Nel cuore dell'inverno di theredrobin (/viewuser.php?uid=556855)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sorprese ***
Capitolo 2: *** Quel Che Fa Gelare il Cuore ***
Capitolo 1 *** Sorprese ***
Capitolo I - Sorprese
Quella che segue è
la traduzione di una storia scritta in lingua inglese e pubblicata su
Fanfiction.net da theredrobin.
Potete leggere l'originale,
"In the Depth of Winter", cliccando qui.
Al momento in cui pubblico, la storia originale ha collezionato 185
recensioni, 97 seguaci e 339 preferitori ed io personalmente credo
che meriti il successo ottenuto. Spero che apprezzerete anche voi. Se
sì, all'autrice va ogni plauso, le eventuali critiche invece -
specie se
inerenti allo stile - vanno addebitate alle mie scarse
capacità da
traduttrice.
Note dell'autrice:
non avrei
mai pensato di poter osare scrivere a proposito di questo libro, eppure
eccoci qui. Questa storia si comporrà di quattro capitoli.
Probabilmente un po' fuori stagione, ma quando mai le mie idee sono
state
logiche?
- Capitolo I -
Sorprese
Ci sono tanti generi diversi di sorprese.
Ci sono tipi piacevoli, che ti fanno
arrossire per il
calore e ti lasciano percorrere da un formicolio che nasce dalla punta
delle dita e va dritto fino al cuore. Ci sono quelli che ti lasciano
momentaneamente pietrificato mentre cerchi di realizzare cosa, in nome
del cielo, sia effettivamente avvenuto. Ma ci sono anche quei generi di
sorprese che sono semplicemente le più indesiderate cose al
mondo e si propagano dentro di te in uno shock che è quasi
troppo da tollerare.
Elizabeth era eccitata e nervosa fino
all’impazienza mentre sedeva in biblioteca in attesa di
Darcy, di
fronte a un fuoco scoppiettante.
Questo sarebbe stato il primo inverno
con lui a
Pemberley, e desiderava preparargli qualcosa di speciale.
L’idea
le era sorta circa tre settimane prima, proprio dopo che la prima
spruzzata di neve era scesa a gelar il terreno, ed ella si era
immantinente messa a lavoro per riuscire a realizzare i suoi piani in
tempo. Con somma delizia di Elizabeth, ogni cosa sembrava andare a suo
favore.
Da allora, aveva nevicato due volte,
l’ultima
delle quali era stata solo la sera prima, sicché tutta
Pemberley
era coperta di bianco.
Questo era il giorno in cui avrebbe
finalmente potuto
svelare quel che aveva pianificato per lui. Solo un’ora
prima,
era andata da Darcy, nel suo studio, e lo aveva persuaso ad andare con
lei, avvalendosi di un sorriso civettuolo e la promessa di una
sorpresa. Un ampio sorriso gli aveva piegato le labbra alla vista di
lei, ed egli le aveva promesso di raggiungerla non appena avesse
potuto, visto che affari urgenti non glielo permettevano al momento.
Elizabeth era a questo punto
abbastanza irrequieta
per tutto il tempo che lo sbroglio di questi affari stava richiedendo,
e stava già per alzarsi e andare a chiamarlo, che una mano
le
toccò il braccio. Lei si alzò dal divano e poi
arrangiò il viso ad un insolito cipiglio.
“Davvero,
Fitzwilliam!” disse, una rabbia
simulata nel tono . “Pensavo che non saresti mai
venuto.”
Darcy, comprendendo che la sua
irritazione era
fittizia, decise di stare al gioco. “Elizabeth, non
è con
me che dovresti essere arrabbiata, ma con gli avvocati a Londra. Se
dipendesse da me, preferirei pure vedere la casa di città
distrutta, se significasse venir prima da te.”
Lei rise, ma riassunse in fretta
un’espressione
altezzosa ed irritata per continuare la farsa. “Molto bene.
Ti
perdonerò ad una condizione.”
“Che sarebbe?”
“Per le prossime ore, tu mi
ascolterai totalmente ed obbedirai a qualunque cosa io dica.”
Il sorriso di Darcy sorse allora
ampio e spontaneo,
mentre faceva un cenno d’assenso col capo. Elizabeth,
interrompendo finalmente la messinscena, si alzò sulle punte
per
baciarlo, ed egli rispose nel momento stesso in cui le labbra di lei
toccarono le sue.
Mentre le sue dita affondavano nei
riccioli della
nuca, ella si chiese pigramente perché mai si fosse
disturbata a
cercarsi qualche altra attività quando era perfettamente
contenta di continuare così per tutto il pomeriggio. Prima
che
lui potesse attirarla a sé e distrarla interamente dai suoi
propositi per la mattina, a fatica ella se ne distaccò per
sussurrare, con accenti da cospiratrice: “Va’ a
prendere il
cappotto.”
Ciò detto, si
allontanò di corsa, lasciandosi dietro un Darcy in stato di
leggero stupore.
***
Darcy indugiava di fronte alle porte
d’ingresso aspettando che Elizabeth facesse la sua ricomparsa.
In uno slancio compulsivo, aveva
afferrato anche
sciarpa e cappello quando ero andato a prendere il cappotto, come lei
aveva richiesto, per farsi trovar preparato nel caso qualunque cosa
Elizabeth avesse in mente li costringesse a stare nella fredda aria
invernale per qualche tempo.
Darcy fu felice di averci pensato
perché
quando Elizabeth arrivò infagottata all’ingresso,
vide che
anche lei si era munita di cappello guarnito di pelliccia e
sciarpa… due, in effetti.
Osservò la sciarpa in
più che reggeva
in mano, e lei si accorse di aver catturato la sua attenzione. Sorrise
allora maliziosamente.
“Piegati, Fiztwilliam. Sei
troppo alto perché io riesca altrimenti.”
Cautamente, egli si
abbassò verso di lei. Con
pochi, lesti movimenti, gliel’arrotolò intorno
alla testa,
coprendogli gli occhi. Gli rubò un bacio veloce prima di
dirgli
che poteva rialzarsi.
“Riesci a vedere
qualcosa?” venne la voce di Elizabeth da qualche
parte alla sua sinistra.
“Niente.”
“Perfetto. Resta fermo lì, mi
prenderà solo un momento.”
Sentì i passi di lei
mentre si precipitava
altrove e, dopo un minuto, tornava di nuovo. Poi la sua piccola,
guantata mano s’insinuò dentro la sua ed egli
l’avvolse fra le dita.
Il rumore delle grandi porte di
quercia che si
aprivano cigolando fu accompagnato dallo spiffero gelido che
s’intrufolò attraverso la fessura.
Elizabeth lo stava ora tirando per la
mano, ma si fermò. “Sei abbastanza al caldo
così?”
“Sì.”
“Bene. Non
sbirciare.”
Senz’altro aggiungere, lo
fece uscire tirandoselo dietro, e virò a destra, verso il
bosco.
Stava molto attenta a guidarlo fra
gli alberi e i
banchi di neve. Quasi mai gli esili rami dei cespugli e della bassa
vegetazione gli raschiavano il cappotto, giacché ella
prestava
molta attenzione nell’allontanarli da Darcy perché
non lo
graffiassero. Bendato e guidato da Elizabeth, egli si sentiva sicuro
come se fosse lui stesso a poter vedere e guidare i propri passi.
Avevano vagato a questa lenta ma
costante
velocità per quasi un’ora e mezza quando lei lo
fece
fermare e lasciò la sua mano.
“Puoi guardare
adesso,” disse la sua voce da dietro. “Siamo
arrivati.”
Darcy allentò il nodo che
aveva dietro la testa e si tolse la sciarpa.
Si trovavano nel mezzo di una radura
abbastanza
grande, che gli era particolarmente familiare. Doveva essere alle
estremità dei terreni di Pemberley. Gli alberi che
gli si
accalcavano d’intorno e creavano quasi un sipario di fitta
vegetazione erano vecchi e robusti, ma qui e lì piccoli,
giovani
ramoscelli spuntavano fuori come per reclamare un posto per
sé.
Era un luogo molto silenzioso, ogni suono era attutito dallo strato di
neve che scintillava su ogni cosa e faceva apparire tutto immacolato e
puro. Proprio nel centro della radura c’era una polla
d’acqua, che raggiungeva quasi la Sala da Ballo di Pemberley
per
lunghezza e larghezza, ed era tutta gelata.
Tutto a un tratto Darcy
ricordò.
Sapeva perché quel posto
gli sembrava familiare: c’era già
stato prima, molte volte in effetti. I suoi genitori lo avevano portato
lì per pattinare sul ghiaccio quando era un ragazzo, e
più tardi con loro venne anche Georgiana.
All’epoca, lei
era appena capace di stare in piedi sulle sue paffute, instabili gambe
sul solido terreno, figuriamoci sulla scivolosa superficie di ghiaccio.
Ricordava il giorno in cui Georgiana era sfuggita dalle braccia di loro
madre e aveva spiccato una corsa sul ghiaccio da sola, come per provare
che anche lei poteva farlo, come il resto di loro, solo per poi
scivolare e cadere e sbucciarsi considerevolmente le ginocchia. Non era
stato nulla che una tazza di cioccolata calda, una volta tornati a
casa, non aveva potuto riparare, ma quel giorno, per un’altra
ragione, sarebbe sempre rimasto scolpito nella sua memoria, come un
ricordo dal gusto ad un tempo dolce e amaro. Era stata
l’ultima
volta che la sua famiglia si era ritrovata lì per intero, e
lui
non era più tornato da allora.
Egli si voltò per guardare
Elizabeth.
Lei lo fissò a sua volta
ansiosamente,
studiandolo come se lui fosse disgustato da qualcosa. “Sei
adirato con me? Non intendevo rattristarti.”
Darcy si decise a muoversi e
andò a prenderle
la mano. “Adirato? No. È solo che… come
hai…?”
“La signora
Reynolds,” concluse per lui,
un’espressione imbarazzata sul viso. “Mi
è venuta
l’idea, e lei mi ha raccontato che venivi qui un tempo con
tua
madre e tuo padre e tua sorella. L’ho mandata a Londra per
noi
perché potessimo…” Mostrò
due scatole che
stavano per terra, proprio dietro di lei. Sollevò il
coperchio
di quella più alta e rivelò, nascosto in una
nuvola di
carta velina, quel che sembrava un paio di stivali da equitazione con
lame sottili installate sulle suole.
Egli realizzò che doveva
esser questo quel che lei era andata a prendere dopo averlo bendato a
casa.
Nel frattempo, Elizabeth lo studiava da sotto le sue
ciglia, mentre lui guardava dentro la scatola. “Pensavo che
fosse
un piano meraviglioso all’inizio, ma dopo, ho iniziato a
pensare
che forse non era il luogo ada─ mph!”
Era stata senza tante cerimonie
interrotta quando
Darcy era accorso per baciarla risolutamente sulla bocca,
effettivamente quietando ogni dubbio così come la
necessità di finire la frase.
“Grazie,
Elizabeth,” disse lui, distaccandosi, ma reggendola ancora a
sé.
Gli occhi di lei
sfavillarono quando gli sorrise, rassicurata ed eccitata che lui fosse
felice per il suo regalo.
“Vieni!”
gridò, ruotando poi su se
stessa per liberarsi delle scarpe ed indossare i pattini ed
allacciarseli stretti ai piedi. Quel tono accattivante che lui amava
così tanto sentire rintoccava di nuovo nella voce di lei,
mentre
si faceva strada verso il ghiaccio. “Sei pronto per mostrarmi
come si fa?”
“Sono pronto, dopo anni di
totale mancanza di
pratica, a provare a mantenermi in equilibrio sul ghiaccio solo per
sembrare un infante ai suoi primi passi?” Sorrise.
“Solo se
lo fai anche tu con me.”
La risata di Elizabeth
risuonò come uno
scampanellio, alto e spensierato per tutta la radura, e talmente
contagioso che Darcy vi si unì mentre si piegava per
indossare i
pattini e la raggiungeva sul ghiaccio.
Lei non aveva mai udito lo schiocco
affilato del
ghiaccio che si spezza e, ignara dell’ammonimento, si
ritrovò improvvisamente immersa nelle nere acque ghiacciate
dello stagno.
Ci sono tanti generi diversi di
sorprese.
E nel giro di dieci secondi, Darcy li sperimentò
tutti.
---
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storia è menzionata nelle Community di FFNet "The Best Funny and Romantic
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Capitolo 2 *** Quel Che Fa Gelare il Cuore ***
Capitolo II - Quel che fa gelare il cuore
Note
dell'autrice:
voglio estendere i miei ringraziamenti agli anonimi lettori e
recensori, visto che non posso raggiungervi individualmente. Il fatto
che abbiate speso del tempo per commentare significa davvero molto per
me.
- Capitolo II -
Quel Che Fa
Gelare il Cuore
Elizabeth aprì la bocca per gridare quando il ghiaccio
sottile si frantumò sotto di lei.
Fu un impulso dettato dal panico, un atto istintivo che lei
instantaneamente desiderò di aver saputo trattenere. Sotto
quelle gelide, vorticose acque, infatti, non un suono
affiorò da
lei, ma l'acqua le affluì attraverso le labbra dischiuse,
facendola soffocare e annaspare, mentre scalciava furiosamente per
risalire in superficie. Sentiva così freddo: l'acqua gelata
sembrava persino azzannarle le ossa.
Risalendo alla cieca e maldestramente, avanzò nella
direzione da
cui proveniva la tenue luce che raggiungeva i suoi occhi brucianti.
Sentiva il cuore tambureggiarle violentemente contro il petto.
Allungando le mani oltre il capo, ella si preparò a
richiamare
Darcy e ad afferrare il bordo tagliente dell'apertura.
Una spessa lastra di solido ghiaccio fu tutto ciò che le
punte delle sue dita incontrarono.
Elizabeth grattò il soffitto di ghiaccio in cerca di un
appiglio, cercando disperatamente l'apertura attraverso la quale era
caduta, ma non era lì. Doveva aver nuotato verso una zona
completamente diversa dello stagno.
Era in trappola.
***
Darcy trovò impossibile muoversi.
Poi riacquistò la sua lucidità. Corse sullo
stagno
ghiacciato, incurante dell'infausto muoversi del ghiaccio sotto i suoi
piedi, scivolando pesantemente sulle mani e sulle ginocchia diverse
volte prima di riuscire a raggiungere il buco che si era aperto.
Lei non era lì. Non riusciva a vederla.
"Elizabeth!" gridò contro la ferma superficie dell'acqua.
Poi lo udì, il flebile rumore di graffi proveniente da sotto
il ghiaccio, non lontano.
Sia benedetta quella brillante ragazza! Lo avrebbe guidato da lei, la
sua sveglia e coraggiosa moglie.
Senza perdere tempo per rimettersi in piedi, Darcy strisciò
verso il suono e iniziò a scrostare via la copertura opaca e
superficiale del ghiaccio per guardarvi dentro più
chiaramente.
Il suo respiro affannato veniva fuori in corti ansimi che restavano
aggrappati all'aria come piccoli, velati sbuffi. L'avrebbe trovata,
l'avrebbe trovata.
Il rumore dello sfregamento cessò.
***
Elizabeth
andava languidamente alla deriva nella correte dell'acqua.
Si sentiva stanca, così stanca, e semplicemente non riusciva
a
tornare indietro. I polmoni le bruciavano tremendamente adesso, e
là dove il suo cuore sembrava prima esibirsi in un'ouverture
da
opera lirica italiana, era andato via via rallentando in una specie di
pigro valzer. Presto, il suo istinto di autoconservazione avrebbe
scavalcato i pensieri razionali e le avrebbe fatto aprire la bocca,
indifferente al fatto che sarebbe stata l'acqua, e non l'aria, a
riempirla.
Stava diventando sempre più difficle muovere le braccia e le
gambe, mentre il freddo penetrava a fondo nei muscoli, irrigidendole il
corpo. Il suo vestito e la sua sottogonna, assolutamente fradigi, si
stavano trasformando in sacchi di sabbia e la stavano lentamente
trascinando verso il fondo dello stagno.
"Elizabeth!"
La voce di Darcy la raggiunse, soffocata e distorta. La stava chiamando
e lei desiderava rispondergli, ma non ne era capace.
"Elizabeth!"
Si sforzò di aprire gli occhi. Poteva fare
qualcosa; doveva
fare qualcosa.
Lentamente, dolorosamente, Elizabeth scalciò e
nuotò e
usò ogni briciolo di forza che le era rimasta per risalire
verso
il ghiaccio, nel tentativo di raggiungere quella sagoma diafana che lo
macchiava, sperando che fosse Darcy. Lo sforzo la prosciugò,
ma
riuscì ad allungare i suoi pugni contro la cappa della sua
prigione di ghiaccio un'ultima volta prima che tutto si facesse buio.
***
No,
no, no, non si è fermata,
pensò selvaggiamente Darcy mentre continuava a stare su mani
e ginocchia in cerca di un segno di lei. Non
si è arresa, sono io che non riesco a sentirla. Non osare
rinunciare a me, Elizabeth.
Il
lieve tonfo
che venne da qualche parte a sinistra sotto di lui gli fece saltare il
cuore in gola. Usò tutto il braccio per raschiare la
superficie
del pezzo di ghiaccio che gli stava sotto e pigiò il viso
per
guardarvi attraverso.
Un
bagliore rosso.
I suoi
guanti erano rossi.
Strofinò
e
picchiò implacabilmente contro il ghiaccio perché
si
rompesse. Doveva essere già più sottile in quel
punto
perché alla fine proruppe in un tintinnio di frantumi quando
il
suo pugno vi si abbattè di nuovo.
Senza
esitare un
secondo, immerse tutto il braccio sino alla spalla nell'acqua e lo
dibattè per trovarla. Il freddo pungente gli
provocò una
scossa lungo tutto il corpo, rendendo Darcy ancora
più
frenetico: Elizabeth era rimasta lì totalmente immersa per
quasi
un minuto.
Finalmente,
riuscì a toccare qualcosa di soffice e, sperando
nell'impossibile, sperando che fosse lei, l'agguantò
saldamente
mentre la voltava verso di sé. Era
stata la sua stola che era riuscito ad afferrare, e issando,
tirò fuori Elizabeth dall'acqua per stringerla a
sé. Con
lei al sicuro fra le sue braccia, riuscì a rotolare sulla
via
per la terraferma.
Darcy si fermò bruscamente con Elizabeth sotto di
sé. Il
suo viso, adagiato mollemente su un lato, era mortalmente pallido e si
accordava quasi alla neve che la incorniciava, ad eccezione della
tonalità bluastra che le tingeva le labbra, immobili. Aveva
perso il suo cappello, e i suoi capelli avevano già iniziato
a
gelarsi nell'aria, mentre si alzava il vento inclemente e fischiava fra
gli alberi.
"Elizabeth, sei in salvo adesso. Stai bene. Ti prego. Ti prego,
svegliati," la supplicò rocamente, ghermendole il mento per
voltarla verso di sé. Ma lei era ben lontana dal
lì.
Il vento penetrante frustava l'aria d'intorno, se possibile rubando
ancor di più il colore dalle spoglie gote di lei, mentre
accendeva e infiammava quelle di lui. Lei non tremava come faceva lui,
e ciò lo terrorizzò. Mordendosi l'indice del
guanto e
tirandoselo via con i denti, Darcy accostò una tremante mano
scoperta alla sua bocca, per sentirne il respiro. Ma quel dannato vento
si stava prendendo gioco di lui adesso, facendolo follemente dubitare
se fosse il suo gelo tagliente a sollerticargli il palmo, o il respiro
di lei. Tastandole il polso, cercò di avvertirne il battito.
Fissò il viso di Elizabeth mentre attendeva di captare un
palpito contro il proprio pollice. Non dovrebbe volerci tutto questo
tempo... non dovrebbe volerci... non... non era che fiacco, e
terribilmente debole, ma eccolo! Darcy quasi pianse di gratitudine.
Doveva riportarla a Pemberley.
Togliendosi il cappotto, vi avvolse delicatamente Elizabeth e la prese
cautamente fra le braccia, ricordando di aver sentito una volta che non
vanno urtate le vittime dell'ipotermia. Vide che le punte delle sue
orecchie avevano la stessa sfumatura blu delle labbra. Si tolse la
sciarpa dal collo e le fasciò il capo.
Darcy si lanciò in una corsa.
Quegli stessi rami che Elizabeth aveva prima agilmente schivato, egli
li travolse temerariamente, mentre i loro spuntoni pungolanti e
ricoperti di ghiaccio gli graffiavano il viso. Il modo in cui la
portava gli permetteva di proteggere Elizabeth dai colpi, il suo viso
contro il proprio petto e il resto del suo corpo avvolto nel cappotto.
Il silenzio fornito dalla neve che solo qualche minuto prima era
apparso come magico si era adesso tramutato in qualcosa di sinistro,
facendo sentire Darcy stranamente isolato e spandendo in lui il panico
per quanto distanti si fossero spinti dalla casa. La slavata, fugace
luce del sole invernale stava già iniziando a dissolversi
mentre
i suoi passi pesanti riecheggiavano fra gli alberi, calpestando la neve
indurita e il ghiaccio sul terreno, e lui non rallentò mai,
nemmeno una volta.
Dopo quella che sembrò un'eternità, scorse i
tremolanti
bagliori delle torce ammiccargli da una certa distanza al di
là
degli alberi. Una fitta al fianco gli provocò un dolore
sordo
quando scattò per il sentiero lungo il ruscello che scorreva
davanti a Pemberley. Darcy barcollò sugli ultimi gradini che
conducevano ai portoni di quercia, usando il proprio peso per spingerli
e farli aprire con uno schianto.
"Aiuto! In nome di Dio, aiuto!"
Istantaneamente, in casa regnò il tumulto.
Grida confuse risuonarono attraverso i corridoi, e rimbombò
il
fragoroso avvicinarsi di passi di corsa mentre i servi balzarono in
azione ai richiami del loro padrone. Si riversarono nel salone
d'ingresso, affollandosi intorno per veder cosa fosse accaduto. Quando
videro la moglie di Darcy abbandonata priva di sensi fra le sue
braccia, con l'acqua che gocciolava sul tappeto dai capelli e dai
vestiti, metà delle donne si portò la mano alla
bocca ed
emise un suono strozzato.
***
La signora Reynolds si affaccendò per fendere la
folla, e nel
momento stesso in cui vide in che stato fossero il padrone e la
padrona, assunse immediatamente il controllo della situazione.
"Dov'è James?" chiese in tono autoritario mentre i suoi
occhi già si volgevano per cogliere l'immagine del paggio.
Un giovanotto con chiari capelli rossi si strizzò fra il
giardiniere e un servitore per raggiungerla.
"Sella il cavallo più veloce - converrà che sia
Aeolus -
e cavalca fino al villaggio per andare a prendere il Dottor Neil. Sii
lesto, ragazzo! Adesso vai, va', va'!
James
schizzò via in direzione delle stalle.
"Per
il resto di voi: uomini, andate ad accendere il fuoco in ogni
stanza della casa, e se non c'è abbastanza legna,
raccoglietene
dell'altra per sostenerci durante la notte. Donne, voglio che vi
assicuriate che ogni porta e finestra sia ben chiusa e rastrellate
coperte, asciugamani, qualsiasi cosa che sia calda ─ eccetto
te, Lily," aggiunse a voce più bassa, trattenendo la dama di
compagnia di Elizabeth, ponendole una mano sul braccio mentre
l'assemblea
si disperdeva disorditnatamente. "Avrò bisogno del tuo aiuto
per
prendermi cura della signora Darcy."
La governante si volse per guardare Darcy direttamente per la prima
volta mentre gli altri correvano via per occuparsi di ciò
che
era stato chiesto loro. Egli era rimasto lì, in piedi,
stringendo Elizabeth in una sorta di torbida trance mentre lei aveva
dato ordini al personale.
"Signor Darcy," gli parlò gentilmente, "se poteste portarla
di
sopra, in camera vostra, cosicchè possiamo liberarla da quei
vestiti bagnati."
Gli occhi di Darcy sembrarono persi quando incontrò il suo
sguardo, ma sembrarono anche, per un momento, immensamente grati, prima
che rinsaldasse la stretta su Elizabeth e iniziasse a salire le
scale due gradini alla volta.
"Annette!" la signora Reynolds rivolse un affilato sibilo ad
una
delle donne di servizio che aveva iniziato a mugugnare rumorosamente
non appena Darcy aveva rivolto loro la schiena. "Sospendi all'istante
quel pigolio o, lo giuro, ti manderò a lavorare nelle cucine
per
il resto della settimana."
Quella era l'ultima cosa che Darcy aveva bisogno di vedere.
Lei si girò sui tacchi per salire le scale dietro di lui,
Lily nella sua scia.
***
Darcy diede un calcio alla porta
della camera da letto per aprirla e la
attraversò fino al letto. Dolcemente, ripose Elizabeth sulla
trapunta di merletto, le tolse il proprio cappotto e la propria
sciarpa, e la preparò alla rimozione dei suoi vestiti zuppi.
Lei
non si era mossa da quando l'aveva tirata fuori dallo stagno e il suo
viso mostrava ancora quell'incarnato privo di colore, eccetto che per
le labbra blu.
Le sue dita ebbero un tremito incontrollato mentre la liberava della
stola, della sciarpa e dei guanti, e ancora di più quando le
sollevò la schiena per farle scivolare il vestito. La sua
testa
ricadde senza vita contro il suo petto prima che lui potesse reggerla.
Il suo respiro già ansimante si mozzò; la guancia
di
Elizabeth era di ghiaccio, lo sentì persino attraverso il
tessuto della propria camicia.
Nel momento in cui iniziò a tirare i lacci del suo corsetto
per
sfilarlo, la signora Reynolds entrò nella stanza. Lily stava
proprio dietro di lei e si fece color cremisi quando vide
Darcy
piegarsi su un'Elizabeth svestita, ma lui non vi prestò un
briciolo d'attenzione.
"D'ora in poi possiamo continuare noi, signor Darcy," gli disse la
signora Reynolds, guidandolo verso la porta. "Dovreste aver cura di
voi, signore, prima che vi prendiate un raffreddore mor-" in un
balbettio si fermò, riuscendo a frenarsi prima di farsi
scappare
la parola. Cercò di escogitare maldestramente qualcosa per
coprire il proprio errore. "Il Dottor Neil dovrebbe essere qui a
momenti, e voi vorrete certo prepararvi a riceverlo."
Egli assentì silenziosamente, a stento cosciente di quello a
cui stava acconsentendo.
Rivolgendole uno sguardo prima che la porta si fosse chiusa fra di
loro, Darcy avvertì una stretta al petto alla vista della
sua
indipendente, forte Elizabeth distesa, priva di sensi e vulnerabile,
sul letto.
___
Note di
chiusura dell'autrice: perché
ho come la sensazione che mi prenderete a mazzate per il modo in cui
torturo questi due?
Note della traduttrice:
le
descrizioni di questa storia sono, lo avrete notato, molto
particolareggiate, talvolta persino troppo, con una concentrazione di
termini dal significato puntuale e intenso, ed è stato
difficle
renderle in un italiano che allo stesso tempo fosse fluido e
restituisse la stessa profondità di significato
dell'originale.
Spero di esserci riuscita.
Nel testo originale, la parola che la signora Reynolds riesce
all'ultimo istante a trattenere è death,
morte. Questo perché in inglese si usa l'espressione "you'll
catch your death of cold", letteralmente "ti beccherai la tua morte di
raffreddore", nel senso di "ti beccherai un raffreddore pazzesco" o "ti
ammalerai gravemente". Nella versione di cui sopra, lei si ferma prima
di dire raffreddore
mortale, essendo un'espressione indelicata viste le
condizioni di Elizabeth.
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