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Ascolta il tuo cuore ♥ Capitolo 1: Troppo complicato.
EDWARD
Tutto troppo difficile.
Alzai lo sguardo, esaminando le mie bambine dormire abbracciate.
Meredith e Viola, due cucciole così indifese e fragili che solo
io potevo proteggere.
Rigirai fra le mani il biglietto e rilessi le frasi scritte in argento. Tanya Denali e Gregor Astron annunciano il loro matrimonio che si terrà il 24 giugno alle ore undici.
Tanya si risposava. E neppure un mese prima mi lasciava, con una neonata di due settimane e una bambina di sei anni.
Incredibile. Lei se n’era andata, dicendomi che non ne poteva
più di questa vita. Aveva fatto armi e bagagli, aveva baciato
entrambe le bambine ed era uscita dalla mia vita.
E mi aveva lasciato tutto il nostro passato insieme. Tutto quello che avevamo creato.
Perché? Perché io ero un fallito. Un uomo che si dedicava
alle figlie e alla loro istruzione e stava tutto il giorno con loro. E
soprattutto non avevo un lavoro.
Invece Greg era un ricco spilorcio che possedeva un paio di multinazionali sparse nel mondo. Ovviamente molto meglio di me.
La testa mi cadde fra le mani, sempre più incredulo. Rimasi
ancora qualche minuti perso nei miei pensieri fino a che le coperte al
mio fianco non si smossero.
Meredith mi venne accanto, facendo attenzione a non svegliare la sorellina.
«Che succede, papy?»
La guardai, al chiarore tenue dell’abat-jour. I capelli lunghi,
di quel colore misto al biondo e al bronzo, erano scompigliati. Gli
occhi, così grandi e luminosi, anch’essi un miscuglio fra
i colori dei suoi genitori, mi guardarono curiosi.
Le diedi un buffetto sulle guance e la presi fra le braccia.
«Niente piccola mia. Il papà è solo un po’
stanco.»
Strinsi Meredith a me e inspirai il suo profumo. «Sicuro? Mi sei sembrato preoccupato.»
Sorrisi. «Mary, sono sicuro. È che sai… Viola non fa molto dormire ultimamente.»
«Ha male al pancino?»domandò, osservando la sorellina.
«Un pochino. Ma sai anche tu che è normale. Quando sono
piccoli i bambini hanno spesso il mal di pancia.»la rassicurai,
carezzandole i capelli.
Io e Tanya nei mesi precedenti avevamo cercato nel migliore dei modi a
spiegarle che la sorellina avrebbe movimentato la nostra routine e
fortunatamente Mary aveva compreso, per quanto possibile.
«Dici che sente anche lei la mancanza della mamma?»
Feci spallucce, colto alla sprovvista dalla sua domanda.
«Probabile tesoro. Insomma… A te manca la mamma, no?»
La bambina scosse il capo. «No. O almeno non tantissimo. Sto
molto meglio con te, papà, che con mamma che urla sempre quando
si arrabbia e sembra un animale inferocito.»
Trattenni un risolino. «Sul serio?! Quindi preferisci me al posto della mamma?»
«Certo. E poi papà tu sei più dolce della
mamma.». Si accoccolò meglio sul mio petto, con quel
sorriso dolcissimo e sincero sul viso.
Un groppo salì in gola e cercai di reprimerlo. Nonostante fosse
così piccola, aveva un’intelligenza superiore alla media.
Era capace di tirarmi su di morale con una battuta o semplicemente con uno dei suoi sorrisi stupendi.
Una delle cose più belle che la vita mi aveva regalato. Come si poteva chiamare errore?
Lentamente ci alzammo e andammo in cucina, lei in braccio a me.
Le preparai la colazione e rimanemmo a guardare i cartoni animati
finché Viola non si svegliò, strillando, nell’altra
stanza.
«Arrivo subito.»mormorai, baciando i capelli della mia bambina, e mi diressi nella camera adiacente.
Mi avvicinai al letto e presi fra le braccia quell’esserino
così fragile e sensibile. Viola smise subito di piangere e mi
guardò con quei suoi occhioni grigi.
Quando tornai in cucina, Meredith aveva appena finito la colazione e
stava guardando placida la TV, esattamente come l’avevo lasciata.
«Viola, saluta la tua sorellona.»sussurrai come un idiota
alla mia piccolina, facendole muovere la manina con il ‘ciao
ciao’.
La bambina rise e si avvicinò per prendere la sorella fra le braccia, mentre io preparavo il biberon.
Mary era una perfetta babysitter e quasi sempre si occupava di Viola mentre io facevo le faccende domestiche.
I loro faccini così vicini, gli occhi di Viola incatenati a
quella della sorella, l’attenzione che mostrava la piccola verso
Meredith.
Erano perfettamente identiche. Viola assomigliava moltissimo a Mary da appena nata, nonché a me.
Di Tanya avevano ben poco, a parte qualche rara sfumatura negli occhi e nei capelli di Meredith.
Per il resto erano uguali a me da piccolo. Stessi comportamenti, stessi
lineamenti nel viso… E sì, anche l’intelligenza,
proprio per essere modesti.
Per Viola ancora c’era tempo, anche perché aveva appena un
mese e mezzo e capire a chi assomigliasse era proprio un’impresa.
Ma Meredith, anche se poteva ancora cambiare fisionomia, era la mia fotocopia, il mio clone.
Ripresi fra le braccia quel minuscolo corpicino, nonostante il peso
fosse elevato per l’età. Quasi cinque chili di puro amore.
Ma Viola era nata abbastanza cicciottella. Tre chili e ottocento grammi, a dispetto delle stime dei dottori.
La piccola si attaccò voracemente alla tettarella del biberon e
prese a succhiare, producendo strani versi che fecero ridere me e
Meredith.
«Comincia a vestirti piccola.»dissi a Mary, guardando
l’orologio. Erano già le otto e un quarto e presto saremmo
usciti, per andare a trovare Tanya.
Dovevamo cercare un modo per dire alla bambina che la madre si sarebbe risposata.
Ma ancora non capivo cosa c’entravo io nella questione.
Avevamo già tutto prestabilito. Al parco Tanya ci sarebbe venuta
incontro e attaccando bottone avremmo spiegato a Meredith la faccenda.
Ma non sapevo se l’avrebbe presa bene o meno.
Perché dopotutto aveva pur sempre quasi sette anni. Era un
argomento delicato da gestire e io non ero pratico, proprio per niente.
La seguii in camera e la aiutai a scegliere qualcosa di comodo.
Dopotutto andavamo al parco e si sarebbe messa a giocare appena
arrivati.
Mentre Meredith si lavava, io cominciai a cambiare Viola, che mi guardava estasiata.
«Ciao piccina.». Le feci una pernacchia sul pancino e lei fece un versetto, che mi sembrò quasi una risata.
Le cambiai il pannolino e la vestii con una delle tutine più
carine. Nel mese che Tanya era andata via, mia madre e Alice mi avevano
comprato tanti vestiti per le bambine e per me, mentre io cercavo di
trovare un lavoro.
«Papà, mi aiuti?»
Mi girai verso Mary, che teneva in mano le scarpe. La feci sedere sul letto e la aiutai ad allacciarle.
«Vedi? Prima ci va l’asola di sinistra, poi il laccio va qui dentro e il fiocco viene.»
Mi sorrise. «Grazie papy.» e mi baciò la guancia.
Sistemai meglio il lenzuolino su Viola, adagiata nella carrozzina, e mi sedetti sulla panchina con Meredith.
«Dorme?»domandò, sporgendosi verso il passeggino.
Annuii e guardai la neonata. Il ciuccio racchiuso nella boccuccia si
muoveva appena, le manine chiuse e il petto si abbassava e alzava
ritmicamente.
Il cellulare in tasca vibrò e quando accesi il display, comparve un messaggio. Sono arrivata, sto parcheggiando. Tanya.
Non risposi e alzai lo sguardo verso i cancelli del parco. Tanya,
racchiusa nel suo giubbotto, sembrò sorridermi ma io distolsi lo
sguardo.
«Arriva la mamma.»mormorai a Meredith in un orecchio e lasciai che la donna si avvicinasse a noi.
«Ciao a tutti.»
Tanya cercò di sembrare benevola nel sorridermi, ma secondo me
nella sua mente mi malediceva e mi insultava in tutte le lingue del
mondo.
Meredith la abbracciò e le baciò la guancia. «Ciao mamma.»
La donna si protese verso l’interno della carrozzina, guardando la piccola.
«Sta benone.»mormorò sorpresa.
Cos’era, pensava forse che con il latte artificiale i bambini non
crescessero più di tanto? Era lei che se n’era andata. Io
ancora non producevo latte! Mica sono una donna!
«Sì. Pesa quattro chili novecentosessanta grammi. Il pediatra dice che è in forma.»
Tanya mi guardò torva e poi si accomodò accanto a Meredith. «Come va a scuola?»
La bambina fece spallucce, indifferente. «Bene. Papà è molto bravo ad aiutarmi a fare i compiti.»
Sorrisi a mia figlia, quasi per essergliene grato. Grazie piccina.
«E… Viola?»
Sospirai. «Ha le coliche, ma anche Mary le aveva, quindi è
normale. Però cresce bene. Prende il biberon sei volte in
ventiquattro ore e la notte dorme. O quasi.»
Meredith ridacchiò. «Si addormenta solo quando siamo tutti e tre nel lettone.»
Tanya non rispose e mi guardò, in cerca di un aiuto per parlare alla bambina del matrimonio.
Il sole di metà ottobre illuminò il lenzuolino candido della carrozzina e la spostai di un poco.
«Meredith, la mamma deve dirti una cosa.»disse ad un certo
punto la madre, accarezzando i lunghi capelli di sua figlia.
I grandi occhi di Mary si illuminarono e alla luce del sole sembravano quasi di ghiaccio. «Dimmi mamy.»
Nella voce della bambina c’era sempre una nota di acidità
quando parlava con la madre. Si capiva benissimo che ce l’aveva
con lei perché mi aveva lasciato… ma non volevo che il
loro rapporto si disintegrasse per colpa mia.
«So che sei molto arrabbiata con me per aver piantato
papà, ma vedi tesoro le cose stavano andando male da un
po’ di tempo. Abbiamo aspettato che nascesse Viola per
dividerci.»
«E come al solito a me non pensate.»mormorò la bambina, con il capo chino, visibilmente arrabbiata.
«Non è così, piccola.», la rassicurò
Tanya. «Ora le cose sono cambiate e sia io sia papà stiamo
meglio e mamma ha una novità per te.» Novità… Certamente Tanya.
La donna passò a Meredith lo stesso invito che mi aveva spedito un paio di giorni prima.
«Cos’è?»sussurrò, poco prima di leggere.
I suoi occhi sgranarono all’improvviso e mi guardò
esterrefatta. Le lentiggini divennero ancora più evidenti, dato
che era sbiancata all’improvviso.
«Tu… ti sposi?»mormorò la bambina, in un
imminente crisi di pianto. Strinsi a me Meredith e la camicia prese a
bagnarsi.
«Vattene mamma.»singhiozzò e tanya si allontanò, mentre mia figlia mi allacciava le braccia al collo.
«Stt, è tutto okay piccola.». Le carezzai la testa e
lei mi guardò. Gli occhi azzurri erano lucidi ed erano arrossati.
«Non è giusto papà.»
«Lo so piccola. E' tutto troppo complicato, ma si risolverà. Vedrai.
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Anno nuovo, LongFic nuova. BUON ANNO A TUTTI QUANTI!! Non sono uscita fuori di testa, tranquille.
Allora. Questa FF era un progetto incompiuto e non so come ho deciso di postarla.
Sono elettrizzata e so che dovrei finire le altre... ma credetemi, non potevo resistere.
So che nella cover c'era solo Meredith ma era una sorpresa la piccola Viola (:
I nomi delle bambine sono speciali. Uno è quello della mia Giusy
(Meredhit89) e uno è quello della mia piccola Viola, la
cucciolotta di Monica.
Questa FF è dedicata a tutte le meravigliose persone che ho conosciuto grazie a EFP.
Grazie a GingerS, Meredhit89, Monica, Martina D.R, Annalisa S.,
Francesca G, Fiorella S. e Cloe, Camilla, KrisCullen, Chuck, Simona S.
Grazie ragazze. Vi voglio bene <3
Bene... meglio che mi dileguo prima che mi uccidiate.
Lascereste una recensioncina, giusto per farmi sapere i vostri primi giudizi? :3
Grazie mille <3
Bacioni,
G.
Ascolta il tuo cuore ♥ Capitolo 2: Senza esitazioni.
EDWARD
Mi svegliai di soprassalto, con il fiatone. Sembrava tutto così vero… Altro che sogno! Mi era parsa proprio la realtà. Mi girai verso l’altro lato del letto. I petti di Meredith e Viola si abbassavano e alzavano ritmicamente. Tirai un sospiro di sollievo. È stato un sogno, pensai, è stato solo un bruttissimo sogno. Accarezzai le loro guance e Mary si scostò un poco dalla sorellina, sbadigliando. Erano solo le cinque del
mattino, ma non sarei riuscito a chiudere nuovamente gli occhi. Il
volto di Tanya, che rideva malignamente, mi sarebbe riapparso
nuovamente e… No, meglio di no. Scostai le coperte calde e
sudate e mi trascinai verso gli infissi. L’atmosfera nella camera
mi sembrò pesante, afosa e spessa. Discostai leggermente la
finestra, giusto per far entrare un po’ di aria fresca. Mi lasciai cadere sulla
poltroncina accanto alla finestra. Nonostante fossimo quasi alla fine
di ottobre, il caldo non era ancora scomparso. Riguardai le bambine. Erano teneramente abbracciate, come ormai capitava di continuo. Meredith aveva paura che Viola potesse cadere dal letto e allora la stringeva a sé. I capelli chiari di Mary
contrastavano quelli d’ebano della piccola. Dormivano tranquille,
sognando chissà quale fantasia lontana. Presi il cellulare e mi diressi nel salotto, cercando di non fare il minimo rumore. Scorsi in rubrica fino ad arrivare al numero che desideravo, poi cliccai la cornetta e attesi. «Pronto?» Ridacchiai. «Ciao Emmett.» «Cristo amico.»borbottò,tossendo. «Ti sembra il caso di chiamare a quest’ora?» «Scusami.»mormorai, distendendomi sul divano. «Non… Non riuscivo più a dormire.» «Okay… Come stai? Le bambine?» Sospirai. «Sto bene. Meredith e Viola pure. E se vuoi sapere le ultime notizie… Tanya si risposa.» «Cosa?!». La voce
di Emmett aumentò di qualche ottava. «Ma cosa passa per la
testa a quella donna?» «Emm, non sono
più affari miei. Lei ha deciso di andarsene e nonostante io
abbia provato a farla ragionare non mi ha voluto dare ascolto. Non fa
più parte della mia vita. So che è pur sempre la madre
delle mie figlie, ma con lei ho chiuso, definitivamente.» «Mi fa piacere sentirti così, che ti sei rinsavito.» Risi. «Non posso sempre sembrare il solito imbecille che si lascia mettere i piedi in testa.» «Questo è l’Edward che conosco!»quasi urlò, con la sua voce profonda e tuonante. «Ci sono anche altre notizie? Altre ragazze in vista?»continuò, sbadigliando. Tossii. «Ma ti pare?
Sono appena uscito da una storia che già ne comincio
un’altra… E’ impossibile, dai.» «Be’…»mormorò, «Tanya ci è riuscita.» «Sì ma lei è un caso particolare.» Ridemmo insieme e poi sentii dei passi. Meredith, con l’orsetto sottobraccio, mi guardò teneramente. «Emmett, cause di forza maggiore mi reclamano. Ti chiamo appena so qualcos’altro.» «Perfetto, io torno a dormire.» Risi.«Okay. Allora buona pennichella.» Lo sentii ghignare e attaccai la cornetta. Mi avvicinai a mia figlia e le carezzai i lunghi capelli. «Che ci fai già sveglia?» Mi sorrise teneramente. «Ti ho sentito parlare e allora sono venuta a vedere.» Le baciai la fronte e la presi fra le braccia. «Viola dorme?» «Sì, l’ho messa nel lettino così non cade.» Era ancora meglio di me.
Pensava a tutto, anche a svegliarsi nel cuore della notte per dirmi che
Viola piangeva e io, nel sonno più profondo, non riuscivo a
sentire la bambina che piangeva. Ci sdraiammo sul divano, Meredith sopra di me, abbracciati sotto il plaid. «Mi prometti una cosa papà?»fece ad un certo punto, proprio mentre stava per cedersi a Morfeo. «Che cosa, piccola?» Sbadigliò. «Promettimi che mi troverai una seconda mamma, più dolce e più bella.» Cercai di non ridere e la presi sul serio. «Te lo prometto, tesoro» Chiusi le palpebre e il volto di Tanya fortunatamente non ritornò nei miei sogni.
«Chi è questa bellissima bimba?» Guardai torvo mia sorella. «Se la sbatacchi ancora, guarda che ti vomita addosso.» Alice mi fece la linguaccia.
«Non lo farà perché Viola ama la sua zia! Non
è così piccolina?» Scossi il capo e guardai Meredith. Era sdraiata a terra e guardava Jolly, il volpino di Aly. «Non mi lecca, visto papà?». Mary aveva battuto tutte le mie supposizioni su quel cagnolino. Avevo sempre cerato di
impedire a mia sorella di portarlo a casa nostra, ma non mi dava mai
ascolto. Avevo sempre il terrore potesse leccare Viola da quando era
con noi ma non era mai capitato, a mio stupore. Presi il biberon dallo scaldino apposito e mi accoccolai sulla sedia con Viola sul petto, pronta a una nuova dose di cibo. Il rito della poppata da giorni si ripeteva frequentemente ma la pediatra mi aveva detto di assecondarla… Alice le sfiorò la testolina. «ma quanta fame hai, eh piccola?» Ridacchiai e mi accorsi che Meredith s’era seduta accanto a me e giocherellava con i piedini della sorellina. Viola finì il latte in fretta e si appisolò tranquilla fra le braccia di Meredith, che la guardava beata. «Io ora
vado.»mormorò Alice, baciando le fronti delle bambine.
L’abbracciai dolcemente e le dissi che per me lei era tutto, con
nostra madre. Alice era la prima che mi
capiva quando avevo un problema, che mi aiutava se ne avevo bisogno e
sì, era anche la prima a mandarmi a quel paese, se era
necessario. La guardai uscire dal vialetto
con la sua nuova auto, e allontanarsi,
mentre Jolly mi guardava dal bagagliaio. Meredith depose Viola sul letto con i cuscini attorno e tornò in salotto da me, accoccolandosi sul mio petto. «Me lo prendi un cagnolino papà?»mormorò e quando vidi il suo sguardo da cucciolo, risi. «Amore, dove lo mettiamo un cane?» Sospirò. «Dalla nonna! Nonna ha tanto spazio in giardino!» Sorrisi. «Sì, ma
poi la nonna si arrabbierebbe. Magari appena papà si mette in
sesto con il lavoro, ci pensa.» «Allora aspetto buona e tranquilla.» Rimanemmo abbracciati ad
ascoltare i nostri respiri. Non aveva voluto accendere la TV ma solo
stare sul mio petto per quel poco tempo che Viola dormiva e ci lasciava
un po’ di tempo per noi. Poi mi venne la brillante idea di fare una torta e ridendo io e Mary ci cataplutammi in cucina. «Sei sicuro che vada così?». Meredith si mise apposto una ciocca dietro l’orecchio. «Se è scritto sul
libro, penso sia giusto.». Mi grattai la testa, visibilmente
confuso. Mia figlia era la prima persona che riusciva a complicarmi con
le sue domande. Finimmo la torta –se si
poteva chiamare ancora così, dato che era una specie di massa
compatta e scura, e la infornammo, impostando il timer dato che
sennò ce ne saremmo dimenticati completamente. Io e Meredith rimanemmo in
cucina, seduti al tavolo, con Viola nella sdraietta che guardava
curiosa la sorella che faceva i compiti. «Sei a buon punto con l’esercizio?» Mary alzò il capo dal libro e mi sorrise. «Sì, sto scrivendo le ultime operazioni.» Sorrisi e feci il solletichino a Viola, che parve sorridermi. Qualche secondo dopo, il mio cellulare vibrò, procurando una specie di ronzio sulla superficie di legno del tavolo. «Arrivo subito, guarda per un attimo Viola.»mormorai, afferrando il telefono. Non badai al nome visualizzato e cliccai la cornetta. «Pronto?» «Edward, sono Tanya.» La verità, che avevo cercato era un po’ di dissuadere, era tornata a incombere. «Oh. Ciao Tanya.» «Volevo dirti che passo a prendermi le mie figlie e le porto al parco.» «Cosa? Aspetta, io avevo
altri programmi per la giornata.»mormorai, allontanandomi dalle
bambine, cosicché non sentissero. «Non mi importa, Edward. Voglio godermele qualche ora, prima che io e Gregor, con la figlia, partiamo.» «No, guarda Tanya oggi le bambine non possono, sul serio.» «Ti ripeto che fra due ore me le vengo a rendere e le porto al parco.»sibilò come un serpente e sonagli. «Sai che ti dico Tanya?» dissi piccato, brandendo il cucchiaio dal lavello. «Sai che ti dico? Fottiti.» Meredith, che era accorsa accanto a me, mi guardò un istante. Forse pensava non dicessi sul serio. «Sono stato il tuo
zerbino per anni. Mi trattavi come una pezza da piedi e ora che fai? Mi
telefoni, all'improvviso e dici che vuoi prenderti per qualche ora le
bambine. No Tanya, mi dispiace. Non siamo mai stati sposati e
nessuno mi dice che devo darti le bambine per qualche ora. Sono stanco
del tuo comportamento. Sono stanco di te. Mi sono rotto. Ho cose
migliori a cui pensare. Vaffanculo Tanya.» Con la rabbia che mi ribolliva dentro, le attaccai la cornetta in faccia. Quando mi girai, trovai Mary imbambolata come uno stoccafisso, gli occhi sgranati. «Tu non hai sentito nulla. Non proferirne parola con nonna o con la zia, chiaro?» Lei annuì soltanto. «Certo papà.» «Voglio che rimanga un segreto fra noi due.»le mormorai, placcandole le spalle. Lei, visibilmente spaventata, acconsentì. «Bocca cucita, sul serio.» L’abbracciai, e ancora rimestai le parole di Tanya. «Brava piccola.» Mia figlia era l’unica
persona che ancora riusciva a rimanermi fedele. La mia ultima ancora,
colei che ancora mi tratteneva sulla Terra. Senza di loro non sarei rimasto due minuti in più in quella città e sarei scappato lontano. Eppure qualcosa mi tratteneva, qualcosa mi costringeva a continuare a lottare. Loro due, le mie uniche salvezze. Coloro che non mi avrebbero mai abbandonato. Coloro che mi avrebbero sempre voluto bene, senza tradirmi mai. Se loro per me ci sarebbero state, la cosa sarebbe stata reciproca. Senza esitazioni né ripensamenti.
________________________ Muahahaha rieccomi *^* Allora, c'ho messo tutto il ♥ per scrivere ed eccone il risultato... Spero vi piaccia! Ringrazio Meredhit89, Moni e
Viola ♥, Francesca G, GingerS, KrisCullen, Nicoletta,
BettaCullen, Claudia L, martina D.R., Camilla, Leti, Simona S e tutte
voi che seguite ♥ Vi adoro, vi voglio bene ♥ Allora, il prossimo
sarà un capitolo molto bello ma non so dirvi quando
aggiornerò, penso domenica ma non vi assicuro nulla
perchè devo anche scrivere Smile e dopodomani ci sarà il
mio compleanno *^* A parte questo, vi lascio il mio account FB: QUI Grazie mille, ancora. Aspetto le vs. recensioni! Bacioni, Giulia.
Ascolta il tuo cuore ♥ Capitolo 3: Un innocuo pezzo di carta.
EDWARD
Sistemai meglio il giubbino a Meredith. «Guarda che fuori fa freddo.» La piccola fece spallucce.
«Non importa, io voglio uscire. Prendo la borsa di danza
così dopo il parco andiamo a ballo.» Le sorrisi e la lasciai
scappare nella sua camera. Avevamo deciso che la sera, dopo una doccia
a casa di nonna Esme, saremmo andati a fare dolcetto e scherzetto.
Dopotutto, era la notte degli spiriti, o no? «Da cosa ti
vestirai?»domandai placidamente non appena Mary tornò
dalla sua stanza. Infilai il cappottino a Viola che si stava
addormentando e la misi nella carrozzina. «Da strega.»mormorò, sorridendomi. «Mi piace essere una strega. Fanno gli incantesimi!» «Ma allora sei una strega buona o cattiva?» «Buona, ovviamente! Ti
pare che potrei essere cattiva?». Mi stampò un bacio sulla
guancia e poi si allontanò ridacchiando. Le diedi un buffetto e poi una
carezza sulla chioma riccioluta chiusa nello chignon. «Avanti,
altrimenti arriviamo tardi.» Acconsentì con un gesto del capo e si proiettò già nel vialetto, accanto all’auto. Nel giro di pochi minuti
eravamo già al parco, sulle altalene a ridere come se in
realtà fossi stato anche io un bambino. «Stasera vuoi invitare qualcuno a fare dolcetto e scherzetto con noi?» Spinsi più in alto
l’altalena e Meredith si girò per qualche secondo.
«Uhm, no sinceramente. Magari solo noi due.» Annuii. Sapevo che avrebbe
risposto così. Ultimamente aveva dimostrato una sorta di
necessità di starmi accanto ancor più di quanto fosse
possibile. Passavamo interi pomeriggi assieme e sembrava non bastarle.
Forse era gelosia… Viola fra le mie braccia prese
a lamentarsi e presi dalla borsa il biberon nel termos con il latte
caldo. Prese a poppare la tettarella così avidamente da produrre
strani suoni. «Sai papà che la
maestra di danza dice che sono bravissima?»fischiettò
Mary, pronta a saltare giù dallo scivolo. «Davvero?». La
osservai buttarsi giù da quel misero metro che la separava da
terra e poi i fu una nuvola di sabbia intorno ai suoi piedi. «Sì!» La strinsi a me con un
braccio mentre l’altro sorreggeva Viola e il biberon. Ero
diventato davvero esperto. Ormai riuscivo a fare tutte le azioni
normali con una sola mano e con l’altra tenevo Viola. «Non ne avevo dubbi, sai piccola?»mormorai all’orecchio della bambina e lei arrossì. «Ma secondo me non
è vero… Per esempio, c’è Hope che è
molto più abile di me. Più agile, più
magra… Io invece sembro un salame coi piedi che
balla…» La guardai torvo. «Ehi, se stai insinuando che sei cicciona non è vero! Chi ti mette in testa certe idee?!» «Nessuno… ma è la verità, papà.»fece spallucce, abbassando la testa. Le catturai il viso fra le mani e poi la guardai dritta negli occhi, come era solita fare lei per convincermi di qualcosa. «Piccola, togliti dalla
zucca che mai e poi mai devi pensare certe cose. Tu sei bellissima
–non per niente assomigli a me, e non devi farti condizionare da
niente e nessuno. Intesi? Sei perfetta nella tua imperfezione, se sei
così ci sarà un motivo. Per me tu sei la bambina
più bella in assoluto.» Sorrise e mi abbracciò, mentre Viola ci guardava con i suoi occhi grigi, chiarissimi. «Ti voglio bene papà.»mormorò, adagiandosi sulla mia spalla.
Parcheggiai la carrozzina
nell’atrio e accoccolai Viola sul petto. «Va’ a
cambiarti, Mary. Io tranquillizzo Viola.» Infatti la piccola stava urlando a squarciagola da svariati minuti e non accennava a calmarsi. Meredith annuì e scappò verso gli spogliatoi. Appoggiai la neonata sulla
spalla e cominciai a camminare avanti e indietro nel corridoio, dandole
piccoli e leggeri colpi sulla schiena. Eppure non sembrava proprio
voler smettere di urlare come un aquilotto. Non potevano essere
coliche… Non penso potesse avere fame: aveva mangiato pochi
minuti prima… Le sfiorai il nasino e lei mi guardò con i suoi occhioni chiari, strabuzzandoli. Il suo pianto decelerò, trasformandosi in un lamento basso. «Ti sei calmata, eh,
piccola?». Le baciai le guance piene e tornai nella sala dove la
musica aveva cominciato ad espandersi e dove probabilmente tutte le
madri stavano guardando vicino alle altre bambine. Mi sedetti sull'unica sedia
ancora libera, con Viola avvolta nella copertina e, dopo aver
perlustrato la sala, trovai Meredith tutta intenta ad osservare
l'insegnante, danzando accanto alle compagne. Come una calamita, il mio sguardo si posò sulla donna davanti a tutte le bambine. Non molto alta, magra ma con
le giuste curve, con i lunghi capelli raccolti nello chignon sulla
nuca, guidava le piccole con movimenti aggraziati, seguendo il tempo
della melodia di sottofondo. «L'insegnante è davvero brava» mormorò qualcuno dietro di me. Tesi l'orecchio. «Sì, molto! Sai come si chiama?» «Se non sbaglio Nicole me lo aveva riferito... Bella, se non erro.» Bella di nome e di fatto, pensai. Poi mi tirai una pacca sulla testa, certo che qualcuno mi avesse visto e avesse pensato che fossi uno squilibrato. Dio, come riuscivo a pensare
che la maestra fosse davvero bella? Mi sentii tanto un depravato e
scacciai le immagini poco caste che mi si marchiarono a fuoco nella
mente. Forse era tutto dovuto al
fatto che non facevo sesso da mesi ormai... Sì, probabilmente il
mio lato pervertito si stava risvegliando. Meredith mi fece tornare alla
realtà e mi sorrise. Era tutta contenta che fossi lì. Era
una delle poche volte in cui potevo accompagnarla e vedere i suoi
progressi. La lezione trascorse
così velocemente che mi pentii non poter assistere a
tutte… Era meraviglioso vedere Mary piroettare e ridere quando
sbagliava qualcosa invece di abbattersi. Era proprio per questo che
adoravo, amavo mia figlia, oltre a una serie di fattori
–ovviamente dopo a quello che era sangue del mio sangue, una
parte di me risiedeva in lei. Era capace di sorridere alle difficoltà e scavalcarle senza pensare che tanto non ci sarebbe riuscita. Mi alzai in contemporanea con le altre mamme e Meredith mi corse incontro. «Hai visto? Sono stata brava?» Aveva il fiatone e mi guardava con quei suoi grandi occhi azzurrini da cucciolo. Risi. «Sì, sei stata bravissima amore mio!» Sorrise e poi l’insegnante le richiamò a raccolta. Dio, aveva una voce splendida. «Allora ragazze. Dato che oggi è Halloween, che ne dite se venite a fare dolcetto e scherzetto?» Le bambine gridarono e Mary si girò verso di me. Annuii, capendo le sue intenzioni. Bella mi lanciò un’occhiata. «Ovviamente anche i genitori possono venire.» La mia bambina mi venne incontro. «Vieni papà? Per favore!» «Okay. Ho ancora un sacco di latte per Viola nei termos.» Ero solito a portarmi dietro
più latte del previsto perché c’erano giorni in cui
Viola mangiava di più, altri in cui mangiava di meno. «Allora andate a prepararvi e poi andiamo a festeggiare Halloween!» Meredith scattò verso gli spogliatoi correndo, seguita da tutte le altre amichette. Ritornai nell’atrio e accoccolai Viola nella carrozzina. Lei socchiuse appena gli occhietti e fece un vagito. Tutte le madri accorsero intorno e cominciarono a fare versetti e a dire quanto fosse bella la mia piccola. Bella si avvicinò, fasciata nella sua tuta monocolore. «Oh ma quanto è piccola! Quanto ha?» «Fa due mesi fra due giorni.» Viola mosse le manine e aprì completamente gli occhietti, osservandosi attorno. Meredith mi venne accanto e sfiorò la guancia della sorellina. «E’ davvero bellissima questa bimba.»mormorò qualcuno. E come dargli torto?
«Dolcetto o scherzetto?» La vecchietta, sulla soglia della porta, sorrise. «Oh che carine! Ecco a voi delle caramelle!» Sentii Meredith ridere e poi
sporse il suo cesto a forma di zucca, che venne riempita da una
quantità stratosferica di caramelle e dolciumi. Osservavo in disparte lo spettacolo, cullando Viola adagiata nella carrozzina. «ehm… Lei è il papà di Meredith?» Mi voltai e trovai Bella davanti a me, con le guance arrossate e le man dietro alla schiena. Annuii. «Sì, sono io.» Cercai di alleggerire il clima e le sporsi la mano, cortesemente. Lei la strinse, impacciata. «Io… Sono Bella.» «E io Edward.» Sorrise. «Meredith… Ha dimenticato le scarpette da danza in spogliatoio.» Non nascose più le mani dietro alla schiena e mi porse le babbucce. «Oh.»mormorai stupito. «Ultimamente ha la testa fra le nuvole la mia piccola.» Enfatizzai le ultime parole e sapevo perfettamente che si poteva capire che Meredith era il mio tesoro, assieme alla sorella. Attesi qualche secondo e capii che più di così non avremmo parlato, e invece la donna mi stupì. «Meredith…
E’ molto brava. È una delle più brave del suo
corso.»mormorò, mischiando i ciottoli sparsi sul
marciapiede. «Davvero?»risposi, «A volte Mary me lo ripete… E’ molto orgogliosa di quello che fa.» «E’ davvero brava. Sul serio. Ci tiene molto a quello che fa. Glielo si legge in viso.» Alzai il capo e incontrai i suoi occhi. Erano bellissimi, così scuri ma allo stesso tempo brillanti e puri. «E’… sempre
stata così. Da quando è piccolissima.»mormorai,
osservando le bambine giocare a rincorrersi. «Grazie per
riferirmi queste cose. La ringrazio davvero.» «Non diamoci del Lei… Siamo entrambi giovani, a mio parere. Il tu ci può stare.» Sorrisi ancora.
«O…okay. Io non potrò esserci sempre agli
allenamenti di Meredith… mia madre a volta racconta un po’
di frottole e quindi…» Bella aprì la sua borsa
a tracolla e magicamente ne estrasse una penna e un foglio di carta.
Cominciò a scrivere una serie di cifre e poi me lo porse. Era… era… «Questo è il mio
numero di telefono. Se hai bisogno di sapere progressi su Meredith,
basta che mi mandi un sms e… be’, ti aggiornerò
sulla situazione.» Rimasi di stucco e sorrisi
come un imbecille, su due piedi. Lei sbatté le lunghissime
ciglia e mi dette ancora una rapida occhiata, prima di tornare dalle
bambine. Riguardai quel bigliettino, quel bigliettino favoloso. Cos’era per me? Una semplice cifra, niente di più.
Eppure mi pareva valesse oro. Oro brillante nella notte, nonostante
fosse solamente un innocuo pezzo di carta bianco iridescente sotto la
luce dei lampioni.
________________________ Lo so... Quanto tempoo è che non aggiorno? Portate pazienza ma la scuola
è una cosa assurda ultimamente... Ho appena il tempo di scrivere
due righe che già arriva la sera e devo andare a letto!
Improponibile!
Vabbò, che dire? Che è una m****a di capitolo, tutto qui.
Cagato così, su due piedi e niente più. uno schifo, bleak.
Ho cercato di non complicare la vita a sti due... Sono umani, non
è che dal cielo cadono bigliettini con numeri di telefono!
Quindi boh...
Fa schifo, punto A parte questo, il mio account FB: QUI E' tardissimo... vado a ripassare he è meglio! Scrivetemi una recensioncina per dirmi che ne pensate :3
Ps: questo capitolo è per Fiorella Francesca che ha compiuto gli anni! Auguri tesoro!
Grazie mille a tutte voi <3 Bacioni, Giulia.
Ascolta il tuo cuore ♥ Capitolo 4: Ai piedi del Big Ben.
EDWARD
«Hai il numero di telefono di una ragazza e non me lo hai detto?» Scartai un’altra carta dal mazzo e feci segno a mio padre di abbassare il tono di voce. «Stt papà! Svegli le bambine!» Annuì soltanto.
«Hai ragione, scusami. E solo che sono il tuo vecchio e, cerca di
compatirmi… dopo quello che è successo con Tanya…
Be’, sono un po’ su di giri!» Scossi il capo, divertito.
«Pa’, non farti filmini mentali come la mamma. Ho il suo
numero, ma la conosco appena.» «E allora? Magari le chiedi un appuntamento e…» «Papà, per
favore!». Risi sonoramente: mio padre era capace di immaginarsi
le situazioni in uno schiocco di dita. «Figurati se le mando un
messaggio con su scritto “Senti, non è che usciresti con
me?”» «Secondo me in poco tempo rimarrà incantata da te e vedrai che, come per magia, diventerà mia nuora.» Ovviamente aveva cominciato ad andare un po’ troppo oltre con la mente. «Certo papà, sogna.»borbottai. «Rimarrò un ragazzo padre per molti anni mi sa.» Sghignazzò soltanto. «Sono sicuro che un giorno si avvererà ciò che penso, vedrai.»
«Amore, quindi non ti senti bene?» Meredith scosse il capo, con gli occhi lievemente socchiusi. «Mi fa male la testa, papy. Tanto tanto.» Appoggiai le labbra sulla sua
fronte. La pelle era più calda del solito e il viso era tutto
rosso, come se fosse stato su un fuoco. «Non ce la fai ad andare a scuola?»mormorai, carezzandole i capelli. «Ma le gambe mi tremano e ho freddo. Non sto bene.» Sospirai. «Vorrei sapere
come hai fatto ad ammalarti. Questo è successo perché non
ti sei asciugata i capelli quando ti sei fatta la doccia. Te lo dico
sempre Mary…» «… che posso
prendere il raffreddore, lo so.»borbottò e si
avviluppò di più fra le coperte. Rimasi qualche minuto ad
osservarla. Tremolava vistosamente e continuava a prendere lunghi
sospiri per scaldarsi un po’. «Allora solo per domani
starai a casa da scuola. Però se domani non hai più
febbre, andrai a scuola, okay?» Annuì e chiuse gli occhi, addormentandosi profondamente. Controllai Viola nella culla,
che placidamente riposava da qualche minuto. Mi distesi allora di
fianco a Meredith, nonostante avesse la febbre. Ma poco mi importava.
Dopotutto, ero il suo papà e le avevo promesso che le sarei
sempre stato vicino. La bambina si
rannicchiò scontro il mio petto, con le manine sotto il mento.
Il suo corpo era un brivido unico anche se la sua pelle scottava. Alla luce tenue della lampada,
intonai le prime note della ninnananna che ormai cantavo da sei anni e
mezzo con Mary accanto a me. Era diventata la nostra abitudine sin da quando era nel grembo di Tanya. Quando eravamo ancora felici e non avevamo problemi. Quando eravamo ancora giovani e totalmente spensierati, incoscienti e… ci amavamo. Mi faceva male trarre certe conclusioni a mezzanotte, con la mente semi addormentata ma una parte ancora lucida. Il perché era semplice:
ero un perfetto idiota. Avevo lasciato che Tanya se ne andasse e mi
piantasse su due piedi come un cretino. E forse mio padre aveva
ragione: per quanto non lo avesse sottolineato, voleva che instaurassi
un rapporto con un’altra donna, per dimenticare Tanya. Eppure mi sembrava
impossibile. Io, uomo dedicato solo al lavoro e alle bambine, sarei
stato totalmente maldestro a ricominciare un percorso amoroso. Malgrado ciò, il mio cervello pareva essersi momentaneamente impuntato su quell’idea, cocciuto e impenetrabile. La notte trascorse senza che
ce ne accorgessimo e la sveglia suonò come da routine. La voglia
di scansare le coperte e scendere dal letto era pari a zero e
oltretutto Mary dormiva ancora, quindi perché per una volta non
potevo concedermi un po’ di relax? Un pianto spacca timpani si propagò nella stanza… Avevo parlato fin troppo presto. In cucina, Viola bevve la sua
solita razione mattutina di latte, guardando distrattamente la
televisione. Ogni giorno quella piccolina mi donava nuove sensazioni,
con le sue scoperte giornaliere e… be’, i suoi bellissimi
occhi, che cominciavano sempre di più a schiarirsi, mi facevano
sempre tornare il sorriso. Dal corridoio si ampliò
uno strascichio di piedi sul pavimento. Meredith spuntò
dall’angolo, avvolta nel plaid blu, con i capelli biondi
scompigliati. «Pensavo stessi dormendo.»mormorai, posandole un bacio sulla guancia. Scosse il capo. «No. Ero sola di là e volevo stare con te.» Si sedette dall’altra parte del tavolo, con la bocca leggermente dischiusa e gli occhi ancora umidi dal sonno. «Hai fame?» La bambina annuì con un cenno del capo, senza distogliere lo sguardo dal cartone animato trasmesso in TV. «Vuoi che ti prepari la colazione?»le chiesi ma lei scosse il capo, dirigendosi verso lo scolapiatti. «Papy, sono
capace.»borbottò, guardandomi con i suoi occhi splendenti,
come se fosse stata la cosa più ovvia al mondo, quasi per
banalizzare la mia domanda. «Lo so, piccola, ma vuoi una mano?» Scosse ancora il capo. Era la
mia piccola donna, così responsabile per i suoi soli sei anni.
Molto più affidabile di suo padre di certo. La osservai svolgere quelle
piccole azioni, andando avanti e indietro per la cucina, con la tazza
colma di latte e cacao in polvere. Quando ebbe finito, si accomodò nuovamente davanti a me, versando una generosa manciata di cornflakes nella scodella. «Ti senti meglio di ieri sera?»dissi, adagiando Viola, nuovamente appisolatasi, nella carrozzina. «Sì, non ho
più freddo e mi è passato il mal di testa.»rispose
goffamente, data la bocca piena di fiocchi di mais. Quando le toccai la fronte mi
accorsi che la temperatura era scesa di qualche grado durante la notte;
era leggermente più fresca, meno accaldata e non era velata di
sudore. «Mh… Direi che non hai più la febbre. Può darsi che fosse solo un malanno passeggero.» La bambina mi guardò attentamente. «Come faccio a non ammalarmi con questo freddo?» Risi. «Hai ragione, amore.» Lasciai cadere il discorso e spinsi il passeggino fino alla mia camera, giusto per non svegliare Viola pulendo casa. Svolsi le solite faccende giornaliere, mentre Mary guardava la televisione. Quella quotidianità non
mi aveva mai riempito eccessivamente le tasche, stressandomi e
annoiandomi. Anzi, ogni giorno lo consideravo un dono, perché la
sera, che mi coricavo a letto, non sapevo dove mi sarei trovato il
giorno dopo: se fossi stato sempre a casa oppure dall’altra parte
del mondo… Oppure ancora se avessi mai aperto ancora gli occhi,
oppure se l’anima mi avesse abbandonato. La vita mi aveva fatto troppi
scherzi e non riuscivo a prendere alla leggera i giorni che passavano.
Si era beffeggiata di me, facendomi diventare un illuso e un totale
cretino. Non volevo più ricadere nei miei errori ma imparare da essi, esibendoli come cicatrici. Sapevo che ne ero capace, senza paura anche se ogni tanto mi sentivo un codardo. Distolsi la mente dai miei
ragionamenti contorti, ritornando alla realtà. Dovevo per forza
chiamare mia madre per avvisarla… Tastai le tasche dei jeans,
senza trovare il telefonino. Eppure mi pareva di averlo lasciato
lì, e invece non c’era più. Mi girai, perlustrando la
stanza con lo sguardo. Sul tavolo e di fianco al televisore zero. La
mia attenzione si focalizzò su Meredith, che teneva qualcosa fra
le mani. «Amore, che stai facendo con il mio cellulare?» Lei sollevò gli occhi, sgomenta. L’avevo beccata e ora si trovava in grossi guai. «Io? Nulla, papà!» Mi restituì
l’apparecchio, che vibrò per qualche secondo.
«Questa è tua nonna che mi chiama per sapere di
domani.» E invece non era una telefonata ma bensì un messaggio. Era… “Mi farebbe molto piacere. Allora ci vediamo al Parliament Square alle 15. Bella. “ Oh, Cristo. «Meredith, che diavolo hai combinato?!» Mia figlia mi guardò,
semplicemente sorridendo, furbamente. «Abbiamo un
‘appuntamento’ con Bella.»
«Mary, non so cosa ti farei. Perché mi hai incasinato in questo pasticcio?» Avevo un appuntamento con una ragazza, per lo più organizzato dalla mia bambina pestifera. Cavolo, aveva solo sei anni eppure era più furba di una volpe ed era capace di combinare qualsiasi cosa. «Perché…
Uffa, papà! Dovresti ringraziarmi! Finalmente uscirai con una
donna dopo tanto tempo e invece che fai? Ti arrabbi solo perché
non te lo aspettavi!» Sospirai. «Non mi sto
arrabbiando ma… Mary, se ci tenevi tanto potevi anche dirmelo!
Invece mi hai fatto fare la figura del babbuino e dello spavaldo, cosa
che invece non sono!» «Un po’ babbuino lo sei…»mormorò la bambina. Le lanciai
un’occhiataccia e perlustrai la zona intorno a noi. I erano solo
bus e taxi che andavano avanti e indietro per le vie, le persone
camminavano placidamente accanto a noi. Una ragazza, poco lontano da noi, ci sorrise, accelerando un po’ il passo. «Meredith!»,
mormorò gioiosa, sfiorando le guance arrossate della mia
piccola. Poi mi rivolse un sorriso tenero, sincero. «Ciao,
Edward.» Cristo, mi sentivo così idiota! Non sapevo cosa fare, totalmente maldestro e insicuro. «Bella.»risposi
timidamente, cercando di sembrare il più possibile disinvolto.
Ma ovviamente il mio tentativo fu invano e la mia voce tremolò
sonoramente. Bella si sporse verso la
carrozzina, carezzando il visino di Viola, addormentata e avvolta da
tutti quegli strati di coperte e vestitini. La donna si sfregò le
mani nude, forse provando a riscaldarle. «Andiamo a prendere un
caffè qui vicino? Mi sto congelando!» Io e Meredith annuimmo
contemporaneamente e, spingendo il passeggino, seguimmo Bella poco
più in là dell’imponente Big Ben.
________________________ Ehm... Okay, so che è tanto che non aggiorno ma vi prego, non linciatemi.
L'ultimi 2 mesi sono stati stressanti con la scuola e purtroppo non so
quando avverrà il prossimo aggiornamento... ovviamente, di cuor
mio, spero presto, ma non vi posso promettere nulla. A parte questo, il mio account FB: QUI Ora è tardi, domani ho una giornataccia :S Mi lasciate una recensioncina? :3
Grazie mille a tutte voi <3 Bacioni, Giulia.
Ascolta il tuo cuore ♥ Capitolo 5: Un passo alla volta.
BELLA
Sorseggiai un altro sorso di cioccolata calda, osservando l’uomo davanti a me. I capelli rossicci erano leggermente scompigliati, gli occhi verdi scattavano da una parte all’altra del cafè. «Mary, fa’
attenzione a non scottarti.»mormorò, baciando la testa
della bambina seduta sulle sue ginocchia. «Sì,
papà.». Meredith si girò verso di me, con gli occhi
puntati al cielo. «Fa sempre così.» Ridacchiai. Erano così
carini: si somigliavano molto. Quella punta di verde negli occhi
azzurrini della bambina, la tonalità soffusa scarlatta nei
capelli… «Be’, Edward,
raccontami un po’ di voi… Sono curiosa.»sussurrai
imbarazzata. Ero sempre stata una ficcanaso, mia madre me lo aveva
sempre ripetuto fino alla nausea. E anche quella volta la solfa non era
cambiata, tranne per un fatto. Quell’uomo, Edward, mi faceva
ancora di più incuriosire… Ma senza un motivo apparente. Il suo viso prese una piega
triste, quasi malinconica. «Da dove cominciamo,
piccola?»disse, rivolgendosi alla figlia, che sorrise. «Comincia
dall’inizio! Come nelle storie!»esclamò, come se
fosse stata la cosa più scontata al mondo. «Va
bene.»mormorò, deglutendo. «Allora, otto anni fa
conobbi Tanya e… be’, dirti che ci amavamo è
banale. Poi, un giorno, questa marmocchia è arrivata nelle
nostre vite, e devo ammettere che avevo ventitré anni e non
cercavo figli. Poi a settembre è arrivata Viola, e le nostre
vite sembravano felici…» Nella voce vi era un’alterazione, quasi come se invocasse dei ricordi di un passato recente. Non mi azzardavo a chiederne
il motivo, ero già parsa troppo indiscreta per i miei gusti e
non avevo la benché minima voglia di diventarlo ancora di
più. «Vuoi sapere il motivo
per cui ho detto quell’ultima frase, vero?»domandò
Edward, continuando a sorridere. Scossi il capo, mentendo, ma lui
subito capì che in realtà era tutto l’opposto. «Te lo si legge negli
occhi. Comunque, la spiegazione è semplice. Due settimane dopo
la nascita di Viola, Tanya ha deciso di mollare tutto, me e le bambine,
e andarsene… Solo dopo ho scoperto che forse mi tradiva.» Aprii la bocca, incredula. «Mio dio, mi spiace, non immaginavo…» «Capita. Però, con le mie ragazze, ho passato quel periodo.» Sorrisi, solamente. «Sei molto fortunato ad avere due bambine così splendide.» «Diciamo che sono le mie
ancore di salvezza, ecco. Penso che senza di loro avrei preso a fumare
e avrei perso ben presto la testa.» Distolsi lo sguardo dal suo e
osservai quella bambina così piccola risposare tranquilla
avvolta fra tutte quelle copertine. «E’
bellissima.»ebbi la forza di mormorare. Sembrava un angioletto:
il viso paffuto era macchiato da due piccole chiazze rossastre proprio
sulle guance, gli occhietti chiusi vibravano appena. «Vuoi prenderla in braccio?» Guardai Edward. Non diceva mica sul serio? «Ma se poi mi cadesse? O se le facessi male?»farneticai frettolosamente, cercando di evitare la questione. «Tranquilla: non puoi farle nulla in nessun modo e poi non guizzerà via come un’anguilla.» Prese quel corpicino
così fragile e me lo depose fra le braccia che mi tremavano
vistosamente. Eppure la piccola non aprì gli occhi né
cominciò a piangere. Allora capii che in nessun modo avrei
potuto nuocerle. La strinsi un po’ al petto e aspirai il profumo
che la sua pelle emanava. Sapeva di latte e di camomilla. «E’ così
piccina.». Le sfiorai le guance cicciottelle e poi il naso. Era
morbidissima, quasi come se la sua cute fosse stata di velluto. L’uomo mi sorrise e non disse nulla, ma continuò a guardare me e quel piccolo gioiello che mi dormiva sul petto.
«Ho passato un gradevole pomeriggio.» Continuavo a balbettare come una stupida e le mie guance avvampavano furiosamente ogni due secondi. «Sì, anche
noi.»rispose, cercando di sembrare il più gentile
possibile, anche se pure lui era visibilmente impacciato. Ci fu un attimo di silenzio che si ruppe quando Edward riprese la parola. «Vuoi venire un attimo dentro?» Spalancai ancora di più gli occhi e annaspai. «Co… Cosa?» In realtà avevo metabolizzato bene la sua domanda ma il problema serio era che non riuscivo a crederci. O meglio… Non volevo crederci. Dopotutto, ero una perfetta estranea, no? «Ehm… Sempre se vuoi, ecco.» mormorò, schiarendosi la gola. Annuii solamente, seguendolo fino alla porta d’ingresso.
EDWARD
Se qualcuno mi avesse chiesto
perché le avevo posto quella domanda… Be’, la mia
risposta sarebbe stata un blaterare unico. Era stato un impulso. Forse il voler essere gentile con lei… Non ne avevo idea del perché. E in quel momento Bella era seduta al tavolo della cucina, con Viola fra le braccia che la guardava curiosa. Non mi andava di farle un
saluto così su due piedi e poi tornarmene dentro, mentre lei
sarebbe andata a casa per i fatti suoi. Deposi sul tavolo le due tazze contenenti la cioccolata calda e le sorrisi. «Vuoi che la prenda io?» Le alzò lo sguardo e scosse il capo. «No, non è un problema.» Viola chiuse tranquilla gli
occhi, cullata dai dolci movimenti di Bella, che le sfiorava di tanto
in tanto il nasino con la punta delle dita. Bevemmo con calma la bevanda,
parlottando e facendo qualche battuta ma talmente eravamo imbarazzati
che ne uscirono solo guance arrossate. «Ora devo
andare.»mormorò ad un certo punto, alzandosi e appoggiando
Viola nella carrozzina. Mi rivolse un sorriso sincero e uscimmo nel
vialetto. Il cielo era già buio, puntinato di stelle piccole e scintillanti. «Mi ha fatto piacere poter passare del tempo con voi.»disse, premendo il cappuccio alla testa. «Sì, anche a noi.» Non sapevo cosa fare. Baciarle la guancia era eccessivo, farle un cenno con il capo era troppo poco. Le strinsi una mano, delicatamente. Era una via di mezzo plausibile per non sembrare un perfetto deficiente. Bella si allontanò, camminando verso la fermata dell’autobus, senza voltarsi. Rientrai in casa, scuotendo il capo. Bene, per colpa di mia figlia
mi ero ritrovato a un appuntamento con la sua maestra di danza. Non mi
ero potuto preparare psicologicamente e avevo fatto la figura
del… babbuino. Sospirai. «Sono un'esimia testa di cazzo.» Meredith mi guardò di sbieco. «Che vuol dire "esimia testa di..."» Le misi una mano sulla bocca,
zittendola. «Niente, amore di papà. Non va assolutamente
ripetuta o ti faccio lavare la lingua con il sapone come faceva nonna
Esme con me e zia Alice.» Sgranò gli occhi e fece una smorfia di disgusto. «Bleah, ma che schifo!» Risi e le diedi una pacca sulla schiena. «Avanti, vai a finire di fare i compiti, okay?» Non disse nulla e ritornò nella sua stanza, canticchiando qualcosa sottovoce. Insomma… Potevo considerarlo come primo appuntamento? Oppure solo come una specie di prefazione amichevole? Nessuna delle due, ovvio. Un
incontro combinato dalla mia –troppo- intelligente bambina di sei
anni, di sicuro più furba di me. Però ci andava un passo alla volta, uno dopo l’altro, con calma e senza affrettarsi più del dovuto.
________________________ Allooooora.
Buona sera. Sono riuscita ad aggiornare prima del 17 dato che poi parto :3
Devo dire innanzitutto grazie a Marystew per il titolo *_* Io ero a corto di idee.. ._.
Poi mi scuso per la brevità del capitolo ma il motivo è
dovuto dal fatto perchè come sapete era la seconda parte del
secondo capitolo. E ammetto che è una schifezza.
Da ora capiteranno cose importanti.. A meno che la mia mente non impazzisca di nuovo.
Vi lascio il mio account FB: QUI Vado a ripassare storia nella vana speranza che non interroghi domani la prof. Mi lasciate una recensioncina? :3
Grazie mille a tutte voi <3 Bacioni, Giulia.
Capitolo 6 *** All I want for Christmas is you ***
Ascolta il tuo cuore
Ascolta il tuo cuore ♥ Capitolo 6: All I want for Christmas is you.
EDWARD
Non so come e non so il perché, ma ad un certo punto il mio cuore aveva ripreso a battere davvero.
Forse era l’aria festosa del Natale che mi avvolgeva e rendeva tutto più facile.
Fatto stava che dopo tanto tempo mi ero risentito me stesso.
Era bastato un mese solo per farmi capire nuovamente cosa volessi
davvero, cosa potessi provare per un’altra persona o comunque
ritornare alla realtà, senza più dover soffrire.
Mi era sembrato davvero strano, perché avevo fatto quasi
l’abitudine a convivere con quell’oppressione e non speravo
neanche più che se ne andasse.
E invece in quel mese pieno di sorrisi, chiacchiere e sì, anche
di forti emozioni, avevo riavvolto il nastro, tornando a quei momenti
in cui non desideravo altro che l’amore verso una persona.
Mi ero dovuto di certo ricredere. La tranquillità aveva ricominciato a regnare nel mio cuore.
E dovevo anche dire grazie alla mia bambina. Aveva un padre che era un
babbuino come pochi. Ma ora eravamo felici davvero. Io per primo.
Strinsi distrattamente la mano di Bella. Era una di quelle poche persone che erano capaci di farmi tornare bambino.
Però ancora non le avevo detto tutto. O meglio, ci stavamo
frequentando ma ancora non avevo il coraggio di dirle davvero
ciò che provavo per lei.
Dovevo dare tempo al tempo e magari ci sarei riuscito.
Era però meraviglioso poter passare un po' di tempo all'infuori
delle bambine. Dopotutto Tanya era troppo presa da quello spilorcio e
non aveva chiamato manco per sapere a che punto fossero i preparativi o
se avessimo bisogno. Ma da lei me lo sarei aspettato. Insomma, c'ero
stato assieme per dieci anni e non mi serviva di certo un genio per
capirlo.
Ma poco mi importava. Mancava solo un giorno a Natale e davvero, non volevo pensare a chi davvero non mi meritava.
«A me cosa regali, papà?»
Meredith smise di saltellare davanti a noi e mi guardò. Il
berretto rosso le copriva gran parte della visuale e lei fu costretta a
sbirciare da sotto il tessuto.
«Amore mio, non insistere. Lo scoprirai domattina.». Era
proprio mia figlia: cocciuta fino al midollo, era difficile smuoverla
dalle sue idee.
Bella rise e si avvolse ancora di più nel cappotto.
«Qualunque cosa sarà, vedrai che ti stupirà.»
Mary fece spallucce e continuò a salterellare, canticchiando qualcosa sotto voce.
Viola dentro la carrozzina tirò su il nasino e fece un veloce
lamento. Faceva troppo fredda per tirarla fuori da tutte quelle
copertine.
Ci guardammo attorno. Le strade erano illuminate da migliaia di lucine
rosse, bianche e verdi. Ogni vetrina era contornata da liane lucenti e
si sentiva qualche melodia natalizia risuonare in lontananza.
All’improvviso feci cenno a Bella di fermarsi e quando Meredith
si accorse che non la stavamo seguendo, si girò e ci
guardò perplessa.
«Perché vi siete…»
Non finì la frase e si mise ad urlare e strepitare. «Andiamo al McDonald? Sul serio?!»
Le carezzai i capelli e non trattenni un sorriso che mi nacque
spontaneo. «Certo, piccola. Dopotutto a Natale si dobbiamo essere
tutti più buoni, no?»
Meredith mi saltò letteralmente tra le braccia e si
accoccolò sulla mia spalla. Adorava quel ristorante: i miei
genitori la portavano estenuantemente là. Era il paradiso del
cibo grasso e delle schifezze. E già troppe volte avevo
declinato la sua proposta di andarci, quindi mi era sembrato opportuno
per una volta accontentarla.
«Ti andrebbe? Intendo mangiare con noi.»mormorai a Bella, mentre entravamo nel ristorante.
«Ovvio.», sorrise, guardandomi negli occhi. Mi sarei ben presto perso nel vortice di quel cioccolato fuso…
«Non vado ne vado matta, però uno strappo alla regola di certo non mi farà male.»
Non sapevo cosa risponderle e mi limitai a sorridere come un perfetto
deficiente. Era capace di farmi uscire di testa come nessuna aveva mai
fatto e certe volte avrei voluto urlarle cosa provavo per lei.
Però il mio coraggio era ben sotto il livello di norma e allora
mi tiravo indietro.
«Cosa prendo?». Mary continuava ad esaminare senza sosta il
tabellone posto sopra le nostre testo e ripeteva tutti i nomi scritti
senza però riuscire sul serio a decidersi.
«Io ho optato per una Coca Cola e un BigMc. Tu prendi
l’Happy Meal, così ti danno la sorpresa.»le
sussurrai all’orecchio, carezzandole la guancia.
Alzò gli occhi e mi ringraziò, sempre con quel suo bellissimo sorriso sulle labbra.
Intanto Viola continuava a brontolare, probabilmente per la fame, e iniziò a vagire sonoramente.
«Vieni qui, piccina.»
Mi girai verso Bella, che cautamente si era chinata verso la neonata e se la accoccolava teneramente sul petto.
Agli occhi esterni potevamo sembrare tranquillamente una normale
famigliola, anche se in realtà Bella non era, purtroppo, la
madre delle bambine.
Gli occhi della piccola scattavano velocemente da una parte
all’altra e lei osservava interessata ciò che succedeva
attorno a lei.
«Voleva solo essere tirata su.»mormorò la donna,
baciando la testolina di Viola. «Non è vero,
cucciola?»
Mi voltai e sorrisi soltanto, perché non sapevo se commuovermi o
strapparmi i capelli. Era tutto così… perfetto e reale.
Perché non riuscivo solo ad andare da lei e dirle tutto
ciò che da un mese intero mi portavo appresso? Perché?
Il desiderio era smisurato e gliel’avrei detto anche davanti a tutte quella gente se solo…
Se solo avessi avuto le palle.
Non mi azzardavo neppure a sfiorarle la mano o dirle qualcosa all’orecchio perché mi vergognavo troppo.
Sarà stata la presenza di Meredith oppure qualcosa in me che
andava dal senso opposto, fatto stava che nonostante provassi
ciecamente a raggiungere quell’obiettivo ogni volta mi tiravo
indietro.
Ci sedemmo ad un tavolo in un angolo, cercando un frammento di tranquillità in quel posto.
Mi accorsi in una frazione di secondo che Bella era intenta a cullare
Viola e non riusciva staccarle gli occhi di dosso. Erano fatte
l’una per l’altra, come se davvero una particella della
donna avesse fatto parte della bambina.
«Vuoi che la tenga io?». Cercavo di sembrare il più
carino possibile e non essere il solito babbuino stupido e senza
cervello.
Lei scosse il capo e continuò indisturbata a coccolare la
neonata. Più volte le chiesi se voleva una mano eppure
continuava a negare e, per quanto mi sembrò stupefacente,
riuscì a finire il suo pasto senza neppure posare la bambina
nella carrozzina.
Ero rimasto senza parole e lo rimasi per tutta la serata, fino a che non l’accompagnammo sotto casa.
«Grazie mille.»mormorò. Gli occhi, nonostante la stanchezza, erano sempre scintillanti.
«E di cosa?»
Fece spallucce e rise.«Della bella giornata, sul serio. Penso che
sarei morta dalla noia se fossi rimasta a casa tutto il
pomeriggio.»
Sorrisi.«Be’, almeno hai girato un po’.»
Annuì soltanto e fece per scendere, finchè non si girò e mi abbracciò. «Grazie Edward.»
Rimasi senza parole e cercai di salvare ogni singolo momento di quel contatto. «Grazie a te.»
«Buon Natale.»,mormorò infine, risplendendo ancora.
Chiuse la portiera e si avvicinò al portone di casa sua.
Ero proprio cotto a puntino.
«Papà! Svegliati! Voglio aprire i regali!»
Meredith continuava a sballottarmi da una parte all’altra e strillava talmente forte che i miei timpani sembrarono cedere.
«Sono sveglio! Ora ti mangio!»
La presi fra le braccia, cogliendola di sorpresa, e iniziai e mordicchiarla ovunque, mentre le sue risate colmavano la stanza.
«No! Non mangiarmi!»
Si calmò quasi subito e rimase attaccata a me ancora un
po’. Le sue braccia erano allacciate alle mie e continuava a
sussurrare qualcosa di assolutamente sdolcinato all’orecchio.
«Dai, che è tardi! Voglio aprire i regali! Sono già
le undici!»ricominciò subito a strillare, spingendomi
giù dal letto.
Scesi dal mio comodo giaciglio e la guardai frastornato. «Ma io avevo sonno!»
«Tu hai sempre sonno!»borbottò, tirando il mio braccio. «Dai!»
Risi e lasciai che corresse in salotto, dove c’era l’albero
addobbato. Viola era nel lettino, tranquilla, che fissava il soffitto.
Stranamente nonostante le urla della sorella non si era spaventata e
neppure messa a piangere.
La presi fra le braccia e la feci distendere sul mio petto, con la
testolina sulla mia spalla. Le baciai i fini capelli e le feci qualche
carezza sulla schiena, anche se non ne aveva bisogno perché si
stava riaddormentando.
«Buon Natale, piccina.»mormorai e lei mi rispose con un breve vagito.
I momenti che ne proseguirono furono solo risate e strepitii. Meredith
continuava a fissare il suo regalo, ancora impacchettato, senza
decidere cosa farne. Voleva sapere a tutti i costi cosa ci fosse dentro.
Alla fine la obbligai ad aprirlo e quando vide il contenuto
scoppiò in lacrime. Alla fine, ero riuscito a regalarle
ciò che davvero desiderava da tanto tempo: una chitarra.
Avevo messo da parte i risparmi e con l’aiuto dei miei genitori
avevamo racimolato abbastanza da permetterci una chitarra acustica,
simile alla mia di quando ero ragazzo che custodivo gelosamente nel mio
armadio e che ben poche volte salvavo dalle ragnatele per strimpellare
qualcosa.
Vedere il viso della mia bambina trasformarsi in una smorfia di stupore
puro mi aveva colmato il cuore tanto da farlo straboccare d’amore.
Ero riuscito a trasmetterle il mio amore per la musica e ora ero
riuscito a renderla ancora più felice di quello che già
non fosse.
Dopotutto, avevo iniziato proprio alla sua età a dilettarmi al
pianoforte che mio padre teneva nel mansardato e avevo iniziato ad
approcciarmi alla musica sempre più intensamente, fino a che non
riuscii a frequentare corsi avanzati per sentirmi sempre più
fiero.
Per me la musica era la mia compagna di vita, e forse era proprio per
quello che Tanya mi aveva mollato… Non amava quei suoni che per
lei non avevano un senso. Tutte le volte che io provavo a far imparare
a Mary qualche nota, lei strillava e diceva di buttare
quell’arnese di legno o che lo avrebbe fatto lei stessa.
Mi sentivo un bambino davanti a tutta quella gioia che la mia piccola
voleva condividermi e la ascoltavo placido, mentre scorreva le dita
minuscole lungo le corde.
E se per sbaglio la nota saltava o veniva particolarmente fastidiosa,
faceva un sorriso tirato come per dire:”Ops, che guaio! Che
pasticcio!” e poi cominciava a ridere.
Ora eravamo davvero liberi.
BELLA.
«Rose, calmati, per l’amor del cielo!»
Condividere le ultime novità con una delle mie migliori amiche
era come andare al patibolo, perché con tutte le loro domande
rischiavano di sotterrarti.
«Aspetta, tu esci con uno e non me lo dici?! Ma ti sembra il caso di trattarmi così?!»continuava
a sbraitare, e nonostante le sue urla coprissero gran parte
dell’ambiente che la circondava, riuscivo a captare rumori
provocati da oggetti che cadevano e simili.
Evidentemente si stava scaldando, e non poco.
«Rose, perdiana, datti una regolata!»urlai, attivando il
vivavoce e sbattendo il cellulare sul letto. «Non esco con
lui… Cioè, ci frequentiamo ma non è nulla di
più!»
«Non ci credo! Punto! Dai, mi
hai sempre raccontato tutto e ora non mi dici più nulla?
Cos’è ‘sta storia?»
Sbuffai. «Va bene. Tra poco esco, vado a casa di Alice che mi ha
invitato per festeggiare il Natale con lei e la sua famiglia, okay?!
Tutto lì!»
«Però scommetto che da
Alice c’è anche suo fratello. Com’è che si
chiama, già? Ah sì, Edward!»
Deglutii rumorosamente e non risposi, asciugandomi la fronte con il dorso della mano.
«C’ho azzeccato! Cazzo, mi sento un genio! Oh yeah!»cominciò ad esultare, canticchiando allegramente. «A me non puoi nascondere nulla, tesoro! Perché tanto lo scopro sempre!»
«Va bene, hai vinto! Penso ci sia pure lui, ma non ne sono sicura
al cento per cento. So solo dirti che non so cosa cavolo
mettermi.»
«Se c’è lui,
mettiti un bell’abito scollato al massimo e super corto…
Puoi stare certa che cascherà ai tuoi piedi!»
«Rose!», dissi, con un tono falsamente stupito e scioccato. «Sai che odio vestirmi in quel modo!»
«Ma per una volta, cosa vuoi che sia? Dai! Che poi voglio vedere le foto!»
Sbuffai, e continuai la mia ricerca tra le centinaia di abiti che
tenevo rinchiusi nell’armadio a prendere polvere. «Non
trovo nulla! Che colore?»
«Rosso! O nero! Però rosso mi piace molto di più! Sei una Mamma Natale molto cattiva in quel modo.»
Feci finta di non aver sentito e scovai un abito che non avevo mai
messo. Rosso, con una scollatura a cuore, lungo appena sopra il
ginocchio. Avevo speso inutilmente dei soldi, quella volta che
l’avevo comprato, perché non l’avevo mai indossato.
O meglio, non avevo mai trovato un momento decisivo per indossarlo.
«Okay, l’ho trovato! Scarpe nere, collant trasparenti e poco trucco. Che dici?»
Rose schioccò la lingua. «Baby, secondo me farai un figurone! Vai così!»
Risi soltanto e mi vestii velocemente. Erano già le venti e
trenta e io dovevo essere da Alice nel giro di quindici minuti o poco
più.
Quando mi guardai allo specchio, rimasi estasiata. Stranamente, il
vestito mi calzava a pennello e non mi faceva sembrare una mega fragola
con due tette enormi. Mi fasciava adeguatamente e le scarpe slanciavano
le gambe.
Lasciai i capelli sciolti sulle spalle. «Rose, sono pronta!»
«Perfetto! Dai, ora vai, o altrimenti arrivi in ritardo! Poi voglio tutti i dettagli, honey! Un bacio!»
Chiusi il telefono e lo gettai nella pochette. Nonostante i tacchi alti
ben dieci centimetri, a cui ero ben poco abituata, scesi le scale in
fretta e furia e quando mi sedetti in auto, dovetti fare dei lunghi
respiri per poter riprendere conoscenza e lucidità.
Ero davvero troppo agitata eppure mi sentivo euforica e quando mi
trovai davanti alla casa di Alice, sul mio viso si era dipinto un
sorriso sereno e pieno di aspettative.
EDWARD.
Mia sorella Alice, come tutti i Natali, era riuscita ad addobbare
magnificamente il suo salone. Era pieno di ghirlande e luci
caleidoscopiche, il profumo dello spumante frizzava nel naso e
c’erano tantissime risate.
«Papy! Guarda!»
Meredith richiamò la mia attenzione. «Dimmi.»
«La nonna ha detto che sto benissimo vestita
così.»mormorò, con le guance rosse e il sorriso
sempre stampato in volto.
In effetti ero davvero orgoglioso di come fosse vestita la mia bambina.
Le avevo fatto indossare un vestitino rosso scuro che le stava
magnificamente e le paperine nere la rendevano ancora più
graziosa.
Sorrisi a mia madre e lasciai che Mary corresse di nuovo in giro per le stanze, a giocare e a correre con gli altri bambini.
Ero un po’ a disagio, perché mi sentivo solo e mi mancava
qualcosa. Viola dormiva placidamente nella carrozzina di fianco al
divano dove era seduta mia madre e non sapevo cosa fare.
Mi sentivo così inutile.
«Deve arrivare ancora qualcuno?». Mi rivolsi a Alice, che stava portando gli antipasti nel salone.
«Uhm non lo so, sinceramente, ma…»
Il suono del citofono la interruppe e lei volò ad aprire il
portone. Non so perché, ma in quel momento mi sentii su di giri,
come se avessero caricato una molla nel mio corpo e l’avessero
lasciata partire.
Continuavo a fissare la porta e quando Alice ricomparve, mi si mozzò il fiato.
Alle sue spalle, c’era l’angelo più bello che avessi
potuto mai vedere. Bella era fasciata in un aderente abito rosso
e… era bellissima.
Non trovavo le parole adatte per descriverla perché era ogni aggettivo era insignificante in confronto a lei.
Mi sorrise timidamente e dovetti avvicinarmi a lei. Era stato un neurone del mio cervello a dirmelo, e io non avevo resistito.
«Ciao, Edward.»mormorò, quando Alice si levò dai piedi.
Provai a ricambiare il sorriso ma ciò che ne venne fuori fu una smorfia orribile. Almeno ero riuscita a farla ridere.
Stemmo assieme cercando di allacciare un discorso concreto, senza
impallarci a metà frase. Ma ciò che davvero
sbloccò la situazione fu la musica.
Mio padre era arrivato al pianoforte verticale che c’era nella
stanza e Meredith lo seguì. Tutti ci voltammo verso di lei, che
divenne subito rossa.
Si schiarì la gola. «Vorrei dedicare a tutti quanti una
canzone.». Marcò sul tutti e mi fissò, facendomi
capire che era soprattutto per me.
Mi venne il magone in gola e tossicchiai nervosamente.
«Vorrei cantarvi una canzone che la nonna mi ha insegnato e che io adoro. Vai, nonno.»
Le note di “All I want for Christmas is you” si distesero e
la voce argentina della mia bambina intonò le prime parole.
L’ascoltai incantato e non mi accorsi che il mio braccio si era
legato attorno al fianco di Bella, che per non si era scansata e non
aveva detto nulla. Anzi, sorrideva.
Ad un certo punto, alzai lo sguardo e notai un rametto penzolare sopra la mia testa.
Era…
«Cosa stai guardando?». Bella mi fissò stralunata e si accorse di quella cosina verde.
«Quello è… vischio?»domandai, e mi accorsi che c’avevo azzeccato.
Lei annuì e mi fissò ancora più impaziente. «Cosa vorresti dire?»
«Sai cosa succede quando ci si trova sotto il
vischio?»chiesi, guardandola negli occhi. Non capii se aveva
annuito o meno, però di sicuro aveva capito cosa intendeva.
I just want you for for my own More than you could ever know Make my wish come true All I want for Christmas is you You baby
Le mie labbra si adagiarono su quelle di Bella. Pensai subito che mi
desse uno schiaffo, ma la sua mano si appoggiò sulla mia spalla.
Era… strano.
Qualcosa dentro di me era cambiato in positivo. La parte che mi sembrava mancante ora era nuovamente integra.
Il fiato dolce della ragazza mi invase i polmoni e quando mi accorsi
che tutti avevano smesso di cantare e ci guardavano, non me ne curai.
Le labbra di Bella seguivano le mie e non avevo bisogno di niente e
nessun’altro in quel momento.
Meredith riprese a cantare, e con la coda dell’occhio mi accorsi
che piangeva vistosamente. E intanto io continuavo a sentire quel
vortice di emozioni che mi turbinava nello stomaco, nei polmoni.
'Cause I just want you here tonight Holding on to me so tight What more can I do Baby all I want for Christmas is you You
Sentii solo più le mani di Bella sulle mie e poi solo il mio
cuore palpitare nuovamente perché finalmente ero tornato me
stesso.
Guardai Bella negli occhi, con le mie labbra a fiore delle sue.
«Baby all I want for Christmas is you.»
ebbi solo la forza di mormorarle, prima di tornare a bearmi quel
momento magico e perfetto che nessuno avrebbe potuto portarmi via.
________________________ Sono stra di corsa. Scusatemi ç_ç Allora grazie a Afu per il primo banner ♥
E' un capitolo che personalmente adoro :') chissà perchè u.u
Cmq, grazie a tutte coloro che seguono e a delle persone molto speciali che mi sostengono. Loro sanno chi sono <3
Vi lascio il mio account FB: QUI QUI il gruppo di FB :3 Mi lasciate una recensioncina? :3 Daaaai! QUI il look di Bella :3 Ora vado, notte! Giulia!
Ascolta
il tuo cuore ♥ Capitolo 7: Un nuovo
inizio.
BELLA
«Meredith, esci di lì!» Mi affacciai
verso il corridoio e intravidi Edward postato davanti alla porta del
bagno, con la fronte appoggiata al legno scuro. «No!
Non voglio uscire! Rimango qui!» L’uomo
sospirò, girando lentamente il capo verso di me.
«Cosa devo fare?» «Che
succede?», gli chiesi, sfiorandogli la spalla.
Sbuffò di nuovo, bussando alla porta.
«Papà, non esco! Smettila!»,
strillò di nuovo la bambina dentro alla stanza. Edward si
stancò e si scostò da lì,
avvicinandosi a me. «Dovevo farle il bagno, ma non vuole
uscire di lì. E poi penso ci sia anche
qualcos’altro.» Mi
accarezzò la guancia e poi appoggiò il capo sulla
mia spalla, cominciando a dondolare avanti e indietro. «Vuoi
una mano?»gli domandai, sfiorandogli la nuca con la punta
delle dita, dove i capelli erano più ispidi. «Se
riesci a convincerla, non so cosa ti
faccio.»sussurrò, mentre io ridacchiai
imbarazzata. Mi lasciò un lieve bacio e tornò
nella stanza, dove Viola forse si era addormentata. Appoggiai le dita
alla maniglia. «Mary, mi fai entrare?» La serratura
scattò e la bambina mi lasciò entrare. Sebbene
Edward pensasse il contrario, mi ero accorta che da giorni Meredith
faceva costantemente capricci, soprattutto con il padre. Se lui le
chiedeva qualcosa, lei faceva tutto l’opposto e
così scattavano i castighi e i bisticci fra i
due… Non sapevo però chi fosse il bambino. Per me, il fatto
che Mary si comportasse così, era dovuto a tutto
ciò che era successo nell’ultimo mese. Forse era
una specie di gelosia nei miei confronti… E potevo capirla
perfettamente. Ero sbucata nella vita del padre in un lasso di tempo
davvero corto e quello che era successo alla festa di Natale… Be’,
dopotutto era una bambina di quasi sette anni… E capire la
situazione era di certo molto complicato per lei. Quando entrai
nella camera, Meredith non si girò neppure.
Ritornò a sedersi sul bordo della vasca, dove probabilmente
era stata tutto il tempo. «Che
succede?». Le carezzai i lunghi capelli biondi, mentre lei mi
fissava con uno sguardo perso. «Non
voglio fare il bagno e non ho voglia di andare da nonna,
stasera.»mormorò, rannicchiandosi sulla mia
spalla. «Voglio stare con papà.» Quante volte io
da piccola desideravo stare con mio padre? La strinsi un po'
più forte a me, e sembrò che il contatto non la
turbasse affatto. «Ma
è solo per cena, no?» La bambina scosse
il capo. «No, fino a domattina. Ma io non voglio stare con la
nonna. Mi fa fare solo degli stupidi giochi di società.
Può andare Viola, ma io voglio stare con il mio
papà.» Ci pensai su per
qualche secondo. Eppure mi pareva che Edward mi avesse riferito che
avrebbe portato Meredith da sua madre solo per la cena e che poi
l'avremmo riportata a casa per festeggiare assieme il capodanno... Qualcosa non mi
quadrava. «Ah.
Vabbè, senti, che ne dici se ora ti fai il bagno e poi dopo
andiamo a vederci un film? Faccio scegliere a te, okay?» Mary
annuì con decisione, e l'espressione triste che era sul suo
volto pochi istanti prima sparì per lasciar spazio a un
sorriso a trentadue denti. «Vado
allora a chiamare tuo padre.». Davanti a lei non mi
capacitavo di chiamarlo Edward... Forse perchè era tutto
così naturale da non riuscire a cambiare nulla. «No!»esclamò,
quasi urlando, per poi diventare paonazza. «Rimani tu
qui.» Rimasi
piacevolmente sorpresa a quell'affermazione. Insomma, io per lei ero
una perfetta estranea, la sua insegnante di danza. Però
questo a lei non dava fastidio, anzi, continuava a sorridermi. «Okay.».
Provai a sembrare il più disinvolta possibile, e mi sentivo
quasi una stupida perchè era una bambina e non provava
imbarazzo di fronte a me. «Allora, sbrighiamoci.» Si sedette sul
bordo della vasca, in bilico, mentre mi osservava regolare il calore
dell'acqua. Annegammo in un
improvviso silenzio, rotto solo dallo sciabordio nella vasca. Meredith
dondolò i piedi, fissandosi le scarpine viola. Si
voltò verso di me. «Lo
sai», cominciò. «papà mi ha
regalato una chitarra grande come la sua.» Stentai un
sorriso. «Forte», fu l'espressione più
convincente che riuscii a trovare. «Già!»,
trillò. «Papà è un
bravissimo maestro. Sa tutto.» Annuì
con così tanta decisione che rischiò di cadere.
«Sa proprio tutto tutto.» La vasca da bagno
era ormai colma di acqua. Fortunatamente
non ebbi bisogno di chiederle nulla: Mary saltò sul tappeto
e cominciò a sfilarsi la maglia del pigiamino, rifiutando
ogni mio tentativo di aiutarla. «Sa
fare bene i regali. Secondo me ti piacerà.» Quella volta mi
appoggiai io al bordo della vasca, aspettandola. «Di cosa
parli?» «Del
b...» Vidi il suo
colorito diventare paonazzo; si tappò la bocca con le
manine. «Ops!» Inarcai le
sopracciglia, spalancai la bocca. Quante altre sorprese mi avrebbe
ancora riservato Edward? «C'è
qualcosa che tuo padre non mi ha detto?» Scosse il capo,
probabilmente per riparare all'errore compiuto. «No,
no.». Si tolse i pantaloni e le mutandine e si
tuffò dentro la vasca. Il silenzio
tornò a regnare tra noi due. Meredith teneva lo sguardo
basso, gli occhi fissi sulla schiuma. «In
ogni caso, dopo convinco papà a suonare qualcosa. Sarei
felice se lo ascoltassi.» «Se tuo
padre è d'accordo, per me non ci sono problemi».
Sorrisi. Iniziò
a insaponarsi il corpo minuto, passando la spugnetta in ogni lembo di
pelle sprovvisto di bagnoschiuma. «Non mi
avevi chiesto di fartelo io il bagno?», chiesi, cercandole di
sembrarle perlomeno disponibile come lo era il padre. «Sono
grande», bofonchiò. «Se sei
grande come dici non dovresti fare tutti quei capricci. Fai star male
Edward.» I suoi occhi si
riempirono di curiosità. «Sta male
perché bisticciamo?» Annuii.
«Già.» «Oh»,
mormorò, lasciandosi lavare i capelli. «Non lo
sapevo.» «Me
l'ha detto ieri. È tanto triste, sai? Sii più
ragionevole e brava, se non vuoi che ci rimanga male.» «Me lo
segnerò.» Le sciacquai il
sapone di dosso e la avvolsi nell'accappatoio. «Ecco
fatto», mormorai, posandola sullo sgabello. «Grazie»,
disse, osservandomi con occhi dolci e caritatevoli. «Lo
vediamo il film, alla fine?» «Ovvio,
te l'avevo promesso.». Le sfregai il tessuto dell'asciugamano
sul corpo, asciugandola alla bella e meglio. Sorrise.
«Vado a vestirmi in cameretta.» Sparì
oltre la soglia, guizzando via dalle mie braccia. Mi massaggiai le
tempie, cercando di capire cosa Mary e Edward mi tenessero nascosto. «Che
succede?» Alzai lo sguardo
e notai che Edward sorrideva piacevolmente, appoggiato allo stipite
della porta. «Ti ha
fatto impazzire?» «No,
affatto», sussurrai, mentre si sedeva accanto a me. Averlo
così vicino mi mandava in tilt: il battito cardiaco
aumentava, tanto da sembrare che il cuore potesse balzarmi fuori dal
petto da un momento all'altro; il respiro accelerava, il mio corpo non
rispondeva ai miei comandi. La sua presenza
mi lasciava letteralmente paralizzata. «E'
stata bravissima. Probabilmente ha voluto solo un po' di
compagnia.» Mi aveva preso la
mano, carezzandone il dorso. «Sì, forse. Ma non
capisco perchè ce l'abbia con me.» «Ed,
hai pensato alla gelosia?» Mi
guardò torvo, la fronte corrugata. «Gelosa? Di
te?» Annuii.
«Ha pur sempre sei anni, è una situazione
complicata per lei.» Ci ritrovammo
adagiati sul sofà nel salotto, le mie mani nelle sue.
«Ma perché dovrebbe essere gelosa? Insomma, ti
conosce da quasi due anni.» «E'
vero», borbottai, guardandolo negli occhi. «ma tu
cosa faresti se da un giorno all'altro tuo padre o tua madre conoscesse
qualcuno? Per lei sono una specie di rimpiazzo di Tanya.» Sgranò
gli occhi. «Cosa?» «Non
guardarmi così. Io direi di andare con calma, si deve
abituare a quest'idea.» Fummo interrotti
da Meredith che spuntò dal corridoio, con addosso una tuta
azzurra e le babbucce. «Bella, mi fai le trecce?» La feci sedere
sulle ginocchia e l'abbracciai dolcemente. «Hai gli
elastici?» Me li porse e
aspettò pazientemente che ebbi finito. I capelli biondi
sembravano, al tatto, di velluto. «Grazie»,
mormorò, dandomi un bacio sulla guancia. «Che
film guardiamo?», chiese, appoggiando la testa sulle
ginocchia. «Quello
che vuoi tu.» Scese dal divano
e iniziò a perlustrare le mensole alla ricerca di un film
che le potesse piacere. Anche se, a detta di suo padre, ormai li sapeva
tutti a memoria. «E, in
ogni caso, se fosse gelosa di te, non ti avrebbe chiesto di farle il
bagno.», mi sussurrò all'orecchio Edward. Alzai gli occhi
al cielo e Meredith tornò accanto a me, stringendo fra le
mani la custodia del film. «Guardiamo questo, è il
mio preferito.» «Mary,
l'hai visto centinaia di volte.», dissentì Ed,
posando il braccio sullo schienale del divano, sfiorandomi la schiena
con la punta delle dita. Rabbrividii. «Ma,
papà», contraddisse la bambina.
«Rapunzel è bellissimo! E poi sono sicura che
Bella non l'ha ancora visto, vero?» Scossi il capo,
perchè tutto sommato era vero. Non ero solita guardare
lungometraggi, ma non volevo fare un dispiacere a Meredith.
«No, ma mi sembra il momento giusto di recuperare.» L'uomo si strinse
nelle spalle e inserì il DVD nel lettore e premette Play.
«Buona visione.» Prima di
andarsene, mi sorrise. «A dopo.» Assaporammo ogni
immagine del film. A mia sorpresa, Mary aveva adagiato la testa sulle
mie ginocchia e senza che me ne resi conto avevo cominciato ad
accarezzarle i capelli. «Mi
piacerebbe avere i capelli lunghi come quelli di Rapunzel.»,
sussurrò ad un certo punto. «Solo che sarebbe
difficilissimo pettinarli.» Ridacchiai.
«I tuoi sono bellissimi così, credimi.» Commentò
a sprazzi qualche scena ma nulla di più. Quando il film
finì, Meredith si stiracchiò e scese dal divano. «Carino,
vero?» «Molto»
fu tutto quello che riuscii a commentare. Era un bel cartone animato,
sebbene ormai fossi abbastanza grandicella per quel genere di cose. «Devo
parlare un attimo con papà». Corse nella stanza
adiacente, urlando “Papà”. La seguii e capii
che doveva discutere con Edward. E non era una faccenda sbrigativa,
tutt'altro. «Papà,
perchè stasera devo stare dalla nonna e non con
voi?» Ed
corrugò la fronte, confuso. «Perché
quest'anno volevo passare il Capodanno con degli amici e con Bella. Tu
starai con la nonna. Dopotutto, vi divertite, no?» «No!»,
esclamò la bambina. «Non è giusto! Io
voglio passare del tempo con te! Con la nonna mi annoio, facciamo
sempre le stesse cose! Perchè non posso venire con voi?
Perchè, papà?» L'uomo si
chinò all'altezza di sua figlia, e le prese il volto fra le
mani. «Perchè, tesoro mio, papà ha
bisogno dei suoi spazi. Ti prometto che è solo per stasera,
okay?» «Voglio
stare con te! Uffa!», piagnucolò Meredith,
incrociando le braccia al petto. Edward la strinse a sé,
baciandole la fronte. «Davvero, pulcino, è solo
per stasera, te lo giuro.» «Voglio.
Stare. Con. Te». Mi meravigliai del tono che la bambina
utilizzò, data la sua giovane età. «Ti
prego.» «Edward»,
entrai nel discorso, imbarazzata. «se vuole venire con noi,
per me non è un problema.» «Per il
bowling, intendi?» «Andate
al bowling?!». Meredith sgranò gli occhi,
incredula. «Davvero?!» «Sì,
tesoro.», sopirò Edward. «Comunque
intendevo per il bowling, non per la cena.», borbottai, e mi
resi conto che le mie guance stavano prendendo fuoco. Un altro sospiro,
un'altra concessione. «Va bene. Avviserò gli altri
che si aggiungono a noi queste due principesse.» «Allora
vado a prepararmi, dato che fra poco devi accompagnare a casa
Bella». Mary sparì dalla circolazione con un
sorrisetto soddisfatto stampato in faccia. Edward si
avvicinò, circondandomi i fianchi con le braccia.
«Riesce sempre ad averle tutte vinte, ogni volta.
È bravissima nel ricatto, tale e uguale a suo
padre.» Mi venne da
ridere ma scacciai quell'istinto. «Sarà, ma io
sento che è ora che mi porti a casa, se vogliamo arrivare
puntuali per la cena.» Sebbene i baci
fra noi fossero strettamente rari, ogni volta che me ne concedeva uno
mi sentivo mancare. Appoggiò le labbra sulle mie,
accarezzandomi le guance con la punta dei pollici. Dopo pochi secondi
si staccò da me, con un sorriso timido sulle labbra. «Okay,
ora penso che possiamo andare.»
«Ma
quindi state assieme, sì o no?» Mi girai
violentemente verso Rosalie, fulminandola con lo sguardo.
«No!» «Insomma,
uscite assieme, vi baciate e non vi siete messi insieme? Tempo perso,
ragazza mia.» La guardai torva.
«Rose, sul serio. Un passo per volta, non voglio che accada
le stessa identica situazione di tre anni fa, okay?» Sbuffò.
«Va bene. Ah, oltretutto, ancora io non l'ho
conosciuto.» «Te
l'ho promesso: presto lo incontrerai.» «Promesse
da marinaio, le tue. A che ora deve venirti a prendere?» «Alle
otto mezza». Riguardai l'orologio: in effetti avevo a
disposizione ancora molto tempo, considerando che erano solo le
diciannove meno quindici minuti. «Allora
sbrigati, che poi scegliamo assieme i vestiti.», mi
dileguò in fretta, spingendomi verso il bagno. La doccia non fu
abbastanza lunga da farmi meditare su ciò che avrei passato
nelle prossime sei o sette ore. La coscienza e il cuore non seguivano
la stessa lunghezza d'onda, andando in strade diverse. E dire che ero
confusa era un eufemismo, perchè avevo il cervello avvolto
da una coltre di nebbia, con gli ingranaggi bloccati. Ottimo, perfetto direi. Provai a prendere
più tempo mentre mi asciugavo lentamente ogni parte del
corpo. Mi spazzolai i capelli, ciocca per ciocca, disfacendo ogni nodo,
esaminando le punte. Ho bisogno di pensare, di
riflettere, di capire cosa devo fare. Se dare ascolto al cuore o alla
mente. Mi avvolsi
nell'accappatoio e uscii dalla stanza, ritornando in camera da letto,
dove Rosalie mi attendeva. «Vedo
che ti sei sveltita. Presto, devo renderti presentabile.» Mi fece subito
sedere sul letto, per poi setacciare i suoi cassetti alla ricerca di
qualcosa. Ne estrasse tutti i trucchi che aveva, pinzette per le
sopracciglia, lamette e rasoi e altri aggeggi che mi fecero accapponare
la pelle. «Rose,
mi sono rasata nella doccia; non ho bisogno che ritocchi le mie
sopracciglia, che tra l'altro ho sistemato ieri o che tu strappi peli
di altri parti del mio corpo.» Sbuffò,
alzando gli occhi al cielo. «Con te non c'è
gusto.» «Lo so,
e ne sono perfettamente consapevole. Sono stata creata per sgretolare
tutti i tuoi progetti.» Rise
sommessamente. «Oh, non c'è bisogno che mi renda i
piani ancora più complicati di quel che sono già.
Però non puoi rifiutarti di accettare qualche mio consiglio
nel campo dell'abbigliamento.» Discutemmo una
mezz'ora abbondante sul fatto che volessi indossare capi comodi,
poiché non avevo tempo di cambiarmi per il bowling. Alla
fine, riuscii a convincerla ad optare per un paio di jeans e una maglia
dei Rolling Stones, la mia preferita. Sebbene Rose volesse farmi
apparire il più formale possibile, i suoi tentativi furono
distrutti dai miei gusti, che prevalsero anche quella volta. «Ecco
fatto, ho finito». Aprii gli occhi e mi guardai allo
specchio: la mia migliore amica era riuscita a far risaltare i miei
occhi con un trucco pastello e senza fronzoli. «Stai
benissimo, anche se non avrei scelto quei vestiti, ma non
importa». Fece una smorfia, indicando i pantaloni e la
T-Shirt. Immaginavo che non sarebbe stata
d'accordo, ma dopotutto è la mia serata. Pochi istanti
dopo, il citofono squillò, con conseguente guaiti da parte
di Lia, la cagnetta di Rosalie. «E'
arrivato, lo faccio salire?» L'ansia mi si
fermò in gola, assieme alle parole. Annuii appena, girandomi
verso lo specchio per osservarmi ancora qualche secondo. Sarò
all'altezza? Sarò presentabile? «Vieni,
entra pure Edward». La voce di Rose era pacata, tranquilla...
Esattamente il contrario della mia, ancora bloccata sulle corde vocali. Quando l'uomo si
fermò nell'ingresso, ebbi l'impulso di affacciarmi. Cosa
dovevo fare? O
la va, o la spacca. Fortunatamente,
avevo preferito le mie Converse color verde acido, così da
non scivolare rovinosamente a terra, presa dall'agitazione. A passi
incerti, arrivai all'entrata e gli sorrisi. Indossava un paio di jeans
blu scuro, una giacca in pelle e sotto potei intravedere una camicia. Abbastanza
informale. «Ciao»,
sussurrai, sorridendogli come un ebete. «Ciao»,
rispose lui, ricambiando il sorriso. Posso
morire? «Rimarrà
da sola stasera, Rosalie?» La mia amica
alzò gli occhi al cielo. «Non puoi darmi del
tu?» «Rimarrai
da sola stasera, Rosalie?», ripeté, trattenendo
una risata. Rose annuì, scrollando le spalle.
«Già.» «Perchè
non ti unisci a noi?», le domandai, guardandola di sottecchi.
«E' un problema, Ed?» «No,
affatto. Siamo al “All Star Lanes”, sulla
Southampton Row, verso le 22:30.» «Perfetto,
non lo dimenticherò. Grazie, allora»,
mormorò la mia amica. Potei vedere nei suoi occhi la
felicità che la stava travolgendo. «divertitevi e
tu, Bella, non bere troppo.» Sospirai.
«Certo che no. A stasera.»
«Ecco a
voi.» La cameriera
posò davanti a noi i piatti colmi di delizioso cibo. Edward
aveva prenotato un tavolo in un ristorante italiano e non so come
diavolo avesse fatto a capire che era uno dei miei preferiti. «Come
sai che amo il cibo italiano?». Guardai i miei ravioli ai
funghi, uno dei miei piatti preferiti, o meglio lo era diventato dopo
il viaggio in Italia. «In
realtà piace anche a me. Mi ci portava spesso mio
padre», mormorò, girando le tagliatelle al
ragù bolognese nel suo piatto. «e mi è
rimasto nel cuore.» Sorrisi.
«Oh. L'Italia è un paese pieno di
cultura.» «Ci sei
stata?» «Sì,
ho vissuto là per diciotto mesi.» «Dove?» «Roma.» «Deve
essere molto bella.» «Già»,
sussurrai, mentre mi venivano in mente tutti i bei momenti passati
laggiù, nella magnifica Roma. «Ho avuto i momenti
più belli del mio periodo post-adolescenza.» Non avrei mai
potuto dimenticare ciò che era successo. Avevo avuto la mia
prima storia seria, con Christian. Eravamo stati insieme per due anni,
i due anni più belli che ricordo. Però,
ovviamente, tutte le storie prima o poi finiscono. Sorrise.
«Io desidero con tutto me stesso visitarla. Mi affascina.
Anche se, devo ammetterlo, vorrei girare il mondo. È il
sogno di una vita.» Oh,
si sta rivelando. Dovrei approfittarne? «Finora
ho visitato solo l'Italia e la Spagna, ma alla fine mi sono innamorata
di Londra.» «Ah,
non sei di qui?» Scossi il capo.
«No, in realtà sono nata in Irlanda,
però i miei genitori sono americani.» «Oh»,
ridacchiò, strabuzzando gli occhi. «non avrei mai
immaginato.» Sorrisi.
«Sono stata solo due anni in Irlanda, e poi i miei genitori
si sono trasferiti in Scozia, dove siamo rimasti fino a che io ebbi
compiuto sedici anni. Poi siamo andati a Mallorca e, dopo il soggiorno
in Italia, i miei genitori sono tornati a Mallorca, dove alloggiano per
metà dell'anno e l'altra metà abitano in Scozia,
e io sono venuta a Londra.» Sgranò
ancora di più gli occhi. «Una giramondo,
insomma.» «Abbastanza».
Terminammo entrambi il cibo, chiamammo una cameriera che ci
presentò la seconda portata. «Ma ora
raccontami di te». Appoggiai il mento alle mani, congiunte, e
fissai intensamente il suo sguardo. «Raccontami della tua
vita, sono curiosa.» Sospirò,
posizionando la forchetta sul bordo del piatto. «Non
è molto entusiasmante, è bene che tu lo sappia
dall'inizio.» «Non
importa.» «Ho
sempre vissuto qui, i miei genitori sono londinesi da generazioni
ormai. Ho frequentato il college, ho studiato medicina, il mio sogno.
Ho preso solamente la laurea triennale, poi ho conosciuto Tanya, e ho
abbandonato gli studi.» Ha
smesso di seguire il suo sogno... per amore?! «Io
avevo 23 anni, lei 20. E' stato... un colpo di fulmine. Una scemenza,
lo so, ma mi sono innamorato lei subito. Dopo solo tre mesi, siamo
stato disattenti e lei è rimasta incinta. A marzo del 2005,
è nata Meredith. Nonostante i suoi genitori le dicessero di
abortire, dissentimmo entrambi. Eravamo maggiorenni, vaccinati e pronti
alla vita di neogenitori. Abbiamo trascorso questi anni in tutto
l'amore che due persone si possono scambiare.» Assunse
un'espressione triste, il capo chino, gli occhi lucidi, gli argini
pronti a cedere. «Nel
2010, dopo un anno di tentativi andati a vuoto, Tanya è
rimasta incinta. Dopo quasi due settimane oltre il termine,
è nata Viola, nel settembre del 2011. Poi... be', poi
è successo quello che è successo.» Gli strinsi la
mano che era deposta inerte sul tavolo, nel tentativo di dargli un po'
di conforto. «Quando
Viola ebbe compiuto quattordici giorni di vita, Tanya prese le sue cose
e ci abbandonò al nostro destino, con la scusa:”Perdonami Edward, ma tra noi non
funziona più come un tempo. È bene che la finiamo
qui, per la salute di entrambi e delle bambine“.
E da allora, ce la caviamo da soli. E, ciliegina sulla torta, Tanya si
sposa. Suoniamo le trombe!» Fece una risatina
isterica e avvolse la mia mano nelle sue. «Però
adesso va molto meglio, grazie a te.» Arrossii
violentemente. «Grazie... a me?» «Sì,
davvero», mormorò, baciandomi il dorso della mano.
«E ti devo dare una cosa.» Estrasse dalla
tasca dei jeans una scatolina rossiccia. Ma
che diavolo...? «Tieni,
è per te». Mi fece aprire il coperchio e si
svelò il mistero. Avvolto nella stoffa bianca, giaceva un
piccolo bracciale color argento, con incastonate delle perle blu. «Edward,
ma cosa...» «E' il
mio regalo di Natale per te, anche se è fatto un po' in
ritardo.» Ecco
di cosa parlava Meredith in bagno, oggi pomeriggio! «E'
bellissimo, davvero. Non so che dire», borbottai, esaminando
il braccialetto. Mi prese il polso e ci sistemò il gioiello
e allacciò il bottoncino. «Non c'è
bisogno che tu dica qualcosa. Sono contento che ti piaccia.» Si sporse verso
di me e mi baciò dolcemente le labbra, lasciandomi
spiazzata. Risposi al bacio, sebbene durò pochi secondi.
«Grazie.» Finita la cena,
uscimmo dal locale e ci ritrovammo nelle strade spopolate di Londra.
Dai bar vicini arrivavano canzoni e urla delle persone pronte a
festeggiare l'arrivo del nuovo anno, ad accoglierlo a braccia aperte. Mi si
congelò ogni singola parte del corpo, fatta eccezione per la
mano che Edward stringeva spasmodicamente. In auto fra noi
rimase il silenzio. Esaminavo Edward, soddisfatto e con un sorriso
sulle labbra. Sembrava rilassato, le mani parevano accarezzare il
volante. «Siamo
in perfetto orario». Inquadrai il cruscotto, dove vi erano
segnato le 21:15. Parcheggiammo
davanti a una dimora illuminata dalle luci natalizie. Guardai Edward,
con fare interrogativo. «Dobbiamo prendere Meredith e
Viola.» Che sciocca! Me
n'ero completamente scordata! Perchè l'amore mi faceva
quest'effetto? Quando entrammo,
Mary ci corse incontro, buttandosi fra le braccia del suo
papà. «Papy, hai mantenuto la promessa!» Lui le
scompigliò i capelli biondi, teneramente raccolti in due
codini. «Mi pare ovvio, principessa. Sei pronta per
andare?» «Sì!»,
esultò la bambina, rimettendosi in piedi. Indossava un paio
di leggings fucsia e una maglia lunga blu, coperto da un poncio lilla. Edward si
staccò da noi, per andare incontro alla madre che stringeva
la piccola Viola. Meredith mi osservò. «Sei
bellissima vestita così.» Le carezzai una
guancia, tremolante. «Oh, grazie. Anche tu sei molto carina,
stasera.» Le sue guance si
imporporarono, le sue labbra si curvarono in un sorriso, ma non disse
nulla. Ed si
avvicinò a noi, con in braccio Viola che si era placidamente
addormentata. «Possiamo andare.»
«Papà,
posso giocare anche io?» Non era ancora
arrivato nessuno, al locale. Sedevo accanto a Ed, che mi accarezzava la
schiena. «Ovviamente, tesoro. Sono domande da fare?» «Era
per chiedere. Però io non so le regole.» «Se
vuoi, ti posso aiutare io», intervenni, mentre la bambina si
dondolava sui piedini. Sorrise, forse per la centesima volta in cinque
minuti, e mi fece di sì con la testa. Il mio cellulare
vibrò. Era un messaggio di Rose.
Tesoro,
perdonami ma non potrò essere presente questa sera. Emmett
mi ha invitato a passare la serata con dei suoi amici in un locale.
Scusami, davvero. Rivolgi le mie più sincere scuse a Edward. xx Rose.
Sospirai.
«Rosalie non potrà venire.» «Ah.»
fu tutto quello che Edward riuscì a dire, colto alla
sprovvista. «Dille di non preoccuparsi.» Sentimmo delle
risate poco lontane e in simultanea io e Edward ci alzammo.
«Arriva qualcuno.» Due figure
svoltarono l'angolo e quasi cascai a terra quando vidi di chi si
trattava. «Rose?!» «Bella?» La mia amica mi
corse incontro, abbracciandomi, anche se era confusa quanto me.
«Ma non dovevi essere con Emmett?» Mi voltai e quel
colosso di ragazzo mi rivolse un ampio sorriso. «Ciao,
Bellina.» Edward assunse
un'espressione corrucciata. «Voi due vi conoscete?» Emm rise.
«Amico, non ti ricordi della mia tanto sentita Rose?
Eccola.» Emmett,
quell'Emmett, il ragazzo di Rose, conosce Edward?! «Ma io
non pensavo che fosse davvero... lei.», borbottò
Ed, scuotendo il capo. «Fatemi
capire», mi schiarii la voce, roca e molto flebile.
«siete amici?» «Emmett
è il mio migliore amico, da sempre.» Le parole di
quello che potevo definire “Il tipo con cui esco”
mi fecero andare di traverso la saliva, facendomi
tossire. «E' una
situazione alquanto bizzarra», mormorò Rose,
scambiandomi un'occhiata complice. «Puoi
dirlo forte, ragazza», le rubai la battuta e le strappai una
risata. Edward
tossicchiò per attirare l'attenzione. «Non
è tempo di presentazioni, pare che vi siate già
visti.» I due uomini si
misero a chiacchierare e a scherzare, mentre Rose mi chiese i dettagli
della serata. «Abbiamo
cenato in un ristorante italiano e poi mi ha regalato
questo». Le mostrai il braccialetto al polso e
strabuzzò gli occhi. «Però,
il signorino», rise, riferendosi a Edward.
«Insomma, molto galante.» «Già»,
sussurrai, persa a osservare quel ragazzo così semplice.
«molto.» Piano piano,
arrivarono tutti gli amici. Edward me li presentò uno per
uno, dicendomi i loro nomi che però dimenticai subito. C'era
anche Alice, a mia fortuna. «Allora,
chi vuole fare una partitina?» Tutti alzammo la
mano a quella frase. Meredith mi venne vicino. «Posso giocare
anche io, quindi?» «Certo,
piccolina» Dovetti ammettere
che Edward era molto bravo a giocare a bowling. O forse mi piaceva
solamente vedere il suo fondo schiena nel mio campo visivo... «Bella?» Mi voltai e
trovai il faccino di Mary a poca distanza dal mio.
«Dimmi.» «Io non
sono gelosa di te.» «Cosa?» «Papà
mi ha detto tutto», sorrise, abbracciandomi. «Non
sono gelosa di te.» Perchè
le ha accennato la nostra conversazione? Perchè?! «Io
sono felice che tu e papà stiate assieme. Siete carini,
dolci. E tu mi piaci, Bella. Sai, un po' di tempo fa a papà
avevo accennato del fatto che volessi una nuova mamma e tu sei arrivata
all'improvviso... PUFF! Sono contenta che tu renda felice
papà.» Oh... La strinsi di
più a me, sentendo il suo profumo inebriante. E'
così dolce con me... Come ho fatto a dubitare del fatto che
potesse essere gelosa? «Tu al
mio papà piaci, ne sono sicura. Ti mangia con gli
occhi», mormorò sul mio petto. «Si dice
così, vero?» Ridacchiai.
«Sì, tesoro. Comunque anche io sono contenta che
il tuo papà sia felice, con me.» «Bella!
Tocca a te!» Mi alzai di
scatto e mi avvicinai alla pista. Edward mi sporse la palla. «Ecco»,
si sporse e mi dette un bacio veloce sulle labbra. Posizionai meglio le
dita nei buchini e presi una piccola rincorsa, per poi gettare la
palla. Ti
prego... Ti prego. Beccò
otto birilli su dieci ma nonostante l'ottimo punteggio il vincitore fu
Edward, che mi strinse a sé, baciandomi i capelli. «Io
vinco sempre, al bowling.» «C'è
qualcosa che tu non sappia fare?» Rise.
«Sì. Me la cavo abbastanza male in campo
relazioni. Ma con te sarà diverso, me lo sento.» Sorrisi sulla sua
bocca. «Incrociamo le dita.» Mancava poco alla
mezzanotte e ci furono offerti dei drink. Improvvisamente, sentii la
mia temperatura corporea salire. Mi sfilai il poncio, rimanendo in
T-Shirt. Il mio corpo era in fiamme. Isabella,
non devi bere tanto. Forse scolai
ancora tre o quattro Cosmopolis. La mia vista si annebbiò,
però sentivo chiaramente le voci accanto a me. Non riuscivo a
staccarmi da Edward, che mi baciava e abbracciava. All'improvviso,
partì il conto alla rovescia. «Dieci!
Nove! Otto! Sette! Sei! Cinque! Quattro! Tre! Due! Uno...» Tutti attorno
gridarono, dando il benvenuto al nuovo anno. Edward mi
baciò ancora, i nostri corpi a contatto. «Buon
anno.» «Buon
anno anche a te.» Mi porse un
calice e brindammo. «Nella speranza di vivere grandi emozioni
insieme.» Svuotai il bicchiere e poi divenne tutto ovattato,
ma continuai a sentire il calore di Edward su di me.
_________ CAPITOLO BETATO. Sono viva e vegeta, e se vi foste chiesti dove diavolo
fossi finita... Non ho una risposta.
Dopo gli esam mi sono adagiata sugli allori e ho scritto questo
capitolo in una settimana, con l'aiuto di quella figona pazzesca di IncenseAsh.
Dovete leggere tutto ciò che scrive, è
sbalorditivo. Fatelo, o vi vengo a prendere LOL
Btw, che ve ne pare? Io lo adoro, anche perchè diciamo
*coff* che è abbastanza decisiva come svolta, per questi
due. Anche perchè il titolo dice tutto *coff*
Anyway, vi lascio i miei contatti! Gruppo
Facebook, Profilo
Facebook, Pagina
Grafica
I look: BELLA,
EDWARD
Avviso: SARO' ASSENTE
DAL 13 AL 20/21 PER FERIE! SE VOLETE CHIEDERMI QUALCOSA, RISPONDERO' IL
PRIMA POSSIBILE. Detto questo, attendo numerose le vostre recensioni! E
spero che qualcuno di nuovo si faccia sentire :)
Grazie a tutti per i preferiti, seguiti e ricordati! E per tutte le
recensioni! Mi rendete davvero felici :)
Un bacio,
Giulia.
Ascolta
il tuo cuore ♥ Capitolo 8: Lasciarsi
andare.
BELLA
Mi stiracchiai, allungando le braccia sopra la testa, fino a sfiorare
la testiera del letto. Il buio mi avvolgeva, abbracciandomi. Ero
rannicchiata nel piumino, al caldo, protetta. Percepii un
soffio caldo sul mio collo e mi irrigidii. Che
diavolo...? Due braccia mi
strinsero per i fianchi, e mi accostai di più a quella
persona accanto a me. Qualcuno mi baciò i capelli. «Pensavo
stessi dormendo.» Merda. Edward?! «Ehm...
Non proprio. Che ci faccio qui?» La mia domanda fu
diretta, dato che la confusione si faceva largo nella mia mente. Ma
purtroppo non fu abbastanza veloce da rispondere che sgattaiolai via
dal letto, correndo verso il corridoio. Appena trovai il bagno mi
rivoltai sopra il gabinetto, rigettando tutto il contenuto del mio
povero stomaco. Edward mi
raccolse i capelli in una coda improvvisata, sorreggendomi la fronte
con la sua mano. «E'
tutto a posto, tranquilla.», mormorò al mio
orecchio, mentre il mio fiato cominciava a diventare corto. Odiavo
vomitare, mi procurava solo ansia, ne ero terrorizzata.
«Sssst, va tutto bene.» Mi sedetti sul
pavimento freddo e appoggiai le braccia sul ventre, aspettando che i
conati passassero. Mi accorsi,
nonostante la vista appannata, che addosso non avevo più i
jeans e la T-shirt. Al loro posto vi era un comodo pigiama di flanella
blu, più grande di qualche taglia. «Il
pigiama... è tuo?» Annuì.
«Già.» Le gote
avvamparono. Quindi... Mi
avrebbe svestito e messo lui questi vestiti? Come se mi avesse
letto nel pensiero, mi carezzò teneramente la guancia.
«Ieri sera eri un po' brilla e portarti a casa non mi era
sembrata una buona idea. Quindi ti ho portata qui e quando siamo
arrivati, prima che tu finissi in coma profondo, ti ho aiutato a
cambiarti, sennò crollavi a terra come un sacco di
patate.» Mi sentii ancora
più rossa e bollente. Dio mio... Mi aveva svestita! Quindi
mi aveva vista solo in biancheria! Oddio... E io non ero nemmeno
cosciente! «Poi
dopo ti sei rannicchiata contro il mio petto e ti sei
addormentata.» «Noi
due... Insomma... Hai capito, no?» Mi coprii il volto con le
mani, a disagio. Dio, era un momento davvero imbarazzante! Rise sonoramente
e mi strinse a sé. «Tranquilla. Eri fin troppo
ubriaca per farlo.» Mi passai il
dorso della mano sulla fronte, madida di sudore. «Quanto..
quanto ho bevuto?» Divenne
pensieroso, cominciando a contare sulle dita. «Quattro
Cosmopolis, due Mojito e tre Bacardi. Ah, e un calice di
Champagne.» Spalancai gli
occhi, borbottando lettere sconnesse. Cristo, che deficiente! Non ero
abituata a sopportare tanto alcool. Il mio stomaco fu
stretto in una morsa e mi affacciai di nuovo verso il WC.
«Che cogliona sono stata!», mormorai, tra i conati. Mi
accarezzò dolcemente la schiena, sorreggendomi il viso. Mi
lavai il viso e sciacquai la bocca, cercando di far sparire il gusto
amaro del vomito. «Che
ora è?» «Le
sei. Hai dormito solo tre ore.» Mi strinse a
sé e tornammo nella sua camera da letto. Era un po' strano,
però, dormire assieme a lui. Ci frequentavamo da
così poco tempo... Mi adagiai sul
suo petto, mentre le sue braccia mi avvolgevano, strette. Il suo
respiro caldo mi carezzava l'orecchio, la guancia, il collo. Le sue
labbra erano posate dolcemente sulla mia fronte, cantando una nenia. «Non ti
da fastidio che io sia qui?», mormorai, accarezzando la sua
maglia. Avrei voluto alzare il viso, guardarlo negli occhi, sentire le
sua bocca sulla mia, le mie mani intrecciate nelle sue. Invece rimasi in
quella posizione, mentre lui rideva fra i miei capelli. «Che
schiocchina che sei. Ma figurati! Anzi, per me è una
sensazione nuova averti qui, accanto a me.» Sorrisi.
«Per me è lo stesso.» Ci beammo
entrambi del calore che l'altro emanava, distesi sotto il piumone.
Edward pettinava delicatamente la massa informe che erano i miei
capelli, mentre io ascoltavo il suo cuore palpitare. Chiusi gli occhi,
mentre il sonno si impadroniva di me.
Qualcuno mi
baciò una guancia, destandomi dai miei sogni. Socchiusi gli
occhi, e mi trovai a pochi centimetri dal viso di Edward, che sorrideva
tranquillo. «Sei
proprio una dormigliona.» Mi misi seduta,
stiracchiando le braccia verso il cielo. «Che ore
sono?» «Le
undici. E stranamente le bambine dormono ancora.» Uno strano
brontolio mi percosse lo stomaco, diventando poi abbastanza udibile. Mi
misi una mano sulla pancia. «Accidenti.» Ed rise e mi
prese la mano, facendomi alzare. «Vieni, facciamo
colazione.» In casa c'era il
silenzio assoluto, rotto solamente dal fischio della teiera sul fuoco.
«Faccio i pancakes. Ne vuoi anche tu?» Ovviamente, a
rispondere fu il solito borbottio. «Sì,
grazie.» Edward era bravo
anche in cucina. Vederlo alle prese con padelle e spatole gli dava
un'aria ancora più sexy... Mi diedi una
pacca sulla fronte, sperando che non mi vedesse. Evidentemente avevo
ancora dell'alcool in circolo che mi faceva perdere qualche neurone. Si sedette
accanto a me, porgendomi le frittelle e una tazza di tè
fumante. Mi guardava, con quegli occhi così dolci e limpidi,
di quel verde meravigliosi. I pancakes erano
ottimi, superavano addirittura quelli di mia madre, che fino a quel
momento avevo ritenuto i migliori sulla faccia della Terra. «Diamine,
potrei mangiarne centinaia, tanto sono squisiti!», borbottai
fra i bocconi, mentre lui mi osservava divertito. «Sono
contento che ti piacciano. Anche Meredith ne va pazza.»,
sussurrò, massaggiandomi la mano. Sorrisi,
impacciata. Come diavolo riusciva a farmi quell'effetto? Era
così carino, modesto, simpatico, premuroso... Tutto
ciò che in Christian mi era parso di vedere, ma che in
realtà poi si era rivelato falso. Deposi i piatti
nel lavello, continuando ad annusare di nascosto il buon profumo che il
suo pigiama che avevo addosso. Sapeva di caffè,
ammorbidente... Di lui. Era fantastico
sentirlo così vicino, nonostante fosse solo un suo abito. Le sue braccia si
avvolsero intorno ai miei fianchi, spingendomi dolcemente contro il suo
petto. «Sei bellissima.» Il mio cuore
perse un battito, decelerando paurosamente. Era... una delle prime
volte che me lo diceva. Trattenni il fiato, scrutando il suo volto. Era
serio, mi osservava tranquillo. Nascosi il viso
nella sua maglia, per non lasciar trafugare il rossore delle mie gote. Cominciò
a dondolare, e mi ricordai di quando ero piccola, quando mio padre
faceva lo stesso: io seduta sulle sue ginocchia, in giardino, a ridere
assieme a lui, che mi cullava, accomodato sulla sedia a dondolo. Era un
bel ricordo, e mi lasciai sfuggire un sorriso contro il suo petto. «Davvero,
Bella. Sei splendida, dolce.» Gli stampai un
bacio a fior di labbra, rapido. Dovevo ancora prenderci la mano con
questa nuova... relazione. «Ho
bisogno... di farmi una doccia.» Già, necessitavo
di liberarmi di quello spocchioso odore di alcool e fumo che si era
appiccicato alla mia pelle, ai miei capelli. Annuì,
sfiorandomi la guancia. «Il bagno sai dov'è. Puoi
usare il mio accappatoio.» A
quell'affermazione, il mio cuore tonfò di nuovo.
«O... Okay.» Mi avviai per il
corridoio, mentre la mia vocina interiore esultava gioiosa. Cosa potevo
fare? Mi tolsi tutti i
vestiti, escluso l'intimo, giunta una volta nel bagno. Mi guardai allo
specchio, sospirando e arrossendo nello stesso momento. Mi aveva visto
così, mentre io appena riuscivo a reggermi in piedi. Ero
certa che se mi avesse cambiato mentre fossi stata cosciente, il mio
corpo sarebbe stato un tremolio unico, presa dal turbinio di emozioni
che mi stava sconvolgendo in quell'istante, osservando la mia immagine
riflessa. Aprii il getto
dell'acqua calda, saltellando da un lato colta alla sprovvista dallo
sprazzo gelido che mi arrivò addosso. Il calore e il
vapore emanato erano un ottimo toccasana per il mio povero cervello
ancora annebbiato. Spalmai il sapone sul corpo con solo l'uso delle
mani, sfregando ogni singolo tratto sprovvisto. Quanto avrei
voluto che fossero state le mani di Edward... Scossi il capo.
Come potevo fare certi pensieri? Ci conoscevamo da appena due mesi, e
uscivamo assieme da solo uno. Ed era stata una sorpresa trovarmi
annidata sul suo petto, quella mattina. Però
erano piacevoli scoperte e fantastici passi avanti per il nostro
rapporto. Mi sentivo arrugginita, dato che non avevo una relazione
amorosa da tre anni abbondanti... Però il pensiero di quella
brutta esperienza con Christian era pronta a spuntare ogni singolo
momento, nella mia pace quotidiana al fianco di Edward. Quando ebbi
finito, mi avvolsi nell'accappatoio di Ed. Mi sembrava che fossero le
sue braccia a stringermi. Il tessuto era morbido, esattamente come le
sue braccia, il suo petto, il suo viso. Presi gli slip,
il reggiseno e il pigiama e uscii dalla stanza. C'era ancora il
silenzio di prima, sentivo solo il mio respiro affannato. Silenziosa,
scivolai fino al salotto, dove Edward era comodamente sdraiato sul
divano a guardare noiosamente la TV. Quando si accorse
che addosso avevo soltanto l'accappatoio, sgranò gli occhi,
mentre io dondolavo sui piedi, visibilmente agitata. «Ehm...
Dove sono i miei vestiti?» Si
avvicinò a me, e allacciai le braccia al suo collo.
Esaminò il mio petto, dove solo il seno era appena coperto
dall'asciugamano. «Sei stupenda. Non so cosa avrei fatto se
non ci fossi stata tu negli ultimi mesi.» Accostai il mio
viso al suo, le nostre labbra così vicine. «Sei
meraviglioso.», mormorai, azzerando la distanza fra noi. La
sua bocca si modellò perfettamente alla mia, che cercava
prepotentemente di andare un po' oltre a quel bacio. Le mie dita
presero ad accarezzargli la nuca; l'altra mia mano scese sul suo petto
e fu subito coperta dalla sua. Intanto un suo palmo era scivolato
dentro l'accappatoio, massaggiandomi delicatamente un seno. Ansimai a
quel contatto, assolutamente impreparata. Continuò
con quel movimento per un tempo che mi parve infinito, fino a che lui
non si staccò, sentendo dei passi nella camera vicino. Lo guardai,
accaldata. «Penso si sia svegliata Mary.» I suoi capelli
erano diventati una massa informe, completamente scompigliati dalle mie
mani che ancora si trovavano sul suo collo. Le nostre
supposizioni furono corrette perchè dopo pochi secondi
Meredith arrivò trotterellando, esaminandoci con quegli
occhietti vispi. «Buongiorno!
Che stavate facendo?» Mi schiarii la
gola, cercando un aiuto da parte di Edward, che in realtà se
la rideva sotto i baffi. «Parlavamo,
piccolina.», dissi, carezzandole i capelli. Si strinse nelle
spalle, per poi scrollarle. «Ah. Io ho fame, papà.
Sono avanzate delle frittelle?» Edward annuì,
incitandola a cominciare ad andare in cucina e dicendole che lui
l'avrebbe seguita. Quando i nostri
discorsi non furono più alla portata dei padiglioni uditivi
della bambina, sospirammo, insieme. «C'è
mancato poco.», mormorò, sulle mie labbra.
Ridacchiai, stringendogli la maglia. «Diciamo che una parte
di me avrebbe preferito approfondire...» Mi
baciò con passione, spingendo il mio corpo contro il suo,
come poco prima. L'eccitazione e l'ansia che c'era fra noi era
palpabile. «Papà?!
Cosa stai combinando?!» L'urlo di Mary giunse alle nostre
orecchie come un avvertimento, così ci staccammo e lasciai
che si affacciasse verso il corridoio. «Arrivo,
tesoro!» Mi
fissò ancora una volta, dandomi un bacio leggero quanto un
soffio sulle labbra. «I tuoi vestiti sono nel mio
armadio.» Sgattaiolai verso
la camera da letto, mentre dalla cucina arrivavano le gioiose risate di
Meredith, e fra esse potei distinguere un'implorazione riguardo il
fermarsi di farle il solletico. Velocemente
esaminai la mia T-shirt, che odorava d'alcool e fumo, esattamente come
la puzza che c'era sulla mia pelle prima della doccia. Fui contrariata
di indossarla e setacciai il guardaroba di Ed, nel tentativo di trovare
qualche cosa che mi assomigliasse quanto meno alla mia taglia, sebbene
lui fosse molto muscoloso e corpulento. Scelsi infine una semplice
camicia bianca a righe blu, con un taschino sul seno destro. Indossai i
miei jeans e andai a piedi nudi in cucina, dove Edward contemplava sua
figlia. «Ecco a
lei, signorina: degli ottimi pancakes della casa e una tazza di
cioccolata fumante.» La bambina rise,
sporgendosi di più verso il viso del padre per schioccargli
un bacio sulla guancia. «Grazie!
Ah, e ti prego: tagliati questa barba. Dà
fastidio.» Edward la
guardò, accigliato. «Perché codesti
peli sfregiano le sue delicate guanciotte?» «Sì!
Se hai la barba non sei un principe azzurro!» Osservai
divertita la scenetta, appoggiata allo stipite della porta. Erano
così simili, anzi erano proprio due gocce d'acqua. Solo gli
occhi li aveva ereditati dalla madre, essendo di un azzurro
così intenso. I capelli invece erano gli stessi del padre,
solo con una sfumatura di rosso più attenuata. «Ciao
Bella!» Meredith si accorse di me, facendomi segno di
avvicinarmi. Quando Ed si accorse che portavo addosso la sua camicia,
fece un sorrisetto compiaciuto, mentre Mary mi fissava interrogativa. «Perchè
indossi una camicia di papà?» «Perchè
io gliel'ho prestata. Le sue cose erano sporche.», intervenne
il padre, salvandomi per un millesimo di secondo. «Aaaaaaaaaaaaah!»,
annuì la bambina, fiondandosi sulla colazione.
«Potevo darle qualcosa di mio, comunque.» La risata di
Edward mi inondò il cuore. Era una risata genuina, pura,
così leggera. «Amore, non penso che le
entrerebbero i tuoi vestiti.» «Dici
di no?» L'uomo scosse la
testa. «No, pulcino.» Intanto la sua
mano era lentamente scesa vicino al bordo dei mie jeans, sollevando la
camicia. Un brivido mi salì per la colonna
vertebrale, facendomi tremare leggermente. Ci godemmo quel
momento tutti e tre assieme, seduti al tavolo, a parlare del
più e del meno. Meredith proponeva delle attività
da svolgere insieme, anche se dovemmo ricordarle più volte
che era il primo dell'anno e molti negozi e posti erano chiusi. Ad un certo
punto, il mio Blackberry iniziò a vibrare. «Arrivo
subito», mormorai, allontanandomi da loro e chiudendomi nella
camera da letto di Edward. Lessi il nome sul
display: Rosalie. «Pronto?» «Ciao, splendore!»,
urlò lei, tanto forte da farmi allontanare il cellulare
dall'orecchio. «Come
stai?» «Ciao
anche a te, Rose». Mi sdraiai sul letto, portandomi il
cuscino di Edward vicino al viso, per aspirarne il profumo.
«Sto ancora lottando con i postumi della sbornia, e ho un mal
di testa terribile...» «Io te l'avevo detto di non
esagerare con gli alcoolici...» «Se non
avessi bevuto non sarebbe accaduto quello che è
successo...» Rose rimase senza
parole, sospirando. «LO
AVETE FATTO? AVETE FATTO SESSO?!» «No!»,
esclamai, contrariata. «No, per niente! Ieri sera, a detta di
Edward, ero troppo brilla per fare qualsiasi azione che non fosse
dormire.» «Ah». Era
rimasta molto delusa, lo percepivo dal suo tono. «Sai, pensavo che finalmente
fosse la volta buona...» «Rose,
non voglio ripetere gli stessi errori. Anche se prima... Be', ci siamo
andati vicini...» «Davvero? Che ti ha fatto?!» Soffiai,
esasperata. «Niente di che...» Mi accorsi di essere
arrossita e mi toccai le guance, che andavano a fuoco.
«Preferisco parlartene a casa, questa sera.» «Mi sta bene, ma voglio ogni
singolo dettaglio!» Ridemmo insieme.
«Va bene, Miss Impicciona del nuovo anno! A
stasera.» Attaccai non
appena mi salutò. Rosalie riusciva sempre a farmi pentire di
rivelarle le cose. Era sempre così schietta da farmi
imbarazzare. Mi massaggiai le
tempie, cercando di metabolizzare tutto ciò che era successo
nelle ultime dodici ore. Anche se le
immagini e le sensazioni di poco prima continuavano a tormentarmi
assiduamente. Le sue mani su di me, la sua bocca sulla mia... Stavo per
impazzire. Il telefonino
vibrò nuovamente, appoggiato sul mio addome. Alzai la
cornetta e mi schiarii la voce. «Pronto?» «Ciao, tesoro mio!» Sorrisi. Era la
splendida voce di mia madre, Renée. «Ciao,
mamma.» «Perdonami se mi faccio sentire
solo adesso ma ieri sera io e tuo padre eravamo a cena fuori e mi era
morto il cellulare! In ogni caso, buon anno, tesoro!» «Buon
anno anche a voi. Come state? Fa freddo a Palma?» «Ora ci sono 15 gradi e si sta
abbastanza bene, tutto sommato. Anche se di notte fa molto freddo. E
lì?» «Penso
che ci siano 9 gradi...» «Capisco. Senti, ti ho anche
chiamata per un'altra cosa. Ti ricordi di tua cugina Kate? Si sposa! Il
29! Vuole che ci sia anche tu!» «Cosa?!» Io avrei presto
iniziato i corsi all'università, in più la scuola
di danza sarebbe ricominciata... Era sempre tutto più
intrecciato. «Sì! Sarebbe
entusiasta se partecipassi anche te!» «Mamma»,
interruppi il suo entusiasmo. «Non so se potrò.
Dove si svolge la cerimonia?» «Qui a Palma.» Ancora peggio. Un
volo da Londra a Maiorca durava due ore e mezza, all'incirca. Ma il
problema non era consistentemente quello. Come facevo a trovare in
quattro settimane un abito per un matrimonio? «Mamma,
davvero non so se parteciperò. Ho tante cose da
fare...» Mi piangeva il
cuore comunicarle un probabile no, ma sarebbe stato un mese pieno di
impegni, tra l'università, la scuola di ballo... E Edward. «C'è qualcos'altro,
vero?» Mi ridestai dai
miei pensieri. «Cosa, mamma?» «Dal modo in cui mi parli»,
mormorò, e la immaginai che fissava il pavimento. «Sei pensierosa, sembri
più... serena.» Sospirai. Era
vero. Con Edward al mio fianco mi sentivo più libera e avevo
la testa più leggera. «C'è un ragazzo, vero?»,
esordì mia madre, probabilmente con un fiero sorriso sulle
labbra. Come faceva a
capire tutto ciò che mi succedeva? A volte pensavo potesse
leggermi nel pensiero... «Sì...»,
sussurrai, giocherellando con i bottoni della camicia. Lei, dall'altra
parte, prese un grosso sospiro, per poi fare un gridolino eccitato. «Tesoro, sono così
felice per te! E dimmi, com'è? È carino?» «Oh,
sì, molto...». Anche io stavo andando su di giri,
per via di quel discorso. Edward, carino? No, no, era molto di
più. «E' fantastico, è così
premuroso...» «E quando me lo farai conoscere?» «Ehm...»
Le parole mi morirono in gola. In realtà io e Ed non stavamo
neanche assieme, ci frequentavamo da poco e non potevo considerarlo
ancora “Il mio fidanzato”. «Ho avuto un'idea: lo porti al
matrimonio! Così lo conosciamo tutti! Ora però
devo scappare! Ti voglio bene, tesoro!» Non ebbi il tempo
di dissentire che la comunicazione era già finita. Mia madre
era imprevedibile: mai svelarle la tua situazione in campo amoroso, o
sono guai. Rimisi il
BlackBarry nella tasca dei jeans e mi accorsi che Edward e Meredith
s'erano spostati nel salotto, dove nell'aria aleggiava una musica di
valzer, molto dolce e armoniosa. «No,
papà! Stai sbagliando tutti i passi!» «Amore,
io non so ballare!» «Ma
è facile! Dai papà, uffa!» Mary era sui
piedi del padre, cercando inutilmente di farlo danzare. Invece, i
movimenti dell'uomo non erano per niente aggraziati, ma sembravano
piuttosto messi a casaccio. «Cosa
succede qui?» La bambina mi
sorrise, per poi indicare Edward. «Papà non sa
ballare ma deve per forza imparare a farlo!» Alzai un
sopracciglio, confusa. «E perchè?» Ed
sospirò. «Nella sua scuola hanno programmato il
ballo di primavera con i papà... Una cosa da liceo,
comunque. E ovviamente dovrò danzare con lei, peccato che
non sia praticamente capace.» Ridacchiai,
guardandolo negli occhi. «Non è difficile,
sai?» «Tu sai
ballare il valzer?» Annuii. Il
balletto mi aveva appassionato sin da piccola, quando Charlie mi faceva
danzare sui suoi piedi, seguendo le note delle sue melodie preferite,
esattamente come Edward e Meredith in quel momento. «Diciamo
che me la cavo.» Gli occhi della
bimba si illuminarono. «Sul serio?! Allora insegneresti a
papà?» «Per me
non c'è problema.» Mary
abbracciò il papà, stringendolo il più
possibile. «Dai, papà! Ti prego!» Dopo vari
tentativi, Ed cedette, sospirando sonoramente. «Oh, e va
bene! Ma solo perchè sei tu!» Meredith
gridò felice e andò verso lo stereo, cambiando
canzone. «Andate!» Quando sentii le
prime note, ricordai subito il film: High
School Musical. Quando avevo lavorato come babysitter, una
bambina mi aveva obbligato a vedere l'intera trilogia di film per
chissà quante volte... «Posso
avere questo ballo?», mi chiese Edward, spontaneo. Sul mio
viso nacque un sorriso, e seguimmo le parole e le note della canzone.
Take
my hand, take a breath Pull
me close and take one step Keep
your eyes locked on mine, And
let the music be your guide.
Ero stretta fra
le sue braccia, e feci il primo passo, mentre gli occhi di Ed
rimanevano allacciati ai miei. Mimai con le labbra le parole delle
canzone, mentre lui sorrideva. «Dai,
è facile. Lasciati trasportare dalla musica.»,
mormorai, facendo attenzione che non gli pestassi i piedi o viceversa.
It's
like catching lightning the chances of finding someone like you It's
one in a million, the chances of feeling the way we do And
with every step together, we just keep on getting better So
can I have this dance Can
I have this dance
«Papà,
sei bravissimo!». Meredith ci fissava con lo sguardo
commosso, seduta sulla poltrona. Suo padre, invece, non aveva occhi che
per me. Mi rimirava, sempre sorridendomi. La sua mano, posta sul mio
fianco, mi accarezzava, mentre l'altra teneva saldamente la mia.
Nonostante non fosse capace, se la cavava egregiamente. Andava
perfettamente a ritmo e seguiva ogni mia azione. Danzare era
stupendo, ma con lui la cosa diventava infinita. Sentirmi stretta fra
le sue braccia mi faceva sentire protetta dal mondo esterno, amata e
soprattutto corteggiata. Non badammo
più alla musica, ma solo a noi due. Mi faceva volteggiare,
tenendomi comunque tenacemente per la vita. Era diverso ballare assieme
a lui. I suoi sorrisi mi colmavano il cuore, facendomi vacillare. Il
suo corpo così vicino al mio mi mandava in tilt e avrei
voluto stargli più vicino, poter fare di più...
Ma dovetti ricordarmi mentalmente che con noi c'era Meredith e quindi
sarebbe stato più sicuro non fare passi falsi.
Oh
no mountains too high enough, oceans too wide 'Cause
together or not, our dance won't stop Let
it rain, let it pour What
we have is worth fighting for You
know I believe, that we were meant to be
Mi soffermai
sulle parole. “Nessuna
montagna è troppo alta, nessun oceano è troppo
profondo, perchè assieme o no, il nostro ballo non si
fermerà. Lascia che piova, lascia che diluvi, quel che
abbiamo fa valere la pena di lottare. Sai che io ci credo, che siamo
fatti apposta per stare assieme.” Eravamo davvero
fatti per stare insieme? Eravamo due pezzi perfettamente combacianti di
un puzzle che è la vita? Lo guardai negli occhi,
così profondamente da perdermici. Sì, forse ero
davvero pazza di lui, forse avrei davvero voluto unire quelle due
tessere per ricreare una nuova persona, un nuovo legame e soprattutto
una nuova vita. Ero davvero sicura? Mi ero perduta in lui. La canzone
finì, e lui mi baciò dolcemente, mentre Meredith
applaudiva dietro di noi. «Sei perfetta, Bella.» Sprofondai sul
suo petto, mentre le sue labbra lambivano dolcemente le mie.
«Sei perfetta, per noi. Siamo due tessere
indivisibili.» Forse era vero...
Forse mi sarei solo dovuta lasciare andare, per ora. O forse fidarmi di
lui e lasciare che mi guidasse, sempre e comunque.
____________________ CAPITOLO
BETATO.
Buonasera! Anzi, buonanotte! Come state?
Sono tornata dopo 2 settimane ad aggiornare :) L'ispirazione
è con me, e non posso che esserne felice!
Sono davvero contenta per le vostre meravigliose recensioni! Davvero!
*_*
Devo dire grazie alla mia beta IncenseAsh, che mi sopporta
costantemente u.u Grazie, moglia <3
E grazie a Simo, Francy, Martina, Camilla, Aurora, Monica e Viola
<3, Giusy, Bianca, Benny... Siete troppe, fanciulle <3 vi
voglio bene <3
Grazie! Grazie a chi mi ha messo nei preferiti, nei ricordati e nei
seguiti! Sono numeri da far girare la testa!
Davvero :') Magari non è che, qualcuno di nuovo, avrebbe
voglia di farsi sentire?
Aspetto numerose le vostre recensioni, per sapere se il capitolo vi
è piaciuto o meno :)
Un bacio!
Giulia
Ascolta
il tuo cuore ♥ Capitolo 9: In volo per
l'amore.
BELLA
Guardai il
calendario. Il 26 gennaio. Mi sorpresi di come il tempo mi scivolasse
dalle dita, scorrendo veloce e non lasciandomi prendere fiato. Era stato uno dei
mesi più belli di quel periodo. Io e Edward ci eravamo
legati ancora di più, passando molto tempo assieme e in
compagnia delle bambine. Avevamo trascorso molte notti in compagnia,
fermandomi a dormire a casa sua. Era un ottimo modo contro la
solitudine, dato che Rosalie era partita da ormai venticinque giorni
per la Francia, in compagnia di Emmett. E oltretutto, sembrava che
Meredith fosse molto felice di avermi fra i piedi... «Ti va
di rimanere qui, questa notte?». Le braccia di Edward mi
strinsero da dietro, mentre io ero completamente presa dal cercare di
preparare un pasto decente. Mi baciò dolcemente la guancia,
costringendomi a voltarmi. Lo guardai negli
occhi, in quei suoi bellissimi occhi. Era stato capace di farmi
nuovamente comprendere cosa fosse l'amore vero, quello corrisposto,
quello dove se sbagli non vieni linciato o tramortito, ma vieni
perdonato della mancanza e ti viene offerto un aiuto. QUELLO era il
vero amore. E lo sentivo dentro: nel cuore, quando si avvicinava a me,
facendomi perdere battiti; nello stomaco, quando mi sussurrava
“sei bellissima” e le farfalle iniziavano a
sbattere le loro ali, impetuose; nella mente, quando la sera vedevo il
suo viso fra i miei sogni, nei miei ricordi, e sorridevo inebetita;
nella pelle, che si accendeva quando mi sfiorava con quelle lunghe
dita; nell'anima, dove sarebbe rimasto a lungo, come un pensiero a cui
ti tieni aggrappato costantemente. «Ovviamente
se vuoi. Non è un problema se dici di no perchè
vuoi tornare a casa dalle bambine.» Sorrise,
sfiorandomi la fronte con le labbra. «Rimango qui. Mi serve
cambiare aria, per un po'.» Mi sentii
sollevata a quelle parole, eppure non ero su una nuvola, o in un sogno.
Era reale, e io ero davvero fra le sue braccia, stretta, protetta, come
in una campana di vetro. «Non so
cosa preparare, però...», ammisi, grattandomi il
capo. In quei giorni, quando ero in casa da sola, per colmare il
silenzio, mi buttavo sul cibo, inghiottendo di tutto, guardando film
romantici. «Possiamo
sempre ordinare qualcosa, se ti va.», mormorò, fra
i miei capelli, senza perdere il contatto. Sbuffai.
«Non mi va di farti spendere altri soldi. Fai già
tanto così...» «Schiocchina...».
Mi acconciò una ciocca dietro all'orecchio. «Sono
felice di farlo, per te. E se proprio ci tieni, puoi pagare
metà del conto.» Sospirai, di
nuovo. Perchè faceva così? Non andavo pazza del
fatto che sperperasse i suoi soldi solo per me, mentre avrebbe fatto
meglio a usarli per le bambine e per se stesso... «Oh, va
bene. Pizza?», proposi, e mi accorsi che mi stavo rimpinzando
di cibi estremamente grassi e poco salutari... Ma quello Edward non lo
sapeva, affatto. «Vada
per la pizza.» Mi sedetti sul
bancone, mentre lui digitava il numero della sua pizzeria preferita,
sempre guardandomi negli occhi. Non riuscivo a distogliere lo sguardo,
sebbene fossi imbarazzata. Dopo pochi secondi, riattaccò la
cornetta al muro, sorridendomi. «Arrivano fra dieci
minuti.» Le sue labbra si
posarono sulle mie, calde. Allacciai le braccia dietro al suo collo, le
mie gambe si unirono sui suoi fianchi, spingendolo verso di me. Le sue
mani mi strinsero le cosce, per poi intrufolarsi sotto la maglietta, su
per la mia schiena. Ansimai sulla sua bocca, pronta a sfilargli la
camicia, ma lui fu più veloce e tolse la mia. Scese verso il
collo, baciandolo, mentre io gemevo, senza controllarmi. Qualcuno
suonò alla porta e si staccò di colpo,
rimettendosi a posto i capelli e andando verso il corridoio. Mi morsi il
labbro. Maledizione. Saltai
giù dal pianale e riacciuffai la t-shirt, infilandomela. Il
mio fiato era ancora corto, e il mio collo andava a fuoco. Mi affacciai
verso lo specchio che c'era nell'entrata, e mi accorsi dei miei
capelli. Oddio. Erano una massa
informe, disordinati. Provai a sistemarli, anche se il tentativo fu
alquanto vano. Al
diavolo. «E' per
te». Mi porse un pacco, abbastanza grande. Il mittente era
mia madre. Cosa
diamine... Appoggiai la
scatola sul tavolino, leggendo il biglietto.
Spero
si riveli utile per il matrimonio di domenica. Un
bacio, la
mamma.
Il contenuto era
un pellicciotto bianco, di piume di cigno... Probabilmente l'aveva
pagato una fortuna. «Oh».
Ero rimasta senza parole, e avevo deciso di lasciarlo all'interno del
pacchetto. Non volevo rovinarlo. Intanto, il
fattorino delle pizze era arrivato, e ora Edward mi fissava con i
cartoni in mano. «Tutto okay?» Annuii, e spostai
il regalo di mia madre in un angolo, così da consentire a Ed
di appoggiare le pizze. «Vado a
recuperare un coltello». Cercai di fuggire dalle sue grinfie,
e mi rifugiai nel cucinino. Mi assalii la conversazione con mia madre
della mattina di Capodanno, quando mi aveva proposto, o meglio:
obbligato, di portare Edward al matrimonio. E io ancora non gli avevo
accennato ancora nulla. Ero nella merda. Tornai nel
salotto, dove Ed aveva già aperto le pizze e stappato le
birre. Teneva in mano il telecomando e faceva oziosamente zapping, alla
ricerca di qualche programma interessante. Quando si accorse
di me, mi sorrise e tagliò le fette, per poi prendermi fra
le braccia e sedersi sul divano. Le nostre gambe erano intrecciate, la
mia testa sulla sua spalla, i suoi occhi con i miei. «Sei
stupenda...», sussurrò, accarezzandomi con la
punta delle dita la guancia. «Sei fantastica.» Lo baciai
delicatamente, per pochi istanti, chiusi gli occhi e gli strinsi le
mani. Era un contatto superlativo, avrei dato qualsiasi cosa
perchè durasse in eterno. Si
staccò da me e mi offrì una fetta di pizza,
accostandola alle mie labbra. La morsi e ridacchiai per l'espressione
che il suo volto aveva assunto. Ci godemmo la
cena rimanendo abbracciati, cambiando in continuazione canale.
Guardammo per la maggior parte del tempo una commedia romantica,
scambiandoci dolci effusioni e piccoli baci. In realtà
Edward era più attratto dal mio collo che dalla
televisione... Ad un certo punto
attirai la sua attenzione. «Vorrei chiederti una
cosa...» «Dimmi.» Sospirai,
prendendo coraggio. «Fra quattro giorni c'è il
matrimonio di mia cugina, e dovrei partire dopodomani.... Solo
che...» Abbassai il capo,
fissando le nostre mani unite. «Solo che?» «Solo
che da sola non voglio andarci. Insomma, ho raccontato di te a mia
madre, e sarebbe felice di conoscerti...» «Il tuo
è un invito a partecipare al matrimonio?», rise.
Mi unii alla sua risata, rendendomi conto di quanto fossi stata
impacciata. «Praticamente
sì.» Mi strinse a
sé, mettendomi un braccio intorno alle spalle.
«Ovvio che vengo. Sarebbe fantastico conoscere la tua
famiglia.» «Ma...
le bambine?» «Le
bambine le posso lasciare per due giorni da mia madre, penso non
avrebbero grandi problemi.» Sorrisi. Trovava
sempre le soluzioni, a differenza di me... «Sei
sicuro?» «Certo.
Voglio passare un po' di tempo, solo, con te. Ora che me lo fai
pensare, chiamo Esme.» Guardai
l'orologio, erano le nove passate, e non sapevo se in realtà
Meredith dormiva già... «Pronto?
Ciao, mamma. Sì, stiamo bene. Senti, stasera rimango qui, da
Bella. È un problema se Mary e Viola dormono da te? Okay.
Quindi l'accompagni tu domattina a scuola? Perfetto. Sì,
passamela che le do la buonanotte. Sì, anche io, mamma.
'Notte.» I suoi occhi si
illuminarono quando, probabilmente, dall'altra parte del ricevitore la
sua bambina gli aveva detto qualcosa. «Ciao,
piccola. Sì, stasera dormo da Bella. Domattina
sarò a casa, e quando tornerai da scuola, sarò da
te, tranquilla. Ti voglio bene anche io, piccina. Tantissimo. Oh, okay,
allora le do il cellulare.» Mi porse il suo
Iphone, alzando le spalle. «Vuole parlare con te.» Il mio cuore
sussultò. «Ehi, ciao, Mary.» «Ciao, Bella!».
La sua voce era carica di entusiasmo. E io che pensavo che fosse ormai
nel mondo dei sogni... «Come stai?» «Tutto
a posto, e tu? Non devi andare a letto?» «Oh, sì! Ma la nonna
mi lascia stare ancora qualche minuto alzata! Anche se in
realtà, l'ho sentita parlare al telefono e allora sono
venuta di qua.» Sorrisi. Era
così spontanea, con me. Mi raccontava sempre tutto, e in
quel mese avevamo imparato a conoscerci meglio e lei era diventata
molto affettuosa nei miei confronti. «Quindi stasera papà
rimane da te?» «Già.» «Forte! Ci vediamo domani, se
vieni a casa nostra! Buonanotte!» «Buonanotte,
piccolina.» Ripassai il
telefono a Ed, che salutò sua figlia, prima di attaccare e
di risedersi accanto a me. Passammo il resto
della serata a chiacchierare, a baciarci e a guardare noiosamente la
TV, nonostante non ci fosse nulla di affascinante da seguire. «Prima
Mary mi ha detto che era contenta che stessi un po' con te.» «Davvero?»,
mormorai, incredula. Quella bambina si rivelava ogni giorno
più matura per la sua tenera età. «Sì.
Mi sorprende, perchè non mi aspettavo una reazione del
genere.» «Già»,
sussurrai, sbadigliando. «Nemmeno io.» Mi
carezzò i capelli, sorridendo. «Forse è
meglio se andiamo a dormire, che dici?» Annuii solamente,
e lasciai che spegnesse la tv, cosicché il silenzio ci
abbracciasse. Mi tirò per le braccia, facendomi alzare, e
nel buio brancolammo fino alla mia camera, dove accesi la luce. «Ti
lascio il bagno della stanza, io vado in quello che da sul
salotto.» Sparii oltre la
soglia, dirigendomi nel salotto. Quando arrivai nella sala da bagno, mi
tolsi la blusa e il reggiseno, infilandomi poi il pigiama. La situazione
era... diversa. Eravamo soli, per la prima volta. Di solito, quando
eravamo da lui, Meredith si intrufolava nel lettone nel cuore della
notte oppure Viola iniziava a piangere e quindi ci trovavamo in
quattro. Però
quella sera eravamo solo io e lui. E il mio cuore aveva iniziato a
battere velocemente, prendendo il volo, mentre il mio cervello iniziava
a lavorare senza sosta, e io mi facevo filmini mentali come
un'adolescente. Quando tornai
nella camera da letto, Edward era già sotto le coperte, con
la luce del comodino vicino. Teneva le braccia sotto la testa,
osservando il soffitto e pensando a chissà cosa. Aveva
addosso la T-shirt di ricambio e i probabilmente pantaloni della tuta. «Sei
stato più veloce di me.», sussurrai, in piedi,
davanti alla porta. Lui abbassò il capo, sorridendomi.
«Vieni qui.» Salii a carponi
sul letto, inginocchiandomi accanto a Ed. Mi osservò per
bene, alzò un sopracciglio e poi scoppiò a
ridere. «Che
c'è? Perché ridi?» «Nulla..
è solo che il tuo pigiama è strano. Sembra uno da
antistupro.» E via ad un'altra cascata di risate. «Ah
sì?», dissi. «Lo pensava anche
Christian...» Mi
fissò interrogativo. «Christian?» «Sì»,
sospirai, mantenendo il capo chino. «Il mio ex
ragazzo.» Si sedette a
gambe incrociate e mi alzò il mento. «Che succede,
adesso?» «Oh,
niente». Provai a sviare la conversazione, rimboccandomi le
coperte sulle gambe. «Sono solo stanca.» «Isabella.»,
bofonchiò, con tono duro e restio. Mi sorpresi del fatto che
mi aveva chiamato con il mio nome di battesimo, oltretutto per esteso.
«Sarò anche imbranato, ma un po' le donne le
capisco. E ho compreso che stai cercando di tenermi nascosta una parte
del tuo passato che non ti piace. Ho ragione?» Strabuzzai gli
occhi, e nonostante fossi nella penombra sapevo benissimo che poteva
vedermi. Come aveva fatto a...? Be', ovvio. Dal mio viso tutti
riuscivano a scorgere una virgola triste o malinconica, oppure se era
successo qualcosa che mi aveva relativamente toccato. «Perchè
ci riuscite tutti, perchè? Che palle.» «A fare
cosa, Bella?» «A
capire se c'è qualcosa che non va! Sì,
sì! È una parte della mia vita che cerco
inutilmente di cancellare.» Distolsi subito
lo sguardo dal suo, con gli occhi lucidi e il labbro intrappolato fra i
denti. Non volevo e non dovevo piangere, assolutamente. Proprio
perchè stavo ricominciando a vivere, e a lasciarmi quei
brutti ricordi alle spalle, e non avevo la benché minima
voglia di vederli riaffiorare e di darmi il tormento come due mesi
prima. Mi prese fra le
sue braccia e iniziò a coccolarmi, massaggiandomi la
schiena. «Va tutto bene.» Arrivai a un
punto in cui trattenere le lacrime era diventato impossibile e fui
percossa dai singhiozzi, mentre le lacrime scorrevano placide lungo le
guance. «Non ti
chiederò di parlarmene. Voglio che tu sia libera di farlo,
non voglio costringerti a parlarmi della tua vita, se non
vuoi.» Aspettai che gli
scossoni fossero passati, per potergli rispondere chiaramente.
«E' che... E' così difficile. Ho ancora le
ripercussioni oggi, nonostante siano passati tre anni.» Mi accarezzava
dolcemente la schiena, i capelli, le braccia, nel tentativo di
rassicurarmi. «Ne vuoi parlare?» Scossi il capo e
lui mi lasciò andare, tenendomi sempre, però, le
mani.
«Non mi va di dire molto. Amavo Christian, mi ero illusa che
potesse provare qualcosa per me veramente, che potesse sorreggermi e
starmi vicino. Poi un giorno ha cominciato... a comportarsi in modo
diverso. Era diventato cattivo, era possessivo, e io non volevo vivere
una vita del genere. Così l'ho mollato ma lui ha
continuato... E' stato il periodo più brutto della mia vita.
E ancora mi ricordo tutto, sebbene sia passato così tanto
tempo.» Era la prima
persona a cui confidavo quello che era successo, oltre a Rose,
ovviamente. Nonostante il tempo avesse guarito le mie ferite, io
pensavo continuamente a Christian. Era stato un capitolo importante del
mio cammino, così importante che era quasi impossibile
cancellarlo. Mi rannicchiai
contro il suo petto, mentre le sue braccia mi circondavano.
«Oh, Bella...» «E'
tutto passato, eppure continua a farmi male come se lui fosse ancora
con me. È una sensazione odiosa, non la sopporto. Sono
venuta a Londra nel tentativo di dimenticarlo, ma si fa ancora strada
fra i miei pensieri. È angosciante.» Mi prese il volto
fra le mani, catturandomi gli occhi con i suoi. «Ora ci sono
io qui con te. Non voglio che tu stia ancora male. Voglio che tutto
passi. Voglio che tu sia felice.» Cancellai la
distanza fra i nostri visi, appoggiando le labbra alle sue. Percepii il
suo sorriso, e le sue braccia mi strinsero ancora più forte.
Le mie mani salirono sulle sue guance, carezzandole amorevolmente.
Levò dalle guance le ultime lacrime, asciugandole con i
pollici. «Ora dormiamo. Sei stanca morta.» Annuii e ci
rintanammo sotto i piumoni, senza perdere il contatto reciproco. Mi
baciò teneramente i capelli e mi accarezzò una
guancia. «Ci sono io qui con te.» Sorrisi e,
stretta fra le sue braccia, caddi in un sonno profondo, sperando di non
avere spiacevoli visite da lontani e tristi ricordi.
EDWARD.
Nonostante il
sonno volesse impadronirsi di me, continuavo a viaggiare in un continuo
dormiveglia, e spesso aprivo gli occhi per vedere che ora fosse... Ma
il tempo passava davvero troppo lentamente. Stringevo a me il
corpo addormentato di Bella, che sembrava volersi aggrappare alla mia
maglia per non lasciarmi fuggire. Ripensai al suo
discorso di qualche ora prima. Come aveva potuto quel Christian
– oppure come l'avevo soprannominato io: l'Animale, trattarla
male? Cosa aveva potuto farle? Picchiarla? Scossi il capo.
No. Non avrebbe mai potuto. Non a Bella. Non a una persona fragile e
stupenda come lei. Era da... codardi
e da mostri picchiare una ragazza come lei. E i motivi, quali erano
stati? Non lo sapevo, e in realtà non avrei manco voluto
conoscerli, o la mia rabbia, o il mio schifo, sarebbero saliti ad un
livello stratosferico. «Edward.» La sua voce
flebile mi fece destare dai miei pensieri, mentre la sua mano mi
strinse il braccio. Accesi
l'abat-jour e mi tirai su, mentre Bella si stropicciava gli occhi.
«Che succede?» «Devo
andare... a prendermi un antidolorifico.» Si
alzò goffamente, ma si dovette risedere subito, tenendosi la
testa con le mani. Le sfrecciai accanto, aiutandola a tirarsi su.
«Che hai?» «Mal di
testa e mal di schiena.», brontolò, aggrappandosi
alle mie braccia. «Ho bisogno di qualcosa che me li faccia
passare.» La portai fino
nel bagno, dove accendemmo la luce. «Dove tieni le
medicine?» Mi
indicò un armadietto accanto il lavabo, e quando lo aprii vi
trovai un vasto assortimento di medicinali. «E'
Rose che compra così tanti farmaci.», disse, quasi
leggendomi nel pensiero. Infatti mi ero chiesto cosa se ne facessero... «Prendi
il Tylenol. È dietro ai disinfettanti.» Setacciai il
ripiano e quando trovai la scatoletta rossa, gliela porsi.
Mormorò un debole “grazie” e prese una
pastiglia, per poi appoggiare la confezione sul lavabo. La seguii fino
alla cucina, dove ingoiò la medicina con un bicchiere
d'acqua, sempre massaggiandosi la schiena. «Odio quando mi
vengono questi dolori nel bel mezzo della notte.» «Quindi
ti capita spesso?» Annuì.
«Sì. Non mi arriva il ciclo e quindi mi vengono
questi disturbi. Vieni, torniamo a dormire.» Ritornammo nella
sua camera e ci abbracciammo sotto le coperte, l'uno stretto all'altra. «Buonanotte,
Ed» «'Notte.» E poi non sentii
più nulla, e il sonno si impadronì di me.
Arricciai il
naso, seccato. Qualcosa mi stava camminando sopra il labbro e mi faceva
il solletico... Ma io volevo solo riposare... Qualcosa di
gelido mi sfiorò la pancia, mentre il fastidio sul viso
continuava. «Basta.»,
bofonchiai indispettito. Qualcuno rise e poi percepii una pressione
leggera sulle mie labbra. «Su,
dormiglione.» Aprii gli occhi e
trovai il viso di Bella, divertita, a poca distanza dal mio.
«Ma buongiorno.», mormorò lei, dandomi
un altro bacio. «Che
ore... Che ore sono?», borbottai, stropicciandomi gli occhi.
Avevo bisogno di dormire ancora un po'... «Le
nove.», disse lei tranquilla, e le sue dita iniziarono a
tracciare il profilo della mia mascella. Mi accorsi che
era adagiata sul mio petto, tenendosi al materasso per non far
pressione su di me. «Ma io ho ancora sonno...» Ridacchiò,
e si puntellò sui gomiti. «Hai dormito un bel
po'.» «In
realtà non proprio...» Mi
squadrò, torva. «Che hai fatto? Hai passato tutta
la notte a guardarmi?» «Più
o meno...», ammisi, e lei si coprì il volto con le
piccole mani. «Non ci posso credere!» Cadde
all'indietro, continuando a ridere. «Non è
possibile!» Mi sedetti sulle
sue gambe, immobilizzandola. «Stai ridendo di me?» «Puoi
scommetterci!» Le mie dita
cominciarono a correre sui suoi fianchi, e la sentii irrigidirsi sotto
il mio tocco, mentre le sue risate riempivano la stanza. «No, ti
prego! Il solletico no!», gridò, cercando di
fermarmi. Mi avvicinai al suo viso, guardandola intensamente negli
occhi, e la vidi arrossire, probabilmente per la posizione. «Ehm...» Mi scansai e lei
mi fissò, imbarazzata; si passò una mano tra i
capelli e respirò profondamente. «Scusami.»,
mormorai, rendendomi conto di quanto l'avessi messa in
difficoltà. Mi carezzò le mani e fece un sorriso
sghembo. «Tranquillo. Ti va di fare colazione?» «Perchè
non ci vestiamo e andiamo a fare un giro e la facciamo in qualche
bar?», proposi, anche se sapevo bene che la sua voglia di
uscire era pari a zero. «Va...
va bene. Allora mi do una sistemata.» Scese dal letto e
sparì oltre la porta a soffietto, e io ricascai sui cuscini.
Il cellulare
vibrò, e il tremolio si espanse per tutta la superficie del
bancone.
Sono
appena arrivata a casa. Ho una grande notizia, te la dirò
stasera all'aeroporto. xx Bella.
Sorrisi e le
risposi subito. Anche perchè avevo un piano differente.
Io
avevo un'idea diversa. Sono le cinque meno venti, e non riesco ad
aspettare ancora sei ore per sapere questa novella. So, vieni qui che
mi devi dare una mano con la valigia e che devo dire ancora tutto a
Meredith e rimani a cena da noi. Poi andiamo assieme in aeroporto. ;) Edward.
Finii di
mescolare la crema per il tiramisù e controllai la sua
risposta.
Va
beeeeeeeeene, capo. Comunque la mia valigia è già
pronta, devo solo controllare che ci sia l'indispensabile. Ancora
non gliel'hai detto? B.
No,
torna alle cinque e mezza perchè mia madre l'ha portata al
maneggio. E.
Ah,
okay. Allora alle cinque sono da te. B.
Sprizzai
felicità da ogni poro. Non la vedevo da cinque ore, e
proprio per quello ero giù di morale. Perchè mi
faceva quell'effetto? Non potevo stare
lontano da lei per più di qualche ora, mi uccideva. Era una
sensazione nuova, mai provata prima. Sì, c'era stata Tanya
ma con lei era diverso.. con lei è stato tutto un po' troppo
veloce, e ora ci trovavamo in quella situazione scomoda. Sì,
eravamo innamorati, ci amavamo ma... con Bella era diverso. Tutto
diverso. Sarà
stata l'età, dato che ero più adulto e avevo una
storia alle spalle, sarà stata la circostanza...
Sarà stato quello che era. Fatto stava che il mio cuore era
legato al suo. Composi la torta
e la misi in frigo, e mi accorsi che mancava ancora tantissimo. Sistemai la
cucina, mettendo in lavastoviglie i piatti sporchi e ciò che
avevo utilizzato. Ero preso dalla frenesia, e non volevo apparire
sciatto o disordinato agli occhi di Bella. Lei riusciva a essere
perfetta, anche senza fare niente di particolare. Quando il
campanello suonò, corsi alla porta, mentre il mio cuore
iniziava a sbandare. «Ciao.» Bella mi sorrise,
e si alzò in punta di piedi per raggiungere il mio viso e
sfiorarmi dolcemente le labbra. «Ciao.
Vieni dentro.» Le presi la mano
e la condussi in salotto, dove Viola gorgogliava dentro la sua
carrozzina. Appena mia figlia
vide Bella, iniziò a gridare e ad attirare l'attenzione
della mia ragazza. Ragazza? Il mio cervello stava iniziando a viaggiare
un po' troppo presto. Insomma, ancora non c'era nulla di ufficiale tra
di noi, e sopratutto non ne avevamo mai parlato apertamente. Ci
piacevamo e stavamo bene insieme, quello ci bastava, per ora. «Ciao,
piccolina.», sussurrò Bella, prendendo la bambina
fra le braccia. «Ha già mangiato?» Annuii.
«Sì, un'ora e mezza fa, all'incirca.» Si sedette sul
divano, con una mano sulla schiena di Viola, che teneva benissimo su la
testina. Cullò per un po' mia figlia, che aveva quel
sorrisino sdentato e che gorgogliava felice. Ad un certo punto
si addormentò fra le braccia di Bella, così la
portammo in camera da letto e accendemmo il baby phone per sentire cosa
faceva. «Allora,
questa grande notizia?», le chiesi, sedendomi con lei sul
divano. «Volevo
che fosse una sorpresa, ma sapevo che non avresti
resistito.», ridacchiò e dalla sua borsa estrasse
una busta bianca. Lessi il mittente.
Oxford
University Saint
Cross Road Oxford
OX1, United Kingdom 01865
279500
«La
Oxford University? Sul serio, Bella?» Lei sorrise,
impacciata, scrollando le spalle. «Mi hanno offerto una borsa
di studio dal prezzo esorbitante per andare lì e finire gli
studi. Sarebbe meraviglioso, ma per me è un'ora di auto
tutti i giorni e sarebbe davvero faticoso...» «Ma chi
se ne frega della distanza! Ti rendi conto di quanto sia prestigioso?
La Oxford, Bella!». L'abbracciai con una forza raggelante, e
lei mi carezzò il collo. «Per la distanza non
importa, potremo sempre fare qualcosa al riguardo. Ma pensaci:
laurearti alla Oxford! Sarebbe il sogno di chiunque!» Abbassò
il capo, guardandosi le dita. «Lo so,
però...» «Però?» «Però
se caso mai dovessi cominciare a pagare le tasse universitarie, come
farei? I prezzi non sono per niente convenienti, e lo sai anche
tu.» «Bella».
Le accarezzai la guancia, cercando di darle conforto. «Non
importa. Tu vivi il presente, al futuro ci si penserà nel
momento dovuto.» Si
accoccolò sul mio petto, e io la accolsi e la strinsi a me.
«Grazie, Ed.» «Devi
solo stare tranquilla, tutto qui.» Passarono
all'incirca venti minuti e qualcuno aprì la porta
dell'ingresso, per poi urlare un sono “sono a
casa!”. Meredith
spuntò accanto a noi, sorridendoci.
«Ciao!» Bella si
distanziò da me e prese in braccio Mary, che la strinse a
sé. «Vi
siete divertite, tu e la nonna?», chiesi alla mia bambina,
che annuì con vigore. «Sì!
I cavalli erano bellissimi! Perchè non possiamo avere anche
noi un pony, papà?» Risi.
«Perchè non abbiamo posto, amore.» «Ma
uffa!», esclamò, incrociando le braccia al petto.
Bella le fece un leggero solletico sul collo e la bambina
tornò a ridere. «Mary,
devo dirti una cosa.», le mormorai ad un certo punto, quando
Bella era andata in camera per controllare Viola. Meredith mi
salì sulle ginocchia, guardandomi negli occhi. «Dimmi,
papà.» «Basta
sono che non ti arrabbi.», le mormorai, carezzandole i
capelli. «Prometto che non mi arrabbio.» «Stasera
alle dieci e mezza con Bella devo andare in aeroporto per prendere un
volo che ci porterà in Spagna. So che vorresti venire anche
tu, però dovremo andare da alcuni parenti di Bella e
oltretutto il volo è pagato per sole due persone. Non ti
dispiace vero, se ci vado?» «Ooooh.» I suoi occhi si
illuminarono per un secondo, per poi spegnersi. «Quanto
starai via?» «Torno
lunedì mattina, scricciolo.» «Va
bene. Sì, sono un po' arrabbiata con te.» Sorrisi. Sapevo
perfettamente che si sarebbe un po' ingelosita. «Sul
serio?» «Già.» Iniziai a farle
il solletico e le sue risate iniziarono a propagarsi per la stanza.
«Basta, papà! Basta!» «Ah,
no! Non mi fermo, io!» Cominciò
a mancarle il fiato e smisi, prendendola in braccio. «Non
voglio che tu sia triste, okay? Prometto di fare tante foto,
così quando saremo a casa assieme le guarderemo.» «Okay,
papy». Mi baciò il naso e si divincolò
dalla mia stretta, correndo verso la camera da letto dove Bella ci
aveva chiamato a gran voce.
«Cosa
dovrò portarmi?» Tirai fuori la
valigia dall'armadio e l'adagiai sul letto. Bella mi fissò.
«Lì fa più caldo che qua,
però la notte la temperatura scende di colpo.» Annuii e
cominciammo a sistemare gli abiti nella borsa. Non ci furono problemi
fino a quando non arrivammo ai vestiti eleganti. «Sono
obbligato a portarli?», domandai, indicando la fila di
smoking in mio possesso. Bella ridacchiò e mi
baciò velocemente le labbra, per poi esaminare il contenuto
dell'armadio. «Sono
bellissimi. Perchè non dovresti metterli in
valigia?» «Odio
indossare smoking. Mi sento tanto un pinguino.», ammisi,
facendo il broncio. Lei si intenerì e mi
abbracciò. «Allora
sarai il mio pinguino.», mormorò contro il mio
petto. «Andrà tutto bene. Ora decido io quali
portare.» Alla fine scelse
un completo beige, uno nero e uno grigio, e abbinò tre
cravatte differenti. Sistemammo il mio beautycase con tutto il
necessario e chiudemmo la valigia... E fui costretto a sedermici sopra. L'orologio
segnava le venti. Avevamo deciso di mangiare un po' prima del previsto,
e di chiamare Esme per accompagnarci all'aeroporto. Guardai Meredith,
seduta sul divano, avvolta nel plaid con il suo orsetto vicino, a
guardare la televisione. Ciò che più mi
dispiaceva era proprio lasciarla sola per due giorni. Un padre non dovrebbe fare
queste cose, cantilenava il mio subconscio, e io mi
sentivo terribilmente un cattivo padre, pronto a lasciare la figlia
maggiore con i nonni per spassarsela un po'. «Che
hai?». La mano di Bella mi sfiorò la spalla, e poi
le sue labbra si poggiarono sulla mia guancia. «Nulla.»,
mormorai, scuotendo il capo. «Sto bene.» «Non
è vero. Te lo leggo in faccia che c'è qualcosa
che non va.» Riguardai Mary,
che era tranquilla e non ci aveva notato. «Mi sembra di
essere un irresponsabile. Non l'ho mai lasciata da sola per
così tanto tempo.» «Ma
no». Mi abbracciò da dietro, e io le baciai le
nocche della mano. «Edward, sul serio, devi stare tranquillo.
Staccare la spina ti può fare bene, ogni tanto.» «Andiamo
un po' da lei.» Mi avvicinai al
divano e Meredith alzò lo sguardo, sorridendomi.
«Ehi, cucciola.» La presi fra le
braccia e mi accoccolai con lei sul divano, mentre Bella si sedeva
accanto a me, poggiando il capo sulla mia spalla. Guardammo la TV
in silenzio, accarezzando i lunghi capelli di Meredith, che si stava
rilassando. Bella
cominciò ad appisolarsi, ma Esme spuntò dalla
porta, e quando vide la scena sorrise. «Ragazzi,
sono quasi le dieci. Vi conviene prepararvi che vi accompagno
all'aeroporto.» Mi sentii un
burattino perchè in automatico mi vestii e aspettai che gli
altri fossero in auto, dove c'era un silenzio impressionante.
Massaggiavo la mano di Bella, che tremolava agitata, e l'altra era
legata a quella di Meredith, che aveva la testa appoggiata sulle mie
ginocchia. «Mi
raccomando: divertitevi, non fate sciocchezze e riposatevi.»,
disse amorevolmente Esme, nell'attesa di sentire la chiamata per
l'aereo. «Certo,
mamma». Mi sentivo stranamente imbarazzato, probabilmente
per via della presenza di Bella. Mi chinai per raggiungere
l'altezza del viso di Mary, che mi fissava, un po' addormentata. Le sfiorai la
guancia con la punta delle dita. «Fa' la brava con nonno e
nonna, okay?» Lei
annuì, alzando gli occhi al cielo, forse per ricordarmi che
era lo stesso discorso che le facevo quando la lasciavo con mia madre.
«Certo, papy.» «Non
farla arrabbiare, e dalle una mano con Viola, chiaro? Se vengo a sapere
che hai fatto la birba, sono guai, signorina. Ah, e poi...» Mi interruppe
saltandomi letteralmente fra le braccia. «Ti voglio bene,
papà.» Restai per
qualche secondo guardingo, e poi mi alzai, sempre tenendola stretta.
«Anche io, scricciolo mio.» Rimanemmo
abbracciati fino a che gli altoparlanti non annunciarono la chiamata di
imbarco. Mia madre strinse
a sé prima me, poi Bella. «Non mettetevi nei
pasticci, okay? Ci vediamo lunedì pomeriggio.» Con i nostri
bagagli e, mano nella mano, io e Bella ci allontanammo, continuando a
sorridere a mia madre e a Meredith, che mi salutava piangendo.
«Bella,
svegliati.» Scossi un po' il
corpo di Bella, che si era addormentata non appena si era seduta su
quel sedile. «Lasciami
dormire.» Ridacchiai
sottovoce, e poi le baciai la guancia. «Bella, amore, siamo
arrivati.» Lentamente
aprì gli occhi, per poi fare un sorriso sghembo.
«Davvero?» «Sì.
Dai, alzati, così dormi in albergo, dove di sicuro sarai
più comoda.» Eravamo quasi gli
ultimi a scendere, infatti a bordo c'erano ancora sei o sette persone.
La tenni saldamente per la vita, onde rischiare rovinose cadute, e
andammo verso il nastro trasportatore per recuperare i nostri bagagli. «Sonno?»,
mormorai all'orecchio di Bella, mentre salivamo sul taxi. Lei
annuì con poco vigore, e capii che era quasi nel mondo dei
sogni. «Ed?»,
biascicò assonnata. Le accarezzai i morbidi capelli, di
rimando. «Dimmi.» «Ti
amo.»
____________________ CAPITOLO
BETATO.
E rieeeeeeeeccomi qui! Sì, dopo una settimana e pochi
giorni, sono tornata qui e ho aggiornato! :D
Che dire... Approfitto della situazione - ancora niente scuola, per
postare :)
Piccolo avviso: PER NON
FARVI ADDORMENTARE E ANNOIARE DAVANTI AL MONITOR, IL CAPITOLO E' STATO
DIVISO IN DUE PARTI! LA SECONDA PARTE VERRA' AGGIUNTA ENTRO E NON OLTRE
DOMENICA 9! Mi sentivo obbligata a scrivervelo xD Quindi, non
è che recensireste subito subito? Non vi lincio se non lo
fate, eh! Sia chiaro!
Ah, in più.... CENTODUE
MAGNIFICHE E STRABILIANTI RECENSIONI! No, sul serio, siete veramente dolcissimi. Ho visto
arrivare le recensioni da 75 a 102 in pochissimi giorni e dovete sapere
che così mi sono sentita ancora più felice di
scrivere perchè ho capito che il mio lavoro è
amato e apprezzato da qualcuno!
Ora, ripeto che il capitolo è diviso a metà... Ma
non è che lascereste una piccola recensione? *_* Dai, su! *_*
Grazie a tutti i preferiti, recensiti, da recensire e i seguiti. Questi
numeri mi fanno girare la testa! Profilo
FacebookGruppo
FB per spoiler ecc qui i miei contatti per tenervi sempre in
contatto con me! ;)
Ci si vede entro domenica :)
Kiss, Giù.
Ascolta
il tuo cuore ♥ Capitolo 10: La
chiave del cuore.
BELLA
Continuavo a
rimuginare mentalmente quelle due parole che avevo farfugliato nel
sonno la sera prima, e mi chiedevo se realmente Edward l'avesse prese
come uno scherzo oppure come la realtà nuda che lasciavano
trapelare. Osservai di nuovo
il corpo assopito di Ed, che riposava a pancia in giù sul
letto dell'albergo, dove ormai eravamo da nove ore abbondanti. Bevvi un altro
sorso bollente di tè, analizzando lo spettacolo che si
presentava dal balcone della nostra camera. Davanti a me, il mare, al
momento tormentato, di Palma. Era ancora più bello di quel
che mi ricordavo, anche se erano due anni che non ci tornavo in
inverno, ma solo più d'estate, quando avevo più
tempo a mia disposizione. Il vento gelido
picchiava sulle finestre, facendo entrare minuscoli spifferi nella
stanza. «Sei
già sveglia?» Mi voltai e vidi
Edward stiracchiarsi e sorridere. «Sono sveglia da un bel
po', ormai.» Mi avvicinai a
lui, e posai la tazza di ceramica sul comodino. «E comunque:
buongiorno.» Le sue labbra si
posarono appena sulle mie, e le sue mani spinsero il mio corpo contro
il suo. «E' un
ottimo buongiorno, questo.» Risi e mi
ritrovai sotto di lui, con le sue braccia arpionate ai miei fianchi. Mi
baciò con trasporto, mentre le mie mani corsero al bordo
della sua T-Shirt, sfilandogliela. Mi staccai e guardai il suo petto,
il suo corpo. Dio, era una vista idilliaca. Nel momento in
cui la mia bocca fu di nuovo sulla sua, il mio cellulare
iniziò a squillare, ma Edward non se ne curò. «Ed»,
gemetti, provando a spostarlo. «Potrebbe essere
Esme.» Subito si
staccò, sedendosi accanto a me, con il fiato corto.
Recuperai il cellulare e lessi il nome sul display: Mamma. «Pronto?» «Ciao,
tesoro!».
La sua felicità era alle stelle, e potevo ben capirne il
perché. «Ciao,
mamma. Come stai?» «Tutto
okay, grazie. E voi? Siete già arrivati?» Edward mi
baciò il collo e si allontanò, chiudendosi nel
bagno. «Sì, siamo arrivati stanotte. Ci siamo
appena alzati.» «Bene!
Che ne dici se andiamo a fare colazione in uno dei bar che ci sono al
molo? Mi piacerebbe molto incontrare questo ragazzo e tuo padre
è molto agitato!» E quando mai,
avrei voluto aggiungere, ridendo dentro di me. «Mh, non lo
so, mamma. Non so che piani ha Edward.» «Ecco
come si chiamava! Mi sono venuti in mente centinaia di nomi, ma non
Edward! Comunque dai, tesoro. Non ti farebbe male prendere un po'
d'aria di mare. Ci incontriamo al solito posto, okay? Baci, a dopo.» Riattaccò
subito dopo il mio saluto, e io sospirai. Con Renée era
praticamente impossibile ragionare, e su una situazione delicata come
questa, lo era ancora di più. «E'
tutto okay?» Ed era di nuovo
di fianco a me, con addosso una camicia pulita e un paio di jeans neri.
Quando diavolo aveva preso quei vestiti dalla valigia? Non me n'ero
accorta. «Sì,
solo che mia madre si diverte a programmare senza chiedermi il
consenso. Quella donna mi farà diventare matta, un giorno o
l'altro.» Rise e le sue
labbra si incollarono alle mie. Dio, solo lui riusciva a farmi perdere
la testa in quel modo. Risposi al bacio e allacciai le braccia al suo
collo, spingendomi verso di lui. Non so cosa avrei fatto pur di andare
oltre a quel semplice e insulso contatto, però lui si
staccò, alzandosi e lasciandomi con un palmo di naso. «E'
meglio che ti prepari, o arriveremo in ritardo.» Mi morsi il
labbro. Vai a
quel paese, Cullen.
«Stai
tremando, o sbaglio?» Scossi il capo,
infagottandomi nel cappotto. «No, ho solo freddo.»,
mentii, ma lui aveva chiaramente capito perché non riuscivo
a stare ferma. Continuavo a
perlustrare con lo sguardo i dintorni, cercando di intravedere i miei
genitori, che come al solito erano in ritardo. Un'abitudine purtroppo
consolidata nel tempo, la loro. Ero fin troppo
agitata e su di giri per rispondere alle domande di Ed, e le schivavo
con un'alzata di spalle o qualche borbottio confuso. Sarebbe stato il
primo vero incontro, per lo più ufficiale, di
Renée e Charlie con Edward. Non ero più abituata
a quel genere di cose... Ed era un bene o
un male? Oh, ma a chi
importava. Di sicuro a mia madre sarebbe venuto un coccolone, vedendo
quel ragazzo dalle vecchie e magnifiche maniere che era Ed. Non l'avrei
presentato come il mio fidanzato, perché ancora non potevo
definirlo così, ma magari per lui la cosa aveva cominciato a
prendere una piega seria e allora voleva qualcosa di più. E
anche io lo desideravo, però avevo paura di ricadere nei
vecchi errori... Solo che non potevo sempre tirarmi indietro, e una
volta o l'altra avrei dovuto farmi forza e affrontare a mente aperta
tutto ciò che poteva succedere. «Tu non
hai paura?», sussurrai, abbracciandolo. Sgranò gli
occhi, per poi flettere la testa su un lato.
«Perché dovrei esserlo?» «Non
sei agitato di incontrare i miei genitori?» Mi
accarezzò la guancia. «Un po', ma andrà
tutto bene, tranquilla.» «Come
fai sempre a essere così... Sicuro di te?». Avrei
voluto avere anche solo una briciola del coraggio che aveva lui, e non
essere una stupida codarda quale ero. Ridacchiò.
«La prendo con un po' di filosofia e non mi faccio prendere
dal panico, tutto qui.» Sospirai. Magari
fossi stata capace anche io. Quando mi voltai,
vidi mia madre venirci incontro. Aveva un sorriso smagliante, e so che
avrebbe voluto corrermi incontro, ma si stava trattenendo con tutte le
sue forze. «Oh.
Bella!». Mi strinse a sé e il fiato mi
mancò nei polmoni, tanta era l'energia racchiusa in
quell'abbraccio. «Stai benissimo! Hai preso su qualche chilo,
o mi sbaglio?» Alzai gli occhi
al cielo, ridendo. «Mamma, peso sempre uguale, stai
tranquilla.» Charlie se ne
stava in disparte, e quando mi intravide, sorrise impacciato.
«Ciao, Bells». Mi mise un braccio intorno alle
spalle, impacciato, e si avvicinò a me. Sapevo perfettamente
che non era il suo genere di situazione ideale. «Mamma,
papà, lui è Edward.», mormorai e ogni
cellula del mio corpo impazzì a quella frase. Stava
succedendo, adesso... Dio mio... Ed strinse la
mano a entrambi, con un sorriso imbarazzato – lui a disagio?!
- sulle labbra. «E' un
bel ragazzotto.», disse mia madre, quando ci avvicinammo al
bancone del bar per chiedere la colazione. «Già...»,
mormorai sovrappensiero, osservando Edward, che dialogava con mio
padre. Entrambi stavano sulla difensiva, con le braccia incrociate al
petto, seduti al tavolo. Sorrisi a quell'immagine e presi i due
caffè e il croissant e tornai al tavolo. «Di che
confabulavate, voi due?», fece mia madre, offrendo a Charlie
il suo cappuccino. «Mi sembra che andiate già
abbastanza d'accordo, no?» «Sì.»,
borbottò mio padre, schivando i nostri occhi. Abbassai il
capo, sempre sorridendo, e lasciai che i miei genitori facessero
domande a Ed, che rispondeva prontamente. «Edward
ha due bambine.», sussurrai, provando ad entrare nel
discorso. Mio padre sgranò gli occhi, mia madre fece un
versetto tenero. «Come
si chiamano?» «Meredith
e Viola». Negli occhi di Edward potei vedere tutta l'emozione
che provava parlando delle sue piccole. Gli strinsi la mano e gli
sorrisi, facendogli capire che andava tutto bene. «Hanno
rispettivamente sei anni, quasi sette, e quasi sei mesi.» «Oh,
che carine!», esclamò mia madre, gongolando. Presi
il cellulare e le mostrai una foto delle bimbe, e l'espressione di
Renée bastò a farmi capire che il suo cuore si
era stretto davanti alla dolcezza di quei visi così
familiari per me. «Che
lavoro fai, Edward?», domandò mamma, e Edward
ingoiò a fatica il sorso di caffè. «Attualmente
il “mammo”, ma sono alla ricerca di qualcosa di
più proficuo.» Mia madre mi
lanciò solo un'occhiata, prima di tornare a occuparsi del
mio quasi ragazzo. «E invece... Le bambine presumo provengano
da una vecchia relazione.» «Mamma!».
Le pestai un piede da sotto il tavolo, intimandola così a
smettere di fare certe domande a Edward. Alzò
gli occhi al cielo, e lasciò che Edward le rispondesse...
Forse. «La
madre delle bambine ha deciso di andarsene quattro mesi
fa...», borbottò, cercando di non far salire il
magone che aveva in gola. Gli strinsi la
mano che teneva in grembo, e lui mi sorrise. «Però
ora non mi importa.» Renée
e Charlie mi fissarono, increduli, per poi tornare a guardare Ed.
«Oh.» Calò
intorno a noi un'aura triste, piena di malinconia, e per scacciarla mia
madre batté velocemente le mani. «Bella, Kate fa
un piccolo ritrovo per pranzo, a casa sua. Vi andrebbe di
partecipare?» Gli occhi di
Edward incrociarono i miei, e annuii. «perché no?
Non avevamo altri programmi, tanto.» «Perfetto!».
La donna prese il cellulare e digitò freneticamente il
messaggio a mia cugina. «Sarà così
felice! Comunque inizia alle tredici e trenta.» Quando i miei
genitori si allontanarono per pagare il conto, e io ne approfittai per
abbracciare Edward. «Sei sicuro di voler venire da mia
cugina?» Mi
baciò la fronte, e mi strinse più forte.
«Bella, sono sicurissimo. Non è male l'idea di
conoscere la tua famiglia.» Ridacchiai e
posai le mie labbra sulle sue, e all'improvviso mi sembrò di
essere in agosto. Tutto il mio corpo si scaldò e sentii il
cervello bruciare. Mi staccai e lasciai che mi continuasse a stringere
a sé, continuando così a scaldarmi non solo il
corpo, ma anche il cuore.
Avevamo deciso di
fare un salto all'albergo solo per cambiarci e metterci qualcosa di
più elegante, nonostante fosse solo un momento per
ritrovarsi a bere qualcosa, il giorno prima della fatidica data. Edward
parcheggiò davanti al cancello della casa di Kate, che ci
accolse a braccia aperte. «Oh,
Bellina!». Quasi mi soffocò in quel caloroso
abbraccio. «Mi sei mancata tanto!» «Anche
tu, Kat». Sorrisi, timida, e lei mi pizzicò la
guancia come faceva nonna Claire quando eravamo bambine. «Hai
messo su della ciccetta... Mica diventerai un porcellino?» «Grazie,
Kate. Possiamo entrare o dobbiamo ibernarci?». Infatti tirava
un vento molto forte e freddo, che ci picchiava in viso. Non aveva ancora
notato Edward, che se ne stava dietro di me, timido e un po' sulle sue.
Quando le passò accanto, mi chiese, mimando con le labbra,
se era il mio ragazzo, e io le feci segno che gliene avrei parlato dopo. Il salotto di
casa Dwyer era addobbato con rose rosa ovunque, in piccoli vasi, sui
tavoli... E intorno a noi un grazioso aroma di gelsomino aleggiava per
la stanza. «Bella!» I genitori di
Kate, mi vennero incontro, abbracciandomi a turno. «Sei
splendida! Come stai?» «Bene,
grazie.» Presi la mano di
Ed, che si avvicinò a me. «Lui è
Edward.» Kate
trotterellò al mio fianco, e salutò con una
stretta di mano il mio... ragazzo. Ci accomodammo
sui divanetti accanto ai tavoli e ci isolammo nella nostra bolla. Era
la prima volta che apparivamo così, come una coppia, con
intorno tutte quelle persone... Kate e le sue
amiche si accostarono a noi. «Bella, puoi venire un
attimo?» Voltai il capo
verso Ed che mi sorrise. «Tranquilla. Io vedrò di
parlare con qualcuno.» Mi ritrovai in un
angolo a confabulare con loro, ed già ero imbarazzata per
conto mio... E i loro discorsi non aiutarono proprio per niente. «Da
quanto tempo state assieme?» Parlare non mi fu
facile, perché la mia lingua sembrava non voler andare a
braccetto con il mio cervello. «Noi... Non stiamo
assieme.» «Cosa?»,
esclamò Kate, sgranando gli occhi e offrendomi un bicchiere
di vino. «E cosa ci fa lui qua, allora?» «Non
stiamo ufficialmente assieme, ma usciamo, trascorriamo del tempo
insieme... Non siamo fidanzati in quel senso.» Un'amica di mia
cugina, una rossa, alta, con una chioma fluente e due grandi occhi blu,
mi fissava curiosa. «E avete già fatto
sesso?!» Tossii, quasi
strozzandomi. «No... Ovviamente no.» «Bella,
non ricordavo che tu fossi così... lenta, ecco.» Inarcai un
sopracciglio, confusa. «Lenta... Come?» «Non
vai avanti con questa relazione. Sei fissa. Da quanto vi frequentate,
almeno?» «Due
mesi e mezzo.», ammisi. Sì, ci eravamo conosciuti
ad Halloween e avevamo cominciato a uscire assieme verso la
metà di novembre. «Be',
allora avete ancora tempo. Pensavo da molto di
più!». Kate ci rise su, finendo così il
calice colmo di nettare. Le mie guance
presero fuoco. «Katie, ti voglio ricordare quello che
è successo tre anni fa... Non è stata una grande
bella esperienza, mi ha segnato, in qualche modo.» «Bellina».
Mi prese le mani e le strinse fra le sue. «Non puoi pensare
che tutti gli uomini siano uguali. È vero, quello
è stato un errore enorme, ma di sicuro Edward non
è così. Riflettici su.» Sospirai e
guardai l'ora sul cellulare. Erano già le tre e mezza...
Come volava il tempo. Passai il tempo
restante in compagnia degli altri invitati, sempre al fianco di Edward,
che mi stringeva a sé come se fossi stata un oggetto
prezioso, che non andava assolutamente perduto. «Ma
guarda chi si rivede.» Colta alla
sprovvista, mi girai verso la voce, che mi era sembrava fin troppo
familiare... E in effetti non avevo sbagliato. Quando mi
ritrovai faccia a faccia con quel volto, il mio cuore
vacillò e il fiato mi si bloccò nei polmoni. «Ciao,
Isabella.» Lo squadrai, da
cima a fondo. «Christian...» A pronunciare il
suo nome mi si rievocarono lontani e orribili ricordi, e percepii il
cuore sgretolarsi e bruciare allo stesso tempo. «Sei
cambiata tanto, in due anni». La sua voce era una specie di
evocazione del mio passato, e pareva che lui si divertisse a parlare
per scatenare in me tutte quelle sensazioni fastidiose che si erano
messe in moto. Mandai
giù il nodo che mi si era formato in gola. «Anche
tu.» «Sei
sola?» Cosa voleva fare?
Dio, ero così... spregevole. Mi vennero in mente immagini
ben poco carine e caste su quello che poteva accadere se fosse stato
così. Cazzo.
Perchè quando Edward si allontanava intorno a me arrivavano
gli avvoltoi? Era una situazione orribile, e volevo che si disfacesse
subito. «No...» Cercai con lo
sguardo Ed, che mi aveva lasciato per pochi minuti solo per andare in
bagno, ma ancora non si era fatto vivo. «Sul
serio? E con chi sei?» Sbuffai e gli
lanciai un'occhiata fulminea. In momenti come quelli avrei voluto che
le mie frecciatine potessero uccidere... «Christian, non
penso siano fatti tuoi.» Qualcuno mi
strinse la mano che tenevo dietro la schiena e mi baciò la
guancia. «Eccomi.» Era Edward.
Finalmente. Mi strinsi a lui,
come per far capire a Christian che aveva poco su cui sperare.
«E lui chi è?», domandò Ed,
mentre il suo sguardo scattava da me a Chris continuamente. «Edward,
lui è Christian. Christian, lui è Edward, il mio
ragazzo.» Lo sentii
irrigidirsi e aumentare la presa sul mio fianco, costringendomi
così ad affondare il capo nella sua spalla. Gli strinse la
mano che lui pazientemente aveva sporto. «Felice di
conoscerti, Christian.» La sua voce era dura, dritta, di
acciaio, quasi vitrea, e non lasciava trasparire nessun' emozione. «Altrettanto
per me, Edward. Parlavo con Isabella proprio adesso di quanto sia
cambiata... E vedo che ha anche trovato un consorte...» Lo guardai,
acida, e i miei occhi divennero due fessure. «Christian,
smettila. Ripeto che non sono cose di cui dovresti interessare. E tu,
invece? Ti sei trovato qualcuna oppure tutte fuggono da te e dai tuoi
modi... burberi?» Fece un ghigno
malefico, e mi prese il polso, avvicinandomi a sé. Edward
afferrò la sua mano, trafiggendolo con lo sguardo.
«Lasciala. Andare.» Christian non se
ne curò, e mi fissò. «Cosa ti crucci,
Isabella? Non è interesse tuo ciò che succede
nella mia vita privata. Sì, mi ero trovato una donna, e ho
avuto anche una bambina... Ma se ne sono andate entrambe, forse
perché le tue maledizioni hanno fatto centro.» Scrollai la mia
mano, facendo un passo all'indietro. «Tu, lurido essere
schifoso...» «Non ho
fatto nulla a Sharon e a Lilith. Sono loro che mi hanno
lasciato.» Continuava ad
osservarmi divertito, così cattivo che tutto il dolore che
avevo provato mi pervase i polmoni, le ossa... Lo risentii di nuovo,
come se lui mi stesse ancora attaccando, come se mi stesse ancora
facendo del male. Girai sui tacchi,
tenendo una mano davanti alla bocca. «Edward,
andiamocene.» «Non
sarebbe carino andarsene da una festa, Isabella.»,
mormorò maligno Christian alle mie spalle. «Almeno
dovresti salutare... Però lasci un vecchio amico qui, da
solo...» «Basta.
Vattene da lei. Smettila.» Quando mi voltai
li vidi fin troppo vicini per i miei gusti. «Edward, ti
prego, andiamo via». Lo tirai per il braccio, facendolo
allontanare. «Stai tranquillo.» Mi cinse le
spalle e andammo verso la porta di ingresso, ma lui si
allontanò per parlare con Kate, probabilmente per scusarsi
di questa nostra anticipata uscita dalla scena. «Va tutto
bene.», mormorò contro la mia fronte,
allacciandomi la cintura di sicurezza. «Ora ci sono
io.» Rimasi in
silenzio per tutto il tragitto, tenendo il pugno chiuso contro le
labbra, come se potesse aiutare a darmi forza per non scoppiare in
lacrime, e guardando fuori dal finestrino il paesaggio spagnolo. Edward in
ascensore non mi rivolse la parola, ma mi guardò
dispiaciuto, e io riuscii a fargli salire l'ansia alle stelle quando
arrivammo in camera. Chiusi con forza
la porta e ci sbattei un pugno contro. «Non è
possibile!» Le lacrime mi
pungevano gli occhi, il mio cuore aveva iniziato a correre e il fiato
cominciò a mancarmi. «Bella,
cosa succede?» «Proprio
quando stavo riuscendo a dimenticarlo, lui torna a farsi
vedere!», sbraitai, passando più volte la mano fra
i capelli, che mi stavano dando sui nervi. «E'
ovunque!» Edward mi prese
il viso fra le mani e cercò di tranquillizzarmi.
«Non ti farà nulla, amore. Ci sono io qui, non ti
toccherà più.» Scacciai le sue
mani e presi la valigia da dentro l'armadio. Iniziai a metterci dentro
grossolanamente i vestiti, provando poi a far chiudere la zip. «Cosa
stai facendo, adesso?» «Voglio
tornare a casa, a Londra! Lontana da lui!» Le lacrime
cominciarono a scorrermi sulle guance, mentre io provavo a scacciarle.
«Bella, non dire stronzate. Calmati, per favore.» «Non
voglio vederlo!» Mi accolse fra le
braccia e mi tuffai sul suo petto, mentre i singhiozzi prendevano
possesso del mio corpo. «Ti prego, calmati, amore.» Le sue mani mi
carezzavano la schiena e i capelli, le sue labbra mi sussurravano dolci
parole. «Ci sono io con te.» Il mio cellulare
iniziò a squillare da dentro la borsetta. Lo presi e guardai
il display: un messaggio da un numero che non avevo mai visto prima. Chi
diavolo era?
Non
è stato un ottimo modo per rivederci, Isabella. Ma sono
sicuro che presto ci rifaremo. Christian.
«Perché?!»,
sbottai, fra le lacrime. «Perché mi fa
questo?» Feci leggere il
messaggio a Ed, che mi guardò allibito e furioso in
contemporanea. «Cosa non gli farei se me lo trovassi qui
davanti...» Strinse i pugni e
la vena in fronte gli si gonfiò. «Dio... Non
lascerò che ti tocchi, Bella.» Mi
stritolò tra le sue braccia e io sorrisi contro di lui.
«Grazie, Ed.» Non toccai
più terra e mi sollevò, cosicché
potessi arrivare all'altezza del suo viso, che delicatamente carezzai. Aveva quel
sorriso intimidito ma soddisfatto allo stesso tempo. Il mio cuore
pulsò di gioia davanti a quel volto così felice,
e sentii davvero che ciò che provavo per lui stava
diventando reale. Forse lo amavo
sul serio... Era diventata una cosa concreta, e forse quel suo
atteggiamento per proteggermi mi aveva fatto comprendere che teneva
veramente a me. Posai le labbra
sulle sue e lasciai che la nostra bolla si riformasse, tenendo lontano
ciò che era successo poco prima e tutti i miei incubi.
Sbattei
più volte gli occhi, trafitti dall'ultimo raggio di sole
della giornata. C'era silenzio, rotto soltanto dal mio respiro leggero.
Mi ero
addormentata, stravolta dalle lacrime... In effetti il cuscino era
umidiccio. Puntellai un
gomito sul materasso e mi tirai su, per dare un'occhiata intorno.
Edward non c'era, di nuovo. Al mio fianco le lenzuola erano sfatte,
segno che si era sdraiato accanto a me, mentre io lentamente mi
calmavo. Il resto era tutto al suo posto: l'Iphone sul comodino, le sue
scarpe accanto alla porta, la sua camicia piegata per bene accanto a me. Scesi dal letto e
feci un giro veloce, e mi accorsi che era sul balcone, che osservava
fuori; le ante erano leggermente socchiuse, così in silenzio
le distaccai, osservandolo dallo stipite. Stava fumando una
sigaretta, in canottiera – nonostante il vento freddo che gli
arrivava addosso, e ancora con i jeans di qualche ora prima. Teneva una
mano fra i capelli, accostato alla ringhiera, che rimirava il paesaggio. «Ehi».
Avvolsi le braccia intorno alla sua pancia, appoggiandomi
così sulla sua schiena. Si drizzò e mi strinse a
sé. «Mettiti
questa, o ti prendi un malanno». Si infilò la
T-shirt che gli avevo porto e aspirò un altro tiro dalla
sigaretta. «Pensavo
dormissi ancora.» «No...
Non ti ho più sentito accanto a me e allora sono venuta a
cercarti...» Gettò
la sigaretta nel posacenere e posò il viso fra i miei
capelli. «Da quando è che fumi, tu?»,
gli chiesi, curiosa. Era la prima volta in quasi tre mesi che lo faceva
davanti a me. «Ogni
tanto, quando sono agitato, mi capita. È un modo per
scaricare la tensione.» «Oh...».
I suoi occhi continuavano a fare su e giù sul mio corpo, e
quando me ne accorsi mi imbarazzai. «Che
c'è, non posso neanche guardarti?» Ridacchiai,
nervosa. «Ma no. È solo che è strano,
ecco tutto. Vieni, andiamo dentro.» Gli presi le
braccia e lo tirai nella camera. La sua mano salì su per il
mio viso, che dolcemente sfiorò con la punta delle dita. «Sai
che ora è?». Scossi il capo, anche
perché non c'avevo fatto caso. «Le sei... E noi
fra un'ora dobbiamo essere al ristorante.» «Che...
ristorante?» Ora ero confusa.
Di che stava parlando? Dove dovevamo andare? Sospirò.
«Bella, te l'ho detto prima che crollassi. Tua cugina ci ha
invitati a cenare assieme a tutti gli altri invitati, o meglio: a una
parte di essi.» «Non...
me lo ricordavo.» Ingoiai con
difficoltà la saliva. Vuol dire che ci sarebbe stato
anche... Lui. «C'è
qualcosa che non va?», domandò Edward, vista la
mia reazione. «No...
è tutto okay. Vado a sistemarmi, allora.» Non dissi altro e
mi chiusi nel bagno. Cosa potevo fare? Se mi avessero visto mia madre e
mio padre mi avrebbero di sicuro detto di farmi furba e di tirare fuori
le palle, di diventare coraggiosa e far vedere a Christian che la mia
vita senza di lui andava a gonfie vele. Eppure... Non ci
riuscivo. Ero terrorizzata
dal fatto che, dopo avermi vista con Edward, lui potesse farmi ancora
del male. Ero ossessionata dai ricordi, dai miei stessi incubi... Quando tornai
nella stanza, Edward era di nuovo scomparso... Probabilmente era andato
nell'altro bagno. Presi una busta che Renée mi aveva dato
quella stessa mattina, e la aprii. Dentro c'era un biglietto, piegato
in quattro.
Spero
che ti piaccia e che ti vada... L'ha scelto papà. Ti
vogliamo bene.
Già il
fatto che l'aveva scelto Charlie mi fece storcere il naso. Forse era un
abito addetto a una monaca di clausura... Invece dovetti
ricredermi. Era un abito nero, con una scollatura molto pronunciata,
lungo fino a metà coscia. E bravo
papà... E c'era anche un
altro pacchetto, in fondo alla busta, insieme a un altro biglietto...
Spero
ti tornino utili, in qualche modo. La mamma.
Rimasi a bocca
aperta: il regalo erano due completi di lingerie, uno nero e l'altro
bianco, entrambi molto... Seducenti. Decisi di
indossare quello nero, e il mio corpo prese fuoco quando vidi la mia
immagine allo specchio. Il vestito
metteva in risalto ogni mia curva, soprattutto il seno, stretto nel
reggiseno nero. Le gambe erano avvolte nei collant color carne, forse
un po' troppo leggeri. Era un'altra
Bella, quella nello specchio. Era tanto tempo che non mi trovavo
carina, un po' attraente. Acconciai i
capelli in un comodo chignon, lasciando qualche ciuffo sparso; stesi
sugli occhi solo un velo di matita nera e di mascara, giusto per dare
un tocco finale. Infilai le scarpe
nere lucide e presi la borsa, e mentre controllavo l'ora sul display
del Blackberry, notai un sms.
Ti
aspetto al piano terra, davanti all'ascensore. Ed.
Sorrisi e mi
controllai ancora una volta. Mi piacevo: ero seducente al punto giusto,
non davo l'aria della ragazza... Facile. Chiusi la stanza
e presi l'ascensore, mentre il panico si faceva spazio nel mio corpo.
Feci due grandi respiri profondi e mi ricordai mentalmente che ci
sarebbe stato Edward insieme a me, e che sarebbe andato tutto bene. A chi importava
Christian? Avevo Edward, che mi avrebbe protetta da lui. I miei pensieri
furono interrotti quando le porte scorrevoli dell'ascensore si
spalancarono, mostrandomi quel Ben di Dio che era Ed. Indossava lo
smoking beige e la cravatta nera. Si rigirava fra le labbra uno
stuzzicadenti ed era intento a guardare distrattamente fuori dalle
grandi vetrate della hall. Mi schiarii la
voce, per attirare la sua attenzione, e lui si girò verso di
me. Inizialmente fece per dire qualcosa, ma non ci riuscì,
così mi prese la mano, sempre tenendo gli occhi fissi sui
miei. «Sei
bellissima.», mormorò sulle mie labbra. Sorrisi,
le mie guance avvamparono. «Anche tu.» In auto ci
tenemmo la mano, parlottando tranquillamente del più e del
meno. L'angoscia era sparita, lasciando che l'amore - sì,
quello vero, quello che il mio cuore mi aveva fatto conoscere di nuovo,
fosse l'unico protagonista. Anche quando ci
trovammo davanti al ristorante alla moda che aveva prenotato Kate
l'ansia non si affacciò. Forse avevo finalmente capito che
dovevo stare calma e non preoccuparmi di Christian, ma solo di me e
Edward, che non faceva altro che guardare le mie gambe semi scoperte... Quando entrai
nella sala che avevano riservato solo ai quasi neosposini e a noi
invitati, corsi incontro a mia cugina, per quanto me lo consentissero
le scarpe alte. «Kate, perdonami per oggi pomeriggio, non
volevo andarmene così...» Mi interruppe,
abbracciandomi. «Tranquilla, Bella. Non pensavo sarebbe
successo qualcosa fra di voi... Ho pregato Christian di lasciarti
stare, questa sera. Voglio che tu ti goda tutta la
tranquillità possibile.» Le sorrisi e le
sussurrai un timido “grazie”. Io e Edward ci
sedemmo vicini, io accanto a mia madre, che continuava a guardarmi,
insospettita. Ovviamente, non le avevo raccontato nulla su
ciò che era successo nel pomeriggio. La cena
andò ancora meglio di quel che speravo. Riuscii a ridere di
gusto alle battute degli amici di Kate, e a quelle di mio padre, che
però furono meno riuscite. I miei occhi
girarono l'intero tavolo per vedere se lui ci fosse. Ed era
così. Era dalla parte opposta, esattamente al fondo, che mi
fissava. Dio... Sembra un
maniaco. Distolsi lo
sguardo, tornando ad ascoltare un certo... Mike, o qualcosa del genere,
che raccontava aneddoti divertenti sui primi tempi da coppietta felice
di Kate e Garrett. «Come
quella sera che li trovammo a pomiciare nell'auto! E Kate che
confabulava frasi sconnesse... Che bei ricordi!» Mia cugina lo
fulminò. «Grazie, Mike. Non è colpa mia
se ci inseguivate per coglierci sul fatto di atti poco casti! Eravate
tu e Ben i depravati.» L'uomo
abbassò il capo e noi tutti ridemmo. Ero riuscita a
scollegare la spina e a rimanere sui miei passi. Tutto ciò
che mi faceva rimanere attaccata alla realtà era la mano di
Edward sul mio ginocchio che mi carezzava fino a metà
coscia, dove iniziava il bordo del vestito. In
più, quei due bicchieri di vino cominciavano a darmi alla
testa. E forse non avrei dovuto berli a stomaco vuoto, dato che lo
sguardo persistente su di me di Christian mi procurava ansia, con
conseguente digiuno. La mano di Edward
si spostò verso l'alto, sollevando con la punta delle dita
il vestito, facendomi venire la pelle d'oca. Dio, ancora non
mi ero abituata al suo effetto su di me. Mi diede un
pizzicotto e a stento riuscii a trattenere un gemito: proprio ora
doveva risvegliarsi il suo istinto mascolino? Non poteva aspettare
ancora due ore, o poco più? Scostai la sua
mano forse un po' troppo bruscamente e lui mi guardò con il
broncio... Gli sarei anche saltata addosso, in quel momento... se non
ci fossero state tutte quelle persone attorno. Non fece
più nulla per attirare la mia attenzione e mi accorsi che
Kate stava blaterando su qualcosa di noi da piccole, sul fatto di
quanto fosse dispettosa nei miei confronti tanto da farmi sempre
scoppiare in lacrime. Continuammo a
ridere e a scherzare per un bel po' ancora, fino a che le persone
cominciarono ad andarsene, Christian compreso. Meno
male. Fummo gli ultimi,
assieme a Kate e Garrett, a uscire dal locale, mentre le risate ancora
erano la colonna portante della conversazione. Presto mi
ritrovai seduta sul sedile, con un sorrise ebete sulle labbra, a
stringere la mano di Edward sul cambio dell'automobile. Anche lui
sembrava felice, molto più rilassato di quel pomeriggio. «Stanca?»,
domandò, in ascensore. Scossi il capo, e lui si
avvicinò di più a me. Respira,
Bella. Respira. Posò
le labbra sulle mie, spingendomi dolcemente contro la parete di legno. Dio
mio... Il suo cellulare
iniziò a squillare e lo sentì imprecare. Si
staccò da me e rispose. «Pronto?» Quando la voce
dall'altra parte rispose, il suo viso assunse un'espressione
corrucciata. «Tanya, ti pare l'ora di chiamare? Sono le
ventitré e... No, non mi importa!» Intanto aveva
sbloccato la porta della camera e si era messo a camminare avanti e
indietro, indispettito e furioso. «Oh, Tanya, vai al diavolo!
No, non sono a casa. Non penso siano fatti tuoi di dove io sia, va
bene?» Mi sedetti sul
letto, guardandolo continuare a imprecare contro la donna che per tanto
tempo aveva amato e che ora stava odiando. «Sì,
sì, va bene. Ci vediamo poi, okay? Buonanotte,
ciao.» Attaccò
e buttò il telefonino sul divanetto, massaggiandosi poi le
tempie. Era visibilmente furente. «Mi fa uscire di testa,
quella donna! Dio mio!» Sospirai e mi
slacciai le scarpe, ma lui mi attirò a sé,
obbligandomi a guardarlo in quei suoi occhi così belli, e il
loro verde sembrò ardere di desiderio tanto quanto il suo
corpo stava cercando di dimostrarmelo. «Devi...
stare tranquillo.», ansimai, mentre le sue labbra erano scese
sul mio collo e le sue mani erano sui miei fianchi. «Tu mi calmi».
Sentii la sua presa sotto le mie natiche e mi sollevò,
prendendomi in braccio. Legai le sue gambe intorno alla sua vita e unii
le nostre labbra. Le nostre lingue si inseguivano, curiose di quel
contatto. Percepii le
lenzuola sotto la mia schiena ma non più il suo petto contro
il mio. Edward, infatti, era in piedi davanti a me, che mi fissava con
un sorrisino stralunato. Mi tirai a sedere e lo presi per il colletto
della camicia, attirandolo così verso di me. «Edward...» Si
posizionò in mezzo alle mie gambe e mi sfilò il
vestito, mormorandomi all'orecchio di alzare le braccia. Mi ritrovai in
biancheria intima, sotto di lui, con il suo sguardo su di me. Mi
travolsero centinaia di emozioni, contrastanti fra loro, e il fiato
divenne sempre più corto, probabilmente per l'ansia. Gli tolsi la
giacca e poi la camicia, cosicché rimanesse a petto nudo.
Intanto la sua bocca era tornata sul mio collo, baciandomi senza sosta
dalla giugulare alla clavicola. Mi aggrappai al
lenzuolo quando dolcemente fece scivolare i collant giù
dalle mie gambe. Ero scoperta, mi ero completamente concessa davanti a
lui. Con un coraggio che di sicuro non mi apparteneva, gli slacciai i
jeans e lui si alzò per levarseli. Pochi secondi dopo, era
di nuovo su di me, le sue mani sulla mia pelle accaldata. Boccheggiai e le
sue labbra tornarono sulle mie, bramose di ogni contatto. Fece per
slacciarmi il reggiseno ma il cellulare squillò impazzito,
vibrando sul comodino. «Non...
non rispondere.», gemetti, la sua bocca ancora sul mio collo.
Inarcai la schiena quanto bastava per permettere alla sua mano di
accarezzarmi la schiena, di arrivare al gancio. Quando lo
raggiunse e lo fece saltare, sentii soltanto il
“click” e la sua bocca sul mio petto. «Non ce
la faccio... Devo rispondere.» Si
staccò da me, afferrando il cellulare e alzando la cornetta.
«Pronto?» Riallacciai la
chiusura e mi misi seduta, scrutandolo. Mi accorsi della situazione,
del fatto che ero quasi completamente nuda davanti a lui. Era quello che
volevo? Era quello? Concedermi ad un
uomo... ripetendo i miei stessi errori, come una povera ingenua? «Che ci
fai sveglia, Meredith?» Distolsi lo
sguardo da lui, gli occhi irti di lacrime. Ero così...
stupida? Così fragile? «Sì,
ho capito che volevo darmi la buonanotte, scricciolo, ma ora
è un po' tardi, no?». Sul suo volto si
aprì un sorriso, come accadeva ogni volta che parlava con la
sua bambina. «Va bene. Dai, ora vai a letto. Ti voglio bene
anche io. Ciao, amore.» Riposò
l'apparecchio sul mobile e mi fissò. «Era Mary.
Strano che mia madre non l'abbia spedita a dormire...» Si accorse che
cercavo di non guardarlo ma schivavo i suoi occhi, così mi
carezzò appena la guancia. «Ehi,
che succede adesso?» Una lacrima mi
rigò la guancia, seguita da un'altra e un'altra ancora.
Scossi il capo, cercando di fingere. «Niente,
scusami.» «Bella...» Non resistetti
più e mi buttai sul suo petto, piangendo dirottamente come
una bambina. Ero debole, senza coraggio, senza voglia di combattere
davvero i propri mostri. «Tranquilla...».
Prese a massaggiarmi la schiena, le sue braccia attorno a me, che mi
stringevano forti. «Scu...Scusa.»,
singhiozzai, cercando di coprirmi il volto, ma lui fu più
veloce e mi alzò il mento. «Bella,
è stata colpa mia. Non voglio costringerti,
okay?». Sembrava tranquillo, anche se mi faceva sentire
tremendamente in colpa. «Capirò perfettamente se
mi dirai che non sei pronta. Posso aspettare, ho tutta una vita
davanti, per te. Voglio che fra noi non ci siano obblighi, va
bene?» Non risposi e lui
mi scrollò leggermente. «Mi rispondi, per
cortesia?» «E'
solo che tu... Insomma, pensavo che tu volessi, e quindi accontentarti
mi pareva la via migliore da seguire.» Mi
squadrò, corrugando la fronte. «Vorresti dire che
lo stavi facendo solo per me?» Annuii e lui
scosse il capo. «Non devi assolutamente fare cose del genere.
Bella, odio dover parlare come un padre alla sua bambina capricciosa,
ma voglio che tu questo lo capisca. Non voglio che tu ti lasci andare
solo per un mio beneficio. O lo è per entrambi, o per
nessuno.» Perchè
ci riusciva? Perchè era così bravo e mi veniva
sempre incontro? «Ti
prego, di' qualcosa.», mormorò, non vedendo una
mia chiara risposta. «Va bene, ho capito.» Mi fece sedere
sulle sue ginocchia e mi strinse a sé, inspirando a fondo
l'odore emanato dai miei capelli. «Cerco solo di non
complicare la situazione, ma di agevolartela.» Feci un sorriso
timido e mi accorsi che mi stava sporgendo la maglia del pigiama.
«Grazie», sussurrai, posando la testa sulla sua
spalla. Ci rivestimmo e,
rimanendo abbracciati, ci sdraiammo sotto le coperte, a guardare
oziosamente la TV. Le mie dita
disegnavano piccoli cerchi concentrici sulla sua maglia, ripensando
agli attimi prima. Avevo davvero perso il cervello tanto da lasciare
che lui si occupasse di me? Forse in parte
era quello che davvero volevo... Forse, se avessi continuato a stare
con la testa in un altro mondo, in quell'istante mi sarei ritrovata
felice, con lo stomaco in subbuglio e... C'erano fin
troppi “forse” e “se” nei miei
pensieri. In un certo senso avevo fatto bene a mettere in luce quello
che avevo pensato, così avevo rimandato tutto a un momento
in cui ci sarei stata con la testa e non avrei avuto alcool nelle vene. Le sue labbra si
posarono dolcemente sui miei capelli e poi sulla mia fronte, e io
chiusi gli occhi, beandomi delle coccole e dell'attimo che stavo
vivendo.
EDWARD.
Cosa
può costringere una persona a odiare se stessa e i propri
sentimenti? In quel momento
mi sembrava proprio impossibile trovare una risposta a quella domanda,
perché sentivo che era assurdo, almeno per me, arrivare a un
tale punto era impossibile. Chi ci riusciva?
Chi poteva farlo? La mano di Bella
aumentò la presa sul mio fianco, mormorando qualcosa. Si era
svegliata molte volte, nel sonno, quella notte. E aveva anche
sussurrato spesso il mio nome... Come si poteva
fare del male a un angelo come lei? Era... inconcepibile. Sussurrai e
scivolai sul fianco, cosicché potessi stringere al meglio il
suo corpo addormentato. Mi sentivo un
ragazzino alle prese con il primo amore. Forse perché lo
sentivo dentro, come un fuoco che mi accendeva l'anima. Bella era
riuscita a farmi sentire di nuovo vivo, pronto a nuove esperienze ma
anche solo ad affrontare ogni giorno della mia vita. Ero di nuovo me,
di nuovo il vecchio e romantico Edward, quello capace di andare avanti
per il proprio cammino senza guardarsi indietro. Mi era bastato
capirlo la sera prima, quando Tanya mi aveva chiamato furiosa, per
sapere dove mi fossi cacciato. A lei,
però, cosa importava? Era fuori dalla mia vita, fuori dai
miei affari, fuori da tutto. Non mi importava più, ora avevo
altro a cui pensare: Mary, Viola... E Bella. Sì,
lei era stato uno dei più bei doni che la vita mi avesse
offerto in un periodo più nero che nero non poteva essere.
Era stata come una luce che aveva schiarito il cielo e fatto tornare il
sole, facendo così sparire la notte che si era annidata nel
mio cuore. Era un mix di
emozioni... Neanche io sapevo descrivere come mi sentissi. Felice? Su
di giri? Sorrisi di me
stesso e aprii gli occhi. Fuori c'era un timido sole e i raggi
illuminavano la stanza. Bella si
distaccò da me e alzò le braccia, facendo
scricchiolare le ossa. La osservai, sfiorandole la guancia accaldata.
«Buongiorno.» Mi rivolse un
sorriso appena accennato e si stropicciò gli occhi.
«Che ora è?» «Quasi
mezzogiorno.» Si
alzò bruscamente, guardandomi corrucciata. «Cosa?
Stai scherzando.» Indicai la
radiosveglia. «A meno che questo orologio sia indietro, io
leggo che sono le 11:45.» Fece per scansare
le coperte ma la trattenni per un braccio. «Devi per forza
fare le cose di fretta?» Sbuffò
e si sdraiò supina, con il capo sul mio addome.
«Se arriviamo tardi da mia madre, è solo colpa
tua.» «A che
ora è il matrimonio?» «Alle
quattro, perché?» Ridacchiai e
lasciai che avvicinasse il volto al mio. «Abbiamo il tempo di
andare al ristorante a fare pranzo.» Sorrise ancora e
si alzò per cercare un paio di jeans nella valigia, proprio
di fianco al letto. Era un bello
spettacolo, proprio niente male... «Mi
stai guardando il sedere, per caso?». Non mi accorsi che si
era voltata e che teneva le mani sui fianchi, guardandomi con il
sopracciglio alzato. Cercava di rimanere seria, ma riuscivo a scorgere
la sua voglia di ridere. «Cosa?»,
domandai, facendo il finto tonto. «Ti ho
visto! Mi stavi fissando il culo!». Si mise a
sghignazzare, tenendosi al mobiletto. «Cosa ha di
interessante, poi?» Intanto mi ero
avvicinato a lei e l'avevo afferrata per i fianchi.
«Sapessi...» Mi
fermò quasi subito, appena poco dopo che le mie labbra
s'erano posate sul suo collo. «Potrai farmi tutte le coccole
che vorrai più tardi.» Si
infilò i jeans e lasciai che entrasse nel bagno. Riuscivo a
leggerle negli occhi quanto quella situazione la mettesse a disagio, e
io non potevo fare granché, perché doveva essere
lei a sbloccarsi e a dirmi “sono pronta”. Mi vestii
velocemente, con due cose prese a caso nella valigia. Sembravo uno
scappato di casa e quando vidi Bella mi sentii ancora meno a livello. Indossava dei
jeans a sigaretta neri e una camicia a scacchi rossi, e... era
perfetta. I capelli scompigliati, sparsi sulle spalle, i piccoli piedi
nudi a contatto con il pavimento, le mani intrecciate fra loro, le dita
fra i capelli... Era
così semplice quanto bellissima e non riuscivo a trovare le
parole davanti a tanta bellezza. Probabilmente parevo un rimbambito
perché non riuscivo a chiudere la bocca e se avesse potuto
la mascella mi sarebbe caduta e rotolata fragorosamente sul pavimento. «Perchè
mi guardi in quel modo?» Scossi il capo,
tornando alla realtà. «No, niente, mi sono
incantato. Scusami.» Trattenne una
risata e recuperò dalla mia borsa lo smoking vero e la
cravatta blu. «A che
ti serve, scusa?» «Ci
dobbiamo fermare da mia madre. Ha lei il mio vestito, e poi ci sono le
altre cugine che mi devono truccare... Le solite cose da
matrimonio.» Scosse le spalle,
come a minimizzare la cosa, e calzò le Converse, porgendomi
poi le chiavi dell'auto. «Andiamo,
su.» Il pranzo scorse
veloce, sotto le nostre risate e occhiate fuggenti. Sembravamo due
ragazzini che si vergognavano l'uno dell'altra. Era stupendo
poter stare con una persona che davvero ti capiva in ogni tua singola
azione. Era da tanto tempo che non succedeva. Con Tanya le cose erano
cominciate ad andare male qualche mese prima della nascita di Viola, ma
avevamo deciso di rimanere assieme perché secondo lei dopo
il parto sarebbe tutto di nuovo cambiato. Peccato che le
sue previsioni non s'erano avverate, ma tutto era andato per il verso
opposto... Non mi pentivo
della mia scelta di rifiutarla, anche perché se non l'avessi
fatto non avrei mai avuto Bella e la pace che mi aveva portato. Ed era stato uno
dei cambiamenti più radicali della mia vita, dopo la laurea
e le bambine. Bella riusciva a farmi risollevare il morale anche dopo
una sfuriata, quasi come se avesse un potere magico. La sua
tranquillità era divenuta anche la mia, grazie a tutti i bei
momenti trascorsi insieme. Forse avevo
finalmente trovato la tregua di cui il mio cuore aveva sperato per
tanto tempo.
«Renée
è molto... tradizionalista riguardo a queste cose.» Charlie mi sporse
una birra, sedendosi poi di nuovo accanto a me. L'agitazione era
palpabile, i suoi movimenti erano meccanici, quasi avesse paura di
sbagliare qualcosa. E in parte lo capivo: la sua bambina era al piano
di sopra a farsi bella... per me. Per l'uomo che la stava portando via
dal suo papà. Come mi sarei
sentito se l'avessero fatto con me nei confronti di Meredith? Okay,
Mary aveva solo sette anni, però era la mia principessa, lo
scricciolo che, quando l'avevo presa fra le braccia per la prima volta,
mi aveva fatto di nuovo innamorare, rubandomi il cuore. Era il mio
gioiello, quello che nessuno poteva toccare. Se avessi potuto, l'avrei
tenuta sotto una campana di vetro, protetta da tutti i cattivi che
c'erano in circolazione. Ma io ero fin
troppo iperprotettivo nei confronti delle mie figlie. «Anche
mia madre tiene molto a questi... rituali. Non voglio immaginare quando
si sposerà mia sorella.» L'uomo si
pulì i baffi, per poi scrutarmi. «Hai una
sorella?» «Sì»,
mormorai, fissando il vetro scuro. «Ha tre anni in meno di
me, ma i miei genitori la ritengono “la loro
principessa”, nonostante abbia quasi ventisette anni. E per
me è un po' come se fossimo ancora adolescenti, quando la
proteggevo dai suoi contendenti... Ma so che un giorno dovrò
lasciarla andare, come i miei hanno fatto con me.» Sospirò,
dandomi una pacca bonaria sulla spalla. «Io ho lasciato
andare la mia Bella troppo presto, e me ne sono pentito. Quando ho
saputo quello che quel mostro le ha fatto... Dio, sono un poliziotto e
ho un arma, ma sarei stato contento di finire in galera se l'avessi
ucciso. Me l'ha rovinata, me l'ha resa indifesa. Me la sono ripresa ma
so che non sarà mai più la mia piccola Bella
sfacciata, quella un po' timida ma comunque temeraria però
sempre impacciata. Non tornerà mai più ad essere
quella bambina della mia memoria. Ed è colpa mia,
perché non l'ho protetta a dovere.» Quell'uomo,
dall'aspetto così duro e autoritario, sembrò
sciogliersi come burro sotto i ricordi più belli che aveva
di Bella. Non mi pareva possibile che... Nella mia mente
scossi il capo. Era suo padre, colui che le aveva donato la vita, che
l'aveva seguita nel corso degli anni e che l'aveva sorretta in quei
tristi momenti. E lo stesso ero
io. «Piangermi
addosso non servirebbe a nulla, e a nessuno. Tanto meno a Bells. Devo
essere forte per lei, per me, per sua madre. Perchè
così lei potrà costruirsi un futuro migliore,
imparando dai propri errori, magari per costruirsi un muro di cinta per
ripararsi da attimi del genere.» Non seppi che
rispondere, perché ogni parola era inutile davanti a tutto
lo strazio che si portava appresso Charlie. E perché si
stava rivelando proprio a me, che non ero altro che un ragazzo
semisconosciuto? «Ma sai
una cosa, Edward?». Mi fissò negli occhi, e
intravidi un bagliore di felicità. «Quando parla
di te, o ti guarda, vedo che è felice, come avrebbe dovuto
esserlo sempre, senza vivere quelle pessime esperienze. E con te sento
che sta vivendo di nuovo, che il suo cuore ha avuto pace.» Abbassai lo
sguardo e sentimmo dei passi sul pianerottolo. Ci alzammo in
contemporanea, lisciandoci lo smoking. Ero pronto? «Mamma,
non mi sto per sposare!». Percepii il tono irritato ma
divertito di Bella, che probabilmente cercava di tranquillizzare
Renée. Mi avvicinai alla
scala, rimanendo accanto alla ringhiera. Un angelo vestito di blu
iniziò a scendere leggiadro ogni scalino. Mi sorrise,
imbarazzata, tenendo un lembo del vestito cosicché non lo
pestasse. Prese la mia
mano, che avevo allungato poco prima che il suo piede toccasse l'ultimo
gradino. Il vestito di chiffon blu le avvolgeva il busto, il seno
costretto nel bustino a cuore. Sotto, una cintura in brillantini
brillava alla fioca luce del lampadario. I capelli erano
racchiusi in un'intricata acconciatura, con perline e piume dello
stesso colore dell'abito. Era splendida,
semplicemente perfetta. «Sei
bellissima.», mormorai, mentre lei si adagiava al mio petto.
Sua madre stava singhiozzando dietro di noi e una ragazza le porse un
fazzolettino. «Mamma!»
Bella si voltò, alzando le braccia. «Quando mi
sposerò, cosa farai? Dai!» Renée
sorrise tra le lacrime. «E' che sei bellissima! Oh, la mia
bambina!» «Guarda
che ti cola il trucco.», la riprese pacificamente la ragazza,
indicando il suo viso. Charlie si schiarì la voce. «Vogliamo
andare, o preferite arrivare in ritardo?»
La chiesa era
addobbata con centinaia di fiori, posti su ogni panchina e sull'altare.
Le chiacchiere si propagavano, rimbombando leggermente, mentre altre
persone accorrevano per trovarsi un posto a sedere. Noi eravamo nella
terza fila da parte della sposa, dietro a una schiera di invitati. La
zia di Bella, Carmen, ringraziava chi si avvicinava, stringendo
calorosamente le mani. «Come
ti senti?» Bella
posò la guancia sul mio petto, fra le mie braccia.
«Sono... un po' agitata. Ho paura che lui sia qui.» «Non
pensarci. Io sono qui, sempre. Ricordatelo. Goditi l'atmosfera e
lasciati trascinare dalle emozioni.» Si strinse nelle
spalle, sorridendomi. «Ci proverò.» La marcia nuziale
fece scorrere le proprie note e tutti ci girammo verso la porta, dove
Kate era a braccetto con suo padre, Eleazar. «E'
bellissima.», mormorò Bella, quando sua cugina
passò accanto a noi. Era incantata dall'abito bianco, dal
velo... «Tu lo
sei di più.», sussurrai al suo orecchio. Lei
sorrise timidamente e appoggiò la mano sul mio ginocchio. In men che non si
dica, la cerimonia passò, fra le lacrime dei parenti,
compresa Renée, e i vari sospiri di ammirazione. Ci fu un
caloroso applauso quando il prete annunciò l'unione fra i
due amanti, che si baciarono dolcemente. A quell'immagine Bella si
posò contro la mia spalla, e le mie mani le
carezzarono le guance. Come mi aveva
annunciato Isabella, il ricevimento non sarebbe stato da meno. Anche
lì tutto era arricchito da fiori e ghirlande, con un enorme
festone con su scritto “Kate e Garrett –
29.01.12” Fuori era
già tutto buio, e riuscivo a sentire in lontananza lo
scrosciare delle onde, che si infrangevano sulla spiaggia. «E ora,
è tempo di aprire le danze!» La musica si
propagò per tutto il locale, e le coppie iniziarono a
ballare lentamente, seguendo le note della melodia. Porsi la mano a
Bella, che mi squadrò, alzando il sopracciglio.
«Dici sul serio?» Scrollai le
spalle, ridendo. «Perchè no?» Si
adagiò sul mio petto, legando le braccia dietro al mio
collo. Piroettammo fino a che non raggiungemmo la balconata che dava
sul mare, dove la luna illuminava tutto fiocamente. Attirai le sue
labbra alle mie, in un dolce ma veloce bacio. «Che ci
facciamo qui?» Mi appoggiai alla
ringhiera, senza distogliere lo sguardo. La luce lattea le donava
un'aria angelica, rendendo la sua pelle ancora più chiara di
quel che già era. «Voglio
dirti una cosa.» Si
avvicinò a me, prendendomi le mani. «Dimmi
tutto.» Sospirai, e mi
girai verso la luna. «Ricordi, Bella, quando due notti fa mi
hai detto che mi amavi?» Riuscii a
scorgere un velo di rossore sulle sue gote, ma non sembrò
farci caso. «Sì...» «Bella,
penso che da quella sera qualcosa in me, in noi, sia cambiato. Il mio
cuore si è affievolito, è stato percosso da un
battito mai sentito prima. Non so cosa stia succedendo, se è
la tua presenza, se è l'atmosfera o l'aria diversa che
respiro, ma qualcosa sta mutando. Voglio che tu sappia che io non
ripeterò mai, per nessuna ragione, ciò che
Christian t'ha fatto. Non mi azzarderei mai.» Abbassò
il capo ma prontamente lo risollevai. «Aver paura di amare
è come aver paura di vivere ogni singolo giorno della
propria vita. Io non voglio che tu abbia timore di amarmi, Bella,
perché qui», presi la sua mano e me l'adagiai sul
cuore. «sento di provare davvero qualcosa per te. Non so se
è amore, o se è qualcosa di differente, ma so che
è positivo. Per questo voglio che tu sappia che desidero
provarci. Desidero scoprire cose nuove, con te. Mi lascerai provare,
per favore? Hai tu la chiave del mio cuore.» I suoi occhi
divennero lucidi e sbatté più volte le palpebre
per ricacciarle indietro. «Sì... Sì, ti
lascerò, Edward. Sento di amarti come non ho mai fatto con
nessun'altra persona al mondo.» Le sue labbra si
posarono sulle mie e il mio cuore balzò nel petto, quasi
come se volesse volare via.
«Grazie, sul serio.», mormorai, e rimanemmo
così, stretti l'uno all'altra, a fissare la notte che
sembrava volerci il suo lato più maestoso, illuminandoci il
cuore e l'anima.
____________________ CAPITOLO
SEMIBETATO (?).
Non darò più promesse che non posso mantenere...
lo giuro.
avevo detto che avrei aggiornato entro domenica, ma purtroppo ho avuto
degli impegni che mi hanno costretta a rimandare questo
aggiornamento... però direi che in un certo senso ho fatto
bene, perché ho sentito tutte le emozioni scrivendo.
Sono un po' di fretta, quindi vi ringrazio molto velocemente
perchè siamo riusciti ad arrivare a 115 recensioni e non
sapete che gioia indescrivibile!
Spero di poter aggiornare molto presto perchè come ben
saprete presto inizieranno le scuole... Io il 12... Che fifa! Profilo
FacebookGruppo
FB per spoiler ecc qui i miei contatti per tenervi sempre in
contatto con me! ;)
Ci si vede presto, e aspetto numerose le vostre recensioni! :)
Kiss, Giù.
«Dorme ancora?»
Socchiusi la porta e sospirai. «Sì, per
fortuna.»
Fissai Bella. Teneva lo sguardo basso, gli occhi tristi, le mani che si
inseguivano. Era molto tesa e cercava in tutti i modi di sconfiggere
l'ansia.
«Ehi.»
Prese la borse e si avviò verso il salotto, ma la bloccai,
afferrandola per il braccio. «Ne abbiamo già
parlato, Edward.»
«No. Non devi fare così, chiaro? Bella, tu devi
andare a Oxford, okay?»
«Non farmi la predica, non adesso, per favore.»,
scrollò il braccio e si sedette sul divano, la testa fra le
mani.
«Se è la sindrome premestruale, okay. Ma se sei
già acida da adesso, voglio capire il
perchè.»
Scosse il capo, con un sorriso sulle labbra. «Ho paura che
sia una scelta presa troppo alla leggera, Ed. E' davvero questo che
voglio? Stare lontana da te, dalle bambine, dai miei amici?»
Sgranai gli occhi. «Bella...»
«No, niente Bella. Non voglio assolutamente separarmi da voi,
mi si spezzerebbe il cuore. Non... non so cosa darei perchè
Oxford fosse più vicina.»
Mi sedetti vicino a lei, prendendole il viso fra le mani. «E'
solo per due giorni, lo sai, vero?»
«Appunto. Per me è troppo.»
«Amore, e quando diventeranno settimane, che farai?»
Sospirò e mi guardò negli occhi.
«Non... Non voglio allontanarmi da te. Non voglio.»
Appoggiò la fronte contro la mia e le mie braccia,
istintivamente, le circondarono i fianchi. «Rimani con me,
Edward.»
«Sh... Sono qui, sono qui.»
Alzò lo sguardo e posò le sue labbra sulla mie,
allungando la mano sulla mia nuca. «Non so cosa darei per
rimanere qui con te tutto i giorno...»
Sorrisi. «Peccato che tu debba prendere fra mezz'ora o poco
più un treno che ti porterà ad Oxford.»
«Grazie per avermelo ricordato.» Si tirò
su in piedi e prese la sua valigia, con un sorriso mesto sulla bocca.
Arrivammo alla stazione in perfetto orario. Bella saltellava sul posto,
i capelli tutti arruffati. «Ti puoi calmare?», le
chiesi, vista la sua iperattività.
Mi lanciò un'occhiata fulminea, tirandomi un pugno sul
petto. «Sta' zitto. Sono agitata.»
«Me n'ero accorto.»
Si accoccolò sul mio petto, e le baciai i capelli, aspirando
quel profumo così buono, che sapeva di fiori e cannella.
«Posso rimanere qui? Ti prego.»,
cantilenò lagnosa, nascondendo il volto nella mia giacca.
Mi venne a ridere e la strinsi di più. Era così
fragile e timorosa... L'avrei anche seguita fino
all'università, ma ovviamente avevo le bambine a cui badare.
«Farò finta di non aver sentito.»
Sbuffò e i nostri visi furono a pochi centimetri l'uno
dall'altro. «Ti prego...»
I nostri nasi si sfiorarono, e il suo fiato fu sulla mia bocca.
«Bella, cosa vuoi che siano 48 ore? Passeranno
così veloci che manco te lo immagini.»
«Mi dispiace solo che quando Mary si sveglierà io
non ci sarò...»
Le carezzai i capelli, la guancia. «Le spiegherò
tutto io, stai tranquilla.»
Chiamarono il numero del suo treno e i suoi occhi divennero tristi.
«Devo andare.»
«Già...», sospirai, e la sua mano,
così piccola, fu sulla mia guancia. «Su, l'hai
detto tu che questi due giorni voleranno.»
«Sì, ma mi mancherai tantissimo.»
Dio, ero diventato così sdolcinato da far venire il diabete.
Non riuscivo a staccarmi da lei per un secondo, figuriamoci per due
giorni interi. Era come se fosse stata l'aria nei miei polmoni, l'acqua
dissetante nella mia bocca, i pensieri nella mia mente. Non era
possibile descrivere cosa fosse lei, per me.
«Ehi, lo sai che due giorni sono composti da quarantotto ore,
che sono in tutto 2880 minuti, che sono la trasformazione di 172800
secondi?»
Quasi mi uscirono gli occhi dalle orbite. «Cosa stai
dicendo?»
«E in tutti questi numeri, che sono follemente troppi, ti
penserò e immaginerò di averti al mio
fianco.»
D'impulso avvicinai le sue labbra alle mie, in un caloroso bacio. No,
non doveva essere un addio... anzi, proprio non lo era. L'avrei rivista
appena due giorni dopo, e sarei andato io stessa a prenderla
lì, alla stazione, dove in quel momento eravamo uniti in un
piccolo ma dolce contatto.
Di nuovo la voce metallica dagli altoparlanti, ancora un altro battito
perso.
«Devo andare sul serio, adesso.»
«Chiamami, quando arrivi.» Mi diede un ultimo bacio
e abbraccio, prima di prendere la sua valigia e allontanarsi salutando.
Quando risalii in macchina, tutto il vuoto che sembrava essere sparito
era tornato a tormentarmi. Impugnai saldamente il volante e accesi
l'automobile, dirigendomi verso casa.
Ero diventato così dipendente da Bella. Quasi come una
droga. Se qualcuno tre mesi prima mi avesse chiesto se il mio cuore
avrebbe potuto amare ancora, la mia risposta sarebbe stata no,
perché dopo Tanya non ci avrei creduto più.
E invece ora il mio cuore stava battendo per un'emozione nuova, che
solo Bella avrebbe potuto farmi scoprire.
Infilai la chiave nella toppa della porta di casa e mi sorpresi del
silenzio che c'era. Mia madre era nella mia camera da letto, sulla
sedia a dondolo, a dare il biberon a Viola, che la guardava
tranquillamente nella semioscurità.
«Tranquilla, mamma, puoi andare.»
Mi porse la neonata che si annidò sul mio petto, guardandomi
con quei suoi occhioni blu. «Mary dorme ancora.»
Se ne andò con tutta la pace che si era portata dietro, e di
nuovo un senso di angoscia mi logorò dentro.
Era uno strano sentimento, un qualcosa che mi mancava nel corpo.
Ero davvero Bella dipendente. Anche in quel momento, senza di lei
vicino a me, trovavo difficile svolgere qualunque azione, anche le
più semplici.
Viola aveva il nasino appoggiato alla mia spalla, il suo respiro era
diventato lieve e gli occhietti vibravano appena. Era una vista
angelica, pareva una bambolina di porcellana.
Quasi facevo fatica a credere che avesse già cinque mesi,
che erano passati così veloci da parere un soffio.
Le carezzai il naso, le guanciotte, i capelli. Era un gioiello prezioso.
«Papà?»
Alzai lo sguardo e Meredith era davanti a me, con il faccino storto in
una smorfia triste. «Che succede, cucciola?»
«Dov'è Bella?»
Ahia. Sapevo che l'avrebbe chiesto. «È dovuta
andare a scuola, amore.»
«E perchè non mi ha salutata?»
Intanto avevo messo Viola nel passeggino e fatto sedere sulle mie
ginocchia Mary, che sembrava piuttosto corrucciata. «Non
voleva svegliarti. Perché ora non facciamo
colazione?»
Scosse il capo, contrariata. «No, io voglio Bella!»
Capii che era sull'orlo di una crisi di pianto, perchè i
suoi occhi erano diventati lucidi e il labbro inferiore aveva iniziato
a tremolare visibilmente.
«Amore, sii ragionevole. Ora non può venire, ma
domani sera sarà di nuovo con noi.»
Una lacrima le cadde sulla guancia, seguita presto da altre che
scorsero velocemente sulla sua pelle. «No! La voglio qui!
Uffa! Dov'è? Dov'è? Voglio Bella!»
Sbatté i pugni sul mio petto, e fui solo capace di
circondare le mie braccia intorno al suo corpicino. I singhiozzi la
percossero e sentii diventare umida la camicia. Mi sentivo un debole
quando lei piangeva per qualcosa, anche solo per un capriccio,
perchè secondo me non potevo renderla felice in tutti i modi.
Che poi, cosa avrebbe potuto renderla più contenta di
così? Aveva me, Bella, i miei genitori che l'amavamo.
L'amore era la cosa più grande che potessi darle, a
differenza di sua madre che si ricordava di lei solo quando le pareva
comodo.
«Adesso ascoltami, va bene? Se Bella fosse qui, cosa direbbe?
Non le piacerebbe affatto vederti piangere, e anche se lei non
è qui sappiamo bene che un uccellino le riferirà
che hai fatto così.»
Gli occhi azzurri della bambina improvvisamente si illuminarono e
comprese il ragionamento. «Davvero?»
Annuii, appuntandole una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
«Oh, già.»
«La possiamo chiamare, per favore?»
«Se prende il cellulare, sì.»
Estrassi dalla tasca l'Iphone e composi il numero di Bella, che ormai
sapevo a memoria. Ogni giorno la chiamavo o le mandavo dei messaggi, ed
era stato semplice imparare il suo recapito.
Isabella era diventata importante per me quanto per Meredith, e questo
riuscivo a capirlo da solo da quando gli occhi della mia bambina si
illuminavano mentre la donna le parlava, oppure anche solo quando le
carezzava la guancia o i capelli.
Aveva di nuovo iniziato a vivere, esattamente come me. Ciò
che sconvolgeva me, cambiava anche Mary. «Mi manchi, Bella.
Quando torni mi fai tante coccole?»
Sorrisi spontaneamente. «Papà ha detto che sei
andata a scuola, è vero? Però uffa... Okay, va
bene. Vuoi parlare con papà? A domani.»
Mi sporse il telefonino, sospirando. «Cosa ti ha
detto?»
«Torna domani sera. Però le manchiamo anche noi,
ed è ancora sul treno.»
Le carezzai il viso e le palpebre, e lei si posò sul mio
petto. La avvolsi di più nel plaid che aveva sulle spalle,
mentre la sedia a dondolo iniziava ad oscillare. «A te manca
Bella, papy?»
Sgranai gli occhi, colto alla sprovvista. Cosa potevo risponderle?
Aveva quasi sette anni, ma di certo aveva capito che qualcosa stava
cambiando in me.
«Tu la ami, vero, papà?»,
mormorò, osservandomi con quei suoi occhioni azzurri.
Bingo.
A volte era più intelligente lei, di me, di suo padre. Era
una cosa un po' preoccupante, ecco.
«Ecco...»
Sorrise e iniziò a ridacchiare, coprendosi la bocca con le
manine. «Sei diventato tutto rosso!»
E in effetti aveva ragione: le mie guance bruciavano e iniziavo a
sudare freddo. «Ma che stai dicendo?»
Presi a farle il solletico freneticamente, e le sue risate si
propagarono per tutta la camera. Era un ottimo metodo, solitamente, per
farle cambiare discorso.
Ma quella volta, evidentemente, non funzionò...
«Dai, papà, lo so. Tu ami Bella, vero?»
Sospirai. «Sì. Sì, piccola.»
«Lo sapevo!» Batté le mani e fece un
gridolino di gioia, per poi saltellare sulle mie ginocchia.
«La ami! Come amavi la mamma! Anzi, no, di più!
Molto di più!»
Posai un dito sulle sue labbra, per zittirla. «Stt, non
urlare!»
Mormorò un “scusa” per poi tornare a
sorridere. «Allora?»
«Amore, provo qualcosa per Bella, è vero, ma non
so come definirlo.»
Teneramente, posò il capo sulla mia spalla, stringendo le
piccole braccia intorno al collo. «Papà, io so che
tu ami Bella. È come in quei film, dove fra i due innamorati
scocca la scintilla e loro si sbaciucchiano e...»
La fissai, interdetto. «Come fai a sapere queste
cose?»
«Ho visto dei film con zio Emmett. E poi farete... Come
l'aveva chiamato lo zio? Ah, sì, sesso!»
Ero sbigottito. Come poteva sapere quelle cose? Aveva solo sei anni,
che diamine! E conosceva già quel linguaggio...
Avrei dovuto fare un discorsetto con Emm.
«Ah, papà, a proposito: cos'è il
sesso?»
«Te lo dirò quando sarai più grande. E
in più, parlerò con zio Emmett...»
Sbuffò. «Va bene, ma uffa!»
Sviai subito l'argomento, onde evitare altre imbarazzanti domande a cui
avrei risposto almeno fra cinque anni. «Ora andiamo a fare
colazione, okay?»
Saltò giù dalle mie gambe e iniziò ad
avviarsi verso la porta, prima di girarsi e guardarmi.
«Papà?»
«Sì, cucciola?»
«Tu mi vorrai sempre bene, anche se comincerai ad amare
Bella?»
Le diedi un bacio alla eschimese, prima di prenderla in braccio.
«Sempre, tesoro mio. Te ne vorrò sempre
perché tu hai una parte del mio cuore.»
BELLA.
Le diciotto e trenta.
La giornata era passata velocemente , forse fin troppo, però
in tutto quel tempo non avevo fatto altro che pensare alle persone che
amavo.
Quanto mi mancavano? Troppo, da morire. Erano come l'aria che
scarseggiava nei miei polmoni, dei battiti persi pensando al mio
passato, che erano riusciti a farmi dimenticare, o meglio che stavano
riuscendo, perchè ancora avevo dei postumi, ma ormai stavano
diventando sempre più radi.
«Cosa vuoi per cena?»
Mi girai verso Angela, la mia compagna di stanza, colei con cui avevo
passato tutta la giornata nel campus. Stava allacciando il giubbotto ed
era in procinto di uscire, probabilmente per comprare qualcosa da
mettere sotto i denti.
«Uhm, una pizza e una coca cola.»
Corrugò la fronte. «Non hai mangiato niente per
tutto il giorno, e poi hai intenzione di ingozzarti di schifezze? Non
è per caso che poi vomiti?»
Scossi il capo, prendendo dalla valigia il computer. «No,
figurati, lo faccio spesso.»
«Mh, va bene. Però poi mi spieghi
perchè non hai toccato cibo, oggi.», disse,
sfilando la chiave dalla toppa. «Ci vediamo fra... Trenta
minuti? Se non c'è coda, dovrei metterci poco.»
«Okay, tranquilla». Le sorrisi e lasciai che si
richiudesse la porta alle sue spalle, per poi sospirare. Per un attimo,
in quella lunghissima giornata, ero da sola, con i miei pensieri,
finalmente.
Accesi il portatile, con lo stomaco in subbuglio e il cervello
inceppato. Non era troppo tardi e di sicuro Edward non era ancora in
cucina per preparare la cena, quindi avevo qualche minuto per vederlo.
Ma lui non era online, ovviamente.
Vedi
di metterti online su Skype che la sottoscritta vorrebbe vedere la tua
faccia da schiaffi. B.
Sorrisi del mio stesso SMS, perchè sapevo che odiava essere
definito in tale modo. Non per niente, il suo tono nella risposta fu
abbastanza... rigido.
Se mi
chiami ancora una volta in quel modo non mi vedi più. E non
scherzo. Cmq arrivo subito. E.
Se fosse stato davanti a me, ero certa che sarei scoppiata a ridergli
in faccia, con conseguente attacco di solletico. Era il suo modo per
alleggerire la situazione.
Il segnale acustico del programma mi fece ricordare cosa stavo facendo,
e quando trovai l'avviso di chiamata dovetti fare un respiro profondo
per riprendermi.
Appena vidi il suo volto familiare, il mio cuore balzò.
Effetto Edward, ecco qual era la causa del mio batticuore continuo.
Aveva gli occhi stanchi, segno che probabilmente Viola aveva fatto i
capricci, ma era comunque bellissimo. Almeno per me.
«Ehi.»
Mi sorrise e quel gesto mi scaldò il cuore. «Ma
ciao.»
«Come stai?», domandò, sistemandosi la
folta chioma rossa. Scrollai le spalle, indifferente. «E'
tutto okay, solo un po' stanca. Tu? Non hai una bella cera.»
Sospirò. «Sono dovuto correre per andare a
prendere Mary a scuola, che vomitava, ed è andata avanti
così tutto il pomeriggio. Ho dovuto chiamare il medico e mi
ha detto che è un semplice virus intestinale. Le ha
prescritto dei fermenti lattici, così da alleviare i
disturbi. E poi Viola ha i dentini che la disturbano, e ha pianto un
bel po'.»
«In poche parole sei stravolto.», mormorai, e mi
accorsi che mi stava letteralmente rimirando. Aveva il viso appoggiato
sulle mani unite e fissava lo schermo, proprio dove ero io.
«Esatto. La scuola com'è? Che te ne
pare?»
Per un attimo che non avrei voluto parlarne, ecco che tornava il
tormento. «Per ora mi piace, ho conosciuto già
alcuni ragazzi del mio corso che, se tutto va bene, si laureano poi a
giugno come me. Sì, diciamo che è come me la
immaginavo.»
«Bene, dai.» I suoi occhi, i suoi bellissimi occhi,
si erano illuminati, facendo trasparire completamente la sua gioia,
quasi come se fosse stato un bambino. «Mary non fa altro che
parlare di te. Le manchi da morire.»
Un groppo mi salì in gola e dovetti distogliere lo sguardo
per fermare le lacrime. «Anche voi, non immagini
quanto.»
«Ehi, ricorda che domani sera sarai a casa nostra, a
rimboccare le coperte a Meredith e abbracciata a me.»
Sorrisi, chiudendo gli occhi e beandomi della sua bellissima voce.
«Lo so, è che... Dio, penso che sia diventata
dipendente da voi tre. Mi manca qualcosa, quando sono lontana, ora come
non mai.»
Se avesse potuto, sarebbe entrato nel monitor e mi avrebbe raggiunta,
stringendomi fra le sue forti braccia.
Mi resi conto di quanto mi mancasse quel contatto, sebbene non ci
vedessimo da quasi dodici ore.
Ed erano troppe, spropositatamente troppe. Avevo bisogno di qualcosa
che mi ricordasse lui, o almeno la sua presenza fisica accanto a me.
Sarebbe stata una lunga notte, di sicuro insonne, senza lui accanto.
«Tu divertiti e conosci nuove persone, vedrai che la giornata
di domani passerà in fretta.»
«Va bene. Mary? Dorme?»
Lui annuì, sporgendosi verso l'ingresso.
«Sì, si è addormentata due ore fa.
Svegliarla non mi va, dato che è stata male tutto il
pomeriggio. La sveglio poi poco prima di cena, così vedo se
vuole mangiare.»
«Capito.»
Fra noi calò il silenzio, e io abbassai il capo. Cosa potevo
dire, o fare? Era a chilometri da me, ma io lo volevo accanto.
«Oh, aspetta. Ho sentito dei rumori. Arrivo
subito.» borbottò, facendo strisciare
rumorosamente la sedia contro il pavimento, e il suo viso
scomparì dalla visuale.
Subito centinaia di pensieri mi sovrastarono, e subito pensai al mio
amore per lui. Sebbene avessi compreso che entrambi avevamo bisogno di
tempo, per riflettere molto su quel sentimento, non vedevo l'ora di
quando anche lui mi avrebbe risposto allo stesso modo.
«C'è una persona qui che vuole
salutarti.»
Edward teneva saldamente Viola da sotto le ascelle e con un braccio
sotto il sederino. Gli occhietti della bimba, che ogni giorno
diventavano come quelli del padre, si immobilizzarono sullo schermo,
guardandomi.
«Ciao, piccolina.»
Avrei voluto accarezzarle quelle guance così cicciottelle e
morbide, che spesso sfioravo mentre dormiva. La sentivo un po' mia,
come se fosse stata una specie di nipotina, perchè ogni
giorno la vedevo crescere e diventare sempre più bella.
«Come vorrei stringerla a me...». Una lacrima mi
cadde lungo la guancia e non fui abbastanza veloce a toglierla che lui
se ne accorse.
«Bella?»
Distolsi nuovamente lo sguardo, asciugandomi gli occhi con il dorso
delle mani. «Va tutto bene, davvero.»
«Ascolta, adesso basta, okay? Perchè non ti godi
un po' questo tempo con delle nuove persone, per pensare e fare
ciò che ti piace? Sul serio.»
Sospirai. «Io mi sono divertita, oggi. È tutto
grandioso, ma io vorrei essere lì con voi, accanto a
Meredith quando si addormenterà e fra le tue braccia. Non mi
pare di chiederti la luna, o sbaglio?»
«Amore, hai quest'opportunità, e io non voglio che
te la lasci scappare, chiaro? È vero, sei lontana da noi,
però pensa che con questo potrai realizzare i tuoi sogni.
Non ci sono sempre lati negativi.»
Annuii mesta e lasciai che sbuffasse, fra i gorgoglii di Viola.
«Ti prego, fallo per noi.»
Non potei fare altro che accontentarlo, ma quando una voce argentina e
familiare di arrivò alle orecchie, sentii la gioia uscire da
ogni minuscolo foro della mia pelle.
«Con chi parli, papà?»
Il mio cuore sobbalzò nell'attimo in cui il viso di Meredith
fu nel campo della videocamera. «Guarda chi c'è
nello schermo, amore.»
Edward le indicò il monitor, proprio in corrispondenza della
mia faccia, e Mary emise uno strillo acuto. «Bella!»
Risi della sua espressione e della sua felicità. Era
così dolce, semplicemente era facile volerle bene,
perché si guadagnava il tuo amore con poco, tipo un sorriso
o un piccolo gesto.
«Come stai?», chiese con quel sorriso angelico.
Dio, era troppo bella.
«Bene, tesoro, tu?»
«Benino...» La sua voce era triste, e di sicuro
c'era qualcosa che non andava, lo percepivo chiaramente.
«Mary, cos'hai?» Guardai Edward, cercando una
risposta alla mia domanda, ma il suo volto non tradiva nessun emozione.
«Niente, niente...», mormorò la bambina,
fissandosi le mani. A quelle parole, chinò anche il capo e
il mio cuore si spezzò.
«Avanti, sputa il rospo.» le dissi dolcemente.
«Ti conosco troppo bene, e so che quello è il
visino di una bimba triste.»
«Okay...» sussurrò, alzando la testa. I
suoi occhi erano pieni di lacrime, quasi specchio dei miei.
«Mi manchi tanto, Bella. Quando torni?»
Come potevo rimanere lì, davanti a quel computer, a
fissarla? Avrei fatto le valigie e preso il primo treno per Londra, ma
sapevo che Edward non sarebbe stato per niente felice di quella mia
scelta.
«Domani sera, cucciola.»
Tirò su con il naso. «E stasera chi me la
racconterà la favola della buonanotte?»
Come potevo?
Seriamente. Il suo sguardo triste mi struggeva e il mio cuore ormai si
era sciolto. Quella bambina mi aveva letteralmente conquistata e io non
potevo fare nulla.
«C'è sempre papà. È solo per
stasera, davvero. Domani saremo io e te abbracciate nel letto a leggere
una bella fiaba, okay? Solo non piangere, che poi sto male anche
io.»
Edward le accarezzò i capelli, sorridendole dolcemente.
«Hai sentito?»
La bambina annuì e lui le baciò la fronte,
stringendola sé. «Ora, da brava, vai a vestirti,
su, che la nonna ci aspetta alle sette e mezza.»
Guardai l'orologio del computer. Erano già le sette meno un
quarto... Il tempo volava.
«Ok, papy.», mormorò, per poi girarsi
verso il monitor. «Allora ci vediamo domani. Buonanotte,
Bella.»
«Buonanotte, pulcino.»
Avevo un nodo in gola e non riuscivo a respirare. Sarebbe stata dura,
quella sera, addormentarsi, senza la mano di Edward fra i miei capelli
e il suo petto contro il mio viso.
Come potevo combattere gli incubi che mi assillavano?
Ed si sistemò i capelli all'indietro, e poi mise a posto la
camicia. «Ehi, ascolta, io ora vado a vestire Viola. Ci
sentiamo più tardi, okay?»
Sospirai. «Va bene.»
«Bella...» Sbuffò, con quel suo sguardo
severo. «Non farmi stare con il patema d'animo per tutta la
serata, per favore. Divertiti, esci un po', ti farebbe bene. Per
favore, fallo per me.»
«Ci proverò.»
«Grazie». Abbozzò un sorriso, tirandosi
su in piedi. «A dopo.»
La chiamata terminò e dovetti scansare il computer dalle
ginocchia perchè le lacrime scrosciarono impetuose sulle
guance.
Mi sentivo parte di quella famiglia, sebbene conoscessi Edward da
relativamente poco. Ma ciò che provavo per quelle bambine e
per lui, soprattutto, mi faceva battere il cuore così forte
da mozzarmi il fiato.
Mi mancavano, e Ed mi aveva chiesto di pensare ad altro, e non
piangermi addosso proprio come stavo facendo.
Ma per lui era facile parlare. Io ancora non avevo fatto l'abitudine di
star lontano da loro tre, e anche solo quelle poche ore mi avevano
fatto uscire di testa. Figuriamoci come sarebbe stato tra due o tre
mesi, quando avrei finito i corsi.
La chiave nella toppa rigirò un paio di volte, e Angela
comparve dalla porta, con i cartoni della pizza.
«C'era un po' di coda, scusami.»
Mi asciugai le guance senza che lei lo notasse. Odiavo sembrare
più fragile, ma solo al pensiero dei miei tre angeli mi
faceva perdere un battito.
«Isa, hai pianto?»
Scossi il capo, negando l'ovvio. «No. no. Mi è
finito qualcosa nell'occhio.»
Corrugò la fronte, poggiando sul tavolo il cibo.
«Sappi che non ci casco. I tuoi occhi sembrano due pomodori.
Quindi, hai pianto. Per quale motivo?»
Sospirai, per poi sedermi accanto a lei. «Ero in video
chiamata con il mio ragazzo... E con lui c'era la figlia...»
«Non mi avevi detto che eri fidanzata.»
Alzai le spalle. «Perchè in realtà non
lo siamo, insomma... E' tutto un po' complicato, ecco.»
«Oh. E quindi lui ancora non ti ha chiesto nulla, a
riguardo?»
«Angela», borbottai, trangugiando una fetta di
pizza. «Non abbiamo quindici anni. Siamo adulti, e entrambi
abbiamo avuto precedenti relazioni. Sto solo aspettando il momento
giusto, tutto qui.»
Finimmo la cena in silenzio, solo con il brusio della televisione di
sottofondo. Nessuna di noi due riprovò ad allacciare il
discorso, io in particolare per non cominciare a singhiozzare pensando
a Ed e alle bambine.
Feci per stendermi sul letto a leggere un po', ma Angela
attirò la mia attenzione, tossendo. «Bella,
stasera c'è un'uscita fra i ragazzi del campus e del nostro
indirizzo. Ti va di venire? Magari ti svaghi un po'.»
«Certo.» Annuii. Dopotutto conoscere nuove persone
non mi avrebbe fatto male, tutt'altro. Edward mi aveva detto le stesse,
identiche parole, quindi sarebbe stato felice, probabilmente.
«Perfetto. Ci aspettano alle nove nel cortile. Vedrai, ti
divertirai da morire.»
Chissà perchè avevo lo strano presentimento che
sarebbe stato perfettamente il contrario.
Cosa avevo detto?
Ah, già: non mi sarei divertita. E ovviamente avevo
azzeccato, ancora una volta, rendendo così reali i miei
pensieri.
Avrei preferito essere in un letto, a Londra, fra le braccia del mio
quasi ragazzo, anziché lì, fra tutte quelle
persone a me sconosciute.
Angela me le aveva presentate, ma io avevo scordato i nomi pochi
secondi dopo che me li disse. Cosa altrettanto ovvia, data la mia
sbadataggine.
La
prossima volta non darò più ascolto ai tuoi
consigli. B.
Sbuffai, continuando ad ascoltare i discorsi dei presenti. C'era una
puzza di fumo onnipresente, che mi bruciava i polmoni e mi ricordava
lui.
Voglio scappare, andarmene, fuggire da qui. Tornare a Londra, da Ed, da
lui.
Avrei dovuto supplicare Edward di smettere di fumare, perché
tutto quello mi faceva tornare in mente il passato, i ricordi terribili.
Perchè?
Che è successo, adesso? E.
Cosa stava succedendo? Avrei voluto fargli un video e inviarglielo per
SMS, magari avrebbe capito come mi stavo divertendo.
Sì, divertendo un corno, proprio.
Mi
sto annoiando e qui scorrono fiumi di alcool manco fossimo in un bar
nell'happy hour. Mi
manchi, voglio tornare da te. B.
Avrebbe capito, adesso?
Sperai di sì, e l'ennesima zaffata di quell'odioso odore mi
penetrò nello stomaco, in tutto il corpo.
Dio, stavo per vomitare.
«Bella, che indirizzo fai?»
Mi schiarii la voce. «Legge, Psicologia e Lingue...»
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, incredulo.
«Caspita... Dicono che sia una delle formazioni
più difficili ma altolocate che ci siano qui a
Oxford.»
«Sì, esatto.»
Tutti quei ragazzi dovevano venire da famiglie benestanti,
perchè sapevo benissimo i costi di
quell'univeristà...
Tredicimila sterline all'anno, senza contare vitto e alloggio.
Un patrimonio, e io avevo avuto una fortuna immane a capitare
lì. Tutto grazie a una borsa di studio.
Anche se avevo sentito da alcune fonti che Oxford non donava sostegni
agli studenti... E perchè a me sì? Cosa avevo di
diverso?
Niente, ero una semplicissima ragazza come tutti gli altri, uscita con
il voto massimo dal liceo – anche quello fu un gran colpo di
fortuna.
«Ragazzi, Bella è una nuova arrivata, quindi
perchè non darle un dignitoso benvenuto?»
Mi sporsero un bicchiere colmo di vino rosso e mi costrinsero a berlo.
Perfetto, cominciavo a vedere le stelle.
«Ehi, Jacob, come va con Liz?», fece Angela,
scolando tutto il nettare. Solo a vederla inghiottire tutta quella roba
mi saliva la nausea.
Un ragazzo dalla pelle ambrata si sporse verso la luce, sedendosi sul
bracciolo del divanetto. «Va a gonfie vele! Sul
serio!»
I suoi occhi mi sembravano così familiari, anche i
lineamenti del viso mi pareva di averli già visti...
«Come si chiama di cognome Jacob?», mormorai a
Angy. Lei tossì, e mi rispose sottovoce. «Black,
se non erro.»
Jacob... Black.
Il mio cervello cominciò a lavorare senza sosta e potevo
sentire gli ingranaggi entrare in moto.
Oh, Dio. Era davvero quel Jacob Black? Quel ragazzino così
solare e dalla pelle scura con cui avevo trascorso la mia infanzia?
Lasciai che il caos continuasse, e io mi allontanai un po' dalla
marmaglia. Avevo bisogno di aria pulita e soprattutto respirabile.
Amore,
stai tranquilla. Ancora diciotto ore e sarai da noi. E.
La sua risposta fu il colpo finale. Diciotto ore, tremendamente troppe.
Troppe da sostenere, troppe che il mio cuore potesse sopportare.
Alzai la cornetta, dopo aver composto il numero di Edward, e lasciai
che suonasse.
Mi avrebbe richiamata lui, come faceva tutte le volte.
Infatti...
«Ehi.»
«Ehi...»
«Che
è successo?»
«Voglio tornare a Londra. Adesso, seduta stante.»
Sbuffò, dall'altro capo del telefono. «Non dire cazzate. Sono sicuro
che ti stai divertendo, in fondo.»
«Divertendo? Se questo è un modo, per te, di
divertirsi, ti stai sbagliando di grosso!» La mia voce
uscì più acida e stridula di quanto avrei voluto,
e sperai che non mi mandasse a quel paese.
«Ora
ascoltami: torna di là e prova a fare meno l'asociale.»
Mi stava prendendo per il culo? Io, introversa? Ma quando mai?!
«Da quando sarei un'asociale, io?!», borbottai,
pensando di chiudere la comunicazione.
«Insomma, non
sembra che tu stia cercando di legare, stasera...»
«Non prendiamoci in giro, Edward!» Non sapevo
più che dirgli, dato il mio nervosismo. «Se vuoi
torno in quella stanza, ma sappi che domani faremo i conti.»
Sospirò, di nuovo. «Avanti, non fare
così. Non diventare una bambina capricciosa.»
«Ah! Quindi io sarei una bambina capricciosa?!»
Dio, riusciva a farmi uscire di testa in pochi secondi, e nel lato
negativo del termine, per giunta. E in quel momento mi aveva davvero
stufato. «Va bene! Allora ti lascio stare, dato che volevo
solo sentire la persona più importante della mia vita!
Grazie, davvero, Edward. Ci vediamo domani. Ciao.»
Attaccai furiosa la cornetta. Merda, mi era anche venuto mal di testa.
Al diavolo lui e i suoi discorsi del cazzo.
Il mio cellulare iniziò a vibrare forsennatamente. Se
pensava sul serio che potessi rispondergli dopo quei pensieri, poteva
anche andare a dormire, perchè non avrei mosso un dito.
«Tutto bene?»
Sobbalzai a quella voce, e mi voltai. Jacob era davanti a me, con un
accendino e un pacchetto di sigarette in mano.
«Sì, è tutto a posto, grazie.»
Si accese una sigaretta, continuando a fissarmi. Il suo sguardo mi
infiammò le guance e dovetti voltarmi.
«Sai... Tu assomigli tanto a una persona che
conosco.» borbottò, affacciandosi sul ponticello,
assumendo la mia stessa posizione.
Osservai l'acqua dello stagno, ghiacciata e ferma. Il prato era spoglio
e le fronde degli alberi scricchiolavano scosse dal vento.
«Sul serio?»
«Sì. Non la vedo da tanti anni, però
sono sicuro che avete qualche cosa in comune.»
Tutto si fece più chiaro, cristallino. «Ti va di
parlarmene?»
Lui annuì, espirando tutto il fumo, che formò
piccoli cerchi avvolti nella nebbia notturna. «Ci eravamo
conosciuti all'asilo, in Scozia. Avevamo legato da subito, era la mia
migliore amica. Frequentammo le scuole assieme, ma lei a sedici anni fu
costretta a trasferirsi in Spagna. Mi manca da morire. Fu come se una
parte di me se fosse andata, lasciandomi incompleto.»
Il fiato mi manco nei polmoni e le mie convinzioni si fecero reali.
«Come si chiamava di cognome?»
«Swan.» La sua voce divenne un sussurro appena
percettibile, e io mi irrigidii. Okay, perfetto.
Era davvero lui...
«Che c'è?»
«Sei... Sei tu, Jake?» Il mio cervello
andò in stand-by, e la mia lingua si mosse da sola.
«Sei... Jacke il pirata?»
Strabuzzò gli occhi, indeciso sul da farsi.
«Bells?»
Le lacrime salirono agli occhi e ruppero gli argini. Lo strinsi fra le
braccia e lui mi sollevo. Quanto mi era mancato, quanto?
«Dio, non ci posso credere! Sei davvero tu!»,
singhiozzai e asciugò le lacrime, sistemandomi i capelli.
«Dove sei stata, per tutti questi anni? Non sei cambiata per
niente!»
Abbozzai un timido sorriso, ricontrollando i ricordi. «Da
troppe parti. Ho il cervello in subbuglio. Ma ora sono qui, a Londra.
Speriamo per un bel po'. E tu che ci fai, a Oxford? Non ricordo che
andassi così bene al liceo!»
Mi pizzicò il fianco, proprio come era solito fare da
adolescente. «Tieni a freno la tua linguaccia. Alla fine non
ero un ribelle, lo sai anche tu. Sono uscito con dei buoni voti, poi ho
conosciuto Liz e l'ho seguita qui.»
«Il solito romanticone da strapazzo.», scherzai e
lui rise. Mi era mancato anche quello: il suo sorriso, le sue risate
nel cuore della notte in campeggio in tenda nelle vacanze estive.
Rimanemmo qualche secondo a sorriderci a vicenda, fino a che lui
alzò il dito, come se nel suo cervello si fosse accesa una
lampadina.
«Canti ancora, qualche volta? Avevi una bellissima voce,
ricordo che amavi questo tuo talento.»
Sospirai, girando una mano come a sminuire la cosa. «Ho quasi
abbandonato del tutto la musica perchè il ballo mi ha presa
totalmente. Ho anche aperto una scuola di danza con delle mie ex
compagne di istituto, sempre a Londra.»
«Che figo!», esclamò, dandomi una pacca
sulla spalla. «Però ogni tanto canti qualcosa?
Anche solo per hobby?»
«Sì, capita. La mia doccia conosce bene tutte i
miei acuti.»
Ridemmo insieme, come ai vecchi tempi, quelli che avevo amato, quelli
che avevano preceduto il periodo nero.
«Perfetto! Allora vieni, ti faccio sentire dagli altri, ne
sarebbero entusiasti!»
Mi strattonò per il braccio senza darmi il tempo di
controbattere che fummo di nuovo nella stanza di prima, lui che si
schiariva la voce e annunciava ai ragazzi di questo mio desiderio.
O meglio: quella costrizione.
«Che ti va di cantare?»
Sbuffai. «Se ce l'hai, Rolling in the deep.»
I suoi occhi si illuminarono, mentre i miei cercavano di schivare tutti
quegli sguardi curiosi.
Le note si propagarono nell'aria tesa, e io avrei voluto solo
scomparire.
Eppure, presi coraggio e iniziai a cantare le prime parole, e a mio
malgrado furono tutte giuste e perfettamente intonate.
Tutti mi osservavano, le ragazze schioccavano le dita a tempo con la
musica e i ragazzi mi fissavano allibiti.
Terminata la canzone, mi aggrappai le braccia di Jake, che diede inizio
al coro di applausi.
«Sei stata grandiosa! Hai una voce stupenda!»
Sorrisi, impacciata, a tutti i complimenti che mi furono porsi, fino a
che un Erik non fece segno di abbassare i toni.
«Ehi, Bella, senti: noi stiamo cercando una cantante per la
nostra band, ti andrebbe di farne parte? Se non ti va, puoi anche dire
di no, non ci offendiamo.»
Strabuzzai gli occhi, incredula. Era stato il sogno della mia
adolescenza poter prendere parte a un gruppo, ma non ebbi speranze.
Ora, mi si stava riproponendo la stessa occasione, e non potei
lasciarmela sfuggire. «Certamente! Ne sarei felicissima!
Basta mettersi d'accordo bene sulle date, e io ci
sarò.»
Erik mi circondò le spalle con il braccio, proclamandomi
nuova cantante degli Skulls.
EDWARD.
Riprovai ancora una volta a fare il numero di Bella, che
però non rispose.
Cazzo, erano dodici ore che non la sentivo, e cominciava a salirmi
l'ansia. Dopo la nostra litigata, la sera prima, non mi aveva
più risposto al cellulare.
E la situazione non era tanto cambiata, nelle ultime ore.
Le inviai un messaggio, aspettando una sua risposta. Nulla, niente di
niente.
Ero stato solo un coglione, e ora lei forse si era anche offesa
perché l'avevo chiamata in quel modo. Proprio come succedeva
a me quando mi chiamava “faccia da schiaffi”.
«Papà, tutto bene?»
Meredith mi tirò la manica della giacca, attirando la mia
attenzione. Le accarezzai i capelli, prendendola in braccio.
Eravamo nei corridoi della sua scuola perchè era il
“Daddy Day”, e tutti i padri erano stati chiamati
per prendere parte a quella giornata, giusto per fare qualche lavoretto
e passare del tempo con i propri figli.
Viola era nel passeggino, accanto a noi, che mordicchiava il sonaglio.
«Ehi, Mary, sai che giorno è oggi?»
La bambina mi guardò di sottecchi, curiosa. «Il
“Daddy Day”?»
Scossi il capo, sorridendo. «Anche, ma anche?»
Ci rifletté su, senza però trovare una risposta.
«Un aiutino?»
«Che data è?»
«E' il due febbraio duemiladodici, e sono le dieci del
mattino, perchè?»
Alzai gli occhi al cielo. «Il numero due non ti dice
nulla?»
Aprì la bocca a “O”, per poi scendere
dalle mie braccia e prendere fra le sue la piccola Viola, ovviamente
con il mio aiuto.
«Oggi è il complemese di Violy!»
Risi della sua reazione, e cominciò a baciare le guance
della sorellina. «Sono cinque mesi. Auguri,
scricciolo.»
Cinque mesi... Cinque mesi che la mia seconda stella era con noi ma
quasi cinque mesi che Tanya se n'era andata.
Scacciai via quel pensiero, guardando le mie figlie. Erano due gemme
preziose, tutta la mia vita, tutte le mie ragioni di esistere erano
racchiuse in loro.
La voce della maestra di Mary ci richiamò. Misi Viola nel
marsupio e presi la manina di Meredith, che saltellò
entusiasta.
«Ti voglio bene, papà! Grazie per essere
qui!»
Era stata, tutto sommato, una bella mattinata. Avevo visto Mary ridere
e divertisti assieme alle sue compagne, e soprattutto insieme a me.
Dopo tanto tempo, la vedevo sorridere di gusto, proprio come avrebbe
dovuto sempre fare, come tutte le bambine della sua età.
Ora si stava buttando letteralmente a capofitto sul suo piatto di
lasagne.
«Amore, racconta alla nonna cosa abbiamo fatto
oggi.»
Mia madre le raccolse la lunga chioma in un elastico,
cosicché non finisse nel sugo, e poi le diede un buffetto
sulla guancia piena.
Meredith le sorrise. «Abbiamo fatto dei disegni insieme, con
la signorina Flach, e poi siamo andati nel laboratorio di musica, dove
papà ha fatto sentire...»
«Ingoia il boccone, tesoro.», la rimproverai, e lei
si scusò, per poi riprendere da dove aveva interrotto.
«Dove papà ha fatto sentire quanto è
bravo a suonare il pianoforte! Glielo ha insegnato il nonno,
vero?»
Esme annuì, così tremendamente rapita dalla sua
nipotina. «E poi abbiamo fatto altri disegni e un laboratorio
di falegnameria, dove abbiamo costruito un giochino per Viola! Poi
quando andiamo a casa te lo faccio vedere, okay?»
Risi delle sue espressioni convinte. Era capace di rubarmi il cuore in
ogni suo singolo gesto. La mia principessa, che ogni giorno diventava
grande e io volevo tenerla stretta a me e non lasciarla fuggire.
Il mio cellulare, deposto sul tavolo, vibrò e sul display
comparve il suo nome.
«Scusatemi un attimo.»
Mi allontanai il giusto indispensabile, per poi alzare il ricevitore.
«Se non fosse perchè ti ho chiamata dieci volte in
tutta la mattinata, mentre ero a scuola con Mary, e tu non mi hai
degnato neanche di un segno di vita, non ti saluterei neanche e ti
manderei a quel paese. Ma dato che tu per me sei importante, voglio
solo dirti che mi manchi da morire.»
Dall'altra parte lei non mi rispose, ma riuscivo comunque a sentire il
suo respiro affannato, pesante.
«Bella? Ti prego, dimmi qualcosa.», la implorai,
sbottonandomi i polsini della camicia. Cominciavo ad avere caldo, e lei
che si comportava così non mi dava un grande aiuto.
«Edward...»
Il suo tono era freddo, duro, distaccato.
Merda, l'avevo davvero fatta grossa.
«Dio, Bella. So di essere stato un coglione, e voglio
scusarmi per ieri sera. Non... non volevo dirti quelle parole, non le
penso affatto. Sei stupenda, non so che farei. Ti prego, perdonami, non
era mia intenzione.»
Lei sbuffò, e potei immaginarla tamburellare le dita sul
tavolo. «Ti
perdono, ma solo perchè sei tu.»
Sospirai, felice. «Davvero, grazie. Non puoi immaginare come
mi sia sentito...»
«Shhh... E'
tutto a posto adesso. Stai tranquillo, va tutto bene. Scusami tu se non
ti ho più risposto, ma dopo quella... litigata ero troppo
furiosa e ti avrei solo insultato. E poi quando sono arrivata in camera
ieri sera, a mezzanotte, ho spento solo il telefono e sono crollata. E
ho finito all'università.»
«Ah... Ora però è tutto passato,
no?»
Lei rise, come una bambina. «Certo che sì,
sciocchino. Ah, a proposito, devo raccontarti tante cose quando
tornerò a casa.»
«E io le ascolterò tutte.»
La sentii sorridere contro il cellulare. «Bravo. E c'è anche
un'altra cosa.»
«Che cosa?»
«Ti conviene
andare alla stazione al più presto possibile,
perchè sono quasi arrivata.»
«Co.. Cosa?!», domandai, incredulo. Come poteva...
«Com'è possibile?»
«Ti
spiegherò tutto appena arrivo. Ora sbrigati, manca mezz'ora.
Non vedo l'ora di abbracciarti.»
«Sì, anche io. A dopo.»
Chiusi la conversazione in fretta e furia e tornai al tavolo, prendendo
la mia giacca e sporgendo a mia madre il costo del pranzo.
«Dove vai?», mi chiesero Esme e Mary, aggrottando
la fronte.
«Ci vediamo a casa. Sta arrivando Bella, a dopo.»
Detto quello, uscii dal ristorante e misi in moto l'auto, mentre il mio
cuore prese a battere così velocemente che pensai mi sarebbe
uscito dal petto.
BELLA.
Aria di Londra. Pioggia, la mia amata pioggia. Anche se pure a Oxford
il tempo non era stato clemente.
Presi la mia valigia, con un sorriso ebete in faccia, e inspirando
l'odore di umido che era entrato nel vagone.
Stavo per rivederlo, finalmente. Sarei presto stata di nuovo fra le sue
braccia, il mio rifugio, il mio posto.
Scesi dal treno, guardandomi intorno. Non lo vedevo, ma sapevo bene che
era nei paraggi. Lo sentivo, percepivo il suo profumo tra tutte quelle
persone.
Mi incamminai verso la piccola ala d'attesa, cercandolo. Ed era
lì: le mani in tasca, la testa che si fissava le scarpe, i
capelli arruffati.
Gli corsi incontro, e quando fui a poca distanza gli feci squillare il
cellulare e mi voltai.
«Dove sei?»,
domandò, alzando lo sguardo e osservandosi intorno.
«Prova a guardare davanti a te.»
Fece come gli avevi riferito, e quando mi vide sorrise soltanto, e i
suoi occhi divennero lucidi.
Affondai il viso nel suo petto, stringendolo a me.
Ero fra le sue braccia, di nuovo. Il suo odore mi inondò i
polmoni, le mie dita si intrufolarono fra i suoi capelli, morbidi come
il velluto.
«Sono finalmente a casa.», mormorai, guardandolo
negli occhi. E solo in quell'istante capii quanto fossero importanti
quelle parole.
A casa. Ero a casa, in un luogo che mi apparteneva e in cui ero amata.
«Sei qui, sei qui.»
Appoggiai le labbra alle sue, mentre le nostre lacrime si mischiarono.
«Sono con te, sono qui.»
«Amore mio...»
Ecco cosa era per me: il mio rifugio felice, il mio posto segreto. La
mia casa.
Ero nel mio paradiso, finalmente felice e tranquilla.
____________________ CAPITOLO
BETATO.
Holaaaaaa :D
Rieccomi qui, nonostante gli impegni, ma sono qui, con voi! u.u
Sono, o non sono brava? eeeeeh, dai!
Anyway, eccovi un capitolo di passaggio lungo come la Quaresima .-. Non
è colpa mia, davvero! E' che quando scrivo di loro mi lascio
prendere la mano...
Non è normale ç_ç
Ringrazio Aniasolary per il betaggio improvvisato ♥
Ringrazio le 192 persone che hanno inserito AITC nei
seguiti, le 63 nelle preferite e le 16 per le
ricordate <3
E poi le 40 anime pie che mi hanno inserito fra gli autori preferiti
<3
E poi grazie a Simo, Bià, Marti, Ania, Frà,
Ilaria, Moni, Chuck, Sanya, Aurora, Giuls e a tutte le altre <3
Vi voglio un mondo di bene <3
Sappiate che be'... avrete mie notizie molto presto u.u Quindi Stay
Tuned :3
Ah, tanto che ci sono mi autopubblicizzo AHAHHAAH XD Originale
RomanticaAnime
Infrante (Twilight)
Se ci fate un salto fatemelo sapere :3
E qui i miei contatti: Profilo FBGruppo
FB
Rimanete collegate, mi raccomando u.u Ci sentiamo la PROSSIMA SETTIMANA *-*. E fatemi sapere se il capitolo vi
è piaciuto o meno, mi farebbe molto piacere ricevere le
vostre solite e dolcissime recensioni :')
Un bacio <3
«Tira fuori la lingua e di'
“ah”.»
Stavo accanto al lettino, dove era seduta Meredith, che veniva
scrupolosamente visitata dal medico.
Ormai era una settimana che la notte non si dormiva più, e
che Mary stava male, con febbre alta e nausee continue.
E ci era venuta la fantastica idea di portarla dal pediatra dopo ben
sette giorni di pura agonia e sofferenza per quella povera bimba, che
aveva fatto non pochi capricci alla notizia di una visitina dal
dottore…
Ma alla fine, tutta la paura e l'agitazione della bambina erano svanite
quando il pediatra le aveva dato una caramella... Che le avesse letto
nel pensiero?
L'aveva fatta accomodare sul lettino nero, e aveva appena iniziato la
sua ispezione quando mi fissò per un lungo, interminabile
secondo.
«Lei è...?»
Arrossii di colpo, torturandomi le unghie. «Ehm...»
«Lei è la fidanzata di papà,
James!» Grazie, piccolina...
«Oh...», mormorò, tremendamente a
disagio, proprio come me. «Non sapevo che Edward...»
«Non... è niente di ufficiale. Ci conosciamo da
poco tempo, tutto qui.»
«Capisco.», disse. Fece alzare la felpa a Mary e le
posò lo stetoscopio sulla schiena, procurando un sussulto
della bambina.
«Ora respira, Mary.»
Manteneva una calma impressionante e dovetti reprimere l'impulso di
chiedergli cosa potesse avere la... mia bambina.
Perchè cominciavo a sentirla così, o quasi. Forse
ero io che andavo troppo veloce e quindi stavo perdendo il controllo
della situazione, ma il mio cuore si stringeva tutte le volte che
Meredith tornava a casa da scuola o mi rivolgeva un sorriso.
«E' tutto a posto a livello bronchiale.»
Trattenni un sospiro di sollievo ma il suo sguardo si incupì
quando notò qualcosa di diverso.
«Che succede?», domandai allarmata. I miei nervi
erano ormai a fior di pelle e la mia voce uscì
più stridula di quello che realmente pensavo.
«Ha delle bolle, qui, sulla schiena.»,
borbottò, lo sguardo era corrucciato. «Mary,
tesoro, ne hai altre?»
La bambina annuì, scoprendo la manica. Sul suo braccio, le
stesse macchioline di un'ora prima.
«Okay. Grazie, piccola.»
Mary saltellò giù dal materasso, per poi
avvicinarsi a me. «Bella, puoi venire un attimo alla
scrivania?»
Acconsentii e quando mi sedetti, appoggiai Meredith sulle mie
ginocchia, stringendola a me. «Hai ancora mal di
testa?»
«Sì...»
Le carezzai i capelli, cullandola per qualche minuto, fino a che non si
calmò e non socchiuse gli occhi.
«Bene, vorrei solo farti qualche domanda.»
Lasciai che continuasse, mentre il respiro di Mary si
affievolì sul mio petto. «Ha avuto mal di testa,
febbre molto alta, vomito o altro?»
«Sì, ha la febbre ormai da quattro
giorni...»
Annuì varie volte con il capo, scrivendo tutto su un
foglietto. «Date le bolle sul braccio, potrei dire
chiaramente che si tratta di varicella. Qui trova tutto ciò
che è meglio fare in questo caso.»
Lo ringraziai e feci alzare Meredith, che protestò
vivacemente, aggrappandosi alle mie braccia mentre le infilavo il
capotto.
«Ehi, Mary.» James attirò la sua
attenzione, chinandosi all'altezza del suo viso. «La vuoi una
caramella?»
Gli occhi della bambina si illuminarono, ma io lo fermai.
«Però devi fare la brava bambina.»
«Va bene. Ora posso avere il dolcetto?»
Risi e lasciai che il dottore le sporgesse un lecca lecca, prima di
aprirci la porta e augurarle una buona guarigione.
Il peso nel cuore sparì appena salimmo in macchina, quando
Meredith iniziò a canticchiare una canzoncina. Stava meglio,
ora che aveva capito che cosa aveva. Ovvio, la varicella era una
malattia che prendevano tutti i bambini, ma sapere che stava male mi
procurava ansia.
Come quando io avevo gli incubi, e Edward mi stringeva nel cuore della
notte, sussurrandomi che andava tutto bene, che era con me.
La stessa cosa succedeva con Mary. Abbracciarla mi rendeva felice,
serena. Sapere che si sentiva bene era tutto ciò che
più desideravo.
«Mettiamo la musica?»
Aggrottai la fronte, osservandola dallo specchietto. «Ma non
avevi mal di testa?»
Scosse il capo, con quel sorrisino in viso. «No! Mi
è passato! La mettiamo, per favoooore?»
Risi e aspettai il semaforo rosso per porgerle il porta CD.
«Decidi tu, a me piacciono tutti.»
Scorse le dita fra gli scomparti per poi porgermi un disco.
«Questo!»
Lessi velocemente il nome riportato, facendo attenzione alla strada.
«Adele?»
«Sì! È la cantante preferita di
papà, sai? La ascolta sempre!»
Ecco un nuovo tratto a me ancora nascosto di Edward...
Azionai il lettore musicale e cliccai play, saltando qualche traccia.
Era un'altra cosa in comune che avevo con quell'uomo: la musica. Sapevo
che Ed amava suonare, ma non pensavo ascoltasse anche quel genere di
canzoni.
«Lascio questa?»
Mary gioì e quando la voce della ragazza iniziò a
cantare, lei la seguì. Aveva una voce bellissima,
così melodica che fu un piacere ascoltarla. Si dondolava nel
seggiolino, battendo le mani a tempo, e non potei trattenere una risata
quando ad un certo punto tossicchiò perché la
musica aveva raggiunto un livello troppo alto perché lei
potesse cantare.
Parcheggiai davanti a casa, spegnendo la radio e estraendo il
cd. Mary intanto si era già slegata la cintura ed ero in
procinto di aprirle la portiera, se non fosse stato per la vibrazione
incessante del mio cellulare.
«Che succede, Bella? », domandò la
bambina, vedendo il mio sguardo interrogativo. «Va tutto
bene, tranquilla. Perchè non cominci ad entrare, che io ti
raggiungo?»
Pronunciai quelle parole con poca attenzione, intenta ad accedere ai
messaggi. Era un numero sconosciuto, e ovviamente non faceva parte
della mia rubrica.
Ciao,
Isabella. Che ne dici per un tè alle cinque, in qualche bar? Lascio
decidere a te. Christian.
«Oh, merda.», mormorai, completamente
dimenticandomi che avevo di fianco a me una bambina di sei anni.
«Mary, tesoro, andiamo.»
Lei annuì e spalancò la porta. «Sicura
che è tutto a posto?»
Annuii indifferente, carezzandole i capelli, e mi accorsi che le mani
mi tremavano vivacemente. Possibile che non potessi avere un attimo di
pace?
«Su, andiamo da papà.» Abbozzai un
sorriso, nel tentativo di tranquillizzarla e ci dirigemmo nel salotto,
dove Edward chiacchierava con i suoi genitori.
«Papà!» Mary gli corse incontro, per poi
finire fra le braccia di suo padre, che interruppe il discorso per
sollevarla.
Rivolsi un sorriso a Carlisle, seduto sul divano, e lui fece lo stesso.
«Ciao, Bella.»
Esme si avvicinò, avvolgendomi in un caloroso abbraccio da
cui difficilmente riuscii a slegarmi. Tutti mi volevano un bene
dell'anima, e io non capivo il perché... Insomma, ero una
normale ragazza di ventidue anni, non avevo fatto niente di
così straordinario.
«Che vi ha detto il pediatra?», domandò
ansioso Ed, sedendosi con Meredith sulle ginocchia. La bambina
abbassò il capo, arricciando una ciocca di capelli
sull'indice. «Ho la varicella... Ma guarirò,
vero?»
Si rivolse a Carlisle, che a quanto mi aveva detto Edward, aveva
studiato medicina e lavorava da parecchi anni in ospedale.
«Certo, pulcino. È una malattia che prendono tutti
i bambini, non ti devi preoccupare. Una, o due settimane e
andrà via, e potrai tornare a scuola.»
Subito il corpo di Meredith si rilassò, e lei si
accomodò accanto al nonno che la strinse a sé.
Continuai a fissare Edward, e quando il suo sguardo incontrò
il mio, potei capire dalla sua espressione la domanda che mi stava
facendo.
Mimai con le labbra “Puoi venire un attimo di
là?” e lui annuì, congedandosi dal
discorso.
Mi spostai nella cucina, lontano dalle orecchie dei suoi parenti, e non
accesi neanche la luce, lasciando così la camera nella
leggera penombra.
«Bella, tutto a posto?»
Le sue braccia mi strinsero da dietro, ma io le scacciai, tremando. Le
lacrime furono sull'orlo, pronte a sgorgare, e ricacciarle indietro
sembrava un'azione troppo complicata.
«Che hai?» La sua voce si tramutò in una
vibrazione unica, e mi prese il viso tra le mani. Gesticolai
confusamente, mordendomi il labbro, e cominciai a piangere
dirottamente. L'unico modo per zittire i singhiozzi fu di affondare il
volto nella camicia di Edward, che rimase spiazzato.
«Sh...», mormorò fra i miei capelli, le
sue mani mi accarezzavano la schiena. «Tranquilla, va tutto
bene.»
Aspettò che mi calmai, per chiedermi cosa stesse succedendo.
«E' Christian. Mi ha inviato un messaggio.»
Il suo sguardo si incupì. «Fammelo
leggere.»
Gli sporsi il cellulare, aspettando una sua risposta, che ovviamente fu
ben poco... calma e seria.
«Io quello... Lo strangolo! Dio, non può lasciarti
in pace? Adesso che stai meglio... Spero di non trovarmelo mai
davanti.»
Le mie dita gli sfiorarono il profilo della mascella. «Tanto
ho deciso che non voglio avere più niente a che fare con
lui, davvero. Farò finta di niente.»
Annuì mesto, poco convinto delle mie parole, ma la rabbia
che aveva in petto era troppa per riuscire a farlo ragionare.
«Torniamo dagli altri, si chiederanno che fine abbiamo
fatto.», mormorai, asciugandomi le guance con le maniche del
maglioncino. Gli presi la mano e ci dirigemmo nel salotto, dove
Carlisle era sparito e Meredith fissava fuori dalla finestra.
«Amore, dov'è finito il nonno?»
La bambina fece finta di nulla, scrollando le spalle, ma notai che
stava ridendo sotto i baffi. «Non lo so! Ha detto che andava
un attimo sul balcone e poi tornava!»
Guardai confusa Edward, e il suo sguardo era lo specchio del mio.
Teneva le sopracciglia corrugate, girando il capo per vedersi intorno,
ma di suo padre nemmeno l'ombra.
Ad un certo punto, suonarono il campanello, e Mary schizzò
verso il corridoio, e Viola iniziò a piangere.
«Io prendo Viola, tu vai a vedere che succede.»,
dissi a Edward, ma sua figlia sgranò gli occhi per poi
urlare: «NO!» e il suo volto prese fuoco.
«No, vado io. Tu, papà, stai qui.»
Ed fece spallucce, e io mi diressi nella camera accanto, dove Viola
strillava e voleva essere presa in braccio.
L'adagiai sul mio petto e subito si zittì, facendomi un
sorrisino ancora sdentato. Quanto poteva essere dolce?
Quando svoltai l'uscio, mi accorsi che Meredith chiamava a gran voce
suo padre, che mi fissò altrettanto perplesso.
«Dai, papà, corri!», gridò
ancora Mary, però questa volta si affacciò e ci
fece segno di seguirla. Obbedimmo, e quando arrivammo davanti alla
porta, ancora chiuso, la scrutammo interrogativi.
«Posso aprire?», domandò a qualcuno
lì fuori, che le rispose di sì, e la sorpresa fu
enorme quando ci ritrovammo Carlisle davanti.
«Che cosa…?»
Si scansò, e due uomini in divisa ci sorrisero, prendendo di
peso un oggetto alquanto grosso, coperto da un telo bianco e imbottito
di polistirolo.
«Dove lo posiamo?» Carlisle indicò lo
spiazzo libero in salotto accanto al divano. Ci fu un tonfo quando
posarono sul pavimento la cosa a noi ancora sconosciuta.
«Si può sapere
cos’è?»
Meredith posò le manine sulla bocca, per trattenere una
risata, e Carlisle tolse il telo, facendoci rimanere con un palmo di
naso.
«Un…»
«Pianoforte.», concluse Edward per me. Intravidi
una piccola lacrima segnare la sua guancia, e come un bambino di fronte
a un regalo inaspettato – e in realtà era proprio
così, Ed si buttò a capofitto verso suo padre,
che lo abbracciò ridendo.
«Il mio ometto che si commuove.»,
commentò, dando una pacca sulla schiena del figlio.
«Oddio, papà, è fantastico!»
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto.»
Anche Carlisle si era emozionato, e a stento riusciva a trattenere la
gioia.
«Tu sai suonare il pianoforte, Bella?», mi chiese
Meredith, esaminando i tasti bianchi e neri alternati della tastiera.
«Ehm… A dire il vero ho preso qualche lezione alle
medie, ma nulla di che…», sussurrai e cercai in
tutti i modi di scemare quella rivelazione. Erano passati quasi dieci
anni ma ancora qualcosa mi ricordavo.
La bambina batté felice le mani, saltando sul posto.
«Allora ti insegnerà papà! Lo farai,
vero?»
Si girò verso suo padre, che le sorrise per poi
scompigliarle i capelli. «Se Bella vorrà, tesoro,
certo che sì.»
Intanto Carlisle ci aveva salutato, lasciandoci da soli. Avevo
appoggiato il capo sulla spalla di Edward, che mi stringeva il fianco.
Viola, fra le mie braccia, si divertiva a giocare con la mia collanina.
«Sono sicura che sarai un ottimo maestro.»,
mormorai sul collo di Ed, che mi baciò la fronte.
«Vedremo, Miss Swan, vedremo.»
«Bella, è tutto okay?»
Vediamo, quante volte mi era stata porta quella domanda, in tutta la
giornata?
Tante, troppe, innumerevoli e infinite volte.
Alzai gli occhi al cielo, esasperata. «Alice, davvero, sto
bene. Non preoccuparti.»
«Mi preoccupo perché sei strana. Che ti succede?
È per via di Edward? Guarda, se è colpa sua,
basta dirle le cose, che…»
Mi misi a ridere, scuotendo il capo. Ovvio, se c’era qualcosa
che non andava era per via di suo fratello. Anche se, in
realtà, proprio lui mi faceva sentire meglio, dimenticando
Christian e tutti i miei errori.
«Tuo fratello è fantastico, sul serio.
Perché dovrebbe fare qualcosa?»
Scrollò le spalle, indifferente. «Non lo so.
Però oggi… Non ne ho idea, hai lo sguardo
diverso, non so se capisci.»
«Infatti non ho capito.», dissi, aggrottando le
sopracciglia. «Se riuscissi a spiegare il tuo concetto,
sarebbe più semplice.»
Sbuffò. «Va bene. Ultimamente vedo nei tuoi occhi
una luce differente, soprattutto quando Edward ti sta vicino, o ti
abbraccia, o anche solo ti sfiora. Anche se, ammetto, che quando ti
tocca tu diventi tutta rossa. Però sei diversa, con
lui.»
Abbassai il capo, sorridendo imbarazzata. Alice arrivava sempre a
comprendere se qualcosa, in me, stava cambiando.
«E’ che… Non lo so, Al. Dio, con lui mi
sento completa, come se quella parte del mio passato con Christian
fosse svanita, o almeno lasciata in disparte, se
c’è lui accanto a me. E’ davvero
difficile da spiegare.»
La mia migliore amica emise un versetto di gioia per poi abbracciarmi,
facendo cadere i festoni che stavamo attaccando ai muri.
«Oh, la mia Bella!», mormorò fra i miei
capelli, cullandomi. «La mia Bellina innamorata!»
Ovvio, era una novità, per lei, vedermi perdere la testa per
qualcuno. Ma ormai era già un mese abbondante, anzi quasi
due, che mi ero accorta di provare qualcosa di più di una
cotta per Edward. Quindi, perché dirmelo solo ora?
«Tra parentesi: dove si è cacciato mio fratello,
dato che ti ha fatto venire qui da sola?»
«E’ andato a portare Meredith e Viola da Esme, e
poi doveva fare una commissione, però mi ha detto che per le
sette è qui.»
Alice scrollò di nuovo le spalle, e si arrampicò
sulla sedia, prendendo la ghirlanda. «Avanti, finiamo qui che
poi ti devo presentare una persona.»
Attaccammo gli ultimi palloncini e sistemammo le decorazioni mancanti,
per poi ammirare il risultato finale. Dopotutto, avevamo fatto proprio
un bel lavoro.
Di certo Ally non avrebbe potuto fare figuracce proprio alla sua festa
di compleanno.
Mentre decidevamo che musica mettere, il campanello suonò e
schizzammo entrambe in piedi.
«Vado io!» Alice scomparì dalla mia
vista e mi ritrovai a fissare il pavimento, con la schiena contro il
muro.
Pochi minuti dopo, lei fece la sua comparsa con accanto suo fratello,
che quando mi vide, sorrise.
Il mio cuore iniziò a correre, quasi uscendomi dal petto; il
mio respiro aumentò improvvisamente e dovetti calmarmi
mentalmente per non saltargli letteralmente fra le braccia.
Lui e i suoi effetti su di me. Mi sarei mai abituata?
«Ciao.» Mi diede un bacio leggero sulla guancia,
che avvampò. Tutto il mio corpo stava letteralmente andando
a fuoco.
Abbassai il capo, con un sorriso ebete sulle labbra.
«Com’è andata? Mary ha fatto
capricci?»
«Stranamente no. Era piuttosto tranquilla, anche
perché sapeva che stasera si sarebbe annoiata.»
Annuii, abbracciandolo. «Ci saranno solo adulti, sono sicura
che con Esme si divertirà di più.»
Alice intanto era sparita, di nuovo, lasciandoci soli. Le braccia di
Edward mi circondavano i fianchi, la sua bocca era fra i miei capelli.
Tra noi aleggiava tutta la tranquillità possibile che i
nostri cuori potessero desiderare.
«E’ arrivato il momento…»,
sussurrò a se stesso. Di cosa stava parlando? Momento per
fare che cosa?
Mi irrigidii e lo fissai sconcertata negli occhi. «Di
che…»
«Devo dirti una cosa.»
A quelle parole iniziai ad turbarmi. C’era qualcosa che non
andava? Magari riguardava le bambine? O il nostro rapporto?
Appoggiò la fronte contro la mia, carezzandomi il mento.
«Non iniziare ad agitarti, però. È una
cosa bella, tranquilla»
«Va bene. Allora sputa il rospo.»
Prese un grosso respiro, come per calmarsi e per dire quella
rivelazione nel miglior modo possibile.
«Ho trovato un lavoro.»
Sgranai gli occhi, incredula, e avrei scommesso che la mia mascella
sarebbe cascata, se non mi fossi ripresa all’istante.
«Co… Cosa? Da quando? Perché non me le
hai parlato?» Ero diventata improvvisamente una macchinetta,
sfornavo domande alla velocità della luce e gli afferrai la
camicia, facendolo sorridere.
Ovvio, mi preoccupavo e lui se la rideva.
«Da oggi. Sono andato a fare il colloquio prima. Mi hanno
preso subito.» Potevo leggere la sua gioia attraverso
l’emozione che traspariva nella sua voce.
Allacciai le braccia al suo collo e affondai il viso sul suo collo.
«E’ fantastico! Dio, sono così
felice!»
Rise e depose le sue labbra contro le mie. Avrei voluto piangere e
scoppiare di gioia, ma mi trattenni. Da settimane era alla ricerca di
un lavoro, anche piccolo, ma che li desse
l’opportunità di staccare un po’ la
spina e riprendere un’attività. E gli avevo dato
il mio appoggio, aiutandolo a cercare fino a notte fonda gli annunci su
tutti i giornali di Londra e non solo, e ci addormentavamo sempre
stremati sul divano, e non ci preoccupavamo se le nostre schiene
chiedevano pietà.
E a me poco era interessato se, soprattutto negli ultimi giorni, ero
parsa uno zombie a lezione, con quelle poche ore di sonno in circolo
per il corpo, con il cervello che chiedeva pietà ma con il
cuore gonfio di speranza per Edward.
Ci tenevo davvero a lui e ai suoi progetti, e in quel momento, quella
notizia mi aveva fatto capire che i nostri tentativi erano valsi a
qualcosa.
Le nostre bocche si plasmavano, seguendo una la forma
dell’altra, e quando qualcuno tossì, richiamando
la nostra attenzione, ci staccammo.
«Vi liberiamo una stanza, nel caso voleste anche fare
qualcos’altro, piccioncini.»
Emmett ci fissava, tenendo le braccia conserte, e aveva un sorriso
soddisfatto stampato in faccia.
«Molto divertente, Emm. Davvero.»,
commentò sarcastico Ed, stringendomi la mano. Ridacchiai
sommessamente per poi abbracciare Rosalie, che mi era venuta incontro.
«Calma i tuoi bollenti spiriti, Bellina.»,
sussurrò, dandomi una pacca sulla spalla. Sentii le guance
bruciare –di nuovo, e le sfiorai con la punta delle dita.
«Mh, che simpatica, Rose, come sempre.», borbottai,
imbarazzata. Alice, al suo fianco, ridacchiò e mi diede un
buffetto. «Piccola e innocente Bella.»
«La piantate? Grazie.»
Ridemmo tutte e tre insieme, pensando alla mia reazione. Di certo
ancora dovevo abituarmi ad essere soggetto di commenti sulla mia nuova
storia.
Piano piano arrivarono tutti gli ospiti e mi sentii subito
più tranquilla. Almeno l’attenzione sarebbe stata
proiettata sugli altri e meno su di me.
«Bella?»
Da dieci minuti abbondanti ero avvinghiata a Edward e chiacchieravamo
tranquillamente, ma in quel momento qualcuno mi stava chiamando e
dovetti staccarmi da lui a malincuore.
«Aspetta...», mormorai sulle labbra di Ed, prima di
girarmi verso Alice, che teneva sottobraccio un ragazzo dai capelli
biondi e gli occhi azzurri.
«Bella, Edward, lui è Jasper.»
Gli strinsi la mano, cercando di non fargli domande. Conoscendomi,
curiosa com’ero, lo avrei messo in soggezione nel giro di
pochi secondi.
Edward fece la stessa cosa, guardandolo interrogativo.
«Piacere.»
Esaminai il volto di Alice, e capì che le stavo per fare una
domanda.
«Lui è… il mio nuovo
ragazzo.», mormorò lei, guardando negli occhi
l’uomo che le teneva la mano e le sorrideva di rimando.
La mano di Edward si irrigidì intorno alla mia, e dovetti
più volte fargli capire con lo sguardo e con gli occhi che
andava tutto bene.
«Oh…» fu tutto quello che Ed
riuscì a mormorare. Era visivamente spiazzato, e di certo
non si aspettava una notizia del genere, non che non fosse gradita,
però Alice era la sua sorellina e si sentiva in dovere di
proteggerla.
«Alice mi ha parlato tanto di te, Edward.», disse
lui sopra la baraonda provocata dalla musica ad alto volume.
«Oh… Spero tutte cose positive!»
Risero entrambi, tranne Edward che era davvero posato. Stava prendendo
la questione troppo seriamente, eravamo lì per
divertirci…
Jasper ingoiò con difficoltà la saliva e io
strinsi la mano di Ed, che si girò verso di me.
«Dai, andiamo a prendere qualcosa da mangiare.»
Lui annuì e si scusò con la sorella, per poi
seguirmi oltre il lungo tavolo colmo di vivande.
«Ehi…» Presi il suo volto fra le mani e
incatenai i miei occhi ai suoi. «Calmati, dai.»
«Bella, è mia sorella… Non posso
crederci che un altro uomo sia entrato nella sua vita.»,
sospirò, e io gli carezzai la guancia.
«Ed, ha compiuto oggi ventisette anni, non è
più una bambina…», mormorai,
abbracciandolo. «Sta vivendo la sua vita. Prova a immaginare
come sarebbe la tua senza di me.»
«Non voglio neanche provarci.» Mi baciò
le labbra, facendomi sorridere. Riusciva, sempre e comunque, a essere
sdolcinato, anche nei momenti in cui era più agitato.
«Ecco, quindi vedi di fare uno sforzo per Alice. Mi sembra
felice, perché non dovresti esserlo anche tu?»
Sorrise. «Hai ragione, come sempre.»
Chiusi gli occhi e mi beai di quel contatto fra noi. Era
così bello essere fra le sue braccia: mi faceva sentire
sicura, protetta e… amata.
La musica ad alto volume fu un ottimo modo per esternarci dal caos di
invitati, e sono al momento della torta riuscimmo a essere
più presenti. Anche se, comunque, una parte del mio cervello
era andata a farsi un giretto…
Le ultime canzoni furono abbastanza scatenate, e mi meravigliai quando
lasciarono il posto ad alcune molto lente e romantiche.
«Ti va?»
Inarcai un sopracciglio, guardandolo. «Dici sul
serio?»
«Perché no?»
Risi con lui e iniziammo a volteggiare dolcemente fra le coppiette
presenti. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo viso, dai suoi
occhi, dalle sue labbra, che erano come un dolce richiamo per i miei
pensieri.
«Sei bellissima.»
«Non è vero.», mormorai sul suo petto, e
le sue braccia mi strinsero ancora di più.
«Sì, lo sei. Lo sei per me, per Mary, per tutti.
Sei bellissima perché sei te stessa, rimani al naturale, non
cambi solo per piacere agli altri. Questo particolare lo amo, amo tutto
di te.»
Le mie guance si scaldarono e dovetti strusciarle contro la sua T-Shirt
per raffreddarle, sebbene l’effetto non sembrasse svanire.
Ballammo per sei, sette canzoni, non tenni il conto, persa
com’ero nei suoi occhi. Ogni cosa che faceva mi attirava come
una calamita, facendomi perdere la cognizione del tempo nel giro di
pochi secondi.
Le persone cominciarono a dissolversi, e ben presto ci ritrovammo solo
io e lui, al centro della pista da ballo, a baciarci e a sussurrarci
smancerie che fino a poco tempo prima non mi sarei mai permessa.
«Andiamo a casa.», mormorò ad un certo
punto sulle mie labbra, e improvvisamente mi sentii impaziente. Non
capii il perché, forse era stato il vino, o forse era
semplicemente l’effetto di Edward su di me.
Quelli che per la mia mente furono secondi, che in realtà si
rivelarono minuti, volarono fra saluti veloci agli ultimi presenti e a
una camminata spedita mano nella mano fino all’auto di Ed,
mentre il mio cervello formulava pensieri sconnessi, fin troppo
difficili per essere tenuti a freno.
Edward mi teneva la mano, guidando tranquillamente per le strade
notturne di Londra. Che ora era? Mezzanotte? Le due? O stava quasi per
sorgere il sole?
Sinceramente non volevo saperlo, anzi rimanendo all’oscuro mi
sentivo più sicura, certa che la notte non poteva essere
passata.
«Manca ancora tanto?», domandai, e mi sentii una
bambina: ero troppo impaziente di tornare al più presto a
casa, solo per essere da sola con lui, senza le bambine.
«Calma.» Mi baciò le nocche della mano,
per poi tornare a fissare l’asfalto. Dio, come poteva fare
così?
Appena il buio mi circondò, e scesi dalla macchina, sentii
le sue mani sui miei fianchi, le sue labbra sulle mie.
All’improvviso, il mio stomaco prese ad attorcigliarsi, i
miei pensieri divennero confusi e iniziai a non capire più
niente, il cervello era annebbiato, un groviglio di immagini mi
popolò la mente.
«Bella…», gemette, staccandosi da me.
Avevo la mano sul suo petto, e potei perfettamente percepire il suo
cuore correre in sincronia con il mio, che sembrava impazzito.
Dio, avevo così tanta voglia di lui… quella sera
mi sarei lasciata andare, sì.
Basta pensare al passato, basta tormentarsi con le paure e soprattutto
basta Christian. Eravamo solo io e Edward, e in quel momento ero
più pronta che mai, cosciente delle mia decisione.
«Sei stanca?», commentò ad un mio
sbadiglio, carezzandomi i capelli. Sorrisi timidamente, anche se sapevo
benissimo che non lo ero per niente.
La casa era deserta, silenziosa, a differenza di mezza giornata prima.
Ed accese la luce delle scale, la sua mano era sempre legata alla mia,
e lo seguii fino alla sua camera da letto, dove si tolse la giacca.
«Preparo il letto.», sussurrò,
avvicinandosi. Non riuscivo a togliermi quello stupido sorriso che si
era marchiato sulle mie labbra.
«Va bene…»
Posò un bacio sulla mia fronte, facendomi sussurrare.
«Ho bisogno di qualche minuto…»
Lui annuì e mi lascio fuggire in bagno, dove mi rifugiai.
Tutto il mio corpo stava andando a fuoco, faceva ancora più
caldo del normale, le mie mani sudavano e tremavano, i miei capelli
erano scompigliati e l’unico mio pensiero era cosa diavolo
avrei dovuto fare con quell’uomo nell’altra camera
che mi metteva gli ormoni in subbuglio, procurando così una
festicciola per i miei pensieri.
Mi appoggiai al lavandino, fissando il mio riflesso nello specchio.
Okay… Va tutto bene, pensai, per poi scuotere il capo, ma
chi voglio prendere in giro? Non va per niente bene. No, per niente.
Cosa devo fare?
Guardai la mia immagine che era lo stereotipo del terrore puro.
Sinceramente, mi stavo spaventando di me stessa, e della mia reazione
davanti a quello che era successo.
Sciacquai le braccia sotto il flusso freddo del rubinetto, cercando di
abbassare la temperatura. Sentivo solo le fiamme addosso, volevo
sconfiggerle, almeno prima di…
Scossi il capo, scacciando il pensiero. Non volevo pensarlo, ed ebbi
altri ripensamenti. Dio, ero così indecisa…
Una volta non ero così: qualche anno prima non sarei mai
riuscita a tirarmi indietro da una situazione del genere, ero sempre
stata tenace e anche un po’ troppo sicura di me stessa, forse
anche fiduciosa, nel modo più assoluto, degli altri.
E invece avevo proprio sbagliato a concedermi a Christian, eppure in
qualche modo mi aveva cambiata, mi aveva reso una donna, mi aveva fatto
sentire per la prima volta completa. Ma ero diventata il suo oggetto, e
mi usava per il proprio piacere, e non avrei mai voluto, per nulla al
mondo, ripetere quell’esperienza.
Ma Edward no, ero certa che mai avrebbe fatto una cosa del genere. Non
sarebbe stato effettivamente possibile, non quel viso
d’angelo che aveva. Non con quei suoi sorrisi rivolti quando
mi faceva un complimento e io arrossivo. Non con quei suoi gesti
apparentemente così dolci e sensibili.
Non era il tipo di persona capace di certe azioni, e su questo non ci
pioveva. Era chiaro e cristallino come l’acqua che potevo
fidarmi di lui.
Che dovevo fidarmi di lui.
Eppure cos’era che mi frenava? Paura, imbarazzo, o solamente
i miei ricordi?
Sì, forse erano proprio loro, quei maledetti, a farmi tirare
indietro. Non volevano che io provassi nuove esperienze, volevano farmi
vivere nell’angoscia e nel terrore del passato, non volevano
che io vivessi di nuovo. Come una persona normale. Come una persona
amata e che amava.
«Non essere codarda, torna di là.»,
mormorai. Presi un grosso respiro e tornai nella camera da letto, con
le gambe tremolanti. Nel buio riuscivo a scorgere migliaia di puntini
luminosi, provocati dalla mia confusione e dal mio stato
d’animo.
Ad un tratto, mi trovai davanti alla sua stanza, e quando provai a
girare la maniglia, mi accorsi che era chiusa a chiave.
«Posso entrare?»
Bussai un paio di volte ma parevo invisibile. Ma a un certo punto la
porta si spalancò e qualcuno appoggiò le mani sul
mio viso.
«E-Edward?» Sussultai, impreparata, e il suo fiato
caldo mi carezzò l’orecchio.
«Stai tranquilla.», sussurrò, e mi
spinse leggermente nell’interno della camera. Un profumo di
vaniglia mi inondò i polmoni, e la mia testa
iniziò a vorticare, facendomi sentire leggera e disorientata.
Era un odore troppo intenso, quasi mi annebbiava i sensi. Sbattei
più volte gli occhi, coperti dalle sue mani, provando ad
immaginare cosa potesse esserci di così tanto prezioso da
non farmi vedere.
«Quando potrò…»
«Ancora due secondi, per favore.» La sua voce era
dolce, vellutata e assolutamente tranquilla, dentro non si trovava una
nota che evidenziasse un problema o qualcosa di sgradevole. Era calmo,
non aveva fretta.
«Okay… ma perché non posso vedere? Cosa
mi stai nascondendo?»
Ridacchiò, scostando una ciocca di capelli dal mio volto.
«Perché è una sorpresa, e voglio che tu
rimanga sbalordita.»
«Odio le sorprese.», commentai, scettica.
«Non ci riuscirai così facilmente.»
Potei immaginarlo scuotere il capo con quel suo sorriso stampato sulle
labbra. «Va bene. Ora promettimi che non guardi
finché non te lo dico io.»
Sbuffai. «D’accordo, ma non farmi
scherzi.»
La pressione che fino a poco prima pressava leggermente sulle mie
guance sparì e dovetti reprimere l’impulso di
spalancare le palpebre. Dovevo mantenere la mia parola, se lui voleva
davvero rendermi felice, in quel modo.
Passarono secondi, o forse minuti, prima che mi accorgessi di un brusio
attorno a me. «Edward?»
«Dammi ancora qualche istante.»
Mi ritrovai a sbattere ritmicamente il piede sul pavimento, in attesa
di avere una risposta a tutto quello. Ero pronta ad aprire gli occhi
per capire cosa diamine stesse combinando, ma nel momento esatto in cui
la mia mente formulò quel pensiero, una musica
cominciò a propagarsi nella stanza, e io divenni ancora
più confusa.
«Ma cosa…»
Le sue labbra si posarono sulle mie, bloccando la mia domanda.
«St… Non dire nulla.»
Sospirai, carezzandogli una guancia. «Posso almeno aprire gli
occhi?»
Annuì contro la mia guancia, e poi si scostò. Una
fievole luce mi costrinse a sbattere più volte le palpebre,
sebbene fosse leggera, ma il buio era stato padrone per tanto tempo.
Misi a fuoco l’ambiente circostante e mi accorsi
che… c’erano candele ovunque. Sul davanzale, sui
comodini, accanto agli armadi e perfino sulla testiera del letto.
Decine di piccole fiammelle che danzavano sotto la melodia della
canzone.
«Sono riuscito a sorprenderti, o no?»
Non risposi e lui si mise a ridere, evidentemente divertito dalla mia
espressione.
«Ma… Come hai fatto?»
«Un uomo non svela mai i propri segreti.»,
ammiccò. Il suo volto era ancora più bello
esposto a quella debole luce.
Alzai un sopracciglio. «Non è che mi nascondi una
donna, Cullen?» Venne verso di me, sfoggiando il suo sorriso
sghembo che tanto mi faceva impazzire.
«Già gelosi, signorina Swan?»
Iniziò a tracciare il profilo del mio collo lentamente,
lasciando dei piccoli baci che sulla mia pelle si trasformavano in scie
di fuoco.
«N-No…», mormorai, socchiudendo gli
occhi. La sua bocca iniziò a torturarmi il lobo
dell’orecchio, e le mie mani salirono fra i suoi capelli,
stringendoli fra le dita.
Ad un certo punto, si staccò da me per poi fissarmi negli
occhi. «Stai bene?»
Aggrottai la fronte, cercando nel suo viso il perché di
quella domanda. Che senso aveva farmela ora? Ovvio che stavo
bene… forse ero solo agitata, ma dentro di me sentivo tutta
l’energia premere per sprizzare fuori dalla pelle.
«Certo che sto bene…»
Sospirò, prendendomi le mani fra le sue. «Voglio
solo sapere che lo stai facendo per me, o perché lo vuoi
anche tu. Solo questo.»
Fui presa dall’impeto di scoppiare a ridergli in faccia, ma
posai solo le labbra sulle sue. «Non sto desiderando altro
che questo, adesso.»
Come presa consapevolezza delle mie parole, appoggiò
nuovamente la sua bocca alla mia, e cominciarono a modellarsi, come in
una dolce danza. Era come scoprirsi per la prima volta, come un
contatto mai provato, una nuova sensazione, piccoli tocchi fugaci,
timidi, senza alcuna pretesa. Le sue mani si posarono sui miei fianchi,
le mie tornarono fra i suoi capelli, ma non perdemmo il contatto che si
era stabilito.
Il suo fiato dolce mi inondò i polmoni, lasciandomi
completamente spiazzata da come poteva rendermi completa ma allo stesso
tempo instabile.
Le nostre lingue schioccarono nel momento in cui si incontrarono, come
se si fossero bruciate, come se fossero state trafitte da una scarica
elettrica. Mi staccai, giusto per riprendermi, e intravidi i suoi occhi
ardere di desiderio tanto quanto il suo corpo stava cercando di
dimostrarmelo.
Dolcemente, cominciò a sbottonare la mia camicia, senza
distaccare lo sguardo dal mio.
«Il blu ti sta benissimo, te l’ho mai
detto?», mormorò, posando
un’infinità di piccoli baci sul mio collo. Sentii
le guance avvampare quando fu in procinto di slacciare
l’ultimo bottone.
«Va tutto bene?», chiese Edward, vista la mia
reazione. Annuii solamente, presa com’ero da controllare i
miei istinti.
Quando la camicetta fu totalmente aperta, alzò lo sguardo,
quasi come a chiedermi il permesso che diedi solo con una veloce
occhiata. Fece scivolare velocemente l’indumento dalle mie
braccia, lasciando così la parte superiore del mio corpo con
solo il reggiseno addosso.
Strano, in un'altra situazione mi sarei sentita sicuramente
imbarazzata, invece ora... ora fremevo dalla voglia che avevo di lui.
Prima che potessi di nuovo arrossire, gli sfilai la T-Shirt, e mi
stupii di me stessa e dell’audacia, del controllo e della
padronanza dei miei istinti che avevo avuto.
«Sei bellissimo…», mormorai, esaminando
il suo petto. Indugiando, posai una mano sul suo ventre, e lo sentii
tremare sotto il mio tocco.
«Non quanto te, però.», rispose lui. La
sua voce era diventata roca, vellutata, così profonda da
farmi accapponare la pelle.
La mia pelle appiccò fuoco ancora una volta quando lui
iniziò a lambire la pelle della mia spalla, da dietro
l’orecchio alla clavicola, girando intorno alla bretellina
del reggiseno.
«Meredith… Meredith mi aveva detto quanto tu
amassi Adele.», sussurrai, rincorrendo la voce della
cantante. Mi era rimasto impresso quel pezzo di conversazione con sua
figlia in automobile, quel pomeriggio, e in quel momento stavo
appurando la verità di quelle parole.
Percepii il suo sorriso su di me, quasi se si stesse vergognando.
«Sai com’è… il sangue e la
voce inglese hanno un loro perché.»
Ghignai ma subito dovetti riprendere le redini del mio autocontrollo, e
quando provai a slacciarmi i jeans lui mi fermò.
«Voglio che tu me lo ripeta.»
«Che cosa, Edward?» Lo guardai confusa, provando a
capire a cosa si potesse riferire. Era il momento di fare domande,
quello? A malapena riuscivo a tenere gli occhi aperti, e lui mi
chiedeva certe cose. Da scherzo.
«Dimmi… Dimmi che lo fai per entrambi. Per me
quanto per te, soprattutto per te.» Non finì la
frase, che si trasformò in un sussurro, e i suoi occhi
cercarono i miei, come per trovare una risposta, un ancora a cui
aggrapparsi.
Gli carezzai il profilo della guancia, fino al mento, dove mi incantai,
per poi tornare un pochino più sopra, sulla sua bocca, su
quel suo labbro arricciato, torturato nell’attesa di una
risposta.
Un brivido mi risalì la schiena ma non me ne curai. Ero
mezza nuda, al freddo, in piena notte, a febbraio, ma il suo sguardo
addosso mi faceva prendere fuoco, ogni singola parte del mio corpo
ardeva e sprigionava calore.
«Sciocchino, mi pare che ne avessimo parlato pochi minuti fa.
Dopo quello che è successo a Maiorca, io voglio riprendere
la mia vita, voglio vivere nuove emozioni. Voglio essere travolta da
centinaia di sensazioni nuove ma anche vecchie, nascoste nel
dimenticatoio. Voglio ritrovarle, assaporarle di nuovo, gustarle fino a
che non mi verrà la nausea e vorrò fermarmi, ma
sarò troppo ingorda e vorrò ricominciare, e
andare avanti così per ore, fino a che non ti stancherai di
me. Voglio vivere questa esperienza con te, perché so che ne
ho bisogno, perché lo voglio davvero. Perché
sento che è un bisogno essenziale, perché senza
non potrei vivere. Perché senza di te non potrei vivere. Non
ti basta?»
I suoi occhi, diventati di un verde scuro, brillante ma seducente e
misterioso, mi scrutarono, come a trovare la verità
consolidata nel mio piccolo discorso. Mi morsi il labbro, in attesa di
una risposta, che arrivò forse troppo prepotentemente, ma
che mi fece girare la testa.
La sua bocca si impadronì ancora una volta della mia, e
avrei potuto annegare nel suo profumo, se non fosse stato che si era
staccato poco dopo. «Dio mio, come riesci? Come fai a farmi
sentire un uomo felice, senza tutti quei complessi da idiota? Mi basta,
mi basterà per sempre. Dirti che per me vale lo stesso
è insensato e senza logica, perché non sarebbe
una replica all’altezza del tuo pensiero. Voglio solo che tu
sia felice con me, sempre.»
Annuii convinta, e le sue mani mi arpionarono i fianchi, facendomi
indietreggiare verso il letto. Solo in quel momento mi accorsi che era
coperto da piccole piume bianche, il copriletto completamente sommerso
da chiazze soffici che si insediarono fra i miei capelli.
Mi fece appoggiare dolcemente la schiena al materasso, cercando di non
aggravare il suo peso sul mio corpo. La sua lingua aveva lasciato una
scia calda sul mio collo, proprio dove le prime due costole si
congiungevano, dove c’era quella piccola fossetta nella pelle
che lo faceva diventare matto.
«Dio, mi fai impazzire…»,
mugugnò contro il mio collo; il suo naso mi sfiorava la
mascella, la sua bocca mi torturava la pelle.
Succhiò debolmente quel lembo, e mi ritrovai a stringere il
lenzuolo fra le mani, gemendo.
«Bella.»
Alzai gli occhi, incontrandoli con i suoi. Ancora una volta mi persi in
quella boscaglia scura, insidiosa ma altamente provocante.
«Sono qui.»
Mi sbottonò i jeans e io alzai il bacino per permettergli di
sfilarmeli. Tutto stava succedendo come esattamente lo desideravo: non
c’era urgenza nei suoi movimenti, mi stava aspettando, mi
tendeva la mano e io dovevo afferrarla ma non correre con lui, ma fare
un passo alla volta.
Cercai le sue labbra, come per fargli capire che stava andando tutto
bene. Mi sfiorò la pancia, poco sopra il bordo degli slip, e
io tremai, sebbene fosse stato un gesto involontario e veloce.
Le sue mani mi carezzarono dolcemente le gambe, dal fianco al
ginocchio, per poi risalire e vezzeggiarmi il volto.
Stava diventando tutto così reale…
La luce flebile delle candele rendeva l’atmosfera ancora
più romantica, leggera e illuminava leggermente il volto di
Edward. Era una vista celestiale…
«Aspetta… non voglio schiacciarti.» Si
staccò e si sdraiò al mio posto, facendomi
così stare a cavalcioni su di lui.
«Così va meglio.»
La sua battuta mi fece sorridere: riusciva in tutti i modi ad
alleggerire la situazione, e in un momento come quello era
l’ideale.
Scansò i capelli dal mio petto, e le sue labbra scesero di
nuovo sul mio mento. Tracciarono lo stesso percorso di prima, arrivando
fino alla spalla, per poi tornare su.
«E-Edward…», mormorai quando la sua
bocca arrivò proprio sul bordo della coppa del reggiseno.
Baciò e accarezzò lentamente la pelle che era
diventata così sensibile da far amplificare ogni sensazione.
Le sue mani risalirono la mia schiena, sfiorando ogni vertebra e ogni
singola fossetta interposta fra loro.
«Ma non eri proprio tu che volevi dormire?»,
sussurrai, osservandolo dritto negli occhi. Ghignò
compiaciuto, per poi baciarmi. «Non ho alcuna intenzione di
farlo.»
Ogni cellula del mio corpo si fermò e prese fuoco nel
momento in cui fece scattare il gancetto, senza distaccare lo sguardo
dal mio. Socchiusi gli occhi, emettendo un sonoro gemito quando le sue
mani mi carezzarono appena i fianchi, l’addome, di nuovo la
schiena, e le braccia. La sua bocca si avventò sulla mia,
facendomi ancora di più perdere il contatto con la
realtà. Sfiorai con la punta della lingua la sua, provocando
così una scarica elettrica ad entrambi. Su di me, percorse
la spina dorsale, per poi irradiarsi sul petto, facendomi tremare sotto
il tocco di Edward.
Abbassò le spalline del mio reggiseno, facendole scorrere
delicatamente lungo le mie braccia. Essere davanti a lui, senza
più quell’ostacolo, mi rendeva nervosa. Era tanto
tempo che non mi mostravo così ad un uomo, e forse, proprio
perché si trattava di Edward, non riuscivo a
tranquillizzarmi.
Il mio respiro aumentò improvvisamente, e la sua mano si
posò appena poco sopra il mio seno sinistro, proprio sul
cuore. «Calma, amore.»
Annuii e feci sì che le nostre labbra si toccassero di
nuovo, che i nostri fiati si mischiassero di nuovo, che le sue mani
ritornassero sul mio corpo.
Lo sentii sfiorare il mio petto, le sue dita sotto la mie braccia, la
sua bocca scese lentamente verso il basso, lambendo la pelle tesa del
collo, del torace. Baciò dolcemente l’incavo fra i
seni, facendomi stringere il lenzuolo, la sua lingua mi
carezzò appena i capezzoli, e tutte le emozioni che stavo
provando mi fecero tremare e contorcere.
«Oddio…», sussurrai, cercando di
trattenere i gemiti. Intanto, ero scivolata di nuovo sotto di
lui, con un gesto lento. Allacciai le braccia al suo collo, la sua
testa ancora abbassata verso il mio petto.
Inspirai il buon profumo emanato dai suoi capelli. Riuscivo a sentirlo
nonostante l’aroma eccessivo di vaniglia che continuava a
regnare nella stanza. Sapevano di muschio, di caffè, di
borotalco… Di lui. Solamente e fantasticamente di lui, di
quell’odore che mi si impregnava addosso durante la notte,
quando mi stringeva nel sonno, che mi sfiorava le guance, che stava
assaporando ogni centimetro di pelle scoperta che avevo.
«Bella, apri gli occhi, amore.»
Come incatenata dalla sua voce, obbedii, e mi ritrovai ben presto a
salutare la buona ragione che mi aveva abbandonato proprio quando
ritornai a contemplare il viso di Edward.
«Sto bene, davvero…» Sbattei
più volte le palpebre, nel tentativo di mettere a fuoco la
sua immagine. Sulle labbra aveva un sorrisino compiaciuto, le sue mani
mi stavano accarezzando i capelli sparpagliati sul cuscino.
In realtà, stavo più che bene. Sarà
stata la situazione, ma in quel momento capii perfettamente che non ero
mai stata più felice, neanche con Christian.
Oddio… Perché lo stavo paragonando a Edward? Ed
era centomila volte meglio di Chris, lo sarebbe sempre stato. La sua
dolcezza, i suoi sguardi, i suoi baci mi riempivano l’anima,
e ci erano riusciti in appena quattro mesi. Con Christian, nei primi
quattro mesi c’erano stati appena un paio di carezze.
In poche parole, Edward gli faceva un baffo.
Ricongiungemmo le nostre labbra, in un bacio completamente diverso
dagli altri. Non esistevano parole per descriverlo,
nessun’espressione poteva rendere l’idea.
Conoscendomi, era un grande passo avanti, data la mia insicurezza.
Ma ero con Edward: lui credeva in me, e io in lui. Niente mi importava
di più che quel pensiero.
Gli sfiorai la mascella, il collo, il pomo d’Adamo abbastanza
prominente con la bocca. Piccoli tocchi e carezze che gli fecero
chiudere gli occhi. Solo in quel momento mi accorsi davvero del profumo
della sua pelle, di quanto fosse morbida e vellutata, quanto fosse
così simile a come me l’ero sempre immaginata.
Tutto di lui mi apparteneva: i suoi occhi, la sua pelle, le sue mani, i
suoi gesti, i suoi sguardi, i sorrisi, le carezze.
Era mio. Edward era mio.
Mi sentii egoista a pensarlo, ma viste le circostanze non mi fu
difficile capire che era tutto vero.
Ed io ero sua, totalmente e fedelmente sua, lo ero e lo sarei sempre
stata.
Con le dita tracciai la sagoma dello sterno, scendendo giù
fino al suo ombelico, lì dove la pelle era più
tesa, dove potevo sentire se tratteneva il fiato, dove sentivo il suo
stomaco pieno di farfalle come il mio.
Gli sbottonai i jeans, lasciandolo alzare per disfarsene e per poi
tornare di nuovo su di me. Ci stavamo lentamente lasciando andare, i
nostri istinti non più controllati stavano prendendo il
sopravvento, il nostro amore stava decollando. Le nostre mani si
allacciarono per un istante, per poi dividersi. Le sue tornarono
accanto al mio viso, le mie sui suoi fianchi.
Le nostre labbra si unirono, iniziando quella danza che ci pareva tanto
familiare ma in realtà più sconosciuta che mai.
Tutte le mie terminazioni nervose vibrarono a quel contatto e lo sentii
scendere fino ai miei fianchi.
Feci la stessa cosa, e iniziai a giocherellare con l’elastico
teso dei suoi boxer. Socchiusi gli occhi, lasciando andare un sospiro
colmo di frenesia, e lui se ne accorse, baciandomi così il
collo.
«Bella…»
«Stt…», sussurrai, appoggiando il naso
contro il suo, le nostre fronti a contatto.
Presi coraggio e provai ad abbassargli l’intimo, ma lui fu
più veloce e lo fece al posto mio. Ora era totalmente
esposto al mio sguardo, e c’era solo un ultimo ostacolo che
mi divideva dall’essere nella stessa situazione.
Edward chinò di nuovo il capo sul mio petto, succhiandomi
avidamente un seno. Strinsi i suoi capelli di seta fra le dita,
increspandoli; intanto inclinai la testa all’indietro e
socchiusi gli occhi, sentendo le sue labbra su di me.
«Edward, ti prego…»
Mentre con una mano mi accarezzava il seno, che si gonfiava sotto il
suo tocco, l’altra scivolò fra le mie cosce e io
mi irrigidì.
«Bella?»
«S-Sì?», mugolai, e provai a guardarlo
nonostante il piacere che stavo provando. Eppure non avevamo fatto
praticamente nulla, niente a confronto a quello che sarebbe successo
poco dopo.
«Posso?», mi chiese in un sussurro, e io annuii
veloce. Non doveva chiedermi il consenso, non in un momento come
quello.
Ero accecata dall’appagamento dei sensi, da quel mix di
sensazioni che si stavano ampliando nel mio corpo.
Percepii gli slip scivolare lentamente sulle mie gambe e il tocco di
Edward mi fece ancora di più vorticare la testa. La sua
bocca ancora sul mio petto, sul mio collo, sulle mie labbra. Le mie
mani lungo il suo addome, sui suoi fianchi, su quella
“V” perfetta.
Gentilmente, la sua mano iniziò a massaggiarmi le cosce e
quando fui abbastanza rilassata, si sistemò fra loro.
«Voglio che tu sappia una cosa.» Si era fermato,
solo il suo guardo sul mio, nessuna intenzione di proseguire.
«D-Dimmi…»
«Amore, io non ho alcuna intenzione di ripetere
ciò che ti ha fatto Christian. Non potrei neanche
lontanamente immaginare tutto il dolore che ti farei provare,
perché io non voglio farti del male. Io voglio che tu sia
felice, con me. Voglio che tu sia accondiscendente in tutto, voglio
avere il tuo parere, il tuo permesso. Sento che tu mi ami per quello
che sono davvero, e non mi chiedi di cambiare per piacerti. Io ti
ringrazio per questo.»
Le lacrime che si erano formate nei miei occhi scesero impetuose sulle
mie guance, facendomi singhiozzare.
«Edward…»
Delicatamente, cancellò via ogni traccia di tristezza dal
mio volto, sfiorandomi le guance con la punta delle dita.
«St…»
«Io… io ti darò sempre il permesso. Sai
già le risposte e non serve che io te le ripeta.»
«Fammi solo… fammi entrare nel tuo cuore, ti
prego.», sussurrò sulle mie labbra e io le
catturai in un bacio che sembrava suggellare la mia risposta.
«Sei già entrato nel mio cuore, da tanto
tempo.»
La sua bocca tornò sul mio collo e lo sentii premere su di
me, ma lo fermai.
«A-Aspetta…»
«Se ti stai preoccupando per quello, ho già messo
una protezione.»
Quando l’aveva fatto?
«Non… Non è per quello.»
«E allora per cosa?»
Sospirai, fissandolo dritto negli occhi. «Ho
bisogno… Che tu mi dia tempo.»
Sfiorò con le labbra la mia spalla nuda, strusciando il naso
nell’incavo del mio collo. «Tutto il tempo di cui
hai bisogno. Ho bisogno che tu sia accondiscendente, voglio che tu
sappia che se qualcosa andrà storto…»
«Io mi fido di te.», mormorai, carezzandogli il
viso. Come se le mie parole fossero state una formula magica,
tornò a baciarmi, con più passione questa volta,
e in quel momento capii che potevo anche lasciarmi completamente
andare: ero pronta, per lui lo ero sempre stata, avevo solo bisogno di
aspettare il momento giusto.
«Devi… Devi solo andare piano, tutto
qui…», sussurrai, la sua bocca sul mio seno.
Erano nuove sensazioni, o meglio: erano solo state dimenticate, di
proposito. Dopo tanto tempo ero riuscita di nuovo a concedermi ad un
uomo, essere me stessa e provare ad amare di nuovo.
Edward mi faceva sentire così: amata, desiderata e
soprattutto, riusciva a farmi dimenticare quello che avevo vissuto con
Christian.
Dolcemente, mi fece divaricare ancora un po’ le gambe, sempre
carezzandole con la punta delle dita. Mi sembrava quasi di essere in un
sogno, le sue braccia mi avvolgevano e le sue mani mi sfioravano
continuamente.
«Se ti faccio male… mi fermo, okay?»
«Tranquillo, ti avviso, ma tu non fermarti.»
Cercò di nuovo il mio sguardo: un altro permesso, che io
detti annuendo appena.
Lo sentii premere appena contro di me, per poi iniziare delicatamente a
farsi strada. Fui costretta a socchiudere gli occhi, e mi arpionai alle
sue spalle, conficcando le unghie nella sua pelle morbida.
Allo stesso tempo, però, corrucciai il viso in una smorfia,
e Edward fece per uscire, ma lo fermai, tenendolo per un braccio: se
non fosse andato avanti, non avrei potuto sconfiggere quel dolore, anzi
fastidio che provavo al basso ventre.
La sua bocca, intanto, era sulla mia, le nostre lingue si
intrecciarono. La mia disegnò il profilo dei suoi denti,
degli angoli della sue labbra e loro stesse.
«Vai… Vai avanti.», sussurrai, e il suo
bacino cominciò ad avvicinarsi sempre di più al
mio, il suo calore irradiarsi all’interno del mio corpo.
«Ti sto facendo male?»
«N-No…», mentii, ma in quel momento non
badai al fastidio prolungato. «Continua.»
«Sicura?»
Gli carezzai il viso, annuendo un poco. «Io mi fido di
te.», ripetei, sentendolo sprofondare sempre di
più dentro di me.
Mi morsi il labbro, nel tentativo di soffocare un gemito, e dolcemente
cominciò a colmarmi. Non mi mossi, perché non
avevo la benché minima intenzione di perdermi ogni singola
scarica elettrica che mi stava donando.
«Oddio, Bella…»
Sapevo cosa stava per dire, ma lo bloccai. «St…
Zitto, non dire nulla.»
Rimase qualche secondo fermo, sfiorandomi con la punta delle dita i
fianchi.
«Puoi… puoi andare avanti…»
Mi sorrise nella penombra ma prima che potesse muoversi sopra di me,
indicai lo stereo, le sue labbra di nuovo sulle mie.
«Edward… canta per me, ti prego.»
Era una richiesta strana e forse poco adatta alla situazione, ma vidi
di nuovo il suo sorriso e capii che dopotutto l’avrebbe fatto.
Avrebbe fatto qualunque cosa per me.
Would you dance if I asked you
to dance?
«Balleresti se io te lo chiedessi?»,
mormorò sulle mie labbra, in un sussurro quasi
impercettibile.
«L’ho già fatto, ogni volta che me lo
chiedesti.»
Would you run and never look
back?
«Correresti senza mai guardare indietro?»
La sua mano mi carezzò il viso, le sue dita scesero lungo il
mio collo e sfiorarono il mio seno.
«Sì…» Non riuscivo neanche
più a rispondere in modo comprensibile.
Would you cry if you saw me
crying?
«Piangeresti se mi vedessi piangere?»
«Non c’è bisogno che io ti
risponda…», ribattei, assecondando ogni suo
movimento.
Una frase, una spinta dentro di me, una spinta nella mia anima. Ero
letteralmente in un brodo di giuggiole.
Would you save my soul tonight?
«Salveresti la mia anima stanotte?»
Una lacrima sgorgò dai miei occhi e scese lentamente il
profilo della mia guancia; Edward la cancellò posandoci
sopra le labbra.
«Sì, lo farei, non solo stanotte, ma per
sempre.»
Di nuovo quel sorriso, di nuovo un battito perso. Dio, come potevo
ragionare in quel modo?
In realtà mi era pressoché impossibile combattere
per rimanere lucida, non quando la sua voce mi procurava più
piacere che le sue spinte.
Forse perché era roca, un sussurro appena riconoscibile, un
sospiro sulla mia pelle, sulla mia bocca.
Non quando le sue mani mi carezzavano il volto, il seno, il ventre, non
quando le sue dita mi sfioravano ovunque mandandomi in estasi.
Era tutto così dannatamente perfetto da essere irreale, e
Edward era tremendamente sexy da rischiare la galera.
Would you tremble if I touched
your lips?
«Tremeresti se io toccassi le tue labbra?»
Lo guardai intensamente negli occhi, lottando con tutta me stessa per
mettere a fuoco il suo viso. «Certo, certo che
tremerei.»
Mi baciò con trasporto e come se fosse stata una prova alla
mia risposta, tremai sotto di lui. «Hai visto? Tremo ogni
singola volta che mi sfiori.»
Un altro bacio, una nuova emozione sulla pelle, nel cuore, dentro di
me, proprio dove lui stava iniziando a vivere.
Would you laugh…
«Rideresti? Oh ti prego dimmi di sì.»
Mi lasciai scappare un risolino, forse dovuto al fatto che, mentre
pronunciava quelle parole, emise un gemito sonoro.
«Vedo che approvi…»,
ridacchiò, stringendomi con amore la pelle del fianco fra le
dita.
Now would you die for the one
you love?
«Moriresti per la persona che ami, ora?»
Mugolai sulla sua bocca, aggrappandomi alle sue spalle, come per
salvarmi e rimanere per quel poco che mi rimaneva nella
realtà.
«Morirei ogni giorno per te, sempre, Edward,
sempre.»
«Ripetilo…»
Cominciavo a far fatica a stargli dietro, ma non volvevo abbandonarmi
inerte sul materasso, presa dall’appagamento.
«Co-Cosa?»
«Ridi’ il mio nome, ti prego…»
Gemette sul mio collo, cercando di non pesarmi troppo, e io tremai
ancora di più a sentire quei suoi versi.
«Edward. Edward, Edward, Edward.», ripetei come una
nenia, contro la sua spalla. Intanto, la musica di sottofondo
continuò ma non ci badammo più, presi
com’eravamo dal controllare i nostri sussurri.
Le sue spinte erano lente, dolci, ma profonde allo stesso tempo e non
potei non attorcigliare le gambe attorno al suo bacino, facendolo
cozzare con il mio.
Mi fissò per un lungo, interminabile, secondo che mi parve
infinito, forse per chiedermi qualcosa.
«Vai... Tranquillo.»
«Non ti senti male?»
«Assolutamente… no. Vai, davvero. Sono
completamente tua, adesso.»
Prese coscienza delle mie parole e sprofondò più
velocemente, cogliendomi di sorpresa. Erano tutte emozioni dimenticate,
in quei tre anni, ma che adesso stavano tornando per farmi rivivere.
Nell’aria, oltre alla musica in sottofondo, si sentivano solo
i nostri respiri affannati e i nostri gemiti appena sussurrati sulle
labbra, niente e nessuno in quel momento poteva separarci, neanche una
delle più grandi catastrofi.
«Bella…»
Dischiusi gli occhi, tenuti per tutto quel tempo chiusi, e lo osservai
attentamente: stava mantenendo tutto il proprio autocontrollo per fare
piano e non diventare improvvisamente brusco.
«S-Sì?»
Gli carezzai la vena sulla fronte, che in quel momento si era
così tanto gonfiata per lo sforzo, provando a rimanere il
più cosciente possibile, anche se era ben impossibile dati i
suoi movimenti e i miei sussurri.
«Ti… Ti… Oddio, Bella.»
Avevo quasi del tutto compreso cosa stesse per dire, e non poteva
fermarsi così, non poteva. Dovevo saperlo, dovevo sentirlo
con le mie orecchie.
«Cosa, Edward? Di-Dimmelo…»
Appoggiò la fronte alla mia, cosicché i nostri
occhi potessero legarsi indissolubilmente. «Ti amo, Bella. Ho
sempre saputo di amarti, sempre, ma non ho mai avuto il coraggio di
dirtelo. Io ti amo, più della mia stessa vita, sei tutto per
me.»
A quelle parole, iniziai a singhiozzare di gioia e d’impeto
gli circondai il collo con le braccia.
«Oh… Ti-Ti amo anche io, Edward, anche
io.»
La sua mano scivolò sotto il mio fondoschiena, sollevando
così il mio bacino, e con un’ultima, penetrante
spinta fu totalmente dentro di me. Mi sentivo finalmente completa, come
mai era successo prima.
Eravamo due tessere dello stesso puzzle, nate per essere congiunte e
mai più divise, proprio come in quel momento, dove
sembravamo un unico corpo. Eppure eravamo sudati e ansimanti, una che
si reggeva all’altro.
«Posso essere il tuo eroe, piccola.»
Gradualmente e deliziosamente mi portò fino al bordo della
massima sopportazione, fino a che non mi lasciai andare e sprofondai
sul materasso, graffiandogli le spalle e stringendo i suoi capelli
serici fra le dita, tirandoli.
«Oddio, Edward…»
Soffocò il mio urlo, posando le labbra sulle mie, per poi
accompagnarmi in quella dolce danza che presto ci avrebbe sfiancati.
«Ti… Ti amo, Bella.»
«Ripetilo, ancora, ancora…»
«Ti amo, ti amo, ti amo.», mormorò sul
mio petto, baciandomi un’ultima volta prima di adagiarsi su
di me.
«Sì, sii il mio eroe…»,
sussurrai, socchiudendo gli occhi e beandomi del suo calore, e della
sua bellissima voce cantarmi le ultime note della canzone.
Di quella che divenne la nostra canzone.
I can be your hero baby I
can kiss away the pain I
will stand by you forever You
can take my breath away
___________
Awwwwww io sono di poche parole awwwwww
Ci credete? Ed e bella hanno.... awwwwwwwwww.
La smetto, jamme.
Cmq vi lascio il Profilo
FB e il gruppo
FB
Me la lasciate una recensioncina? E' la prima volta che scrivo una cosa
del genere e quindi... fa nu pocho schif, jamme.
Cmq, spero di farvi leggere il nuovo capitolo molto presto <3
Stay Tuned
Kiss,
Giuly :*
Capitolo 13 *** Abbiamo stanotte, chi ha bisogno di domani? ***
Ascolta il tuo tema
Ascolta il tuo cuore ♥
Capitolo 13: Abbiamo stanotte, chi ha bisogno di domani?.
BELLA.
L’unica cosa che in quel momento volevo davvero, era che la notte non finisse mai. Non
quando trascorreva in uno dei modi più dolci e romantici che potessero
esistere, non quando la persona che ti amava ti era accanto e non
quando tutto era perfetto. Edward
mi carezzò la spalla, guardandomi intensamente negli occhi. La sua
espressione era carica di amore, mi colmava totalmente, sia il cuore,
sia l’anima, ma anche fisicamente. Avrei
voluto congelare quell’immagine per poterla portare sempre con me,
ovunque io andassi, ma mi si era impressa nella mente e non c’era modo
per eliminarla, e di quello ero felice. Finalmente
avevo trovato qualcuno che mi amasse per quello che ero, che mi
accettasse per i miei pregi e difetti, paure e insicurezze. Non mi serviva nient’altro che Edward, quella notte. Lui mi bastava, mi rendeva felice, e mi soddisfaceva. Sarebbe potuto crollare il mondo, ma ero fra le sue braccia, felice, appagata, pronta a vivere ancora e ancora, al suo fianco. Eravamo
solo io e lui, avvolti dall’oscurità, con ancora qualche candela
accesa, che osservai fino ad addormentarmi abbracciata a Ed, scaldata
dal battito del suo cuore.
Battito. Respiro. Un secondo battito, un secondo respiro. Quel ritmo non dava segno di finire, io non avevo alcuna voglia di aprire gli occhi. Un bacio sulla nuca, una carezza sulla spalla, un sussurro nell'orecchio. Il fruscio delle lenzuola, spiragli di luce, attimi che scorrono. Non riuscivo a credere di star vivendo davvero, almeno non di nuovo, non come una volta. Qualcosa mi sfiorò la fronte, finendo poi fra le ciocche disordinate di capelli. Fa' che questo bellissimo sogno non finisca qui. «Ehi...» Sentii
un soffio proprio sopra le mie labbra, ma la voglia di non aprire gli
occhi era enorme tanto quanto quella di rivedere il suo viso a pochi
centimetri dal mio. «Vuoi rimanere qui tutto il giorno?» D'istinto
sorrisi, strizzando gli occhi. Fosse stato per me, non avrei mai
interrotto quel momento, così perfetto e speciale come pochi nella
vita. «Per me non ci sarebbe problema... Se usassimo il tempo per cose molto utili.» Colsi
nella voce di Edward quel pizzico di maliziosità che mai prima di
allora mi era capitato di scorgere. Poche volte aveva fatto battutine a
doppio senso, eppure in quell'attimo subito capii che era cambiato
qualcosa, nel giro di qualche ora. La
sua mano scivolò lungo il mio addome, procurando così un leggero
solletico; le altre dita si intrecciarono fra i miei capelli, le sue
labbra si posarono sul mio collo per poi scorrere lente fino alla
giuntura delle prime costole allo sterno. Inarcai di poco la schiena, sfiorando la sua. «Mh...» Percepii
il suo respiro sul profilo della mia mascella, la sua bocca sul mio
mento, le sue mani in giro per il mio corpo, ma in ogni caso non aprii
gli occhi. Lentamente,
mi mordicchiò il lobo, e rise vedendo che non dicevo nulla. In quel
momento, cercai a tentoni il suo petto con la schiena, e quando lo
trovai mi ci adagiai contro. «Allora vuoi veramente passare la mattinata a letto...» Stropicciai il naso e presi con delicatezza la sua mano che era adagiata sulla mia spalla. «Ti prego...» Sentii
un fastidio molto accentuato, ma non ancora fastidio, dove posai il
palmo aperto di Edward, nel tentativo di placare quel disturbo. «Okay, allora riposati, amore.» Evidentemente, aveva ben capito cosa avevo, e del perché non reagivo alle sue intenzioni. Ascoltai con poca attenzione le sue parole che scorrevano sopra il mio collo, e che si sperdevano nell'aria intrisa di vaniglia.
EDWARD.
Il
mio cuore aveva preso a palpitare quasi con la stessa velocità dei
battiti d'ala di un colibrì, facendomi sentire leggero, leggerissimo. E
tutto quello era accaduto nel giro di poche ore, così veloce da farmi
perdere completamente la cognizione del tempo e la ragione, rendendomi
instabile, ma estremamente innamorato. Sì,
ero innamorato, follemente innamorato. Mi ritrovai a paragonare Bella
con Tanya, ed erano distanti anni luce l'una dall'altra. Anche fisicamente, erano molto diverse. Una
bionda, e altra bruna. Una con gli occhi chiari, azzurri cristallini
come il cielo terso estivo, l'altra con due pozze di cioccolato
fondente fuso, con qualche pagliuzza dorata all'interno. Psicologicamente,
erano come il sole e la luna. Tanya, decisamente eccentrica e intenta a
essere sempre al centro della situazione, impaziente per tutto,
frettolosa, permalosa e soprattutto, era un cane che si mangiava
continuamente la coda. Bella,
la ragazza modesta cresciuta in una famiglia che poteva darle tutto, ma
non chiedeva mai nulla; insicura, dolce, sensibile, impacciata ma
riusciva a essere perfetta in ogni sua azione. Era chissà quante volte meglio di Tanya. Vederla
riposare, con il lenzuolo leggero appena posato sopra il suo corpo
candido e minuto, era uno spettacolo indescrivibile, sembrava quasi una
bambola di porcellana; il respiro si era fatto regolare, il viso, così
rosso e affannato fino a qualche ora prima, adesso era di nuovo sereno
e roseo, con un piccolo sorriso sulle labbra. Ero
pronto a poter rivivere lo stesso senso di benessere di qualche ora
prima, ma quando lei mi aveva chiaramente fatto intendere che non se la
sentiva, avevo deciso di lasciar perdere. Doveva essere sfinita, lo
avevo intuito da quel suo gesto così dolce ma che suonava come
un'implorazione: il fatto che mi avesse preso una mano e strofinata
proprio dove qualche ora prima c'ero stato io, aveva dichiarato il suo
stato d'animo. Le
carezzai i capelli lunghi sparpagliati sul cuscino bianco; se ne stava
prona, con le braccia intrecciate sotto il guanciale. Storse
leggermente il naso, per poi voltarsi dall'altra parte. La
sveglia segnava le otto e trenta; flebili raggi di sole filtravano
attraverso le persiane, ancora chiuse, e disegnavano forme sulla
schiena nuda di Bella. Le posai un bacio tra le scapole, e un altro in
mezzo alla schiena; rabbrividì ma non si mosse, e la lasciai riposare. Dovevo sembrare uno scappato di galera, vista la nottata passata a fare tutt'altro che dormire. Continuai
a pensare per un tempo infinito a quello che era successo durante la
notte. Non mi ero mai sentito così vivo, nemmeno quando stavo con
Tanya, e fare l'amore – fatta eccezione per gli ultimi mesi, era
qualcosa di appagante ma anche liberatorio. Con
Bella, era tutta un'altra storia. Non c'era stata fretta, tutti i gesti
erano stati a lungo pensati, non ci furono riconsiderazioni, dubbi,
paure. Ci sentivamo liberi, non costretti in una morsa; avevo amato
Bella fra le mie braccia come non avevo mai fatto con nessuna donna
prima. Le
sue labbra, i suoi movimenti, i suoi sospiri, i nostri gemiti confusi
nell'aria impregnata di vaniglia, che per ore aveva reso l'atmosfera
ancora più romantica. Le mie mani sul suo corpo, le nostre bocche
vicine e congiunte, le frasi sussurrate a fior di pelle. Strisciai
silenziosamente in cucina, deserta e illuminata dalla luce del sole che
entrava dalla grande portafinestra affacciata sul terrazzo. Decisi
di preparare qualcosa per colazione, certo del fatto che, quando si
sarebbe svegliata, Bella avrebbe confabulato il suo desiderio di cibo,
come tutte le mattine. Amava
i pancake che, assiduamente, mi chiedeva e che io le cucinavo; ne
andava letteralmente pazza, e se non ci fossi stato io, tutte le volte,
a calmarla, ne avrebbe mangiati a tonnellate. Cucinare
senza avere brusii attorno era rilassante ma allo stesso tempo dava
quella tipica idea di solitudine, che io odiavo. Accesi la radio che
tenevo sempre a portata di mano, impostando il volume a livelli molto
bassi, giusto per avere un sottofondo musicale che mi tenesse
compagnia. «Mh, che buon odore.» Sussultai
quando sentii una voce estranea, e quando mi voltai trovai Bella
proprio sull'uscio, che si aggiustava la camicia – la mia camicia, e
che si sistemava i capelli arruffati. «Buongiorno, dormigliona.» Le sorrisi, e ricambiò il gesto; il mio cuore perse un battito, vedendola così... felice. «Buongiorno.»,
borbottò, stropicciandosi gli occhi, ancora appiccicati dal sonno.
Sotto la camicia, indossava un paio di slip chiari; i bottoni della
maglia erano sfalsati, ma non glielo feci notare né se ne accorse. Quando
si avvicinò di più, le sfiorai con la punta delle dita la pancia,
giocherellando con il tessuto; prese la mia mano fra le sue e si
accostò a me, poggiandosi al mio petto. Come due calamite, le nostre labbra si scontrarono, prima delicatamente, poi presero a inseguirsi sempre più. «Sto morendo di fame.» Bella si staccò, massaggiandosi lo stomaco. «Allora
siediti, su.», la incalzai, spingendola leggermente verso il tavolo. Le
diedi il piatto colmo di frittelle, passandole poi la salsa di acero e
la cioccolata fusa. «Secondo
me, tu sei dotato di telepatia.», gorgogliò, prendendo con la forchetta
il primo boccone. «Riesci sempre a capire cosa voglio.» Risi, prendendole il mento fra le dita. «È un dono naturale, mademoiselle.» «Dici?», sorrise, posando un veloce bacio sulle mie labbra. Annuii convinto, ammirando i suoi bellissimi occhi. «Oh, già.» Versò
sopra i pancake una generosa dose di cioccolato fuso, fissandomi. Forse
pensava che avrei dovuto dirle “basta così”, eppure non lo feci.
Ultimamente mangiava più del solito, e a me non interessava, perché se
lei era felice così, lo ero anche io. «In ogni caso, sono venute veramente buone.» Sorrisi,
e preso da uno strano istinto, adagiai la mia bocca contro la sua,
macchiata di cioccolato. Rispose al bacio, e subito l'unico neurone che
era rimasto sano, nella mia testa, se ne andò a farsi benedire. «Mh, sulle tue labbra sono ancora meglio.», sussurrai e lei lasciò andare le posate per circondarmi il collo con le mani. «Sul serio?» «Oh, beh», mormorai, carezzandole la pelle tesa dell'addome. «Puoi ben scommetterci.»
BELLA.
Di
sicuro, il buongiorno si vedeva dal mattino, senza ombra di dubbio.
Anche se non avrei mai pensato da un risveglio così dolce, perfetto,
come solo Edward poteva regalarmi. Non
era la prima volta che mi ritrovavo con una marea di farfalle nello
stomaco, che svolazzavano imperterrite, facendomi sentire così insicura
di me stessa. Era
successo tante volte, quando stavo con Christian, di non sentirmi mai
veramente pronta ad accoglierlo, ad amarlo, eppure lui era così sereno,
tranquillo... Quasi non se ne accorgeva. E quindi dovevo lasciarmi
andare, lasciarmi colmare dai suoi modi bruschi, fingere, a volte, di
provare veramente piacere... Una delle cose più infami che mai
potrebbero capitare in una coppia. Ma
Edward... No, lui non ci riusciva, neanche se lo avessero mai pagato
avrebbe deciso di amarmi con le cattive maniere; lo avevo capito la
sera prima, quando aveva acceso tutte quelle candele, quando l'aroma di
vaniglia circondava i nostri corpi, aveva lasciato al caso che tutto
accadesse naturalmente, amorevolmente, liberamente. Poter
sentirmi viva, dopo tanto tempo, era una specie di sollievo; poter
amare di nuovo era un miracolo, sapermi accettare per quel che ero era
una benedizione, lasciarmi amare era la fine del mondo, tutto quello
che potevo veramente desiderare. E ce l'avevo, finalmente. Tra le mani, nel corpo, nella mente. Nel mio cuore, che ora batteva impazzito, sotto il tocco speciale di quell'uomo che tanto mi amava. «Edward...», ebbi la forza di mugolare, ma lui mi zittì posando le labbra sulle mie. «Shh,
non dire nulla.», mormorò, portando le mani sotto le mie cosce. Mi
sollevò, dolcemente, per poi adagiarmi sopra il bancone della cucina. Era
come essere in un film, dove i personaggi fanno sesso in cucina,
noncuranti del fatto di poter essere visti o scoperti. Sì, con Edward
era una cosa del genere, ma nessuno ci avrebbe visto né scoperto, e
soprattutto non avremmo fatto sesso, ma ci saremmo amati come due
persone che si conoscono da anni, come due anime perfettamente uguali. Percepire
la sua bocca contro la mia era come poter bere nel deserto, era una
specie di droga, qualcosa da cui diventi dipendente, da cui non
vorresti mai separarti. «Hai freddo?», sussurrò, vedendomi rabbrividire. Scossi il capo, carezzandogli le mani che teneva sui miei fianchi. Continuammo
a baciarci, stringendoci a vicenda, sfiorandoci e accarezzandoci.
Qualche secondo dopo, ci ritrovammo sul letto sfatto, con le mani in
giro per il corpo, i capelli scompigliati, il fiato corto. Le
sue dita sfilarono agili i bottoni dalle asole, delicatamente abbassò
la camicia. Con i polpastrelli percorse il profilo dello sterno, il suo
respiro bruciava sulla mia pelle. Lasciò una scia di baci lungo tutto l'addome, gli strinsi le spalle, chiusi solo gli occhi. «Che c'è?» Mi accarezzò la spalla ormai nuda, costringendomi a guardarlo. «Niente.» Adagiò
le labbra sulle mie, mordendomi quello inferiore. Poco dopo, ci
ritrovammo completamente esposti allo sguardo dell'altro; posò un dolce
bacio sul collo, la sua mano mi carezzò una coscia. «Non ti senti indolenzita? Non hai nemmeno un po' di dolore?» Scossi
il capo, mentendo spudoratamente. Il fastidio al basso ventre
continuava a essere accentuato, ma non mi importava, non quando Edward
mi accarezzava, baciava, toccava in quel modo. La
sua bocca tornò sulla mia e amabilmente, dolcemente, perfettamente e
semplicemente si unì a me. I nostri corpi combaciavano come due tessere
di un unico puzzle... Un'altra prova del fatto che ci completavamo,
insieme. «Ti faccio male?» Edward, il solito iperprotettivo, che si preoccupava di tutto, anche in un momento come quello... Non
risposi e lasciai che ci amassimo nel migliore dei modi, gemendo sulla
bocca dell'altro, accarezzandoci, mormorando parole sconnesse. «Ti
ho già detto quanto ti amo?», sussurrò contro il mio collo,
sprofondando sempre di più dentro di me. Ridacchiai fra i gemiti,
arpionandogli le spalle per riuscire a mantenere quel minimo di
lucidità. «Sì, amore...» La
sua mano scivolò fra le mie cosce, sfiorando appena il punto dove
eravamo uniti, di nuovo. «E allora te lo ripeterò per sempre.» Mi baciò entrambi i seni, e sussurrò “ti amo”. Mi pizzicò la pelle del ventre, e mormorò “ti amo”. Posò le labbra sulle mie, in un dolce e lento bacio, e disse “ti amo”. Mi prese le mani, chiudendo gli occhi quando il piacere fu troppo elevato, e emise un “ti amo” appena accennato. Mi guardò negli occhi, e pronunciò “ti amo”. Appoggiò
il capo sul mio seno, affannato, il fiato spezzato, il corpo imperlato
di un leggero strato di sudore. Presi ad accarezzargli i capelli ispidi
sulla nuca, socchiudendo gli occhi per godere appieno di quel senso di
felicità e appagamento che mi pervadeva, che mi faceva sentire leggera. Rimanemmo
in silenzio, ad ascoltare i nostri respiri tornare regolari, a
sfiorarci delicatamente, a percepire il cuore dell'altro battere
all'impazzata. «A
cosa pensi?», fece ad un certo punto Edward, sollevando il capo dal mio
petto, per osservarmi meglio. Non incrociai il suo sguardo, ma rimasi a
fissare il soffitto, con quel sorrisino ebete sul viso. «A
quanto sono felice...», mormorai appena, sospirando. Uscì da me e
improvvisamente mi sentii vuota, ma mi voltai per poterlo vedere. Con i polpastrelli, mi toccò la guancia, baciandomi lievemente. «Ti amo.» «Anche
io...» In quel momento, una lacrima, una traditrice, solcò
silenziosamente la mia gote, andandosi a scontrare contro le dita di
Edward. «Ehi,
perché piangi?», si allarmò ma io scemai la situazione con un gesto
confuso del capo, asciugandomi la guancia con il dorso della mano. «Perché sono felice.», sussurrai, ridendo. «Sono solo felice, perché ci sei tu.» Salii
a cavalcioni su di lui e quello che successe poco dopo fu l'ennesima
prova di quanto ci amassimo. Le mani di Edward su di me, gli ansimi, le
spinte... Tutto fu perfetto, di nuovo, e lo sarebbe sempre stato, in
realtà. Lo amai, e lui amò me, come se fossero stati gli ultimi istanti
insieme; godemmo appieno della presenza della persona che ci
completava, ricordammo ogni istante per quanto prezioso fosse, ci
sfiorammo con amore, aspettammo l'altro nel riprendere fiato, ci
tendemmo la mano quando fu necessario, ci dicemmo “ti amo” quando ne
sentimmo il bisogno, ci guardammo quando non trovammo le parole per
definire quello che provavamo. Tracciai la forma del suo cuore sul
petto, mi carezzò la spina dorsale calcando ogni piccola fessura tra le
vertebre. Gli sfiorai le labbra con delicatezza, mi toccò con passione
ma con il timore di farmi male. «Grazie.»,
mormorai sul suo petto, posando un piccolo bacio proprio sopra il suo
cuore. Mi guardò perplesso, la sua mano disegnava cerchi sulla mia
schiena nuda. Eravamo sudati, bollenti e ancora ansimanti, ma poco importava, nessuno dei due voleva rovinare quel momento dividendosi. «Mi sono perso qualcosa?» Risi
per la sua ingenuità che lo rendeva proprio un bambino, ma anche quello
era una piccola parte di lui, e io la amavo, così come amavo Edward. «Grazie
per aver reso la prima volta così speciale, grazie per avermi amata e
resa unica come mai prima di adesso, grazie per avermi aspettata, e non
aver indugiato un secondo su di me.» Mi
prese il volto fra le mani, gli occhi lucidi, la fronte madida di
sudore. Le sue labbra tornarono sulle mie, toccandosi lentamente e
inseguendosi. «Un
“grazie” è troppo banale, mi sa.», sussurrò quando ci staccammo per
riprendere fiato. «Però penso che basti farti sapere che ti amo, e
farei qualunque cosa per te...» Sorrisi alle sue parole e con amore mi lasciai baciare e coccolare di nuovo, sotto la fievole luce che penetrava dalle finestre.
«Penso che dovremmo darci una lavata.», borbottò Edward, asciugandosi il viso umido. Ridacchiai,
pensando a quello che era successo poco prima... Di certo, non era
colpa mia se si era lasciato andare “un po' troppo”. «Allora prima mi lavo io, poi facciamo a cambio.», dissi, cercando di alzarmi ma lui mi bloccò. «No,
non vai da nessuna parte.» Mi afferrò per il braccio e mi fece ricadere
tra i cuscini, procurando così un fiotto di risate da parte mia. «Io
avrei un'altra idea...» Nella
sua voce ritrovai quella nota maliziosa e ben preso le sue labbra si
impossessarono delle mie, e le sue mani trovarono subito i punti più
sensibili del mio corpo. «Edward...», mugolai mentre la sua bocca tracciava su tutto il seno una scia bollente. «Dai, ora basta.» Non mi ascoltò e anzi proseguì per la sua strada, scendendo sempre più giù. «Amore, non possiamo...» «Non
c'è nessuno che ci corre dietro.», mormorò, tornando sopra i miei seni.
«E direi che abbiamo tutta la giornata a nostra disposizione.» Sospirai
e, a malincuore, scivolai via da sotto la sua presa; sul suo volto
comparve una smorfia indignata, il labbro di sotto divenne sporgente,
proprio come quello di un bambino a cui è stato tolto il lecca-lecca. «Dai,
Bella...», provò a persuadermi, ma quella volta riuscii ad alzarmi e a
fissarlo con attenzione... Anche se lui era intento a fissare ben altro. «No, niente “dai, Bella”.», risi, baciandogli il naso. «Vado di là.» Ero
quasi sull'uscio, pronta a dirigermi in bagno, quando comparve alle mie
spalle e mi circondò i fianchi con le braccia. «E non vuoi nemmeno
sentire la mia proposta?» Alzai il sopracciglio, voltandomi. «Pensavo fosse dissuadermi e finire con fare sesso un'altra volta.» «Intanto non è sesso, ma fare l'amore.», borbottò sulla mia bocca. «In ogni caso, la mia idea era di fare il bagno assieme.» Scossi il capo, alzando gli occhi al cielo. «Gesù, Edward, ma non ti stanchi mai?» Rise
dell'esasperazione nella mia voce. «Peccato che non volessi farlo di
nuovo, ma solo stare un po' con la donna che amo, giusto il tempo di
farle due coccole...» Sorrisi e gli carezzai la guancia, intenerita. «Oh...» Sembrò
arrossire un poco, poi mi prese la mano e mi condusse in bagno, dove
preparò la vasca, riempiendola di acqua calda e versandoci dentro il
suo bagnoschiuma preferito, quello per cui davo di matto... Non per
niente amavo l'odore della pelle di Edward. «Ora
sei più rilassata?», mi chiese non appena adagiai la schiena al suo
petto, immersi nel vapore che aleggiava nella stanza. Annuii convinta,
intrecciando le mie dita alle sue. «Sì, sto decisamente meglio.» Mi baciò i capelli, per poi stringermi. «Ti fa tanto male?» Capii a cosa si riferisse. Forse stava ripensando a quello che era successo prima, in camera da letto... «Un po'... Amore, perdonami per prima.», sussurrai, imbarazzata per il discorso. «Non dirlo. È... colpa mia, è solo colpa mia se è successo, davvero. Non potevo andare a immaginare che...» Mi
voltai e posai il dito sulle sue labbra, così da non lasciargli il
tempo di terminare la frase. «Shh... Sto bene, okay? Fa... un po' male,
è vero, ma capita, giusto?» Abbozzai
un sorriso, che lui subito ricambiò. Era vero, nessuno di noi due
poteva pensare che potesse farmi del male, ma era stato totalmente
involontario... «Sì, in teoria sì, ma...» «...
ma è stato perfetto, chiaro? Non ti incolpare.», conclusi io per lui,
sfiorando il profilo della sua mascella. «Io non avrei mai potuto
andare che sarebbe andata meglio di così...» «Avrei
voluto non rovinare tutto.», borbottò, abbassando lo sguardo, che
subito alzai. «Edward, ti prego, no. Non hai rovinato niente, come devo
dirtelo?», quasi sbottai, perché era testardo, peggio di me. «Io...
dio, sono così felice, perché non lo capisci? Ieri notte, oggi, prima,
ho capito quanto ti amo, ho capito cosa sei tu per me.» «Lo sai cosa vorrei poter dirti, Bella. Lo sai che per me è la stessa cosa, ma dovresti essere infuriata con me.» Mi
scansai dalle sue braccia, facendo uscire l'acqua dalla vasca. «No! Non
lo sono! Edward, pensi che tu sia l'unico che ha fatto male alla
propria donna donandogli piacere? Facendo l'amore? Nel farla sentire
totalmente e incondizionatamente amata?» «Non in quel modo, però.», aggiunse, incrociando le braccia al petto. Ora
cominciava davvero a farmi arrabbiare. «Cavolo, ora giuro che prendo le
mie cose e me ne vado, se continui in questo modo. Tu, tu non mi hai
fatto nulla, okay? Era un po' di sangue, niente di che, cosa vuoi che
sia stato? Mi hai fatta stare bene, prima, mi hai fatto sentire la
donna più felice della Terra, mentre ero nelle tue braccia, mentre eri
dentro di me, mentre sentivo l'amore sprigionarsi in ogni mia cellula
del corpo. Come te lo devo dire?» I
suoi occhi verdi si illuminarono, e le sue mani presero le mie,
facendomi avvicinare di nuovo a lui. «Per me è stata la stessa cosa,
amore...» «E allora perché continui ad incolparti?» Sospirò. «Non lo so... Amore, davvero, non lo so.» Catturai le sue labbra in un bacio veloce, per poi sorridergli. «Allora smettila, e goditi questo momento, okay?» Tornai al mio posto, carezzandogli le mani lisce, mentre lui mi baciava il collo, la nuca, le spalle. Mi
lasciai insaponare, e gemetti quando si soffermò in alcuni punti. Lo
maledetti mentalmente quando le sue mani finirono fra le mie cosce,
accarezzando delicatamente quel tratto di pelle, e anche quando mi
prese fra le mani il seno, ma solo per pochi secondi. Dopotutto, aveva
promesso, non saremmo di nuovo finiti sotto le coperte a sudare, anche
perché il bagno si sarebbe rivelato inutile. «Stavo pensando...», mormorai, squarciando il silenzio attorno a noi. «Stavo pensando al mio passato.» «A che parte?» Ed mi baciò la spalla, accarezzandomi l'addome e le gambe. «A
quando stavo con Christian.», buttai lì e di colpo, lui si fermò. Le
sue mani rimasero ferme sulle mie ginocchia, le labbra si scostarono
dalla mia pelle. «E perché?», domandò, aggiustandomi i capelli umidi. «Perché?» «Perché...
perché con lui non è mai stato così.», borbottai, e davanti ai miei
occhi rividi i tempi passati con quell'uomo: le urla, le minacce, le
liti, le sue mani addosso a me, ma non mi accarezzavano, no, affatto.
Vidi il suo volto nei ricordi, e qualche lacrima sfuggì al mio
controllo. «Con
lui la prima volta è stata... terribile. Non avevo sentito nulla, avevo
pianto dal dolore, avevo perso sangue, avevo avuto bisogno di giorni
per riprendermi e per poterlo rivedere. Le volte dopo furono migliori,
ma mai al massimo dell'amore; mancava sempre quella punta di qualcosa,
che non ho mai trovato stando con lui.» Mi
girai, per guardare meglio Edward; il suo volto era piegato da una
smorfia di disgusto, gli occhi si erano spenti, il respiro si era fatto
pesante all'improvviso. «E
poi... C'è stato quel terribile periodo, lì non sapevo più cosa fosse
l'amore, quali fossero i miei sentimenti verso Christian...» Abbassai
il capo, intristita e completamente alla deriva, ma Ed calmò
velocemente il mio animo. «Non ci devi più pensare, okay? È acqua
passata, non ti farà più del male, amore mio.» «Ma
con te, è tutto diverso», singhiozzai, sorridendogli. «Con te ogni cosa
è diversa. Quando mi tocchi, quando mi baci, quando sei dentro di me...
Niente è come prima, nulla. Ieri notte, mi sono sentita di nuovo me
stessa, ho sentito di nuovo quella parte della vecchia Bella tornare
dentro di me. Ho capito di aver bisogno di te come non mai, perché ti
amo, perché adoro tutto di te, e...» Con
urgenza, come a placare quel lamento, Edward premette la sua bocca
contro la mia, ma sempre con dolcezza. Le mie mani si intrufolarono fra
i suoi capelli, le sue sulla mia schiena; mi spinse a cavalcioni sul
suo bacino, premette il mio petto contro il proprio. Fu una necessità,
un bisogno primitivo, quello di sentirlo così vicino a me, e
probabilmente lo stesso era per lui. «Io
non potrei mai farti niente di tutto quello, chiaro? Niente, perché io
non immaginerei mai di procurarti dolore o farti piangere... Okay,
forse prima è stato diverso, ma non è stato intenzionale. Io ti amo,
non so cosa farei senza di te.» Gli
carezzai le guance arrossate, le labbra gonfie così come le mie, e mi
persi in quegli smeraldi luminescenti, che brillavano davanti a me. Con
lui, non avevo paura, non ne avrei mai avuta.
Ero
rimasta a fissare fuori dalla finestra per così tanto tempo che il
sole, con il suo chiarore pallido, mi aveva stordito. Edward era uscito
per andare a comprare qualcosa per cena, e io avevo deciso di
aspettarlo a casa, anche perché il fastidio al basso ventre e alle
gambe non aveva dato segno di miglioramento. Il
silenzio che si espandeva tra le pareti era assordante, fischiava, mi
tappai le orecchie per provare sollievo, ma niente, non sparì, e
divenne sempre più intenso. Mi
sentivo terribilmente sola; era come se all'improvviso il mio corpo
fosse stato svuotato dal suo calore, come se all'improvviso fosse
sparito il sole, come se fosse mancata una parte del mio corpo. Eppure
non era successo proprio nulla, mi ero solo separata per due secondi
dalla persona che amavo... Ma era forse quello il sentimento che si
prova quando si è veramente innamorati? Per
troppo tempo non l'avevo testato, dopo tutte quelle vicende terribili
che perseguitavano il mio passato avevo decisamente scordato cosa
volesse dire amare e essere amati... Percorsi
il salone lentamente, accarezzando tutti i mobili attorno a me; ognuno
di loro sembrava volermi raccontare una parte della vita di Edward, di
Meredith, della loro famiglia, di tutti i ricordi belli e anche quelli
brutti. Il divano rovinato, con la pelle scura graffiata dal passare
degli anni; i mobiletti consunti, i libri accuratamente riposti sulle
mensole; accanto a essi, i DVD di alcuni musical e vari CD musicali. Su
un ripiano, c’erano delle foto di quella famiglia dove cominciavo a
sentirmi partecipe: il battesimo di Mary, i primi scatti delle bambine
avvolte nelle copertine nelle nursery dell’ospedale, Ed con loro, il
primo giorno di scuola della più grande, i sorrisi e le risate nei
momenti più sereni che avevano già passato assieme. Mi
ricordarono quegli istanti vissuti con Charlie e Renée, quando ero più
piccola e viaggiavamo ovunque. Casa dei miei genitori era piena di miei
ritratti e gigantografie, foto e quant’altro, il mio volto era ovunque,
dai primi attimi di vita, fra le braccia dei miei genitori, a qualche
mese prima del mio trasferimento a Londra, o ancora nei saggi di danza,
o in quelli del coro, al diploma… Tutto
ciò che mi mancava era una famiglia solida e unita, non essere più
costretta a scappare e tornare per poco tempo. Volevo rimanere stabile
per sempre, trovare il mio posto nell’universo, riuscire ad amare
qualcuno come se fosse l’ultima persona sulla Terra. Piano
piano, stavo raggiungendo quel mio obiettivo, ero contenta ma anche
spaventata, perché sapevo che dietro l’angolo c’erano sempre sorprese
inaspettate, per lo più sempre negative… Era capitato ormai tante
volte, e mi ci ero abituata. Il
silenzio mi trapanava le orecchie, così presi un disco di musica
classica e lo posizionai nel lettore, aspettando che le note
cominciassero a propagarsi, zittendo così tutta quella solitudine. Io
e Edward, in ogni caso, eravamo perfetti l’uno per l’altra: tutto fra
di noi poteva funzionare, ci amavamo a vicenda, eravamo due tessere di
un puzzle senza fine. Sospirai,
pensando a tutto quello che era successo nei mesi precedenti, e di come
il tempo, e l’affetto, potesse rimarginare le ferite del passato, che
sembravano irreparabili, ma che in realtà erano solo superficiali, in
alcuni punti. Chiusi
per un secondo gli occhi e subito percepii un calore proprio sulla
pelle attorno, al che mi spaventai e provai a divincolarmi, ma qualcuno
dietro di me rise, e allora capii. «Ed,
che stai facendo?» Sorrisi e gli sfiorai la mano, coprendola con la
mia. Le sue labbra si posarono contro il mio orecchio, ridacchiando. «Oh,
niente, signorina Swan. Ho solamente una cosa per lei.» Mentre diceva
quelle parole, tolse le dita dal mio viso, ma io tenni gli occhi chiusi. «Che succede? Guarda, hai paura?» Il suo tonto sembrò divertito e giocherellò per un attimo con i miei capelli. «Non
devo preoccuparmi?», chiesi, ma non ottenni risposta, così obbedii.
Davanti a me, c’era un grande mazzo di rose rosse, avvolte da un tulle
color pastello, il tutto legato con un fiocco. «Buon
San Valentino.», mormorò contro il mio orecchio. Percepii il suo
sorriso compiaciuto davanti alla mia espressione esterrefatta, e fui
così colta di sorpresa che mi girai e con irruenza incollai le labbra
sulle sue. Non
oppose resistenza, ma impiegò qualche secondi a rispondere con
dolcezza, posando entrambe le mani sui miei fianchi e sollevandomi dal
bordo del divano. «Tu sei pazzo.», sussurrai, accarezzandogli la folta zazzera di capelli ramati, provocando così un altro sorriso. «Per
così poco.» Con me fra le braccia, si spinse verso lo stereo e cambiò
la traccia audio, fino ad arrivare a “We’ve got tonight”, canzone che
avevo sentito parecchie volte ma mai veramente apprezzato. «A
cosa stai pensando?» Mentre la canzone cominciava, le sue mani vagavano
sulla mia schiena, stringendomi sempre di più al suo petto. Alzai il capo, fissandolo. «A quanto sono felice.» Sorridendo, di nuovo, mi baciò la fronte, girando lentamente su di sé. «Sei stanca?» «Un po’.», risposi, ma subito mi affrettai ad aggiungere: «Ma vista la giornata di oggi, direi che è tutto giustificato.» Ridemmo assieme, come due bambini, le mani intrecciate, i corpi vicini, i respiri sincronizzati. «Non sai quanto ti amo…» Squarciò il silenzio fra di noi all’improvviso, con le labbra fra i miei capelli, con dolcezza. «Oh,
ne ho una vaga idea.», scherzai su, sfiorandogli la guancia con i
polpastrelli: la barba ispida, molto corta e leggera, mi faceva il
solletico. Mi prese il mento fra le dita, facendomi così alzare il viso per guardarlo meglio. «Ma come fai?» «A fare cosa?» «A
rendermi così… Felice. Dio, quando sono vicino a te, mi sento
tremendamente leggero, è una sensazione strana, non so neanche come
definirla. Quando tu mi sei accanto, il mondo potrebbe crollare e io
non me ne accorgerei, non quando tu mi stringi la mano, non quando i
tuoi occhi si illuminano se ti parlo, non quando sono me stesso.» Cercai
di dire qualcosa ma lui mi fermò solo con un’occhiata, poi prese un
respiro profondo e continuò. «Hai stravolto la mia vita, Bella.
Completamente. Sei arrivata così improvvisamente che fino a poco tempo
fa non avrei mai pensato di poter amare qualcuno oltre alle mie figlie.
Hai reso tutto migliore, sia per me sia per le bambine. Sono così…
felici, da quando sei entrata nelle nostre vite. È qualcosa di
straordinario e meraviglioso come una persona possa renderti migliore…» Posò un bacio delicato sulle mie labbra, premendo le mani al lato del mio viso, mentre le note continuavano sotto di noi. «Se
penso a come quell’uomo abbia potuto farti del male… Non lo capisco,
veramente, come ha potuto? Tu per me sei una delle cose migliori che mi
sia mai capitata in tutta la mia vita, non saprei come descriverti,
forse come parte di me, o del mio universo, non ci sarebbe una parola
capace di rappresentarti. Ma su una cosa sono sicuro: non potrò mai
fare male alla donna che più amo al mondo, e neanche lascerò qualcuno
toccare la mia ragazza.» Sorpresa, lo squadrai, cercando nei suoi occhi la verità delle parole appena dette. «La tua ragazza?» «Non posso definirti così?» Sembrava sconcertato, ma sotto sotto vedevo che se la rideva. «È solo che mai prima di adesso mi hai mai chiamata in questo modo… Non pensavo che…» Mi zittì baciandomi e poi prese ad accarezzarmi i capelli. «Mi sembrava fosse sottointeso che eri “la mia ragazza”, no?» Annuii convinta, con un sorrisino sulle labbra. «Be’, ormai niente è sottointeso, conoscendoti.» Rise,
stringendomi. Era così felice… E tutto grazie a me. Finalmente nella
mia vita avevo fatto qualcosa di buono per qualcuno. Ero sull’orlo
delle lacrime, non potevo crederci, ma ormai ero con lui, tutto era
reale. «Quindi… Questa è una dichiarazione alla tua ragazza?», lo scimmiottai, senza distogliere lo sguardo dal suo viso. «Mi pare ovvio, signorina.» Mi
alzai sulla punta dei piedi, fino ad arrivare alla sua bocca, fino a
sfiorarla e a morderla. «E allora non possiamo renderla concreta?» Mi sfiorò l’addome, prendendomi fra le sue braccia. «Oh. Ma certo.» Fra
le risate, mi portò in camera, dove ci amammo con tutta la serenità
possibile, senza pensare a quello che sarebbe potuto succedere, senza
pensare alla fine del mondo. Non quando eravamo insieme, vicini, stretti l’uno all’altra. Avevamo tutta la notte, e il “domani” non ci sarebbe servito.
___________ Ehm... Salve? Okay, non dovrei neanche farmi vedere, sono una vergogna, ma uff, giuro che non è colpa mia... O in parte sì. Va
beeeeene, colpa mia, ma anche del mio vecchio pc che ha deciso di
andarsi a fare benedire... Anche se quello è avvenuto dopo Natale, ma
va bene lo stesso... Insomma. Cmq, no, veramente, non potete
immaginare. Allora, sono al primo anno di liceo, e alcune cose le avevo
prese in considerazione già da settembre, tra cui il fattore
aggiornamenti. Avevo avvertito che non sarei stata molto regolare,
ma in realtà non pensavo in questo modo. È vero che una pausa di due
mesi ci può anche stare... ma di 5, quasi 6? Non direi, no. *si picchia* Perciò,
perdonatemi veramente, ma questo capitolo è stato un calvario, sia per
il momento in sé sia per ciò che è stato descritto... Povera bambina
ingenua che non sa cosa scrivere... bah. Anyway, spero che vi sia
piaciuto, io ci ho messo il cuore, la pelle, l'anima e anche il sudore!
(le mie dita ringraziano con amore). Non vi posso dire il prossimo
aggiornamento quando avverrà, il tempo di racimolare due idee e mi
metto giù di sana pianta (che poi so già cosa scrivere, ho solo bisogno
dello stimolo adatto... Vallo a trovare mo'.) In
ogni caso, mi scuso ancora per tutta questa attesa, ma vi voglio far
sapere che sono stata veramente male sapendo di farvi stare sulle spine
per tutto questo tempo, perciò spero che il prossimo aggiornamento
avvenga il prima possibile, magari già a maggio... Tanto ho il ponte,
dovrei riuscire a scrivere qualcosa :) Con
questo, spero di ricevere qualche recensione, soprattutto per dirmi
cosa vi è parso del capitolo: se troppo pieno, troppo poco, bello,
brutto, da cestinare... Ditemi un po' voi :) Questo è il mio gruppo di Facebook dove seguirmi, con scleri, spoiler e tormenti compresi. :) E QUI il mio profilo :) Bom, finisco qui. Aspetto le vostre recensioni <3 un bacio! Giulia
Salve
a voi che avete aperto questa pagina sperando di trovarvi un
bell'aggiornamento da leggere in questi pomeriggi uggiosi. Stavate già
esultando davanti al monitor di un pc, carichi di pazienza perché si
sa, i capitoli delle mie fanfiction non sono mai molto corti, vero?
Ma come avrete capito no, non c'è nessun aggiornamento, né so quando
verrà caricato, e mi spiace avervi illuso in questo modo.
Ebbene, volevo solo scrivere un breve avviso per dirvi che non sono sparita,
non mi hanno rapita gli
alieni né un enorme
buco nero mi ha risucchiato in una realtà parallela.
Niente di tutto questo. Più semplicemente, come preannunciato poco fa
anche se implicitamente, volevo dirvi che gli aggiornamenti non saranno
più previsti come da normale svolgimento (sembra una di quelle
comunicazione scolastiche...)
Purtroppo è così, e ve ne sarete accorti già da tempo che mi sono
assentata da EFP da mesi, con la speranza di tornare il prima possibile
con un capitolo carico d'amore mieloso e diabetoso, perchè
io stessa ci credevo, fino a qualche settimana fa. Però si sa, niente
va come si vuole, con il destino non si gioca poiché è lui a decidere,
e nel mio caso ha deciso che è bene scrivervi questo avviso.
Senza dimenarla per le lunghe, vi annuncio che le storie sono sospese fino a
nuovo ordine, e ciò va contro la mia volontà, in qualche modo, perché
mai dopo mesi di scrittura senza intoppi o pause (qualcuna c'è stata...)
avrei pensato che mi sarei trovata a scrivere un piccolo post come
questo.
Non so che stia succedendo, se è per la scuola, la vita privata o giargiatule varie,
ma non ho più un attimo per scrivere, né la voglia né l'ispirazione.
Per voglia intendo quella che ti spinge ad accendere il computer anche
se tu sai che hai ben altro da fare, e in men che non si dica ti
ritrovi a digitare parole e parole su un foglio bianco virtuale... Chi
scrive su questo sito probabilmente sa cosa intendo.
Questa voglia nella mia mente è sparita ed è da mesi che non fa
ritorno, per questo mi sembra inutile tenervi sulle spine inutilmente
perché prima o poi vi seccherete
e mi manderete in quel bellissimo luogo di
villeggiatura tanto nominato.
In ogni caso, non mi va di annoiarvi con un monologo infinito
costituito solo da scusanti e idiozie, perciò finisco qui. Non so
quando né se tornerò,
ma se avverrà (io spero) non è detto che le storie sospese vengano
continuate... Chissà se la mia mente malata produrrà qualche scritto
altrettanto insano.
Detto, anzi scritto,
ciò, vi auguro un buon pomeriggio.
Un bacio,
Giulia.