Little Moments of Life - Hetalia, pls' Fan Fiction week.

di Etiell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eternità ***
Capitolo 2: *** Mare e Cielo ***
Capitolo 3: *** Dittatura ***
Capitolo 4: *** Tè delle 5 ***
Capitolo 5: *** E guerra sia ***
Capitolo 6: *** Accento ***
Capitolo 7: *** Gita all'estero ***



Capitolo 1
*** Eternità ***


2 - "Eternità"

"Caro Diario,
nessuno potrà mai dare un nome a questa storia, forse destino oppure casualità. Io mi limiterei a chiamarlo amore. Sì, un amore che continua nei secoli. Siamo popoli diversi ma mondi vicini, legati dal tempo, meschino ed inesorabile. Io Italia e tu Germania, entità diverse aventi  in comune lo stesso passato. eravamo un unico impero finché tu non hai preferito lasciarlo, per capire fino in fondo che cosa volesse dire diventare importanti. Ma poi mi cercavi, sempre e comunque ero nei tuoi pensieri, come un'ardente fuoco che ti opprime l'anima.
Sorgevano le monarchie in Europa, mostrando fino in fondo il loro coraggio allo scopo di crearsi una strada prospera per il futuro. Noi invece no, perché un'altra cosa che ci legava era l'instancabile sogno di un Impero. E siamo diventati le vittime, il nostro territorio era lo scenario di feroci scontri che miravano alla nostra sottomissione. Forse era perché a loro mancava un sogno e volevano il nostro.
Anche noi abbiamo provato ad inseguire quel desiderio, cercando colonie oltre i nostri confini, sfortunatamente nemmeno in quel caso riuscimmo ad avere la meglio. Furono il vicino Francese e quello Inglese a prendere il sopravvento. Potevamo ancora puntare sulla cultura, lei che ci ha sempre rappresentato al meglio, attraverso le opere di importanti ed umili uomini  che sono riusciti a farla emergere e predominare sul mondo. E poi c'erano i tuoi artisti, Germania. Loro che mi facevano visita continuamente. Cercavano in me la vera storia, quella che tu gli negavi, loro erano solo desiderosi di capire fino in fondo ciò che veramente ci lega dall'inizio dei tempi.
Ed io ti ho sempre stimato, mostrandomi orgoglioso verso di te e verso tutto il tuo popolo. Non ero un frequente visitatore ma il mio cuore era sempre con te. Forse perché divisi dal fratello austriaco che tanto mi desiderava. E ricordi il vecchio ed amaro "Patto di Londra", quello che mi costrinse a separarmi da voi durante la prima Grande Guerra? Fu anche colpa sua, colpa di quell'austriaco che ancora aveva le mie terre, quelle terre che non voleva darmi a nessuna condizione. Ma io volevo la mia unità, volevo essere un paese forte quanto lo sei tu. Hai poi capito cosa provavo in quel triste periodo dopo la disfatta della seconda Guerra Mondiale, quando in quegli anni di follia maturasti la strana idea di dominare il mondo, sterminando così milioni di persone innocenti. Cominciasti a capire quando gli Alleati si appropriarono di te, spartendosi senza ritegno la tua bellissima terra avvelenata dall'odio. E non ci fu più una Germania, bensì due. Quella sotto il controllo sovietico e quella sotto il controllo americano. Arrivò anche per te il momento dell'esasperazione, quello che ti spingeva a voler riunire il tuo popolo, la tua gente, la tua cultura, consapevole di aver ormai espulso quel veleno mortale che ti lascia comunque una profonda cicatrice sul cuore.
Finalmente giunse quel 3 ottobre del 1990, quando riuscisti ad ottenere la tua riunificazione. Io ero felice quel giorno, felice ma invidioso, perché sapevo che saresti diventato nuovamente più forte di me, saresti tornato la grande potenza, benvisto dagli occhi del mondo. Ma non ti odio affatto per questo, perché il mio amore è ancora forte e sono convinto che il suo infinito potere che ha oltrepassato guerre, rivoluzioni e riunificazioni, possa continuare. Da qui fino all'eternità."


Ludwig finì di leggere quelle parole provando una pesante sensazione di malinconia. Non avrebbe dovuto aprire il diario di Feliciano, era sbagliato e lo sapeva bene ma ci aveva trovato dentro più di quanto potesse immaginare. Quell'italiano, tanto sbadato e buffo all'apparenza, dietro ad un foglio di carta riusciva ad esprimere la sua vera essenza. Fu questo che lo meravigliò.
Richiuse lentamente quel piccolo quadernino verde e si avvicinò al letto nel quale dormiva tranquillamente il suo amante, il suo compagno di vita. Lo osservò, lo studiò, comprendendo che nemmeno l'eternità sarebbe bastata per capire quanto unico e speciale fosse quel piccolo a sbadato italiano che tanto amava.

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Capitolo 2
*** Mare e Cielo ***


63 - Mare e cielo


(UsUk)

Avevo sempre immaginato un simile scenario che facesse da sfondo ad una coppia innamorata,  il paesaggio mistico che si crea nel momento in cui un timido sole sorge dal punto in cui l'infinità del mare e quella dell'oceano si incontrano. Ed eravamo propri lì, io e te, stretti l'uno all'altro intenti ad assaporare la delicata brezza di quel vento che, non curante del nostro volere, ci scompigliava i capelli. C'erano però le tue mani a scaldarmi, impedendo a quell'aria di entrare in contatto con la pelle nuda delle mie braccia. Era tutto speciale,  i tuoi baci sul mio collo, il mio solito e stupido orgoglio e l'alba. L'unica cosa che rovinava il mio perfetto palcoscenico era il motivo per il quale eravamo su quella grigia scogliera. Era per dirci addio, un addio temuto da entrambi, quel straziante arrivederci che ti avrebbe portato via da me, a combattere una guerra alla quale non dovevi niente.
«Tornerò, te lo prometto! Non ti sbarazzerai di me così facilmente.»
Diamine, c'era sempre una battuta pronta ad uscire dalla tua bocca, anche nei momenti più difficili riuscivi comunque a donarmi un sorriso, seppur malinconico. Forse era anche per questo che ti amavo così tanto. Io, quel burbero e perfetto inglese innamorato di un rumoroso e brillante americano. Sembra strano ma tu sei stato la cosa migliore che mi potesse mai capitare.
«Non fare tali promesse se non sei sicuro di mantenerle.»
Risposi voltando il viso per evitare che vedessi le lacrime che si facevano strada sul mio viso. Tra le mani stringevo un fiore, la rosa che mi avevi regalato poco prima. Una rosa, si potrebbe pensare alla banalità di quel dono. Ma se uno ci riflette bene capirà che la rosa è il simbolo di quegli amanti che si amano al buio, perché dietro ad ogni petalo si nascondono i segreti degli amori impossibili. Una rosa regalata di fretta, regalata per sbaglio o solo appoggiata sul cuscino della persona alla quale hai donato il tuo cuore prima di tornare al tuo mondo, negando la sua esistenza.
«Arthur…»
 Delicatamente la tua mano si posò sul mio mento, costringendomi così a voltarmi verso di te, ad osservare quegli occhi che possedevano lo stesso colore del mare e del cielo da cui avevo distolto lo sguardo.
«Se ti dico che tornerò lo farò. Ci proverò con tutto me stesso. Per te. Per noi, Arthur!»
Altre lacrime, meno timide delle precedenti bagnarono i nostri visi mentre le tue labbra erano impegnate ad abbracciare le mie in un doloroso bacio. Assaporavo il tuo sapore come mai prima, cercando di ricordarne ogni piccolo aroma. Così come per le tue mani tra i miei morbidi e lisci capelli biondi.
«Spero per te che sia così, Alfred.»
Dissi dopo quell'intenso momento di dolorosa passione. Mi regalasti un sorriso, non i soliti però, uno dolce, triste e pieno di speranza, mentre tornavi a stringermi forte tra le tue calde braccia.
Continuavo a guardare il sole che lentamente si alzava nel cielo, segno che da lì a poco saresti dovuto partire. E accarezzavo quel fiore maledetto, quel fiore bello e prezioso che non buttai mai, mai. Fino al giorno del tuo ritorno.


 

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Capitolo 3
*** Dittatura ***


103 - Dittatura

Ludwig POV 

Ogni persona ha la sua storia; c'è chi la racconta per non dimenticarla, chi per farsene un vanto e chi, come me, per tentare invano di espiare il peccato racchiuso in essa. La mia ebbe inizio nel 1921 a Berlino, pochi anni dopo la fine della grande guerra. Sebbene la Germania in quel periodo fosse sottoposta a pesanti sanzioni e la povertà regnasse quasi sovrana, la mia famiglia, discendente da una nobile stirpe, affrontava questa crisi piuttosto bene. La nostra villa era proprio al centro della città ed ospitava me, i miei genitori, , mio fratello maggiore Gilbert e mio nonno. Lui mi aveva sempre raccontato la sua storia, soprattutto quando ero un bambino e riusciva ad incantarmi per ore nel nostro salotto mentre eravamo avvolti dal calore del caminetto. Io lo ascoltavo in silenzio, pensando ai tempi andati e immaginandolo forte, coraggioso mentre combatteva  con onore per il nostro paese. "Ho lasciato una mano in quella trincea" mi raccontò "un giorno una granata inglese me la portò via. Mai fidarti degli inglesi, mio caro Ludwig. E nemmeno degli italiani. Fidati solo di quelli come te". E così crebbi con i suoi racconti, imparando da ogni sua parola, credendola quasi come divina e convincendomi di poter contare solamente sulle persone della mia stessa razza, quella ariana. Purtroppo l'origine di questo mio atroce peccato sta proprio nel fatto che raggiunsi la maggior età nel periodo del Nazional Socialismo, nel 1939 poco prima che il secondo conflitto mondiale ebbe inizio. Si è ingenui a diciotto anni, sempre pronti a farsi trascinare da idee di grandezza e potere, senza ragionare sulle vere conseguenze del male a cui si va incontro. Probabilmente, se avessi vissuto in quel periodo  con una ventina di anni in più sulle spalle, avrei saputo distinguere il vero bene da una falsa e crudele illusione.
A quattordici anni, mio fratello entrò nella Gioventù Hitleriana perché credeva fortemente nei valori del Nazismo. Anche mio padre ne era un dedito sostenitore, lui assieme a mio nonno, fedeli servitori della patria iscritti da anni al partito della croce uncinata. Così, forse per costrizione o per la mia sfrenata voglia di sentirmi superiore e potente, due anni dopo decisi di raggiungere mio fratello in quel cammino che mi avrebbe portato a diventare un membro fedele della Wehrmacht. Mi piaceva la vita da giovane soldato, non solo per le mie grandissime abilità fisiche, da far invidia quasi per due anni a mio fratello, ma anche per la fiducia e il rispetto che i miei istruttori avevano di me. "Tu sei il tipico ragazzo ariano, hai tutte le qualità fisiche per essere un degno membro della nostra nazione. Sono fiero di te, Beilschmidt!" Questo era ciò che mi ripeteva il soldato Meier, che mi insegnava la potente e grandiosa storia tedesca. Difatti il mio aspetto era davvero simile ai canoni tipici ariani descritti dal partito. Mi presentavo come un ragazzino alto, forte,  dai capelli biondi e gli occhi azzurri  ma soprattutto fortemente convinto negli ideali del Nazional Socialismo. Anche Gilbert rispecchiava in parte alcuni canoni tipici della razza ariana. I suoi capelli erano di un candido colore argenteo, quasi bianchi, che contrastavano il calore racchiuso nei suoi occhi scarlatti. Unica sua pecca era lo sport, non era mai stato un abile corridore o un bravo pugile, ma possedeva una forza ben più potente di quella fisica, la crudeltà. Era pronto a svolgere qualsiasi compito, anche quelli più meschini e dolorosi, lui non si tirava indietro. Sta di fato che la conferma di tutto ciò l'ebbi solamente alcuni anni più tardi.
Ma durante quel primo periodo io ne ero ossessionato, ero preso completamente dagli ideali che mi venivano trasmessi, quei forti valori che la Dittatura Nazista mi insinuava nel cervello. Volevo diventare forte, il più forte e coraggioso soldato della Germania, così che i miei figli, i miei nipoti e pronipoti sarebbero stati orgogliosi di ciò che ero stato. Questi ragionamenti sciocchi, stupidi e meschini, me ne rendo perfettamente conto ma non smisi mai di pensare queste cose finché non conobbi la persona per la quale decisi di espiare questo mio enorme peccato che si nascondeva nell'ombra di una crudele dittatura. Il nome di quella persona era Feliciano.

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Capitolo 4
*** Tè delle 5 ***


Nota bene: A causa di fastidiosi muratori in giro per la mia camera tutto il giorno, oggi non ho avuto occasione di accendere il pc se non stasera. Avrei voluto scrivere una storia costruendola proprio su questo prompt ma non avendo avuto tempo materiale ho deciso di riproporvi una storia già precedentemente posta su EFP, che penso si adatti benissimo all'argomento. Chiedo umilmente perdono e provvederò a pianificare  una degna punizione da infliggere ai muratori!

33 - 
Tè delle 5    

(FrUk)

Mi piacciono i pomeriggi d'autunno, quelle giornate un po' grigie che vengono colorate dalle infinite sfumature delle foglie secche stufe di starsene appese ai loro rami. E la calma tutt'intorno, la tranquillità della gente che preferisce restarsene in casa piuttosto che assaporare la fresca brezza che abbraccia le strade di Londra. Io stesso osservavo questa calma dalla finestra della mia villetta e quasi mi stupì del poco traffico che trovai sulla via di fronte. Entrai in cucina, aprendo la luminosa portafinestra affacciata sul terrazzo per far entrare un po' di quel vivace vento. Cominciai a farmi avvolgere da lui, mentre rendeva le gocce di sudore sul mio collo terribilmente congelate. Un brivido si fece strada giù per la mia spina dorsale ma non mi importò, ho sempre amato il freddo. Recuperai poi la teiera dalla credenza e mi accinsi a preparare quella cosa che ogni perfetto inglese dovrebbe fare nel pomeriggio. Quindi aprii lo sportello affianco per prendere una bustina del mio delizioso tea. Il procedimento fu veloce, non bisogna far altro che far bollire un po' d'acqua, immergergli dentro il delizioso aroma ed il gioco è fatto. Il suo sapore pungente cominciò ad invadere tutta la cucina ed io ne fui travolto, inebriato. Versai un po' di quel liquido ambrato nella tazza di porcellana per poi aggiungerci qualche goccia di latte freddo. Ne assaporai un sorso e poi un altro ancora finche non percepii un odore diverso nella stanza, una fragranza talmente forte che ebbe la capacità di sopprimere quella della mia bevanda preferita. Ma non ne fui affatto dispiaciuto. Contribuì solamente a ricordarmi belle cose, in qualche modo era come se fosse il suo odore.
Mi voltai e lo trovai lì, in piedi sulla soglia della porta. La bianca camicia sbottonata al solo ed unico scopo di lasciare scoperto quel meraviglioso petto scolpito, i capelli lunghi e biondi che ricadevano sulle sue iridi celesti e gli scuri boxer non fecero altro che renderlo una figura quasi divina. Tra le lunghe ed affusolate dita della mano destra stringeva la responsabile di quel profumo che mi aveva portato a tale distrazione. La sua Winston rossa che accendeva ogni volta che finivamo di fare l'amore. Svelto se la portò alla bocca, aspirando intensamente. Mi piace osservare le sue labbra durante quel banale processo. E' bello vedere come la bocca stringa delicatamente il filtro giallo, come riesca a trattenere il fumo dentro di se costringendolo a scendere nei polmoni per poi rilasciarlo lentamente in un sospiro. Eravamo solamente io, lui, una tazza di te e la sua Winston rossa. Nessun rumore, solo respiri, i suoi occhi sui miei e un'infinita lussuria. Il mio cuore cominciò a scalpitare, indisciplinato, emozionato. E' vero, i nostri corpi non si toccavano da solamente qualche minuto, ma già mi mancava. Volevo essere stretto tra quelle grandi e possenti braccia, essere solleticato dal suo ispido pizzetto e perdermi nell'immenso piacere racchiuso tra le sue labbra. Diede un altro tiro e cominciò ad avvicinarsi, lento, sinuoso come un felino in cerca della sua preda preferita. Arrivò di fronte a me, vicino, talmente vicino che potevo sentire il suo respiro sul mio collo. Mi osservava come se non mi avesse mai osservato prima di allora, mentre il mio cuore continuava la sua imperterrita danza. Improvvisamente si chinò, appoggiandosi con le mani sul bancone alle mie spalle. Ora solamente pochi centimetri separavano i nostri visi ma lui diminuì prontamente quella distanza abbracciando le mie labbra in un forte ed inteso bacio. Sentivo la sua lingua farsi strada tra le mia bocca ancora chiusa. Così la assecondai permettendole di accarezzare la mia. Quei baci che mi prendevano di sorpresa, dolci, delicati ma allo stesso tempo pieni di passione. Quelli mi avevano fatto innamorare. Ormai amavo ogni cosa di lui. Il suo sorriso, la sua risata, i suoi comportamenti a volte irritanti ed il modo in cui mi faceva sentire vivo.
Si staccò lentamente, accarezzandomi la guancia con la mano libera.
«Hai un buon sapore,  mio piccolo Re.» Sussurrò dolcemente facendomi quasi mancare il fiato.
«Anche tu.» Risposi leggermente paralizzato dalla sua immensa sensualità. Francis sorrise, aspirò per l'ultima volta dal mozzicone ormai finito e lo spense nel lavello. Cominciò a passare le sue dita tra i miei capelli, delicatamente, come una madre col proprio figlio e poi la tirò a se, fini a farle toccare il suo petto. Ora sapevo che il mio cuore non era il solo ad agitarsi in quel modo.
«Avrei voluto assaggiare anche io una tazza del tuo prezioso tea.» sussurrò nuovamente «Poi ho provato le tue labbra. Non penso ci sia sapore migliore.»

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Capitolo 5
*** E guerra sia ***


53 - E guerra sia

Germania e Prussia

(Prima Guerra Mondiale)

La guerra continuava apparentemente senza fine sotto gli stanchi occhi dei soldati, intrappolati senza scampo in una dolorosa cartolina in bianco e nero. Di fatti la guerra non è a colori. Si è circondati da tonalità di grigio come le uniformi inquinate dal'onnipresente fango e si tiene stretta tra le mani un'arma nera, come la morte che è destinata a portare. Tutto ciò sotto l'occhio vigile di un pesante cielo bianco arricchito dal cinereo fumo delle bombe che ritmicamente cadono affianco ai giovani militari. Solamente un colore si può distinguere fra tutta quell'argentata atmosfera, quel colore forte, dai mille significati che, in molti casi, conduce alla definitiva uscita dal quella cartolina. Il rosso.
Le mattine di gennaio sono fredde, soprattutto se trascorse nelle scure trincee della Francia. L'aria era tesa quel giorno ed i soldati cercavano inutilmente di assorbirne il meno possibile. L'assalto alla fossa nemica era imminente ed ognuno di loro bramava disperatamente l'ordine d'attacco da parte del capitano perché, forse, quella terribile ansia faceva più paura che una pallottola nel petto. Il capitano Beilschmidt li osservava uno ad uno quasi volesse imprimere nella sua mente i visi spenti di quei giovani ragazzi, di quei piccoli uomini, di quei prematuri padri e di quei freschi amanti. 
Sarebbe stato il suo primo ordine, il suo primo compito da capitano, un compito indegno, a parer suo. D'altronde, che cosa c'è di nobile nel condurre dei poveri innocenti ad una probabile morte? Questo era ciò che tormentava i suoi pensieri in quei giorni. Quasi si convinse che avrebbe preferito andarsene assieme a loro, piuttosto che impartire ordini di morte e fare la parte del giustiziere. Ma non aveva scelta, aveva ormai accettato quel ruolo e non poteva più tirarsi indietro. Prima di cominciare il suo breve ed incoraggiante discorso si concentrò sul viso di Gilbert. Lo sguardo del ragazzo era fisso a terra con l'intento di nascondere per il troppo orgoglio, l'angoscia che trapelava dai suoi occhi. Osservò la mano destra, non impegnata a stringere il fucile, intenta ad avvinghiare con foga la stoffa della divisa del braccio sinistro, un modo apparentemente inutile, per scaricare le sue ansie. Anche se il loro rapporto non era dei migliori, Ludwig soffriva nel sapere che il suo amato ed odiato fratello sarebbe potuto morire in quel terribile attacco, ma cercò di abbandonare momentaneamente quel pensiero per far spazio alle sue amare parole.
«Soldati» Urlò al battaglione mostrandosi serio ed autoritario 
«La vedo nei vostri occhi, la paura. E posso giurarvi che è la stessa che domina i miei. Perché so che andrete laggiù e che molti di voi non ritorneranno. Questa è la verità. Ma dovete essere forti. Dovete farlo per la patria ma soprattutto per voi, per poter rivedere le vostre mogli, le vostre famiglie, i vostri cari. Pensate a loro, e forse ce la farete. Ma non uccidete con odio, uccidete pentendovi di ogni vita che spegnete, perché anche loro» Alzò il braccio indicando la trincea inglese oltre le loro spalle «Sono nella vostra stessa situazione. Però la nostra patria ci chiede guerra. Allora guerra sia! Ed ora, state pronti.» i soldati si misero in posizione di fronte alle scalette che li avrebbero condotti all'inferno. Gilbert si arrestò un attimo per poi guardare suo fratello, ormai diventato suo capitano, negli occhi quasi in modo fiero. Ludwig ricambiò lo sguardo del fratello concedendo un sincero sorriso spento,  pensando che dopo tutto, dopo le continue litigate, dopo le sue innate manie di grandezza e dopo averlo costretto a fare cose contro la sua volontà, gli avrebbe sempre voluto bene.
I suoi occhi si chiusero mentre pronunciò quelle amare parole che preannunciavano la fatidica carica.

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Capitolo 6
*** Accento ***


55 - Accento

(GerIta)

E' da giorni ormai che i nostri incontri riempiono la monotonia dei campi facendoli risuonare di gioia e passione. Ora tre volte nell'arco di una settimana le fresche ombre di questi giganteschi alberi sono testimoni dei nostri fugaci incontri. Adesso sei sdraiato al mio fianco, quasi stremato dalla precedente lussuria che ha invaso il tuo delicato corpo. Purtroppo non riesco a vedere i tuo brillanti occhi castani perché la posizione che hai deciso di tenere lascia al mio sguardo solamente il piacere della tua sottile schiena. Sembra che tu stia dormendo, anche se la cadenza del tuo respiro suggerisce il contrario  e sei coperto dalla mia pesante giacca da ufficiale nazista.  Subito noto lo scarlatto e tetro colore della svastica che grava su di te come una maledizione. Me ne rendo conto, il sinonimo di quella maledetta croce uncinata è morte ed io quasi soffro nel vederla addosso a te. Sei troppo speciale per sfiorare il simbolo del mio peccato, del quale, fino a non molto tempo fa, ero un fedele complice. Ora niente ha più colori definiti e non sono più certo di condividere in pieno ciò che il mio corrotto regime mi ha insegnato. Ci voleva forse il tuo cuore per condurre il mio sulla strada della redenzione? Una redenzione che sicuramente non arriverà mai. Vorrei toglierti dalle spalle quel doloroso fardello ma per impedire che tu prenda freddo, mi faccio forza e cerco di ignorare quell'oscuro sigillo.
"Ludwig!" sussurri improvvisamente confermando la mia precedente ipotesi che ti credeva sveglio. Mi avvicino, accostandomi al tuo dolce e vellutato viso.
"Dimmi, Feliciano!" Mi piace enunciare il tuo nome, ha un suono delicato e puro, come la persona che sei, un nome che mai mi stancherei di ripetere.
"Perché il giorno in cui mi hai incontrato non mi hai ucciso? Dopo tutto l'avevi capito che ero un disertore."
La tua domanda è simile ad una coltellata in pieno petto. Perché mi stai chiedendo una cosa del genere proprio ora, in questo momento in cui siamo così felici? Ma devo dirti la verità, te lo meriti.
"Non lo so." Rispondo dopo attimi di titubanza. "Forse per pietà. O forse perché qualcosa dentro di me lo impediva. Quel giorno sei rimasto nella mia testa, una macchia indelebile nella mia mente. Ho cominciato a seguirti fino a qui, nel tuo posto preferito. Ho imparato a conoscerti. Sembravi interessante e volevo sapere tutto di te. Ci siamo confidati ed anche tu hai imparato a fidarti di me. Ad essere sincero, inizialmente eri solo un passatempo che cercavo per starmene lontano dai miei compagni. Poi sei diventato inevitabile. Come potrei permettermi ora di stare lontano da te? Mi hai fatto e mi stai facendo provare qualcosa che mai avrei pensato di sentire."
Volti il viso e finalmente i miei occhi ricevono il delicato contatto dei tuoi. Mi guardi e sorridi, mostrando tutta la tua surreale tenerezza. Ho dato una degna risposta alla tua secca domanda?
"Sembra quasi…" le tue labbra si richiudono, bloccate dall'assente coraggio che ti porta a non continuare la frase.
"Cosa?" Ti incito con calma ricambiando il tuo sorriso. Prendi un lungo respiro e finalmente sembri pronto per terminare la frase.
"Sembra quasi che ciò che tu provi per me sia amore." Sposti il tuo sguardo dal mio, imbarazzato da ciò che la tua bocca è riuscita a pronunciare. Così prendo tra le mano il tuo viso, riportando la tua visuale sulla giusta traiettoria. Ora siamo vicini e me ne rendo davvero conto nel momento in cui percepisco il tuo caldo respiro posarsi come un immacolato lenzuolo sul mio collo.
"Lo sembra perché è così!" Non immagini lo sforzo che sto facendo in questo tentativo di esternare ogni mio sentimento. Non è da me, ma tu riesci a portare fuori la mia parte migliore. Ed anche quella debole. Tu però sorridi e stringi i denti tra le tue rosee labbra. I tuoi occhi brillano e la loro felicità è talmente concreta che quasi posso sentirla mentre ti avvicini alla mia bocca per prenderla tra le tue grinfie ed abbracciarla dolcemente con la tua. Allargo le braccia e ti cingo delicatamente. Mi sembra quasi di stringere al mio petto il tesoro più prezioso del mondo, quella cosa che devo proteggere a tutti i costi, perché è debole, indifesa, bellissima, perché è mia. Poi interrompi quell'angelico contatto e in pochi secondi sei in piedi stagliandoti come una statua davanti ai miei occhi. Mi porgi delicatamente il mio peccato che, anche solo per poco, era stato tuo. Cominci a rivestiti con calma assaporando sulla tua pelle nuda la brezza primaverile che l'accarezza dolcemente.
"Te ne vai così presto?" Ti chiedo già nostalgico per la tua imminente assenza
"Si, ho promesso a mio fratello che sarei tornato presto." Sei così perfetto, anche mentre cerchi di nascondere la sottile amarezza che provi nel dovermi lasciare prima del dovuto.
"Ci vediamo domani?" Sembro implorante, forse troppo. Proprio non so cosa mi stia prendendo.
"Certo!" affermi impulsivo, già completamente rivestito e pronto ad andartene. Poi ti avvicini a me, chinandoti per baciarmi teneramente la guancia.
"A domani, Ludwig." Il tuo dolce sorriso assomiglia molto al timido raggio di sole che per primo si fa strada tra le pesanti nuvole dopo la tempesta.
"A domani, Feliciano." Replico con gioia.
"Ah, Ludwig! Mi piace l'accento con cui pronunci il mio nome" Accento, quale accento?
"E quale sarebbe, scusa?" Rispondo simulando un atteggiamento offeso
"Quello di  un tedesco troppo orgoglioso!" Sei strano, riusciresti a far sorridere una pietra se solo lo volessi. Così ti volti lasciando dietro di te una gioiosa risata. E rimango solo mentre ti guardo percorrere a ritroso la verde strada tra i campi, quella strada che ti conduce verso il tuo nascondiglio, quella strada che ti riporta alla triste e cruda realtà.

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Capitolo 7
*** Gita all'estero ***


73 - Gita all’estero

TUMBLR DI FELICIANO

anonimo ha chiesto:
Come vi siete conosciuti tu e il tuo mangia pata… ehm, il tuo ragazzo?
Romano, è inutile che metti l'anonimo. Sei tu l'unico che chiama Ludwig "mangia patate". In ogni caso mi sembra una domanda lecita, visto che abitiamo lontani e non ti ho mai raccontato la storia.  Seppi di lui  per la prima volta quando il professore di tedesco ci diede i nomi dei ragazzi con i quali avremmo dovuto fare lo scambio in Germania.
"Ecco Feliciano, il tuo partner si chiama Ludwig Beilschmidt" disse consegnandomi il foglietto con tutti i suoi dati. Poi lo aggiunsi su facebook, e vidi nella foto profilo un ragazzo alto, bello, biondo e con gli occhi azzurri. Subito gli scrissi, dicendo che ero colui che avrebbe dovuto ospitare per una settimana durante questo scambio culturale. E ci passammo, abbastanza freddamente ma non con cattiveria, le informazioni necessarie. Finalmente arrivò l'otto di ottobre, il giorno in cui io e la mia classe partimmo per quell'allettante gita all'estero. Ero abbastanza agitato, dato che era il mio primo viaggio fuori dall'Italia ma qualcosa mi diceva che sarebbe andato tutto bene. Dopo dodici ore di viaggio, arrivammo a destinazione e appena fuori dal bus ci aspettò il difficile compito che consisteva nel cercare il nostro compagno. Fortunatamente lui si avvicinò a me, sfoggiando un timido sorriso e dicendo "Hallo, Feliciano" con un accento tanto tenero quanto imbarazzante. Non pensavo sarebbe stato possibile ma penso che mi innamorai di lui sin dal primo momento. Arrivammo a casa sua, accompagnati dalla madre e dal padre. Quella casa era fantastica, grande e spaziosa. Appena entrammo Ludwig urlò "Gilbert, komm! Feliciano ist hier" e subito uno strano ragazzo dai capelli quasi bianchi scese dal piano superiore, si avvicinò e mi strinse la mano con fare sbrigativo. "Guten Abend." Sussurrò il misterioso fratello sparendo nel buio della rampa di scale da cui era sceso. E così iniziò quell'intensa settimana con lui. Era sempre molto carino e disponibile, la mattina appena sveglio mi faceva trovare la colazione pronta e dato che sapeva com'è la tipica colazione all'italiana, non faceva mai mancare caffè e biscotti. Andammo ovunque, sia da soli che con gli altri compagni. Mi fece conoscere Roderich, il suo amico austriaco ed assieme a lui e a Gilbert passammo una bella giornata alle terme. Lì lo vidi in costume. Cosa  non erano suoi pettorali!
Il venerdì sera andammo in un locale assieme a tutti gli altri, una strana discoteca nella periferia della città. Come uno stolto mi ubriacai, confermando la fama di italiano ubriacone, ma Ludwig non fu da meno. Ballammo per tutto il tempo e a volte anche troppo vicini. Le mie compagne di classe sembravano gelose di me, perché non ricevevano abbastanza attenzioni da quel bellissimo e nordico ragazzo biondo. Alla fine della serata ci accompagnò a casa Roderich, lui non è il tipo che beve, se non il tea del pomeriggio. Entrammo nella sua camera, dove aveva messo un letto affianco al suo per accogliere anche me durante la settimana. Ci buttammo sui materassi ancora con i vestiti addosso, ridendo come due bambini. Poi io lo guardai, avevo voglia di baciarlo e di sentire le sue labbra sulle mie. Così sotto l'effetto dell'alcol, decisi di agire e di avvicinarmi a lui.
"Soffri il solletico?"  sussurrai in italiano- da ubriaco il tedesco non è il mio forte- mimando l'azione con le dita.
"Ja!" Disse sottovoce mentre ancora rideva. Allora mi avvicinai, mi misi a cavalcioni sulle sue gambe e iniziai a fargli dei veloci grattini sui fianchi. Ludwig Rise, rise tanto, implorandomi di smetterla finché non riuscì a prendermi invertendo così le posizioni. Ci guardammo per tanto, troppo tempo e poi le nostre labbra si incontrarono. Quella fu una notte indimenticabile . Il problema era che la mattina dopo sarei dovuto partire, ritornare in Italia e lasciarlo. Mi svegliai e non lo vidi affianco a me, come al solito era già pronto al piano di sotto. Lo raggiunsi anche io con in mano la mia grande valigia. Gi guardammo in modo triste e quasi non ci parlammo durante tutto il tragitto fino alla fermata del bus. Arrivati scendemmo dalla macchina e suo padre raggiunse quello di Roderich. Ludwig si offrì per aiutarmi a prendere la valigia e nel momento in cui alzò la portiera del bagagliaio mi lasciò un dolce ed inaspettato bacio.
"Nimm das!" Disse porgendomi un foglietto
"Feliciano, muoviti! Aspettiamo solo te." Urlò il mio professore. Guardai Ludwig e gli feci un sorriso prima di raggiungere gli altri e salire sul bus. Il conducente mise in moto e il grande mezzo di trasporto cominciò ad allontanarsi. Lo guardai fino a quando non svoltammo l'angolo ed una piccola lacrima scese sul mio viso. Poi mi ricordai del foglietto, lo aprii e in un italiano apparentemente perfetto trovai scritto: "Ci vediamo in aprile. Non ti dimenticare di me… Ich Liebe Dich, Feliciano". Era vero, aprile sarebbe arrivato presto. Il periodo in cui finalmente lui sarebbe venuto in Italia. E ne fui felice, perché nonostante la sua timidezza, riuscì a scrivermi quella semplice ma efficace frase.
Questa è la storia, caro fratellino. Spero ti sia piaciuta.
Ah, e salutami Antonio.
tomatoebastard ha risposto:
Penso sia la cosa più sdolcinata che abbia mai sentito. >.<
PS: Antonio manda un saluto a te e al macho patate.
 

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