti… Ti… Oddio, Bella.»
Avevo quasi del tutto compreso cosa stesse per dire, e non poteva fermarsi così, non poteva. Dovevo saperlo, dovevo sentirlo con le mie orecchie.
«Cosa, Edward? Di-Dimmelo…»
Appoggiò la fronte alla mia, cosicché i nostri occhi potessero legarsi indissolubilmente. «Ti amo, Bella. Ho sempre saputo di amarti, sempre, ma non ho mai avuto il coraggio di dirtelo. Io ti amo, più della mia stessa vita, sei tutto per me.»
A quelle parole, iniziai a singhiozzare di gioia e d’impeto gli circondai il collo con le braccia.
«Oh… Ti-Ti amo anche io, Edward, anche io.»
La sua mano scivolò sotto il mio fondoschiena, sollevando così il mio bacino, e con un’ultima, penetrante spinta fu totalmente dentro di me. Mi sentivo finalmente completa, come mai era successo prima.
Eravamo due tessere dello stesso puzzle, nate per essere congiunte e mai più divise, proprio come in quel momento, dove sembravamo un unico corpo. Eppure eravamo sudati e ansimanti, una che si reggeva all’altro.
«Posso essere il tuo eroe, piccola.»
Gradualmente e deliziosamente mi portò fino al bordo della massima sopportazione, fino a che non mi lasciai andare e sprofondai sul materasso, graffiandogli le spalle e stringendo i suoi capelli serici fra le dita, tirandoli.
«Oddio, Edward…»
Soffocò il mio urlo, posando le labbra sulle mie, per poi accompagnarmi in quella dolce danza che presto ci avrebbe sfiancati.
«Ti… Ti amo, Bella.»
«Ripetilo, ancora, ancora…»
«Ti amo, ti amo, ti amo.», mormorò sul mio petto, baciandomi un’ultima volta prima di adagiarsi su di me.
«Sì, sii il mio eroe…», sussurrai, socchiudendo gli occhi e beandomi del suo calore, e della sua bellissima voce cantarmi le ultime note della canzone.
Di quella che divenne la nostra canzone.

I can be your hero baby
I can kiss away the pain
I will stand by you forever
You can take my breath away
___________
Awwwwww io sono di poche parole awwwwww
Ci credete? Ed e bella hanno.... awwwwwwwwww.
La smetto, jamme.
Cmq vi lascio il Profilo FB e il gruppo FB
Me la lasciate una recensioncina? E' la prima volta che scrivo una cosa del genere e quindi... fa nu pocho schif, jamme.
Cmq, spero di farvi leggere il nuovo capitolo molto presto <3
Stay Tuned
Kiss,
Giuly :*

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Abbiamo stanotte, chi ha bisogno di domani? ***


Ascolta il tuo tema

Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 13: Abbiamo stanotte, chi ha bisogno di domani?.


BELLA.

L’unica cosa che in quel momento volevo davvero, era che la notte non finisse mai.
Non quando trascorreva in uno dei modi più dolci e romantici che potessero esistere, non quando la persona che ti amava ti era accanto e non quando tutto era perfetto.
Edward mi carezzò la spalla, guardandomi intensamente negli occhi. La sua espressione era carica di amore, mi colmava totalmente, sia il cuore, sia l’anima, ma anche fisicamente.
Avrei voluto congelare quell’immagine per poterla portare sempre con me, ovunque io andassi, ma mi si era impressa nella mente e non c’era modo per eliminarla, e di quello ero felice.
Finalmente avevo trovato qualcuno che mi amasse per quello che ero, che mi accettasse per i miei pregi e difetti, paure e insicurezze.
Non mi serviva nient’altro che Edward, quella notte. Lui mi bastava, mi rendeva felice, e mi soddisfaceva.
Sarebbe potuto crollare il mondo, ma ero fra le sue braccia, felice, appagata, pronta a vivere ancora e ancora, al suo fianco.
Eravamo solo io e lui, avvolti dall’oscurità, con ancora qualche candela accesa, che osservai fino ad addormentarmi abbracciata a Ed, scaldata dal battito del suo cuore.


Battito.
Respiro.
Un secondo battito, un secondo respiro.
Quel ritmo non dava segno di finire, io non avevo alcuna voglia di aprire gli occhi.
Un bacio sulla nuca, una carezza sulla spalla, un sussurro nell'orecchio.
Il fruscio delle lenzuola, spiragli di luce, attimi che scorrono.
Non riuscivo a credere di star vivendo davvero, almeno non di nuovo, non come una volta.
Qualcosa mi sfiorò la fronte, finendo poi fra le ciocche disordinate di capelli.
Fa' che questo bellissimo sogno non finisca qui.
«Ehi...»
Sentii un soffio proprio sopra le mie labbra, ma la voglia di non aprire gli occhi era enorme tanto quanto quella di rivedere il suo viso a pochi centimetri dal mio.
«Vuoi rimanere qui tutto il giorno?»
D'istinto sorrisi, strizzando gli occhi. Fosse stato per me, non avrei mai interrotto quel momento, così perfetto e speciale come pochi nella vita.
«Per me non ci sarebbe problema... Se usassimo il tempo per cose molto utili.»
Colsi nella voce di Edward quel pizzico di maliziosità che mai prima di allora mi era capitato di scorgere. Poche volte aveva fatto battutine a doppio senso, eppure in quell'attimo subito capii che era cambiato qualcosa, nel giro di qualche ora.
La sua mano scivolò lungo il mio addome, procurando così un leggero solletico; le altre dita si intrecciarono fra i miei capelli, le sue labbra si posarono sul mio collo per poi scorrere lente fino alla giuntura delle prime costole allo sterno.
Inarcai di poco la schiena, sfiorando la sua. «Mh...»
Percepii il suo respiro sul profilo della mia mascella, la sua bocca sul mio mento, le sue mani in giro per il mio corpo, ma in ogni caso non aprii gli occhi.
Lentamente, mi mordicchiò il lobo, e rise vedendo che non dicevo nulla. In quel momento, cercai a tentoni il suo petto con la schiena, e quando lo trovai mi ci adagiai contro.
«Allora vuoi veramente passare la mattinata a letto...»
Stropicciai il naso e presi con delicatezza la sua mano che era adagiata sulla mia spalla. «Ti prego...»
Sentii un fastidio molto accentuato, ma non ancora fastidio, dove posai il palmo aperto di Edward, nel tentativo di placare quel disturbo.
«Okay, allora riposati, amore.» Evidentemente, aveva ben capito cosa avevo, e del perché non reagivo alle sue intenzioni.
Ascoltai con poca attenzione le sue parole che scorrevano sopra il mio collo, e che si sperdevano nell'aria intrisa di vaniglia.


EDWARD.

Il mio cuore aveva preso a palpitare quasi con la stessa velocità dei battiti d'ala di un colibrì, facendomi sentire leggero, leggerissimo.
E tutto quello era accaduto nel giro di poche ore, così veloce da farmi perdere completamente la cognizione del tempo e la ragione, rendendomi instabile, ma estremamente innamorato.
Sì, ero innamorato, follemente innamorato. Mi ritrovai a paragonare Bella con Tanya, ed erano distanti anni luce l'una dall'altra.
Anche fisicamente, erano molto diverse.
Una bionda, e altra bruna. Una con gli occhi chiari, azzurri cristallini come il cielo terso estivo, l'altra con due pozze di cioccolato fondente fuso, con qualche pagliuzza dorata all'interno.
Psicologicamente, erano come il sole e la luna. Tanya, decisamente eccentrica e intenta a essere sempre al centro della situazione, impaziente per tutto, frettolosa, permalosa e soprattutto, era un cane che si mangiava continuamente la coda.
Bella, la ragazza modesta cresciuta in una famiglia che poteva darle tutto, ma non chiedeva mai nulla; insicura, dolce, sensibile, impacciata ma riusciva a essere perfetta in ogni sua azione.
Era chissà quante volte meglio di Tanya.
Vederla riposare, con il lenzuolo leggero appena posato sopra il suo corpo candido e minuto, era uno spettacolo indescrivibile, sembrava quasi una bambola di porcellana; il respiro si era fatto regolare, il viso, così rosso e affannato fino a qualche ora prima, adesso era di nuovo sereno e roseo, con un piccolo sorriso sulle labbra.
Ero pronto a poter rivivere lo stesso senso di benessere di qualche ora prima, ma quando lei mi aveva chiaramente fatto intendere che non se la sentiva, avevo deciso di lasciar perdere. Doveva essere sfinita, lo avevo intuito da quel suo gesto così dolce ma che suonava come un'implorazione: il fatto che mi avesse preso una mano e strofinata proprio dove qualche ora prima c'ero stato io, aveva dichiarato il suo stato d'animo.
Le carezzai i capelli lunghi sparpagliati sul cuscino bianco; se ne stava prona, con le braccia intrecciate sotto il guanciale. Storse leggermente il naso, per poi voltarsi dall'altra parte.
La sveglia segnava le otto e trenta; flebili raggi di sole filtravano attraverso le persiane, ancora chiuse, e disegnavano forme sulla schiena nuda di Bella. Le posai un bacio tra le scapole, e un altro in mezzo alla schiena; rabbrividì ma non si mosse, e la lasciai riposare.
Dovevo sembrare uno scappato di galera, vista la nottata passata a fare tutt'altro che dormire.
Continuai a pensare per un tempo infinito a quello che era successo durante la notte. Non mi ero mai sentito così vivo, nemmeno quando stavo con Tanya, e fare l'amore – fatta eccezione per gli ultimi mesi, era qualcosa di appagante ma anche liberatorio.
Con Bella, era tutta un'altra storia. Non c'era stata fretta, tutti i gesti erano stati a lungo pensati, non ci furono riconsiderazioni, dubbi, paure. Ci sentivamo liberi, non costretti in una morsa; avevo amato Bella fra le mie braccia come non avevo mai fatto con nessuna donna prima.
Le sue labbra, i suoi movimenti, i suoi sospiri, i nostri gemiti confusi nell'aria impregnata di vaniglia, che per ore aveva reso l'atmosfera ancora più romantica. Le mie mani sul suo corpo, le nostre bocche vicine e congiunte, le frasi sussurrate a fior di pelle.
Strisciai silenziosamente in cucina, deserta e illuminata dalla luce del sole che entrava dalla grande portafinestra affacciata sul terrazzo.
Decisi di preparare qualcosa per colazione, certo del fatto che, quando si sarebbe svegliata, Bella avrebbe confabulato il suo desiderio di cibo, come tutte le mattine.
Amava i pancake che, assiduamente, mi chiedeva e che io le cucinavo; ne andava letteralmente pazza, e se non ci fossi stato io, tutte le volte, a calmarla, ne avrebbe mangiati a tonnellate.
Cucinare senza avere brusii attorno era rilassante ma allo stesso tempo dava quella tipica idea di solitudine, che io odiavo. Accesi la radio che tenevo sempre a portata di mano, impostando il volume a livelli molto bassi, giusto per avere un sottofondo musicale che mi tenesse compagnia.
«Mh, che buon odore.»
Sussultai quando sentii una voce estranea, e quando mi voltai trovai Bella proprio sull'uscio, che si aggiustava la camicia – la mia camicia, e che si sistemava i capelli arruffati.
«Buongiorno, dormigliona.» Le sorrisi, e ricambiò il gesto; il mio cuore perse un battito, vedendola così... felice.
«Buongiorno.», borbottò, stropicciandosi gli occhi, ancora appiccicati dal sonno. Sotto la camicia, indossava un paio di slip chiari; i bottoni della maglia erano sfalsati, ma non glielo feci notare né se ne accorse.
Quando si avvicinò di più, le sfiorai con la punta delle dita la pancia, giocherellando con il tessuto; prese la mia mano fra le sue e si accostò a me, poggiandosi al mio petto.
Come due calamite, le nostre labbra si scontrarono, prima delicatamente, poi presero a inseguirsi sempre più.
«Sto morendo di fame.» Bella si staccò, massaggiandosi lo stomaco.
«Allora siediti, su.», la incalzai, spingendola leggermente verso il tavolo. Le diedi il piatto colmo di frittelle, passandole poi la salsa di acero e la cioccolata fusa.
«Secondo me, tu sei dotato di telepatia.», gorgogliò, prendendo con la forchetta il primo boccone. «Riesci sempre a capire cosa voglio.»
Risi, prendendole il mento fra le dita. «È un dono naturale, mademoiselle.»
«Dici?», sorrise, posando un veloce bacio sulle mie labbra. Annuii convinto, ammirando i suoi bellissimi occhi. «Oh, già.»
Versò sopra i pancake una generosa dose di cioccolato fuso, fissandomi. Forse pensava che avrei dovuto dirle “basta così”, eppure non lo feci. Ultimamente mangiava più del solito, e a me non interessava, perché se lei era felice così, lo ero anche io.
«In ogni caso, sono venute veramente buone.»
Sorrisi, e preso da uno strano istinto, adagiai la mia bocca contro la sua, macchiata di cioccolato. Rispose al bacio, e subito l'unico neurone che era rimasto sano, nella mia testa, se ne andò a farsi benedire.
«Mh, sulle tue labbra sono ancora meglio.», sussurrai e lei lasciò andare le posate per circondarmi il collo con le mani.
«Sul serio?»
«Oh, beh», mormorai, carezzandole la pelle tesa dell'addome. «Puoi ben scommetterci.»


BELLA.

Di sicuro, il buongiorno si vedeva dal mattino, senza ombra di dubbio. Anche se non avrei mai pensato da un risveglio così dolce, perfetto, come solo Edward poteva regalarmi.
Non era la prima volta che mi ritrovavo con una marea di farfalle nello stomaco, che svolazzavano imperterrite, facendomi sentire così insicura di me stessa.
Era successo tante volte, quando stavo con Christian, di non sentirmi mai veramente pronta ad accoglierlo, ad amarlo, eppure lui era così sereno, tranquillo... Quasi non se ne accorgeva. E quindi dovevo lasciarmi andare, lasciarmi colmare dai suoi modi bruschi, fingere, a volte, di provare veramente piacere... Una delle cose più infami che mai potrebbero capitare in una coppia.
Ma Edward... No, lui non ci riusciva, neanche se lo avessero mai pagato avrebbe deciso di amarmi con le cattive maniere; lo avevo capito la sera prima, quando aveva acceso tutte quelle candele, quando l'aroma di vaniglia circondava i nostri corpi, aveva lasciato al caso che tutto accadesse naturalmente, amorevolmente, liberamente.
Poter sentirmi viva, dopo tanto tempo, era una specie di sollievo; poter amare di nuovo era un miracolo, sapermi accettare per quel che ero era una benedizione, lasciarmi amare era la fine del mondo, tutto quello che potevo veramente desiderare.
E ce l'avevo, finalmente. Tra le mani, nel corpo, nella mente.
Nel mio cuore, che ora batteva impazzito, sotto il tocco speciale di quell'uomo che tanto mi amava.
«Edward...», ebbi la forza di mugolare, ma lui mi zittì posando le labbra sulle mie.
«Shh, non dire nulla.», mormorò, portando le mani sotto le mie cosce. Mi sollevò, dolcemente, per poi adagiarmi sopra il bancone della cucina.
Era come essere in un film, dove i personaggi fanno sesso in cucina, noncuranti del fatto di poter essere visti o scoperti. Sì, con Edward era una cosa del genere, ma nessuno ci avrebbe visto né scoperto, e soprattutto non avremmo fatto sesso, ma ci saremmo amati come due persone che si conoscono da anni, come due anime perfettamente uguali.
Percepire la sua bocca contro la mia era come poter bere nel deserto, era una specie di droga, qualcosa da cui diventi dipendente, da cui non vorresti mai separarti.
«Hai freddo?», sussurrò, vedendomi rabbrividire. Scossi il capo, carezzandogli le mani che teneva sui miei fianchi.
Continuammo a baciarci, stringendoci a vicenda, sfiorandoci e accarezzandoci. Qualche secondo dopo, ci ritrovammo sul letto sfatto, con le mani in giro per il corpo, i capelli scompigliati, il fiato corto.
Le sue dita sfilarono agili i bottoni dalle asole, delicatamente abbassò la camicia. Con i polpastrelli percorse il profilo dello sterno, il suo respiro bruciava sulla mia pelle.
Lasciò una scia di baci lungo tutto l'addome, gli strinsi le spalle, chiusi solo gli occhi.
«Che c'è?»
Mi accarezzò la spalla ormai nuda, costringendomi a guardarlo. «Niente.»
Adagiò le labbra sulle mie, mordendomi quello inferiore. Poco dopo, ci ritrovammo completamente esposti allo sguardo dell'altro; posò un dolce bacio sul collo, la sua mano mi carezzò una coscia.
«Non ti senti indolenzita? Non hai nemmeno un po' di dolore?»
Scossi il capo, mentendo spudoratamente. Il fastidio al basso ventre continuava a essere accentuato, ma non mi importava, non quando Edward mi accarezzava, baciava, toccava in quel modo.
La sua bocca tornò sulla mia e amabilmente, dolcemente, perfettamente e semplicemente si unì a me. I nostri corpi combaciavano come due tessere di un unico puzzle... Un'altra prova del fatto che ci completavamo, insieme.
«Ti faccio male?»
Edward, il solito iperprotettivo, che si preoccupava di tutto, anche in un momento come quello...
Non risposi e lasciai che ci amassimo nel migliore dei modi, gemendo sulla bocca dell'altro, accarezzandoci, mormorando parole sconnesse.
«Ti ho già detto quanto ti amo?», sussurrò contro il mio collo, sprofondando sempre di più dentro di me. Ridacchiai fra i gemiti, arpionandogli le spalle per riuscire a mantenere quel minimo di lucidità.
«Sì, amore...»
La sua mano scivolò fra le mie cosce, sfiorando appena il punto dove eravamo uniti, di nuovo. «E allora te lo ripeterò per sempre.»
Mi baciò entrambi i seni, e sussurrò “ti amo”.
Mi pizzicò la pelle del ventre, e mormorò “ti amo”.
Posò le labbra sulle mie, in un dolce e lento bacio, e disse “ti amo”.
Mi prese le mani, chiudendo gli occhi quando il piacere fu troppo elevato, e emise un “ti amo” appena accennato.
Mi guardò negli occhi, e pronunciò “ti amo”.
Appoggiò il capo sul mio seno, affannato, il fiato spezzato, il corpo imperlato di un leggero strato di sudore. Presi ad accarezzargli i capelli ispidi sulla nuca, socchiudendo gli occhi per godere appieno di quel senso di felicità e appagamento che mi pervadeva, che mi faceva sentire leggera.
Rimanemmo in silenzio, ad ascoltare i nostri respiri tornare regolari, a sfiorarci delicatamente, a percepire il cuore dell'altro battere all'impazzata.
«A cosa pensi?», fece ad un certo punto Edward, sollevando il capo dal mio petto, per osservarmi meglio. Non incrociai il suo sguardo, ma rimasi a fissare il soffitto, con quel sorrisino ebete sul viso.
«A quanto sono felice...», mormorai appena, sospirando. Uscì da me e improvvisamente mi sentii vuota, ma mi voltai per poterlo vedere.
Con i polpastrelli, mi toccò la guancia, baciandomi lievemente. «Ti amo.»
«Anche io...» In quel momento, una lacrima, una traditrice, solcò silenziosamente la mia gote, andandosi a scontrare contro le dita di Edward.
«Ehi, perché piangi?», si allarmò ma io scemai la situazione con un gesto confuso del capo, asciugandomi la guancia con il dorso della mano.
«Perché sono felice.», sussurrai, ridendo. «Sono solo felice, perché ci sei tu.»
Salii a cavalcioni su di lui e quello che successe poco dopo fu l'ennesima prova di quanto ci amassimo. Le mani di Edward su di me, gli ansimi, le spinte... Tutto fu perfetto, di nuovo, e lo sarebbe sempre stato, in realtà. Lo amai, e lui amò me, come se fossero stati gli ultimi istanti insieme; godemmo appieno della presenza della persona che ci completava, ricordammo ogni istante per quanto prezioso fosse, ci sfiorammo con amore, aspettammo l'altro nel riprendere fiato, ci tendemmo la mano quando fu necessario, ci dicemmo “ti amo” quando ne sentimmo il bisogno, ci guardammo quando non trovammo le parole per definire quello che provavamo. Tracciai la forma del suo cuore sul petto, mi carezzò la spina dorsale calcando ogni piccola fessura tra le vertebre. Gli sfiorai le labbra con delicatezza, mi toccò con passione ma con il timore di farmi male.
«Grazie.», mormorai sul suo petto, posando un piccolo bacio proprio sopra il suo cuore. Mi guardò perplesso, la sua mano disegnava cerchi sulla mia schiena nuda.
Eravamo sudati, bollenti e ancora ansimanti, ma poco importava, nessuno dei due voleva rovinare quel momento dividendosi.
«Mi sono perso qualcosa?»
Risi per la sua ingenuità che lo rendeva proprio un bambino, ma anche quello era una piccola parte di lui, e io la amavo, così come amavo Edward.
«Grazie per aver reso la prima volta così speciale, grazie per avermi amata e resa unica come mai prima di adesso, grazie per avermi aspettata, e non aver indugiato un secondo su di me.»
Mi prese il volto fra le mani, gli occhi lucidi, la fronte madida di sudore. Le sue labbra tornarono sulle mie, toccandosi lentamente e inseguendosi.
«Un “grazie” è troppo banale, mi sa.», sussurrò quando ci staccammo per riprendere fiato. «Però penso che basti farti sapere che ti amo, e farei qualunque cosa per te...»
Sorrisi alle sue parole e con amore mi lasciai baciare e coccolare di nuovo, sotto la fievole luce che penetrava dalle finestre.


«Penso che dovremmo darci una lavata.», borbottò Edward, asciugandosi il viso umido.
Ridacchiai, pensando a quello che era successo poco prima... Di certo, non era colpa mia se si era lasciato andare “un po' troppo”.
«Allora prima mi lavo io, poi facciamo a cambio.», dissi, cercando di alzarmi ma lui mi bloccò.
«No, non vai da nessuna parte.» Mi afferrò per il braccio e mi fece ricadere tra i cuscini, procurando così un fiotto di risate da parte mia. «Io avrei un'altra idea...»
Nella sua voce ritrovai quella nota maliziosa e ben preso le sue labbra si impossessarono delle mie, e le sue mani trovarono subito i punti più sensibili del mio corpo.
«Edward...», mugolai mentre la sua bocca tracciava su tutto il seno una scia bollente. «Dai, ora basta.»
Non mi ascoltò e anzi proseguì per la sua strada, scendendo sempre più giù. «Amore, non possiamo...»
«Non c'è nessuno che ci corre dietro.», mormorò, tornando sopra i miei seni. «E direi che abbiamo tutta la giornata a nostra disposizione.»
Sospirai e, a malincuore, scivolai via da sotto la sua presa; sul suo volto comparve una smorfia indignata, il labbro di sotto divenne sporgente, proprio come quello di un bambino a cui è stato tolto il lecca-lecca.
«Dai, Bella...», provò a persuadermi, ma quella volta riuscii ad alzarmi e a fissarlo con attenzione... Anche se lui era intento a fissare ben altro.
«No, niente “dai, Bella”.», risi, baciandogli il naso. «Vado di là.»
Ero quasi sull'uscio, pronta a dirigermi in bagno, quando comparve alle mie spalle e mi circondò i fianchi con le braccia. «E non vuoi nemmeno sentire la mia proposta?»
Alzai il sopracciglio, voltandomi. «Pensavo fosse dissuadermi e finire con fare sesso un'altra volta.»
«Intanto non è sesso, ma fare l'amore.», borbottò sulla mia bocca. «In ogni caso, la mia idea era di fare il bagno assieme.»
Scossi il capo, alzando gli occhi al cielo. «Gesù, Edward, ma non ti stanchi mai?»
Rise dell'esasperazione nella mia voce. «Peccato che non volessi farlo di nuovo, ma solo stare un po' con la donna che amo, giusto il tempo di farle due coccole...»
Sorrisi e gli carezzai la guancia, intenerita. «Oh...»
Sembrò arrossire un poco, poi mi prese la mano e mi condusse in bagno, dove preparò la vasca, riempiendola di acqua calda e versandoci dentro il suo bagnoschiuma preferito, quello per cui davo di matto... Non per niente amavo l'odore della pelle di Edward.
«Ora sei più rilassata?», mi chiese non appena adagiai la schiena al suo petto, immersi nel vapore che aleggiava nella stanza. Annuii convinta, intrecciando le mie dita alle sue. «Sì, sto decisamente meglio.»
Mi baciò i capelli, per poi stringermi. «Ti fa tanto male?»
Capii a cosa si riferisse. Forse stava ripensando a quello che era successo prima, in camera da letto...
«Un po'... Amore, perdonami per prima.», sussurrai, imbarazzata per il discorso.
«Non dirlo. È... colpa mia, è solo colpa mia se è successo, davvero. Non potevo andare a immaginare che...»
Mi voltai e posai il dito sulle sue labbra, così da non lasciargli il tempo di terminare la frase. «Shh... Sto bene, okay? Fa... un po' male, è vero, ma capita, giusto?»
Abbozzai un sorriso, che lui subito ricambiò. Era vero, nessuno di noi due poteva pensare che potesse farmi del male, ma era stato totalmente involontario...
«Sì, in teoria sì, ma...»
«... ma è stato perfetto, chiaro? Non ti incolpare.», conclusi io per lui, sfiorando il profilo della sua mascella. «Io non avrei mai potuto andare che sarebbe andata meglio di così...»
«Avrei voluto non rovinare tutto.», borbottò, abbassando lo sguardo, che subito alzai. «Edward, ti prego, no. Non hai rovinato niente, come devo dirtelo?», quasi sbottai, perché era testardo, peggio di me. «Io... dio, sono così felice, perché non lo capisci? Ieri notte, oggi, prima, ho capito quanto ti amo, ho capito cosa sei tu per me.»
«Lo sai cosa vorrei poter dirti, Bella. Lo sai che per me è la stessa cosa, ma dovresti essere infuriata con me.»
Mi scansai dalle sue braccia, facendo uscire l'acqua dalla vasca. «No! Non lo sono! Edward, pensi che tu sia l'unico che ha fatto male alla propria donna donandogli piacere? Facendo l'amore? Nel farla sentire totalmente e incondizionatamente amata?»
«Non in quel modo, però.», aggiunse, incrociando le braccia al petto.
Ora cominciava davvero a farmi arrabbiare. «Cavolo, ora giuro che prendo le mie cose e me ne vado, se continui in questo modo. Tu, tu non mi hai fatto nulla, okay? Era un po' di sangue, niente di che, cosa vuoi che sia stato? Mi hai fatta stare bene, prima, mi hai fatto sentire la donna più felice della Terra, mentre ero nelle tue braccia, mentre eri dentro di me, mentre sentivo l'amore sprigionarsi in ogni mia cellula del corpo. Come te lo devo dire?»
I suoi occhi verdi si illuminarono, e le sue mani presero le mie, facendomi avvicinare di nuovo a lui. «Per me è stata la stessa cosa, amore...»
«E allora perché continui ad incolparti?»
Sospirò. «Non lo so... Amore, davvero, non lo so.»
Catturai le sue labbra in un bacio veloce, per poi sorridergli. «Allora smettila, e goditi questo momento, okay?»
Tornai al mio posto, carezzandogli le mani lisce, mentre lui mi baciava il collo, la nuca, le spalle.
Mi lasciai insaponare, e gemetti quando si soffermò in alcuni punti. Lo maledetti mentalmente quando le sue mani finirono fra le mie cosce, accarezzando delicatamente quel tratto di pelle, e anche quando mi prese fra le mani il seno, ma solo per pochi secondi. Dopotutto, aveva promesso, non saremmo di nuovo finiti sotto le coperte a sudare, anche perché il bagno si sarebbe rivelato inutile.
«Stavo pensando...», mormorai, squarciando il silenzio attorno a noi. «Stavo pensando al mio passato.»
«A che parte?» Ed mi baciò la spalla, accarezzandomi l'addome e le gambe.
«A quando stavo con Christian.», buttai lì e di colpo, lui si fermò. Le sue mani rimasero ferme sulle mie ginocchia, le labbra si scostarono dalla mia pelle.
«E perché?», domandò, aggiustandomi i capelli umidi. «Perché?»
«Perché... perché con lui non è mai stato così.», borbottai, e davanti ai miei occhi rividi i tempi passati con quell'uomo: le urla, le minacce, le liti, le sue mani addosso a me, ma non mi accarezzavano, no, affatto. Vidi il suo volto nei ricordi, e qualche lacrima sfuggì al mio controllo.
«Con lui la prima volta è stata... terribile. Non avevo sentito nulla, avevo pianto dal dolore, avevo perso sangue, avevo avuto bisogno di giorni per riprendermi e per poterlo rivedere. Le volte dopo furono migliori, ma mai al massimo dell'amore; mancava sempre quella punta di qualcosa, che non ho mai trovato stando con lui.»
Mi girai, per guardare meglio Edward; il suo volto era piegato da una smorfia di disgusto, gli occhi si erano spenti, il respiro si era fatto pesante all'improvviso.
«E poi... C'è stato quel terribile periodo, lì non sapevo più cosa fosse l'amore, quali fossero i miei sentimenti verso Christian...»
Abbassai il capo, intristita e completamente alla deriva, ma Ed calmò velocemente il mio animo. «Non ci devi più pensare, okay? È acqua passata, non ti farà più del male, amore mio.»
«Ma con te, è tutto diverso», singhiozzai, sorridendogli. «Con te ogni cosa è diversa. Quando mi tocchi, quando mi baci, quando sei dentro di me... Niente è come prima, nulla. Ieri notte, mi sono sentita di nuovo me stessa, ho sentito di nuovo quella parte della vecchia Bella tornare dentro di me. Ho capito di aver bisogno di te come non mai, perché ti amo, perché adoro tutto di te, e...»
Con urgenza, come a placare quel lamento, Edward premette la sua bocca contro la mia, ma sempre con dolcezza. Le mie mani si intrufolarono fra i suoi capelli, le sue sulla mia schiena; mi spinse a cavalcioni sul suo bacino, premette il mio petto contro il proprio. Fu una necessità, un bisogno primitivo, quello di sentirlo così vicino a me, e probabilmente lo stesso era per lui.
«Io non potrei mai farti niente di tutto quello, chiaro? Niente, perché io non immaginerei mai di procurarti dolore o farti piangere... Okay, forse prima è stato diverso, ma non è stato intenzionale. Io ti amo, non so cosa farei senza di te.»
Gli carezzai le guance arrossate, le labbra gonfie così come le mie, e mi persi in quegli smeraldi luminescenti, che brillavano davanti a me. Con lui, non avevo paura, non ne avrei mai avuta.



Ero rimasta a fissare fuori dalla finestra per così tanto tempo che il sole, con il suo chiarore pallido, mi aveva stordito. Edward era uscito per andare a comprare qualcosa per cena, e io avevo deciso di aspettarlo a casa, anche perché il fastidio al basso ventre e alle gambe non aveva dato segno di miglioramento.
Il silenzio che si espandeva tra le pareti era assordante, fischiava, mi tappai le orecchie per provare sollievo, ma niente, non sparì, e divenne sempre più intenso.
Mi sentivo terribilmente sola; era come se all'improvviso il mio corpo fosse stato svuotato dal suo calore, come se all'improvviso fosse sparito il sole, come se fosse mancata una parte del mio corpo.
Eppure non era successo proprio nulla, mi ero solo separata per due secondi dalla persona che amavo... Ma era forse quello il sentimento che si prova quando si è veramente innamorati?
Per troppo tempo non l'avevo testato, dopo tutte quelle vicende terribili che perseguitavano il mio passato avevo decisamente scordato cosa volesse dire amare e essere amati...
Percorsi il salone lentamente, accarezzando tutti i mobili attorno a me; ognuno di loro sembrava volermi raccontare una parte della vita di Edward, di Meredith, della loro famiglia, di tutti i ricordi belli e anche quelli brutti. Il divano rovinato, con la pelle scura graffiata dal passare degli anni; i mobiletti consunti, i libri accuratamente riposti sulle mensole; accanto a essi, i DVD di alcuni musical e vari CD musicali. Su un ripiano, c’erano delle foto di quella famiglia dove cominciavo a sentirmi partecipe: il battesimo di Mary, i primi scatti delle bambine avvolte nelle copertine nelle nursery dell’ospedale, Ed con loro, il primo giorno di scuola della più grande, i sorrisi e le risate nei momenti più sereni che avevano già passato assieme.
Mi ricordarono quegli istanti vissuti con Charlie e Renée, quando ero più piccola e viaggiavamo ovunque. Casa dei miei genitori era piena di miei ritratti e gigantografie, foto e quant’altro, il mio volto era ovunque, dai primi attimi di vita, fra le braccia dei miei genitori, a qualche mese prima del mio trasferimento a Londra, o ancora nei saggi di danza, o in quelli del coro, al diploma…
Tutto ciò che mi mancava era una famiglia solida e unita, non essere più costretta a scappare e tornare per poco tempo. Volevo rimanere stabile per sempre, trovare il mio posto nell’universo, riuscire ad amare qualcuno come se fosse l’ultima persona sulla Terra.
Piano piano, stavo raggiungendo quel mio obiettivo, ero contenta ma anche spaventata, perché sapevo che dietro l’angolo c’erano sempre sorprese inaspettate, per lo più sempre negative… Era capitato ormai tante volte, e mi ci ero abituata.
Il silenzio mi trapanava le orecchie, così presi un disco di musica classica e lo posizionai nel lettore, aspettando che le note cominciassero a propagarsi, zittendo così tutta quella solitudine.
Io e Edward, in ogni caso, eravamo perfetti l’uno per l’altra: tutto fra di noi poteva funzionare, ci amavamo a vicenda, eravamo due tessere di un puzzle senza fine.
Sospirai, pensando a tutto quello che era successo nei mesi precedenti, e di come il tempo, e l’affetto, potesse rimarginare le ferite del passato, che sembravano irreparabili, ma che in realtà erano solo superficiali, in alcuni punti.
Chiusi per un secondo gli occhi e subito percepii un calore proprio sulla pelle attorno, al che mi spaventai e provai a divincolarmi, ma qualcuno dietro di me rise, e allora capii.
«Ed, che stai facendo?» Sorrisi e gli sfiorai la mano, coprendola con la mia. Le sue labbra si posarono contro il mio orecchio, ridacchiando.
«Oh, niente, signorina Swan. Ho solamente una cosa per lei.» Mentre diceva quelle parole, tolse le dita dal mio viso, ma io tenni gli occhi chiusi.
«Che succede? Guarda, hai paura?» Il suo tonto sembrò divertito e giocherellò per un attimo con i miei capelli.
«Non devo preoccuparmi?», chiesi, ma non ottenni risposta, così obbedii. Davanti a me, c’era un grande mazzo di rose rosse, avvolte da un tulle color pastello, il tutto legato con un fiocco.
«Buon San Valentino.», mormorò contro il mio orecchio. Percepii il suo sorriso compiaciuto davanti alla mia espressione esterrefatta, e fui così colta di sorpresa che mi girai e con irruenza incollai le labbra sulle sue.
Non oppose resistenza, ma impiegò qualche secondi a rispondere con dolcezza, posando entrambe le mani sui miei fianchi e sollevandomi dal bordo del divano.
«Tu sei pazzo.», sussurrai, accarezzandogli la folta zazzera di capelli ramati, provocando così un altro sorriso.
«Per così poco.» Con me fra le braccia, si spinse verso lo stereo e cambiò la traccia audio, fino ad arrivare a “We’ve got tonight”, canzone che avevo sentito parecchie volte ma mai veramente apprezzato.
«A cosa stai pensando?» Mentre la canzone cominciava, le sue mani vagavano sulla mia schiena, stringendomi sempre di più al suo petto.
Alzai il capo, fissandolo. «A quanto sono felice.»
Sorridendo, di nuovo, mi baciò la fronte, girando lentamente su di sé. «Sei stanca?»
«Un po’.», risposi, ma subito mi affrettai ad aggiungere: «Ma vista la giornata di oggi, direi che è tutto giustificato.»
Ridemmo assieme, come due bambini, le mani intrecciate, i corpi vicini, i respiri sincronizzati.
«Non sai quanto ti amo…» Squarciò il silenzio fra di noi all’improvviso, con le labbra fra i miei capelli, con dolcezza.
«Oh, ne ho una vaga idea.», scherzai su, sfiorandogli la guancia con i polpastrelli: la barba ispida, molto corta e leggera, mi faceva il solletico.
Mi prese il mento fra le dita, facendomi così alzare il viso per guardarlo meglio. «Ma come fai?»
«A fare cosa?»
«A rendermi così… Felice. Dio, quando sono vicino a te, mi sento tremendamente leggero, è una sensazione strana, non so neanche come definirla. Quando tu mi sei accanto, il mondo potrebbe crollare e io non me ne accorgerei, non quando tu mi stringi la mano, non quando i tuoi occhi si illuminano se ti parlo, non quando sono me stesso.»
Cercai di dire qualcosa ma lui mi fermò solo con un’occhiata, poi prese un respiro profondo e continuò. «Hai stravolto la mia vita, Bella. Completamente. Sei arrivata così improvvisamente che fino a poco tempo fa non avrei mai pensato di poter amare qualcuno oltre alle mie figlie. Hai reso tutto migliore, sia per me sia per le bambine. Sono così… felici, da quando sei entrata nelle nostre vite. È qualcosa di straordinario e meraviglioso come una persona possa renderti migliore…»
Posò un bacio delicato sulle mie labbra, premendo le mani al lato del mio viso, mentre le note continuavano sotto di noi.
«Se penso a come quell’uomo abbia potuto farti del male… Non lo capisco, veramente, come ha potuto? Tu per me sei una delle cose migliori che mi sia mai capitata in tutta la mia vita, non saprei come descriverti, forse come parte di me, o del mio universo, non ci sarebbe una parola capace di rappresentarti. Ma su una cosa sono sicuro: non potrò mai fare male alla donna che più amo al mondo, e neanche lascerò qualcuno toccare la mia ragazza.»
Sorpresa, lo squadrai, cercando nei suoi occhi la verità delle parole appena dette. «La tua ragazza?»
«Non posso definirti così?» Sembrava sconcertato, ma sotto sotto vedevo che se la rideva.
«È solo che mai prima di adesso mi hai mai chiamata in questo modo… Non pensavo che…»
Mi zittì baciandomi e poi prese ad accarezzarmi i capelli. «Mi sembrava fosse sottointeso che eri “la mia ragazza”, no?»
Annuii convinta, con un sorrisino sulle labbra. «Be’, ormai niente è sottointeso, conoscendoti.»
Rise, stringendomi. Era così felice… E tutto grazie a me. Finalmente nella mia vita avevo fatto qualcosa di buono per qualcuno. Ero sull’orlo delle lacrime, non potevo crederci, ma ormai ero con lui, tutto era reale.
«Quindi… Questa è una dichiarazione alla tua ragazza?», lo scimmiottai, senza distogliere lo sguardo dal suo viso.
«Mi pare ovvio, signorina.»
Mi alzai sulla punta dei piedi, fino ad arrivare alla sua bocca, fino a sfiorarla e a morderla. «E allora non possiamo renderla concreta?»
Mi sfiorò l’addome, prendendomi fra le sue braccia. «Oh. Ma certo.»
Fra le risate, mi portò in camera, dove ci amammo con tutta la serenità possibile, senza pensare a quello che sarebbe potuto succedere, senza pensare alla fine del mondo.
Non quando eravamo insieme, vicini, stretti l’uno all’altra.
Avevamo tutta la notte, e il “domani” non ci sarebbe servito.

___________
Ehm... Salve?
Okay, non dovrei neanche farmi vedere, sono una vergogna, ma uff, giuro che non è colpa mia... O in parte sì.
Va beeeeene, colpa mia, ma anche del mio vecchio pc che ha deciso di andarsi a fare benedire... Anche se quello è avvenuto dopo Natale, ma va bene lo stesso... Insomma.
Cmq, no, veramente, non potete immaginare. Allora, sono al primo anno di liceo, e alcune cose le avevo prese in considerazione già da settembre, tra cui il fattore aggiornamenti.
Avevo avvertito che non sarei stata molto regolare, ma in realtà non pensavo in questo modo. È vero che una pausa di due mesi ci può anche stare... ma di 5, quasi 6? Non direi, no. *si picchia*
Perciò, perdonatemi veramente, ma questo capitolo è stato un calvario, sia per il momento in sé sia per ciò che è stato descritto... Povera bambina ingenua che non sa cosa scrivere... bah.
Anyway, spero che vi sia piaciuto, io ci ho messo il cuore, la pelle, l'anima e anche il sudore! (le mie dita ringraziano con amore).
Non vi posso dire il prossimo aggiornamento quando avverrà, il tempo di racimolare due idee e mi metto giù di sana pianta (che poi so già cosa scrivere, ho solo bisogno dello stimolo adatto... Vallo a trovare mo'.)
In ogni caso, mi scuso ancora per tutta questa attesa, ma vi voglio far sapere che sono stata veramente male sapendo di farvi stare sulle spine per tutto questo tempo, perciò spero che il prossimo aggiornamento avvenga il prima possibile, magari già a maggio... Tanto ho il ponte, dovrei riuscire a scrivere qualcosa :)
Con questo, spero di ricevere qualche recensione, soprattutto per dirmi cosa vi è parso del capitolo: se troppo pieno, troppo poco, bello, brutto, da cestinare... Ditemi un po' voi :)
Questo è il mio gruppo di Facebook dove seguirmi, con scleri, spoiler e tormenti compresi. :) E QUI il mio profilo :)
Bom, finisco qui.
Aspetto le vostre recensioni <3 un bacio!
Giulia

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Avviso ***


Salve a voi che avete aperto questa pagina sperando di trovarvi un bell'aggiornamento da leggere in questi pomeriggi uggiosi. Stavate già esultando davanti al monitor di un pc, carichi di pazienza perché si sa, i capitoli delle mie fanfiction non sono mai molto corti, vero?
Ma come avrete capito no, non c'è nessun aggiornamento, né so quando verrà caricato, e mi spiace avervi illuso in questo modo.
Ebbene, volevo solo scrivere un breve avviso per dirvi che non sono sparita, non mi hanno rapita gli alieni né un enorme buco nero mi ha risucchiato in una realtà parallela. Niente di tutto questo. Più semplicemente, come preannunciato poco fa anche se implicitamente, volevo dirvi che gli aggiornamenti non saranno più previsti come da normale svolgimento (sembra una di quelle comunicazione scolastiche...)
Purtroppo è così, e ve ne sarete accorti già da tempo che mi sono assentata da EFP da mesi, con la speranza di tornare il prima possibile con un capitolo carico d'amore mieloso e diabetoso, perchè io stessa ci credevo, fino a qualche settimana fa. Però si sa, niente va come si vuole, con il destino non si gioca poiché è lui a decidere, e nel mio caso ha deciso che è bene scrivervi questo avviso.
Senza dimenarla per le lunghe, vi annuncio che le storie sono sospese fino a nuovo ordine, e ciò va contro la mia volontà, in qualche modo, perché mai dopo mesi di scrittura senza intoppi o pause (qualcuna c'è stata...) avrei pensato che mi sarei trovata a scrivere un piccolo post come questo.
Non so che stia succedendo, se è per la scuola, la vita privata o giargiatule varie, ma non ho più un attimo per scrivere, né la voglia né l'ispirazione. Per voglia intendo quella che ti spinge ad accendere il computer anche se tu sai che hai ben altro da fare, e in men che non si dica ti ritrovi a digitare parole e parole su un foglio bianco virtuale... Chi scrive su questo sito probabilmente sa cosa intendo.
Questa voglia nella mia mente è sparita ed è da mesi che non fa ritorno, per questo mi sembra inutile tenervi sulle spine inutilmente perché prima o poi vi seccherete  e mi manderete in quel bellissimo luogo di villeggiatura tanto nominato.
In ogni caso, non mi va di annoiarvi con un monologo infinito costituito solo da scusanti e idiozie, perciò finisco qui. Non so quando né se tornerò, ma se avverrà (io spero) non è detto che le storie sospese vengano continuate... Chissà se la mia mente malata produrrà qualche scritto altrettanto insano.
Detto, anzi scritto, ciò, vi auguro un buon pomeriggio.
Un bacio,
Giulia.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=910616