I want you. I just want you. You

di Samanta_Bianca_1D
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Sei fottutamente perfetta per me! ***
Capitolo 3: *** Ti ridaremo tutta la tua felicità ***
Capitolo 4: *** Una speranza può cambiare la vita ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Lei una ragazza sedicenne che non ha mai amato quella casa, ansi l’ha sempre odiata. Il problema? 
Quella casa era l’appartamento in cui era costretta ad abitare. Lei odiava quell’alloggio e chi ci viveva dentro. Una donna e un uomo, che venivano chiamati come “I suoi genitori”, ma che lei non considerava tali. Le avevano rubato  i primi 16 anni, quelli che in teoria sarebbero dovuti essere i più belli della sua vita. Sapeva bene di essere nata da delle persone sbagliate ,nel momento sbagliato, nel luogo sbagliato. Non era Brighton la città che le apparteneva, non era la città che la rappresentava, non era la città adatta a lei.
Dopo aver vissuto la tensione di casa sua per sedici anni, tutti i giorni e a tutte le ore, la ragazza più importante della sua vita, la sua migliore amica, le svolta la vita.
Chi, se non la sua amata Elisabeth, sarebbe riuscita a ridarle la felicità e la libertà che per anni si era meritata,ma che non aveva mai ricevuto?

Madison è mora, capelli lunghi fino a metà schiena lisci, con punte boccolose. Occhi intensi, scuri e penetranti, di un colore indefinito, erano capaci di parlare. Senza parole, senza indizi, senza intuizioni. Con lo sguardo che si ritrovava chiunque, persino uno sconosciuto,  sarebbe riuscito a capire il suo stato d’animo, leggendola come un libro aperto. Lei odiava essere così semplice da interpretare, odiava la domanda “Che hai? Sembri triste” e odiava dare spiegazioni su come si sentiva. Lei sapeva che nessuno sarebbe riuscito a capirla.
Era alta, magra, formosa quanto basta per far girare la testa dei ragazzi quando gli passava davanti, ma non abbastanza popolare da far girare la testa dei ragazzi della sua scuola. Era bella, ma non sapeva di esserlo. Era perfetta, ma non sapeva di esserlo. Era speciale, ma non sapeva di esserlo.
Lo scoprì solo dopo aver conosciuto 5 ragazzi belli, perfetti e speciali quasi  quanto lei…









SPAZIO AUTRICE: 

Ciao a tutti! Eccovi a voi il prologo di questa storia!!
 Spero che vi piaccia.
 Penso che pubblicherò un capitolo a settimana sicuramente, 
ma quando ce la farò prima lo farò di certo!! Ciao a presto!! <3 <3

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- 69 cose che odio di te di Egg___s 
- Important like my heart di Louismyhero 
- Una richiesta d'amicizia di He is mine 
- Mi sono innamorata di mio fratello di I am a Bad Girl 
- Drawing You di Caelie_ 
- Fratellastri di zaynandperrie 

Spero che queste storie piacciano come sono piaciute a me!! ciao ciao!!! :*

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Capitolo 2
*** Sei fottutamente perfetta per me! ***


Sei perfetto per me!!

Guardai nuovamente l’orologio 17:05. Urlavano tra di loro da ormai un’ora. Erano uniti solo quando dovevano mettere contro di me. Mio padre era ubriaco, ne ero certa. Ero spaparanzata sul divanetto del salotto vicino alla cucina, da cui proveniva tutto quel rumore.
Odiavo sentirli litigare, quindi alzai leggermente il volume della musica: P!nk- Sober (http://www.youtube.com/watch?v=nJ3ZM8FDBlg&list=PLE1A2BF42AE6842F7 ).Certo, non capivo tutte le parole, non era la mia lingua quella, ma mi faceva sfogare, seguivo il ritmo con davanti il testo, fiancheggiato dalla traduzione.
sono salva, su in alto, niente può toccarmi .’
Adoravo le canzoni che riuscivano a rappresentare perfettamente il mio stato d’animo. All’improvviso il frastuono che veniva dall’altra stanza cessò. ‘Non entrate, non entrate, non entrate’ continuavo a sperare, ma la porta si spalancò. ‘SHIT!’ pensai.
-Abbassa la voce di questa merda, Madison- esordì l’ubriaco.
- S-sì- Non avevo intenzione di contraddirlo. Quando non era sobrio la violenza si impossessava di lui più che mai.
-E non contraddire, cazzo!-
Contraddire? ‘What the fuck!?’ pensai. Ma se non avevo mai acconsentito alle sue parole come avevo fatto qualche secondo fa. Cominciai ad ipotizzare che stavolta la bottiglia di rum l’avesse buttata giù tutta d’un sorso. Mia madre assisteva alla scena dalla soglia della porta. Avevo paura, anzi… ero terrorizzata da lui, ma non mi trattenni dal ridergli in faccia per la cazzata che aveva appena sparato.Immaginai l’ira che gli saliva fin sopra le punte dei capelli. Era fermo davanti a me, con le braccia che gli scendevano lungo il busto massiccio. Vidi la sua mano irrigidirsi, per poi alzarsi e fendere l’aria con un rude gesto, mi diede uno schiaffo. Era in assoluto la sberla più forte che avessi mai ricevuto. Temevo quasi che la mia mandibola fosse rotta. Mi alzai e lo guardai con occhi pieni di odio. La guancia mi andava a fuoco.Voltai le spalle e andai verso il corridoio per andare al piano di sopra, con passo lento. Mi bloccai di spalle quando sentii che uno dei due si stava rivolgendo a me.
-Non permetterti mai più di ridere in faccia a tuo padre, né tantomeno di voltargli le spalle in questo modo, mocciosetta!- Ecco che si metteva in mezzo anche mia madre.
-ANDATE A FANCULO!!- sbottai. Erano parole d’istinto. Se avessi riflettuto magari sarei riuscita a formulare qualche frase più tagliente, ma quello era ciò che mi sentivo di dire.
-Madison Collins, cosa hai det…- mia madre non finì di parlare che si intromise mio padre.
-Pensavo che dopo l’ennesima litigata te ne saresti accorta. Ma la tua ottusaggine ti ha impedito di arrivarci. Sei stata un errore. UN SEMPLICE FOTTUTO ERRORE. Un preservativo rotto, ecco cosa sei. È colpa tua se io e tua madre non siamo una coppia felice!- urlò lui, quasi come se quelle parole se le fosse tenute dentro per tutti i miei sedici anni di ‘vita’, se così potevo chiamarla. Sapevo che era in stato di ebbrezza, ma capivo dai suoi occhi che ciò che stava dicendo lo pensava davvero. E a giudicare dall’atteggiamento e dal continuo annuire di mia madre era facile capire che fosse d’accordo con quell’orribile uomo.
 
Ero sempre stata una di quelle ragazze che con i genitori, bene o male, aveva la risposta pronta, ad ogni occasione. Tranne quella. Sentii il mio cuore restringersi per un secondo, per poi tornare a battere a ritmo tachicardico. Sentii il mio respiro bloccarsi per un istante, per poi diventare più affannato che mai. Sentii una strana pressione alla gola e le lacrime inondarmi gli occhi fino a scivolare  sulle guance bagnandole.
 
Ero di spalle quando mi travolse l’animo con quelle parole. Mi trovavo di fronte alla porta d’ingresso, pronta per voltarmi, salire le scale e soffocare il dolore nel mio cuscino, ma non lo feci. Aprii la porta in ciliegio dell’ingresso e lo sbattei, uscii, nonostante l’amarezza mi consumasse dall’interno cominciai a correre. Il più veloce possibile. Il più lontano possibile. Volevo evitare che tentassero di fermarmi. Arrivai finalmente alla spiaggia. Era quello il luogo dove solitamente andavo quando litigavo con i miei. Piuttosto spesso, aggiungerei.
Giunsi al MIO scoglio, era piatto in superficie, si trovava a riva. Raccolsi qualche sassolino e lo lanciai con foga nell’infinità di acqua salata che mi fronteggiava, per poi sprofondare la testa tra le braccia, con le mani nei capelli. Rimasi lì, in quella posizione a frignare, per circa un quarto d’ora. Decisi poi di fare una passeggiata sulla costa. Con un movimento svelto cacciai l’iPod dalla tasca destra del jeans e infilai le cuffie.
P!nk – Fuckin Perfect. Era in assoluto la canzone che mi faceva singhiozzare di più.Masochismo? Non saprei, sta di fatto che lasciai che quelle note scorressero e mi deprimessero.
 
‘Sei stata un errore’ , ‘Un preservative rotto, ecco cosa sei’ ’È colpa tua se non siamo una coppia felice’. Quelle parole mi rimbombavano nella testa.Era assolutamente….ATROCE, ecco.Quale sottospecie di mostro avrebbe avuto il coraggio di dire frasi simili a sua figlia, alla creatura che aveva generato,sangue del suo stesso sangue?
 
Pretty, pretty please
If you ever, ever feel
Like your nothing,

you’re fuckin’ perfect,to me. 
 
Perché dovevo essere trattata così? Perché dovevo essere l’unica che odiava il suono della campanella dell’ultima ora di scuola? Perché dovevo evitare la mia famiglia per trascorrere serenamente una giornata?
No, ok. Mentre tutte le altre volte, perché quella no, non era la prima volta, mi soffermavo su ciò che erano capaci di farmi,in quel momento riflettevo se davvero me lo stessi meritando.
Spensi l’iPod e decisi di guardare un po’ in faccia alla realtà. Sfilai il BlackBerry dalla tasca posteriore del pantalone e chiamai Elisabeth, la mia migliore amica.
-H-hei- dissi piagnucolante.
-Oww, Madison, non dirmi che …- non terminò la frase che ribattei.
-E’ successo di nuovo, Eli. Ma stavolta hanno toccato il fondo. I-io devo vederti. Ora!- risposi.
-Dove sei? In spiaggia, immagino. Ti va di vederci vicino al Brighton Pier o vuoi venire qui?-
-Non voglio disturbare, davvero. Ma preferirei venire da te. Ho bisogno di sentirmi, come dire…A CASA- . Tremavo quasi.
-DISTURBARMI? Ma sei scema? Vieni a piedi. Penso che tu sia già capace di orientarti dalla spiaggia. Intanto scendo a comprare una bustina di marshmallows. Effettivamente anche io ho bisogno di dirti un paio di cose. A dopo- Attaccò.
Era meravigliosa. Assolutamente meravigliosa. Lei c’era sempre stata. Lei era la mia mamma e il mio papà. Era il mio tutto.
Mi ero spesso fermata a riflettere se mi considerasse essenziale, come facevo io con lei. Non glielo avevo mai chiesto. Non perché tra noi non ci fosse un rapporto confidenziale anzi, tutt’altro.
Non glielo avevo mai domandato per non sembrare oppressiva, pedante o peggio, dubitosa. Certo, sapevo di essere la sua migliore amica, solo che… non sapevo neanche io cosa volessi da quel rapporto. Immersa nelle mie riflessioni giunsi alla residenza di Elisabeth. Cazzo, quanto era grande. Ma non era certo per quello che la nostra amicizia era così intensa. Bussai cercando di sembrare il più disinvolta possibile nonostante ci fossero ancora i segni del pianto che quella volta, era durato decisamente troppo. Tentai inoltre di coprire l’alone rossastro della mano di mio padre, che ancora mi risaltava la guancia destra. Finalmente la porta si aprì.
-Toh, chi si rivede. Da quanto tempo- esordì canzonandomi Brian, il fratello maggiore della ragazza di cui avevo fottutamente bisogno. Ventenne, capelli e occhi marroni. Aveva un fascino tutto suo e gli correvo dietro quando avevo 14 anni. Ero grassottella e in quel periodo quasi mi snobbava con lo sguardo. Ora che avevo 16 anni sembrava quasi che fosse lui a fare il filo a me. Ma sapevo che non era niente di serio. Provava solo attrazione fisica. Conosceveo com’era fatto.
-Oggi non sono in vena, Bri. La situazione è un po’…tragica- dissi con sguardo arreso. Accennai un lieve sorriso, per alleggerire il clima.
-Oh, capito. Comunque Elisabeth è in camera sua. Credo ti stia aspettando.- Sorrise a sua volta.
-SONO QUIII.- urlò l’unica voce che volevo sentire in quel momento. Sbucò con un vassoio in mano dalla cucina. Sopra due tazze traboccanti di cioccolata calda. In una vi erano affogati una decina di piccoli marshmallows. Quella era certamente la mia tazza, lei odiava quei fantastici cilindri di zucchero.
-Ciao bellissima. P-premi quel tasto r-rosso. Quello dell’ascensore insomma. VELOCE..- esclamò facendo movimenti strani per non far straripare la bibita al cacao dal suo contenitore.
Premetti il morbido tasto vicino a me e presto le ante di quell’aggeggio si aprirono. Un’ascensore in un’enorme villa di proprietà. Poteva sembrare ridicolo ma, cavolo, era comodissima.
Digitammo il codice per arrivare al terzo pieno e, dopo il tempo debito, la ‘cabina’ si spalancò nuovamente. Di fronte vi era la stanza di Elisabeth con la porta già aperta. Vi entrammo, posò il vassoio sulla scrivania.
-Oh, piccola ma questo cos’è?- mi chiese carezzandomi dolcemente la parte destra del viso. Abbassai lo sguardo offuscato da un pianto che stava per ricominciare. Senza dire nient’altro mi abbracciò. Mentre ricambiavo quell’abbraccio, involontariamente un altro sorriso si dipinse sul mio volto un’espressione serena. Ero da due minuti in quella casa e ed era già riuscita a farmi sorridere.
-Racconta tutto. Ho paura che se continui a reprimere il tuo dolore, ti possano spuntare brufoli per lo stress- mi incitò.
Le raccontai tutto, per filo e per segno. Dopo aver evidenziato ciò che mio padre era riuscito a tirare fuori dalla bocca e, presumo dall’anima, cominciai ad illustrarle come mi sentivo. Farle capire che, oltre al fatto che ciò che mi succedeva ogni santo giorno era oggettivamente improponibile, quello che mi faceva male di più era non sapere IL PERCHE’.
-Cioè, capisci? N-non me lo merito. O almeno credo. Eli, me lo merito secondo te? Mio padre è capace di punirmi anche solo perché respiro la sua aria. Mia madre è sempre categoricamente dalla parte di quell’uomo. E io…io mi sento sola in quella casa. Dopo ciò che ho passato ho deciso che non resterò un attimo in più. Andrò a vivere da mia non…- mi stoppò mentre pronunciavo le parole con la stessa velocità con cui un lancia palle tira palline da tennis.
-Madison, noi andiamo a Londra!-
-Dicevo, andrò a vivere da mia nonn…aspetta, COSA HAI DETTO? L-Londra?-


 

SPAZIO AUTRICE:

Eccomi ragazzi!!
Inizio con dire che non ho pubblicato subito il capitolo 1, ma solo adesso, perché l'altra sera non ho avuto tempo di postare sia il prologo che questo, quindi vi chiedo scuse!
Poi vorrei ringraziare in anticipo tutte le persone che mi seguiranno e che recensiranno!!
Vi prego ditemi qualunque difetto, lo potete scrivere qui sotto in una piccola recensione!! 

Vi lascio con un po' di pubblicità:
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Ciao a presto!!






 

Lei é Madison







 

Lei invece é Elisabeth

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Capitolo 3
*** Ti ridaremo tutta la tua felicità ***


 
Sbiancai in viso. Diventai praticamente color panna per l’emozione.
-Esattamente Madison, Londra, Big Smoke. Chiamala come vuoi, sta di fatto che QUELLA sarà la tua, anzi la vostra, prossima meta.- affermò Brian entrando improvvisamente nella camera di Elisabeth, con un’aria fiera che gli illuminava lo sguardo. Aveva in mano un paio di chiavi. Una era apparentemente quella di una macchina, forse la sua BMW. L’altra non riuscii ad identificarla, notai solo che era legata ad una placca di plastica, con sopra un numero blu “73”. Non ci stavo capendo più niente. Si intravedeva dalla mia espressione stranita. Dopo qualche secondo mi decisi a parlare. Partii in quinta, come al solito.
-Oh,cazzo. L-Londra? I-il nostro sogno? M-ma è per una vacanza? O-o ci restiamo?- cominciai balbettando, con il cuore in palla.
-Sì, Madison, Londra, il nostro sogno. E no… non è per una vacanza.- ripeté orgogliosa la mia migliore amica.
-Oh- Sì- Ok- Cioè… WOW- ‘Ma che stai dicendo Madison? Ragiona cavolo’ pensai. - Ma perché?- ‘Ecco brava, così!’.
- Perché dobbiamo cambiare aria. Perché DEVI cambiare aria. Perché non ti meriti quello che passi ogni giorno dopo scuola. Perché non ti meriti un padre che ti mette le mani addosso, né una madre il cui istinto materno è andato a farsi fottere. Perché non ti meriti quelle troie del corso di letteratura che ti chiamano ‘orfana’ poiché non sei viziatella come loro. Perché per anni hai sofferto dentro e sei stata muta come un pesce. Perché ti è stata r … -. Fu interrotta da Bri.
-…perché ti è stata rubata l’armonia che non dovrebbe mai essere tolta ad una ragazza!- esclamò il moro, con la sua voce penetrante.
- E PERCHE’, QUELL’ARMONIA, ABBIAMO DECISO DI RIDARTELA NOI!- pronunciarono all’unisono. Per la prima volta cominciai a piangere lacrime di gioia. Mi sentivo stupida, certo. Anzi, mi sentivo come una piagnona. Ma non mi importava in quel momento.
- Graz…graz… -. No, niente. Non riuscivo a parlare, singhiozzavo troppo. Ma con loro non avevo bisogno di parole. E a dimostrarlo fu l’abbraccio in cui mi soffocarono qualche secondo dopo.
- Grazie… ve ne sono grata...- -Avanti Madi, sai benissimo che con ste smancerie non servono a niente. Sappiamo che ci sei riconoscente dal profondo dell’anima.- mi rassicurarono loro. Mi ripresi un po’ dallo shock, sciolsi l’abbraccio e li lasciai un attimo soli per andare in bagno. Entrata nella lussuosa toilette mi sciacquai il viso con acqua ghiacciata. Mi asciugai la faccia e, alzando lo sguardo, rimasi a fissarmi il volto per qualche secondo. In particolare gli occhi. Per quanto fossero sempre stati profondi, in quel momento non avevano la solita aria malinconia, spenta, erano vivi, gli angoli della bocca cominciarono ad allargarsi in uno smagliante sorriso. Mi stava andando bene. Per una volta.
*TOC TOC TOC*
-Madisoooooooon. Sei per caso affogata nel gabinetto?- urlava disperata dall’altra parte della porta Elisabeth.
Spalancai l’anta bianca e la fissai per qualche secondo.
-Sai, sembri…. felice.- confermò speranzosa il mio stato d’animo.
-Io non sembro… io SONO felice- ribattei.
-E sai perché?-
-Ehm. Perché verrò a Londra con…- stavo per risponderle sarcasticamente, quando troncò la mia frase.
-Te lo dico io. Perché stavolta sai che non è provvisorio. Sai che la tua vita sta per cambiare radicalmente. Sai di essere determinata a ricominciare da capo. Sai che, stavolta, quando tornerai a casa, i tuoi non rovineranno tutto. E sai perché?- mi domandò nuovamente.
-Perc… - Mi bloccò ancora.
-Perché tu, a casa, NON CI RITORNI o almeno non definitivamente.- Il suo viso trasmetteva soddisfazione, ma i suoi occhi avevano un non so che di malizioso.
Ecco che mi ricompariva in faccia l’espressione da stralunata. Ecco che ricominciavo a non capirci più niente. E poi quel suo sguardo mi confondeva solo le idee. Non osavo immaginare cosa le passasse per la testa. Improvvisamente, mentre ero letteralmente affogata nelle mie paranoie, mi afferrò  il polso e corremmo giù per le scale. Uscimmo dall’enorme proprietà e Eli chiuse a chiave la porta. Notai che Brian ci aspettava già in macchina. Io continuavo ad essere sconnessa. Entrammo nell’enorme BMW.
-Prossima fermata: CASA TUA!- dichiarò il fratello della mia amica.
-Calmo. Calmo. Non così in fretta. Non lo vedi che è già confusa di suo? Facciamo che ti chiarisco un po’ le idee, ok?- mi domandò lei.
-Direi che sarebbe ora!- risposi scocciata.
-Brighton non è la città adatta a noi, giusto? GIUSTO!!. Londra è la città dei nostri sogni, giusto? GIUSTO!!. Ci separano da quella magnifica metropoli solo 82 km, giusto? GIUSTO!!!. E noi percorreremo quella distanza, giusto?-
-GIUSTO!- urlai.
-Amo quando fai l’esuberante. Comunque torniamo a noi. ORA andiamo a casa tua. Tu prendi le tue amate valigie e ci metti dentro tutta la tua roba. Chiudi le valigie e torniamo a casa mia. Il tempo di far passare domani, l’ultimo giorno di scuola e poi partiamo.- rispose calma.
-Sì, Eli, apprezzo il tuo bel piano, ma… la fai così facile, manco dovessimo andare a prendere un caffè al bar. E poi se tipo i miei genitori mi bloccano e non mi fanno più uscire?-
-Oh, Madi, Madi, mia piccola Madison. Aspettiamo questo momento da mesi. Cioè, non che volessimo che ti succedesse quello che è successo oggi con tuo padre. Attendevamo solo la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, che ti avrebbe fatto capire che la situazione non era più sostenibile. Ci siamo allenati, più o meno, e possiamo dirti che in questo preciso momento tua madre sta facendo la doccia, con i Beatles a palla, e tuo padre è in centro alla taverna di Joe a scolarsi l’ennesima birra della giornata. Ah e per entrare puoi tranquillamente usare la chiave di emergenza, che avete riposto nella cassetta delle lettere.- replicò orgogliosa.
-Cavolo, hai appreso più cose tu in qualche mese di quante ne abbia mai notate io in 16 anni.- ribattei estasiata scendendo dall’enorme veicolo nero. Mi avvicinai alla cassetta della posta. Presi la chiave e la inserii delicatamente nella serratura, per evitare che mia madre mi sentisse. Appena entrai fui travolta dalle note di ‘Across the universe’, che erano pompate dalle casse ad un volume eccessivo, per i miei gusti. Tirai un sospiro di sollievo e, tranquilla,salii le scale. Entrai velocemente in camera. Scaraventai giù dal mio armadio le due valigie che, per anni avevo sperato di utilizzare, poggiandole sul letto una di fianco all’altra. Spalancai le ante dell’armadio, i cassetti del comodino e i vani della scrivania. Buttai i loro contenuti alla rinfusa nei trolley disposti sul letto e, stranamente, riuscii a farci entrare tutto. Fortuna che quella camera era il mio mondo e che non andavo seminando la mia roba in giro per la casa. Prima di chiudere i miei valigioni sfilai una borsa della Converse dall’interno di uno di loro, per metterci dentro gli oggetti che mi servivano più alla mano.
‘Ho riempito due bagagli enormi. Fai salire Bri per trascinarli giù.’ digitai sulla tastiera del BlackBerry, per poi inviare quell’SMS a Elisabeth.
Ero preoccupata, dovevamo sbrigarci!
-Buh!- La voce calda di Brian mi fece sobbalzare. Veniva da dietro e mi cinse i fianchi con le mani.
-Ma che fai?! Cavolo, sbrigati a portare sta roba giù!-lo sgridai. Con la sua faccia da cucciolo bastonato mise le valigie una sopra l’altra e le trascinò giù per le scale.
‘Oh cavolo, il pc’. Mi balenò in mente l’unica cosa che spostavo dalla mia stanza per tutto l’appartamento. Mentre il moro appoggiava sulla soglia dell’ingresso uno dei bagagli, per caricare l’altro in macchina, io corsi nel salotto.
-Grazie al cielo- sussurrai, vedendo che il mio Mac portatile era rimasto lì, in carica, su quel divanetto. Proprio come l’avevo lasciato. Lo infilai nella borsa, con tanto di caricatore e mi avvicinai alla porta, dove c’era ancora l’ultimo trolley da mettere nella BMW. Mi appoggiai al manico di quel coso- traboccante di vestiti e sospirai.
-Hei, tu, ma dove stai andando?- mi chiedeva l’ultima delle voci che avrei voluto sentire. Mi girai e c’era lei, sulle scale in accappatoio, che si scuoteva la mano tra i capelli bagnati.
-Non lo vedi, mà? Me ne sto andando.- risposi seccata.





 


SPAZIO AUTRICE:
Ecco a voi un altro capitolo spero vi piaccia e per farmelo sapere lasciatemi una piccola recensione qui ok?
Cercherò di pubblicare 2 capitoli alla settimana ma se non ci riuscirò vi assicuro che almeno un alla settimana lo pubblicherò!
Ci vediamo al prossimo aggiornamento ciao ciao!
 
Vi lascio con un po' di pubblicità:
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Ciao a presto!!
 











 

Madison














Elisabeth











 
Brian

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Capitolo 4
*** Una speranza può cambiare la vita ***


-Ah sì? E dov’è che andresti?!- mi rispose sarcastica, con quel tono per dire ‘Hahahaha, ma per piacere, deficiente!’.
-Via di qui….- feci una breve pausa-… a Londra.- riuscii a scandire, facendo un profondo respiro. Non dovevo agitarmi, ci sarei andata comunque, che lo avesse voluto oppure no!
-Oh, Londra? Ti servono i soldi per il viaggio?-
-No, ci vado con Elisabeth.-
-Ah bhè, allora ciao.-affermò supertranquilla. Nel suo sguardo c’era oppressa un’armonia che non riusciva a camuffare.
Mi avvicinai al mobiletto antico alla mia destra. Lì di solito tenevano l’alcool. Aprii la leggera anta ed estrassi una bottiglia di vetro, colma di lucente vodka liscia.
-Festeggia ora. Davanti ai miei occhi, se ne hai le palle.- la sfidai, porgendole la bevanda. Volevo capire se per caso mi volesse bene. Se magari stessi sbagliando ad andarmene via.
Mi fissò per qualche secondo per poi scoppiarmi a ridere in faccia.
-Vodka?! Qui c’è bisogno di CHAMPAGNE. Passami il Dom Perignon!- esclamò gioiosa.
’No. No. Aspetta…cosaa?!’ pensai.
-Abbiamo del Dom Perignon in casa?- domandai incredula.
-E’ probabilmente la cosa più preziosa riposta in queste quattro mura. Conservata appositamente per quest’occasione. E’ lì, nel mobiletto… vicino al rum di tuo padre.- mi indicò lei, con tutta la franchezza di questo mondo. Ma certo, era tutto normale, chi non sarebbe stato così disinvolto mentre veniva abbandonato dalla propria unica figlia? Chi non avrebbe festeggiato? Chi non avrebbe conservato una bottiglia di champagne per un avvenimento simile?
‘Madre smaturata del cazzo.’ rimuginavo in mente.
Posai la vodka e sfilai da quella mini credenza la bottiglia dell’alcolico che quella donna mi aveva chiesto. La tenni a mezz’aria per qualche secondo, mantenendola per il collo, per poi allungare le dita della mano di scatto. Lasciai cadere la bottiglia con un gesto secco. All’impatto con il pavimento il vetro si frantumò in mille pezzi e il pregiato spumante invase il pavimento dell’ingresso, fino a raggiungere la non lontana moquette.
-Ma cosa fai?! PSICOPATICA…- Mi fissava quasi traumatizzata.
-Si chiama vendetta, stronza.- le rinfacciai chiudendole la porta in faccia e trascinandomi dietro l’enorme ed ultimo trolley. Avevo desiderato dirle quelle parole da tanto tempo. Ero decisamente fiera di me.
‘Fanculo l’educazione. Quella donna mi ha rovinato l’esistenza’ continuavo a ripetermi.
Caricato il bagaglio nel cofano entrai in macchina.
Probabilmente avevo stampata in faccia un’espressione poco rassicurante,dato che rimanemmo in un tombale silenzio fino all’arrivo alla di Elisabeth.
-Ora questa è anche casa tua.- urlò Brian entrando nella villa e trascinandosi dietro le valigie.
-L’ho sempre considerata tale, Brian.- gli risposi in maniera sincera, con un sorrisino dolce. Quello con i miei genitori era solo l’appartamento in cui vivevo. Per me la casa era quel luogo che ti faceva sentire protetta dalle cattiverie del mondo.
Elisabeth continuava a sorridere. Sapeva fin troppo bene che quello era tutto ciò che avevo sempre desiderato.
-Uhm, credo che possiamo cominciare ad organizzarci. Puoi sistemarti nella camera vicino a quella di mio fratello.- mi propose lei gentilmente.
-Oh, certo. Sapete già che non vi ringrazierò mai abbastanza. Vado a mettermi qualcosa di più comodo, i vestiti che ora ho addosso mi ricordano la tremenda giornata che ho passato e vorrei evitare di pensarci.- mugugnai stiracchiandomi.
-Io intanto vado a prendere le pizze allora!-esclamò la mia amica uscendo col solito entusiasmo che manifestava quando pensava a quella magnifica pietanza italiana.
Salii con l’ascensore e, entrata nella mia provvisoria cameretta, poggiai i trolley sul letto. Aprii quello più piccolo, cacciai una t-shirt più larga della norma e un paio di pantaloncini da tuta grigi.
Mi spogliai, rimanendo in intimo, mi girai per posare il jeans e la leggera felpa che stavo indossando poco prima che vidi Brian intento a fissarmi sulla soglia della porta della mia camera, appoggiato con una spalla ai cardini dell’anta in noce.
-Ma che fai, pervertito?!- dissi quasi urlando. Mi coprii impacciatamente con la felpa.
-Wow. A 14 anni, quando venivi qui d’estate a fare i bagni in piscina con mia sorella, non eri così…- osservò lui, con un sorriso malizioso in faccia, che quasi lo rendeva più bello.
-Acuta intuizione. Spero tu abbia finito di divorarmi con lo sguardo. Ora esci da qui, cavolo!!- lo spinsi fuori, mentre se la rideva di gusto. Misi velocemente gli indumenti che avevo preparato qualche minuto prima e uscii dalla camera. Eli era tornata. Una volta finito di mangiare la pizza mi ritirai subito in camera. Volevo andare a dormire presto. Volevo far passare veloce il poco tempo che mi separava da Londra. Mi stesi sul letto pensierosa. Decisi di addormentarmi con quei vestiti addosso. Mi scocciava dovermi mettere il pigiama.Mi distesi e chiusi gli occhi.
 
-Spogliati, su, veloce.- mi incitò papà, con un tono tra il severo e l’impaziente. Ubriaco, come al solito.
Obbedii intimorita. Tolsi lo short nero e il top dorato, anche se non è che mi coprissero un granché. A vestirmi, in quel momento, c’erano solo un reggiseno ed un sottile slip.
-Fatti guardare.- disse uno dei suoi amici tirandomi per il braccio e mettendomi al centro del cerchio che avevano creato con i 4 divani su cui erano seduti. I loro occhi puntati addosso facevano lo stesso effetto di quelli di un branco di lupi affamati puntati su un agnello indifeso.
-Fatti guardare? Fatti toccare vorrai dire, forse.- affermò mio padre con quel cazzo di sorrisino da maniaco .Le sue mani e quelle dei suoi compagni cominciarono ad allungarsi avide sulle mie curve, giovani ma già prosperose e…
 
No. Dovevo dimenticare. Lui, i suoi amici, le loro porcherie. TUTTO, odiavo quegli orrendi flashback che mi assalivano la mente prima di prendere sonno. Era una persecuzione. Anche a distanza. Non avevo bisogno di averlo affianco per soffrire. Mi bastavano i ricordi.
Fortunatamente ero stremata e, verso le 23.05, caddi in un profondo semi-coma, meglio conosciuto come dormita profonda.
 
Scuola.
Il giorno dopo. 
 
Ultimo giorno di scuola, finalmente. Elisabeth era assente, come suo solito in quel giorno ‘speciale’. Diceva che era una giornata inutile, tanto non si combinava niente. Effettivamente aveva ragione. Frugavo nel mio armadietto, mentre pensavo a lei, alla ricerca disperata del mio libro di letteratura e del quaderno degli appunti.
-Guarda guarda chi si vede. Come va all’orfanotrofio, Collins?- mi chiese un’ochetta tipa della mia scuola, il cui viso era coperto dall’anta del mio armadietto.
-A volte mi chiedo chi te le scrive le battute. Non sono esattamente convinta che tu sia abbastanza intelligente da essere così pungente e sagace.- le risposi a tono chiudendo l’armadietto e scoprendole la faccia.
-Ma per piacere. Chi ti credi di essere? Io ti r...- continuava a parlottare, credendosi la regina del mondo.
-Oooh, Roberts spegni quella radio che ti ritrovi al posto della bocca e prendi pace.- le consigliai scocciata, entrando in classe. Mi sedetti all’ultimo banco, come mio solito. Le prime due ore passarono velocemente tra uno schizzo e l’altro sui quaderni.
Ero intenta ad abbozzare un viso femminile sul libro di letteratura, quando la porta della classe si aprì. Entrò una donna sui 50, Wanda, la nostra bidella.
-Collins Madison è autorizzata ad uscire. Le è stato firmato il permesso.- annunciò, porgendo il candido foglietto rettangolare al prof. Quest’ultimo mi fece un lieve cenno col capo permettendomi così di prepararmi. Presi quelle quattro cianfrusaglie che ingombravano il banco e le buttai alla rinfusa nella mia borsa a tracolla.
-Arrivederci.- salutai uscendo dall’aula. In lontananza vidi Elisabeth e Brian vicino alla segreteria. Prima ancora che chiedessi loro spiegazioni,la mia migliore amica mi precedette:
-Non dirmi che sei stupita perché non ci credo. Avanti, oggi pomeriggio partiamo per la città dei nostri sogni. Credevi davvero che avrei lasciato che tu buttassi questa mattinata al cesso andando a scuola?- mi domandò con fare non esattamente elegantissimo.
-Aaaaw, mi cogli sempre di sorpresa.- le dissi dolcemente, soffocandola in un abbraccio.
-Ma come avete fatto a farmi uscire? Serve un tutore autorizzato per farlo! E voi non siete miei tutori.- osservai divertita e alquanto incuriosita.
-Bhè, sai com’è…Bisogna saper sfruttare le proprie qualità nella vita.- mi rispose Brian roteando l’indice della mano destra intorno al viso, per sottolinearne il fascino.
-Sì, ok. Ora però smettila di fare l’egocentrico re del mondo. Madison, torniamo a noi. Vediamo un po’, quali sono , da sempre, i tuoi sogni?- mi chiese Elisabeth.
-Mmh, vediamo un po’. Andare via di casa mia.-
-Realizzato.-
-Poi…andare a Londra.-
-Stiamo lavorando per voi…-
-Ehmm. E poi bho. Ah, no, giusto.Tingermi i capelli e tatuarmi.- elencai fiera.
-E indovina ora che si fa?- chiese lei con un sorriso talmente grande da unire un orecchio all’altro.
-Oooh no. Non dirmi che…-. Neanche il tempo di finire che mi trascinò, prendendomi per il polso, verso l’enorme macchina nera del fratello.
-Destinazione: PAR-RUC-CHIE-RA!! Stiamo per partire. Invitiamo i clienti ad allacciare le cinture di sicurezza.- annunciò Brian mimando un microfono con la mano.
Scoppiammo in una sonora risata e in men che non si dica arrivammo da Chloe. La parrucchiera, insomma.
Sapevo già di che colore tingere i miei capelli che, con quella lunghezza, sarebbero stati assolutamente perfetti.
-Voglio esattamente questo colore
(
http://23kyb1ku7gv35azn84drgagouz.wpengine.netdna-cdn.com/wp-content/uploads/2012/10/capelli_colorati_570_63.jpg) - le indicai, mostrandole la foto dal mio BlackBerry.- Il solo pensiero che sarà il colore della mia chioma mi rende la ragazza più felice della terra.-.Ecco che ricominciavo ad essere logorroica. Mentre io facevo vedere la foto a Chloe, Elisabeth ne cercava una per i suoi di capelli
(
http://23kyb1ku7gv35azn84drgagouz.wpengine.netdna-cdn.com/wp-content/uploads/2012/10/Capelli-colorati-570-3.jpg) . Succedeva troppo spesso quando ero felice. Bhè almeno era un buon segno. Segno che ero serena.
Quando Chloe finì di tingermi i capelli e boccolarne le punte, Brian e sua sorella mi guardarono a bocca aperta.
-Cazzo, sei uno schianto Madison.-esclamò Brian.
-Hei Bri, la bava sul fazzoletto per favore, non sulla mia spalla. Sei davvero magnifica. Bella sisi.- si complimentò Elisabeth.
-Aaaw, grazie. Ad entrambi. E ora? Che si fa?- domandai più impaziente che curiosa. Sapevo bene che non era finita lì.
-Bhè ora si va da Ivan.- disse il moretto, con aria da saputello.
-Togliti quell’espressioncina da so-tutto-io dalla faccia. Certo, non di persona, ma so chi è Ivan. So che è il miglior tatuatore di Brighton. E so anche che è sempre stato il mio sogno farmi tatuare da lui.- gli rinfacciai con occhi sognanti, pensando a quell’artista. Sì, perché per me lui ERA un’artista. E la pelle della gente erano le sue tele, dove riproduceva veri e proprio capolavori.Sapevo dove si trovava il suo centro. E sapevo anche che potevamo arrivarci a piedi, visto che era poco più avanti.
Proseguimmo per una decina di metri, per poi arrivare alla traversa che ci interessava. La imboccammo e subito sulla destra trovammo lo studio al quale ambivo da anni. Non passarono due secondi dal nostro ingresso che subito un ragazzo ci venne incontro, salutando Brian.
-Bella, bro. Da quanto tempo non ci si becca, oh. Pronto per qualche gioellino?- chiese indicando con la mano tesa la teca piena di piercing lucenti. - Scherzo, so che non sei qui per questo. Solo che mi sono arrivati nuovi modelli di piercing e me la devo menare, perché sono l’unico in zona ad averceli.-ammise, scoppiando in una contagiosa risata con il moro. Non avevo mai visto una persona così `sincera`. Lì , a Brighton, quasi nessuno era come lui. Tutti avevano paura dell’opinione della gente. Se ti distinguevi dalla massa i pregiudizi delle persone sarebbero stati capaci di indurti al suicidio, tanto erano oppressivi. Erano un ammasso di bigotti, tutti concentrati in un’unica cittadella. Cominciai a fissare Ivan. Aveva un bridge che gli trapassava la cute sopra il setto nasale. Un conch gli perforava l’orecchio sinistro. Due enormi tattoos gli abbellivano le muscolose braccia scoperte e una spirale gli dilatava il lobo dell’orecchio sinistro.Wow.
-Di quant’è il dilatatore?- gli chiesi curiosa. Mi intromisi nel dialogo, nonostante non avessi la minima idea di cosa stessero parlando. La sua figura mi aveva rapita e distratta dal discorso.
-È di 40.- rispose con un sorriso iper orgoglioso.
Smettemmo di intrattenerci con quelle quattro chiacchiere inutili. Passammo ai fatti. Entrai impaurita nella stanza addetta ai tatuaggi. Mi distesi sul gelido lettino imbottito e scoprii la schiena, togliendo la maglietta. Non so dire esattamente in quanto, ma credo che Ivan finì di smanettare con quell’aggeggio pungente dopo circa tre quarti d’ora. Spalmò della vasellina sul tatuaggio e lo coprì con una pellicola trasparente. Il dolore, anche se non esagerato, si era un po’ fatto sentire. Mi ero fatta 2 tatuaggi: una frase, in cui, fino a qualche giorno prima, non credevo.
‘A hope can change your life’ (Una speranza può cambiare la vita), scritto in corsivo, nella parte bassa della schiena, in prossimità delle fossette di Venere e l’altro era un jeco sulla parte superiore della mano, sotto il pollice e l’indice, era magnifico. Mentre Ivan mi decorava la pelle avevamo discusso sul perché avessi scelto proprio quell’espressione. E dopo averglielo spiegato mi aveva detto ‘Le parole saranno solo parole se non darai loro vita’. Avrei ricordato quella risposta per il resto della mia vita….
Riemersi dai miei pensieri e tornai alla realtà. Andai nella sala d’attesa dello studio dove c’erano ad aspettarmi i miei due angeli custodi. Mostrai loro quei capolavori, girandomi di spalle e alzando di poco la maglietta.
-Hei Bri, devi guardarle il tatuaggio, non il sedere.- puntalizzò Ivan sorridente, fulminandoBrian, che faceva il furbetto. Salutammo velocemente quel simpatico ragazzo alternativo e tornammo a casa.
Una volta arrivati la prima cosa che feci fu guardare l’orologio 13:10. Il tempo era praticamente volato.
In un paio di giorni avevo realizzato i ¾ dei miei sogni!
Ma l’orario passò in secondo piano quando notai che il salone era pieno di bagagli, compresi i miei, e sul tavolino c’era poggiata una specie di cesta colma di cibo. Panini, forse.
-Hei, perché quella faccia confusa? Dobbiamo partire. E tu lo sai.- mi chiarì le idee il moro.
-Coooosa?! O-ora?- Ma mi avevano detto che ci saremmo avviati di pomeriggio. No, non ero psicologicamente pronta. I sogni ti spaventano quando si avvicinano, perché hai l’impressione che da un momento all’altro tutto possa svanire.
-Oh yeah. Ora aiutami a caricare tutto in macchina, su- mi rispose. Annuii stralunata e dopo un po’, con l’aiuto svogliato di Elisabeth, le valigie riempirono il bagagliaio, che era quasi sul punto di scoppiare. Brian salì alla guida, sua sorella si sedette alla sua destra. Io occupai uno dei sedili posteriori e misi affianco a me il cesto pieno di cibo che sarebbe dovuto essere il nostro pranzo. L’auto partì e io cominciai a guardare fuori dal finestrino. Addio Brighton. Non mi mancherai affatto. Stavo per iniziare un discorso per ingannare il tempo, quando quasi mi uscirono gli occhi fuori dalle orbite per l’incredulità. Perché Elisabeth dormiva alle 13:25 di mattina?! Quella ragazza era capace di dormire ovunque, a qualunque ora. In qualsiasi situazione. Stavo per scoppiare a ridere ma mi trattenni. Non volevo svegliarla. Così mi tappai le orecchie con le cuffie dell’iPod. Modalità shuffle, perfetto, presi un panino e lo addentai, mentre attendevo l’inizio della prima melodia. La stoppai quando mi accorsi che era ‘Fuckin’Perfect’ di P!nk, no, non mi sarei fatta deprimere. Non c’era niente per cui deprimersi. Stava andando tutto fottutamente bene! Dopo aver saltato QUEL pezzo, mi imposi di non mandarne avanti nessun altro. Una canzone. Due canzoni. Tre canzoni. Dieci canzoni. Quindici canzoni. Diciassette canzoni. Lasciavo che le note mi invadessero la testa. HAKUNA MATATA. Senza pensieri. Totalmente priva di preoccupazioni. Per tutto il tempo del viaggio avevo guardato fuori dal finestrino, spaparanzata in una strana posizione ma, mi rialzai in piedi quando lessi quel cartello.
WELCOME TO LONDON.
-Oh,cazzo. Eli, Eli, Elisabeth, siamo arrivati.- urlai perforandole l’orecchio.








SPAZIO AUTRICE:

Eccomi!! Spero che vi piaccia anche questo capitolo e mi scuso tantissimo per il ritardo ma, questo wee-kend non ci sono stata e visto che la prossima settimana ci sono le vacanze autunnali, i maestri ci hanno bombardato!!
Scrivetemi tutto quello che volete risponderò a tutto e cercherò di seguire tutti i vostri consigli!! Grazie a tutti ciao a presto!!




 

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