Forever Young - Ricordi di una generazione passata

di _elanor_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una lunga notte di attese ***
Capitolo 2: *** Il treno scarlatto ***
Capitolo 3: *** Lo smistamento ***
Capitolo 4: *** La pozione peggiore ***
Capitolo 5: *** Il lato triste del Natale ***
Capitolo 6: *** La sorpresa di James ***
Capitolo 7: *** Il grande segreto ***
Capitolo 8: *** Ciò che un'amicizia può ***



Capitolo 1
*** Una lunga notte di attese ***


1

 

 

 

 

Una lunga serata di attese

  1. Remus Lupin

   La stanza al piano di sopra della graziosa casetta di mattoni era piccola e completamente immersa nell’oscurità. Tutte le lampade e le candele erano state spente. Accanto alla porta c’era un grosso baule marrone, in cui erano stati riposti vestiti, libri, pergamene, inchiostri e tutto il necessario per la partenza del giorno dopo. In una piccola gabbia su un trespolo, una graziosa civetta dormiva pesantemente. Dal piano di sotto salivano l’inconfondibile profumo di arrosto e patate, e il brusio indistinto delle voci di due persone che parlavano tra di loro. Le tende della finestra sopra ad un letto erano aperte, lasciando entrare la luce argentea della luna, che aveva passato da due giorni il plenilunio.

   Disteso sul letto, un ragazzino di undici anni, gracile ed emaciato, dai capelli castani e con una profonda cicatrice sul viso, respirava con calma, assaporandosi la quiete della sua cameretta per l’ultima sera. Era ancora convalescente a causa delle brutte nottate appena passate, come accadeva ogni mese.

   Il suo sguardo cadde sul baule dall’altra parte della stanza, e si chiese se davvero stesse facendo la cosa giusta. L’indomani sarebbe partito per cominciare la sua formazione a Hogwarts, la rinomata Scuola di Magia e Stregoneria, che sarebbe durata sette anni. Ma se tutti i ragazzi, che come lui avrebbero frequentato il primo anno, in quel momento si stavano interrogando su quale casa avrebbero occupato dopo lo smistamento, i suoi pensieri erano invece di tutt’altro genere. Era terrorizzato dall’idea che qualcuno potesse venire a conoscenza del suo segreto. Dopotutto, non era certo una novità che la comunità magica non vedesse affatto di buon occhio i lupi mannari.

   Pensò che erano passati sei anni da quando era stato infettato, e la sua mente corse rapida a quella sera. Allora era solo un bambino di cinque anni, che si stava divertendo nel giardino della casa in campagna dei suoi nonni in una calda notte di luna piena. E senza alcun preavviso, dai cespugli era apparsa una creatura coperta di peli che in una frazione di secondo gli si era scaraventata addosso.

   Era straordinario come ancora ricordasse alla perfezione i dettagli e le sensazioni di quel momento: il nauseabondo odore della creatura di sudore rappreso e sangue fresco, la stretta delle mascelle sul suo piccolo torace che gli mozzavano il fiato, il calore del sangue che scorreva via dal suo corpo lacerato, l’alito rovente della bestia sulle sue ferite…

   Poi tutto era molto confuso nella sua mente, come i ricordi di un sogno sbiadito: un raggio di luce rossa sopra la sua testa… le lacrime disperate di sua madre… il soffitto bianco dell’ospedale San Mungo… una forte e indomabile rabbia che cresceva dentro di lui…

   E dopo quella notte la sua vita e quella dei suoi genitori non erano state più le stesse. I guaritori dissero che non c’era niente che si potesse fare a quel punto; che gli effetti del morso erano irreversibili, e che da allora sarebbe stato un licantropo. E da quella notte, ad ogni plenilunio, di sera veniva portato in cantina e rinchiuso lì fino alla mattina dopo, dove si risvegliava stanco e stremato, con i vestiti lacerati e coperto di graffi, senza ricordare nulla della notte passata.

   Odiava il suo stato di mannaro. Lo odiava a morte. Non aveva amici ed era estremamente riservato, perché sapeva che nessuno doveva venire a conoscenza del suo “problemino”. Spesso aveva desiderato con tutte le sue forze che quella notte non fosse sopravvissuto all’attacco, perché era meglio essere morti piuttosto che vivere in quella maniera.

   Anche i suoi genitori la pensavano così, ne era certo. Non perché gli avessero mai detto o fatto pesare in qualche modo il suo “problemino”, ma lo vedeva che erano stremati e sapeva che era così; lo percepiva da tante cose. Lo percepiva dai loro volti stanchi e invecchiati, da alcuni sguardi fugaci che coglieva, dalle lacrime di sua madre nel cuore della notte. L’aveva percepito quella mattina che era stato ritrovato fuori dalla cantina, addormentato nel pollaio completamente distrutto, coperto di piume di gallina. L’aveva percepito quando si era svegliato e aveva saputo che durante la notte sua madre era stata portata all’ospedale a causa di una ferita ad un braccio, della quale non gli avevano mai spiegato come se l’era procurata.

   E il giorno che arrivò la sua lettera per Hogwarts non fu affatto un giorno felice, come in realtà dovrebbe essere per ogni giovane mago. Sapeva già da tempo che non avrebbe frequentato e che sarebbe stato istruito a casa, perché era la soluzione più sicura per tutti. Tuttavia questo non gli impedì di provare una forte stretta allo stomaco mentre guardava suo padre che rispondeva al Preside, spiegando che il figlio non sarebbe partito.

   Quando poi, una settimana dopo, il Preside Albus Silente si presentò inaspettatamente alla porta di casa loro fu una vera sorpresa per tutti. Il Preside era un uomo anziano, dalla lunga barba argentata. Indossava una tonaca lilla con semplici ricami dorati, un mantello da viaggio viola e babbucce dorate. Sopra al naso, che sembrava rotto da tempo, un paio di occhiali a mezzaluna coprivano due vispi occhi di un azzurro-ghiaccio. L’uomo era venuto a chiedere spiegazioni sul motivo per il quale il ragazzo non avrebbe frequentato, e quando i suoi genitori, dopo un po’ di incertezza ed evidentemente irritati, dissero il perché della loro decisione, lui fece un leggero sorriso e disse:

   < Ma è soltanto questo che vi preoccupa? Be', in tal caso non c’è alcun motive per cui il ragazzo non dovrebbe essere istruito ad Hogwarts. Non è certo il primo licantropo che frequenta: in passato anche altri con il suo stesso problema sono stati ammessi, e la scuola ha garantito la massima sicurezza. Se temete per la sua incolumità e non volete che gli altri alunni sappiano della sua situazione lo posso capire, ma lasciate fare a me. Mi occuperò io di tutto, e vi garantisco che nessuno saprà niente; a meno che, è ovvio, non sia vostro figlio stesso a rivelarlo >.

   Poi si rivolse a lui e disse:

   < Allora pare che ci vedremo molto presto, ragazzo. Stai tranquillo, ti troverai benissimo a Hogwarts, tra ragazzi della tua età. E sono certo che ti farai ottimi amici >.

   Dopo di che salutò cordialmente la famiglia e uscì di casa, lasciando tutti perplessi.

   I genitori stettero alcuni giorni a riflettere sul da farsi, e infine decisero di lasciarlo partire. Così il giorno seguente, lui che non era quasi mai neanche uscito di casa senza avere almeno uno dei suoi genitori accanto, sarebbe partito per stare lontano un anno. E la cosa non lo entusiasmava neanche un po’. Da una parte era felice, perché tutti sanno che la scuola di Hogwarts è la migliore che ci sia per formare un mago alla perfezione, specie da quando Albus Silente era stato eletto Preside. Ma dall’atra era certo che non sarebbe stato affatto bene lì; sapeva che non si sarebbe fatto neanche un amico, e sperava con tutte le sue forze che nessuno mai venisse a conoscenza del suo “problemino”.

   < Remus, la cena è pronta >.

   La voce di sua madre lo scrollò dai suoi pensieri.

   < Arrivo >.

   Scese dal letto. Dalla finestra si vedeva benissimo l’opale imperfetto della luna. Remus stette un attimo a guardarla, come in segno di sfida. Poi chiuse le tende con uno strattone e corse fuori dalla camera.

ef

  1. James Potter

   I Potter vivevano a Godric’s Hollow da molte generazioni; talmente tante, che nemmeno loro avrebbero saputo dire quante. Erano una tranquilla e benevola famiglia di maghi, che amava la serenità e la pace. Malgrado vantassero una lunga genealogia di maghi e streghe nel loro passato, e fossero decisamente benestanti, la comunità magica non si era mai interessata a loro più del necessario; e la cosa era molto gradita ai Potter.

   Il signore e la signora Potter avevano un unico figlio, James, che era il loro orgoglio e la loro gioia più grande.

   Il ragazzo era venuto alla luce quando i suoi genitori erano già avanti con gli anni e si erano da tempo rassegnati all’idea di non avere un figlio. Perciò la sua nascita fu come ricevere un miracolo. Sin da bambino, James era stato coccolato e viziato più di quanto si potesse immaginare. Ogni desiderio del figlio era un ordine per gli amorevoli genitori; ogni suo più piccolo capriccio veniva esaudito.

   La camera di James era talmente colma di giocattoli e oggetti vari, che non si riusciva nemmeno a camminare lì dentro. Era il sogno di ogni piccolo mago. C’erano palle auto-rimbalzanti, fionde stregate, costruzioni che si assemblavano da sole, montagne di fumetti e riviste, sacchetti di gobbiglie, una riproduzione su scala di un campo da Quidditch con tanto di personaggi animati, tutti i pupazzi dei giocatori dei Cannoni di Chudley, la sua squadra preferita, un bellissimo manico di scopa… Aveva persino giocattoli babbani.

   Era decisamente un bambino molto viziato, e anche piuttosto dispettoso. Il suo passatempo preferito era andare in giro per il paese con i suoi amici e fare scherzi a chiunque. Il loro bersaglio prediletto era la signora Bathilda Bath, un’anziana maga in pensione che viveva non lontano da casa sua. Gliene facevano di tutti i colori, lui e i suoi amici. A volte d’estate, quando i ragazzi più grandi tornavano dalle scuole, passavano i pomeriggi a giocare a Quidditch in una zona isolata vicino al paese, per non farsi vedere dai babbani. Era un vero patito per il Quidditch, James, e se la cavava anche piuttosto bene.

   Aveva ormai undici anni, e i genitori non riuscivano a credere che il giorno dopo sarebbe partito per Hogwarts. La sola idea di separarsi dal loro piccolo li riempiva di tristezza.

   Lui invece si sentiva il ragazzo più felice del mondo, e non stava più nella pelle. Già dal giorno prima aveva preparato il grande baule in cui aveva sistemato dentro tutto il necessario ed il superfluo, lasciando fuori solo l’occorrente per il viaggio in treno, e lo aveva messo accanto alla porta d’ingresso, per non perdere tempo il mattino dopo. Aveva deciso di non portarsi alcun animale domestico, dato che secondo lui non era alla moda possederne uno. Aveva scelto con molta cura cosa indossare, prima di cambiarsi con l’uniforme, perché voleva fare una splendida impressione a tutti.

   Sarebbe finito nella casa di Grifondoro, ne era più che convinto. Già da due anni aveva attaccato nella parete della sua camera lo stemma con il leone in campo rosso-oro della casa di Godric Grifondoro, che aveva da poco scoperto essere nato proprio in quel paesino. E, inoltre, sua madre, suo padre e i suoi nonni erano tutti stati in quella casa durante la scuola. Sperava con tutto se stesso di entrare a far parte della squadra di Quidditch della casa, magari come battitore o, ancora meglio, come cercatore…

   Stava leggendo una rivista sui Cannoni di Chudley nel grazioso salotto di casa, con suo padre seduto a una scrivania a controllare le spese dell’ultimo mese e sua madre sprofondata in una poltrona a sferruzzare a maglia, quando il suono di una campanella proveniente dalla cucina annunciò l’ora di cena. I tre si diressero nella sala da pranzo. Passando accanto ad un antico specchio dalla cornice d’argento, James diede uno sguardo al suo riflesso: era magro, non molto alto, con gli occhi marroni nascosti da un paio di occhiali e indomabili capelli neri. Quei capelli sempre scompigliati erano l’unica cosa che non sopportava di se. Ci passò distrattamente una mano e andò a sedersi a tavola. Un elfo domestico dagli enormi occhi azzurri portò in tavola la cena.

   < Mamma, ma si mangia bene a Hogwarts? >

   < Oh, da quel che ricordo si mangia benissimo > rispose la madre con entusiasmo. < Il cibo viene smaterializzato dalle cucine direttamente sulle tavole nella Sala Grande. Ed è sempre ottimo ed abbondante >.

   James sorrise soddisfatto della risposta, e si gettò sulla sua zuppa, assaporandola a grandi bocconi.

   < Ma sei proprio sicuro di non voler portare Willow con te? > chiese suo padre.

   < Stai scherzando, pa’? > rispose un po’ irritato il ragazzo. < Con quel vecchio gufo farei di sicuro una figuraccia! Te l’ho già detto: portare degli animali non va di moda. E poi sarà più utile qui a casa, se vi andrà di scrivermi qualche lettera >.

   < Tesoro, mi raccomando, cerca di non combinare guari > disse sua madre, un po’ preoccupata. < Non fare dispetti agli altri, come al tuo solito. Anche oggi la signora Bath è venuta qui a lamentarsi perché hai fatto diventare il suo gatto arancione… >

   < Ma quello era solo uno scherzetto innocente, un modo simpatico per salutarla. E comunque, mamma, stai tranquilla. Sarò un angioletto > disse James, mettendo fine alla discussione, e abbassando la testa sul piatto per nascondere il sorriso beffardo che gli era apparso sul viso.

ef

  1. Lily Evans

   < Mi passi il sale, tesoro? >

   < Eccolo, cara >.

   < Mamma, c’è dell’altro polpettone? >

   < No, Petunia, mi spiace >.

   < Se vuoi puoi prenderne un po’ del mio, Tunia. A me non va più >.

   < No, grazie Lily >.

   < Perché non mangi, piccola? Sei nervosa per domani? >

   < Be’… in effetti… un po’ si. Insomma, non ho idea di quello che devo fare! Non so quasi niente del mondo dei maghi. Non so nemmeno come fare a raggiungere il binario nove e tre quarti per prendere il treno! >

   < Caro, in effetti è piuttosto strano. Voglio dire, non credo che esista un binario contrassegnato da questo numero alla stazione di Londra >.

   < Stai tranquilla, cara, sono certo che lo troveremo, in un modo o nell’altro. Hai visto, anche quando dovevamo andare in quel posto… Diagon Alley… per i libri e il resto; alla fine ce la siamo cavata, dopotutto >.

   < Ma si, hai ragione >.

   < Oh, mamma, sono così nervosa! Chissà come sarà una scuola per maghi e streghe? E i professori? E ce la farò a capire le lezioni? >

   < Piccola mia! Sono sicura che sarai la migliore di tutti. Ma ci pensi, caro? La nostra piccola Lily è una streghetta… Petunia, dove stai andando? >

   < In camera mia >.

   < Ma non hai finito… >

   < Non ho fame >.

   Lily seguì con lo sguardo sua sorella che usciva dalla sala da pranzo. Era già da un po’ che si comportava in modo strano. Si alzò anche lei dalla sedia ed andò a bussare alla camera di Petunia.

   < Tunia, sono io. Posso entrare? >

   < No Lily. Lasciami stare >.

   < Ma… io volevo solo… >

   < Sto bene, sto bene. Sono solo… un po’ stanca. Ci vediamo domani >.

   < Va bene… ‘Notte Tunia >.

   Lily andò in camera sua e si sedette sul letto. Era triste, perché sapeva che il motivo per cui sua sorella era così strana in quei giorni era la gelosia verso di lei; per non aver ricevuto una lettera come la sua.

   Infatti, ad agosto era arrivata una lettera per Lily. Era una lettera scritta su pergamena, con inchiostro verde. Diceva che lei era iscritta ad una scuola chiamata Hogwarts; una scuola per maghi e streghe. Inutile dire che la cosa lasciò tutta la famiglia senza parole. Era vero che a volte le capitavano cose bizzarre, insolite; ma non aveva mai neanche pensato di poter essere una strega. I maghi e le streghe erano un’invenzione, personaggi delle favole. Non persole reali!

   Si era poi ricordata di quello che le aveva detto più o meno un anno prima Severus Piton in una calda giornata di primavera.

   Severus era un ragazzino della sua età che viveva nello stesso paese. Era uno strano ragazzo, alto e magro, dall’andatura dinoccolata, sempre vestito con abiti vecchi e logori. Aveva i capelli neri, lunghi e tagliati male, la carnagione chiara e gli occhi scuri e lucenti come la pece. Un giorno si era avvicinato a lei mentre giocava nel parco con sua sorella, e le aveva detto che era da tempo che la osservava, e che il motivo per cui riusciva a fare certe cose strane era perché possedeva poteri magici, come lui. Petunia lo aveva trattato in malomodo, e aveva trascinato via la sorella. Da allora non si erano più parlati.

   Subito Lily era corsa a cercarlo, portandosi la lettera con sé, e quando lo trovò lui le disse che aveva ricevuto una lettera proprio come la sua. Allora la ragazza aveva insistito perché lui le dicesse tutto quello che sapeva su questa scuola e sulla magia. E, da quando i suoi genitori avevano acconsentito con esagerato entusiasmo a lasciarle frequentare la scuola, Lily aveva passato molto tempo in compagnia del nuovo amico, parlando del mondo dei maghi, delle loro vite, chiedendogli qualsiasi cosa le passasse per la mente.

   Quello sgraziato e taciturno ragazzino era diventato per lei un tramite per sapere più cose possibili sul mondo magico, ed il suo migliore amico.

   Sua sorella, però, non sopportava affatto Severus. E non soltanto lui. Non sopportava neanche l’idea di una scuola per maghi e streghe, o di avere una sorella che sapeva fare magie. Dal giorno che era arrivata la lettera per Hogwarts, al contrario dei suoi genitori, era diventata cupa e aggressiva nei suoi confronti.

   Solo il giorno prima Lily aveva capito che si trattava di gelosia nei suoi confronti. Infatti, Severus aveva trovato in camera di Petunia una lettera: era una risposta del preside di Hogwarts.

       Cara Petunia Evans.

Mi spiace dirti che purtroppo non ti è permesso frequentarela Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

So quanto deve essere doloroso, e anche alquanto seccante immagino, veder partire tua sorella Lily verso un mondo a voi sconosciuto (che ai tuoi occhi deve apparire così eccitante) e non poterne prendere parte.

Ma, al contrario di lei, tu non possiedi doti magiche, e quindi sarebbe inutile per te seguire delle lezioni dalle quali non saresti in grado di apprendere alcunché.

Mi auguro che questo non incrini il rapporto che hai con tua sorella. Credimi, è davvero molto importante andare d’accordo con i propri fratelli e sorelle.

Distinti saluti

Albus Silente          


   A quanto pareva, Tunia voleva partire per Hogwarts, e aveva scritto al preside perché le permettesse di farlo, il quale glielo aveva rifiutato.

   In fondo, poi, non era certo una novità che sua sorella desiderasse avere le capacità di Lily. Glielo aveva chiesto tante volte di insegnarle a far volare i boccioli di rosa, o a trasformare gli oggetti, o altri di quegli strani trucchi che a lei riuscivano così bene. Ma lei non ne era capace; quelle non erano cose che si potevano insegnare. Le riuscivano così, per caso, senza neanche capire come.

   Si sentiva così triste e impotente per sua sorella. Avrebbe tanto voluto che partisse con lei, ma non poteva fare nulla. Anche questo signor Silente diceva che non si poteva.

   Si alzò dal letto e andò nel soggiorno al piano di sotto, dove i suoi genitori stavano guardando la televisione. Si sedette tra loro sul divano di pelle opaca e si lasciò coccolare come un cucciolo. Quella era l’ultima sera che passava in casa sua, almeno fino alle vacanze di Natale.

ef

  1. Sirius Black

   Pioveva a dirotto sul numero dodici di Grimmauld  Place. La casa di mattoni gridi, con il tetto scuro, appariva elegante e molto curata dall’esterno. Le uniche due finestre illuminate erano le grandi vetrate del salotto.

   Il salotto era amplio, non molto luminoso, arredato con mobili antichi ed elaborati. Al centro della stanza c’era un sontuoso tappeto, ricamato con motivi orientali sulle tonalità del verde, attorno al quale erano sistemati tre divani di velluto. Su una parete c’era un enorme camino di pietra grigia, sopra al quale era dipinto un antico stemma di famiglia. C’erano appesi ovunque molti quadri che ritraevano antenati e importanti personalità del passato. Su un’intera parete era appeso un enorme arazzo che raffigurava un grande albero dai rami contorti, e pieno di nomi. Era l’albero genealogico dei Black, un’antica e importante famiglia di maghi purosangue. L’arazzo partiva dai primi discendenti della dinastia, fino alle ultime generazioni.

   Nella casa vivevano Orion e Walburga Black con i loro due figli, Sirius e Regulus, una famiglia molto rinomata all’interno della comunità magica. La cosa che più contava per loro era mantenere la purezza del loro sangue, cioè non mischiarsi con coloro che, al contrario, discendevano da famiglie di Babbani. Non esisteva per loro un’umiliazione peggiore di un familiare che fraternizzasse con dei mezzosangue o, peggio ancora, con dei babbani. Coloro che non possedevano poteri magici erano inferiori e disprezzabili ai loro occhi; persone che non avevano nemmeno il diritto di esistere.

   In quel momento la famiglia era riunita nel salotto, in compagnia del fratello della signora Walburga, Cygnus, sua moglie Druella e la minore delle loro figlie, Narcissa. I signori e le signore discutevano amabilmente sprofondati nei divani, mentre Narcissa intratteneva il cuginetto Regulus giocando agli scacchi dei maghi. L’unico che stava in disparte senza parlare con nessuno era Sirius. Se ne stava seduto in modo scomposto su un’imponente poltrona; i luminosi occhi grigi puntati sulle figure animate di una rivista di fumetti. I capelli neri come l’ebano, un po’ lunghi, gli finivano di continuo davanti agli occhi, e lui li spostava con un gesto pigro della mano.

   In realtà non prestava molta attenzione a quella lettura. Era solo un modo per non prendere parte alle conversazioni della famiglia. Si sentiva sempre fuoriposto quando stava in mezzo ai suoi parenti e familiari. Li trovava così insopportabili, sempre pronti com’erano a criticare tutti coloro che avevano nelle vene anche solo una goccia di sangue babbano.

   Sua madre, che gli lanciava sguardi fulminanti già da un po’, gli disse:

   < Sirius, ma insomma. Ti sembra educato startene lì a leggere quella roba, mentre qui ci sono ospiti? >

   Il ragazzo alzò lentamente gli occhi dal fumetto e li puntò su quelli blu scuro della madre.

   < Si, hai ragione, mamma. Dovrei fare conversazione > disse gentilmente. Poi si rivolse ai suoi zii, e con un sorriso amabile chiese < Allora, come sta mia cugina Andromeda? >

   Nella stanza calò un silenzio quasi irreale. I suoi genitori lo guardavano sbigottiti. Gli occhi degli zii, che erano diventati rossi come il fuoco in volto, erano puntati ostinatamente sull’elegante tappeto. Vide la cugina Narcissa stringere i pugni e tremare impercettibilmente, come scossa da un singhiozzo.

   Sua madre si alzò dal divano, imperiosa, e sibilò:

   < Ma cosa stai dicendo? >

   < Ho fatto solo una domanda. Che c’è di male? > chiese Sirius con falso stupore.

   < Sai benissimo che non è un argomento di cui parlare! > rispose la madre, e la sua voce assunse un timbro più acuto e irritato.

   < Perché, scusa? > continuò Sirius. < È tanto simpatica Dromeda! E Ted, suo mari… >

   < Adesso basta! > tuonò sua madre, esasperata. < Esci subito da questa stanza! Non voglio più vedere quel tuo viso impertinente fino a domani! >

   La stanza calò di nuovo nel silenzio. Tutti gli occhi erano puntati su di lui. Sirius si alzò dalla poltrona, senza distogliere lo sguardo da quello della madre. Buttò con un gesto teatrale la rivista a terra e, lentamente, uscì dal salotto. Si sedette sulle scale che portavano al piano superiore, soddisfatto di se stesso. Aveva raggiunto il suo scopo.

   Infatti, per lui era una questione fondamentale provocare ed irritare i suoi genitori, in ogni momento; e sapeva benissimo che tirare in ballo l’innominabile cugina traditrice del suo sangue avrebbe scatenato una forte reazione.

   Andromeda era la secondogenita dei suoi zii. Poco meno di un anno prima, la ragazza era scappata di casa per sposare Ted Tonks, un ragazzo con origini babbane di cui si era innamorata. Da allora la famiglia l’aveva ripudiata e l’argomento era diventato un tabù. Non veniva mai nominato il suo nome. Era stato perfino cancellato dall’arazzo nel soggiorno.

   Era proprio questo che Sirius detestava della sua famiglia: la tremenda ossessione per il sangue puro; il disprezzo e lo scherno per tutti coloro che erano babbani. Era cresciuto sentendosi ripetere che non doveva parlare con babbani e mezzosangue, perché loro erano inferiori, e non ne aveva mai capito il motivo. Disprezzava i suoi genitori, e disprezzava quanto loro i suoi parenti più stretti: la pensavano tutti allo stesso modo.

   E dopo la partenza di Andromeda li disprezzava ancora di più. Lei era l’unica dei suoi parenti che tollerava, l’unica con cui si trovasse in sintonia. Era stato un dolore enorme per lui la sua partenza. E non riusciva a capire come potessero due genitori ripudiare un figlio, e fingere che non fosse mai nemmeno esistito, per una cosa tanto sciocca. Che c’era di male a innamorarsi di un mezzosangue?

   Suo fratello Regulus uscì dalla sala.

   < Sei proprio un idiota, Sirius > gli disse. < Lo sai che non devi parlare di certe cose! Ma che ti gira per la testa certe volte? >

   < Non rompere, Reg. Tanto, anche tu la pensi come loro >.

   < Senti, fai un po’ come ti pare. Io me ne vado a letto >.

   Regulus era del tutto diverso da lui. Era il figlio perfetto, che non dava mai problemi, che faceva tutto come andava fatto, che rispettava i genitori. Era sempre stato quello più bravo, quello più buono… Era Regulus il figlio preferito, mentre Sirius era la pecora nera. Ma in diverse occasioni, Regulus gli aveva dato una mano per cavarsela coi suoi genitori in alcune delle sue bravate.

   Sirius non odiava suo fratello, ma non lo sopportava, perché anche lui aveva le stesse idee dei suoi genitori: l’assurda fissa per il sangue puro.

   Ma per sua fortuna, il giorno dopo sarebbe partito per Hogwarts, e la cosa lo rendeva immensamente felice. Non perché avrebbe imparato nuove tecniche e incantesimi. Né perché avrebbe conosciuto persone nuove. Non gli interessava neanche più di tanto sapere in che casa sarebbe finito, anche perché era quasi certo che sarebbe stato smistato a Serpeverde, come tutti i suoi parenti.

   La cosa che lo rendeva immensamente felice era passare tutto quel tempo lontano dai suoi genitori.

  

ef

  1. Severus Piton

   Severus era disteso nel suo letto tra le coperte di cotone, nella sua piccola e spoglia cameretta, rigirandosi di continuo da una parte e dall’altra. Era mezzanotte passata, ma per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a prendere sonno.

   I suoi genitori, nella stanza accanto, stavano di nuovo litigando. Sentiva benissimo le loro grida e le accuse che si lanciavano l’un l’altra. Ma non era questo che lo teneva sveglio. Quei due litigavano talmente spesso, che era diventato un’abitudine per lui quel baccano nel cuore della notte.

   Ciò che gli toglieva il sonno era l’eccitazione per il giorno dopo, quando sua madre lo avrebbe accompagnato alla stazione di King’s Cross a Londra, dove avrebbe preso il treno che lo avrebbe condotto ad Hogwarts; la sua futura nuova casa per i prossimi sette anni.

   Sognava quel giorno da talmente tanto tempo, che neanche lui avrebbe saputo dire quanto. Rappresentava ai suoi occhi una salvezza. Un rifugio lontano dai suoi genitori, pieno di persone come lui; di maghi e di streghe. Persone che lo avrebbero voluto per quello che era, che non lo avrebbero trattato da inferiore. Che gli avrebbero mostrato rispetto, al contrario di suo padre.

   E, finalmente, avrebbe finito di vedere i suoi genitori litigare di continuo. Era praticamente tutta la vita che assisteva, impotente, a quelle spiacevoli scene familiari.

   Suo padre e sua madre erano molto giovani quando si sposarono. Si erano conosciuti per caso a Londra, e pochi mesi dopo decisero d’impulso di unirsi in matrimonio. I primi anni del loro matrimonio erano passati felici e sereni, senza alcun problema.

   Fu due anni dopo, quando venne alla luce Severus, che le cose cominciarono a complicarsi. Il piccolo faceva accadere cose bizzarre attorno a se. Succedeva a volte che un giocattolo con cui stava giocando di botto si ingrandisse. Oppure che un pupazzo cambiasse colore o forma. Suo padre non capiva come questo potesse essere possibile; credeva che il figlio fosse indemoniato o qualcosa di simile.

   Fu allora inevitabile per sua madre, che fino ad allora aveva taciuto tutto al marito, raccontargli delle sue origini. Lei, come tutta la sua famiglia, possedeva poteri magici; era una strega. E il bambino aveva ereditato da lei queste capacità.

   La confessione della donna sconvolse profondamente suo marito. Da allora sua moglie ai suoi occhi era un mostro, una creatura orribile. Non faceva che rimproverarla e bistrattarla da mattina a sera. L’accusava di averlo traviato,  di averlo ingannato, di averlo legato a se con le sue fatture.

   E suo figlio, per lui non era altro che uno scherzo della natura, un essere ripugnante come la madre. Non si avvicinava mai a lui, né gli faceva una carezza ogni tanto, né lo guardava in faccia. Si comportava come se non fosse neanche suo figlio.

   Sua madre, dal canto suo, amava troppo quell’uomo per andarsene. Non riusciva neanche a pensare di separarsi da uno dei due. Preferiva subire le infamie del marito, piuttosto che abbandonarlo. Cercava di occuparsi meglio che poteva del figlio, ma era distrutta e depressa, e non riusciva a dargli l’amore di cui lui aveva bisogno.

   Severus era cresciuto nell’ombra delle discussioni domestiche. Era diventato un bambino taciturno e solitario, senza amici e con un’espressione perennemente triste sul volto. Gli venivano fatti indossare abiti vecchi e malconci, e i suoi capelli, neri come la pece, erano sempre scompigliati e troppo lunghi. I suoi coetanei lo schernivano per il suo aspetto ridicolo e trasandato. Era lo zimbello di tutti.

   Soffriva terribilmente, perché non capiva come mai suo padre si comportava così con lui; perché lo detestava tanto. Se per caso gli capitava di fare una delle sue “stranezze” cercava in tutti i modi di non farlo sapere a suo padre, che odiava quel genere di cose. Piangeva, chiuso in camera sua, chiedendosi che cosa avesse di sbagliato; perché proprio lui doveva essere così… strano e diverso dagli altri.

   Un giorno sua madre, per rincuorarlo, lo aveva portato in un posto chiamato Diagon Alley, a Londra. Severus si guardava incredulo intorno a sé: c’era di tutto in quel luogo. Era pieno di negozi che vendevano gli articoli più strani che avesse mai visto. In una via c’era un negozio che vendeva bacchette magiche. Fuori da un altro negozio erano esposti moltissimi tipi di calderoni, di tutte le dimensioni e materiali che si potessero immaginare.

   Seduti al tavolino di una gelateria, sua madre gli parlò dei suoi nonni. Gli disse che discendeva dalla famiglia Prince, una delle più antiche e nobili casate di maghi e streghe purosangue che ci fosse nel loro mondo; il mondo dei maghi. Gli disse che doveva essere orgoglioso dei suoi poteri, perché lo rendevano una persona speciale. A Severus si aprirono gli occhi su un mondo nuovo ed eccitante.

   Sua madre continuò, parlandogli del mondo magico, delle sue leggi, dei suoi doveri. Gli parlò della ‘Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts’, alla quale lui era iscritto dalla nascita, e che avrebbe frequentato quando avrebbe compiuto undici anni. Gli parlò delle quattro case, e di come tutta la sua famiglia fosse finita in quella di Serpeverde.

   Severus ascoltava rapito, e un nuovo orgoglio nasceva in lui. L’orgoglio di non essere un insulso normale Babbano come suo padre, ma un appartenente alla comunità magica. Voleva diventare un grande mago, e voleva riuscirci al più presto.

    Si fece comprare dalla madre dei libri di incantesimi per principianti, e passava tutto il suo tempo ad esercitarsi con semplici trucchi, usando la bacchetta della madre, e a ricreare pozioni, provocando sempre più le ire del padre. A sette anni riusciva già a fare incantesimi di un ragazzo di dodici anni.

   Non gli importava più se suo padre non gli dava attenzioni, o se i suoi litigavano per un giorno intero, o se gli altri ragazzi lo prendevano in giro. L’unica cosa che voleva era compiere presto undici anni per andare a Hogwarts.

   Poi un giorno, quando aveva da poco compiuto dieci anni, mentre passeggiava per il paese sentì un grido proveniente da un boschetto vicino. Corse a vedere chi aveva lanciato quell’urlo, e rimase a bocca aperta quando vide una ragazzina dai capelli rossi immobile a fissare un grosso ramo sospeso in aria sopra di lei. Quel ramo l’avrebbe certamente schiacciata, se non si fosse fermato a mezz’aria in quel modo. La ragazza indietreggiò lentamente, i grandi occhi verdi sempre puntati sul grosso ramo, che cadde a pochi centimetri dai suoi piedi. Poi, corse via spaventata, senza notare l’insolito ragazzo che la osservava.

   Severus era rimasto di sasso nello scoprire che Lily Evans, la ragazzina che viveva infondo alla strada, aveva poteri magici, come lui. Cominciò ad osservarla di nascosto, affezionandosi sempre di più a quella ragazza che aveva il suo stesso dono.

   Un giorno, prendendo un po’ di coraggio, si rivolse a lei mentre giocava nel parco pubblico con la sorella, Petunia, e le svelò che il motivo  per cui le accadeva di far succedere strane cose era perché era una strega. Ma la sua confessione non ebbe l’effetto desiderato: Petunia lo trattò male, e portò via con sé la sorella.

   Poi però, qualche mese prima, Lily era corsa da lui per confidargli di aver ricevuto una lettera per Hogwarts, e chiedendogli di parlarle del mondo dei maghi. E così era nata tra loro un’amicizia.

   Per la prima volta, Severus aveva un’amica, una persona con cui parlare, a cui confidare i suoi problemi, qualcuno che lo ascoltasse. E non avrebbe potuto desiderare una persona migliore. Lily era intelligente, dolce, simpatica. In sua compagnia stava passando le giornate più piacevoli della sua vita.

   Era felice, ed era certo che quella felicità sarebbe continuata ad Hogwarts, dove i due sarebbero andati l’indomani. Sperava che Lily e lui finissero nella stessa Casa per stare con lei più tempo possibile, magari a Serpeverde come i suoi parenti.

   Senza accorgersene le sue fantasie si confusero in delicati sogni, e lui si addormentò con una dolce e felice espressione sul magro e pallido viso.

  

 

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Capitolo 2
*** Il treno scarlatto ***


2

 

Il treno scarlatto

 

   La piccola Mini rossa della famiglia Evans parcheggiò di fronte alla stazione di King’s Cross di Londra, alle nove e mezzo di una assolata giornata di inizio settembre. Tutta la famiglia si affrettò a scendere dalla macchina. Il signor Evans corse a scaricare dalla bauliera le due pesanti valige della figlia minore, mentre sua moglie andava a cercare un carrello per trasportarle. Petunia se ne stava guardinga in disparte, con le braccia conserte, accigliata. Lily, euforica e nervosa, continuava a scorrere con gli occhi la lista del necessario per la scuola, per essere certa di aver preso tutto.

   Dopo aver caricato i bagagli sul carrello, si avviarono ai binari. Ma, come sospettavano, nessuno dei cartelli riportava il numero “nove e tre quarti”.

   < Oddio, mamma! E adesso come facciamo! > chiese, agitata, la ragazzina dai capelli rossi.

   < Non preoccuparti, tesoro. Vedrai che lo troveremo, in un modo o nell’altro… > le disse sua madre per tranquillizzarla. Nel frattempo, suo padre era andato a chiedere ad un ferroviere delle informazioni, ma l’uomo, dopo averlo guardato torvo, si allontanò dicendogli di risparmiarsi certi scherzi idioti alla sua età.

   Si sedettero un po’ rabbuiati su una panca davanti ai binari nove e dieci, pensando a come cavarsela.

   Lily cominciava a scoraggiarsi. Si chiedeva se, dopo tutta quell’attesa, i preparativi e gli acquisti per la partenza, i tanti voli di fantasia che aveva fatto in quegli ultimi mesi, sarebbe tutto finito in quella maniera, ancora prima di iniziare. Cominciava a pensare che non avrebbe mai visto il famoso castello di Hogwarts.

   Alzò gli occhi, ricacciando indietro le lacrime che cominciavano a salire, e lo sguardo le cadde su un ragazzino dai capelli castani che si dirigeva in quella direzione con i suoi genitori, che spingevano un carrello con un grosso baule marrone. Il ragazzo portava con sé una gabbietta nella quale c’era quella che sembrava una civetta; piuttosto insolito come animale da compagnia.

   Subito, Lily scattò in piedi e si buttò su suo padre.

   < Papà! Chiedi a quei signori se sanno come arrivare al binario! >

   < Ma Lily…> cominciò suo padre, spiazzato dall’irruenza della figlia.

   < Dammi retta! > continuò Lily, senza dare il tempo al padre di ribattere. < Nella lista c’è scritto che gli alunno possono portare dei gufi con loro. E quel ragazzo ha una specie di gufo! Forza papà! Muoviti! >

   Il signor Evans si alzò dalla panca, un po’ titubante, e si avvicinò alla famiglia.

   < Ehm… scusatemi tanto, ma… mi stavo chiedendo se sapete… per caso… >

   < Non sapete come raggiungere il binario “nove e tre quarti”, vero? > disse la madre del ragazzo, che aveva notato i bagagli di Lily e la sua aria disorientata, prima che il signor Evans potesse finire di parlare. < Capita spesso quando si viene da famiglie di Babbani >.

   < Beh… ecco… > cominciò il signor Evans, che non era certo di aver capito quello che diceva la donna.

   < Non c’è problema > continuò lei. < Anche noi stiamo andando dalla stessa parte. Seguiteci >.

   Le due famiglie si avviarono assieme nel corridoio tra i binari nove e dieci. Lily osservava il ragazzino, incuriosita. Non era molto alto, e aveva un aspetto decisamente malaticcio. Era gracile, dalla carnagione chiara, e aveva grandi occhi color nocciola. Inoltre, aveva una cicatrice sulla guancia sinistra.

   < Quindi, immagino che per vostra figlia sia il primo anno a Hogwarts > disse la madre del ragazzo.

   < Oh, si > rispose la signora Evans. < È stata una vera sorpresa per noi! Prima che ricevesse la lettera, non avevamo la minima idea che esistesse un mondo dei maghi. E suo figlio invece? >

   < Anche per il nostro Remus è il primo anno… >

   < Allora, tu ti chiami Remus > disse Lily rivolgendosi al ragazzo, ansiosa di fare conoscenza.

   < Ah! Ehm… si > fu la risposta del ragazzo, che fece quasi cadere la gabbia con la civetta appisolata per l’emozione. < Remus Lupin >.

   < Io mi chiamo Lily. Lily Evans >.

   < P-piacere > rispose timidamente Remus.

   I signori Lupin li condussero di fronte ad un muro di mattoncini rossi che divideva i due binari.

   < Bene. Eccoci arrivati > disse il signor Lupin, indicando il muro.

   I signori Evans rimasero perplessi.

   < Mi scusi, ma… >

   < Ma si, dovete attraversare il muro per raggiungere il binario > disse tranquilla la signora Lupin. Poi, vedendo che la famiglia Evans la guardava allibita, aggiunse: < È semplice. Ora vi mostro come si fa. Remus, caro, corri verso il muro come ti ho detto >.

   Il ragazzo si posizionò di fronte al solido muro, a qualche metro di distanza, e iniziò a corrergli incontro. Lily si tappò gli occhi con le mani. Di certo, quel ragazzo si sarebbe rotto tutte le ossa.

   Ma, al contrario di quello che si aspettava, non ci fu alcun rumore di collisione. E, quando riaprì gli occhi, vide che Remus era scomparso. Poi fu il turno della signora Lupin. Lily la vide gettarsi contro il muro, e sparire inghiottita dai mattoncini rossi.

   < Wow! > esclamò stupefatta. < Tunia, hai visto? > chiese alla sorella, che fissava incredula la compatta parete.

   < Adesso provaci tu > le disse il signor Lupin.

   Lily si mise davanti al muro, come aveva fatto poco prima l’altro ragazzo, chiuse gli occhi e cominciò a corrergli contro. Poco dopo andò a sbattere contro qualcuno, e riaprendo gli occhi si accorse che era finita addosso alla signora Lupin, che li stava aspettando. Era riuscita a raggiungere il binario “nove e tre quarti”.

   Mentre il resto della comitiva li raggiungeva, i grandi occhi verdi della ragazza osservavano increduli quel luogo. Il binario era ingombro di persone. Alcune erano vestite in maniera talmente assurda, che sembravano pronti per una festa in maschera. Dappertutto c’erano ragazzi e ragazze di tutte le età che si salutavano calorosamente e si raccontavano delle loro vacanze; alcuni di loro avevano già in dosso la divisa nera della scuola. C’erano genitori che abbracciavano i figli in procinto di partire. Un ragazzo di circa sedici anni mostrava con orgoglio un lucente manico di scopa ad un eccitato gruppo di amici. Una ragazzina dai capelli biondi rincorreva il suo gatto grigio, che non voleva saperne di farsi acchiappare. Sulle rotaie, un treno a vapore dalle carrozze di un bel rosso scarlatto, sbuffava e lanciava grandi nuvole bianche, annunciando la prossima partenza.

   Lily si voltò verso il ragazzo appena conosciuto, con un’espressione piena di entusiasmo.

   < Non riesco ancora a crederci! Sto veramente per andare ad Hogwarts! È fantastico, no? >

   < Già… > commentò il ragazzo, che era decisamente meno euforico di lei.

   < Che cos’hai? > chiese Lily, stupita della fredda reazione del ragazzo. < Non sei contento di partire? >

   < No… cioè si… Cioè io, spero solo… che vada tutto bene… >

   Prima che lei potesse aggiungere qualcosa, la signora Lupin chiamò suo figlio. Remus e Lily si salutarono, dicendosi che si sarebbero rivisti a scuola.

 

 

ef

 

 

   Nel frattempo, qualche metro più avanti, James Potter stava salutando frettolosamente i suoi genitori, ansioso di salire nel treno scarlatto.

   < Mi raccomando, piccolo mio, fai il bravo >.

   < Si mamma, non preoccuparti >.

   < E scrivici qualche volta >.

   < Si, si, certo >.

   Sua madre si chinò verso di lui, per abbracciarlo prima della partenza.

   < Mamma no! Sei impazzita? Vuoi che faccia la figura del ragazzino? > scattò James, tirandosi indietro.

   < Ma, tesoro… >

   < Dai, ci vediamo a Natale. Ciao vecchi! Statemi bene! > disse James ai genitori, e salì di corsa sul treno, trascinandosi dietro il pesante baule rosso.

   Si avviò per la corsia cercando uno scompartimento che non fosse vuoto, deciso a fare nuove conoscenze il prima possibile. Vide da un vetro un ragazzo di circa dodici anni, dai capelli neri e l’aria noncurante, che giocherellava con una Gobbiglia spaparanzato su un sedile. James aprì la porta a scorrimento dello scomparto e gli chiese:

   < Scusa, sono liberi questi posti? >

   Il ragazzo alzò leggermente lo sguardo e lo osservò con poco interesse.

   < Sicuro > fu la sua risposta.

   James entrò e si richiuse la porta alle spalle. Con qualche difficoltà, sistemò il baule sulla cappelliera, mentre l’altro continuava a intrattenersi con la Gobbiglia, guardando distrattamente fuori dal finestrino la gente che si salutava e si affaccendava sul binario. Poi si buttò pesantemente sulla poltroncina.

   < Io sono James Potter. Piacere > si presentò James, porgendogli la mano.

   < Sirius Black > rispose semplicemente l’altro, stringendogli la mano; e tornò a contemplare l’esterno.

   Rimasero in silenzio. James, che desiderava ardentemente fare subito nuove amicizie, cercò qualche argomento di conversazione.

   < Ehm… ti piace il Quidditch? > fu la prima cosa che gli venne in mente.

   < Mah. Così, così > rispose l’altro, senza neanche guardarlo.

   Deluso dalla risposta, provò con un altro approccio.

   < A che anno sei? >

   < Devo fare il primo > rispose Sirius.

   < Sul serio? Anche io! Forse saremo smistati nella stessa Casa > disse James con entusiasmo.

   < Forse… > rispose l’altro distrattamente.

   James non sapeva più di cosa parlare. Aveva scelto lo scompartimento occupato di certo dal ragazzo più altezzoso e antipatico di tutta Hogwarts. Era davvero una delusione per lui, che amava chiacchierare con chiunque incontrasse, ricevere così poca considerazione.

   Consapevole che era inutile provare a scambiare quattro chiacchiere con quel tipo, tirò fuori dallo zaino che aveva con sé una rivista sui Cannoni di Chudley e si mise distrattamente a sfogliarla, osservando le figure animate dei suoi beniamini. Ma non aveva voglia di leggere in quel momento, e quasi subito richiuse il giornaletto.

   Si mise allora ad osservare la gente all’esterno. La sua attenzione cadde su uno strano ragazzino. Era a dir poco grottesco: magrissimo e alto, di circa la sua età, aveva capelli neri lunghi e disordinati, che sembravano un ammasso di stoppa. Indossava una camicetta a fiorellini sbiaditi, decisamente femminile, e un paio di calzoni marroni sdruciti che gli stavano troppo larghi e troppo corti.

   Era di certo il ragazzo più assurdo e fuori luogo che avesse mai visto. James non riuscì a trattenere una fragorosa risata, che ridestò l’altro dai suoi pensieri.

   < Che hai da ridere? > gli chiese, incuriosito dalla strana reazione del compagno di viaggio.

   < Niente, è che… Guarda quello là. Quello con quegli assurdi vestiti > rispose James.

   Sirius guardò ora con attenzione le persone sul binario. Quando individuò lo strano ragazzo rise anche lui, divertito.

   < Oh cielo! > esclamò tra le risa. < Ma che cos’ha addosso?! Sua madre gli ha prestato la sua camicetta preferita? >

   James rise divertito dalla battuta del ragazzo.

   < Gia! E che ne dici dei calzoni? Deve avere un tubo dell’acqua rotto, per portarli così allo zompo, non trovi? >.

   < E guarda che capelli! > continuò Sirius, ridendo.

   < Saranno almeno due anni che non se li pettina! > gli fece eco James. < Gli sarà morto il parrucchiere > .

   < È il soggetto più patetico che abbia mai visto! Che Mocciosus… > commentò infine Sirius.

   I due ragazzi, che non riuscivano a smettere di ridere delle loro battute pungenti, si girarono a guardarsi.

   < Sei simpatico, Potter > commentò quasi incredulo Sirius. < Credevo che fossi un po’ stupidotto, invece sei divertente… Mi hai stupito, sai? >

   < Già. Se è per questo, io ti facevo uno snob antipatico > rispose James, pungente.

   I due si osservarono per qualche secondo. Poi scoppiarono a ridere di loro stessi, e continuarono a chiacchierare.

 

 

ef

 

 

    Il treno sarebbe partito da lì a mezz’ora, e Lily doveva ancora fare una cosa. Doveva sistemare una questione lasciata in sospeso la sera prima. Sapeva benissimo che se non lo avesse fatto in quel momento non avrebbe avuto altra occasione per molto tempo.

   Si girò verso la sorella, che se ne stava silenziosa in disparte, con le braccia incrociate sul petto e un’espressione amara sul viso.

   < Tunia, posso parlarti un attimo? > le disse Lily e, prima che la sorella potesse ribattere qualsiasi cosa, le prese la mano e si allontanò dai genitori, per non fargli sentire di cosa parlavano.

   < Senti, ti volevo dire che lo so che vorresti venire anche tu con me, ma… >

   < Ma stai scherzando?! > scattò Petunia. < Io non voglio proprio andarci là! >

   < Dai, lo so che vuoi venire e mi dispiace che non puoi! Mi dispiace, Tunia, mi dispiace! > disse Lily alla sorella, tristemente. Poi le prese una mano e, con dolcezza, continuò dicendo: < Ascolta, forze quando sarò là… >.

   Petunia cercava con forza di liberarsi dalla presa della sorella, ma Lily le stringeva la mano troppo forte.

   < No, ascolta Tunia! Forse quando sarò là, riuscirò a convincere il professor Silente a cambiare idea! >

   < Io non… voglio… venirci! > esclamò la sorella bionda, divincolandosi. < Tu credi che io voglia andare in uno stupido castello per imparare ad essere una… una… > ma non finì la frase; i suoi occhi vagarono sdegnati tra le persone che occupavano il binario. < Credi che io voglia essere un… un mostro? > concluse infine freddamente.

   Lily rimase attonita alle parole della sorella. Senza rendersene conto lasciò andare la mano, come indebolita, e calde lacrime le velarono gli occhi. Come poteva Petunia essere tanto crudele e fredda nei suoi confronti?

   < Io non sono un mostro > trovò la forza di dire, mentre le lacrime scendevano a rigargli il viso. < È una cosa orribile da dire >.

   < È la che stai andando > ribatté sua sorella, con un tono orgoglioso. < In una scuola speciale per mostri. Tu e quel Piton… due balordi, ecco cosa siete. È giusto separarvi dalla gente normale. Per la nostra sicurezza >.

   Lily era sconvolta dalla cattiveria che sua sorella le stava riversando addosso. Ogni parola che le usciva dalla bocca era per lei uno schiaffo in pieno volto. Era ingiusta e meschina. E sapeva bene che in realtà non pensava affatto quelle cose; che in realtà anche lei voleva appartenere a quel mondo di “mostri”.

   Una grande rabbia nei confronti della sorella maggiore stava crescendo dentro di lei.

   < Non pensavi che fosse una scuola per mostri > disse con rabbia, < quando hai scritto al Preside per supplicarlo di ammetterti >.

   Petunia, che di certo non se lo aspettava, divenne rossa come un pomodoro maturo.

   < Supplicare? Io non l’ho supplicato! > rispose con un timbro di voce troppo alto e acuto.

   < Ho letto la risposta > confessò Lily. < Era molto gentile >.

   Petunia sgranò gli occhi.

   < Non dovevi… > balbettò, sempre più paonazza. < Era una cosa personale… Come hai potuti…? >

   Lily distolse lo sguardo dalla sorella, e vide a pochi metri da loro il suo amico Severus accanto a sua madre, con la solita aria cupa. Era stato proprio lui a mostrarle la lettera. Nel pensarlo, Lily arrossì leggermente.

   Petunia colse la reazione della sorella. Di colpo il porpora lasciò rapidamente le sue guance.

   < L’ha trovata quel ragazzo! > sibilò con poco fiato per la rabbia e la vergogna. < Siete entrati di nascosto in camera mia! >

   < No… > cercò di giustificarsi sua sorella, < non di nascosto… Severus ha visto la lettera e non poteva credere che una Babbana avesse preso contatti con Hogwarts, tutto qui! Dice che alle poste devono esserci dei maghi che lavorano in incognito per… >

   < A quanto pare, i maghi ficcano il naso dappertutto! > la interruppe Petunia, ed aggiunse poi esasperata: < Mostro! > e, senza darle il tempo di ribattere, si diresse verso i suoi genitori, che stavano allegramente commentando ciò che li circondava.

   Lily, rimasta sola, non sapeva più cosa fare, né cosa dire a sua sorella. Non riusciva ancora a credere che la odiasse fino a quel punto. Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Petunia l’aveva umiliata e bistrattata con accuse ingiuste e orribili.

   Si asciugò le lacrime col dorso della mano. Non voleva che i suoi genitori fossero in ansia per lei pochi minuti prima della sua partenza.

   Insieme a loro si avvicinò a una delle carrozze del treno. Suo padre le caricò all’interno le valige. Prima di salire, abbracciò forte sua madre e suo padre, e non riuscì più a trattenere le lacrima che ripresero a scenderle lungo le guance. Coprendosi il volto con le mani, disse ai genitori che era triste perché doveva separarsi da loro, mentre sua sorella teneva gli occhi bassi e le braccia incrociate, con un’espressione cupa in viso.

 

 

ef

 

 

   Nel binario nove e tre quarti Severus Piton, accanto a sua madre che parlava animatamente con una vecchia amica dei tempi della scuola, se ne stava silenzioso e ricurvo come di consueto.

   Suo padre non era venuto con lui e la madre ad accompagnarlo per prendere l’espresso per Hogwarts, e la cosa non lo aveva di certo stupito. Ma guardando intorno a se tutti quei genitori affettuosi che salutavano con profusione di abbracci e carezze i loro figli provava una stretta al cuore. Era invidioso dell’affetto che ricevevano questi ragazzi così fortunati. Non poteva fare a meno di chiedersi perché proprio a lui era toccato un padre così crudele.

   Spostando lo sguardo tra la folla che occupava il binario si accorse che a qualche metro di distanza da lui c’era Lily Evans con la sua famiglia. Era così evidente che si trattava di Babbani: i signori Evans si guardavano attorno con aria decisamente esterrefatta, al contrario della maggior parte delle persone che li circondavano.

   Severus stava per precipitarsi a salutare l’amica, ma si accorse appena in tempo che stava discutendo con la sua antipatica sorella, Petunia. Sembrava una discussione piuttosto accesa: Lily teneva con forza la mano della sorella, che si divincolava per allontanarsi da lei. Il ragazzo non riusciva a distogliere lo sguardo dalla scena. Ad un tratto Petunia disse qualcosa che di certo scosse molto la sorella, perché Lily sgranò gli occhi, lasciò andare la mano e scoppiò in lacrime.

   Si sentì come se qualcuno gli avesse tirato un pugno in pieno stomaco nel vedere il volto dell’amica rigato dalle lacrime. Avrebbe voluto andare da lei e consolarla. Oppure, prendere a schiaffi Petunia per aver ferito la sua amica. Ma non poteva intromettersi tra di loro.

   Le due sorelle continuarono a discutere. Lily disse qualcosa che turbò Petunia. Poi girò lo sguardo e si accorse che c’era anche lui e che le stava fissando. Anche Petunia si accorse di lui e, con aria ancora più adirata, si scagliò contro la sorella. Infine, Petunia si allontanò lasciando la sorella in lacrime, mettendo fine alla discussione.

   Severus la vide asciugarsi il viso e raggiungere i suoi genitori. Poi con loro si avviò a uno dei vagoni, confondendosi tra la folla.

   < Mamma io salgo sul treno, sennò non troverò neanche un posto > disse Severus richiamando l’attenzione della madre. Doveva assolutamente trovarla e consolarla.

   < Va bene > rispose sua madre. < Vuoi una mano con i bagagli >.

   < No faccio da solo, grazie >.

   Si scambiarono un veloce abbraccio e Severus si girò per andare verso il treno. Poi però, si bloccò. Si voltò di nuovo e fissò i suoi profondi occhi scuri su quelli altrettanto scuri della madre.

   < Non ti fare trattar male da papà > gli disse con espressione seria.

   A quelle parole, sua madre lo guardò stupita e lo abbracciò di nuovo, stavolta con molta più intensità e calore. Lo strinse a se per diversi minuti. Severus non ricordava quando era stata l’ultima volta che sua madre gli aveva dimostrato così tanto affetto. Quando lo lasciò andare, si accorse che lei aveva gli occhi lucidi.

   Severus si voltò di nuovo e facendosi largo tra la folla sul binario arrivò al treno. Salito su una carrozza, la prima cosa che fece fu andare in bagno. Dal suo baule tirò fuori la sua nuova uniforme nera. Finalmente poteva indossare un abito nuovo e della sua misura. Si tolse velocemente la camicetta a fiorellini e i calzoni sbiaditi, che gli stavano una taglia più grande e gli arrivavano sopra le caviglie, e indossò la veste nera. Guardandosi allo specchio della toilette stentava a riconoscersi. Con quegli abiti aveva un aspetto molto più ordinato.

   Nel frattempo l’espresso aveva cominciato il suo viaggio verso Hogwarts. Severus gettò i suoi vecchi abiti dal finestrino e uscì dal bagno. Per la prima volta si sentiva a suo agio tra altri ragazzi.

   Con in mano il suo baule si mise a cercare lo scompartimento dove era seduta Lily. Attraversò due vagoni prima di trovarla. Stava seduta accanto al finestrino, con il viso schiacciato contro il vetro, in uno scompartimento insieme ad altri tre ragazzi che chiacchieravano animatamente tra di loro, senza nemmeno fare caso alla sua presenza. Severus aprì la posta, si fece largo tra le gambe dei tre ragazzi e si sedette di fronte a lei. Lily lo guardò per un attimo, e poi tornò ad osservare fuori dal finestrino. Aveva gli occhi rossi e gonfi.

   < Non voglio parlare con te > disse a Severus con voce soffocata.

   < Perché? > chiese il ragazzo.

   < Tunia mi… > rispose lei, ricominciando a piangere, < mi odia. Perché abbiamo letto la lettera di Silente >.

   < E allora? > chiese Severus.

   < Allora è mia sorella! > scattò Lily, con uno sguardo duro.

   < È solo una… > cominciò Severus, che non sopportava affatto Petunia Evans. Ma sapeva che se avesse detto quello che pensava dei Babbani a Lily non lo avrebbe mai perdonato, e si fermò in tempo. < Ma ci stiamo andando! > continuò poi con un gran sorriso, per cambiare discorso e risollevare l’amica. < Ci siamo! Stiamo andando a Hogwarts! >

   Lei annuì con la testa, asciugandosi gli occhi umidi, e accennò un sorriso.

   < Speriamo > continuò Severus, < che tu sia a Serpeverde >.

   < Serpeverde? >

   Uno dei tre ragazzi che dividevano con loro lo scompartimento guardava Severus con aria sprezzante. Era magro, non molto alto, con disordinati capelli neri e un paio di occhiali che coprivano due vispi occhi scuri.

   < Chi vuole diventare un Serpeverde? > continuò il ragazzo, mentre Severus lo guardava attonito. < Io credo che lascerei la scuola, e tu? > chiese ad un ragazzo dai capelli neri ed un’espressione noncurante.

   < Tutta la mia famiglia è stata in Serpeverde > rispose lui.

   < Oh cavolo. E dire che mi sembravi a posto > commentò il ragazzo con gli occhiali.

   < Forse io andrò contro la tradizione > disse con un mezzo sorriso l’altro. < Dove vorresti finire se potessi scegliere? >

   < Grifondoro… culla dei coraggiosi di cuore! > rispose, tirando fuori il petto e fingendo di impugnare una spada invisibile. < Come mio padre >.

   Severus a quelle parole non riuscì a trattenere un verso sprezzante. Da quello che sapeva tutti quelli che finivano a Grifondoro non erano altro che degli incoscienti, dei palloni gonfiati e sbruffoni, sempre pronti a menar le mani alla prima occasione valida. E quel ragazzo con gli occhiali, di certo era la persona più adatta a farne parte.

   < Qualcosa non va? > chiese il ragazzo irritato, che si era accorto della sua smorfia.

   < No > rispose Severus, senza riuscire poi a trattenersi, < se preferisci i muscoli al cervello…>

   < Tu dove speri di finire, visto che non hai nessuno dei due? > intervenne l’altro ragazzo dai capelli neri.

   I due amici scoppiarono in una fragorosa risata. Severus li fissava torvo e livido di rabbia, senza riuscire a dire una parola. Non si era neanche accorto che l’amica dai capelli rossi si era alzata dal sedile.

   < Andiamo, Severus, > la sentì dire con tono gelido, < cerchiamo un altro scompartimento >.

   Un tiepido calore gli pervadeva tutto il corpo nel constatare che Lily aveva preso le sue difese. L’espressione gelida e sprezzante che la ragazza rivolgeva a quei due presuntuosi antipatici lo riempiva di gioia, e un pallido rossore gli colorò il viso slavato.

   Si alzò un coro di “Oooooh…” divertiti per la reazione della ragazza. Severus e Lily raccolsero le loro cose e uscirono dallo scompartimento, tra le risatine e le prese in giro dei due amici. Quello con gli occhiali fece quasi cadere Severus, facendogli lo sgambetto.

   < Ci si vede, Mocciosus! > disse qualcuno prima che la porta scorrevole si chiudesse.

   < Che idioti! > fu il commento di Lily. < Non li sopporto proprio i tipi così sbruffoni! >

 

 

ef

 

 

   < Ci si vede, Mocciosus! > gridò Sirius al ragazzo pallido che stava uscendo dallo scompartimento con la sua amica dai capelli rossi. Anche se ora indossava l’uniforme di Hogwarts, aveva riconosciuto subito il ragazzino dagli abiti assurdi che avevano visto lui e James sul binario prima di partire. Era stato proprio quello strano tipo a fargli rivalutare James Potter, il ragazzo che divideva lo scompartimento con lui.

   < Che idioti! > commentò James dopo che la porta si fu richiusa dietro di loro. < E poi quella tipa rossa che se l’è presa così tanto per il suo amichetto! >

   < Già. Però era carina > aggiunse Jordan Miller, un ragazzo dai capelli biondi che divideva lo scomparto con gli altri due.

   < Ehi! Immagina se dovessi finire nella stessa Casa di uno di quei due?! > continuò James, tra l’inorridito e il divertito.

   < Immagino che, se faccio la fine della mia famigli, finisco con Mocciosus > rispose Sirius.

   < Ma tu… > chiese Jordan, fissando il ragazzo, < sei il figlio di Orion Black? >

   < Già > rispose Sirius, con poco entusiasmo.

   < Cavolo! La vostra è una famiglia molto importante tra i maghi, da quel che so. Papà parla spesso di voi >.

   < Immagino che cosa può dire su di noi… > commentò stizzito Sirius.

   I suoi genitori erano rinomati, non c’era dubbio. Non esisteva una famiglia di almeno due generazioni di maghi che non li conoscesse. E non era un mistero che fossero alcuni tra i più ferventi sostenitori dell’importanza del sangue puro.

   < E tu, Jordan, dove speri di essere smistato? > chiese James, mettendo fine a un breve momento di silenzio.

   < Mah, non lo so > rispose Jordan. < Papà e mamma erano entrambi in Tassorosso. So quello che dicono di chi finisce in quella Casa, perciò preferirei finire in un’altra. Grifondoro sarebbe il massimo >.

   < In pratica > concluse James, < è quasi sicuro che finiremo tutti e tre in una Case diverse >.

   I tre continuarono a parlare allegramente tra di loro, mentre il treno rosso fiamma li conduceva sempre più lontani dalla stazione di Londra, attraversando paesini di campagna e pascoli verdi. Il tempo trascorreva velocemente, e senza che i ragazzi se ne accorgessero era arrivata l’ora di pranzo. Una signora paffuta  aprì lo scompartimento e chiese ai tre ragazzi se desideravano acquistare qualcosa dal carrello. Jordan acquistò solo un pacchetto di Bolle Bollenti, mentre Sirius e James diedero fondo ai loro risparmi ed acquistarono dolciumi di tutti i tipi.

   Circa un’ora dopo, mentre i ragazzi stavano mangiando le ultime Cioccorane, scambiandosi le figurine che si trovavano all’interno, lo sportello si aprì di nuovo. Stavolta però, ad entrare fu Narcissa, la cugina quindicenne di Sirius. La sua pelle lattiginosa e i suoi capelli di un biondo chiarissimo facevano un forte contrasto con l’uniforme nera, sulla quale spiccavano i colori verde-argento della Casa di Serpeverde.

   < Ciao Sirius > si rivolse a lui la cugina, < come va? >

   < Ciao. Bene, grazie. A te come va? > rispose il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.

   < Oh, molto bene. Sai, sono passata perché la zia mi ha chiesto di darti un occhio. Vuole che questa sera gli scriva dopo lo smistamento. Ma, tanto, potremmo farlo insieme nella sala comune dei Serpeverde, giusto? >

   < Si, infatti. Comunque non ti scomodare, cuginetta; so badare a me stesso > rispose Sirius con una nota di irritazione nella voce. Era tipico di sua madre comportarsi così: assicurarsi che qualcuno lo sorvegliasse e gli riferisse ogni minimo passo falso che faceva.

   Dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio, Narcissa riprese a parlare.

   < Senti… perché non vieni a sederti nello scompartimenti dove sto io? Ti posso far conoscere alcuni dei miei amici. C’è Lucius Malfoy, Shon Dolohov, Amanda Peutery… C’è anche un ragazzino che deve fare il primo anno come te. Fa di cognome… Avery… se non mi sbaglio… >.

   < No, grazie. Preferisco stare qui > rispose con voce piatta Sirius.

   < Bene, come vuoi > disse Narcissa, evidentemente irritata. < Ci vediamo dopo >.

   E uscì chiudendosi lo sportello alle spalle.

   < Tua cugina, immagino > fece sarcastico James.

   < Già. È la figlia minore del fratello di mia madre >.

   < E… ti controlla da parte sua? > aggiunse James.

   < I miei non si fidano molto di me > spiegò Sirius. < Per loro sono un impertinente e ingrato ragazzino che “non rispetta le tradizioni della nostra antica e nobile casata”! > disse, facendo un’esagerata imitazione della voce di sua madre.

   < Wow, un ribelle! > disse scherzosamente James.

   Sirius accennò un sorriso e cambiò discorso, tornando alle figurine delle Cioccorane. Non sopportava proprio parlare della sua famiglia. E, inoltre, il fatto che sua madre avesse chiesto a Narcissa di controllarlo non gli andava proprio giù; tantomeno il fatto che l’adorabile cuginetta avesse dovuto dirlo proprio di fronte ai suoi nuovi amici appena conosciuti, facendogli fare la figura dell’imbranato.

 

 

ef

 

 

Qualche vagone più lontano, Remus ascoltava la ragazza dai capelli rossi, che aveva conosciuto la mattina alla stazione, ripetere la stessa cosa per la terza volta

< Se ci ripenso mi vengono ancora i nervi a fior di pelle! Che ragazzi patetici! Spero proprio di non finire nella loro stessa casa! >

Il suo amico, Severus Piton, se ne stava seduto accanto a lei in silenzio. Aveva un’aria truce e malinconica, ed i capelli che gli ricadevano disordinatamente davanti al viso accentuavano l’effetto.

Remus li aveva incontrati poco prima di mezzogiorno mentre andava in bagno. I due si aggiravano per i vagoni del treno trascinandosi dietro i pesanti bagagli, alla ricerca di uno scompartimento libero. E per loro fortuna, nello scompartimento dove viaggiava lui c’era solo un altro ragazzo che, essendo un prefetto, non faceva che girare per le carrozze a controllare. Quindi li aveva invitati a unirsi a lui, e Lily gli aveva raccontato dell’incontro con quegli “odiosi ragazzi”.

Erano ormai le cinque e mezzo passate. Fuori il cielo si scuriva sempre più rapidamente. Il paesaggio che scorreva dal finestrino sembrava una landa disabitata tra i boschi e le montagne. Era impossibile stabilire dove si trovassero, ma di sicuro erano molto lontano da Londra.

La porta dello scompartimento si aprì e apparve una ragazza bionda con in dosso la divisa di Tassorosso, e una spilla da Prefetto appuntata sul petto.

< Scusate ragazzi > disse la ragazza, < ma dovreste indossare le vostre divise. Tra non molto saremo arrivati >.

Lily tirò fuori dal suo bagaglio la veste nera, guardò i suoi compagni di viaggio e disse:

< Credo… che sia meglio che mi vada a cambiare in bagno >.

Quando fu uscita, lasciando i due ragazzi soli, Remus chiese a Severus:

< È un problema per te se mi cambio qui dentro? >

Severus fece cenno di no con la testa, e Remus tirò le tende. Quando si tolse la maglia notò che il ragazzo moro gli osservava con molto interesse il torace, che era pieno di segni rossi e vecchie ferite rimarginate, che il ragazzo si era procurato durante la luna piena.

< Come mai hai tutte quelle ferite? > chiese Severus.

< Ecco… mi sono… fatto male cadendo in giardino > rispose un po’ titubante Remus, infilandosi frettolosamente l’uniforme per nascondere le ferite.

< Ah… > fece Severus, con un’espressione poco convinta. < E come hai fatto a cadere? >

Remus era nel panico. Non riusciva a capire come aveva fatto a non pensare di andarsi a cambiare in bagno. Temeva che quel curioso e petulante ragazzo potesse scoprire il suo “problemino” prima che fossero arrivati a scuola.

< Sono… sono… sono inciampato in un ramo > disse con il volto in fiamme, < e sono caduto in un cespuglio di rovi >.

< Ma… > continuò il ragazzo, < non indossavi una maglietta? >

< S-si, certo, ma si è strappata tutta >.

< Ah… ma… >

Ma per fortuna in quel momento rientrò Lily, e Remus tirò un sospiro di sollievo.

< Hai fatto presto > disse con enfasi, per cambiare discorso.

< Si, non c’era fila per fortuna >.

Remus notò che Severus lo guardava in modo strano. Di sicuro non era convinto dalle risposte che aveva ottenuto.

Un’ora dopo, più o meno, una voce metallica risuonò per tutto il treno, annunciando:

< Tra cinque minuti arriveremo a Hogwarts. Siete pregati di lasciare il bagaglio sul treno; verrà portato negli edifici della scuola separatamente >.

I tre ragazzi uscirono dallo scompartimento, come il resto dei passeggeri del treno, e si formò una grossa calca di gente nei corridoi stretti. Remus cominciò a tremare per l’agitazione. Solo in quel momento aveva realizzato, infatti, che stava succedendo per davvero; stava realmente per vedere il castello di Hogwarts.

Il treno rallentò fino a fermarsi, e tutti gli studenti scesero disordinatamente, riempiendo in pochi secondi la banchina della stazione.

< Primo anno! Da questa parte! > gridava una voce roca e bassa, che apparteneva a un’enorme omaccione, alto almeno due metri, dalla barba folta e i capelli neri ispidi.

Tutti i ragazzi del primo anno rimasero a bocca spalancata nel vedere quella specie di montagna umana.

 < Allora, primo anno! Ci siete tutti? Manca qualcuno…? Bene, allora seguitemi >.

 

 

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Capitolo 3
*** Lo smistamento ***


3

 

 

 

 

Lo smistamento

 

Il gigantesco uomo dall’ispida barba bruna guidò gli alunni del primo anno lungo un sentiero buio e dissestato fino ad un piccolo porticciolo che si affacciava su un lago dalle acque scure, alla cui estremità si poteva scorgere, arroccato su una scogliera, il castello di Hogwarts: era affascinante alla luce della luna quel groviglio di torri e bastioni.

disse ad alta voce l’uomo, ed ognuno dei ragazzi prese posto in un’imbarcazione. James e Sirius, ormai in sintonia perfetta, si sedettero nella stessa barca assieme a Jordan Miller, il ragazzino che aveva fatto il viaggio in treno con loro, e una ragazzina dalle trecce bionde che si chiamava Audry Steevel. Lily si accomodò insieme a Severus, Remus e una ragazza mora. Per tutta la durata del viaggio, James e Sirius non fecero che sghignazzare indicando la barca in cui era seduto Severus, ma il ragazzo era troppo nervoso per curarsi degli altri due.

Approdarono in quella che sembrava una grotta sotterranea. L’uomo li guidò per un passaggio nella roccia che li fece sbucare all’ombra dell’immenso castello.

Il custode bussò alla pesante porta principale, e pochi istanti dopo quella venne aperta da un uomo basso e tarchiato, con dei folti baffi brizzolati, come i pochi capelli che aveva sulla nuca.

disse l’uomo che li aveva scortati.

disse il professore, facendo cenno ai ragazzi di entrare nell’immensa sala d’ingresso. Dopo che tutti furono entrati si rivolse a loro dicendo:

la Coppa delle Case>.

In quel momento un uomo magro e gobbo, con radi capelli grigio topo e guance infossate, si avvicinò al professore: .

gli rispose il paffuto professore. e detto questo li guidò fino ad una sala immensa e maestose: al suo interno erano sistemati quattro lunghi tavoli, intorno ai quali erano seduti tutti gli alunni della scuola, e sopra ad essi fluttuavano sospese in aria centinaia di candele. In fondo alla stanza era sistemato un altro tavolo, che ospitava i professori.

D’un tratto uno dei nuovi alunni emise un soffocato: e tutti i volti si levarono ad osservare quello che era un fantastico cielo stellato, del tutto identico a quello esterno.

Il professor Lumacorno condusse gli alunni lungo tutta la sala, fino a farli fermare davanti al tavolo dei professori: di fronte a questo tavolo c’era una signora dallo sguardo severo e capelli corvini raccolti in uno stretto chignon, e accanto a lei uno sgabello sul quale era poggiato un vecchio cappello a punta, tutto impolverato e logoro.

Il professor Lumacorno andò a sedersi al tavolo dei professori, e il vecchio cappello cominciò ad intonare una canzone che parlava delle quattro case di Hogwarts, elogiandone le qualità. Finita la canzone, la signora dai capelli neri prese un lungo rotolo di pergamena e disse: < Sono la professoressa Minerva McGranitt. Quando dirò il vostro nome, voi verrete qui, vi accomoderete sullo sgabello e indosserete il Cappello Parlante, che vi smisterà nelle vostre Case. Bene… Avery Waelon >

Un ragazzo biondo cenere si avvicinò titubante allo sgabello e, pochi secondi dopo aver indossato il cappello, questo urlò < SERPEVERDE! >. Da uno dei tavoli più esterno si alzò un gran frastuono di applausi e grida di acclamazione. Il ragazzo poggiò il cappello sullo sgabello e andò a sedersi al tavolo della sua Casa.

Poi la professoressa McGranitt chiamò: < Birds Claire > la quale fu invece smistata in < CORVONERO! >.

Il terzo ragazzo ad essere chiamato fu < Black Sirius >. Sirius, con tutta calma, si sedette sullo sgabello e si mise in testa il cappello. Già certo di quale sarebbe stato il responso, si mise ad osservare il tavolo dei Serpeverde. Sua cugina Narcissa lo stava salutando con la mano. Mamma, che faccia antipatica che ha quello lì, pensò Sirius sotto il pesante cappello, osservando il ragazzo seduto accanto a Narcissa: un ragazzo dai capelli biondissimi e occhi di ghiaccio. Che pizza, ma non sarebbe meglio se venissi smistato in…

< GRIFONDORO! > gridò il cappello sopra la sua testa, e dal tavolo dalla parte opposta a quello in cui era seduta sua cugina giunse un boato di grida entusiaste. Per qualche secondo, Sirius non riuscì a focalizzare bene ciò che era successo. Lentamente si tolse il cappello e cominciò a scendere le scale verso il tavolo da cui venivano gli applausi. Si voltò dall’altra parte e scorse il viso di sua cugina completamente inespressivo, incredulo. Poi sentì una pacca sulla spalla.

< Cavolo! Sei finito in Grifondoro! Grande! > gli fece James Potter, e lui gli sorrise in risposta. Infine si sedette al tavolo, e fu sommerso da pacche sulla spalla, strette di mano, sorrisi calorosi e complimenti.

Lentamente cominciò a rendersi finalmente conto di ciò che era appena successo: aveva rotto gli schemi. Per anni la sua famiglia era stata legata alla Casa di Serpeverde. Lui era il primo di una infinita sfilza di Black ad essere stato smistato in una casa che non fosse quella; e inoltre era finito in Grifondoro, da sempre in contrasto con la Casa verde-argento. I suoi genitori sarebbero di certo andati su tutte le furie: ai loro occhi quello sarebbe stato un insulto, un oltraggio, un’onta sul buon nome della famiglia. Era la riprova di quanto non fosse degno di quel cognome, e la cosa lo eccitava tantissimo…

Nel frattempo, la professoressa McGranitt continuava a chiamare i nomi. Fu il turno di Cameron Alyson, Cottrel Benjamin, Doves Judith, Evans Lily.

La ragazzina sgranò gli occhi, si avviò lentamente allo sgabello, incerta sulle gambe che tremavano, e si mise in testa il cappello. Un secondo dopo aver sfiorato i suoi capelli, il cappello disse < GRIFONDORO! > e di nuovo un coro di acclamazioni si alzò dal tavolo della sua nuova Casa. Lily si alzò, si tolse il cappello e corse verso il suo tavolo. A metà strada, però, si voltò a cercare gli occhi del suo amico Severus, che la guardavano rattristati. Lei gli lanciò di rimando un sorriso rattristato, e finalmente raggiunse il suo tavolo. Lì un ragazzino le fece spazio sulla panca accanto a sé. Lily lo guardò stizzita: era l’antipatico ragazzo dai capelli neri che aveva insultato, insieme al suo amico con gli occhiali, Severus durante il viaggio in treno. Girò lo sguardo da un’altra parte e si sedette dal lato opposto.

Poi toccò a Flint (Serpeverde), Hooks (Tassorosso), Jhonson (Corvonero), Lovegood (Corvonero). E arrivò il turno di Lupin Remus, che dopo diversi secondi di attesa, fu spedito dal cappello nella Casa di Grifondoro. Al tavolo, tra le acclamazioni generali dei nuovi compagni, si sedette accanto a Lily, che gli sorrideva calorosamente. < Che bello! Siamo finiti nella stessa casa! Meno male! Credevo ce ci sarebbe finita solo la gente più antipatica! > disse Lily a voce alta, e Remus vide il ragazzo dagli occhi chiari seduto dall’altra parte sorridere sotto i baffi.

Lentamente furono smistati più della metà dei ragazzi: Miller Jordan finì in Tassorosso. Ci furono altri tre Grifondoro: Minus Peter, Nelson Mary e Olives Pauline. Mulciber Steven fu smistato in Serpeverde, mentre Owstin Jason invece finì in Tassorosso. Poi toccò a Piton Severus. Il ragazzo si sedette e come tutti gli altri si mise il cappello in testa. Ci volle un po’ prima che il cappello gridasse < SERPEVERDE! >, e Severus andò al tavolo della Casa, che esultava a gran voce. Era la prima volta che riceveva delle acclamazioni. La gioia per quella sensazione gli colorì le guance pallide di rosa. Tutti si congratulavano con lui e gli stringevano la mano. Un ragazzo biondo che aveva circa sedici anni gli diede una pacca sulla spalla e lo fece sedere accanto a lui. Una bella ragazza bionda che sedeva accanto a lui gli strinse la mano calorosamente. Si sentiva accettato per il semplice fatto di essere se stesso, per essere un mago.

Nel frattempo la professoressa McGranitt chiamò Potter James, che andò a sedersi sullo sgabello quasi di corsa e si pigiò il cappello sulla testa; questo non fece in tempo a sfiorargli i capelli scarmigliati che gridò < GRIFONDORO! >. Il ragazzo se lo tolse e si diresse al tavolo in subbuglio. Sirius gli strinse la mano e gli fece posto accanto a sé.

< A quanto pare, siamo nella stessa Casa… > gli disse, con un sorriso sghembo.

< Già. Per fortuna che dovevi finire in Serpeverde > rispose James.

< Bèh, sono troppo in gamba per loro > fece, sorridendo.

Erano ormai rimasti pochi ragazzi da smistare: tre finirono in Tassorosso, due in Serpeverde, e tre in Corvonero. L’ultima fu Zabini Crystal che fu smistata in Serpeverde.

Quando la cerimonia fu finita, la Professoressa McGranitt fece sparire con un colpo di bacchetta sgabello e cappello. A questo punto il preside Albus Silente si alzò dalla sua sedia al centro della tavolata dei professori. Tutta la scolaresca si zittì all’istante e fissò l’anziano uomo dalla lunga barba candida, che prese a parlare:

< Benvenuti al nuovo anno scolastico di Hogwarts! Prima di dare inizio al nostro banchetto alcuni annunci. Gli studenti del primo anno si ricordino che l’accesso alla foresta intorno al castello è proibito. Inoltre è vietato fare gare di magia nei corridoi, o cose di questo genere.

< Le prove di Quidditch si terranno la seconda settimana dell’anno scolastico; chiunque voglia giocare per la squadra della sua Casa deve contattare il professor Woods. Ed ora, senza porre altri indugi, che le portate vengano servite in tavola! >. Detto questo sulle tavole apparvero pietanze di ogni tipo. Tutti gli alunni si fiondarono sui piatti principali e iniziarono a mangiare con voracità.

Al tavolo di Grifondoro i nuovi alunni cominciavano a fare conoscenza. Lily chiacchierava con tutti, ma evitava accuratamente di rivolgere domande a Sirius e James. Era del tutto intenzionata a non stringere amicizia con chi aveva bistrattato senza alcun motivo il suo migliore amico.

< Allora, io sono l’unica a provenire da una famiglia di non maghi? > chiese.

< Bèh > rispose Pauline Olives, con un forte accento francese, < mia mamma è una babbana, quindi anche la mia famiglia non è di soli maghi >.

 < Mia nonna era babbana > disse Remus.

< Credete che le lezioni saranno complicate? > chiese Mary Nelson.

< Cavolo, speriamo di no! > aggiunse Peter Minus.

< Io credo che dipenderà da quanta abilità hai già con la magia. Per quanto mi riguarda sono avvantaggiato; è una vita che faccio incantesimi  > disse James pavoneggiandosi.

< Quindi io sarò la peggiore della classe… I miei sono molto rigidi; non mi hanno praticamente mai fatto fare esercizi di magia. Non facevano che dire “finché non comincerai le scuole niente incantesimi!”. Che rabbia >.

< Ah, rossa: come mai non sei finita insieme al tuo amichetto nella casa delle serpi? > fece James a Lily.

La ragazza lo fulminò con lo sguardo. < Guarda che dispiace più a me che a te essere finita nella tua stessa casa! > rispose con arroganza, e girò la testa da un’altra parte.

James rimase impietrito a fissarla, mentre Sirius rideva di gusto. < Ti ha proprio polverizzato, Potter! > gli disse, e di tutta risposta si beccò un calcio sullo stinco da James.

Dall’altra parte della sala, al tavolo di Serpeverde, anche Severus chiacchierava con i compagni.

< Quindi, tu fai parte della famiglia Prince, giusto? > gli stava chiedendo Waelon Avery.

< Già, mia mamma è Elieen Prince >. Rispose Severus, orgoglioso.

< Ho sentito dire che ha sposato un Babbano, non è vero? > chiese Lucius Malfoy, il ragazzo pallido che lo aveva fatto sedere accanto a lui, con tono inquisitorio.

< Si… è vero… > rispose lui.

< Ah… > fu l’unica risposta di Lucius. A giudicare dalla sua espressione stizzita, il fatto di avere parentele con persone che non avevano poteri magici non era gradito a quel ragazzo. Severus si sentì tremendamente in imbarazzo per suo padre.

Ci furono alcuni attimi di silenzio, che venne spezzato da Crystal Zabini. < Hai già fatto qualche magia? > gli chiese.

< Bèh, ho provato a fare qualche incantesimo e qualche pozione. Mi sono riuscite bene. Mamma dice che ho un talento naturale per le pozioni > rispose lui, orgoglioso.

Al termine della cena il preside si alzò di nuovo in piedi per intonare con gli alunni l’inno della scuola. Le parole erano per tutti uguali, ma ognuno degli alunni scelse un motivo diverso. Alcuni cantarono a ritmo veloce, altri come un’area di lirica, altri ancora come un canto da messa solenne. Poi, i piatti sparirono dalle tavole e tutti gli alunni si alzarono dalle loro sedie. I prefetti che erano incaricati di scortare i nuovi arrivati fino alle loro camere chiamarono intorno a loro gli alunni del primo anno delle loro Case. Il primo gruppo ad uscire dalla Sala Grande fu quello di Serpeverde, con Lucius Malfoy alla guida, seguito a ruota da Severus. Prima di uscire dalla sala, il ragazzo si voltò verso il tavolo di Grifondoro, ma non poté salutare l’amica, che era impegnata a chiacchierare con le sue compagne.

 

 

 

 

Lily si voltò verso il gruppo dei nuovi alunni di Serpeverde che stava uscendo dalla Sala Grande. Avrebbe voluto salutare con la mano Severus, prima che se ne andasse, ma il ragazzo era già uscito dalla sala. Era triste separarsi dalla persona con la quale si sentiva più legata nell’ultimo periodo; aveva sperato che sarebbero finiti nella stessa Casa, ed ora si ritrovava con le due persone più antipatiche e fanatiche mai incontrate sulla faccia della terra. Per sua fortuna, almeno gli altri ragazzi sembravano simpatici.

Prima che il gruppo di Grifondoro potesse uscire dalla sala, la professoressa McGranitt si avvicinò alla prefetto incaricata di scortarli.

< Scusami, signorina Moovery, ma ho bisogno del signor Lupin. Lo accompagnerò dopo io al dormitorio >.

La prefetto e gli altri alunni rimasero un po’ attoniti dallo strano fatto, ma Remus, che sapeva già ciò che lo aspettava, con molta tranquillità si allontanò dal resto dei ragazzi e seguì la professoressa, che lo condusse per una fitta rete di corridoi, fino ad arrivare di fronte ad una grossa statua di un gargoyle. A quel punto la donna disse: < Api Frizzole > e la statua prese vita e si spostò da un lato. dietro c’era una scala a chiocciole che conduceva ad un grosso portone di legno scuro. La professoressa varcò la soglia, seguita a ruota da Remus, ed entrò in una grande stanza circolare: c’erano mobili pieni zeppi di strani oggetti che avevano tutta l’aria di essere delicati e preziosi. Tutte le pareti erano ricoperte da quadri raffiguranti anziani signori e signore, che in quel momento sornacchiavano pesantemente. Su degli scaffali erano riposti antichi e consumati libri dalle copertine di pelle rovinata e le lettere dei nomi quasi del tutto cancellate. Da un lato, accanto ad una finestra, c’era un trespolo in cui stava appollaiato un magnifico uccello dal piumaggio rosso ed arancione. Dalla parte opposta, dietro un’imponente scrivania stipata di pergamene, libri e piume, era seduto il preside Albus Silente.

< Prego, Remus, siediti > fece al ragazzo, indicandogli una bella sedia imbottita di fronte alla scrivania < Come di certo avrai capito, sei stato condotto qui perché ti possa essere illustrato il modo in cui verrà tutelata la sicurezza durante la luna piena >.

 

 

ef

 

 

< Seguitemi, primo anno, e tenete il passo >

Gli alunni del primo anno di Serpeverde seguivano il prefetto Lucius Malfoy lungo degli scuri corridoi. Di sicuro si stavano avvicinano alle fondamenta del castello. L’aria era sempre più fredda e umida. Ad un tratto, il prefetto si fermò di fronte ad un muro del tutto spoglio. < La parola d’ordine per questo primo semestre è astuzia >. Appena pronunciò quella parola, si aprì un varco attraverso il muro, e gli alunni seguirono Lucius nella loro sala comune. Era un ambiente dalle pareti di pietra, lungo e dal soffitto non molto alto. Delle grosse lampade che scendevano dall’alto illuminavano la stanza, e un fuoco scoppiettante riscaldava da un camino di pietra con delle sculture elaborate. C’erano dei grossi tavoli di legno scuro e dei divani ricoperti di stoffa verde ed argento; seduta ad uno dei tavoli c’era la bella ragazza bionda che aveva visto a cena, intenta a scrivere una lettera con aria furente. Alle pareti erano appese foto di vecchie classi di studenti e arazzi raffiguranti lo stemma della casa.

Infondo alla stanza c’erano due porte. Lucius li guidò fin davanti ad esse, poi disse: < Bene, questa è la sala comune della vostra Casa. Da queste porte si accede ai dormitori: a sinistra le femmine, a destra i maschi. Le vostre camere sono al primo piano. E, mi raccomando, non dimenticate la parola d’ordine, altrimenti non potrete rientrare > detto questo, si allontanò e raggiunse i suoi amici che erano seduti sui divani.

Severus, stremato per il viaggio e per lo stress della cerimonia, si diresse subito verso la stanza, seguito a ruota dai suoi compagni. Nella camera quadrangolare, in cui erano già stati sistemati i bagagli dei ragazzi, c’erano quattro letti a baldacchino, con bellissimi finimenti verde smeraldo. Severus non aveva mai visto una camera tanto bella ed elegante: abituato com’era alla sua piccola cameretta e al suo lettino scomodo, quel posto sembrava quasi un sogno. I ragazzi indossarono in silenzio i pigiami e si infilarono nei comodi letti, troppo stanchi per chiacchierare. Nel giro di pochi minuti erano tutti piombati nel sonno.

 

 

ef

 

 

< Allora, è tutto chiaro Remus? > chiese il preside Silente al ragazzo che lo fissava dall’altra parte della scrivania.

< Si, signore > rispose il ragazzo.

< Molto bene, dunque. Qualcuno del corpo insegnante verrà a prenderti al prossimo plenilunio prima che cali il sole e ti accompagnerà alla Stamberga Strillante > disse il preside. < Ora, Minerva, conduci questo ragazzo al suo dormitorio; sarà certamente stanco. E in bocca al lupo a te per il tuo primo giorno di scuola, Remus. Eh eh… >.

< Grazie, signore > ed uscì dall’ufficio al seguito della professoressa McGranitt.

Mentre seguiva in silenzio la professoressa attraverso i corridoi del castello, ricapitolava mentalmente ciò che gli aveva detto il preside. Egli aveva fatto installare una rara qualità di pianta, un Platano Picchiatore, sopra ad un passaggio che collegava il cortile della scuola con una casetta diroccata a qualche chilometro di distanza. Il Platano Picchiatore avrebbe assicurato la copertura, in quanto era un albero che amava picchiare chiunque si avvicinasse troppo; e in questo modo, nessun ragazzo con un po’ di buon senso si sarebbe avvicinato ad esso. Inoltre, alcune storie paesane dicevano che la Stamberga Strillante fosse la casa più infestata dagli spettri di tutta la Gran Bretagna , onde per cui nessuno sarebbe mai andato a visitarla.

Era straordinario quanto si fosse dato da fare il Preside per permettere a lui, un semplice ragazzo, di frequentare Hogwarts. Il rispetto che provava per quello straordinario ed eccentrico uomo cresceva ogni secondo di più.

La professoressa si fermò di fronte ad un quadro che raffigurava una signora grassottella, che chiese < Parola d’ordine? >.

< Caput Draconis > disse la McGranitt, e il quadro si scostò di lato mostrando un’apertura nel muro. < Bene, signor Lupin > continuò la professoressa rivolta al ragazzo, < Da questa apertura si accede alla sala comune della sua Casa. La stanza per accedere ai dormitori è la porta a destra. Buona notte, e buona fortuna >. Poi girò i tacchi, e sparì dietro la prima curva.

Remus attraversò lo stretto passaggio sul muro e sbucò nella sala. La stanza era circolare, con soffitti alti e piena di soffici poltrone ricoperte da stoffe rosse ed oro. Alle pareti erano appese una bacheca e vari stemmi di Grifondoro. da un lato, davanti ad un grosso caminetto, un gruppo di ragazzi del quarto anno chiacchieravano allegramente spaparanzati su un divano. Dalla parte opposta c’erano grossi tavoli color nocciola. Remus attraversò la sala ed entrò nella porta a destra. Salì una rampa di scale a chiocciole ed entrò nel dormitorio. Era una stanza anch’essa rotonda, in cui erano stati sistemati quattro letti a baldacchino con coperte e tende rosso-oro. Gli altri tre ragazzi che come lui facevano il primo anno erano lì dentro. Peter Minus, un ragazzo piccolo e gracilino dai capelli biondi e un visetto aguzzo da topolino, era già infilato sotto le coperte del suo letto, mentre James Potter e Sirius Black stavano finendo di indossare i loro pigiami.

< Ehi! Ma che hai combinato per finire di già nell’ufficio del preside? > chiese James con un mezzo sorriso.

< Oh, niente… > rispose timidamente Remus, che non aveva minimamente pensato a dover giustificare quella cosa con i nuovi compagni. < il fatto è… che… mi ero dimenticato a casa alcuni libri… > disse istintivamente < e mamma me li ha spediti. Il preside mi ha informato di questo >.

< Ah. Vabbè, pensavo chissà che fosse successo. Che delusione… > rispose James infilandosi la maglia del pigiama, mentre il volto di Remus, che era diventato rosso fino alla punta delle orecchie, riprendeva il suo colorito naturale.

Solo in quel momento realizzò che ogni mese avrebbe dovuto giustificare in qualche modo il fatto di passare tre notti lontano dal dormitorio. L’ansia lo invase all’improvviso; come avrebbe potuto inventare tante scuse? E come avrebbero potuto i suoi compagni crederci ogni volta, senza mai farsi venire dei dubbi?

 

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Capitolo 4
*** La pozione peggiore ***


4

 

 

 

 

La pozione peggiore

Senza quasi rendersene conto, le temperate giornate di settembre avevano ceduto il posto a quelle fredde invernali. Ora il parco attorno al castello di Hogwarts era completamente ricoperto da un soffice manto di candida neve, costantemente alimentato da continue nevicate, e il Lago Nero era completamente ghiacciato, tanto che gli alunni durante i fine settimana si divertivano a pattinarvici sopra. 

Erano già passati tre mesi da quando la scuola era iniziata. Mesi in cui l’amicizia tra Sirius e James era diventata ancora più salda. I due ragazzi erano diventati inseparabili; facevano i compiti insieme, sedevano vicini durante le lezioni, si spostavano per i corridoi del castello in coppia. E, con loro grande soddisfazione, erano considerati da tutti gli alunni del primo anno i più dispettosi di tutto il loro corso.

Già avevano cominciato a collezionare punizioni per il loro comportamento durante le lezioni, che, immancabilmente, scontavano insieme. Facevano scherzi e dispetti a chiunque. Ed erano costati diversi punti in meno alla loro Casa rosso-oro. Potevano ben dire di essere i ragazzi più popolari del loro anno.

Quel freddo pomeriggio di Dicembre, mentre tutti i loro compagni erano impegnati nello svolgere i compiti per il giorno dopo, loro due stavano scontando un’altra punizione. La severa professoressa McGranitt non aveva affatto gradito la loro poca attenzione durante la sua lezione e gli aveva assegnato il compito di ripulire tutte le lavagne e i cancellini delle aule del primo piano. Naturalmente, senza l’uso della magia.

< Accidenti! Quella donna è un mostro! E pensare che è anche la responsabile della nostra Casa! > sbottò James accigliato, sbattendo energicamente due cancellini sul davanzale della finestra. Grosse nuvole di polvere bianca si alzavano e venivano trascinate via dall’aria gelida.

< Già > commentò Sirius, che stava ripulendo la lavagna, passandosi una mano sul viso per spostarsi i capelli da davanti agli occhi e lasciandosi sulla fronte una vistosa striscia bianca. < Poteva avere un occhio di riguardo! Invece è sempre più severa. E pensare che verso Natale sono tutti più buoni… >

< Per fortuna che è l’ultima aula >.

Proprio in quel momento entrò la professoressa McGranitt. < Molto Bene > disse, < avete fatto un eccellente lavoro. Spero almeno che vi sia servito da lezione. La prossima volta sappiate che non sarò così clemente. Ora potete tornare nella sala comune. Signor Potter, signor Black > ed uscì dall’aula.

< Clemente?! > sbottò James.

< Che urli idiota! Sarà ancora qua fuori! > lo ammonì Sirius.

I due uscirono dall’aula, chiudendosi dietro la porta, sollevati dal fatto che la professoressa fosse già lontana.

< Non ci posso credere! Quella donna è una sadica! > continuò James, mentre percorreva con Sirius i corridoi che li separavano dalla sala comune di Grifondoro.

< Si infatti. E scommetto che con quelli delle altre case è molto più buona che con noi > aggiunse Sirius. Due ragazzine di Tassorosso del secondo anno gli passarono accanto e scoppiarono a ridere. < Che avranno quelle due da ridere? > chiese a James.

< E che ne so io > rispose l’amico, con un mezzo sorriso. < Piuttosto, che farai per le vacanze di Natale? >

< Mi toccherà tornarmene a casa… > disse, sospirando lievemente.

< Già, anche a me. Che noia, i pranzi coi parenti. Ne farei volentieri a meno di tutte quelle smancerie. Però sono utili. Ricevo sempre un sacco di regali. L’anno scorso, per esempio, i miei zii della Scozia… >

James continuava a parlare senza sosta dei regali che aveva ricevuto negli ultimi dieci anni, ma Sirius non lo stava ascoltando. Infatti, non aveva ancora realizzato che tra meno di due settimane sarebbe stato Natale, e che, quindi, sarebbe tornato a casa.  

I suoi genitori avevano preso malissimo il suo ingresso in Grifondoro. Dopo che sua cugina li aveva informati dell’accaduto la sera stessa dello Smistamento, aveva ricevuto una lettera scritta dalla madre, in cui gli riversava addosso tutta la sua rabbia e il suo dispiacere. Sei la vergogna della famiglia, aveva scritto la madre, sei la delusione più grande che abbia mai avuto. Quelle parole avevano colpito Sirius con più forza e più violenza di qualsiasi schiaffo che avesse mai ricevuto. Era un dolore bruciante che lo riempiva di amarezza. Era vero che le assurde idee della sua famiglia sul sangue puro e sull’odio per i babbani non le sopportava, ma dopotutto erano i suoi genitori, erano coloro che lo avevano messo al mondo. Avrebbero dovuto essere più comprensivi ed amorevoli. Ma, infondo, allora non sarebbe stata la sua famiglia.

Il suo ritorno a casa lo preoccupava più di quanto volesse ammettere anche con se stesso, perchè non sapeva cosa aspettarsi dalla sua famiglia. Non riusciva ad immaginare a cosa poteva portare il suo ingresso nella Casa nemica per antonomasia. Forse lo avrebbero picchiato; infondo lo sapeva come considerassero le punizioni corporali. O magari lo avrebbero ripudiato, come avevano fatto i suoi zii con la cugina Andromeda. Di certo, non lo aspettava niente di buono da quel Natale.

< … e un orrendo maglione grigio fatto a mano. Una cosa disgustosa; era troppo grande di almeno tre taglie! > concluse il suo monologo James.

Sirius gli rivolse un sorriso, per non fargli capire che non aveva ascoltato una parola di tutto il suo discorso. Alzando lo sguardo si accorse che erano arrivati davanti al quadro della Signora Grassa. James disse la parola d’ordine e il quadro scivolò di lato.

< Caro, hai qualcosa sulla fronte… > disse la donna del ritratto a Sirius, mentre James entrava nella sala comune attraverso lo stretto passaggio sul muro. Il ragazzo si passò una mano sulla fronte, e vedendo la striscia bianca sulla sua mano capì il motivo per cui quelle ragazze poco prima ridacchiavano. Alzando gli occhi vide l’amico contratto in una smorfia, nel tentativo di trattenere una risata.

< Brutto bastardo! > gli gridò contro, e si precipitò al suo inseguimento attraverso il buco che conduceva alla sala comune.

 

ef

L’aula di Pozioni nei sotterranei del castello era caldissima, a contrastare con il freddo polare all’esterno della scuola. Tutto l’ambiente era avvolto dai pesanti vapori che uscivano dai calderoni degli alunni del primo anno di Grifondoro e Serpeverde. I ragazzi erano stati divisi in gruppi di due persone dal professor Lumacorno, che se ne stava seduto alla sua cattedra chino su un lungo rotolo di pergamena,  per svolgere una semplice pozione soporifera.

Lily era seduta accanto a James Potter, intenta a sminuzzare in piccole parti delle foglie di Valeriana, mentre il ragazzo girava con un mestolo di rame il contenuto del calderone rovesciandoci all’interno una polvere grigiastra. La ragazza lo guardò con aria scontenta. Roteando gli occhi verdi verso l’alto, abbandonò il lavoro che stava svolgendo e strappò di mano al ragazzo l’ampolla che conteneva la polvere.

< Non si fa così! > gli disse spazientita. < Che c’è, non sai leggere? Alla lavagna c’è scritto che ce ne devi versare un pizzico ogni quattro mescolate per quattro volte! Stai facendo un disastro! >

< Allora perché non lo fai tu, se sei tanto brava? > rispose il ragazzo, irritato ed indispettito.

< Si, mi sa che è meglio. Dammi il mestolo e tu vai a tagliare le foglie. E cerca di tagliarle nel modo giusto! >

< Capirai che ci vuole a tagliare quattro fogliette! > commentò James, con aria sprezzante.

< Se non le tagli per bene la pozione non viene! > rispose la ragazza, con voce acida. James la prese in giro, imitando il suo tono, poi si sedette al posto in cui prima stava lei e cominciò a tagliare le foglie. Lily prese a mescolare e ad aggiungere piccole spruzzate di polvere. Dal calderone presero a salire lievi nuvolette di vapore di color celeste.

James non aveva ancora finito di tagliare la prima foglia che la ragazza lo rimbeccò di nuovo.

< No, razza di scemo! Devi tagliarle a striscioline! > gridò quasi la ragazza esasperata, strappandogli di mano il coltello questa volta.

< Mamma mia, come sei fiscale! > gli disse James, passandosi una mano sul viso.

< Senti, lascia stare. Faccio io, tu guarda e basta > disse spazientita la ragazza, e tornò a mescolare il contenuto del calderone. James, decisamente offeso dall’atteggiamento della ragazza, si alzò dalla sedia e le strappò di mano l’ampolla della polvere. < Non penso proprio! Il lavoro lo dobbiamo fare insieme. Togliti che verso io la polvere di Asfodelo nel calderone! Non sono mica stupido >.

< Che fai! Ridammi subito quell’ampolla! > gridò Lily, con il viso rosso per l’irritazione e per il caldo innaturale della stanza; James alzò la mano in alto prima che lei potesse afferrare la polvere. La ragazza si sporse sulle punte dei piedi, cercando di riprendere l’ampolla ma James era troppo alto perché lei, minuta com’era, potesse raggiungerla.

< Forza! Prendila! > la scherniva James, agitando in aria la mano. ma proprio in quel momento urtò contro il tavolo e fece cadere l’intera ampolla nel calderone, che nel giro di pochi secondi cominciò a ribollire minacciosamente fino a lanciare una densa nube di fumo viola.

James e Lily erano rimasti immobili a fissare il calderone con gli occhi sgranati e la bocca aperta. Lily si voltò verso il compagno con sguardo assassino e gli diede un forte spintone.

< Brutto idiota! > gli gridò Lily, con il volto paonazzo per la rabbia. < Hai rovinato la mia pozione! >

Prima che James potesse replicare qualunque cosa, si sentì un trillo dalla cattedra. < Molto bene > squillò la voce del professor Lumacorno, alzandosi dalla scrivania e disattivando con un gesto della mano una piccola sveglia dorata, < Fermi tutti. Il tempo è scaduto. Vediamo i vostri lavori >.

Il professore prese a passare lentamente per i banchi, fermandosi ad osservare ogni calderone. Commentava ogni lavoro, mentre alla cattedra una piuma d’oca ramata appuntava su di una pergamena le valutazioni che l’uomo dettava.

< Molto bene, signor Piton e signor Mulciber! > disse contemplando ammirato il calderone dei due allievi, dal quale uscivano ad intervalli regolari nuvolette tonde di vapore di una tenue graduazione di celeste. Severus si guardò compiaciuto attorno, con un sorriso accennato sul viso scarno e pallido.

< Bene anche voi, signor Black e signor Lupin > disse passando davanti al calderone dei due ragazzi. Sirius batté una pacca sulla spalla del compagno, strizzandogli l’occhio.

Quando giunse davanti al calderone di Lily e James, il professore si lasciò sfuggire una smorfia disgustata. < Oh cielo! > disse. < Signorina Evans! Signor Potter! Cos’è questo?! > chiese, indicando all’interno del calderone una sostanza viscosa tra il viola e il verde.

< Ehm, la pozione? > fece James.

< Non faccia lo spiritoso signor Potter > lo ammonì severo Lumacorno.

< Ci scusi > fece Lily, rossa di vergogna, abbassando la testa. < L’ampolla della polvere di Asfodelo è caduta dentro al calderone, e… >

< Capisco… Be’, mi spiace ragazzi, ma dovrò darvi una T ciascuno. È il lavoro peggiore di tutta la classe. E credo che dovrò togliere tre punti ciascuno per la poca cura che avete messo nello svolgimento dell’esercizio > Disse il professore. Poi si rivolse alla ragazza, guardandola con gentilezza, < Spero solo, signorina Evans, che sia un caso. Lei è un’ottima allieva e non vorrei proprio rovinare la sua perfetta media di voti > e passò oltre.

Lily continuò a fissare il liquido viscoso all’interno del calderone. Il lavoro peggiore di tutta la classe. Com’era stato possibile? Fino ad allora i suoi voti erano stati perfetti; non aveva preso niente sotto l’Oltre Ogni Aspettativa. Ed ora, grazie a quel maledetto di un Potter, aveva preso il voto peggiore in assoluto. La sua media perfetta era rovinata.

< Che c’è, Evans? > chiese James, con quel suo tono irritante. < Non sei contenta del tuo voto? >

La ragazza si irrigidì. Quello spocchioso ragazzino si permetteva anche di fare del sarcasmo dopo la figuraccia che le aveva fatto fare davanti a tutta la classe di Pozioni. Si voltò a fissarlo negli occhi, con un’espressione che avrebbe raggelato più della neve all’esterno del castello.

< Sta zitto > gli sibilò con un filo di voce, e tornò a fissare la pozione rovinata.

Quando la campanella suonò tutti gli alunni si affrettarono a rimettere nelle borse i propri libri e schizzarono fuori dall’aula, contenti di poter respirare un’aria meno densa e umida.

Severus si alzò dal suo banco e fece per uscire, ma si accorse che Lily era ancora seduta al suo tavolo, fissa sul calderone che conteneva ancora la sua disastrosa pozione. Le si avvicinò un po’ titubante. L’amica aveva un’espressione a metà tra l’incredulo e il furioso.

< Lily… > fece lui, richiamando la sua attenzione. < Tutto bene? >

< Ho preso la mia prima T. Come pensi che possa andare tutto bene? > le rispose lei, con un tono quasi isterico. La cosa non lo stupì affatto; conosceva abbastanza bene la ragazza da sapere quanto tenesse ai suoi voti, e quanto potesse essere competitiva.

< Mi dispiace… > disse Severus, titubane. < Ma… ma come hai fatto a fare questo schifo? > continuò osservando il contenuto viscido del calderone. < Non era una pozione difficile, e tu di solito sei brava >.

< Lo so che non era difficile! > sbottò Lily. < Non è stata colpa mia! L’avrei fatta benissimo, se non fosse stato per… per quell’enorme idiota di James Potter! >.

< Ah > disse semplicemente Severus. Non sopportava affatto quell’antipatico egocentrico di Potter, sempre pronto a prendere in giro tutto e tutti con il suo amichetto Black. E, oltretutto, sembrava che quei due avessero preso di mira proprio lui. Non facevano che provocarlo e ripetere quell’orribile nomignolo, Mocciosus, ogni volta che gli passava accanto. E proprio non ne riusciva a capire il motivo. Dopotutto, lui non gli aveva mai fatto niente.

Quando li sentiva schernirlo in quel modo era come se non avesse mai lasciato casa sua. Era come tornare ad ascoltare le prese in giro dei suoi compagni alle elementari. Si sentiva di nuovo lo stesso ragazzino inetto e schivato da tutti.

< Dai, non prendertela. Lo sai com’è fatto quello lì > le disse per tentare di consolarla. < Vedrai che al prossimo compito farai un figurone, e prenderai di sicuro una E >.

< Si, ma questa T mi farà media con il resto dei voti! >

< E dai, hai voti perfetti in tutte le materie! Anche a Trasfigurazione, che è la più difficile. Questo non sarà un problema > fece Severus. < Senti, perché non andiamo a fare i compiti per domani in biblioteca, prima di cena? >

< Va bene. Aspetta che raccolgo le mie cose >.

Severus aspettò che l’amica riponesse i suoi libri, le pergamene e gli inchiostri nella borsa e insieme a lei uscì dall’aula e si avviò verso la biblioteca.

Poco prima di arrivare in biblioteca si imbatterono nei due ragazzi Grifondoro, James Potter e Sirius Black, che chiacchieravano insieme ai loro due compagni Peter Minus e Remus Lupin.

< E ti pareva… > commentò a bassa voce Lily non appena vide il compagno dai capelli ribelli.

< Ehi, Evans. Dove vai? > le chiese James mentre lei e Severus si avvicinavano a loro quattro.

< A fare i compiti in biblioteca > rispose freddamente la ragazza, continuando a camminare accanto all’amico Serpeverde.

< E dai! Non dirmi che ce l’hai ancora con me per la pozione! > le disse James, parandosi davanti a lei e impedendole di proseguire.

< Mi pare ovvio! Mi hai fatto prendere una T > rispose acida la rossa, provando a spostarsi di lato per passare. James la bloccò, afferrandola per un braccio.

< Mamma mia quanto la fai lunga per una T! > commentò, stringendo la presa per non farla andare via. < E’ l’unica insufficienza che hai! Non è mica la fine del mondo! >.

< Lasciala andare. Non vedi che non vuol parlare con te? > intervenne Severus, prendendo le difese dell’amica.

< Tu non ti impicciare, Mocciosus! > gli rispose James, puntandogli addosso uno sguardo pungente.

< Smettila di chiamarlo così! > lo ammonì Lily, strattonando il braccio e riuscendo così a liberarsi dalla presa del compagno. Prese sotto braccio l’amico e lo trascinò nella biblioteca, lasciandosi il Grifondoro alle spalle.

< Mi dispiace. Per quel soprannome intendo > disse Lily sottovoce all’amico, e si sedette ad un grosso tavolo scuro.

< Lascia stare. E poi tu che colpa ne hai? > le rispose Severus, sedendosi accanto a lei.

< Lo so, ma non sopporto che ti tratti così. Neanche ti conosce… Tu non te lo meriti > disse la ragazza fissandolo con i suoi profondi occhi verdi.

La sincerità e la dolcezza che trapelava da quel suo sguardo pervase Severus come un caldo abbraccio. E il ragazzo, sentendo il suo volto scaldarsi per l’emozione, distolse velocemente i suoi occhi scuri e si mise a trafficare con i libri nella sua borsa.

< Allora, per tornare a casa per Natale facciamo il viaggio in treno insieme? > disse, per cambiare discorso, sempre con gli occhi fissi sul contenuto della borsa.

< Certo > rispose l’amica.

James rimase impalato a guardare la scintillante chioma rossa della ragazza sparire dietro la porta della biblioteca insieme all’amico Serpeverde.

< Cavolo, la ragazzina è furiosa! > commentò Sirius, spostandosi meccanicamente una ciocca di capelli da davanti agli occhi grigi.

James non rispose. Ogni volta che si trattava di Lily Potter finiva così. Non ne combinava una giusta ai suoi occhi. Era dal primo giorno, quando aveva preso in giro il suo amico sul treno, che la ragazza era fredda e scostante con lui. E nonostante il tempo che passavano insieme, non riusciva a trovare il modo di avvicinarsi a lei, di stringere un po’ amicizia.

Infondo, lui la trovava simpatica. Certo, magari un po’ permalosa e aggressiva, e fin troppo cocciuta; ma era intelligente e spiritosa. Con il resto dei compagni aveva stretto amicizia velocemente. Andava molto d’accordo con Remus; forse anche per il fatto che entrambi erano bravissimi in tutte le materie. Gli unici due con i quali si dimostrava fredda erano lui e Sirius.

Inoltre, come diavolo faceva ad essere così amica di un viscido Serpeverde come quel Piton? Solo guardarlo dava la nausea, con quel viso truce e quei capelli assurdi. Che cos’aveva quel ragazzo di tanto speciale perché potesse andarci così d’accordo?

< Certo, James, che se tu la smettessi ogni tanto di prendere in giro Severus Piton… > James si voltò di scatto e incrociò lo sguardo di Remus che lo osservava con quei suoi occhi perennemente malinconici. < Ma che vi ha fatto a te e a Sirius? > chiese.

< Niente in particolare > rispose onestamente Sirius. < E’ solo che è divertente. È uno sfigato,non lo vedi? >.

Remus gli lanciò un’occhiataccia.

< Non lo sopporto… > si intromise James, attirando l’attenzione di tutti. < Non lo so perché… è più forte di me. Non sopporto la sua faccia viscida >.

< Mi sembrano dei motivi stupidi per accanirsi contro qualcuno… > commentò con un filo di voce Remus, ad occhi bassi.

< Ma nessuno ha chiesto il tuo parere, Lupin > aggiunse acidamente Sirius.

Tra i quattro ragazzi calò un silenzio pesante, che venne interrotto dall’arrivo di una ragazza di Grifondoro del terzo anno.

< Chi di voi è Remus Lupin? > chiese.

< Sono io > rispose Remus.

< La professoressa McGranitt ti vuole nel suo ufficio >.

< Grazie > fece stancamente Remus.

< Ancora! > disse Sirius fissando il ragazzo castano. < Quindi, immagino che non torni a dormire neanche stasera… >.

< Perché? > chiese Remus con aria non troppo tranquilla.

< Be’, mi pare ovvio > si intromise James, < ogni volta che ti chiama la Mc nel suo ufficio ti rivediamo dopo tre giorni. È per via di tua madre che non sta bene, no? >

< SI! > quasi gridò Remus. < Cioè… si, infatti. È per via di mia madre… > aggiunse con voce più moderata. < Ora… vado a sentire che mi dice la McGranitt. Magari, stavolta non è niente. Ciao > e si allontanò nella direzione dello studio della professoressa.

< Mmm, secondo me non ce la racconta giusta… > fece Sirius pensieroso, appoggiato al muro e con le braccia incrociate sul petto; i suoi occhi chiari fissi sulla sagoma del compagno in lontananza.

< Che vuoi dire? > chiese Peter.

< Be’, che mi sembra strano che uno studente abbia il permesso di andare e venire da Hogwarts quando vuole > continuò Sirius.

< Non ha il permesso di andarsene quando vuole! Sua mamma ha una brutta malattia. Mi sembra giusto che possa andare a trovarla se si aggrava, scusa > fece James, infastidito dal commento dell’amico.

< Ma non ti sembra un po’ strano che sua mamma peggiori almeno una volta al mese? > continuò Sirius cocciuto.

< Ha la Cardillite! È una delle più brutte malattie magiche che ci possano essere! Ed è praticamente incurabile. Certo che mi pare normale! > rispose James, sempre più sicuro di sé. Era la prima volta che alzava la voce con il suo migliore amico. Quasi si sentiva in colpa per quel suo comportamento.

< Pensala come ti pare > concluse il ragazzo. < Secondo me c’è sotto qualcosa… >

< Certo, come no! Dai andiamo in sala comune che se non finiamo il tema della Mc ci becchiamo altri quattro punti in meno >.

 

ef

 

< Allora, Remus, eccoci di nuovo qua. >. La professoressa McGranitt appariva sempre nervosa nei momenti che precedevano la luna piena, quando lo scortava alla Stamberga Strillante. < Domattina, come sempre, arriverà Madama Chips, per medicarti e portarti qualcosa da mangiare. E… mi pare di aver detto tutto. Buona notte signor Lupin. Cioè… >

< Buona notte, professoressa > rispose pacatamente Remus, cercando di togliere la donna dall’impaccio della sua gaffe. La professoressa uscì dalla stanza, lasciandolo solo. Come ogni mese.

La prima volta che era stato scortato fino a lì, la cosa lo aveva talmente infastidito. Il passaggio sotto quell’infido albero, attraverso quello stretto vicolo sotterraneo, tanto stretto e basso che era costretto a camminare curvo per tutto il viaggio. E quella casa diroccata, cadente, che non dava minimamente l’idea di essere un luogo sicuro ( infatti era certo che fosse piena di incantesimi che le impedivano di implodere su se stessa ). Quando li aveva visti per la prima volta lo avevano terrorizzato e riempito di rabbia e malinconia. Tanto che, dopo che la professoressa se n’era andata, nei momenti che precedevano la trasformazione, aveva pianto disperatamente raggomitolato su se stesso, accasciato contro uno spigolo. Avrebbe voluto che sua mamma fosse lì, a dirgli che andava tutto bene. Che le cose sarebbero cambiate prima o poi.

Ma sapeva benissimo da solo che non era così…

Poi, giorno dopo giorno, si era abituato a quel luogo. Tanto che lo considerava una seconda casa. Una sorta di bozzolo sicuro, che nascondeva al resto del mondo il suo inquietante problemino. Passare le tre giornate della luna piena in quella casetta sgangherata, alla fine, si era rivelato quasi piacevole.

Le mattine che seguivano alle inquietanti notti che passava lì dentro, Madama Chips, l’infermiera della scuola, andava a raggiungerlo per medicargli le orrende ferite che si procurava lui stesso a suon di morsi e graffi. A volte erano talmente violente, che per mezza giornata non riusciva neanche ad alzarsi. Poi, durante il giorno, riceveva la visita di alcuni dei suoi professori, che lo aiutavano nello studio. Doveva ammettere che quelle tre giornate, che passava quasi interamente sopra ai libri, erano le più produttive, dato che non c’era nessuno ad interromperlo ogni tre secondi chiedendogli quanto Cardamomo andasse aggiunto alla pozione per far diventare i capelli biondi, o qual’era il giusto movimento per l’Incantesimo di Levitazione.

Inoltre, quelle solitarie giornate gli avevano rivelato una cosa fondamentale: era felice di frequentare Hogwarts. Era la prima volta che aveva dei rapporti con dei ragazzi della sua età che si potessero definire di  “amicizia”. Ogni volta che pensava a quel fatto era quasi incredulo. Lui, Remus Lupin, aveva degli amici. Certo, non poteva dire che avesse un rapporto strettissimo con loro. Non poteva certo paragonarlo al legame che avevano James e Sirius, ma ciò non cambiava il fatto che aveva degli amici.

E odiava dover raccontare quel mare di bugie ogni volta. Aveva addirittura dovuto tirare in ballo sua madre, fingendo un’assurda e orribile malattia. Ogni volta che lo diceva le sue budella si attorcigliavano per il senso di colpa. Ma per fortuna ci avevano creduto…

O almeno, fino ad allora. Infatti, lo sguardo che aveva colto nel volto di Sirius quando quella ragazza era venuta a cercarlo non era dei più rassicuranti. C’era qualcosa di strano; era quasi sospettoso. Che avesse capito qualcosa? Infondo era assurdo che credessero così ciecamente a quelle cavolate che gli aveva propinato.

Un crampo improvviso gli attraversò lo stomaco. Istintivamente andò con lo sguardo alla finestra. Il sole era calato, e una pallida luna tonda rischiarava pigramente il cielo invernale, lanciando lattiginosi riflessi sulla neve fresca che ricopriva il paesaggio circostante. Era il momento.

Di nuovo, uno spasmo lo scosse per tutto il corpo, facendolo cadere in avanti. Cercando di rimanere lucido il più a lungo possibile, si tolse faticosamente l’uniforme di dosso; non era certo il caso di distruggerne un’altra.

La rabbia lo assaliva con folle intensità, e un crampo più forte lo pervase ovunque. Si sentiva ardere dappertutto, come se stesse andando a fuoco. Si osservò le braccia, che si stavano allungando sotto i suoi occhi appannati, e si ricoprivano di ispidi peli bruni. Era straordinario come, ogni volta, quella trasformazione lo coglieva spaesato come se fosse la prima. Per quanto ci provasse, non riusciva ad abituarsi a quel calore, quel dolore, quella rabbia disumana.

Gli occhi si appannavano sempre di più. Ora non riusciva più nemmeno a distinguere le sue grosse mani scure poggiate a terra. Di nuovo, un brivido di dolore lo attanaglio, arrivandogli fin dentro la testa e costringendolo ad urlare e contorcersi. Poi non vide più niente.

 


Lo so, sono lentissima a pubblicare questi capitoli. Non trovo mai il tempo necessario da dedicarci, e sono pignola. Se quello che scrivo non mi soddisfa almeno all'80% è meglio che non lo pubblico.

Spero che la storia vi piaccia...

Grazie mille a felpa_fan, JDS, riddikulus e jomarch per le recenzioni che mi avete lasciato. Mi hanno fatto davvero piacere. E grazie a quelli che hanno aggiunto ai preferiti la mia storia.

jomarch: in effetti la mia intenzione era proprio quella (descrivere come si sono formati i Malandrini e poi andare avanti). Vorrei riuscire a scrivere i momenti fondamentali della loro vita a Hogwarts, e quindi parlare un pò di tutti e sette gli anni. Ora mi devo concentrare più che altro sul primo anno, ma poi sicuramente andrò avanti. Spero che continui a piacerti la mia storia...

Cercerò di essere veloce a pubblicare, ma non vi assicuro niente... sorry..,

Ciao a tutti!!

M.

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Capitolo 5
*** Il lato triste del Natale ***


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Il lato triste del Natale

 

Al contrario di ogni sua prospettiva, tornato a casa Sirius non aveva ricevuto nessuno dei trattamenti che si aspettava di ricevere. Nessuno l’aveva picchiato o sgridato per il suo ingresso nella Casa nemica per eccellenza. Non aveva sollevato nessuno sprezzante appellativo quando era rientrato in casa avvolto nella sua vistosa sciarpa giallo-rosso, trascinando il pesante baule, dopo che un autista era stato mandato a prenderlo alla stazione di Londra.

E, con suo sollievo, il suo nome era ancora ben visibile nell’antico arazzo di famiglia; segno che non era stato ancora ripudiato dai Black.

Molto più semplicemente, i suoi genitori avevano deciso di ignorarlo. Di comportarsi in sua presenza come se non ci fosse. Gli passavano accanto senza rivolgergli uno sguardo. Consumavano i pasti alla stessa tavola senza inserirlo nella minima conversazione. Anche Kreacher, l’elfo domestico più anziano della famiglia, lo guardava in malomodo, quasi con disprezzo.

Questa punizione era ancora più pesante di tutte quelle che si era aspettato. Anche perché, non poteva difendersi dall’essere ignorato. Non poteva controbattere. L’unica cosa che poteva fare era subire quel comportamento in silenzio.

Sua madre questo, sicuramente, lo sapeva bene. D'altronde, era una maestra in questo genere di punizioni psicologiche.

L’unico di tutta la casa che ancora gli rivolgeva la parola era suo fratello, Regulus.

< Ma come diavolo hai fatto a finire in quella casa, Sir?! > erano state le prime parole che gli aveva rivolto nel rivederlo alla stazione, dove era andato ad attenderlo con l’autista.

< Ciao anche a te, Reg. Sono felice anch’io di rivederti dopo così tanto tempo >.

< Dai scemo… Lo sai che mi sei mancato… >. Sirius aveva puntato lo sguardo sul fratello che teneva la testa bassa sull’asfalto davanti alla lucente macchina nera, noleggiata dai genitori per riportarlo a casa. Le guance del fratello erano lievemente colorite, come se si vergognasse delle parole che aveva appena detto. In effetti non era da lui esprimere i suoi sentimenti in quel modo. Sirius gli aveva dato una pacca sulla spalla ed era salito sul sedile posteriore, facendogli spazio accanto a lui.

< Sul serio, ma come hai fatto? Lo hai chiesto al Cappello? > aveva chiesto di nuovo Regulus durante il viaggio di ritorno a Grimmauld  Place, fissando il fratello con i suoi profondi occhi blu, tanto simili a quelli della madre da dargli i nervi.

< Macché, io non ho chiesto assolutamente niente! Ha fatto tutto da solo. C’avrà messo dieci minuti per decidere dove smistarmi, quel coso polveroso >.

< Cavolo >. Regulus si torturava le dita delle mani, con lo sguardo fisso sul sedile davanti a lui. < Papà e mamma erano furiosi quando l’hanno saputo. Mamma ha urlato per settimane, tanto che Kreacher è dovuto andare a Diagon Alley a comprare una pozione contro la collera >.

< Non ti invidio, a sopportarti quegli strepiti… e papà invece? >

< Lo sai com’è fatto papà, è più tranquillo di mamma… Ha solo fatto saltare in aria le porcellane della nonna >

Sirius era scoppiato in una fragorosa risata, buttando la testa all’indietro sul sedile di pelle scura. Tanto che poco dopo anche Regulus si era ritrovato a ridere, contagiato dalla reazione del fratello maggiore.

 

ef

 

La gente dice che il Natale è la festa più amata dai ragazzi; quella che aspettano con più fervore.

Be’, questa cosa non era affatto vera per Severus Piton. Lui non amava il Natale, come non amava le festività in generale. Anzi, in tutta onestà poteva dire che odiava il Natale.

Ogni anno, per lui quella giornata si svolgeva praticamente allo stesso modo: passava tutto il giorno in casa, davanti alla televisione o leggendo chiuso in camera sua. Suo padre non rincasava fino all’ora di cena, trascorrendo l’intero pomeriggio al bar sotto casa a scolarsi birre, mentre sua madre cucinava ogni santo anno lo stesso insipido pollo rinsecchito, che la maggior parte delle volte non veniva neanche finito. Poi, durante la cena, per i motivi più sciocchi, suo padre perdeva le staffe e cominciava a inveire contro lui e sua madre, fino a che lui correva in camera sua a rintanarsi sotto le coperte per soffocare le urla e il rumore di vetri infranti che proveniva dalla stanza accanto.

In effetti, quell’anno avrebbe preferito mille volte rimanere ad Hogwarts per le vacanze, ma sua madre aveva così insistito perché tornasse a casa che si era sentito in dovere di farlo. Non poteva lasciarla sola con quell’uomo orribile. Infondo, si trattava solo di pochi giorni.

Così, si era fatto il viaggio in treno in compagnia di Lily fino alla stazione di Londra, al binario nove e tre quarti, dove aveva trovato sua madre ad attenderlo. La donna era notevolmente dimagrita, da quando il ragazzo l’aveva vista l’ultima volta, ed aveva il volto stanco e solcato da profondi segni che la facevano apparire più vecchia di quello che realmente fosse.

Vedere sua madre dopo tanto tempo lo aveva fatto tornare alla realtà, come se per tutti quei mesi avesse vissuto in una specie di limbo.

< Che cos’hai mamma? > gli aveva chiesto, mentre la donna lo abbracciava dolcemente.

< Niente, tesoro. Perché me lo chiedi? > aveva risposto la donna, carezzandogli il viso.

< Lui ti fa ancora del male? > 

< No piccolo, che dici? È tutto a posto >.

Severus aveva esalato un sospiro rattristato. Lo difendeva ancora. < Mamma, non mentirmi. Non sono stupido >.

Sua madre non aveva ribattuto alle parole del figlio.

Ed in quel momento, Severus era di nuovo in quella piccola stanza, seduto a terra, con la schiena appoggiata al letto. Di nuovo nella realtà della sua squallida famiglia. Nella tristezza della sua solitudine.

Ed avrebbe voluto con tutto se stesso trovarsi nel dormitorio dei Serpeverde, sul suo letto a baldacchino elegantemente agghindato coi colori della sua Casa. Avrebbe voluto essere immerso nei vapori dell’umida aula di pozioni, o seduto ad un tavolo della biblioteca, assorto nella lettura di qualche interessante volume intriso di storia e nozioni. Perché ormai la sua casa, quella che davvero sentiva la sua casa, era Hogwarts. E la sua famiglia erano i Serpeverde. Perché loro lo accettavano, lo rispettavano e lo lodavano per ciò che realmente era. Per ciò che il suo schifoso padre babbano non aveva mai voluto accettare. Non aveva mai voluto capire.

Non aveva mai voluto amare.

 

ef

 

La casata dei Black era riunita al completo attorno alla grande tavola nella lussuosa sala da pranzo a Black Manor. Ai due estremi della tavola sedevano i due padroni di casa, Cygnus e Druella Black. Ad un lato della tavola erano accomodati Lucretia e Ignatius Prewett, Bellatrix, la figla maggiore dei padroni di casa, accanto al suo novello marito Rodolphus Lestrange e Narcissa. Dall’altro lato invece sedevano Orion e Walburga Black con i due figli, Sirius e Regulus, ed Alphard Black.

I commensali assaporavano il delizioso cenone di Natale alla luce di innumerevoli candele bianche che lentamente si consumavano. La tavola era apparecchiata a regola d’arte, con stoviglie pregiate, ed abbellita da vasi di fiori sulla tonalità del giallo e del verde e antichi e pesanti candelabri appartenuti alla famiglia da chissà quante generazioni. Tutto in quella tavola portava le insegne dei Black, quasi a sottolineare ancora di più il loro potere.

Gli elfi domestici non facevano che apparire e sparire nella sala, con pietanze succulente e saporite che servivano sui piatti degli ospiti.

Il chiacchiericcio imperversava per tutta la stanza. Un allegro rimbombo di risate e voci trillanti, che si animavano sugli argomenti più frivoli ed insignificanti.

Per sua fortuna, pensò Sirius, la cena sarebbe finita lì a breve, dato che gli elfi ora stavano servendo i dolci natalizi, e caffè in graziose tazze di porcellana bianche abbellite da elaborati decori in oro.

Come si aspettava, nessuno gli aveva rivolto la parola praticamente per tutta la serata, escluso suo zio Alphard, l’anziano fratello di sua madre che nutriva per il ragazzo un insolito affetto.

< E sentiamo, giovanotto, come va la scuola? > gli chiese affondando la piccola forchetta d’argento nella grossa fetta di plum pudding.

< Abbastanza bene, zio > rispose Sirius, contento di poter intrattenere una conversazione di più di tre parole. < Le materie sono tutte belle. Anche se Storia della Magia è di una noia mortale. E poi, il professor Ruf è proprio soporifero >.

< Santo Cielo, Ruf insegna ancora? Avrà cent’anni quell’uomo! > fece lo zio, sputacchiando un po’ della sua torta addosso al nipote.

< In realtà è morto > spiegò il ragazzo, pulendosi il viso con un tovagliolo di lino. < È il suo fantasma che insegna >.

< Per Diana! Questa poi! Fare insegnare ad un fantasma. Silente si dev’essere bevuto il cervello >.

< No, Silente è in gamba, anche se è proprio strano. Pensa che- >.

< Alphard, per caso sai dirmi se tra i nostri parenti acquisiti c’e anche la famiglia Burke? >. La voce altisonante di sua madre, che non aveva fatto altro che squadrare il figlio stizzita da quando aveva aperto bocca, interruppe quella conversazione. Lo zio intavolò un noiosissimo elenco di tutte le parentele dal 1800 in poi, escludendo di nuovo il ragazzo da ogni possibile dialogo.

Ancora una volta era solo con se stesso, ignorato da tutti. Proprio ciò che voleva sua madre. Mai avuta punizione peggiore.

Sirius si alzò dalla sedia, lasciando la sala e le sue chiacchiere senza essere notato, ritrovandosi nell’ampio atrio. Salì le lussuose scale che portavano ai piani superiori e girò a sinistra al primo piano, dove erano situate le camere da letto delle tre cugine. Era da quando era arrivato in quella casa così dispersiva e sfarzosa che voleva farlo. Si diresse verso la porta al centro, di un delicato color crema, che nascondeva quella che era stata la stanza di Andromeda. Chissà se era rimasta come se la ricordava, o se gli zii avevano cancellato anche quella, come avevano cancellato la figlia.

Avvicinandosi notò che la porta era aperta. Entrò con passo felpato, e scorse seduta sul letto, nell’oscurità della stanza, una figura vestita di rosa, la chioma di capelli biondi china su qualcosa che teneva in mano. non si era accorto per niente che anche Narcissa aveva lasciato la sala da pranzo.

< Tu che ci fai qui? > chiese. La ragazza saltò in piedi, voltandosi in direzione della voce, lasciando cadere a terra qualcosa. Sirius rimase colpito nel vedere i suoi occhi chiari lucidi di lacrime.

< Per la miseria, Sirius! Mi hai fatto prendere un colpo! > disse la ragazza, visibilmente agitata. < Come mai sei venuto qui? >

< L’ho chiesto prima io > rispose il ragazzo.

< Cissy? >. La voce di Bellatrix giunse dal corridoio. Narcissa parve raggelarsi al suono di quella voce, e si affrettò ad asciugarsi gli occhi, poco prima che l’altra ragazza entrasse nella stanza.

< Cissy, è un pezzo che ti cerco > disse Bellatrix, dall’alto dei suoi 171 centimetri. Era impressionante quanto fosse bella: il suo perfetto viso ovale era incorniciato da ordinati riccioli scuri che gli ricadevano fin sotto le spalle, dando risalto al verde cupo dei suoi profondi occhi a mandorla. Incuteva quasi terrore quella sua algida bellezza. Gli occhi di lei si spostarono sul ragazzo, ma non pronunciò una parola: sicuramente la signora Walburga Black si era premurata di istruire a dovere tutti sul comportamento da usare nei confronti del figlio. Si rivolse di nuovo alla sorella e disse < Che ci fai in questa stanza, piuttosto? >

< Niente, Bella > rispose la ragazza, tirandosi di più dritta sulle spalle, con la voce altezzosa. < Credevo di aver lasciato qui i miei orecchini di madreperla, ma mi sbagliavo. Andiamo? >. Bellatrix precedette la sorella uscendo dalla stanza per prima. < Tu sta zitto > bisbigliò Narcissa al cugino passandogli accanto.

Sirius era quasi incredulo. Sua cugina Narcissa, Cissy-cuore-di-ghiaccio come la chiamava lui, in lacrime nella stanza intatta della sorella ripudiata. Infondo, forse anche lei aveva dei sentimenti, da qualche parte dentro di se…

Il ragazzo si avvicinò al letto e si piegò sull’oggetto che era scivolato dalle mani della cugina. Alla pallida luce che irradiava dalle torce fuori dalla finestra osservò una cornice d’avorio riccamente intagliata, che proteggeva una foto in cui tre ragazzine, una bruna riccioluta, una castana dai morbidi capelli mossi ed una biondina dalle gote rosse, ridevano felici abbracciandosi.

 

ef

 

La sala da pranzo era illuminata debolmente da un piccolo lampadario di porcellana a motivi floreali sopra la tavola apparecchiata per tre, e dal riverbero tenue delle immagini di famiglie felici e alberi sfavillanti che trasmetteva la televisione.

Al tavolo, i tre commensali cenavano nel più assoluto silenzio. Non un sorriso. Non una parola.

Severus affettava la sua parte di pollo nel modo meno rumoroso. Suo padre sembrava totalmente rapito dal televisore, senza degnare di uno sguardo i due altri membri della famiglia. Aveva le guance rosse come ciliegie mature: il che, Severus sapeva bene, voleva dire che l’uomo aveva alzato un po’ troppo il gomito giù a bar, e che quindi era meglio evitare inutili pretesti per alterarlo. Anche sua madre se n’era accorta, e stava seduta nella sua sedia quasi senza muoversi, mangiando dal suo piatto qualche piccolo boccone.

< Cristo, Elieen, quest’affare fa schifo. È duro come un sasso. Perché perdi tempo a cucinare se poi ogni volta ti presenti con una schifezza del genere! >. Suo padre ruppe il silenzio con quelle parole biascicate.

< S-scusa > fu la risposta di sua madre, a testa bassa per non incrociare lo sguardo del marito. < Se vuoi ti preparo qualcos’altro >.

< Lascia stare > fece lui, senza neanche guardarla. < Tanto non combineresti lo stesso niente di buono >.

< A me piace, mamma > disse timidamente Severus. La donna gli rivolse un sorriso stanco.

< Tu sta zitto. Nessuno ti ha chiesto niente > tuonò il padre conto di lui. Subito Severus abbassò lo sguardo sul piatto. Come lo odiava. Ogni cosa di lui era un insulto. Se solo avesse potuto farlo smettere di maltrattare lui e sua madre.

La cena riprese nell’assenza di parole. Solo il padre a volte imprecava contro la televisione.

D’un tratto si sentì un persistente ticchettio dalla finestra della stanza.

< E adesso che cazzo succede? > sbraitò l’uomo, alzandosi da tavola e dirigendosi alla finestra. Non fece in tempo ad aprirla che un grosso gufo dal bel piumaggio marrone volteggiò nella stanza, a mezz’aria, e planò sulla spalla del ragazzo, che rimase allibito. Chi poteva mandarli un gufo a quell’ora? Severus alzò lo sguardo sul padre, che aveva gli occhi stretti in due fessure minuscole. Quello era proprio il genere di cose che gli facevano saltare i nervi.

< E questo che è? > chiese l’uomo con il volto che avvampava di rabbia.

< Non lo so > fece il ragazzo, impaurito.

< Non mi dire stronzate, ragazzino! Questo arriva da quella cazzo di scuola che frequenti vero? >. L’uomo si stava avvicinando alla tavola, gli occhi fissi sul figlio.

< No… non credo… io >. Severus era nel panico più totale, immobile sulla sedia. Il gufo s’era alzato in volo e volteggiava attorno alla lampada, sopra di loro. Suo padre odiava tutto ciò che riguardava la magia. Per questo sua madre non ne parlava mai, né la usava nelle faccende domestiche. Erano anni ormai che la donna non prendeva in mano la bacchetta.

< Ma che ti passa per la testa, eh? Se qualcuno lo vede che penserà di noi eh? Ci hai pensato? > tuonò suo padre, sollevando il ragazzo per il colletto del maglione verde e facendolo alzare di peso dalla sedia. Il gufo volò fuori dalla finestra.

< Theodor, ti prego… lui non… > cercò di calmarlo la moglie.

< E tu sta zitta! Non ti impicciare! >

< Papà, ti giuro… io non so chi me l’ha mandato! > provò a giustificarsi Severus, aggrappato alle mani del padre che ancora stringevano il maglione. Sul volto impresso tutto il suo spavento.

< Non dire cazzate! > gridò più forte l’uomo. Uno schiaffo colpì Severus in pieno viso, facendogli girare la faccia. Per qualche istante non riuscì a mettere bene a fuoco ciò che lo circondava. Si sentì afferrare per le spalle e scuotere violentemente.

< Theodor! >. La voce di sua madre giungeva da un punto indefinito dietro il padre.

< Se non l’hai ancora capito, non voglio che quelle cazzate che fai te le porti in casa! > gli urlava suo padre a pochi centimetri dalla faccia. L’alito caldo che gli sferzava il viso, accentuando il bruciore della guancia colpita, era carico di un forte sentore di alcool.

Non l’aveva mai visto in quelle condizioni. Era furioso, pazzo quasi. Gli occhi sgranati, il volto contratto in una maschera di rabbia e odio, la pelle paonazza per le grida e l’ubriachezza. < Non basta forse la disgrazia di avere due anormali come voi in casa?! >.

gridava sua madre sempre più forte, strattonando il marito per un braccio.

< E tu non rompere, stronza! > tuonò l’uomo, lasciando il figlio e voltandosi per colpire la donna violentemente sul viso, facendola cadere carponi a terra.

< Mamma! > gridò Severus allibito.

< È  solo colpa tua se ora sono qui! Tua e delle tue fatture del cazzo! Brutta strega! > gridava l’uomo.

< Theodor, ti prego… > cercava di calmarlo la donna. Il marito la prese per un braccio, facendola alzare da terra. Severus vide un rivolo di sangue scendere dalla bocca tumefatta della madre lungo la pelle emaciata. Il padre le torceva il polso con violenza inaudita.

< È tutta colpa tua! Maledetta stronza! > e la colpì di nuovo in volto.

Severus, smise di pensare. Corse in camera sua più in fretta che poté. Il rosso di quel sangue gli dardeggiava ancora davanti agli occhi, accecandolo. Dove diavolo l’aveva messa? Gli occhi vagarono per la minuscola stanza. Eccola, per terra, accanto al letto.

Afferrò dal pavimento la sottile bacchetta e si diresse di nuovo verso la sala. Nella mente ricercò un anatema, uno potente. Uno potente. Ne aveva letto uno pochi giorni prima in biblioteca.

Puntò la bacchetta contro la schiena del padre. Com’era la formula…? Sua madre ancora gridava il nome dell’uomo che amava, pregandolo di smetterla. La ricordò.

< STUPEFICIUM! >

Un lampo di luce rossa fuoriuscì dalla bacchetta e colpì l’uomo al centro esatto delle scapole. L’uomo ebbe uno spasmo e cadde a terra, privo di sensi.

Era finita.

Severus aveva ancora la bacchetta in mano, le braccia tese dinanzi a lui. Non riusciva ad abbassarle. Il padre ora giaceva a terra. Sua madre era contro la parete, reggendosi ad un mobile con una mano. Aveva i capelli scompigliati e il volto gonfio e rosso, la bocca sanguinava ancora più di prima. I suoi profondi occhi scuri erano lucidi e arrossati, fissi sul figlio.

Lo guardava con quei liquidi occhi sgranati, e un’espressione incredula.

< Sevy… > disse con un filo di voce che il figlio quasi non udì.

Severus, si riprese appena. Abbassò le braccia e corse fuori di casa, lasciando sola la madre, e il padre ancora disteso sul pavimento freddo del soggiorno.

 

ef

 

Sirius scese di nuovo le scale, in direzione della sala da pranzo, ma al suo interno non era rimasto più nessuno. Le candele ardevano ancora e gli elfi domestici sparecchiavano frettolosamente la lunga tavola sontuosa.

Il ragazzo si scostò da davanti agli occhi i capelli scuri, che gli erano cresciuti di diversi centimetri dall’inizio della scuola (se sua madre gli avesse parlato, sicuramente gli avrebbe gridato contro di farseli accorciare), e si diresse verso la grande sala dall’altra parte. Avvicinandosi notò che la porta era chiusa, e che un ragazzino piccolo e moro era appoggiato alla serratura.

< Reg, ma che cavolo… >

< Sssssh! > sibilò al fratello voltandosi verso di lui con un dito pigiato sulle labbra a cuore. < Si sono chiusi in sala. Stanno parlando di qualcosa di importante > disse a Sirius sottovoce.

< Di che parlano? > Chiese il moro, tendendo le orecchie per sentire le voci ovattate che venivano dall’altra parte della porta.

< Non lo so, ma è una cosa parecchio seria. Ho sentito Bella parlare di un marchio… credo che riguardi il Signore Oscuro >.

Il Signore Oscuro. Quel nome altisonante lo sentiva da quando era piccolo. L’aveva udito in stralci di conversazioni ascoltate per sbaglio, sospirato nelle orecchie dei membri della sua famiglia. Aveva potuto notare il timore e la reverenza che quel nome procurava in chi lo udiva. Ma non aveva mai ben capito a chi appartenesse. O cosa significasse.

Sapeva solo che era qualcosa di molto segreto e sicuramente molto pericoloso.

Sirius scostò con uno spintone il fratello da davanti alla porta e accostò il suo occhio grigio alla serratura, con le orecchie attente al minimo sospiro che proveniva da lì dentro.

< Ed è stato doloroso, cara? > la voce di sua madre, altezzosa e flautata.

< Affatto, zia > rispose il tono mellifluo di Bellatrix, che riusciva a vedere di schiena di fronte a lui, con il braccio destro proteso in avanti. < Anzi, è  stato così delicato con me che a mala pena me ne sono accorta >.

< Oh, che onore, Cygnus. Avere una figlia tra le schiere del Signore Oscuro. Così vicino a lui! >. Ancora sua madre; dallo spiraglio vedeva i suoi occhi blu pervasi di una strana luce.

< Si, Walburga, è davvero un grande orgoglio per noi. >. La voce di Druella. < La nostra Bellatrix è così ben voluta da lui che è una delle sue predilette >.

< Già, credo che voglia eleggermi a suo braccio destro. Devo dire che sono la migliore nell’eseguire le sue missioni >.

< Si, ho saputo di quel Seamus Carpenter, quel babbanofilo nato babbano > suo padre, Orion. < Hai compiuto un lavoro straordinario. Il Profeta diceva che sul luogo non c’erano tracce >.

< Se continueremo a reclutare adepti con questa rapidità, presto il mondo magico sarà debellato dalla piaga del sangue impuro >.

Sirius sgranò gli occhi all’udire quelle parole e si scostò dalla porta.

Aveva sentito parlare dei recenti attacchi alle famiglie di nati babbani, e della morte del professor Carpenter, dottore in babbanologia. Ma mai avrebbe creduto che membri della sua famiglia potessero essere immischiati in cose tanto orribili.

< Ecco di che si tratta > sentì suo fratello sussurrare accanto a lui. < Vogliono eliminare tutti i nari babbani. Incredibile… >

Il ragazzo prese a respirare velocemente. La sua famiglia non era altro che un branco di assassini e sostenitori di omicidi. E tutto questo per la loro assurda ossessione dell’importanza del sangue puro. Sentiva la nausea salire.

< Sir, che hai? Sei pallidi… > suo fratello lo osservava preoccupato.

< Ma ti rendi conto, Reg? Ti rendi conto di quello che fanno ai mezzosangue? > disse a denti stretti al fratello.

< Certo che mi rendo conto > rispose il ragazzo, tranquillamente.

Sirius rimase ancora più spiazzato, se possibile. < E a te non fa schifo? Possibile che non ti fa schifo? >. Possibile che non gli facesse schifo la brutalità e la follia della sua famiglia?

< Perchè? >

 No, non ci credeva. Non voleva crederci. Suo fratello la pensava come loro anche in quello. Era troppo. Corse via dall’atrio, su per le scale, fin dentro la camera della cugina ripudiata, chiudendosi la porta alle spalle. Si accasciò a terra, senza fiato. Avrebbe voluto urlare, fare a pezzi qualcosa; ma era inutile. Non cambiava niente. Non cambiava il fatto di appartenere ad una famiglia di assassini.

 

ef

 

Era freddo. L’aria della sera era ghiacciata. Gli penetrava nelle ossa. Nella profondità del suo esile corpo. Tremava. Come una foglia.

Era uscito senza neanche prendere una giacca. Aveva indosso solo quel maglioncino di un verde sbiadito, logoro e slargato sul collo, e un paio di jeans troppo corti per i suoi lunghi e magri arti.

Chissà da quanto tempo era seduto su quell’altalena. Ore. Forse giorni. Aveva perso la cognizione del tempo da un pezzo.

Strinse i pugni. Qualcosa nella mano destra lo fece trasalire, qualcosa di duro e sottile. Osservò il suo pugno che ancora stringeva la sua bacchetta: legno di betulla con cuore di peli di Unicorno Albino, dodici pollici, rigida. Era ancora tra le sue mani.

Allora, questo significava che era accaduto davvero. Aveva veramente attaccato suo padre alle spalle, con un incantesimo che non aveva mai usato prima. L’aveva davvero ridotto senza sensi.

Non riusciva neanche a ricordare come aveva fatto, come era arrivato in camera sua, dov’era la bacchetta. Ricordava solo la paura che provava nel fissare quegli occhi furiosi. Ricordava i gemiti di tua madre che ripeteva disperata il nome del marito. Quel rivolo di sangue sulla sua pelle bianca.

Non si sentiva in colpa. Era quello che si meritava. Era giusto. Stava picchiando sua madre. Erano anni che picchiava sua madre. E lo odiava. Più di chiunque altro al mondo. Lo odiava alla follia.

L’avrebbe rifatto altre mille volte. Se lo meritava.

Allora perché era scappato? Perché nel vedere gli occhi sconvolti della madre era dovuto correre via da quella casa? Perché non aveva detto niente? Perché quegli occhi arrossati l’avevano fatto sentire in colpa e vergognare di se stesso?

< Ehi, allora l’hai ricevuto il mio gufo! >. Severus alzò lo sguardo in direzione della voce. Una figura si stava avvicinando rapidamente a lui. Era Lily, lo sapeva. Non perché la distinguesse bene, ma solo lei aveva i capelli di quell’intenso rosso scuro. Solo i suoi occhi avevano quel riflesso di smeraldo.

Il mio gufo… era suo il volatile che era entrato poco fa in casa sua. Si alzò dall’altalena, rendendosi conto solo in quel momento di tremare spasmodicamente.

< Me l’hanno regalato i miei per Nata… Sev, ma che hai? > la ragazza si era fermata a pochi passi da lui.

< Perché? >

< Hai una faccia così… e la guancia? Perché  hai un livido sulla guancia? > Severus le stava di fronte. La fissava ma non la vedeva. < E come mai hai la bacchetta? Severus che è successo? >

Il ragazzo fece uno sforzo per concentrarsi sul viso di lei. l’intensità dei suoi occhi fissi su di lui lo spiazzò. Lo stava fissando con sguardo allibito, pietrificata da quella che doveva essere paura.

Era la prima volta che coglieva quella sensazione nel volto dell’amica.

< Ho colpito mio padre > disse senza riflettere, senza staccare lo sguardo da quello dell’amica.

< Ha cominciato lui. Mi ha preso a schiaffi. E poi ha picchiato mia madre > mentre parlava, vide le mani della ragazza andare a coprirle la bocca vermiglia, e gli occhi verdi inumidirsi. < Ha picchiato mia madre! Quel verme! Non ce l’ho fatta più. Sono andato in camera e ho preso la bacchetta. l’ho colpito alla schiena. Non sapevo neanche che effetto avrebbe avuto l’incantesimo. Non l’avevo mai usato. È svenuto. È caduto a terra come un sacco vuoto. Se lo… >

Non finì la frase. Sentì qualcosa infrangersi contro il suo corpo. Abbassò lo sguardo; Lily era aggrappata a lui, lo stringeva con tutta la forza che aveva, scossa dai singhiozzi. < Lily… >.

< Mi dispiace tanto, Sev! Mi dispiace tanto! Non è giusto! >.

Era dolce. E triste. Un abbraccio dolce e triste. Che lo placava e lo consolava. Che gli dava la speranza di non essere solo, dopotutto. Sentì qualcosa di umido sul viso, e capì che stava piangendo. Non se ne era minimamente accorto. Non capiva nemmeno se stesse piangendo già prima che Lily lo abbracciasse.

Si lasciò cullare dall’abbraccio della ragazza per un po’, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, la testa bassa, ad occhi chiusi, e le lacrime che scendevano silenziose lungo le sue pallide guance incavate.

Lentamente riaprì gli occhi, e in basso vide qualcosa di colorato.

< Cos’è quello? >. La sua voce risultava roca e bassa.

L’amica si separò da lui. < Ah, già > disse, asciugandosi con una mano guantata le guance. < È per questo che ti avevo mandato quel messaggio >

< Non l’ho letto >.

< Be’, c’era scritto che ti aspettavo alle nove qui al parco > spiegò lei, abbassandosi a raccogliere l’oggetto, che si rivelò essere un pacchetto. < Ti ho fatto un regalo >.

La ragazza gli porse il pacchetto. Un regalo. Per lui.

< Lily, no… io non ti ho fatto niente… >

< Non importa. È che mi andava di farlo >.

Severus era allibito. Si rigirava il pacchetto nelle mani come fosse la cosa più preziosa che avesse mai visto.

< Che fai, non lo apri? > chiese la rossa.

Severus scartò l’oggetto frettolosamente, lasciando che la carta ondeggiasse lentamente nell’aria fino a toccare delicatamente il terreno. Si ritrovò tra le mani un libro dalla copertina verde, con disegnata sopra l’immagine di una sirena. Il titolo diceva “Le più belle fiabe dei fratelli Grimm”.

< Non so se ti piace > Sentì dire Lily, mentre lui contemplava quell’oggetto. < È il mio libro preferito. La mamma ce lo leggeva, a me e Tunia, quando eravamo piccole, per farci addormentare >.

Questa volta fu Severus ad abbracciare l’amica.

< Grazie > le disse. < È il regalo più bello che abbia mai ricevuto >.

< Buon Natale, Severus >.

 


Eccomi di nuovo.

Lo so, questo capitolo è decisamente deprimente.  è stato più forte di me, mi è uscito senza quasi rendermene conto. Per molto sono stata incerta se pubblicarlo o no, ma alla fine ho ceduto. Scusate... Fatemi sapere che ne pensate, per favore (anche se vi fa schifo, cosa molto probabile).

Grazie a tutti quelli che hanno letto la mia storia. E  un grazie particolare a JDS per la recensione: spero che commenterai anche questo capitolo, mi piace molto sapere che ne pensi.

Un bacio a tutti!

M.

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Capitolo 6
*** La sorpresa di James ***


6

 

 

 

 

La sorpresa di James

 

 

Le vacanze di Natale erano passate più velocemente di quanto si sperasse, e il cielo sopra Hogwarts era sempre più denso di soffici nubi grigie, che nascondevano ormai da mesi il pallido sole invernale. Di tanto in tanto fiocchi leggeri prendevano a scendere giù, fino a posarsi senza il minimo rumore sul già abbondante manto candido che ricopriva tutto ciò che era visibile.

Il rientro a scuola fu traumatico per la maggior parte degli alunni. Una violenta bufera di neve aveva rallentato di ore il viaggio in treno, permettendo ai giovani e stremati passeggeri di raggiungere il castello solo a mezzanotte passata.

James, per sua fortuna, era stato riportato a scuola dai suoi genitori, che avevano approfittato per visitare Hogsmead con il figlio. Con loro aveva trascorso la giornata in giro per il grazioso paesino, una delle più celebri città magiche della Gran Bretagna. Aveva trascinato i genitori in tutti i negozi, convincendoli a farsi comprare dolciumi di tutti i tipi a Mielandia e ogni sorta di cianfrusaglia da Zonco; fino a che al tramonto lo avevano accompagnato al castello di Hogwarts.

Il ragazzo, dopo un rapido saluto a mamma e papà, era schizzato su per le scale fino alla torre, nella sala comune dei Grifondoro. Nel rientrare in quella stanza circolare, dominata dalle tonalità calde dei colori della sua Casa, si era stupito nel constatare quanto gli fosse mancato quel luogo nelle poche settimane che aveva trascorso a Godric’s Hollow. Ogni cosa gli sembrava più bella di quando l’aveva lasciata: il grosso camino di pietra chiara in cui era costantemente acceso un allegro fuoco scoppiettante, i tavoli a cui si accomodava per svolgere i compiti in compagnia di Sirius, Remus e Peter, il tappeto che lui e Sirius avevano bruciacchiato il mese prima nel tentativo di provare un incantesimo, la cui bruciatura era ora nascosta da una poltrona.

Nella sala c’erano i pochi alunni che avevano passato le vacanze al castello. James li aveva salutati allegro, anche se non sapeva neanche uno dei loro nomi, ed era corso in camera, dove era già stato smaterializzato il suo baule, ancora più pesante e pieno che all’inizio dell’anno. Era la prima volta da tempo che quell’ambiente appariva ordinato, senza i vestiti, i libri e le scarpe dei quattro occupanti sparsi dappertutto. Si era buttato di schiena sul suo letto, rimbalzando sul soffice materasso, pregustando le facce che avrebbero fatto Sirius e gli altri nel vedere ciò che aveva portato con sé. Di sicuro, li avrebbe fatti rimanere a bocca aperta.

Ma quella sera non aveva potuto mostrare niente a nessuno dei tre compagni, i quali appena rientrati a mezzanotte passata, stanchi e stremati dal tormentato viaggio, si erano buttati nei letti senza quasi badare al ragazzino dai capelli scarmigliati che fremeva d’impazienza, e si erano addormentati nel giro di pochi minuti.

Ora il primo anno di Grifondoro, dopo una notte ristoratrice ed un’abbondante colazione, era seduto ai banchi dell’aula di Storia della Magia. Il fantasma del vecchio professor Ruf stava spiegando con la sua abituale cadenza lenta e monotona la prima rivolta dei folletti, provocando negli alunni copiosi sbadigli. Neanche Lily Evans, che sedeva al suo solito banco in prima fila, sembrava seguire la lezione, con la guancia appoggiata alla mano destra ed i grandi occhi verdi socchiusi in un’espressione assente. L’unico che pareva veramente interessato alla materia era Remus, la cui piuma sfrecciava svelta sulla pergamena senza perdersi una sola parola che usciva dalle labbra inconsistenti del soporifero professore.

James si voltò verso il ragazzo che occupava il banco alla sua destra. Era strano Sirius; il suo consueto buonumore quel giorno non c’era. Fissava il libro davanti a lui con occhi spenti, senza muovere un muscolo. Il suo volto, di solito sereno e rilassato, era totalmente inespressivo. Sembrava mille miglia lontano, immerso in cupi pensieri che l’amico non riusciva ad interpretare.

< Ehi, Black, ma che hai oggi? > chiese James sottovoce pendendosi verso il ragazzo.

Il moro si riscosse dai suoi meditabondi pensieri e si voltò verso l’amico. < Che? >

< Sembri pensieroso. È successo qualcosa? >

< No, no, tranquillo > rispose Sirius con poca enfasi, e tornò a contemplare il suo libro, che dopo metà anno scolastico sembrava ancora nuovo di zecca.

< Ehi, senti > lo richiamò di nuovo James, con le braccia incrociate sul banco e la testa inclinata verso di lui, < più tardi, dopo le lezioni, devo farti vedere una cosa >.

< Che cosa? > fece il ragazzo, incuriosito dal tono eccitato dell’amico. James sorrise nel vedere che le sue parole avevano acceso un barlume di interesse negli occhi chiari dell’amico.

< Non te lo dico > rispose. < È una sorpresa. Aspetta e vedrai >. Si sistemò più dritto sulla sedia, mentre lo sguardo dell’altro era ancora puntato su di lui.

La campanella suonò, mettendo fine a quell’ora di tortura. Tutti gli alunni scattarono in piedi, svelti a infilare libri e pergamene nelle borse, mentre il professore ancora parlava.

 

 

 

ef

 

 

 

Lily si sedette al tavolo apparecchiato della sua Casa, tra le due compagne, Pauline e Mary. Era ancora stanca per l’assurdo viaggio del giorno prima, malgrado la notte di sonno. E le lezioni del mattino erano passate con innaturale lentezza, specie quella di Storia della Magia. Con poca attenzione si versò nel piatto alcune cucchiaiate di purè di patate e qualche fetta di roastbeef. Alzò gli occhi e li puntò verso il tavolo più lontano, fissa su un ragazzino pallido.

< Lily? Ci sei? >. La sua attenzione venne richiamata dalla voce di Mary. < Che stai fissando? >

< Niente > rispose la ragazza, voltandosi verso l’amica dai capelli corvini. < Niente, ero soprappensiero. Che c’è? >

< Volevamo sapere come hai passato le vacanze di Natale > disse Pauline, stringendo un po’ la coda alta sulla nuca.

< Oh, bene. Ho ricevuto un gufo dai miei genitori. L’ho chiamato Pixie > rispose, tagliando con il coltello la carne sul suo piatto. < A voi invece? Com’è andata? > chiese infilandosi in bocca una grossa porzione di carne e purè.

< Io sono stata in Romania a trovare mio fratello maggiore > Raccontò Mary. < Lui vive lì con sua moglie. Si sono trasferiti per via del suo lavoro di ricercatore; sta facendo degli studi sulle origini dei vampiri>. Al sentire quelle parole, Lily rabbrividì leggermente. Sapeva già dell’esistenza di creature che fino a neanche un anno fa riteneva solo frutto della fantasia di alcuni scrittori, come i vampiri, i draghi o i lupi mannari; ma era sempre strano ed inquietante sentir parlare di certi argomenti e saperli veri. Ancora faticava a credere che tutto ciò stesse accadendo a lei, che non era solo un sogno straorinario quello di appartenere ad una comunità magica. Ed era certa che non si sarebbe mai abituata del tutto ad alcuni aspetti di quel nuovo mondo.

Lo sguardo di Lily tornò di nuovo al tavolo dei Serpeverde, su Severus che stava chiacchierando con i suoi compagni di classe. Sembrava tranquillo. Eppure lei non aveva smesso di pensare a lui nemmeno per un istante, dopo la notte di Natale in cui l’aveva trovato sconvolto al parco. Quello che il ragazzo le aveva raccontato l’aveva turbata, per molti motivi diversi.

Aveva assistito ad una parte dell’inferno in cui l’amico era cresciuto, e non poteva che provare pena per lui, e capire ancora di più i lati cupi e misteriosi del suo carattere. Riusciva a comprendere meglio quell’ombra scura che a volte scorgeva nei suoi occhi, che rivelavano una profonda amarezza, e che spesso la inquietavano. E riusciva a capire il perché di quel suo viso perennemente accigliato e serio.

Le lacrime che aveva visto scendere sul volto pallido del ragazzo, quel ragazzo che sembrava non potesse essere scalfito ormai da niente, l’avevano spinta ad abbracciarlo. Avrebbe voluto consolarlo, lenire il suo dolore. Ma non sapeva come, da dove cominciare. Era troppo difficile guarire una ferita profonda come la sua.

Dopo quella sera, Severus non aveva voluto riaffrontare l’argomento, fingendo che tutto andasse bene. Lily sapeva che non era così, ma non voleva urtarlo; perciò aveva finto anche lei che nulla fosse successo. Ma non riusciva a smettere di pensare a lui.

< Ehi > la richiamò Pauline. < Mi spieghi che ha di tanto interessante il tavolo dei Serpeverde? >

< Eh? >

< È da quando siamo arrivate a pranzo che lo fissi > spiegò Mary.

< Ah, no niente. Scusate >.

Riprese a mangiare il purè a grosse forchettate. E cercò di concentrarsi sulla conversazione con le compagne, che stavano ora discutendo delle lezioni di Erbologia e Difesa Contro le Arti Oscure che le aspettava per quel pomeriggio.

Di fronte a loro tre, i quattro compagni dello stesso anno sembravano confabulare qualcosa.

< Ma dacci almeno un indizio! > sentì Sirius sussurrare a James.

< Non se ne parla > gli rispose l’altro con la bocca piena di piselli e pollo, offrendo a tutti una panoramica dell’interno del suo cavo orale. < Aspetta fino a stasera e lo vedrai >.

< Per la miseria, Potter! Non puoi far morire di curiosità una persona per tutto questo tempo! > ribadì Sirius a voce più alta.

< Sirius ha ragione > intervenne Remus. < Almeno dicci… >

< Insomma, piantatela! > scattò il moro con gli occhiali, sollevandosi più diritto per sovrastare gli altri tre. < Tanto è inutile! Voi ieri sera non avete voluto ascoltarmi, e ora vi tenete la curiosità fino a stasera > concluse, senza ammettere repliche, ficcandosi in bocca un altro grosso boccone dal suo piatto stracolmo.

< Che gran testa di …. > fece Sirius, voltandosi verso il suo piatto quasi intatto, rassegnato.

James alzò lo sguardo e incrociò quello di Lily, che istantaneamente lo distolse. Se possibile, ora gli stava ancora più antipatico di prima.

 

 

 

Severus si alzò dal suo tavolo nella Sala Grande con i compagni, infilandosi in spalla la pesante borsa stipata di libri. La prossima lezione sarebbe stata Incantesimi, con il primo anno di Tassorosso. Si diresse verso l’aula, chiacchierando con gli altri.

< Insomma, tra due settimane c’è la grande sfida: Serpeverde contro Grifondoro > fece Evan Rosier, che non faceva altro che parlare di Quidditch. < Li faremo neri! >

< Non lo so, il loro portiere è parecchio bravo > intervenne Steven Mulciber.

< Si, ma Lucius Malfoy è il miglior cercatore che si possa avere > continuò Waelon Avery, sempre più eccitato. < La volta scorsa, contro i Tassorosso, ha trovato il boccino dopo soli dieci minuti di partita. E avevamo già cento punti avanti a loro! >

< Mah, speriamo bene > fece Steven. < Certo che se perdiamo contro quegli spacconi dei leoni è meglio che ci impicchiamo >.

< Tu che ne pensi, Severus? > chiese Evan.

< Mah, non mi piace molto il Quidditch, mi dispiace > rispose il ragazzo.

< Diamine, Severus! Come fa a non piacerti il Quidditch! > fece Waelon. < Io il prossimo anno voglio fare i provini per entrare in squadra. Speriamo che mi prendano >

Continuò a percorrere gli ormai familiari corridoi ascoltando la conversazione di Quidditch degli altri due. Per sua fortuna era di nuovo ad Hogwarts, con i suoi compagni di Casa. Le vacanze di Natale erano finite, e probabilmente lui era l’unico in tutta la scuola a gioirne.

Dopo la notte di Natale le cose erano diventate strane a casa sua. Il padre, dopo essersi ripreso, evitava il figlio in tutti i modi, e passava fuori casa ancora più tempo di prima. Sua madre, invece, lo trattava come sempre. Ma appariva più tranquilla, e lo guardava con occhi a metà tra l’inorgoglito e l’incredulo. Era ovvio che non si sarebbe mai aspettata da lui un comportamento di quel genere. Le ansie che Severus aveva provato nei confronti della donna, quella sera, erano sparite nel momento in cui aveva rimesso piede in casa, e l’aveva accolto con un sorriso dolce e caloroso.

Naturalmente, nessuno dei tre aveva accennato nemmeno vagamente all’accaduto, come sempre accadeva in quella casa.

Comunque, una cosa positiva c’era stata. L’uomo non aveva più toccato con un dito sua madre da quella sera, né alzato la voce. Era dimesso e silenziosi come un topolino quando lui era nei paraggi. E Severus era fiero del suo operato. Aveva capito che con la magia, mostrando al padre quanto potesse essere superiore a lui, si era conquistato il suo rispetto.

O forse quello non era rispetto nei suoi confronti, ma solo terrore. Ma non cambiava le cose. Restava il fatto che dopo il suo folle e sventato gesto ora l’uomo non lo bistrattava, né lui né tantomeno sua madre. E la cosa era più che sufficiente. Andava bene così, che lo facesse per rispetto o per paura non importava granché; ciò che contava era il risultato.

Raggiunsero l’aula, dove la classe di Tassorosso aveva già occupato i posti abituali nella parte desta della stanza. Si sedette al suo solito banco in prima fila, accanto a Evan, estraendo dalla borsa pergamena, calamaio, piuma e libro e disponendoli ordinatamente sul tavolo.

gli chiese il compagno mentre aspettavano che il piccolo professor Vitius cominciasse la lezione.

< Si, certo > rispose Severus, con sguardo inorgoglito. < Mi è venuto lungo30 cm. >

< Cavolo… Senti… non è che dopo me lo passi, che io non l’ho fatto, così prendo spunto dal tuo? Se domani non lo consegno, Lumacorno mi toglierà altri cinque punti >

Come sempre. Severus era abituato a quello. Era il prezzo che doveva pagare per essere un ragazzo diligente, che al contrario dei compagni svolgeva sempre impeccabilmente tutti i compiti. Ogni volta qualcuno di loro gli chiedeva una mano per un tema, o un incantesimo, o una pozione. Ma tutto sommato non gli dispiaceva poi tanto, era un modo come un altro per essere accettato dagli altri.

< Uff.. e va bene, ma non lo copiare da cima a fondo come al tuo solito. L’altra volta lo stavi per consegnare col mio nome… >.

 

 

 

ef

 

 

 

La sala comune di Grifondoro alle otto e mezzo di sera era gremita di ragazzi. Alcuni erano intenti a svolgere i loro compiti per il giorno dopo. Altri si godevano un meritato riposo spaparacchiati sulle comode poltrone. C’era chi si scaldava accanto al caminetto, chi si scambiava effusioni appoggiato ad una finestra, chi ripassava degli schemi di gioco per l’imminente partita contro Serpeverde. Due ragazzini del secondo anno si sfidavano agli scacchi dei maghi. Altri due del quarto si sbaciucchiavano avvinghiati in una poltrona un po’ in penombra.

Remus era seduto ad uno dei tavoli della sala, accanto a Lily. Capitava non di rado che i due svolgessero i compiti insieme; spesso dopo cena, prima di andare a dormire, quando non si poteva uscire dalla sala comune a causa del coprifuoco.

In quel momento stavano controllando il tema sull’uso della coda di salamandra che il professor Lumacorno aveva assegnato per le vacanze, confrontandolo per scovare eventuali errori.

< Lily, sei un genio! Hai scritto un sacco di cose che io non sapevo! > le disse Remus, quasi stupito dall’acume e le conoscenze della ragazza.

< Grazie, ma devo ammettere che non è tutto merito mio. Severus mi ha aiutato durante le vacanze. Lui è davvero bravo a Pozioni. Sa un sacco di cose sull’argomento >.

< Si, me ne sono accorto. È un portento, quello lì >. La ragazza gli rivolse un sorriso solare.

Lily era l’amica migliore che si potesse desiderare. Era arguta, simpatica, piacevole. Sempre disposta ad aiutare, ed estremamente protettiva verso le persone a cui teneva. In sua compagnia passava sempre ore piacevoli e spensierate.

La ragazza sollevò i grandi occhi ed il suo sorriso contagioso si spense velocemente. Remus si voltò e vide Sirius che si avvicinava a loro col suo passo fluido ed elegante. < Ehi, Rem > cominciò il ragazzo quando lo raggiunse, poggiando le mani sul tavolo. < Dai, vieni,  James vuol finalmente farci vedere quella cosa >.

< Veramente, ora ho un po’ da fare con Lily >.

< Dai che a Evans non dispiace se vieni con noi. Tanto c’è sempre il suo amichetto Mocciosus che può tenerle compagnia, no? >. Sirius scoccò un occhiolino alla ragazza, che lo guardò stizzita e senza degnarlo di una parola distolse lo sguardo.

< Tranquillo, Remus. Vai pure, tanto abbiamo finito con i compiti > fece la ragazza poggiandogli una mano sulla spalla.

Remus raccolse i suoi libri, salutò l’amica che ricambiò con un sorriso e si avviò insieme a Sirius verso il dormitorio dei ragazzi.

< Come sono andate le tue vacanze? > chiese il moro mentre salivano le scale a chiocciola.

< Ah, bene grazie. Mamma ha cucinato per un reggimento >.

Sirius si bloccò sulle scale. < Scusa, ma tua madre non era in ospedale? >

Remus raggelò, fermandosi anche lui qualche gradino avanti al moro. Aveva appena fatto una gaffe tremenda. < Ah, be’… è che… l’hanno dimessa per le feste > arrancò mangiandosi le parole, senza guardare l’amico in faccia. < Stava meglio, e così… le hanno permesso di festeggiare in casa con noi >.

Sirius non disse una parola. Remus sentiva i suoi occhi di ghiaccio puntati sulla schiena; lo stava fissando con tale intensità che credeva gli avrebbe perforato una spalla. < Ma… >

< Dai andiamo, James ci aspetta > disse prima che l’altro potesse finire la frase, e riprese a salire le scale precedendolo.

Cavolo. Come aveva potuto fare un errore come quello? Doveva stare attento. Doveva stare più attento. Rischiava di far saltare tutta la copertura che Silente gli aveva assicurato. Rischiava di essere cacciato dalla scuola. Rischiava la sua istruzione, il suo futuro. E, cosa ancora peggiore, rischiava di perdere gli unici amici che avesse mai avuto. Nessuno avrebbe più voluto essere amico suo se avesse scoperto chi realmente fosse.

E per nulla, nulla al mondo voleva tornare a fare la solitaria e insipida vita che aveva condotto per tutta la sua infanzia. Prima, credeva di poter vivere benissimo anche in quella maniera. Ma adesso, che sapeva cosa volesse dire avere degli amici, persone con cui parlare, scherzare, che si confidavano con lui, che lo facevano sentire importante, non sarebbe mai riuscito a farne a meno.

Non si voltò neanche per un secondo. Temeva troppo lo sguardo di Sirius, perché in quegli occhi dai riflessi di ghiaccio aveva letto già altre volte dubbi ed esitazioni. Se li avesse incontrati in quel momento era certo che avrebbe dato conferma a quei pensieri che frullavano nell’amico.

Aprì la porta del dormitorio ed entrò nella calda stanza circolare. Peter era seduto sul suo letto, a gambe incrociate, mentre James era al centro della camera, vestito in jeans e maglietta, con i capelli umidi di una recente doccia.

 

 

 

< Era ora! Ma quanto ci avete messo? > fece un impaziente James vedendo entrare Remus e Sirius.

Sirius aveva una faccia, se possibile, ancora più strana di quella mattina. E anche il volto di Remus lo colpì: la sua espressione era stranamente imbarazzata.

< Scusaci, James > spiegò Remus. < Stavo facendo i compiti con Lily >.

< Ah, i due secchioni all’opera. Carini > lo punzecchiò divertito il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli bagnati. < Be’, non importa. Devo assolutamente farvelo vedere. Non ce la faccio più! Se sto zitto ancora per un altro minuto esplodo! > disse, precipitandosi verso il suo baule.

< Ma mi spieghi cos’è questa cosa tanto interessante che devi farci vedere a tutti i costi? > chiese Sirius, sedendosi sul letto accanto a Peter.

< Abbi pazienza, giovane Black >. James aprì il pesante baule e cominciò a lanciarne fuori maglioni, jeans, magliette, calzini e libri che ricadevano sul pavimento, rigettando di nuovo la stanza nel suo disordine abituale.

< James, ma che… > cominciò Peter.

< Zitto, Pete > lo interruppe James. < Ma dove l’ho ficcato >. Grufolava nella cassa che ormai era quasi vuota. < Eccolo! > gridò ad un tratto. Si voltò verso gli altri con le braccia ancora infilate fino alle ascelle nel pesante baule marrone. < Signori miei, ecco a voi il mantello che rende invisibili! > disse estraendo un grosso drappo di stoffa leggera che fece volteggiare nell’aria, fino a farselo ricadere sulle spalle.

Orgoglioso del suo piccolo spettacolo, rimase a fissare i suoi amici, che ora avevano gli occhi sgranati e la bocca spalancata proprio come aveva predetto. Sirius addirittura si era alzato di scatto dal letto. E lo credeva bene che avessero avuto quella reazione: il mantello che si era appena messo sulle spalle aveva l’insolito potere di rendere invisibile chi lo indossava. Si osservò compiaciuto i piedi, e come ben sapeva non li vide. Dal collo in giù il suo corpo era nascosto agli occhi di tutti, compresi i suoi.

< Ma che diavolo…! > riuscì a pronunciare Sirius, gli occhi sempre più sgranati fissi sul nulla sotto la testa scarmigliata di James, avvicinandosi all’amico.

< Una figata, eh? > annuì James mentre faceva un giro su se stesso.

< Ma dove l’hai preso? > chiese Peter, con i piccoli occhi scuri sgranati.

< L’ho trovato in soffitta qualche giorno prima di Natale, mentre cercavo i regali che mi hanno fatto i miei > spiegò James. < Credo che fosse di mio padre… non lo so. Comunque l’ho preso e l’ho infilato subito nel baule >.

< Di che è fatto? > chiese Remus, anche lui avvicinandosi al ragazzo, e allungando una mano per afferrare la leggera stoffa che lo ricopriva, facendosela passare tra le dite che scomparvero anche loro.

< Non ne ho idea. Forse è un tessuto particolare, o è incantato… >

< James… > intervenne Sirius, gli occhi sempre sgranati. < Ti rendi conto di ciò che si può fare con un mantello che rende invisibili? >

James annuì, compiaciuto dell’immediata reazione dell’amico. Come sempre, le loro menti erano sintonizzate sulla stessa lunghezza d’onda.

< Si può uscire di notte, dopo il coprifuoco! > cominciò Sirius.

< Si può andare in giro per il castello e nelle zone proibite senza che nessuno dica niente > lo alimentò James, fissandolo con i suoi occhi scuri, dietro le spesse lenti.

< Si può far dispetto a chiunque! > continuò l’altro.

< Si può entrare indisturbati nel dormitorio delle ragazze! >

< No, quello non si può fare > intervenne Remus.

< E come mai, scusa? > chiese James seccato. Remus, con la sua solita diligenza, cercava sempre di frenare lui e Sirius dal compiere azioni troppo esagerate. < Perché è immorale? O contro le regole? >

< No > rispose tranquillo Remus, mentre continuava a tastare il mantello. < Perché le scale del dormitorio femminile sono stregate in modo che i ragazzi non ci accedano>.

< E tu come lo sai? > chiese stupito Sirius. < C’hai provato, maiale? >

< Macché! L’ho letto su Storia di Hogwarts >.

< Sarà. Comunque, stasera lo proviamo subito > concluse l’argomento James, togliendosi di dosso il mantello e poggiandolo sul letto.

< Che vuoi dire? > chiese Peter, con un’espressione che non era chiaro fosse di panico o di curiosità.

< Che, dopo mezzanotte, > spiegò all’amico, < quando tutti sono a nanna, ce ne andiamo a fare un giretto per il castello >.

Remus si irrigidì. < Dai, James, non scherzare. È rischioso >.

< Ma perché, scusa? Ci ficchiamo tutti e quattro sotto il mantello. Non ci scoprirà nessuno >.

< Io ci sto >. Il braccio di Sirius scattò in aria. James gli allungò la mano, che il moro colpì con il cinque.

< Anche io > disse Peter. Sirius gli passò un bracco attorno alle spalle, strattonandolo leggermente. Poi si voltò verso Remus, in attesa della sua risposta. Anche James fece la stessa cosa.

< No ragazzi, dai… > fece Remus, che aveva tre paia di occhi puntati addosso.

< Rem, o sei con noi o contro di noi > lo ammonì Sirius.

James si mise in ginocchio, con le mani congiunte in segno di preghiera. < E dai, Remussuccio! > supplicò all’amico lattiginoso con uno sguardo da cucciolo bastonato, che risultava sempre infallibile coi suoi genitori. < Daiiiiii! >

Remus sospirò abbassando le palpebre sugli occhi nocciola. < E va bene > sbuffò, e le braccia degli altri tre furono istantaneamente al suo collo.

 

 

 

ef

 

 

 

A mezzanotte e un quarto la sala comune di Grifondoro era completamente deserta. I le sedie e le poltrone erano state lasciate scostate dalle loro posizioni abituali dai ragazzi che li occupavano qualche ora prima. C’erano ancora libri e pergamene sparpagliati sopra ai tavoli. Dell’allegro fuoco scoppiettante rimanevano solo poche braci che brillavano tra le ceneri, e tutte le lampade e le candele erano spente. Il buio nascondeva le tonalità calde delle pareti e degli arredi. L’unica forma di vita nella stanza era un grosso gatto bianco pesantemente addormentato su una poltrona.

La porta del dormitorio maschile si aprì e apparvero quattro ragazzi del primo anno di Grifondoro. Non indossavano la solita uniforme, ma jeans e maglioncini comodi, con ai piedi scarpe da ginnastica. Peter era il solo a calzare un paio di ingombranti babbucce a forma di orsacchiotto. James era in testa agli altri, con il mantello su una spalla che gli cancellava metà busto.

< Mi raccomando ragazzi > disse sottovoce Remus, mentre attraversavano la sala in direzione del foro sul muro. < Cerchiamo di non fare rumore >.

< Tranquillo, Rem > rispose James, arrampicandosi nel passaggio, < non ci scoprirà nessuno >.

Quando tutti e quattro furono nel corridoio deserto, davanti al quadro in cui la Signora Grassa russava sonoramente, James fece cenno agli altri di avvicinarsi a lui, e calò sopra di loro il mantello. In quella posizione scomoda e impacciata, presero a camminare lungo il corridoio, diretti verso la Sala Grande.

< Mi spieghi come mai hai messo queste cavolo di babbucce, Pete? > chiese sottovoce Sirius, che con i piedi continuava a inciampare nelle ingombranti calzature dell’amico, rallentando la passeggiata notturna dell’intera combriccola.

< Scusa > rispose rattristato Peter. < sono la prima cosa che ho trovato >.

< Se invece di addormentarti come un ghiro fossi rimasto sveglio, come abbiamo fatto noi tre, non sarebbe successo > aggiunse sempre con un filo do voce James. < Ci hai fatto perdere un sacco di tempo >.

< Si, lo so… ma non l’ho fatto mica apposta >.

I quattro continuarono a percorrere i corridoi bui, stretti sotto il mantello, a passi lenti. Le cose si complicarono leggermente quando dovettero scendere le scale; per evitare che il mantello si spostasse e scoprisse qualche parte dei loro corpi dovettero muoversi simultaneamente, scendendo lentamente un gradino alla volta. Questo richiese tutta la loro coordinazione e pazienza. Ci misero cinque minuti per riuscire a scendere una sola rampa.

A metà di un corridoio del primo piano si imbatterono in Gazza, il custode, che girovagava per il castello alla ricerca di disertori da punire, suo passatempo prediletto. L’uomo camminava verso di loro, reggendo alta davanti a sé una lanterna.

Sirius, vedendolo, sghignazzò sotto i baffi, e cominciò a fare gesti osceni verso l’uomo, che continuava a guardare attraverso di loro. James ridacchiava, come anche Peter. Remus invece era agitato per la presenza del custode; era fermo immobile, senza quasi respirare, fisso a osservare ogni minimo movimento di Gazza.

Gazza gli passò accanto, del tutto ignaro della presenza dei quattro, e procedette verso la parte di corridoio che non aveva ancora ispezionato. Quando fu a qualche metro di distanza da loro i piedi di Sirius, che ancora si stava divertendo a schernire la schiena dell’uomo, inciamparono di nuovo nelle babbucce di Peter, facendolo scivolare a terra. Il ragazzo, involontariamente, emise un gemito e la sua gamba sgusciò fuori dal mantello, mentre gli altri tre si accucciavano per aiutarlo a rialzarsi. Il custode, la cui attenzione era stata richiamata dal gemito di Sirius, si girò repentinamente, e il moro fece appena in tempo a riavvicinare la gamba al corpo, nascondendola di nuovo sotto il mantello.

< Chi c’è? > chiese l’uomo, con la sua voce gracchiante.

I quattro ragazzi rimasero immobili, trattenendo il respiro, con il sudore freddo che prendeva ad imperlargli le fronte, mentre Gazza muoveva alcuni passi verso di loro.

< Vieni fuori! > gracchiò ancora il custode. I suoi piedi si fermarono a un centimetro dal mantello. Ancora un passo e sarebbe inciampato sulle gambe di Sirius. L’uomo troneggiava sugli invisibili ragazzi accucciati a terra. Il moro, seduto con le gambe raggomitolate al petto e la schiena appoggiata ai tre amici, poteva vedere con i suoi occhi celesti la lanterna del custode pendere sopra di lui e il suo collo molle vibrare leggermente.

Gazza rimase immobile per alcuni secondi, che parvero secoli, spostando la lanterna a destra e a sinistra, in modo da illuminare ogni parte del corridoio. Gli occhi pallidi ridotti a due fessure minuscole scrutavano ogni angolo. Finché non abbassò leggermente la lampada, con un’espressione dubbiosa dipinta sul viso smunto.

< Per tutti i folletti, devo essere proprio stanco… > fece il guardiano, prima di voltarsi e riprendere la sua ronda da dove l’aveva lasciata.

I ragazzi, sotto il mantello, rimasero immobili finché non videro l’uomo scomparire giù per le scale che portavano all’ingresso. Solo allora lanciarono profondi sospiri di sollievo, rilassando i muscoli e afflosciandosi sul pavimento.

< Ragazzi, c’è mancato un pelo… > fece James, passandosi una mano sulla fronte.

< C-credevo che mi prendesse u-un infarto! > gracchiò la vocina malferma di Peter, che si teneva una mano sul petto e ansimava.

< Cazzo, è stato fortissimo! > intervenne Sirius, allungando le gambe sul pavimento e appoggiandosi più pesantemente ai tre ragazzi che gli stavano dietro.

< Fortissimo? Ma sei scemo? > proruppe Remus, regolando subito il volume della voce. < Ci stava per scoprire! >

< Ma non l’ha fatto > precisò il moro, voltandosi a guardare la faccia sconvolta e pallida del ragazzo con un sorrisetto beffardo.

Gli altri tre lo fissarono. Remus boccheggiò, nel tentativo di dire qualcosa, ma l’agitazione e lo stupore gli impedirono di trovare le parole giuste da controbattere all’amico, che ancora sorrideva di quel suo ghigno dispettoso e sprezzante.

< Tu sei pazzo, amico mio > gli disse James, rialzandosi insieme agli altri, e risistemando meglio il mantello su di loro. < Dai, torniamo in camera. Direi che per questa sera può bastare >.

< Si, be’ > aggiunse un seccatissimo Remus, < sappiate che io ho chiuso con questa storia! >.

 

 


Bene, ecco a voi il sesto capitolo. Spevo vi sia piaciuto almeno un pochino... Non sono del tutto convinta che sia abbastanza chiaro e scorrevole...

Ne approfitto per scusarmi con tutti quelli che mi leggono su due errori madornali che ho fatto nel capitolo precedente e che mi ha fatto notare la mia cara JDS: 1. Il padre di Severus non si chiama Theodor, bensì Tobias. 2. Il marchio nero è in realtà sul braccio sinistro, non quello destro. Sono stata proprio superficiale, spero che mi perdonerete...

Ma passiamo a cose serie. Grazie mille per le recensioni che mi avete lasciato! Sono stata felicissima di leggerne così tante, non me lo sarei mai aspettata.

Micia_Loves_Draco: La tua è stata la prima recensione, e mi hai proprio commossa. Non posso credere che hai trovato il mio capitolo addirittura meraviglioso. Davverso grazie. L'idea di un capitolo solo per  Sev e Sirius mi è venuta dal fatto che gli altri personaggi hanno famiglie che li amano, e mi sono chiesta come sarebbe passare una festa come il Natale in una famiglia in cui non c'è armonia. Per il termine, tranquilla: direi che stronzo è il più adatto per il padre di Severus, e per la famiglia di Sirius. E sono felice che ti sia piaciuto così tanto l'abbraccio tra Lily e Sev. Spero di leggere di nuovo il tuo nome tra le recensioni in futuro, e che continuerai a seguire la mia storia.

jomarch: Grazie mille. Si in effetti è proprio come dici tu, l'apparenza prima di ogni altra cosa nella nobile e antica famiglia Black. Mi piace molto il tuo punto di vista sull'idea che ha Sirius prima delle scuole, e devo ammettere che hai proprio ragione. Mi spiace che non apprezzi molto Severus, che è uno dei miei personaggi preferiti; ma sono felice che ti sia piaciuta la parte dedicata a lui. Spero che lo apprezzerai un poco di più ora. Aspetto di sapere che ne penserai dei capitoli futuri. e grazie ancora per la bella recensione.

felpa_fan: sono felice che il capitolo ti sia piaciuto. Be', si, direi che è stato meglio così per Sirius, dopotutto... Continua a seguire la fic e a farmi sapere che ne pensi; mi fa davvero piacere. Bacio!

Aires_fly: grazie! é una gioia leggere nuovi nomi tra i commenti. E mi fa davvero piacere che ti sia piaciuta la mia piccola opera. Comunque, credo di avere anche io un debole per i drammi... Ed è una gioia che ti abbia fatto amare un po' il piccolo Sev. Spero che recensirai ancora, o che almeno continuerai a seguirmi.

JDS: mi stavo quasi preoccupando. Credevo che non avresti recensito, e ormai mi sono affezionata ai tuoi commenti e consigli (credo che non ne potrei fare a meno!). E, cavolo hai proprio ragione, sia sul padre di Sev che sul marchio... Scusa ancora,  e grazie per avermelo fatto notare. Spero che mi dirai che ne pensi di quest'ultimo capitolo. Ciao!

germana: Ciao. Grazie, sono felice che ti piaccia. Mi raccomando continua a seguirmi! Ciao ciao

Un grazie anche a quelli che leggono soltanto; spero che contiunerete a farlo. E spero che mi facciate sapere che ne pensate di questo ultimo capitolo. Credetemi, è una gioia leggere le vostre opinioni, a prescindere che siano positive o negative! Cercherò di aggiornare il prima possibile.

Un abbraccio a tutti.

M.

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Capitolo 7
*** Il grande segreto ***


7

 

 

 

 

Il grande segreto

 

 

 

 

Il tempo si era fatto più mite e due mesi erano volati veloci, spazzando via la neve invernale e riscoprendo i teneri germogli che erano sopiti sotto di essa. Con l’arrivo delle belle giornate, i ragazzi riprendevano ad uscire per godersi il ritorno del sole sotto le fronde degli alberi che tornavano lentamente a verdeggiare.

E in quel sabato la maggior parte degli alunni del castello erano appunto distesi sull’erba, accanto al Lago Nero. Alcuni studiavano, altri chiacchieravano. C’era chi giocava con i frisbee, chi passeggiava, chi leggeva accoccolato alle radici di un grosso tronco.

Sirius, invece, aveva preferito passare la mattinata in camera, disteso sul letto tra le soffici coperte, con un piede scoperto che si intirizziva leggermente. Era decisamente troppo stanco per unirsi agli amici, che invece si erano alzati ed erano scesi a fare colazione, per poi spaparacchiarsi al sole nel parco. Proprio non capiva come facessero loro tre a trovare le forze. Eppure anche loro come lui, quella notte non avevano dormito praticamente niente.

Avevano passato l’intera nottata in giro per il castello. Ormai lo facevano talmente spesso che ne aveva perso il conto. Di solito, uscivano le notti del venerdì e del sabato, quando il giorno dopo non avevano lezioni.

Erano certi che ormai il castello non avesse più segreti per loro, o quasi. L’avevano perlustrato dappertutto: nei sotterranei, su per le torri, lungo ogni corridoio, dentro qualsiasi apertura. Scostando una statua al quarto piano avevano trovato un passaggio che portava dritti giù accanto all’aula di Pozioni, cosa che gli aveva notevolmente facilitato il passaggio da una lezione all’altra. E un ragazzo del terzo anno, Gabriel, aveva svelato a James l’ingresso alle cucine, che erano diventate tappa fissa nei loro viaggi notturni. Gli elfi domestici che sgobbavano lì dentro erano un ammasso di amorevoli e servizievoli esserini disposti a soddisfare ogni loro desiderio, altro che quel vecchio muffito di Kreacher; così ogni volta tornavano in camera con le pance gonfie di ciambelle glassate, torte di melassa, sandwiches al formaggio e altre leccornie.

Le loro uscite erano sempre memorabili. E non solo per loro, ma anche per quell’adorabile carogna che era Gazza. Infatti ogni volta gliene combinavano una nuova per farlo indispettire. Una volta avevano aperto tutti i lavandini dei bagni del secondo piano, provocando un allagamento tale che allo scorbutico custode ci erano volute due ore per asciugare tutto. un’altra, invece, avevano incantato le sedie di un’intera aula in modo tale che corressero per tutta la stanza come dei cavalli impazziti. Un’altra volta ancora avevano fatto bere a Mrs. Purr, l’adorata gatta del custode, del latte mischiato ad una pozione che aveva reso il pelo dell’animale multicolore per due settimane.

I loro scherzi erano ogni volta più elaborati e grotteschi. Gazza si era quasi preso un esaurimento nervoso: era più strano e schivo del solito, e fermava gli alunni lungo i corridoi per interrogarli ed ispezionare le loro borse. E, naturalmente, tutta la scuola cominciava a chiedersi chi fosse la mente geniale e folle che stava dietro a quelle opere di bricconeria. Non si faceva che parlare di loro lungo i corridoi, e c’era chi aspettava la fine della settimana solo per sapere quale altra ne avrebbe combinata questo misterioso burlone. Se avessero saputo che si trattava di ragazzini del primo anno...

Naturalmente, gli incantesimi e le fatture che i quattro impiegavano per i loro scherzi spesso erano molto avanzate per il loro livello di studio e richiedevano settimane intere di preparazione. Si partiva ad organizzarli la domenica pomeriggio e si passava la settimana a cercare nei tomi della biblioteca il modo per realizzarli. Sirius e James studiavano più per quelle bravate che per il resto delle materie, come dimostravano i loro scarsi risultati. Tanto che Remus spesso li rimproverava spronandoli a lasciar perdere e concentrarsi di più, anche se poi non gli negava mai il suo aiuto con i compiti.

Alla fine, anche quel vecchio brontolone di Remus aveva ceduto; e al contrario di ciò che aveva detto la prima volta che erano sgattaiolati fuori sotto il fantastico mantello che rende invisibile di James, era sempre stato presente a quelle evasioni notturne. Solo poche volte era mancato, per via delle sue solite assenze.

Sirius si tirò a sedere sul letto.

Già, le sue solite assenze… Negli ultimi due mesi, il ragazzo era partito altre due volte, ed ogni volta era stato via tre giorni, tornando a scuola stanco e malaticcio, come se fosse lui quello malato e non sua madre. E se i suoi calcoli erano esatti, sarebbe sparito di nuovo di lì a poco, forse proprio l’indomani.

No, quel ragazzo nascondeva qualcosa, ne era certo. Tutta la situazione era troppo strana. E era inutile che James continuasse a ribadire il contrario. < Tu sei fissato, Sir. Falla finita con questa storia > gli ripeteva l’amico ogni volta che accennava all’argomento, sostenuto da energiche scosse di testa di Peter. Ma Sirius sapeva che non si sbagliava affatto.

E la cosa che lo mandava in bestia era che Remus non avesse detto niente. Erano amici ormai, loro quattro. Erano un gruppo, una squadra perfetta. Che cosa c’era di tanto vergognoso e tremendo che il ragazzo non gli potesse dire, che dovesse custodire tanto segreto, tanto da spingerlo a mentire spudoratamente? Perché era talmente ovvio che quella della madre malata era una balla, che non capiva come quel testone di James si ostinasse a non rendersene conto. Forse per via di quel suo lato ingenuo e credulone da eterno bambino che di certo, Sirius ne era sicuro, non lo avrebbe mai abbandonato.

Comunque era deciso a far luce su quel mistero. Anche a costo di fare tutto da solo, avrebbe scoperto quale era il grande segreto di Remus Lupin.

 

 

 

ef

 

 

 

< Ehi, hai sentito che ha combinato stanotte? >

< No, stavolta che ha fatto? >

< Pare che ha incollato i tappeti dei corridoi del terzo piano al soffitto >.

< Ma và? >

< Si! Ti giuro! >

< No! Non ti credo! Quello è pazzo! >

< Già, chissà chi sarà… >

James sorrideva, disteso sull’erba, ascoltando i discorsi delle due ragazze di Corvonero che si avviavano verso il Lago. Era proprio compiaciuto di sé. Oramai lui e gli altri tre erano i ragazzi più popolari e discussi del castello, anche se nessuno lo sapeva.

Remus era seduto accanto a lui, scrivendo in una lunga pergamena. Erano solo le undici di sabato mattina, e lui già pensava ai compiti. Peter, invece, addentava un grosso panino con prosciutto e maionese che si era portato via dal tavolo della colazione.

< Ciao, ragazzi. Già svegli di domenica mattina? >. L’accento francese di Pauline Olives colpì le sue orecchie dall’alto.

< Ehi, Olives. Si, non avevamo sonno. Tranne quello scansafatiche di Sirius. Ehi, Mary, ci sei anche tu? > si rivolse a Mary Nelson, che gli sorrise gentile.

< Ciao Lily > sentì Remus salutare la ragazza dai capelli rossi accanto a Pauline, che ricambiò con un cenno della mano.

< Vi unite a noi? > chiese ancora James.

< Volentieri! > rispose Pauline sorridendo, come anche Mary.

< No, grazie > le fece eco la voce leggermente altezzosa dell’amica rossa. Lily, la solita.

< E dai, Lily. Tanto non abbiamo niente di meglio da fare! > la supplicò Pauline.

< Ma, avevamo detto di ripassare… >

< Quello lo possiamo fare anche dopo. Abbiamo ancora un intero finesettimana > intervenne Mary. < Dai, su! >

La rossa sospirò pesantemente, e fece scivolare giù dalla spalla la borsa, appoggiandola sul prato. Le tre si sedettero sul soffice manto erboso, accanto ai ragazzi. Era raro che le compagne di classe passassero il tempo con loro, specie quando erano in compagnia della Evans. Dato l’astio che la ragazza provava per lui e Sirius, situazioni come quella non si presentavano quasi mai.

< Avete sentito dell’ultimo scherzo che… > cominciò Mary.

< Si, sappiamo già tutto > disse James, prima che la compagna potesse finire. Peter sogghignò; non era proprio capace di fare l’indifferente.

< Secondo me, chiunque c’è dietro a tutto questo è davvero un mito! > commentò un’eccitata Pauline.

Lily non sembrava molto interessata dall’argomento: aveva gli occhi fissi verso il lago, e a quanto pareva era intenzionata a non incrociare lo sguardo del moro nemmeno per sbaglio.

< Tu invece, Evans, che ne pensi? > chiese James.

La ragazza rispose senza guardarlo. < Penso che, chiunque sia, deve avere qualche rotella fuori posto. E che sta facendo passare guai a tutti >.

< Mamma mia, che esagerata che sei! > disse stizzito James.

< Non sono esagerata > parlò di nuovo la ragazza, stavolta puntando i suoi occhi versi su di lui per la prima volta dopo molto tempo dall’ultima volta che lo aveva fatto. Talmente tanto che James quasi rimase colpito dal particolare colore delle sue iridi, di un verde intenso e luminoso. < Gazza ha raddoppiato la sicurezza e non fa che perquisire i ragazzi. L’altro giorno mi ha tenuto dieci minuti lungo un corridoio. Sono anche arrivata tardi a Incantesimi >.

< Oh, poverina! > la schernì il moro.

< Ragazzi, la piantate per favore? > intervenne Pauline. James si passò una mano tra i capelli senza staccare gli occhi dalla rossa che lo squadrava con astio; era sempre più scostante quella ragazzina con lui. Lily distolse velocemente lo sguardo, puntandolo in direzione del castello. Il ragazzo notò un sorriso radioso nascere sul viso della compagna, e la sua mano sollevarsi in segno di saluto.

Si voltò in direzione del punto che fissava la ragazza. Il gruppetto degli alunni di Serpeverde del primo anno era vicino all’ingresso del castello. Uno di loro, uno spilungone magro e pallido dai capelli corvini scomposti, l’unico che indossava la divisa, era fisso sulla ragazza. Era a Severus Piton che era rivolto quel caloroso saluto. Ma lui non sembrò gradirlo, dato che distolse frettolosamente lo sguardo senza ricambiarla.

Lily parve turbata da quel comportamento, ma non disse una parola, mentre il suo sorriso la abbandonava rapidamente.

< Litigato con Mocciosus? > chiese ghignando James.

< Ti ho già detto di non chiamarlo in quella maniera, Potter > rispose acida la ragazza.

< A proposito, Lil > intervenne tra i due Mary, < Come fai a essere amica di un Serpeverde? Lo sai come la pensano su quelli che vengono da famiglie di babbani, no? >

< Lui non la pensa come loro >.

< E tu che ne sai? > chiese James, sistemandosi meglio gli occhiali sul naso.

< Lo so, perché lo conosco > rispose la ragazza, con un tono che non ammetteva repliche.

 

 

 

ef

 

 

 

Severus era seduto al solito tavolo in biblioteca, seminascosto dalla consueta pila di grossi tomi ingialliti dal tempo. Con la schiena curva, leggeva un capitolo lunghissimo di Storia della Magia, mentre aspettava l’arrivo di Lily, come ogni sabato pomeriggio. Era ormai un rito per loro quello dei compiti di sabato. E più che un motivo per ripassare, oramai era diventata una scusa per chiacchierare un po’. L’appartenere a due Case diverse, purtroppo, limitava il tempo che i due avevano da trascorrere insieme.

Era molto nervoso. Lo era da quella mattina, quando aveva visto l’amica in compagnia di Potter a chiacchierare tranquillamente sull’erba. Quella scena l’aveva urtato così tanto che quasi non aveva toccato cibo. Se la sua migliore amica fosse diventata amica anche di quel deficiente di Potter non sapeva se l’avrebbe potuto sopportare.

Era un cretino, quello lì. Un egocentrico in costante ricerca di attenzioni. E proprio non capiva come facesse a riscuotere tante simpatie, lui e il suo amichetto Black.

Una piccola mano ossuta colpì la sua spalla provocandogli un intenso dolore. Si voltò già sapendo a chi apparteneva quella mano.

< Lily, ahi! E questo perché? >. La ragazza gli stava di fianco, vestita con un maglioncino a righe sgargianti e semplici jeans chiari, e i capelli raccolti in sue treccioline che gli ricadevano sulle spalle, osservandolo con aria seccata.

< Mi spieghi che ti ho fatto? > chiese, sfilandosi la borsa dalla spalla e sedendosi pesantemente sulla sedia accanto a lui.

< Niente, perché? >

< Allora, perché stamattina non mi hai salutata? > chiese lei irritata, fissandolo con occhi severi. Era davvero arrabbiata con lui.

< Perché non ti ho vista… > rispose Severus con un filo di voce, distogliendo lo sguardo colpevole.

< Non mentirmi > disse ancora più scocciata lei. < Mi hai visto benissimo. Allora? Come mai? >

< Perché… > cominciò, ma si interruppe subito. La ragazza lo fissava ancora con quel suo sguardo severo, e lui si sentì avvampare. < Perché stavi parlano con quel Potter… Immagino che ormai siete diventati amici >.

Lily distolse lo sguardo, e la sua smorfia irritata si tramutò in un sorriso divertito. < Che scemo che sei, Sev! > disse ridendo con la bocca coperta da una mano.

< Perché, scusa? >

< Perché il giorno in cui io e James Potter diventeremo amici, una meteora colpirà la terra provocando la scomparsa dell’intero genere umano >. Severus non poté fare a meno di ridere delle parole della ragazza. Lei si voltò verso di lui, osservandolo con gentilezza. < Sai quello che penso di quello spocchioso egocentrico, Sev. >.

Severus le sorrise in risposta, felice delle parole del’amica. E insieme si misero a studiare.

 

 

 

ef

 

 

 

Nella stanza del dormitorio, Sirius, James e Peter attendevano l’ora della cena ingannando il tempo con una partita a carte. Il sole fuori dalla finestra era basso, tingendo il cielo di riflessi arancioni, e inondando la stanza con raggi d’oro.

Remus uscì dal bagno, involto nel suo accappatoio cremisi, strisciando le ciabatte sul pavimento.

< Ehi, Rem. Giochi anche tu? > chiese James, mescolando le carte tra le mani.

< No grazie > rispose l’altro, estraendo dal suo baule biancheria intima, un paio di Jeans e una felpa grigia, decisamente vecchia e logora.

< Ma scendi a cena con quello schifo di felpa? > chiese James ancora.

< Non vengo a cena. La McGranitt mi aspetta nel suo studio. Devo partire di nuovo > rispose Remus mentre si infilava frettolosamente gli indumenti.

< Ah, ok > rispose semplicemente James, continuando a mescolare le carte.

Sirius ghignò e scese dal letto, passeggiando per la stanza. Proprio come immaginava.

< Ragazzi, io devo andare. La McGranitt mi aspetta > disse Remus, avviandosi verso la porta.

< Allora ci vediamo tra tre giorni, Rem > lo salutò Sirius. L’altro rimase qualche istante immobile davanti alla porta semiaperta, con la mano sul pomello. Si voltò appena in direzione dell’amico, ma non incrociò il suo sguardo. Ancora una volta quell’espressione colpevole e imbarazzata. Ne era certo, nascondeva qualcosa.

Appena Remus si fu chiuso la porta alle spalle, Sirius schizzò verso il baule di James, cominciando a grufolare al suo interno.

< Ehi, Sir, ma che fai? > chiese uno stupito James, abbandonando le carte sul letto.

< Lo seguo > rispose tranquillamente il moro, estraendo dal baule il mantello che rende invisibili.

< Che cosa? > fece Peter.

< Voglio scoprire dove va ogni dannatissimo mese > continuò rovesciando il contenuto della sua borsa di scuola sopra la coperta scarlatta del suo letto a baldacchino.

< Ancora questa storia?! > sbottò James irritato. < Cazzo, Sir, la tua è proprio un’ossessione! Ma quando ti rassegnerai al fatto che… >

< Sentite > scattò Sirius verso gli altri due. Non si era mai sentito tanto sicuro di sé. < Voi siete liberi di pensare quello che vi pare. Ma io so che Remus nasconde qualcosa, e state certi che lo scoprirò >.

Gli altri lo guardavano a metà tra lo sgomento e il rassegnato. Nel suo viso c’era un’espressione che non ammetteva repliche.

< Quindi > continuò, infilando il mantello nella borsa, < fate pure come volete. Ma io lo seguo >.

< Aspetta > sentì dire James, quando aveva ormai raggiunto la porta. < Vengo anche io. Voglio proprio vedere che faccia farai, quando capirai che ti sbagli alla grande >.

Sirius osservò l’amico con aria impassibile. Poi si rivolse verso l’altro, che ancora era seduto sul letto di James. < Pete, vieni anche tu? >. Peter esitò per qualche minuto, e poi si unì agli altri due. Insieme, scesero di corsa le scale del dormitorio e uscirono dalla sala comune. Si infilarono in un bagno accanto allo studio della professoressa McGranitt, dove si nascosero sotto il mantello. Era la prima volta che usavano il mantello di giorno, quando i corridoi erano percorsi dagli alunni, ma per loro fortuna in quel momento non c’era molta gente in giro per il castello, dato che la maggior parte dei ragazzi si trovava in Sala Grande per la cena.

In silenzio, attesero davanti alla porta della McGranitt, dalla quale dopo pochi minuti uscirono l’austera professoressa seguita dall’amico. Cominciarono a pedinarli a qualche metro di distanza, evitando di urtare i pochi ragazzi che c’erano in giro. La professoressa prese a scendere i gradini che conducevano ad un’uscita secondaria del castello, costeggiando le serre di erbologia, fino al grande parco.

< Lo starà accompagnando ad una carrozza > sussurrò James all’orecchio del ragazzo dagli occhi di ghiaccio. Ma la professoressa continuò a scendere verso il parco, in direzione di un grosso albero dai rami irrequieti, il Platano Picchiatore. Si fermò proprio di fronte a questo, e anche gli altri si arrestarono a poca distanza da loro. Sirius poteva scorgere il volto di Remus. Sembrava più accigliato del solito.

< Professoressa > disse d’improvviso l’amico, interrompendo il silenzio che li aveva accompagnati fino a quel momento. < Non c’è bisogno che mi scorti fino alla Stamberga. Ormai, conosco la strada > concluse, accennando un debole sorriso. La professoressa lo guardò con occhi gentili. Era la prima volta che Sirius vedeva quell’espressione sul volto di solito severo e duro della donna, e si meravigliò che anche lei potesse apparire gentile.

Poi, la donna estrasse la bacchetta e disegnò un invisibile striscia verticale nell’aria, in direzione dell’albero incontrollabile. Una delle radici si abbassò, e d’improvviso i rami costantemente in movimento del Platano di immobilizzarono. Sotto il mantello, Sirius sgranò gli occhi e spalancò la bocca. Sentì gli altri due trattenere il respiro, come stava facendo anche lui.

Remus mosse qualche passo in direzione dell’albero.

< Signor Lupin > lo chiamò la donna. La sua voce non era algida come di consueto. Remus si voltò per guardarla. < Di recente, ho sentito parlare di un certo Damocles Belby, uno scienziato guaritore laureato in creature oscure, che si ha intrapreso una ricerca sulla base di recenti studi fatti sui lupi mannari, come lei.

< Pare che stia cercando un antidoto che inibisca le pulsioni istintive durante la luna piena. Naturalmente, ancora la ricerca è in via sperimentale, ma forse tra qualche anno riusciranno a trovare una cura adatta >.

Remus sorrise gentilmente alla donna, con occhi spenti. < Grazie dell’informazione, professoressa >.

La donna gli sorrise in rimando. < A domani, Remus >. Poi si voltò, percorrendo a ritroso la strada verso il castello.

Remus, invece, si voltò verso il Platano, arrivando fino alle radici del grosso tronco, dove scivolò all’interno di un’apertura tra di esse, scomparendo alla vista. Pochi attimi dopo, i grossi rami del Platano Picchiatore ripresero ad agitarsi.

Sotto il mantello che li nascondeva al resto del mondo, Sirius e gli altri rimasero immobili per qualche minuto, stupefatti da quello che avevano appena scoperto.

Remus Lupin, l’amico riservato e gracilino che divideva la stanza con loro, un lupo mannaro.

< Che ti avevo detto, James? > parlò Sirius, con poca voce e gli occhi sgranati, girandosi verso l’amico che ancora fissava l’irrequieto albero con la bocca spalancate, come anche Peter. < Avevo ragione io; Remus nascondeva qualcosa >.

 

 


Eccomi di nuovo qui. Questo capitolo l'ho scritto molto velocemente. Come sempre, non sono convinta al 100%. Ma, bè, spero che vi piaccia almeno un pochino.

 

Passanto ai ringraziamenti:

 

jomarch: Grazie mille per la tua recensione fiume, mi è piaciuta da impazzire. Per quanto riguarda il mantello e come James lo scopre, credo che se io fossi stato suo padre, conoscendo il suo carattere mai nella vita gli avrei permesso di mettere le mani su un oggetto ghiotto come il mantello dell'invisibilità, sapendo quanti danni avrebbe potuto farci. Per quanto riguarda Severus, si hai perfettamente ragione, quello che ha fatto è crudele ed egoista. Ma daltronde alla fine si è reso conto dei suoi errori, e ha cercato di fare ammenda. Inoltre il fatto del padre babbano senzaltro gioca una parte fondamentale nel suo carattere e nelle sue scelte future: è come se scegliendo le arti oscure e schierandosi con Voldemort lui volesse punire tutto ciò che il padre rappresentava, tutta la sofferenza che gli aveva inflitto, anche se non si rendeva conto che così facendo avrebbe perso la cosa più importante che avesse mai avuto. Ok, la smetto. Spero che recensirai anche questo capitolo. Adoro i tuoi commenti. Ciao alla prossima!

 

Micia_Loves_Draco: Grazieeee! Sono felice che della tua dipendenza... (hihihi!!). A parte tutto, mi fa piacere che ti stai appassionando al mio James. Devo essere sincera, all'inizio anche a me non piaceva molto; è stata un pò una sfida per me questo personaggio. Ma ormai li adoro tutti e cinque. Non ce n'è uno che ami di meno dell'altro (mi sento molto materna...). Continua a seguirmi e a recensire, è sempre una gioia leggere ciò che ne pensi. Ciao al prossimo capitolo!

 

JDS: Grazie mille! Lo immagino che non avrai tutto il tempo da dedicare a leggere le fic, ma mi fa piacere che trovi sempre un posticino per me e la mia storiellina! Sono felice che anche lo scorso capitolo ti sia piaciuto. E che anche i personaggi ti piaccioni. James è un po' viziatello, è vero, ma che ci vuoi fare è figlio unico e tanto atteso... quel caro bambinone di James! Spero che recensirai anche questo capitolo. Ciao ciao!

 

Grazie a tutti quelli che leggono soltanto. Spero che continuerete a seguire la mia storia. E che continuerete a recensire.

 

M.

 

 

 

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Capitolo 8
*** Ciò che un'amicizia può ***


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Ciò che un'amicizia può

 

 

 

 

Lupo mannaro

Il lupo mannaro, o licantropo, è un essere umano che ad ogni plenilunio assume le sembianze di un grosso e feroce lupo.

A dispetto del lupo comune, il mannaro ha il muso più corto, il suo pelo è bruno e gli occhi sono gialli con grosse pupille marroni. Inoltre, le impronte che lascia sono simili a quelle dell’uomo, con cinque dita anziché  quattro.

Si ignorano tuttora le origini di questa creatura, ma l’unico modo per trasformarsi in lupo mannaro è essere morso da un altro esemplare della stessa specie, durante le notti in cui è tramutato. Non è comunque detto che l’aggredito venga infettato; ciò avviene in casi di grosse ferite riportate, se l’aggressore lascia la vittima quasi in fin di vita.

Durante le tre notti di luna piena, l’essere umano contagiato è molto aggressivo e pericoloso. È attratto dall’odore di carne umana e aggredisce chiunque si pari dinanzi a lui, rispondendo soltanto all’istinto primordiale della caccia. Ed una volta che la luna tramonta riprende il suo aspetto consueto.

È molto raro che un uomo conservi i ricordi della sua trasformazione. E nel resto degli altri giorni è una persona normale. L’infezione del licantropo non modifica gli aspetti morali e intellettivi del contagiato al di fuori delle notti di plenilunio, a dispetto di quello che comunemente si pensa.

Se questo animale è una seria minaccia per l’uomo, di certo non costituisce lo stesso pericolo per gli animali. È dimostrato che la vicinanza di creature del regno animale placano la natura irrequieta di questa creatura durante il plenilunio, specie la vicinanza di grossi mammiferi.

Sfortunatamente, non c’è modo di guarire se si è stati contagiati…”

Erano ore ormai che Sirius leggeva e rileggeva quel brano trovato in “Tutte le Creature Oscure della terra” che aveva preso in biblioteca. La notte passata non aveva chiuso occhio, come anche James e Peter, e così avevano deciso di sgusciare fuori dai letti alle sette di domenica mattina per andare in biblioteca a documentarsi sui lupi mannari.

< Cavoli > sbottò all’improvviso James, chiudendo con forza il suo volume di “Difesa contro le Arti Oscure,4”. < Ancora non riesco a crederci. Remus, un lupo mannaro. E non mi sono mai accorto di niente… >.

< Te l’avevo detto io che nascondeva qualcosa > intervenne Sirius. < Anche se, certo, devo ammettere che non mi aspettavo una cosa del genere… >.

< E ora che facciamo? Come ci comportiamo con lui? > chiese Peter.

< Te l’ho già detto almeno cento volte, Pete. Non lo so. Non lo so proprio… > rispose quasi esasperato James, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi gli occhi.

< Secondo me dovremmo dirglielo > Disse Sirius. < Dobbiamo dirgli che lo sappiamo. Così potrà smetterla di fingere, almeno con noi >.

< Già. Povero Rem. Chissà quanto deve essere difficile per lui mentire in questo modo… > disse cupo James. I tre si rabbuiarono, fissando con occhi assenti i volumi di fronte a loro.

< Ma, non pensate che sia pericoloso? > fece all’improvviso Peter.

< Andiamo, non essere ridicolo, Peter! > sbottò James, con fare seccato. < Un lupo mannaro è pericoloso solo durante la luna piena. C’è scritto ovunque >.

< Ma allora, perché non ce lo ha mai detto? > chiese scioccamente il ragazzino dai capelli chiari, sgranando a dismisura i piccoli occhietti neri come il pepe.

< Non ci arrivi Pete? Proprio per questo. > scattò sulla sedia Sirius. < Per il modo in cui avremmo reagito. Perché temeva che lo avremmo allontanato, che lo avremmo emarginato. Essere un lupo mannaro non è che sia il massimo per un mago >.

< Cavolo, ma ci pensi quanto deve essere penosa per lui questa situazione? > intervenne James.

Di nuovo i tre si ammutolirono. Ci pensava eccome, Sirius. Non aveva fatto altro da quando, poche ore prima, avevano scoperto il grande segreto dell’amico. Aveva cercato di immaginare come tutto fosse iniziato; a quanti anni l’amico avesse ricevuto il “bel regalino” che lo avrebbe accompagnato per il resto della sua vita. Aveva tentato di mettersi nei suoi panni, di capire quali sensazioni provasse, quanto potessero essere profonde ed opprimenti le sue paure. Ma non poteva affatto comprendere ciò che Remus provava, perché era qualcosa più grande di tutti loro. Era un peso che un ragazzo di appena undici anni non avrebbe dovuto affrontare.

Ora finalmente sapeva dare una forma ed un nome alle ombre scure che vedeva offuscare gli occhi dell’amico. Capiva perché non avesse voluto confidarle a loro tre. E si sentiva in colpa per come si era comportato, per averlo seguito. Per non aver lasciato in pace il suo segreto.

Sirius sbatté le mani sul tavolo scuro, facendo saltare sulle sedie gli altri due. < Dobbiamo assolutamente dirgli che lo sappiamo. Dobbiamo fargli capire che non ci importa, che non è un problema. Che non cambia niente il fatto che è un lupo mannaro >.

James annuì energicamente, fissando i suoi occhi scuri su quelli dell’amico, che brillavano di determinazione. e Peter fece lo stesso.

< Va bene. Ma ora andiamo a mangiare qualcosa. Sto per svenire dalla fame >.

 

 

 

ef

 

 

 

< Signor Lupin? >

Una voce giungeva lontana mille miglia, in un punto imprecisato da qualche parte.

< Signor Lupin, si svegli >

Un suono ovattato e fastidioso, che lo allontanava dal torpore in cui si trovava.

Remus si scosse leggermente. Qualcosa lo aveva colpito in viso. Sentiva la pelle pizzicare. Ma fu un altro dolore a riportarlo alla realtà; qualcosa di lancinante, un bruciare intenso, che lo fece contorcere su se stesso, proveniente dal braccio destro. Era insopportabile, tanto che non capiva come non se ne fosse accorto fino a quel momento.

Aprì gli occhi, boccheggiando l’aria intorno a se, roteando le pupille in tutte le direzioni per cercare di capire dove si trovasse, che cosa fosse successo. Era disteso sul pavimento della Stamberga Strillante. Vedeva le travi di legno marcito del soffitto sopra di se. Il braccio destro gli pulsava talmente forte che era certo si stesse staccando dal resto del corpo. Corse con lo sguardo a quel braccio: una grossa ferita lo copriva per metà, uno squarcio vermiglio dal quale usciva sangue che si raccoglieva in una pozza in terra. Eccola la fonte di quel dolore tremendo.

< Stia fermo, signor Lupin >. Di nuovo quella voce, stridula, dai toni vagamente isterici. Alzò lo sguardo. Madama Chips era china su di lui. < Ora sistemiamo subito il suo braccio. Non faccia troppi movimenti, ha perso molto sangue stanotte >.

La donna prese a tessere una trama invisibile sulla ferita con la sua bacchetta, recitando tra le labbra incantesimi appena sussurrati. Doveva essere un’operazione molto delicata e complessa, perché Remus poté vedere la fronte della donna imperlarsi di goccioline di sudore, segno dello sforzo che stava facendo.

Remus osservava immobile la scena. La ferita sul suo braccio era profonda. In terra si era formata una larga pozza purpurea. Lentamente, il taglio prese a richiudersi. I due lembi di pelle si riavvicinarono, risaldandosi tra di loro, fino a non lasciare traccia alcuna sul braccio, tranne le macchie di rosso sangue che insozzavano la pelle diafana.

Madama Chips si accasciò a terra stremata, passandosi la mano che reggeva la bacchetta sulla fronte madida. Remus fece per alzarsi, ma la testa prese a vorticare su se stessa, offuscandogli la vista, e si ritrovò di nuovo steso a terra.

< Non si muova, Signor Lupin. È troppo debole! > fu la pronta risposta della guaritrice che immediatamente fu al capezzale del ragazzo. Con la bacchetta disegnò un elegante ricamo nell’aria pronunciando l’incantesimo < Wingardium Leviosa >, e Remus sentì il suo corpo lasciare il freddo pavimento e galleggiare nell’aria pesante che regnava in quella stanza. La donna lo fece levitare fino al piccolo lettino dalle coperte fresche di bucato, e lo coprì celando il suo esile corpicino nudo.

< Per oggi sarà meglio che non si alzi dal letto > cominciò Madama Chips, trafficando nella sua borsa da guaritrice di pelle di drago. < Non voglio assolutamente che si affatichi a studiare o in altri modi. Ha bisogno di riposare, e molto, se vuole recuperare le forze entro stasera. Prenda questo > disse, porgendogli un’ampolla contenente un denso liquido rosso. < L’aiuterà a recuperare il sangue che ha perso stanotte >.

Remus scolò in un fiato la pozione rossa. Il liquido scese giù per la gola, caldo e viscoso, lasciando sulla sua lingua un forte sentore ferroso. Nel frattempo la donna agitò la bacchetta e la grossa chiazza porpora sul pavimento scomparve.

Che strana cosa, pensò Remus mentre gli occhi si chiudevano senza che lo volesse, troppo spossato per controllarli. Il suo braccio era immacolato, senza neanche una lieve cicatrice. E del sangue sul pavimento non c’era più traccia. Era come se non fosse mai successo, se quella notte non fosse appena trascorsa, se quella ferita non ci fosse mai stata. Solo quel soffocante senso di stanchezza e di tristezza rimaneva a testimoniare che non era solo un brutto sogno.

 

 

 

ef

 

 

 

Le lezioni di quel martedì erano state particolarmente intense per Lily. Era stata interrogata sia a Erbologia che a Storia della Magia, e inoltre avevano avuto un compito in classe di Incantesimi. Ed ora si stava godendo un meritato riposo spaparacchiata su quella che in un anno neanche aveva ottenuto l’onore di “poltrona preferita” della sala comune di Grifondoro. Era molto caldo quella sera; il fuoco scoppiettante espandeva il suo calore per tutta la stanza, gremita come sempre di ragazzi. Per cercare di non soffocare per l’aria pesante della sala si era arrotolata le maniche della camicia fin sopra ai gomiti e si era allentata la cravatta sul collo.

< Credete che domani Lumacorno mi interrogherà? > chiese Pauline sospirando, mentre si rigirava distrattamente una ciocca castana tra le dita.

< Beh, è probabile. Quasi tutti gli altri sono già stati interrogati > rispose Mary seduta sul divano accanto a lei, con Louna, il suo panciuto persiano, che ronfava beatamente sulle sue ginocchia.

< Cavoli, non ho studiato niente > commentò Pauline ributtando la testa all’indietro sconsolata.

< Se sapevi che può chiamarti perché non hai fatto niente tutto il pomeriggio > disse Lily.

< Perché non ho voglia di studiare. Oramai sono in modalità vacanza> rispose l’amica.

< Ma manca ancora un mese alla fine della scuola > le fece presente Mary mentre carezzava il pelo soffice del suo gatto.

< Ciao ragazze > la conversazione fu interrotta dalla voce di un ragazzo. Lily alzò la testa e vide Remus in piedi accanto a loro. Aveva un aspetto più malaticcio del solito. Il ragazzo sembrava sempre poco in salute, ma ora le sue occhiaie erano più profonde e marcate e la pelle aveva un colorito giallognolo, esangue. Inoltre, al contrario di tutti gli altri alunni presenti nella sala che indossavano soltanto la camicia della divisa, lui aveva indosso anche il pesante maglione grigio invernale.

< Ehi, Remus. Ben tornato! > lo saluto allegramente Pauline.

< Come sta tua mamma? > chiese premurosa Mary.

< Meglio. Grazie > rispose con poco entusiasmo il ragazzo.

< Remus, ma stai male? Hai un aspetto tremendo > fece Lily preoccupata.

< Forse ho un po’ di influenza > rispose il ragazzo. < Sai se James e gli altri sono in camera? >

< No. Mi dispiace > rispose la rossa.

< Io li ho visti salire nei dormitori mezz’ora fa > intervenne Mary.

< Grazie. Ci vediamo domani allora > disse prima di allontanarsi da loro per dirigersi verso la porta dei dormitori maschili.

< Cavoli! > intervenne Pauline appena il compagno si fu allontanato. < Ma avete visto che brutta cera che aveva? >

< Già! > rispose Mary. < Inoltre mi pare che ogni volta che torna dalle sue visite a casa sia malato >.

< Si ci ho fatto caso anche io > aggiunse pensierosa Lily. < Dev’ essere davvero pesante per lui questa situazione della madre… >

< Ma voi credete davvero che se ne vada ogni mese per andare a trovare sua madre? > chiese sottovoce Pauline.

< E per quale altro motivo dovrebbe farlo? > chiese Lily perplessa.

< Non lo so. Però mi sembra assurdo che il preside gli permetta tutte queste assenze >.

< Si, in effetti anche a me pare strano… > convenne con lei la brunetta, mentre il gatto le sfuggiva dalle mani.

< Vero? > aggiunse l’amica, incoraggiata dall’appoggio dell’altra. < Secondo me c’è un altro motivo. Magari quello malato è lui. E una volta al mese va al San Mungo per farsi curare >.

< Cielo che fantasia che hai, Pauline > rispose Lily ridacchiando delle parole della ragazza.

< Mah, forse ha ragione > fece Mary. < In ogni caso secondo me Remus nasconde qualcosa >.

< Secondo me invece, voi due siete solo paranoiche > chiuse la conversazione Lily, infastidita dal comportamento delle due amiche.

 

 

 

Era difficile anche salire le scale a chiocciola del dormitorio. Si sentiva stanco e affaticato. E brividi di freddo gli correvano per tutto il corpo. L’ultima luna piena l’aveva spossato più del solito.

Finalmente raggiunse la porta della sua camera. Tutto quello che voleva era stendersi tra le coperte del suo comodo letto a baldacchino e dormire fino all’indomani mattina.

< Ehi, Rem! > fu il saluto di James, che se ne stava sbracato sul letto, leggendo una rivista sul Qwidditch. < Che brutta cera! >

< Ciao ragazzi. Scusate ma sono molto stanco > rispose. Notò che le espressioni dei tre erano piuttosto strane. Ma non aveva voglia di pensarci in quel momento. Si avvicinò al letto e prese dal baule il suo pigiama. Non notò l’occhiata di assenso che si scambiarono i tre amici alle sue spalle.

< Senti, Rem, > fece Sirius, < Ma da quant’è che sei un Lupo Mannaro? >

Il pigiama cadde a terra con un tonfo sordo.

Si voltò di scatto. Gli occhi chiari dell’amico lo fissavano con espressione noncurante, come se gli avesse appena chiesto che cosa aveva mangiato per cena.

< Cosa? > chiese Remus con un filo di voce.

< Si, dai, hai capito. Da quant’è che quando c’è la luna piena diventi un cane rabbioso? >

< Cavoli che tatto, Sir > fece James

< Beh, in qualche modo si doveva pur rompere il ghiaccio, no? > fece innocentemente il moro.

< Si, ma ci sono modi e modi >.

< Almeno il mio è stato originale >.

< Ah, non ci sono dubbi, ma- >

< Scusate! > Riuscì ad urlare Remus. Il suo volto ora era ancora più pallido di prima, se possibile. < Ma che cavolo state dicendo! Io non sono mica un- >

< Oh, avanti non dirci cazzate. L’altra notte ti abbiamo seguito, quando sei andato dalla Mc. > lo interruppe James.

< Abbiamo svelato il tuo mistero, caro mio > fece Sirius furbescamente.

< Ma… ma… > Remus boccheggiava. Guardava con occhi smarriti i tre ragazzi. Peter che lo fissava quasi sospettoso, Sirius che non lasciava trapelare alcuna emozione dal suo volto, James che sorrideva beffardo, quasi a prendersi gioco di lui. Si sentiva la testa girare e le ginocchia gli tremavano.

Si accasciò sul letto. Era finita. Oramai sapevano tutto. E ciò significava che la loro amicizia poteva ritenersi conclusa. Non lo avrebbero mai accettato sapendo del suo segreto! E di certo l’avrebbero detto in giro. E in men che non si dica, tutto il castello avrebbe saputo del suo “problemino”! E nessuno avrebbe più voluto rivolgergli la parola. Tutti lo avrebbero evitato. E sarebbero state fatte proteste da parte dei genitori e lo avrebbero cacciato via da Hogwarts! La sua carriera era finita! La sua vita era finita!

Si portò le mani alla testa. Sentiva gli occhi pungergli.

< Rem… > qualcuno si era avvicinato a lui. < Rem, che hai? >

< Secondo voi sta per svenire? >

< Non dire scemenze, Pete >.

Voci indistinte. Parole che raggiungevano le sue orecchie senza essere davvero sentite. Terrore puro che gli scorreva nelle vene, raggiungendo i polmoni che faticavano a respirare. La certezza di aver perso gli unici amici che avesse mai avuto.

< Rem, tranquillo. È tutto a posto. Non lo diremo a nessuno >.

Sollevò gli occhi. Il volto di James era poco distante dal suo. L’espressione più seria che gli avesse mai visto in viso da quando lo conosceva.

< A nessuno? > ripeté le ultime parole senza capire bene.

< Ma certo > intervenne Sirius. Anche lui non sembrava tranquillo come al solito. < Ti pare che andiamo a spifferare una cosa come questa al primo che capita! >

Remus li guardava con occhi smarriti. Non era certo di capire bene quello che gli stavano dicendo.

< Scusa se te lo chiedo, ma perché non ce lo hai mai detto? > chiese James

< Cosa? >

< Si, insomma perché non ci hai mai detto che sei un lupo mannaro. Capisco che deve essere difficile, ma sennò a cosa servono gli amici? >

< Ma, a voi non da fastidio questa cosa? >

< Fastidio? No, ma che dici? > rispose premurosamente Sirius, che si era seduto accanto a lui e gli aveva poggiato una mano sulla spalla. < Siamo solo preoccupati per te >.

< Certo, se eviti di morderci, ci fai un favore > commentò ridacchiando James.

< James! > scattò Peter.

< Scherzo, scherzo > scoppiò a ridere il moro difendendosi.

La notte che Remus aveva sperato di spendere interamente in un riposo ristoratore, vide i quattro amici andare a letto alle prime luci dell’alba, dopo aver chiacchierato per ore e una rapida corsa alla cucina della scuola sotto il mantello che rende invisibili. Ma fu la notte che più di tutte scaldò il cuore di Remus e lo rivestì di un dolce tepore, come una soffice trapunta durante una notte in cui infuria una bufera di neve. Perché fu la notte in cui si rese conto che Sirius, James e Peter erano davvero suoi amici. Fu la notte in cui capì che non era più solo.

Raccontò loro di come tutto era cominciato. Raccontò della rabbia e della paura. E i tre ragazzi lo ascoltarono attentamente, dandogli tutta la loro comprensione.

A volte gli parve di notare una scintilla di timore nei loro occhi sgranati durante il suo racconto. Ma era comprensibile.

James dal prese a fare battute. Disse che ora capiva come mai era sempre così “lunatico”.

Peter lo sommerse di domande.

Ma fu la reazione di Sirius che di più lo colpì. Era premuroso, preoccupato, e lo guardava con occhi partecipi e comprensivi. Era come vedere lo sguardo di un fratello maggiore. Fu la prima volta che vide Sirius come un ragazzo maturo, e non il solito ragazzino incurante di tutto, pronto solo a fare sciocchezze e a organizzare nuove bravate.

 

 


 

Si lo so, è un po’ che non mi faccio viva da queste parti. Chiedo umilmente perdono a tutti/e quelli/e che buttano un occhi su questa storiella. Spero di essere più… presente d’ora in poi.

 

Ringraziamenti:

JDS: grazie del commento. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, e mi raccomando fammi sapere che ne pensi, ci tengo molto. Ciao ciao!!

Jomarch: mi piace la tua teoria, perché in ultima analisi è più o meno la stessa che ho io. Mi fa piacere che ti piacciano i miei malandrini. Dimmi che ne pensi di questo capitolo. Ciao alla prossima (spero)!

Micia_Loves_Draco: ups… non ho aggiornato proprio prestissimo… ma spero che mi perdonerai. Comunque grazie mille per la recensione. Dimmi che te ne pare mi raccomando. Ciao e a presto!

 

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