Don't Blink.

di dreamlikeview
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte. ***
Capitolo 2: *** Seconda parte. ***
Capitolo 3: *** Terza parte. ***
Capitolo 4: *** Quarta parte. ***
Capitolo 5: *** Quinta parte. ***
Capitolo 6: *** Sesta parte. ***



Capitolo 1
*** Prima parte. ***


Desclaimer: Nessuno dei personaggi citati mi appartiene, purtroppo. Non intendo offendere nessuno - come potrei, io li adoro tutti - e tutto ciò che ho scritto è stato fatto solo per il mio puro diletto, senza alcuno scopo di lucro, lo giuro, non guadagno nulla da questo. 
 
Credits: Alla mia Lu (che deve uscire dal mio cervello, a cui dedico tutti i pezzi Johnlock, perché mi ha contagiato lei con quella maledettissima serie tv) per il banner. Ma quanto è figo il Weeping Angel?
 
Avviso: Contiene fangirling.
Avviso2: Tutti i personaggi sono OOC, anche se ho cercato di rimanere quanto più IC ho potuto, spero di non aver cannato nulla. Ovviamente molte delle cose che dirò sono prese dalle varie serie, ma non tutto. Alcune cose, e teorie le ho inventate di sana pianta.

 
 
N.d.a è la prima storia che pubblico in questo fandom, spero che il tutto sia di gradimento di chi legge.
Ci 'vediamo' sotto per altri... diciamo, dettagli.
 
Allons-y!
P.s, giusto per restare in tema di DW, se cliccate sul Banner, vi porta ad un link di yt, con l'intro della serie tv. 



 
Era una giornata apparentemente normale.
Nessuno avrebbe mai immaginato cosa il destino avesse in mente per quindici persone, collegate in qualche modo dalla stessa cosa. Una cosa era certa, da quel giorno, niente sarebbe stato più lo stesso. Tutto sarebbe cambiato, mutato, lasciando spazio alla fantasia, all’assurdo, all’impossibile.
 
Londra, Inghilterra, ore 18.00
 
Il Dottore, così si faceva chiamare, era un uomo, o meglio un Time Lord, l’ultimo dei Signori del Tempo, caratterizzato da una chioma nera e dagli occhi scurissimi, era appena tornato dall’ennesimo viaggio con la sua ‘companion’, Donna Noble, la quale aveva chiesto lui di trascorrere qualche giorno con la sua famiglia. Dopo l’ultima avventura, quando avevano rischiato di essere uccisi dalle ‘ombre assassine’ - Vashta Nerada -  e di rimanere bloccati in una dimensione cerebrale, aveva bisogno di riposo. Il Dottore aveva acconsentito, dicendole che sarebbe andato a prenderla dopo qualche giorno. Si erano salutati con questa promessa in un parchetto, dove il TARDIS era atterrato, e il Dottore aveva preso la decisione di fermarsi per un po’ a Londra, prima di ripartire con il suo TARDIS.
Aveva lasciato da poco la cabina blu al parco, e passeggiava tranquillo per la città, quando si sentì chiamare da qualcuno. Chi poteva essere? Nessuno sapeva chi fosse, a meno che non l’avesse già incontrato, il suo pensiero andò prima a Rose, ma era impossibile fosse lei, era bloccata in quell’universo parallelo sigillato da lui stesso tempo prima. Magari era Martha, ma quella non era la sua voce, e non era nemmeno la voce di Donna.
Per la prima volta nella sua vita il Dottore non sapeva darsi una spiegazione.
C’era qualcuno che lo chiamava, ma lui non aveva idea di chi fosse.
Non fece in tempo a girarsi, perché ‘il qualcuno’ che l’aveva chiamato, gli stava tirando il braccio. Non era un tocco violento, era un tocco delicato, da ragazza. Chi l’aveva toccato non poteva avere più di diciotto anni, ne era sicuro, non rappresentava un pericolo, per questo si girò. I suoi occhi scuri intercettarono immediatamente una chioma biondastra, l’altezza della persona davanti a lui non era granché, gli arrivava più o meno sotto la spalla, e dovette abbassare la testa prima di incontrare un paio di occhioni azzurri che gli sorridevano felici.
“E tu chi sei?” – chiese immediatamente, guardando quella che sembrava essere una ragazza.
“Oh mio dio! Tu sei il Dottore!” – quello era decisamente un urlo – “sei tu! Oh mio dio, ti ho trovato!” – esclamò felice, quasi senza rendersi conto di chi avesse davanti. La sua espressione era del tipo ‘sogno o son desta?’
“Sono io… ma chi diavolo sei tu?” – chiese il Dottore, senza ancora capire cosa stesse accadendo in quel momento.
“Io? Sono una tua ammiratrice, so tutto di te!” – esultò alzando le braccia al cielo, guardando poi alle sue spalle – “dov’è Donna?” – chiese con i cosiddetti ‘occhi a cuoricino’, guardandosi intorno.
“Chi sei? Come fai a sapere di Donna?” – domandò ancora. Non si spiegava come fosse possibile un avvenimento simile.
“So tutto di te, te l’ho detto!” – esclamò ancora – “l’età si fa sentire, vero?”
“Cosa?” – non riusciva ancora a credere a ciò che stava accadendo – “cosa?!”
Non poteva davvero conoscere Donna, Rose e Martha, era impossibile.
“Sei un Time Lord, l’ultimo, hai novecentoquattro anni, vieni dal pianeta Gallifrey, nella costellazione di Kasterborous, viaggi con il TARDIS, Time And Relative Dimension In Space, hai salvato la Terra infinite volte, sei la decima rigenerazione di te stesso, e adori dire ‘allons-y’ prima di partire, solitamente.” – la ragazzina sorrise guardandolo, mentre il Dottore non si spiegava come un’umana così piccola potesse conoscere tutte quelle cose di lui. Era impossibile, a meno che non avesse viaggiato con lui.
“E cosa mi dici di Jack Harkness?” – alzò un sopracciglio guardandola interrogativo, cercando di metterla in difficoltà.
“Ha viaggiato con te, ti ha aiutato quanto il  Master voleva prendere il tuo posto, non può morire, e si dice che sia la leggendaria ‘Faccia di Boe’, inoltre dirige il Torchwood.” – rispose sicura, guardandolo con sfida, decisamente divertita.
“Non ci credo. Coordinate galattiche di Gallifrey.” – quella non poteva conoscerla. Era impossibile che la sapesse.
“Coordinate galattiche dieci-zero-undici-zero-zero per zero-due dal punto origine della galassia”
“Sontaran?” – insisté guardandola. Doveva esserci qualcosa di lui che non conosceva, tuttavia iniziava ad incuriosirsi.
“Non credi che somiglino a delle enormi patate?” – ridacchiò guardandolo – “volevano la terra per clonare se stessi negli umani, per creare altri di loro, e usarli per la guerra.” – spiegò annuendo a se stessa.
Era felice di sapere che fosse riuscita ad attirare la sua attenzione.
“Daleks?” – era una domanda stupida, ma volle provarci comunque. Non aveva nulla da perdere in fondo, anzi era divertente scoprire che ci fosse qualcuno che sapesse tutte quelle cose di lui.
“Tuoi nemici giurati. Non posso dirti ciò che faranno in futuro.” – rispose la ragazza sorridendo. Ormai era convinta che lui non potesse più dubitare di lei.
“Perché, lo sai?” – chiese incuriosito, ignaro di ciò che sarebbe davvero accaduto, i Daleks erano stati eliminati, rinchiusi nel nulla.
“Spoiler!”- esclamò divertita, guardando tutte le reazioni del Time Lord, che era un misto tra divertito e sconvolto, inoltre era esterrefatto. Non poteva credere alle sue orecchie, quella ragazza era qualcosa di simile ad un genio, conosceva troppe cose di lui, ed era preoccupante. Come poteva sapere anche le coordinate galattiche del suo pianeta, e sapere cosa avrebbero fatto i Daleks in futuro? Era poco più che una ragazzina, era bassina, e non era poi così grande, ed era… emozionata poteva percepirlo dal battito frenetiche che sentiva provenire dal suo cuore, e dal fremito delle mani, che energicamente si sfregavano tra di loro, era evidente che fosse nervosa.
“Quindi, tu saresti?” – chiese addolcito, vedendola in difficoltà, probabilmente per essersi esposta troppo.
“C-Charlotte Ellis” – sorrise imbarazzata, sembrava che lo sguardo del Dottore l’avesse intimidita, facendole perdere tutta la spavalderia mostrata poco prima fosse svanita nel nulla.
“E dimmi Charlotte Ellis, come fai a sapere tutte queste cose di me?”
“Ti ammiro tantissimo.” – sorrise ancora imbarazzata, con un’altra luce negli occhi, con la luce di chi davvero ammirava qualcuno, lo sguardo fiero e ammaliatore della ragazza lasciava il Dottore quasi affascinato – “ho fatto ricerche, ho investigato un po’, e… diciamo che ho scoperto tante cose su di te. Ah, so che hai salvato la terra, lo scorso natale, la nave spaziale che stava per schiantarsi al suolo…”
“Ma come…?” – chiese ancora. Non si spiegava come una cosa del genere fosse possibile. Esistevano degli umani così intelligenti da capire, dedurre e indagare su tutta la vita del Dottore? Era inquietante, ma allo stesso tempo fantastica. – “è grandioso!” – esclamò prima che lei riuscisse a rispondere – “e cosa mi dici della biblioteca?”
“Quella infestata dai Vashta Nerada?”
“Oh cielo, conosci anche loro?”
“Le ombre assassine, certo!” – esclamò, felice che il Dottore non sembrasse più terrorizzato dalla mole di cose da lei conosciute, ma che invece ne fosse quasi contento – “siete appena tornati, no? Hai lasciato il TARDIS qui da qualche parte…”  - fece guardandosi intorno.
“Beh sì, l’ho lasciato in un parco qualche metro più in là.” – confermò il Dottore, apparendo pensieroso, per poi distendersi in un sorriso dolce e rassicurante – “ti andrebbe di vederlo?”
“I-Il tu-tuo T-TARDIS?” – chiese stupefatta.
“Sì, dai. Immagino che vorrai vederlo, sapendo tutte queste cose su di me.”
“Beh, sarebbe…” – si morse le labbra sorridendo, felice come non mai – “Fantastico!”
Il Dottore si lasciò andare in una risata divertita, e coinvolse anche la ragazza. Era così strano incontrare qualcuno che non si meravigliasse di com’era, che anzi, sapeva tutte quelle cose, e non era spaventata da ciò che sarebbe accaduto, anzi sembrava quasi eccitata per ciò che stava per mostrarle.
Com’era solito fare con le sue companions, le afferrò la mano e: “Corri!” – rise.
Lui era l’uomo che continuava a correre. Charlotte non se lo fece ripetere due volte, e lo seguì nella direzione indicatale correndo. Era emozionata, stava per vedere il TARDIS, la famosa macchina del tempo del Dottore, quella capace di portare avanti, indietro nel tempo, su altri pianeti, in altre galassie. Vedere quella era un sogno per chiunque, e lei stava per realizzarlo. Magari almeno per un giorno avrebbe detto addio alla sua noiosa vita, per un giorno avrebbe dimenticato i suoi incubi, e avrebbe vissuto qualcosa di diverso, e… forse avrebbe avuto una storia da scrivere. Magari, poi avrebbe chiesto al Dottore di poterla scrivere, non capitava tutti i giorni di andare a spasso con una delle persone più stimate e addirittura essere invitata ad entrare nel famoso TARDIS.
“E’ vero che apri il TARDIS schioccando le dita?”
“Certo che è vero! Anche se l’ho scoperto da poco.”
“Lo so, è stata River Song a dirtelo, vero?”
“Come fai a saperlo? Mi hai messo dei microchip addosso?”
“Ma no!” – rise – “non sono nemmeno un agente segreto, o del Torchwood, suvvia, Dottore!” – lo spintonò per una spalla, mentre correvano, e rise. Non si sentiva così allegra da tanto, troppo tempo, e per un giorno finalmente era felice, lo era davvero. Anche il Dottore la seguì nella risata, e una volta arrivati davanti ad una grande cabina blu, la ragazza rimase immobile, in silenzio.
Trattenne il fiato per lunghissimi istanti, quasi in contemplazione di quella meraviglia che aveva davanti.
Si udì uno schiocco di dita, poi la porta del TARDIS si aprì, e il Dottore la precedette, facendole strada, non appena fu dentro si guardò intorno estasiata. All’interno era più grande dell’esterno, il marroncino delle pareti risultava quasi arancione,  il cuore della macchina era azzurro e pompava sempre. I comandi poi erano fantastici, c’erano pannelli ovunque, era un sogno che diventava  realtà.
“E’ più grande all’interno, davvero! Oh mio dio, non ci credo!” – camminò per tutto il perimetro della macchina, guardando ogni dettaglio estasiata ed esaltata – “oh cielo, è tutto… tutto perfetto. E’ meraviglioso.” – il sorriso sul suo viso era la cosa più sincera che il Dottore avesse mai visto, non poteva credere di aver reso felice qualcuno in quel modo, era pazzesco – “grazie, grazie!” – prese la rincorsa e saltò letteralmente al collo del Time Lord, che preso alla sprovvista quasi non cadde, ma riuscì comunque a sostenerla ed abbracciarla.
“Ehi, figurati. Se ti rende così felice, è un piacere.” – sorrise teneramente guardandola. Era decisamente troppo piccola per conoscerlo così tanto. Non appena si rese conto di ciò che aveva fatto, Charlotte scese dalle braccia del Dottore e si guardò in giro imbarazzata. Mise una mano tra i capelli e cercò con essi di nascondere l’imbarazzo crescente dentro di lei, e soprattutto il rossore sulle sue guance. L’euforia del momento aveva messo da parte la sua enorme timidezza, ma l’attimo dopo questa aveva fatto capolino, lasciandola in uno stato di imbarazzo cronico.
“Io, ehm… grazie, ma devo…” – balbettò troppo intimidita dalla situazione, cercando di coprirsi il viso con i capelli, indicò la porta e fece per andare incontro ad essa. Primo giorno di vacanze, primo giorno in cui incontrava praticamente il suo ‘idolo’ e aveva appena fatto una figuraccia con lui. La mia solita sfiga, porca puttana.
Era quasi arrivata alla porta del TARDIS, ormai era arrossita all’inverosimile e i capelli non bastavano per contenere il rossore delle sue gote. Il Dottore era divertito e intenerito nello stesso tempo, non gli era mai capitato di incontrare qualcuno di tanto timido, ma anche tanto preparato, o spavaldo in alcuni momenti. Quella Charlotte era imprevedibile, un po’ come lui. Non poteva lasciarsi scappare quell’occasione, e magari quel periodo senza Donna sarebbe stato interessante. In fondo, cosa aveva da perdere?
Avrebbe continuato a viaggiare, cosa che faceva, e le cose nuove non lo spaventavano, anzi, lo incuriosivano ancor di più, per questo la raggiunse, e la fermò per un braccio. Lei rimase ferma, di spalle, tentando ancora di coprirsi il viso e di scappare, letteralmente, da quella situazione troppo imbarazzante per lei, doveva andare via, doveva sparire, magari il TARDIS aveva una levetta che permetteva alla terra di inghiottirla, o di perderla per lo spazio, l’importante era fuggire da quell’imbarazzo.
Che avrebbe pensato il Dottore di lei? Sicuramente che era un’impertinente, che si era lasciata andare, che non doveva farlo, perché insomma, poteva toccare lei, comune mortale, un Time Lord?
Si morse le labbra, attendendo le parole cattive che di sicuro il Dottore le avrebbe rivolto, in fondo, era abituata a sentirsele dire, non c’era niente di differente da una sua giornata tipo: faceva una brutta figura, veniva insultata con i peggiori appellativi, e poi lasciata sola nella vergogna e nell’umiliazione. Avrebbe fatto più male da parte del Dottore, ma non poteva avere tutto dalla vita, aveva già visto il TARDIS, era qualcosa di eccezionale.
“I-Io…” – sussurrò, pronta a giustificare il suo pessimo atteggiamento, pronta a tutto pur di non sentire quelle parole d’umiliazione da parte sua, del Dottore.
Strinse gli occhi, era troppo tardi per rimediare aveva fatto l’errore, ora ne pagava le conseguenze amaramente. Doveva solo essere forte come sempre e tutto sarebbe andato bene, ma…
“Ti va un viaggio con me?”
 
221B Baker Street, Londra, Inghilterra, ore 20.30
 
Il “Consulting detective”, Sherlock Holmes, uomo alto, dai capelli scuri, leggermente mossi, gli occhi chiarissimi, e il viso sempre serio, camminava incessantemente per la stanza. Era annoiato, non c’erano casi che gli interessavano minimamente, e quell’incompetente di Jim Moriarty, era come svanito nel nulla. Si sentiva solo, annoiato e non voleva far altro che risolvere qualche caso, Lestrade non l’aveva chiamato per nessun consulto e lui era nella noia più totale. Persino John non c’era. Era uscito con una ragazza del tutto insignificante, perché poi doveva sempre uscire con qualcuna? Non poteva rimanere a casa ed aiutarlo a combattere la noia?
Nemmeno Mrs Hudson era d’aiuto, se ne stava sempre a preparare del tè e a fare pulizie. Che senso avevano le pulizie? Nessuno, non servivano a sviluppare l’intelletto di qualcuno.
Sbuffò per l’ennesima volta, e lanciò un coltellino nel muro di fronte a sé, in qualche modo doveva raggirare la noia, e quello era un metodo ottimo. Si crogiolò nella noia, fino a che uno squillo di telefono non lo fece sollevare, e correre a rispondere. Poteva essere Lestrade, o Moriarty che finalmente lo contattava, o John che aveva trovato qualcosa di più intelligente da fare che uscire con qualche sempliciotta conosciuta in giro per Londra.
Ma la delusione colse i suoi occhi, quando riconobbe la voce dall’altro capo del telefono: suo fratello, Mycroft.
“Cosa vuoi, Mycroft?” – chiese sprezzante al fratello.
“Sempre così gentile, vero fratellino?” – lo ribeccò il maggiore, con una punta di acidità nella voce.
“Vieni al sodo, ciò che mi proponi è sempre noioso, e voglio dirti di no.”
“Sparizioni misteriose per tutta Londra. Non sono stati trovati né corpi, né armi del delitto, è abbastanza interessante per te?” – chiese, facendo la sua proposta al fratello. Il detective non lo vide incrociare le dita sotto la sua scrivania.
Sherlock parve pensieroso. Certo, era intrigante, ed era una cosa che solo un cervello sviluppato come il suo poteva risolvere. Non era niente male, ma era un favore da fare a Mycroft, e lui non voleva fare favori al fratello.
Però forse… per quella volta… non si doveva risalire solo all’assassino, ma anche all’arma del delitto, e al ritrovamento dei corpi. Contorto, certo, ma affascinante. – “Sherlock, allora?” – era necessario che lui indagasse, era l’unico in grado di risolvere quel mistero.
“Sta’ zitto, sto pensando.” – sputò acidamente, zittendo il fratello, dall’altro lato del telefono sbuffò, e Sherlock continuò a riflettere. Una cosa del genere era un’impresa epica, magari anche se si trattava di suo fratello poteva farcela, era Sherlock Holmes, lui risolveva i casi in un battito di ciglia. Non poteva di certo tirarsi indietro, oh no. Non era da lui un comportamento così riprovevole, ma non era da lui nemmeno accettare un lavoro da parte di Mycroft, ma la noia era tanta, e John… dove diavolo è John?!
“D’accordo, accetto. Dimmi il luogo delle sparizioni.”
“Accanto all’Hyde Park, nei Kensington Gardens” – rispose prontamente Mycroft contento che suo fratello avesse accettato quel caso.
“Okay.” – fu l’ultima risposta dell’investigatore, prima di chiudere la telefonata, e inviare immediatamente al suo blogger, John Watson, un messaggio dicendogli di vedersi il più presto possibile – dopo pochi minuti – al parco per un nuovo caso. Finalmente, la noia era passata, lasciando spazio al brivido dell’indagine, e alla sua intelligenza, ovviamente. Afferrò il suo cappotto nero, indossò la sciarpa e chiamò un taxi uscendo di casa. Dopo mezz’ora, il Consulting detective arrivò al luogo indicatogli, intercettò i capelli biondi, un po’ più scuri del normale, di John, e senza preavvisi gli si avvicinò cogliendolo di sorpresa, un po’ doveva fargliela pagare per averlo lasciato solo nella noia, no?
“Sherlock!” – fece il dottore portandosi una mano al petto, dopo che il più alto ebbe fatto prendere lui un ‘colpo al cuore’. –“non sei divertente, allora, cosa c’è di nuovo?”
“Persone scomparse misteriosamente qui. Nessun corpo, nessun’arma, nessun assassino. Non senti il brivido dell’indagine?”
“Personalmente, sento solo i brividi per come sei arrivato tu, stai bene?” – rispose prontamente l’ex soldato, guardandolo torvo. L’aveva fatto arrivare fino a lì, e non c’era nemmeno un corpo da analizzare? Sherlock alzò gli occhi al cielo, quasi stizzito. Perché doveva aver a che fare con un uomo il cui intelletto era così basso rispetto al suo?
“Dev’essere rilassante e noioso trovarsi nel tuo cervello.” – scosse la testa – “allora, vedi qui ci sono delle impronte, probabilmente delle vittime, visto che non ce ne sono altre vicine, mi segui?” – aveva già trovato un indizio, com’era possibile? John non riusciva mai a spiegarselo, era semplicemente Sherlock.
“Sì, allora?” – lo assecondò il medico, cercando di capire anche lui quella situazione scomoda per tutti.
“Quindi una delle vittime non si è spostata da qui” – indicò le impronte quasi impercettibili, coperte da terra e fango – “ma non ci sono nemmeno le impronte dell’assassino, né di un corpo spostato.” – si portò una mano al mento, pensieroso. C’era sicuramente qualche dettaglio che gli sfuggiva, ma cosa?
Si trovavano nei Kensington Gardens, vicino Hyde Park. Cosa poteva esserci? A parte la stupidissima – per Sherlock – statua di Peter Pan non c’era nulla, assolutamente nulla, a parte quella nuova statua a forma di angelo.
Cos’avevano cambiato in quella parte del parco?
Perché ora c’era quella statua? Non che fosse un problema, ovvio, era solo una statua, non poteva far del male a nessuno. Un fruscio alle loro spalle, ma nessuno dei due lo udì.
“Magari sono solo scappati di casa, saranno stati ragazzini.” – tentò John, vedendo l’amico in difficoltà, ogni tanto cercava di rendersi utile nelle indagini, non era così sciocco come sosteneva Sherlock.
“No, non sono scappati, non si sono mossi di qui.” – lo contraddisse il detective, scuotendo la testa - “e poi, sono impronte grandi, sarà circa un quarantacinque, altezza media, uomo grassoccio, non oltre i trent’anni. Non è un ragazzino.” – spiegò all’altro, che sembrava sempre più confuso. Non si abituava mai al suo modo di fare.
“Ma come…?” – provò a chiedere John, ovviamente ignorato dall’altro.
“Shh, l’ho dedotto, ovviamente.” – individuò altre impronte – “bambina, venticinque di piede, scarpetta da ballerina. Non avrà avuto più di tre/quattro anni.” – non sentì la voce di John e si voltò a vedere dove fosse l’amico. Era svanito nel nulla. John Watson era sparito nel nulla dal punto in cui si trovava.
“John, non sono scherzi da fare questi, io sto lavorando!” – esclamò adirato, per poi analizzare il punto in cui fosse il medico. Solo impronte, sue impronte. Qualcosa non quadrava, c’era qualcosa che non quadrava, forse doveva guardare John per rendersi conto di ciò che fosse accaduto, ma non riusciva a dargli una spiegazione. C’era qualcosa, qualcosa che aveva fatto sparire John, sbatté gli occhi per un attimo, e poi non si rese più conto di dove fosse.
 
Cardiff, sede Torchwood, Galles, ore 21.00
 
I membri del Torchwood erano come al solito impegnati nelle loro mansioni. C’era il Capitano Jack Harkness, che vigilava la città, alla ricerca di qualche creatura vivente, fuggita dalla fessura, Ianto Jones, invece, era l’addetto al caffè, come al solito, anche se aiutava spesso gli altri due nella caccia agli alieni e infine Gwen Cooper, che sorvegliava uno dei computer, in caso ci fosse qualche movimento sospetto dalla fessura. Dopo la recente perdita di due membri della squadra, Owen Harper e Toshiko Sato, i tre si erano dati da fare per compensare la perdita, non avendo intenzione di rimpiazzarli. Erano troppo affezionati a quelle persone, per dire loro addio anche in quel modo.
Il Capitano tornò dopo un paio di ore di ronda, e dopo essere resuscitato una volta, a causa di una sparatoria avvenuta nel centro di Cardiff poco più in là, da lui stesso fermata.
Salutò con un delicato bacio a stampo il suo fidanzato, Ianto, e poi si mise al lavoro accanto alla ex-poliziotta, Gwen, alla ricerca di qualche evento paranormale. Era tutto tranquillo, troppo.
“Non credete anche voi che la fessura sia tranquilla?” – chiese Ianto, guardando il monitor, da cui non provenivano segnali di alcun genere.
“Già, Ianto ha ragione, c’è qualcosa che non va.” – confermò la donna, guardando i due compagni preoccupata, se stava accadendo qualcosa, era qualcosa di molto negativo, perché eventi del genere erano rari, e presagivano qualche catastrofe, quindi, perché la fessura era stranamente calma? Perché da lì non proveniva energia?
“Ah, non siate sciocchi, gli alieni si saranno presi un giorno di riposo!” – esclamò ironico Jack, guadagnandosi le occhiatacce torve da parte di Ianto e di Gwen, che odiavano quando faceva i suoi soliti commenti sarcastici, superficiali e stupidi.
“Jack, non essere stupido.” – lo ribeccò il ragazzo dai capelli scuri, guardandolo ancora torvo, se c’era una cosa che detestava in Jack, anche se lo amava dannatamente tanto, era quella superficialità, quel sentirsi superiore a tutti, che gli faceva saltare tutte le sinapsi del cervello, rendendolo davvero intrattabile.
“Vai a farmi un caffè, Ianto Jones.” – ordinò acidamente il capitano, senza degnare l’altro di uno sguardo, di lui, Ianto odiava quella piccola ostilità che fin dal primo momento li aveva uniti, eppure anche se lo celava, lo adorava. Era così timido ed impacciato, soprattutto quando portava i caffè, il suo modo di tenere i vassoi in mano, avrebbe fatto invidia anche al più adorabile dei ragazzini.
“Smettetela voi due.” – li sgridò la mora, mentre Ianto dovette muoversi ad andare a prendere il caffè per Jack, perché sebbene odiasse quando impartiva ordini, non poteva fare a meno di dirgli di sì.
Odio/amore, il sentimento che li accompagnava.
Frecciatine, ma anche momenti dolci, degni da carie per i denti.
Quando il moro tornò con il caffè, il castano, Jack, gli prese una mano avvicinandolo.
“Scusa, a volte il ‘potere’ mi dà alla testa” – borbottò, facendogli appoggiare la tazza su una scrivania e tirandolo sulle sue gambe, avvolgendogli i fianchi con le braccia, mentre l’altro portava le braccia dietro al suo collo.
“Sei uno stupido, lo so.” – sussurrò, sorridendo leggermente. La tensione era passata, magari Jack aveva ragione, magari per un giorno erano liberi dagli alieni e simili.
“Sì… solo a volte.” – sussurrò Jack a sua volta, strofinando il naso contro quello del moro, facendolo sorridere felice.
“Nah, diciamo sempre.” – ribeccò in un sussurro l’altro.
“Ehm, io vi lascio da soli, okay?” – urlò Gwen, senza ottenere risposta – “non distruggete l’ufficio, ciao!” – uscì da lì, ma i due non se ne accorsero minimamente, persi com’erano l’uno nello sguardo dell’altro.
“Sembriamo dei ragazzini, Jack” – Ianto si riprese da quel momento, e fece per alzarsi dalle gambe dell’altro, che però lo trattenne. Non voleva lasciarlo andare, non poteva. Era consapevole che prima o poi avrebbe dovuto lasciarlo andare, non poteva essere così egoista da trattenerlo a sé per tutto quel tempo, lui era immortale, non poteva morire, e avrebbe vissuto così tutta la vita, Ianto era mortale poteva morire da un momento all’altro, e meritava di vivere una storia normale, con qualcuno di normale, e non uno stronzo come lui, Jack ne era consapevole, ma era anche fottutamente egoista, e non voleva che Ianto andasse via da lui.
“Godiamocela, okay?” – fece accarezzandogli una guancia – “fino a che possiamo.” – suggerì dolcemente.
“Hai sempre ragione tu, Capitano Jack Harkness.” – gli diede ragione il moro, guardandolo con dolcezza e ammirazione.
“Lo so, Jones, Ianto Jones.” – disse seriamente il capitano, guardandolo con il sorriso stampato sulle labbra.
Il moro scoppiò a ridere, vedendo l’altro cimentarsi in una pessima imitazione della sua voce, della sera in cui si erano conosciuti. Oh, di certo non si aspettavano nulla di ciò che stava per accadergli, erano così persi l’uno negli occhi dell’altro, che non si erano accorti che Gwen fosse tornata velocemente. Riuscirono a scambiarsi un bacio leggero, prima di essere riportati alla realtà.
Gli alieni non avevano preso un giorno di riposo, come Jack aveva sperato.
“Ci sono state delle sparizioni misteriose in Inghilterra, oggi.” – disse la donna, guardando i due che finalmente si erano degnati di staccarsi, alzarsi e ricomporsi. – “e alcuni erano anche alieni.”
“Come alieni che scompaiono? Chi ci ruba il lavoro?” – chiese Jack, stupefatto dalla notizia.
“Non si sa, sono sparite tante persone, e non si è capito come sia possibile, una persona non poteva svanire nel nulla, no? Era impossibile, insomma. Da quando una persona svaniva così?
“Chiamo Rhys, gli dico di non uscire di casa.” – fece la donna, mentre i due compagni cercavano di individuare la fonte. Non trovarono nulla, la fessura era ferma, nessuno capiva cosa succedesse, nessuno si spiegava quel fenomeno, nemmeno gli agenti del Torchwood. Era grave, gravissimo. Non erano mai accaduti eventi del genere, e…
“Sembra che anche gli alieni siano spaventati dal fenomeno, che facciamo?” – chiese Ianto, preoccupato.
“Quello che farebbe il Dottore” – disse Jack, fiero di se stesso, e fiero della persona che aveva aiutato in quei giorni lontani – “capiamo il problema, e risolviamo.” – propose – “oppure chiediamo direttamente il suo aiuto.”
 
Motorpoint Arena Cardiff, Galles, ore 22.00
 
La famosa boy-band angloirlandese, One Direction, era pronta per salire sul palco, quella sera, solo due membri sembravano piuttosto restii all’evento. Non che odiassero cantare, ma erano stanchi e volevano solo del tempo per loro stessi. Il tour andava avanti ormai da troppo tempo, e loro erano provati sia internamente che esternamente.
Internamente, a causa del doversi nascondere, del non poter rivelare chi fossero davvero, ed esternamente perché non dormivano da circa quarantotto ore, tra fan, giornalisti, paparazzi, interviste, prove, viaggi e simili.
Avevano bisogno di una pausa, non sapevano cosa ne pensassero gli altri membri, ma loro non ne potevano più, avevano bisogno di una pausa. Chi erano?
Harry Styles e Louis Tomlinson, il riccio e il castano, occhi verdi e occhi azzurri, altezza e bassezza, muscolature,e gracilità, sicurezza e insicurezza, sorriso acceso e sorriso spento, coloro che per tre anni avevano mostrato al mondo il loro amore, in modo indiretto, parlando con le canzoni, con gli sguardi, con i piccoli gesti, nascondendosi agli occhi dei meno aperti mentalmente, mostrando solo un lato di loro, forse quello peggiore, che non li rappresentava davvero, tatuandosi l’impossibile su braccia e petto, fingendo di amare chi non amavano, soffrendo.
Erano arrivati al punto limite della sopportazione.
Non ne potevano più, volevano solo un po’ di tempo per loro stessi, per guardare un film insieme, accoccolati nel grande lettone di casa loro, sotto un piumone magari, stretti l’uno nelle braccia dell’altro.
Bastò un solo sguardo perché si capissero.
Non avrebbero partecipato a quel concerto, ne andava della loro salute mentale. Forse era un torto verso le fan, ma loro… potevano aver contratto la febbre, e non essere pronti, no?
“Sei sicuro, Haz? Io… oddio, i ragazzi ci odieranno…” – chiese il più grande, ma più insicuro.
“No, Lou, non possono odiarci. Sono nostri amici, dai… solo una sera, non facciamo nulla di male.”
“Sì, ma…” – tentò di obiettare.
“Vuoi passare del tempo con me, sì o no?” – chiese sbottando Harry, pentendosi subito dopo, vedendo gli occhi del fidanzato velarsi di lacrime, e si affrettò ad abbracciarlo – “ne abbiamo bisogno, Lou, io sono stanco, non ce la faccio, e non voglio fingere di non amarti, soprattutto quando c’è la tua amata nel pubblico.”
“N-Non è colpa mia…” - sussurrò – “l’ho fatto per proteggere te…”
“Ma ora devo proteggerti io!” – esclamò il riccio, prendendogli il viso tra le mani – “ehi, stai cadendo a pezzi, e io non posso vederti ridotto in questo stato, capisci? Mi fa male, non voglio che tu stia male, amore mio.”
Louis si lasciò andare in un sorriso dolce, guardando negli occhi il fidanzato, perdendosi in essi. Ne valeva la pena perdere una sera, Liam, Zayn e Niall avrebbero cantato al posto loro.
Harry scrisse un bigliettino velocemente, gli altri tre erano intenti a parlare con il manager, e di soppiatto andarono alla porta sul retro del backstage, e furono investiti da urla disumane. Ecco, ora era più complicato scappare, inoltre la sicurezza era lì vicino.
“Amore, dobbiamo correre, sei pronto?” – chiese Harry in un soffio ad un preoccupatissimo Louis, che non sapeva cosa fare, non sapeva perché ascoltasse le idee strambe del riccio, ma lo amava e lo avrebbe seguito anche in capo al mondo. Per questo, annuì dando il suo consenso. Ne valeva davvero la pena. Il riccio intrecciò le loro dita, e urlò sovrastando le urla delle fan - “Adesso, corri!” – e Louis non se lo lasciò ripetere due volte, con la mano stretta quella di Harry, corse insieme a lui, raggiungendo in breve la sua auto. Lo fece entrare velocemente, cercando di non farsi vedere da nessuno, entrò anche lui e poi veloce, sgommò via da quel luogo che per loro era un inferno.
“Non ci posso credere, siamo scappati davvero!” – esultò Louis allacciandosi la cintura di sicurezza, guardando fiero il suo ragazzo. Era una sensazione meravigliosa, e… non poteva chiedere di meglio, non avrebbe mai potuto chiedere di meglio.
“Sì, siamo scappati, ci aspetterà una bella sgridata domani, ma…” – ingranò la marcia, e aumentò la velocità, cercando di allontanarsi più velocemente possibile dall’arena.
“… ma ne è valsa la pena.” – completò Louis, e mentre Harry si specchiava nei suoi occhi, entrambi capirono che non dovevano necessariamente essere visti da altri o dichiararsi per essere felici, a loro bastava semplicemente la presenza dell’altro accanto, tanto bastava per stare bene davvero.
“Ma cosa hai scritto sul biglietto?”
“Oh che tu avevi la febbre a trentanove, e io da bravo fidanzato ti ho riaccompagnato a casa, semplice, ma efficace.”
Louis si sporse verso di lui, lasciandogli un bacio delicato a fior di labbra.
“E allora io ti sposerò, Harry” – gli sussurrò sulle labbra, felice come mai – “perché fa rima” – finì ridendo, facendo ridere anche il suo fidanzato. Finalmente avevano un momento per loro stessi, finalmente potevano chiudersi in casa, e non uscire per almeno un paio di giorni, potevano riposare, e dormire profondamente, abbracciarsi, baciarsi quando volevano, e soprattutto non nascondersi da nessuno, in fondo, in casa loro erano liberi.
“Sto aspettando quel giorno con impazienza, Louis Tomlinson.” – il riccio ridacchiò rispondendo lievemente al bacio del fidanzato, senza staccare gli occhi dalla strada. Doveva essere prudente, non poteva metterlo in pericolo. Doveva proteggerlo, l’aveva promesso a se stesso quando l’aveva visto crollare davanti a lui, un anno prima, in lacrime a causa della sua ‘relazione’ con Taylor Swift. Da quel giorno, Harry si era ripromesso che l’avrebbe protetto da tutto e da tutti, a costo di tutto, anche della sua carriera. La sua priorità era Louis. Lo era da quando si era innamorato di lui, di quando l’aveva baciato la prima volta, e l’aveva stretto a sé così forte da far mancare ad entrambi il fiato, dannazione, quanto gli mancava quella sensazione paradisiaca.
Il fluttuare del suoi pensieri fu fermato dall’auto, che improvvisamente si fermò.
Benzina esaurita. Batté un pugno sul manubrio, e imprecò spalancando la porta. Non c’erano nemmeno benzinai nei dintorni. Che fortuna! – aprì la portiera di Louis e gli porse la mano. Il sorriso stampato sul viso.
“Corri con me?”
Louis scoppiò a ridere, accettando la sua mano. 
 
Hogwarts, Mondo Magico, ore 22.30.
 
Era una sera come le altre nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Gli studenti erano ancora nella Sala Grande, perché il preside Silente aveva deciso di prolungare la cena, per permettere a tutti gli studenti di socializzare tra loro. Tutti tranne due.
All’appello, nessuno, a parte Silente stesso, si era reso conto dell’assenza di due persone, rispettivamente dalla tavola dei Serpeverde e dalla tavola dei Grifondoro. Draco Malfoy ed Harry Potter, infatti, erano andati via a metà cena, dopo essersi lanciati uno sguardo di sfida. Beh, il preside sapeva cosa stesse accadendo. Si erano radunati nel corridoio del terzo piano, circa a metà quasi vicino alla statua della Strega Orba, accanto alla quale c’erano diverse statue di angeli che si coprivano gli occhi. Nessuno aveva mai capito cosa ci facessero lì quelle, forse erano solo per bellezza.
I due ragazzi si fronteggiavano, le bacchette in mano, gli occhi infuocati.
“Sei sempre così buono, Potter. Non mi sorprendo che quello stupido di Silente ti abbia nelle sue grazie.” – sputò acidamente il biondino dagli occhi chiarissimi, guardando male il suo sfidante.
“E io non mi sorprendo del fatto che Voldemort ti voglia nelle sue schiere, Malfoy.” – rispose prontamente il ragazzo occhialuto, guardando in cagnesco il biondo di fronte a lui.
Nemici giurati fin dall’inizio della scuola, dopo che il ragazzo dai capelli scuri ebbe rifiutato la proposta d’amicizia del biondo. Fin da quel giorno, avevano deciso il loro schieramento, e quella sera si erano sfidati, per mettersi alla prova, per capire chi fosse il più forte: lo spietato Serpeverde, o il coraggioso Grifondoro?
La loro non era solo una prova di abilità magiche, era molto di più. Era una prova di conoscenza, abilità, intelligenza, un testa a testa a cui doveva essere data una fine, che non poteva continuare in eterno, soprattutto quell’anno, durante il quale molte cose sarebbero cambiate, durante quell’anno così disastroso, durante il quale già si preannunciava la grande guerra magica, a causa del Signore Oscuro, il mago più potente di tutti i tempi, dopo Silente, il mago temuto da tutti. Era una lotta tra bene contro male, due forze che finalmente si equiparavano, e si mettevano alla prova, testando il più forte tra due ragazzini che frequentavano ancora la scuola magica.
“Come osi pronunciare il nome del Signore Oscuro?”
“Oh… hai paura del suo nome?” – rise schernendolo.
“Quando ti avrò messo al tappeto non riderai più così tanto.”
Malfoy si guardò intorno. Qualcosa non andava quella notte, aveva un brutto presentimento, certo sfidarsi al corridoio del terzo piano era stata un’idea geniale, quell’anno non era stato utilizzato da nessuno, a causa di una sorta di superstizione sviluppatasi negli ultimi anni. Si diceva che chiunque passasse per quel corridoio svanisse misteriosamente, e probabilmente era facile capire dove andasse. Nella gobba della Strega Orba c’era il passaggio per Mielandia, e quindi Hogsmeade. Tutti gli studenti volevano usufruire di quello, ma quell’anno l’accesso ad esso era vietato. I professori volevano capire cosa scatenasse le sparizioni. In tre anni, erano spariti quindici ragazzi, che si erano aggirati in quei corridoi, dopo che i fratelli Weasley ebbero detto a molti studenti che quello era il passaggio per il paese che ogni studente di Hogwarts voleva visitare.
“Credi che io abbia paura?” – rise sprezzante, guardando l’avversario – “io non lo temo, io lo servo e lo venero. Ha scelto me, sai?” – si scoprì il braccio mostrando ad Harry il Marchio Nero dei Mangiamorte, quello che lo legava a Voldemort, e faceva di lui suo schiavo. Draco non aveva ancora capito che quello sarebbe stato solo l’inizio della sua rovina e non della sua gloria, era stupido e troppo giovane. O forse aveva paura, ma di certo davanti ad un Grifondoro non l’avrebbe mai ammesso, non era poi così stupido, non quanto Potter almeno.
“Quanto sei idiota.” – scosse la testa, puntandogli la bacchetta contro – “davvero credi che Voldemort ti premierà per questo?”
“Cosa vuoi saperne tu? Lo conosci?” – strillò Malfoy, agitando la bacchetta, senza però lasciare alcun incantesimo, a causa di un tremito alla mano, che lo bloccò immediatamente. Spalancò gli occhi, senza capire da cosa dipendesse. Stava tremando, davanti a quello stupido Sfregiato?
“Colpiscimi, avanti!” – urlò Potter. Se c’era una cosa in cui era bravo, era provocare gli avversari, chiunque aveva di fronte finiva per odiarlo e fargli molto male. E Malfoy non si lasciò scappare quell’occasione.
“STUPEFICIUM!” – urlò puntandogli la bacchetta contro. Potter non riuscì a proteggersi in tempo, che venne scaraventato all’indietro da un colpo potete, facendolo andare a sbattere contro il muro opposto. La botta fu dura, e dovette chiudere gli occhi per qualche istante, sembrò sul punto di svenire, ma si rialzò quasi subito.
“EXPELLIARMUS!” – urlò a sua volta Potter, cercando di disarmare Malfoy, senza risultati, il Serpeverde aveva alzato davanti a sé una barriera protettiva, e nessun incantesimo poteva toccarlo. Non riuscì, tuttavia, ad usare alcuna Maledizione Senza Perdono su di lui, forse non era ancora un Mangiamorte a tutti gli effetti, o era solo un ragazzino stupido. Voldemort avrebbe optato per la seconda scelta.
“Sei già al tappeto, Sfregiato?” – lo schermì ridendo – “EXPELLIARMUS!” – lo disarmò, afferrando la sua bacchetta. E allora rise. Rise perché aveva avuto la meglio, per una volta su di lui. Non aveva dimenticato l’umiliazione di qualche mese prima nei bagni, di come lo avesse messo al tappeto, e l’avesse praticamente in pugno.
Per un attimo, tutti e due chiusero gli occhi, Potter per aspettarsi di tutto, Malfoy per prendere un respiro ed essere lui l’artefice della prima disfatta di Potter, ma qualcosa non andò secondo i piani.
Quando riaprirono gli occhi, non erano più ad Hogwarts, si erano smaterializzati, ma dove?
Non conoscevano quella foresta, non erano mai stati lì. Era tutto strano, forse era la Foresta Proibita?
“Dove diavolo siamo? Che hai fatto, Malfoy?” – sbottò Harry, guardandolo in cagnesco, ora avrebbe anche avuto un richiamo dal preside, e lui non voleva deluderlo, non dopo che l’anno prima l’aveva abbandonato in quel modo.
“E lo chiedi a me, Potter? Cosa hai fatto tu!”
“Io niente, tu hai la mia bacchetta!” – urlò, e nel dirlo gli strappò la bacchetta dalle mani, guardandosi intorno. Erano vicino un lago, ma non era il Lago Nero, non erano ad Hogwarts, e da Hogwarts non ci si poteva smaterializzare.
“Per Merlin, dove siamo!?” – strillò Potter, mentre Malfoy a metà tra il terrorizzato e il divertito, rideva.
“Qualcuno mi ha chiamato?” – chiese una voce dietro le frasche, mentre si udì chiaramente qualcuno urlare a gran voce: “MERLIN!”
 
Smallville, Kansas, ore 23.00
 
Nella fattoria dei Kent, c’era fermento.
Clark e sua madre, avevano organizzato una grande festa, in onore del compleanno di Cloe Sullivan, la migliore amica del ragazzo. La fattoria era in fermento, c’era quasi tutta la città.
Per un giorno, persino i fantomatici mostri da meteorite avevano smesso di disturbare la quiete, che regnava sovrana, insieme all’allegria e alla spensieratezza.
Clark Kent, campagnolo, alto e muscoloso, capelli castani, occhi verdi, famoso per indossare sempre una casacca rossa, abbinata ad una t-shirt rossa, giocava a basket nel giardino di casa, ed era il capitano della squadra di football della sua scuola. Una vita normale, insomma, di facciata ovviamente. Clark nascondeva, forse, uno dei segreti più grandi che una persona potesse mai avere. Aveva degli strani poteri, che stava ancora apprendendo. Era forte, fortissimo, poteva sollevare tonnellate su tonnellate senza stancarsi o sudare, era veloce come un fulmine, poteva percorrere miglia e miglia in meno di un minuto, senza affaticarsi, aveva un superudito, che gli permetteva di ascoltare conversazioni a distanza di diversi chilometri, possedeva la vista a raggi-x, poteva quindi guardare attraverso gli oggetti, e il suo sguardo di fuoco infiammava tutto ciò che lo circondava, se non riusciva a controllarlo. Aveva un solo punto debole.
Non poteva entrare in contatto con una sostanza meteoritica verde, chiamata kryptonite, un solo frammento di quella e tutti i suoi poteri svanivano nel nulla, rendendolo umano, infatti un uomo simile sulla terra non era mai esistito. Clark proveniva dal pianeta Krypton, pianeta andato distrutto anni prima, quando Clark era stato inviato sulla terra, il suo arrivo aveva provocato la pioggia di meteoriti che aveva seminato morte, paura e variazioni genetiche in molte persone. La sostanza verde contenuta nei meteoriti, infatti, aveva la capacità di cambiare il patrimonio genetico di una persona, conferendole straordinari poteri, o provocandone la pazzia, fino – a volte – alla morte.
Ma quella sera, sembrava che il problema non sussistesse.
Clark, comunque, aveva tanti amici, certo, ma si sentiva ugualmente solo, era una sensazione strana da descrivere, perché sebbene ne avesse tanti, con nessuno poteva rivelarsi per ciò che era, eccetto il suo migliore amico Pete, a cui aveva dovuto raccontare la verità, perché era un peso troppo grande da portare da solo, era come un fardello, e lui da solo non riusciva più a sopportarlo, doveva mentire anche alla ragazza che amava, Lana, ogni volta che spariva per aiutare qualcuno, doveva trovare mille scuse, mentire… ma non quella sera, tutto stava andando per il verso giusto, niente avrebbe rovinato i piani di quei giovani quella notte, che si divertivano nel granaio dei Kent, e festeggiavano senza esagerare troppo, il compleanno di una cara amica.
Fino a che nell’aria non mutò qualcosa.
Clark se ne accorse subito, qualcosa, da qualche parte, andava per il verso sbagliato, poteva sentirlo, poteva sentire che da qualche parte nel mondo, qualcuno avesse bisogno di aiuto, era come un sesto senso che lui aveva, captava i pericoli a distanza, e da qualche parte, qualcuno era in pericolo.
“Ehi Clark, tutto okay?” – gli chiese immediatamente l’amico, notando qualcosa di strano nel suo sguardo. Pete era un ragazzo che sapeva cogliere al volo i cambiamenti espressivi di Clark, a volte riuscendo ad anticiparne anche le mosse. Erano così amici, che davvero niente avrebbe potuto disintegrare quel fortissimo legame che avevano.
“No, Pete, davvero. Non ho niente, solo una strana sensazione, sai quando credi che vada tutto troppo bene per essere reale? Ecco, quello che sento io ora.” – disse il castano guardando il ragazzo di fronte a lui.
“Goditi la serata, guarda Cloe com’è felice, non volevi questo?” – sorrise l’altro, facendone spuntare uno anche al suo amico, che annuì rilassandosi. Tuttavia la brutta sensazione non svanì, lasciandogli il senso di nervosismo e tensione addosso. Magari era solo tutta immaginazione, o tutta suggestione, dovuta ai troppi problemi causati dalla scuola, e dal segreto che custodiva. Non doveva preoccuparsi, e continuare a festeggiare, lo vede, ma stando all’erta, come se qualcuno o qualcosa dovesse arrivare da un  momento all’altro. Percepiva una richiesta d’aiuto lontana, molto lontana, dove nemmeno con la sua supervelocità sarebbe potuto arrivare. Doveva lasciar correre gli eventi, lasciare che tutto andasse per il verso prefissato. Non doveva intervenire, senza sapere nulla del problema.
Alla fine della festa, tutti andarono via, Cloe, entusiasta, abbracciò il ragazzo fino allo sfinimento, prima di lasciarsi accompagnare a casa dal signor Kent, mentre il figlio restava alla fattoria ad aiutare la madre nel sistemare.
“Clark, tesoro, hai qualcosa che ti turba?” – chiese Martha Kent, madre terrestre, adottiva di Clark.
“No… cioè, sono preoccupato. Ho una strana sensazione addosso, come se qualcuno avesse bisogno di me, ma io non potessi far niente per aiutarli” – sospirò il ragazzo, prima di correre velocemente, grazie alla sua super velocità, e togliere da mezzo tutte le cose sporche riporle in una busta nera, e posizionarla fuori la porta. – “ed è frustrante, mamma” – completò una volta fermo. La donna sorrise e si avvicinò al figlio, abbracciandolo forte, come solo una madre sapeva fare per tranquillizzare il proprio figlio.
“Andrà tutto bene, vedrai. Una bella dormita, e domani sarai in forma come sempre.” – gli sorrise rassicurante. Tuttavia le parole della donna non scalfirono il suo pensiero triste. Temeva davvero che da qualche parte nel mondo, qualcosa stesse andando male. Era suo compito fermare tutto, magari era Luthor senior che ne faceva un’altra delle sue, ma no, si sarebbe sentito ai telegiornali, tutti avrebbero saputo che qualcosa stava accadendo, invece no, tutto taceva. C’era qualcosa che non andava, ma i Luthor, apparentemente, non c’entravano nulla. Seguì, però, il consiglio di sua madre e andò a mettersi a letto, una volta sotto le coperte, poté pensare meglio.
Non c’erano stati pericoli a scuola, né in altri luoghi, quindi la kryptonite non c’entrava.
Allora cosa? Cos’era?
Si addormentò con quei pensieri nella testa, e la mattina dopo, quando accese la televisione, seppe cosa stesse accendo. Era allibito, non poteva crederci, era surreale, e la cosa per lui non doveva esserlo perché… lui veniva da un altro pianeta, insomma.
Non si sa ancora che fine abbiano fatto delle persone. Dalle principali città del mondo stanno sparendo misteriosamente delle persone, nessuno sa darsi una spiegazione, si spera che il criminale venga preso e arrestato.” – diceva la giornalista del telegiornale mattutino. Che fossero segnali alieni, quelli?
 
William McKinley High School, Lima, Ohio, ore 00.00
 
“Kurt, smettila di urlare, santo cielo!” – urlò Blaine, contro il suo ragazzo, che da un’ora a quella parte non faceva altro che andare fuori di testa per un motivo futile.
“No, non mi calmo, e non la smetto di urlare!” – strillò il ragazzo di fronte, Kurt, mentre l’altro alzava gli occhi al cielo, segno che stava per perdere la pazienza, odiava litigare con lui, ma quello voleva sempre e solo avere ragione, non poteva averla sempre e quella volta, non l’aveva per nulla.
Kurt Hummel, studente del William McKinley High School, ragazzo abbastanza alto, per niente muscoloso, capelli castani e profondi e intense occhi azzurri, litigava con il suo ragazzo Blaine Anderson, ex membro dei Warblers, ora studente dell’High School insieme al castano, poco più basso di Kurt, moro dagli occhi castani, carattere decisamente irritabile, almeno quella sera. Era un’ora che continuava ad insistere su una cosa strana che aveva notato per le strade di Lima, quel giorno. La scuola era chiusa, e lui ne aveva approfittato per una sessione di shopping con Rachel, ma da quando era tornato sosteneva cose assurde, e il moro non riusciva a calmarlo in nessun modo. Era irrequieto, e nemmeno gli abbracci riuscivano a calmarlo.
“Tu non capisci, io l’ho visto! Era… era… spaventoso. Okay, spaventoso?” – urlò sedendosi sul letto, mettendosi le mani nei capelli, per poi con esse coprirsi il viso, per trattenere le lacrime che minacciavano di uscire violentemente. Odiava quando non gli credevano, quando Blaine non gli credeva. Lui aveva solo paura, non poteva averne?
Aveva visto una cosa terribile, era logico che ne avesse, ma per tutti i suoi conoscenti sembrava essere uno stupido, un idiota visionario, e lo stava diventando anche per Blaine, umiliazione peggiore non poteva esserci.
“D-Devi c-credermi… o-okay?” – la voce tremava, segno che stava per scoppiare in lacrime.
Il moro sospirò e si addolcì. Adorava consolarlo e proteggerlo, ma quella volta stava esagerando, insomma… Kurt tremava e allora Blaine non riuscì più a mascherare sicurezza per tranquillizzarlo. Si avvicinò a lui, sedendosi accanto a lui e lo abbracciò, facendogli affondare il viso sul suo petto, come quando l’aveva consolato infinità di volte alla Dalton Accademy. Nel periodo in cui Kurt era stato alla Dalton, Blaine aveva imparato a capire quando poteva cercare di farlo ragionare, o quando era davvero terrorizzato, come in quel momento.
“Shh, va tutto bene, Kurt, ci sono io, okay?” – gli sussurrò cullandolo tra le braccia. Kurt era così, piccolo e indifeso. Doveva sempre essere protetto in qualunque caso, anche quando credeva di vedere cose che non esistevano.
“Credimi…” – sussurrò stringendo le braccia intorno ai suoi fianchi, stringendosi a lui e lasciandosi stringere forte.
“Ma come faccio…?” – chiese l’altro – “è impossibile, Kurt”
“M-ma ti dico che si è mossa, quella statua… oddio per un attimo, appena ho aperto gli occhi era ferma, ma l’ho vista era più avanti, si era spostata… Blaine, e l’attimo dopo non c’erano due persone… devi credermi!”
“Statue assassine, davvero?” – ridacchiò scuotendo la testa – “ti prego, Kurt.”
“Tu non l’hai visto! Prima aveva le mani sugli occhi, quando ho aperto gli occhi aveva le braccia aperte, e l’attimo dopo era di nuovo normale!” – spiegò velocemente, tremando il castano.
“Hai fumato?” – chiese allarmato, appoggiandogli una mano sulla fronte – “hai la febbre? Stai delirando?”
“Blaine, sono serio…” – mormorò terrorizzato guardandosi intorno.
“E’ uno shock, amore, davvero.” – gli spiegò pacatamente, senza farlo spaventare – “ultimamente sei stressato, probabilmente la tua mente ti ha giocato qualche brutto scherzo.” – gli baciò la fronte con fare dolce, facendolo distendere sul letto, e rimboccandogli le coperte. Ma Kurt tenne gli occhi aperti. Non voleva rischiare di chiuderli e vedere di nuovo quella statua, o qualsiasi altra cosa fosse. Blaine si stese accanto a lui, sistemandosi e abbracciandolo. – “dormi, chiudi gli occhi, e fai solo sogni belli, ti passerà.” – lo rassicurò baciandogli delicatamente le labbra – “è stanchezza, dormi.” – Kurt cedette e annuì, affondando il viso sul petto di Blaine, che lo accolse caldamente tra le braccia e intrecciò le gambe con le sue. Il castano alzò lo sguardo negli occhi dell’altro sorridendo, ora, anche se era ancora frenato dalla paura.
“Scusa… io, non vorrei darti tutti questi problemi” – borbottò contro il suo petto, stringendolo.
“Non mi dai problemi, Kurt, non dire scemenze.” – rise il moro stringendolo forte, cercando di farlo dormire. Kurt era ancora insicuro, quello che aveva visto era lì, ancora impresso nella sua mente. Una cosa tanto mostruosa non poteva essere un’allucinazione, e poi lui non faceva uso di droghe, come poteva averlo visto allora? Non era visionario, no.
“Perché non andiamo? Ti faccio vedere la statua… così mi dici cosa vedi?” – chiese, cercando un’ultima spiaggia a cui appoggiarsi, un’ultima possibilità, per essere un po’ più credibile. Temeva davvero di impazzire, ma lui l’aveva notato, seppur in modo impercettibile, quel momentaneo e repentino cambiamento che la statua aveva avuto. Non l’aveva sognato, non era stupido, e non usava allucinogeni, quindi era reale. Non è stress, insomma! – pensò irritato.
“Se può tranquillizzarti, va bene, andiamo.” – sospirò Blaine. Se significava poi riposare, e far smettere le paranoie di Kurt, allora andava bene, sarebbero andati a vedere questa famosa statua e la sua immobilità.
Indossarono velocemente degli abiti e Kurt guidò Blaine fino alla statua che l’aveva terrorizzato, non molto lontano dalla casa del ragazzo, comunque. Una volta di fronte ad essa, il moro la indicò, incredulo.
“E’ immobile.” – sbadigliò fissandola – “ora sei tranquillo?” – chiese dolcemente Blaine, cercando di dissuaderlo dal restare lì. Kurt chiuse gli occhi e poi li aprì, era ferma. Si stropicciò gli occhi, e riguardò la statua, non si era mossa, eppure quel pomeriggio si era mossa. Non era possibile… lui non era impazzito. Cosa diavolo gli stava succedendo? Aveva le visioni sul serio? No, rifiutava di accettare quella condizione, non era pazzo. La statua si era mossa, lui l’aveva visto.
“Si è mossa quando ho chiuso gli occhi, lo giuro!” – strillò guardandola e indicandola. Non era possibile, no… non avevano ragione gli altri. C’era qualcosa che non andava, era strano. Perché con Blaine non accadeva?
“Andiamo a dormire, forza.” – fece girandosi, facendo girare contemporaneamente Kurt afferrandogli una mano. Lo amava, era adorabile, ma quando lo faceva uscire di casa a mezzanotte passata solo per vedere una statua immobile in una strada, sostenendo che questa si fosse mossa… era insopportabile, soprattutto se lui, Blaine Anderson, aveva sonno, e non voleva più saperne di stare in piedi.  Nemmeno tre secondi dopo, la realtà svanì dalla loro vista. Tutto cambiò, la strada divenne erba, i palazzi divennero montagne, e tutto sembrò diverso.
Non si resero conto di cosa fosse accaduto.
Svennero prima di capire che erano stati… trasportati altrove.
 
Camelot, Regno dei Pendragon, mezzodì.
 
Il principe Arthur era fuori a caccia, insieme al suo personale servitore Merlin.
Ignorava ciò che accadesse a Camelot, il suo regno. La gente spariva dalle strade misteriosamente, e nessuno riusciva a capire come fosse possibile ciò. Accadeva principalmente di notte, ma il re Uther, re di Camelot, uomo burbero, parecchie volte odioso, capelli scuri e occhi chiari, nemico giurato della magia fin dalla nascita di suo figlio, e conseguente morte di sua moglie Igraine, aveva attribuito il fenomeno a fughe di stregoni, quindi a meno che non avessero fatto ritorno a Camelot, non ci sarebbero stati problemi, perché in quel periodo, dopo la fuga di Morgana, sua figlia illegittima, il re rasentava l’orlo della pazzia – e presto questa sarebbe sopraggiunta - ma in quel momento, egli aveva sottovalutato il problema, non sarebbe bastato aspettare che il fenomeno passasse perché era inarrestabile, sempre più gente spariva. Ma per lui era solo opera della magia, come qualsiasi sventura.
Il principe Arthur era fuori già da un paio di giorni, aveva chiesto al padre un periodo di riposo nel bosco per distendere i nervi, e aveva portato con sé il suo amico più fidato, Merlin, il suo servitore personale, nonché amico. Il re aveva acconsentito, poiché il principe si era dimostrato degno del suo titolo durante tutte le prove a cui era stato sottoposto, salvando spesso il regno – con l’aiuto indiretto di Merlin – destreggiandosi sempre al meglio, differenziandosi dagli altri cavalieri di Camelot. Lui e Merlin erano immersi nella natura, a contatto con essa. Si erano recati sulle rive di un lago, dal quale il principe non sapeva che Merlin l’avesse salvato.
Il servitore era seduto sotto un albero, teneva la testa appoggiata contro la corteccia di esso e tra le fronde dell’albero scrutava il cielo, mentre il principe si concedeva una nuotata nel lago. Ogni tanto, il giovane servo lanciava un’occhiata al suo signore, per assicurarsi che stesse bene e non si facesse male. Adorava guardarlo mentre si divertiva, mentre non pensava a nulla e si concedeva il suo meritato relax. Soprattutto, perché senza che lui corresse pericoli, Merlin poteva anche non mentire ed essere semplicemente se stesso.
Merlin, di Ealdor, giovane dai capelli neri e gli occhi azzurri, mingherlino, abbastanza alto, servitore e amico – anche se nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso – di Arthur, era un mago, padroneggiava alla perfezione la Religione Antica ed era l’ultimo Signore dei Draghi. Con la magia aveva salvato la vita dell’erede al trono così tante volte che ormai ne aveva perso il conto, ma gli andava bene così, Arthur stava bene, il suo destino era proteggerlo, quindi finché lui stava bene, tutto era a posto, e nessun problema sussisteva, se nessuno scopriva la sua vera natura.
Il giovane principe, ragazzo muscoloso, abile con la spada, biondo dagli occhi azzurri, futuro re di Camelot, buono, gentile, ma anche altezzoso e, a volte, odioso, emerse dall’acqua, risalendo sull’erba.
“Wow!” – esclamò sorpreso – “l’acqua qui è fantastica! Dovresti venire anche tu.” – fece avvicinandosi a lui, lasciando gocciolare dell’acqua su di lui, bagnandolo interamente.
“No, non ne ho voglia, Arthur, smettetela!” – esclamò irritato il servitore, lasciandosi però scappare una risata divertita, contento che il suo principe si divertisse.
“Io dico che ne hai voglia.” – lo sfidò con lo sguardo il principe, mentre Merlin gli riservava un’occhiataccia piena di rimprovero e dissenso. – “e poi dammi del tu, siamo fuori da Camelot.”
“Tecnicamente siamo a Camelot, questi sono i  vostri territori…” – spiegò con nonchalance.
“Sì… come vuoi.” – lo afferrò per i fianchi, ed esile com’era il moro, per il biondo non fu difficile caricarselo sulla spalla, e correre verso la riva del lago e lanciarsi a peso morto tenendo saldamente Merlin tra le braccia, per non perderlo o rischiare di annegarlo. Da quando mi preoccupo per Merlin?
Lo lasciò andare per un attimo, e il servitore si ritrovò immerso totalmente nell’acqua dalla testa ai piedi, completamente bagnato, vestiti compresi, tirò fuori la testa dall’acqua e guardò in cagnesco il principe.
“Voi siete un asino!” – strillò – “un asino regale però.” – aggiunse borbottando, mentre il principe rideva, lo guardava quasi incantato, e gli appoggiava una mano sulla testa, scompigliandogli i capelli.
“Scusami” – rise – “ma dovevi vedere la tua faccia!” – gli strizzò le guance senza accorgersene – “sei adorabile!” – si lasciò scappare, facendo arrossire inconsapevolmente il moro, che non appena si accorse della sua temperatura più alta, prima che il principe aggiungesse altro, o lo prendesse in giro, si spinse con la testa sotto, e cercò di raffreddarsi, ma non riuscì a non sorridere. Adorava quei momenti con lui, in cui non lo insultava e gli sorrideva.
Arthur vedendolo andare sotto, e non riemergere, si preoccupò e immerse la testa per trovarlo e tirarlo fuori, non appena lo vide a pochi metri da lui, lo afferrò e lo tirò su, guardandolo preoccupato.
“Ti senti bene? Sei andato giù!” – chiese allarmato, qualcosa lo spingeva a preoccuparsi sempre per quel ragazzo, e non sapeva cosa fosse, fatto stava che si preoccupava sempre troppo per il suo ‘stupido’ servitore. Lo aveva dimostrato quella volta, quando aveva rischiato la vita, perché Merlin aveva bevuto il vino avvelenato al posto suo.
“Sto bene” – tossicchiò – “volevo solo… rinfrescare le idee!”
Arthur lo guardò male e lo spinse verso la riva. Ma era possibile che quel maledetto ragazzo ogni volta che c’era qualche problema, qualche preoccupazione, avesse sempre la battuta pronta? Arthur non riusciva a spiegarselo, eppure, Merlin l’aveva anche cambiato, in meglio. Se in quel periodo della sua vita era più altruista verso il prossimo lo doveva a Merlin, che quel giorno al mercato lo aveva insultato, e poi gli aveva salvato la vita, diventando così suo servo, e poi amico. Il loro rapporto era un po’ così, odio e amore.
Merlin aveva salvato la vita ad Arthur innumerevoli volte, e anche il principe aveva salvato la sua vita qualche volta.
“Torniamo a riva, forza.” – ordinò perentorio – “hai schiarito abbastanza le idee.”
Merlin obbedì senza ribattere, e risalì rabbrividendo a contatto con il venticello che prima era piacevole, e in quel momento diventava fastidioso e pungente.
Ho già detto che odio Arthur?
Il principe, uscito anche lui, appena notò Merlin rabbrividire, prese la stola che avevano portato e l’appoggiò sulle spalle del giovane mago, che lo ringraziò con lo sguardo. Lui si distese la sole, godendosi i benefici calori dei raggi.
“Sai?” – fece improvvisamente il principe guardandolo aprendo un solo occhio – “pensavo di andare a caccia dopo, che ne dici?” – chiese.
“Facciamo quello che volete, è la vostra… gita?”
Arthur rise forte, scuotendo la testa, mentre a Merlin sfuggiva uno starnuto forte.
“Non ammalarti ora! Togliti quei vestiti bagnati, indossa i miei, metti i suoi ad asciugare, e non ribattere” – ordinò, mentre lo sguardo di Merlin variava dal sorpreso allo stranito, all’incredulo.
Cosa prendeva ad Arthur?
Perché tutta quella gentilezza nei suoi confronti?
In imbarazzo, il giovane servo si tolse i vestiti che a causa di Arthur si erano bagnati tutti, e indossò i suoi. Gli stavano incredibilmente grandi e non poteva non arrossire, era… imbarazzato, dannazione.
Ho già detto che odio Arthur?
“Sei adorabile, lo sai?” – sorrise Arthur guardandolo con… era dolcezza quella?
Cosa diavolo stava succedendo quella mattina? Perché Arthur era dolce e gentile con lui? E perché poi lo trattava così bene? Perché doveva fargli saltare il cuore nel petto? Forse non è vero che lo odio, non così tanto almeno.
Beh, che Merlin avesse un debole – che non aveva mai ammesso - per Arthur si era sempre saputo, persino il Grande Drago l’aveva capito, solo il diretto interessato no, che era troppo preso da Ginevra; ma non quella mattina, in cui sembrava preso da lui, sembrava un’altra persona. E Merlin non sapeva se esserne contento o meno. Insomma, da un lato, sì ne era contento, Arthur lo trattava come una persona e non come un semplice servo… ma dall’altro lato era indeciso, avrebbe dovuto rivelargli della sua magia? Forse sì. Era giusto, al diavolo, Arthur l’avrebbe aiutato a nascondersi meglio, doveva dirglielo, doveva essere sincero con lui, non poteva più mentirgli, non in quel modo, almeno.
Quando il principe aprì un'altra stola sull’erba e prese il cestino da picnic, Merlin non riuscì a non arrossire ancora di più, si sedette accanto a lui, restando però in imbarazzo. Sorrise timidamente al principe, che ricambio con solarità.
“Merlin che non ha parole, devo sentirmi offeso o incredibilmente fortunato?” – chiese divertito.
“Oh, voi non vi libererete mai della mia voce.” – rise il giovane mago sciogliendosi un po’ – “potete giurarci, asino regale.” – lo schernì ridendo ancora, sapendo che ormai Arthur non si offendeva più per quell’affettuoso nomignolo.
“Mi mancava la tua voce, è così che mi piaci.” – disse infatti il principe con il sorriso sulle labbra, che non lo lasciava.
Merlin deglutì a vuoto, spostando lo sguardo sugli alberi dietro di loro, che erano incredibilmente più interessanti, non di Arthur, cosa poteva esserci di più interessante di lui? Ma erano decisamente più interessanti dell’imbarazzo che provava in quel momento, davanti a lui e alla figuraccia che stava facendo.
“Ti ho zittito di nuovo?” – chiese passandogli un piatto – uno di quello delle cucine regali – dove il principe depositò sopra qualcosa che somigliava a del formaggio, ma… molto schiacciato? Merlin scoppiò a ridere.
“Quello cos’è? Pasticcio di formaggio?” – chiese, mentre Arthur recuperava un po’ della sua arroganza e gli lanciava contro dei fili d’erba, facendo ridere ancora il mago, che non capiva bene cosa stesse accadendo.
Tra chiacchiere, schizzi d’acqua, scambi di vestiti – Arthur aveva indossato quelli di Merlin e gli andavano esageratamente piccoli, per questo avevano dovuto fare di nuovo a cambio – decisero di andare a caccia, così per divertimento, Arthur amava la caccia, ma Merlin la detestava, per lui uccidere povere creature era… inumano.
Merlin aveva una strana sensazione, come se qualcosa stesse per accadere, aveva la sensazione che qualcuno stesse per turbare la quiete tra lui ed Arthur, quella che finalmente avevano meritato, e sfruttato. Catturarono un paio di conigli e tornarono al lago, dove si distesero sul prato. Le stelle iniziavano a spuntare in cielo, dopo quella giornata bellissima vissuta insieme. Ne avevano ancora un’altra, ed erano sicuri che sarebbe stata altrettanto bellissima.
La luna era apparsa in cielo, e Merlin ne era affascinato.
Era uno spettacolo meraviglioso, tanto quanto il ragazzo che aveva accanto. Voltò il viso verso quello di Arthur, intento a guardare il cielo. Il suo volto illuminato dalla luna pareva quello di un dio. I suoi lineamenti marcati da uomo, ma delicati da principe erano messi in risalto dal bagliore lunare, i suoi capelli dorati riflettevano ancor di più  la loro luminescenza, e i suoi occhi – oh, i suoi occhi – alla luce della luna sembravano due diamanti.
“Oh…” – si lasciò sfuggire Merlin, assorto nei suoi pensieri.
Arthur si voltò immediatamente verso di lui, e lo guardò negli occhi. Si morse le labbra, sorridendo appena. Quel ragazzo non era un semplice servitore, se n’era accorto da un po’, ma allora cosa rappresentava per lui? 
Perché si sentiva così… attratto da lui?
Perché non riusciva a capire cosa fosse quello che sentiva?
Amore? No, lui amava Ginevra, vero?
Perché ora i loro visi erano vicini?
Perché stava appoggiando la mano sulla sua guancia?
Gli occhi di Merlin parevano delle pietre preziose, più preziose di quelle della corona, la sua guancia era così morbida… più morbida di quella di una dama, le sue labbra… le sue labbra era così invitanti…
“Merlin…” – sussurrò sulle sue labbra, un sussurro roco e gutturale, che fece vibrare l’aria, e rabbrividire il servitore.
“Arthur…” – sussurrò l’altro, socchiudendo le palpebre, la voce era delicata, dolce, come quella di una fanciulla.
Era quello il momento? Stavano per farlo?
Stavano per scambiarsi un bacio?
Ma era… possibile?
Era fattibile?
“Oh, Merlin…” – i nasi si sfioravano, le fronti quasi in contatto, una mano di Arthur andò su quella appoggiata sul terreno di Merlin, che non la ritrasse, bensì intrecciò le dita con le sue.
“Arthur, oh…” – sentiva il suo respiro contro il proprio, sentiva lo stomaco contorcersi e non per la fame.
Ormai erano vicinissimi, ormai nessuno poteva fermarli.
Merlin non si accorse come, né perché intorno a loro tanti piccoli lumini di fuoco avevano iniziato a danzare, e ne Arthur era affascinato. Non disse niente, aveva sempre sospettato che lui fosse un mago, aspettava la sua confessione, ma quello bastava. Era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Finse di non aver capito, di non aver visto, tutto pur di non far smettere quella danza meravigliosa che vedeva intorno a sé, tutto ciò che quel sentimento che circolava tra di loro era in grado di creare.
Tutto era immobile, a parte loro due, i loro cuori palpitanti e le fiammelle che danzavano intorno a loro.
“Per Merlin, dove siamo!?” – urlò qualcuno da dietro le frasche chiamando chiaramente il giovane mago, e in quel momento tutto cessò. Le fiammelle si spensero, Merlin scattò in piedi, mentre Arthur restava per terra.
“Merlin, torna qui…” – sussurrò il principe, mentre il giovane mago si allontanava, chiedendosi chi l’avesse chiamato, seguì con l’udito le imprecazioni e…
“Qualcuno mi ha chiamato?” – chiese giustamente, guardando i due tipi che non aveva mai visto in vita sua, comparsi dal nulla e: “MERLIN!” – urlò Arthur, seguendolo. 


 
To be continued...

 

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Hello everyboy!
Diciamo che questa... cosa è frutto di quest'anno passato a guardare serie tv. Tra DW, Torchwood, Merlin, Sherlock e Glee non so chi mi faccia più male. (Smallville è finito ormai, ma resta tra i miei preferiti, anche se non ho potuto mettere tutte le serie tv che seguo, ho seguito e tutto.)
Allora chi mi conosce - sono conosciuta nel fandom degli One Direction, non linciatemi, vi prego - per le mie immense e lunghissime Larry. E questa era partita come una Merthur/Larry... ma io ovviamente dovevo complicarmi la vita aggiungendo tutto il resto, maledetto Dottore, è lui che mi ha rovinato (no scherzo) but, who cares? Comunque sia... qui incontriamo i personaggi principali, alcuni di essi per ovvi motivi (non sono OTP principali) saranno un po' side, ma enjoy! Diciamo che comunque da OS - perchè io scrivo solo OS - è venuto fuori questo mostro di crossover, di sessanta pagine, di cui queste sono solo le prime 11, circa, dove conosciamo tutti i personaggi presenti in questa fanfiction. E... sì, ci sono anche LORO, quindi evitate di battere le palpebre, lo dico per voi. Anyway, scusate gli inglesismi, diciamo così, come Time Lord, Weeping Angels e 'Consulting detective', seguendo le serie in lingua originale avevo problemi a farmi piacere come suonassero in italiano. 
Chiariamoci, ora sembro una pazza, perchè ho paura di postare in un nuovo fandom e quindi compatitemi e sopportatemi.
Diciamo che in linea di massima non saranno più di sei capitoli, o cinque, I don't know.
E spero vivamente vi sia piaciuto, vi piaccia e lo faccia in futuro.
Ho finito il noioso e lungo spazio autrice, i prossimi non saranno così, giuro. Era solo per farvi capire il livello di idiozia della sottoscritta e presentarmi in modo decente. Ah, le regole della buona eduzione prevedono anche la presentazione con nome e cognome.
In tal caso sono Chiara, Chiara Stylinson per l’altro fandom, potete anche chiamarmi come vi pare, non ho problemi, e sono vecchia per molti fandom, but who cares? (ne sto abusando.)
Bene, visto che io l'ho tutto scritto, man mano che rileggerò posterò quindi credo ogni giorno, massimo due giorni aggiornerò. Capitemi sono 60 pagine, LOL
Bene, alla prossima, si spera non vi abbia fatto troppo schifo...
e..
 
Don’t blink!

P.s molte cose che accadono nelle prime parti, in queste  praticamente, saranno spiegate tutte alla fine della storia. 
A presto,
Bye bye (Pond).

P.p.s scusate evenutali errori, a volte mi scappano.

 

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Capitolo 2
*** Seconda parte. ***


Desclaimer: Nessuno dei personaggi citati mi appartiene, purtroppo. Non intendo offendere nessuno - come potrei, io li adoro tutti - e tutto ciò che ho scritto è stato fatto solo per il mio puro diletto, senza alcuno scopo di lucro, lo giuro, non guadagno nulla da questo. 
 
Credits: Alla mia Lu (che mi amerà per aver pubblicato subito la seconda parte) per il banner. Quell'angelo è figo, ma anche inquietante.
 
Avviso: Contiene fangirling. (lo ripeto sempre, perchè... meglio avvisare sempre. LOL)
Avviso2: Tutti i personaggi sono OOC, anche se ho cercato di rimanere quanto più IC ho potuto, spero di non aver cannato nulla. Ovviamente molte delle cose che dirò sono prese dalle varie serie, ma non tutto. Alcune cose, e teorie le ho inventate di sana pianta. (es. le deduzioni brillanti di Sherlock.)

 
 
Allons-y!
P.s come nel capitolo precedente, sul banner trovate la colonna sonora. 



 
Charlotte e il Dottore si scrutavano. Lui la guardava negli occhi alla ricerca di una risposta a quella domanda che le aveva porto, mentre lei lo guardava incredula. Non poteva davvero averglielo proposto, quello era un sogno, sicuramente, un bellissimo sogno, certo, ma pur sempre un sogno. Il Dottore, che le chiedeva di fare un viaggio con lui?
Con il dito indice indicò il proprio petto, guardandosi intorno. Magari era tornata Donna, e chiedeva a lei di viaggiare, ma con sua grande sorpresa non trovò nessuno. Possibile che l’avesse chiesto a lei?
“Vedi altre persone qui in giro?” – chiese il Time Lord, ridacchiando.
“N-No…” – negò scuotendo contemporaneamente la testa, e guardandosi intorno ancora. Magari c’era davvero qualcun altro, qualche alieno invisibile? Oh, probabile, con lui tutto era possibile, era il Dottore, d’altra parte.
“Allora, ti va di accompagnarmi? Non mi va di non fare nulla per tutto il giorno, e a te?”
“No… direi che… non ho niente di meglio da fare.” – sorrise, iniziando a sciogliersi leggermente. Finalmente iniziava a ragionare normalmente. Il Dottore l’aveva invitata a vedere il TARDIS all’interno, e le chiedeva anche di viaggiare con lui, per una volta, ma era sempre una cosa… fantastica.
“Allora?” – inclinò la testa, sorridendo dolcemente – “ti va?”
“Sì, sì, sì, sì!” – urlò la bionda saltando sul posto urlando felice. Sì che voleva andare con lui, non voleva altro nella sua vita, come poteva rifiutare una tale offerta, un tale privilegio?
“Perfetto, Allons-y!” – esclamò il Dottore, provocando un sorriso genuino e felice sulle labbra della ragazza.
“L’hai detto, l’hai detto!”
“Cosa?”
“Allons-y!”
“Oh adoro dirlo. Non sarebbe fantastico trovare qualcuno che si chiama Alonso?”
“Allons-y, Alonso?” – rise la ragazza guardandolo, mentre il Dottore sorrideva compiaciuto e azionava i comandi del TARDIS.
“Oh, l’ho detto una volta, è stato meraviglioso!” – rise – “dove ti piacerebbe andare?” – chiese subito dopo, guardandola. Aveva deciso che l’avrebbe accontentata, e l’avrebbe portata dovunque avesse voluto.
Lei si morse le labbra guardandolo. Oh, c’era un posto dove avrebbe sempre voluto andare.
In realtà ce n’erano due. E lei era indecisa, se andare in un posto o nell’altro.
“Sì… Camelot?” – chiese con un sorriso innocente sul viso, guardandolo supplichevole. Oh, amava le leggende arturiane, e avrebbe tanto voluto andare lì, a Camelot, quindi perché non chiedere quella?
“Appassionata di leggende arturiane, vero?” – chiese, appunto il Dottore, spingendola ad annuire. Oh, forse aveva sbagliato, forse non avrebbe dovuto chiedere proprio Camelot… forse…
Dannazione, lo sapevo di dover chiedere Verona del ‘500.
“E Camelot sia!” – trillò il Dottore, azionando tutti i meccanismi del TARDIS, e dopo un veloce scossone, partirono. – “allons-y, ragazza, allons-y, non è bellissimo dirlo?” – ridacchiò mentre pilotava la macchina spazio-temporale e la ragazza lo fissava ammirata, pendeva totalmente dalle sue labbra. Era affascinante vederlo all’opera, era elettrizzante viaggiare con lui e lui era… bellissimo. I capelli scuri, gli occhi di egual colore, la grande intelligenza.
“Raccontami qualcosa di te!” – le chiese subito dopo, fissandola dolcemente. Si era accorto che assorta com’era nei suoi pensieri non avesse detto nemmeno una parola, sembrava un fascio di nervi, e per farla sciogliere ci voleva solo una cosa: una bella chiacchierata lunga.
“Oh… non c’è niente di interessante su di me, davvero.” – rispose rammaricata. Lei non era nessuno in confronto alle altre che lo avevano affiancato, non avrebbe mai potuto essere una di loro, una tanto perfetta. Era solo… lei.
“Charlotte Ellis.” – la guardò con rimprovero – “nessuno è poco interessante. Forza, avanti, parla, ragazza che sa tutto su di me.” – la spronò sorridendo, cercando di tranquillizzarla, non voleva che si sentisse sottopression, ma era curioso. Lei sorrise ed annuì. Ecco un’altra cosa che adorava di quell’uomo, era sempre pronto a trovare il lato buono nelle persone, vedeva del bello ovunque, anche dove non c’era o non era mai esistito.
“Beh, mi chiamo Charlotte, ho diciotto anni, sono irlandese e non vado al college, e lavoro in un supermercato. Niente di particolare, davvero, uomo dello spazio” – lui rise scuotendo la testa, Donna lo chiamava sempre in quel modo.
“E la tua famiglia?”
“Numerosa. Vivo con mia madre, i genitori di mia madre, mio padre, mia sorella minore, e mia zia.”
“Wow, tutti insieme?” – ridacchiò guardandola – “immagino che non avrai privacy.”
“Nah, alla fine uno ci fa l’abitudine, basta trovare… l’equilibrio giusto.” – sorrise stringendosi nelle spalle.
“Che rapporto hai con tua sorella?”
“Strano, mi detesta.” – sospirò – “possiamo non parlarne?”
“Sì… certo.” – concordò. L’aveva visto il lampo di tristezza che aveva attraversato gli occhi della giovane, facendola intristire di botto. Le tirò subito su il morale con uno dei suoi sproloqui illimitati, e lei lo ringraziò con lo sguardo per aver smesso di insistere sul tasto dolente della famiglia. Perché forse, il Dottore l’aveva intuito, non aveva detto tutta la verità, ma non voleva turbarla, avrebbe chiesto altre notizie più tardi, non era urgente.
“Quindi… stiamo viaggiando nel tempo, ora?”
“In realtà, siamo arrivati.” – disse il Dottore – “e sì, l’abbiamo fatto. Attraverso il tempo… lo spazio…” – sussurrò con la voce misteriosa, spegnendo la macchina – “miglia e miglia…” – le prese la mano, mentre un brivido le percorreva la schiena – “ore ed ore…” – la condusse verso la porta del TARDIS, lei rabbrividiva sempre più forte e l’adrenalina era sempre più in circolo – “anni ed anni indietro…” – continuò con quella voce misteriosa, aprendo lentamente la porta – “ci hanno condotti…” – le sussurrò all’orecchio, mentre lei sentiva il cuore nel petto venire meno, scoppiare come una bomba ad orologeria – “a Camelot!” – esclamò con un urlo facendola sobbalzare. La trascinò fuori e le mostrò la Cittadella, dov’erano arrivati.
Mura di pietra, casette di legno, e mattoncini, l’imponente castello di fronte a loro, le bancarelle piccole e piene di oggetti artigianali, frutta e altre cose. I cavalieri dalle divise rosse e bronzee camminavano tra la gente, vigili. La ragazza si guardava intorno affascinata, senza lasciare la mano del Dottore.
“E’ tutto meraviglioso, santo cielo, è stupendo… oh Dottore, grazie!” – esclamò guardandosi intorno estasiata, lasciandogli la mano per guardarsi intorno meravigliata da quel posto, senza però perdere di vista il Dottore, forse per paura di perdersi, o  di qualcosa che non sapeva, gli era immensamente grata per averla portata lì, era irreale. Era così che si erano sentite tutte coloro che l’avevano accompagnato?
Un po’ imbarazzate, affascinate, sorprese e così incredibilmente piccole in confronto alla grandezza del tempo, del Time Lord, del TARDIS… era tutto così meraviglioso da non sembrare reale, era… un sogno? – “Dottore, ti prego, dammi un pizzico…” – mormorò, e il Time Lord ridacchiò pizzicandole una mano, per aiutarla a rendersi conto che tutto fosse vero e non fosse solo un sogno.
“Ci credi ora?” – le sorrise con gli occhi che sembravano risplendere, e che contornati da piccole rughe sembravano sorridere anch’essi, insieme al Dottore.
“Andiamo al castello, Dottore?” – gli sorrise annuendo.
“Posso scortarla io, miss Ellis?” – ridacchiò lui, porgendole il braccio, mentre lei lo accettava e insieme a lui si avviava per le piccole stradine di Camelot, facendogli altre mille domande sul luogo, sul tempo, lo spazio e tutto ciò che era il mondo del Dottore, e lui rispondeva entusiasta, allegro per aver trovato qualcuno così curioso e appassionato da fare domande su domande, milioni di domande, e lui amava rispondere alle domande in quanto amasse parlare tanto.
“No, John, non ha senso!” – urlò una voce da dietro un muro – “non possiamo essere finiti nel passato, è impossibile. Non è reale, d’accordo? Stiamo sognando.”
“Sherlock, non stiamo dormendo. E’ vero, siamo andati indietro nel tempo.” – ribatté un’altra voce con tono basso.
“Sarà… una festa cittadina.” – borbottò, mentre l’uomo accanto a lui alzava gli occhi al cielo.
“E come ci siamo arrivati, genio?”
“Non…” – si bloccò. Non era da lui dirlo, non poteva dirlo, era impossibile, lui avrebbe dato una spiegazione anche a quello – “siamo svenuti e ci hanno portati via, sarà uno scherzo di Moriarty.”
“E secondo te, quello che ha minacciato di ucciderti ci porta ad una festa cittadina?!” – sbottò l’altro, cercando di capire cosa frullasse nella testa del Consulting detective, il quale cercava di dare una spiegazione razionale ad una situazione totalmente irrazionale. Non potevano essersi spostati così velocemente da un luogo all’altro, non c’era spiegazione. Forse aveva ragione Sherlock, stavano dormendo. Erano profondamente addormentati… magari vicini, su un letto… scosse la testa velocemente non poteva pensare certe cose, non in quel momento.
“Probabilmente…” – sospirò il Consulting detective, non poteva arrendersi, doveva trovare una soluzione – “… è una delle sue sfide, tra un po’ invierà un messaggio e…” – controllò il telefono, ma quando accese il display, si rese conto che in quel luogo non potevano arrivare messaggi, non c’era segnale. Poi sentirono dei passi correre ed un uomo alto, con un cappotto marrone e un completo composto da giacca e pantalone grigi, camicia bianca, cravatta nera e converse rosse accompagnato da una ragazzina bassina dai capelli biondi, apparve dal nulla.
“Visto John? Gente normale, siamo ad una festa cittadina.”
“Ehm, no, credo che voi non siate a nessuna festa cittadina, signori…?” – disse il Dottore, appena arrivato, mentre la ragazza spalancava gli occhi, senza riuscire ad aggiungere nulla. Quelli non potevano essere… no, era impossibile.
Ora sto sognando, è impossibile…
“Sherlock Holmes, Consulting detective, e lui è il Dottor John Watson, il mio assistente.” – disse Sherlock presentando entrambi, mentre il Dottore rideva sotto i baffi - che non aveva - guardandoli decisamente divertito.
“Sì, beh, da quanto tempo state insieme?”
“Noi non stiamo insieme!” – sbottò John guardando male l’uomo che aveva appena detto ciò che tutti ripetevano loro ogni volta che li incontravano, e la situazione stava iniziando a diventare insopportabile e stressante, non era possibile che ovunque andassero lo scambiassero per una coppia. Il Dottore rise, e si girò verso la ragazza, che fissava la scena senza emettere fiato, non poteva ancora credere ai suoi occhi.
“Secondo te, stanno insieme?” – le chiese, lei per un attimo parve turbata, poi sorrise e annuì con energia.
“Oh, ma è ovvio!” – esclamò – “c’è un’evidente tensione sessuale tra loro, non credi Dottore?”
Sherlock spalancò gli occhi, insieme a John, entrambi si guardarono imbarazzati. John emise una sorta di tosse finta, e spostò lo sguardo sulle due persone appena incontrate.
“Voi due chi siete, invece?” – chiese il medico.
“Io sono il Dottore!”
“E io sono Charlotte Ellis, ma potete chiamarmi la Fangirl.”
“Mi piace come titolo.” – rise il Dottore guardandola. Ormai erano in sintonia, lei non era più timida in sua presenza, e lui non era più terrorizzato dalla mole di cose conosciute da lei. E ‘La ragazza fan’ era il titolo giusto per lei.
“Lei è un avventuriere, vero?” – chiese Sherlock guardandolo con un sopracciglio alzato. Non appena John captò quello sguardo, capì che Sherlock stava per fare una delle sue brillanti deduzioni.
“A dire la verità sono un viaggiatore, ma non mi dispiace il titolo di avventuriero, da cosa l’ha capito?”
“Il suo cuore batte ad un ritmo troppo veloce, ed è evidente che lei è adrenalinico. La posizione dei suoi piedi e quella tipica di chi è pronto a correre da un momento all’altro. Un cacciavite nella tasca della giacca costituisce… una sicurezza, come il cellulare nella tasca dei pantaloni pronto per essere preso, e le mani nelle tasche indifferenza. E’ anche abitudinario, i vestiti che indossa sono gli stessi di sempre. Un avventuriero abitudinario, ordinato ed elegante, oh sempre in cerca di una compagna, perché nei suoi occhi leggo tanta solitudine. Ha bisogno di qualcuno che l’accompagni nei suoi viaggi altrimenti non è contento.” – spiegò velocemente lasciando il Dottore con la bocca spalancata e la ragazza affascinata. – “la ragazza invece è emozionata, forse è la prima volta che fa una cosa del genere, gli occhiali fanno capire che è una studentessa, le dita magre dicono che sia una persona a cui piace scrivere, il rossore sulle gote dice che ora è in imbarazzo, ma affascinata e… sta per emettere un verso non conosciuto al genere umano, probabilmente per l’emozione. Una studentessa in viaggio, molto emotiva.”
Lei e il Dottore spalancarono gli occhi, ma ebbero reazioni differenti.
“Cosa?!” – esclamò il Dottore, guardandolo.
“Oh mio dio!” – urlò la ragazza – “ha fatto una deduzione su di me!” – esultò allegramente.
“Cosa?!” – ripeté il Dottore. John guardava la scena a metà tra il sorpreso, l’incredulo e il divertito. Non credeva di poter mai incontrare persone più strane di Sherlock, e invece…
“Oh, non si preoccupi, signor Dottore, fa sempre così, dopo un po’ si fa l’abitudine.” – spiegò John tentando di calmare il Dottore, che sembrava metà terrorizzato e metà sorpreso. Nella stessa giornata aveva incontrato una ragazza che sapeva tutto di lui, e poi un uomo che aveva capito chi fosse con uno sguardo. Era tutto… fantastico.
“Sono solo il Dottore, niente signore” – borbottò – “e poi il mio è un cacciavite sonico, non un cacciavite normale!” – protestò il Dottore, scatenando l’ilarità generale. Poi si sentì il trottare di un cavallo in lontananza, qualcuno stava per entrare nella cittadella, e loro dovevano spostarsi da quel punto, per non farsi vedere. Prima di tutto, tutti avevano bisogno di un cambio d’abito. Non potevano circolare vestiti come persone del ventunesimo secolo, in una città che era della fine del quinto secolo, o inizio sesto secolo, circa. Poi avrebbe chiarito con i due personaggi appena arrivati come fossero giunti lì. Forse si era aperto un varco spazio-temporale da qualche parte, o forse c’era qualcosa che collegava le due epoche. I cavalli si avvicinavano sempre di più, fino a che le figure non furono identificate. Uno sembrava essere un principe, e l’altro un servitore, forse potevano parlare con loro per delle ‘informazioni’.
“Ma quelli sono Arthur e Merlin!” – esclamò Charlotte, indicando le due persone a bordo dei cavalli. Il Dottore spalancò gli occhi, perché Arthur era un ragazzino, o cosa? Non era il Re che ricordava di aver conosciuto, forse aveva impostato male qualcosa, ed erano finiti all’epoca in cui era un ragazzino e non era ancora re, sì, molto probabile.
Probabilmente i due sentirono ciò che la ragazza aveva detto, e fermarono i cavalli. Il ragazzo biondo scese per primo e guardò verso di loro.
“Sì, sono il Principe Arthur Pendragon, voi chi siete, milady?” – fece un breve inchino, incitando il suo servo a scendere da cavallo, lasciando dietro ai loro cavalli i due ‘prigionieri’.
“Oh, lei è Lady Charlotte di Ellis. E’ un regno molto lontano da qui, io sono John Smith, cavaliere di Ellis” – tirò fuori dal cappotto la sua carta psichica, che mostrò ad Arthur che lui avesse ragione.
“E’ un vero onore ospitarvi nel nostro regno, permettetemi di scortarvi fino al castello” – fece il principe facendole il baciamano, mentre Charlotte arrossiva e Merlin lo guardava disgustato. La notte prima stava per baciarlo, e... adesso faceva la corte ad una donna? Cosa aveva quell’idiota – regale – di sbagliato nel cervello? E no, non era geloso.
“Come mai non avete un cavallo, Lady Charlotte?” – chiese il servitore, e la ragazza spalancò gli occhi guardando il Dottore supplichevole. Lei non sapeva mentire, ed era evidente, mentre il Dottore era capace di farlo, era un mago?
“Siamo stati aggrediti” – annuì e indicò John e Sherlock che non avevano aperto bocca. Il medico era intento a fissare l’amico che rischiava una seria crisi di nervi a causa di tutto quello stress accumulato quel giorno fatidico, in cui stavano solo indagando. – “e loro due ci hanno salvati e condotti qui.”
“Siete anche voi di Ellis?” – chiese Arthur, guardando Sherlock e John.
“Sì!” – rispose prontamente il medico – “sì, veniamo da lì, venivamo qui per un viaggio di…”
“…nozze? Siete sposati?” – chiese Merlin impertinentemente, guadagnandosi un’occhiataccia da Arthur, che lo incitava  a stare al suo posto e non parlare a sproposito come suo solito.
“No, no. Non stiamo insieme.”
“Sembrano una coppia, vero…?” – chiese la ragazza, fingendo di non sapere chi fosse il servitore, anche se moriva dalla voglia di stringergli la mano.
“Merlin, sono Merlin, Lady Charlotte.” – le disse facendo una riverenza, e rivolgendole  un caldo sorriso, le prese la mano baciandogliela. Arthur gli diede uno schiaffetto sulla nuca, facendo storcere il naso al mago, che lo guardò torvamente. Si rialzò e lo guardò negli occhi, rivelandogli con quelli tutta la gelosia che aveva provato.
“Suppongo che ad aggredirvi siano stati i due tipi pericolosi che stanotte hanno turbato la quiete del lago?” – chiese Arthur indicando i due tipi legati ai cavalli, che si erano ritrovati disarmati e senza difese a causa della magia di Merlin, che aveva agito indisturbato prima che Arthur lo raggiungesse. La notte prima, infatti, quando aveva sentito qualcuno urlare il suo nome era accorso, trovandosi di fronte i due ragazzi che, con dei pezzi di legno in mano, quasi non si ammazzavano a suon di fasci colorati. Aveva quindi provveduto a far schiantare uno dei pezzi di legno contro un albero distruggendolo, e tenere l’altro per sé, per farlo studiare da Gaius, e quando Arthur era arrivato, aveva dovuto dire lui che erano stregoni – dannazione, li aveva visti compiere magie che anche per lui erano strane, davanti a lui. Non poteva rischiare, non quella volta. Non quando stava per rivelare tutto ad Arthur.
Il principe li aveva arrestati, e legati ai cavalli. E durante la notte, quando tutti dormivano, Merlin aveva provveduto a bloccare i loro poteri per un po’, per renderli innocui. Non poteva rischiare che qualcuno facesse del male ad Arthur in sua presenza e quella mattina, tornando un giorno prima dalla gita nel bosco, li stavano conducendo al palazzo.
“Eh sì!” – esclamò il Dottore, mentre la ragazza rimaneva spiazzata nel riconoscere altre due persone che lei credeva facessero parte solo della sua fantasia. Quelli erano Harry Potter e Draco Malfoy. Doveva essere per forza un sogno, non c’era altra risposta a tutti quegli eventi.
“Allora vi scorterò personalmente al mio castello, e vi darò qualcosa con cui cambiarvi… avete una moda strana ad Ellis.” – ridacchiò il principe invitandola a salire sul suo cavallo, e invitando il Dottore a salire su quello di Merlin, mentre il servitore restava a terra, e seguiva a piedi i cavalli insieme a Sherlock e John, che sembravano ancora turbati per tutta quella storia. Non era reale, non poteva esserlo. Insomma, principi, servitori… sparizioni improvvise, loro che si ritrovavano in quella realtà…? Da cosa poteva dipendere?
Un incubo generato dall’assenza di nicotina e di adrenalina per nuovi casi. Ecco qual era la causa di quell’incubo per Sherlock. Non c’erano altre spiegazioni plausibili.
“Quella è una spada vera, John” – borbottò tremando per un solo attimo, indicando la spada che penzolava dal cinturone di Arthur; recuperò subito il contegno, ma questo non fermò John, che gli prese la mano e ne accarezzò dolcemente il dorso con il pollice.
 
Una volta giunti al castello, subito Charlotte fu affidata ad alcune serve, tra le quali c’era Ginevra, una ragazza dai capelli scuri, come gli occhi, e la carnagione, serva de castello, e futura moglie di Arthur, e questo provocò un’espressione disgustata sul viso della giovane Charlotte, che la seguì, fino ad una stanza, dove le furono concesse le cure di cui necessitava. Intanto il Dottore era rimasto solo con Sherlock e John, in un’altra e si apprestava a scoprire qualcosa sull’arrivo misterioso di quelle persone, ed aveva richiesto espressamente di interrogare i due prigionieri, per capire anche loro da dove provenissero. Era impossibile per lui capire cosa fosse accaduto, non se lo spiegava, non ancora, almeno.
Tutti spiegarono cosa stavano facendo prima di ritrovarsi lì, e il Dottore spalancò gli occhi, non potevano essere loro, non di nuovo quell’incubo.
“E c’erano statue nei dintorni?”
“Che c’entrano le statue?!” – chiese sbottando Sherlock, non aveva senso, non esistevano statue in grado di spostare persone nel tempo e nello spazio.
“Sì… ora che ci penso, c’erano delle statue simili a degli angeli, che si coprivano il viso, ai Kensington Gardens.” – rispose John, ignorando le proteste di Sherlock, che non si capacitava di tale cosa.
“Sì, anche da noi… gli angeli che piangono, li ho visti, vicino alla statua della Strega.” – rispose Malfoy, precedendo Potter che si era fermato a riflettere su cosa fosse successo mentre stavano duellando.
“Oh no, no, no!” – esclamò il Dottore, passandosi una mano sul viso.
“Anche qui a Camelot stanno sparendo le persone misteriosamente” – disse Merlin entrando nella stanza, Gaius gli aveva detto che c’era qualcosa che non andava ed erano arrivate persone da altri tempi, Merlin l’aveva capito subito che fossero estranei anche alla sua epoca, non era stupido.
“Ci sono statue?” – chiese subito il Dottore, e Merlin prontamente annuì.
“Sì, ce ne sono tante, ma recentemente il re ne ha acquistate alcune… di angeli che hanno il viso coperto. Devo ammettere che sono inquietanti.”
“I Weeping Angels.” – disse subito il Dottore, ecco la spiegazione. La gente spariva dalle città, si ritrovavano persone di altri tempi nel quinto secolo, e nuove statue erano state acquistate in quel periodo specifico. Era evidente, perché non ci era arrivato subito? Si erano risvegliati.
“Cosa sono?” – chiesero tutti contemporaneamente, tranne Sherlock che voleva restarne fuori. Statue? Non era possibile, erano robot, ovvio. Opera di Moriarty, lui lo sapeva. Prima o poi avrebbe ricevuto un messaggio..
“Sono... creature di un altro mondo, ovvio, vengono chiamati gli assassini solitari.” – spiegò il Dottore, e allora Sherlock sentì di dover intervenire, perché era… assurdo.
“Sono statue!” – esclamò – “statue di roccia!”
“Solo quando le guardate. Basta battere ciglio e allora possono ucciderti, cioè, non ti uccidono davvero, diciamo che ti spostano in un'altra dimensione spazio-temporale. E la città ne è piena.”
“E perché si coprono gli occhi?” – chiese ancora, non voleva crederci, non poteva crederci.
Il Dottore alzò le spalle. – “Perché se si guardano, sono morti.”
“Allora abbiamo la soluzione!” – esclamò John – “basta che si guardino, no?”
“Non è così facile, non possiamo distrarci, se ne abbiamo uno davanti non dobbiamo battere ciglio, né voltare le spalle. Dobbiamo fissarli perché altrimenti… siamo morti.”
“Ma da dove vengono?” – si intromise Merlin.
“Nessuno lo sa, ma sono vecchi quanto l’universo, più o meno.” – rispose prontamente il Dottore. E fece così per tutte le domande che gli venivano poste ‘perché non possono essere uccisi?’ ‘come fanno ad ucciderti?’ ecc… fino a che Sherlock non perse la pazienza, non ne poté più di tutte quelle assurdità, di quelle cose non reali, di quelle parole che non stavano né il cielo né in terra.
“Ma lei chi è? Come fa a sapere tutte queste cose?” – sbottò – “non sono reali, non è possibile! Angeli piangenti, assassini solitari, questa è un’assurdità, sono tutte assurdità!”
“Sherlock…” – fece John cercando di calmarlo – “non è il momento.”
“Lasciami stare!” – alzò la voce, sembrava sottoshock, o qualcosa del genere, ma era solo frustrazione per non poter dare una soluzione razionale a tutto quello, era una situazione totalmente irrazionale, e non era per lui.
“Sono un Time Lord, l’ultimo Time Lord, sono del pianeta Gallifrey, nella costellazione di Kasterborous, ho novecentoquattro anni, e sono colui che riporterà tutti voi a casa, e libererà questa città da quella minaccia.” – disse pacato il Dottore, mentre Charlotte entrava nella stanza, e si fermava con un sorriso idiota sul viso, a fissarlo ammirata.  – “ti basta?”
Sherlock boccheggiò, e John lo prese per le spalle, dicendo che l’avrebbe portato a riposare, nella stanza affidatagli da Arthur. Sherlock sperava di svegliarsi la mattina dopo al 221B di Baker Street.
“Cosa succede, Dottore?” – chiese Charlotte entrando.
“Weeping Angels, Charlotte. Volevi un’avventura? Eccola servita su un piatto d’argento.” – sorrise, contagiando anche lei. Era eccitante per lui trovare alieni ovunque.
“Proprio loro?” – borbottò – “non potevano essere Daleks? O Vashta Nerada?” – chiese sconsolata – “o i Cybermen?”
“No, purtroppo.” – ridacchiò il Dottore.
“Oh Dottore, ci aiuterete, vero?” – chiese Merlin, guardandolo. Lui annuì e decretò che avrebbe chiesto aiuto al Torchwood. Jack gli doveva ancora un favore, e sarebbe stato propenso a mandare qualcuno dei suoi uomini a dare una mano a tutti gli altri. Era notte fonda, e non potevano rischiare di incontrare una statua e finire morti.
“Domani mattina io e te, Charlotte, andremo a Cardiff. Ti va di incontrare Jack Harkness?”
“Oh… sì, sì!” – esclamò – “andiamo pure!”
Il Dottore rise. Adorava quella ragazza, riusciva a trasmettergli allegria – non come Donna, ma ci riusciva – ed era incredibilmente preparata quasi su tutto. Se non fosse stata umana, quindi con un solo cuore, l’avrebbe scambiata per una della sua specie per quanto fosse intelligente, stessa cosa valeva per quello Sherlock, anche se aveva la mente fin troppo chiusa per essere un possibile viaggiatore del tempo.
 
Quando la mattina dopo albeggiò, Charlotte e il Dottore, già pronti, con l’aiuto di Merlin uscirono dal castello, recandosi in fretta nella Cittadella, dove avevano lasciato il TARDIS. Sherlock e John dormivano ancora, mentre Malfoy e Potter, i due prigionieri erano stati scortati nelle prigioni da Arthur stesso la notte prima.
Era meglio per il momento che il giovane Pendragon non sapesse ancora niente delle statue, né della loro vera identità. A Merlin era stato affidato il compito di tenere Arthur lontano dalla Cittadella, in modo da non permettergli di entrare in contatto con esse, che avrebbe significato solo ‘morte’ per lui.
Una volta arrivati al TARDIS, il Dottore e la ragazza vi entrarono velocemente, chiudendosi la porta alle spalle, stavano per ripartire quando il Dottore ricordò di dover dare a Merlin degli avvertimenti, per tanto riaprì la porta e lo guardò.
“Oh… dimenticavo. Non battere ciglio, cerca di non farlo, se lo fai sei morto, non voltare le spalle, non distogliere lo sguardo, e non battere ciglio. Buona fortuna.” – disse velocemente, prima di ritornare dentro, lasciandosi alle spalle un Merlin spaventato, con gli occhi spalancati, sotto lo sguardo affascinato di Charlotte, che ormai non sapeva più come tessergli le lodi. Lo ammirava davvero tanto, ma vederlo all’opera era pazzesco, non ci si poteva abituare a tutto quello.
“Lo hai terrorizzato, lo sai?”
“Bisogna essere prudenti.” – annuì velocemente a sé stesso, mettendo in moto il TARDIS, impostandolo nella Cardiff del ventunesimo secolo, quasi vicino la base del Torchwood.
“Siamo tutti in pericolo, vero?”
“Sì… credo di sì. Insomma, credo si sia aperto un tunnel spazio-temporale a causa degli angeli, devo capire la situazione anche nella nostra epoca e… speriamo vada tutto bene” – disse stranamente serio. Fin dalla sera prima era stato allegro, divertente… e in quel momento era così serio da far quasi spavento.
Charlotte lo guardò mordendosi un labbro, non era brava a rassicurare le persone, né tantomeno poteva farlo con il Dottore, insomma, era il Dottore, non aveva bisogno, ma l’indole della ragazza la spinse ad avvicinarsi a lui e a sorridergli in modo rassicurante e dolce.
“Dottore, io mi fido di te, ce la faremo. Tu ce la fai sempre.” – gli disse con gli occhi che brillavano di ammirazione, fiducia e qualcosa che il Dottore non afferrò subito, ma che lo spinse a sorridere ed annuire. Sembrava aver recuperato la carica di quel pomeriggio e Charlotte non poteva esserne più felice.
“Hai ragione, io posso fare tutto.” – sorrise – “al Torchwood, allons-y!”
La ragazza sorrise, vedendo che il Dottore aveva riacquistato il comportamento di sempre e dopo un rapido scossone, finalmente la macchina spazio-temporale partì, arrivando in breve tempo a Cardiff. Il silenzio aveva regnato, però, nella nave fino all’arrivo lì. Probabilmente il Dottore stava valutando la situazione, stava cercando di capire come fare, come risolvere tutto come al solito, e Charlotte non aveva parlato, era stata buona e in silenzio al suo posto, per tutto il tempo, osservandolo ammirata ed estasiata dalla sua abilità.
Una volta arrivati lì, uscirono entrambi dalla cabina. Era notte, dovevano essere intorno alle undici di sera, e Charlotte non era ancora abituata, era come se non fossero passate le ore in Gran Bretagna, quando a Camelot era passata una notte. Era tutto strano, ma allo stesso tempo, fantastico. Il Dottore la chiuse a chiave, affidandola alla ragazza, e insieme si avviarono alla sede del Torchwood, dove lavorava Jack Harkness, un ex compagno del Dottore, che innumerevoli volte lo aveva aiutato nelle situazioni più complicate. Nessuno dei due però, incamminandosi si era accorto che la chiave, mentre Charlotte cercava di metterla in tasca, fosse caduta per terra ed ignari si erano allontanati.
La biondina non lasciava mai il braccio del Dottore, per paura di perdersi, e dopo qualche metro, arrivarono alla sede Torchwood. Si bloccarono esattamente lì fuori. Il Dottore prese il suo cacciavite sonico, ed aprì la porta d’ingresso, giustificandosi con “lo faccio solo per l’effetto sorpresa!”, poi lenti, con passo felpato, arrivarono all’interno, e trovarono tutti in agitazione. C’erano tre persone, e tutte e tre sembravano alquanto presi, fino a che Jack non si rese conto dell’ “intruso”.
“Dottore?” – chiese stranito. Come aveva superato le difese? Ma non importava, era sempre il Dottore – “Dottore!” – urlò correndo verso di lui e abbracciandolo. Si erano lasciati mesi prima, dopo aver sconfitto il Master, e non si erano più incontrati, fino a quel giorno. Jack lo strinse forte sotto gli occhi gelosi di Ianto, quelli sorpresi di Gwen, e quelli felici di Charlotte, che espresse il suo apprezzamento per la scena scattando una foto con il suo cellulare e lanciando un urletto tipico di una… fan.
Dopo l’abbraccio dei due, seguirono le presentazioni di tutti, e la ragazza non poté fare a meno di abbracciare Jack e da lui lasciarsi abbracciare, che lo fece solo perché quando stava per tirarsi indietro il Dottore lo aveva fulminato con lo sguardo, suggerendogli con quello di accontentarla per ogni cosa che volesse fare.
“Allora, Jack, succedono cose strane qui?”
“Sì. Strane sparizioni, ma nessun alieno in circolazione.”
“Dannazione, lo sapevo. Sono i Weeping Angels. Devi venire con me, e risolvere la questione all’origine.”
“Lo sai che ti seguirei anche fino alla fine dell’universo.”
“L’hai già fatto.” – sottolineò il Dottore, lasciandosi scappare una mezza risata, seguito dal capitano.
“Perfetto, dove si va?” – chiese immediatamente.
Amava viaggiare con lui, ogni volta era una nuova avventura, ogni volta c’erano cose diverse da vedere, ogni volta era un brivido di adrenalina in più, e niente poteva essere meglio di quello.
“Camelot.” - rispose prontamente il Dottore, mentre Jack spalancava gli occhi. Quell’uomo era formidabile, non c’era un momento in cui fosse fermo, da quando lo conosceva, Jack non l’aveva mai visto fermo a non fare nulla.
“Allora, quando si parte?” – chiese entusiasta.
“Ora.” – fece lapidario il Dottore, mentre l’altro esultava internamente.
“Io vengo con voi.” – finalmente la voce di Ianto fece capolino, si guadagnò un’occhiataccia da Jack, che stava per ribattere quando il Dottore:  “Fantastico, due mani in più fanno sempre comodo, signor…?” – si intromise.
“Jones, Ianto Jones.” – rispose l’altro, con un leggero sorriso sul viso.
“Bene, allora… Allons-y!”
 
Harry e Louis erano sfiniti. Stavano correndo da circa mezz’ora da quando avevano lasciato la macchina, si erano rifugiati in un vicolo e quasi addormentati lì, per fortuna dopo un attimo di buio si erano ripresi, ed avevano ricominciato a correre, ma forse qualcuno si era accorto che fossero spariti nel nulla, e aveva tentato di rintracciarli, e avevano il presentimento che Paul, la guardia del corpo, li stesse già cercando. Louis stringeva fortissimo la mano di Harry, per paura di perderlo. Correvano nei vicoli, in modo da non essere visti dai paparazzi. Non era previsto che si trovassero senza auto, e arrivare ai mezzi di trasporto a quell’ora di sera, senza essere visti, era pressoché impossibile.
“E’ stata una pessima idea, Harry, pessima!” – urlò Louis fermandosi per recuperare fiato, e rimproverando il fidanzato che aveva avuto la brillante idea di fuggire via per riposare, invece di riposare stavano correndo come forsennati.
“Dai, amore, è divertente!” – ridacchiò – “sembriamo due furfanti.”
“Appunto, ed è colpa tua!” – sbottò Louis, isterico come al solito. Non sopportava quando Harry lo prendeva in giro.
Harry scoppiò a ridere, adorava quando Louis diventava leggermente isterico perché si era trovato in una situazione scomoda, non affatto conveniente per lui. Gli baciò le labbra dolcemente e lo guardò negli occhi con il sorriso sulle labbra, Louis perse un battito del cuore, come ogni volta che Harry gli riservava qualche attenzione particolare.
“Perdonami… ma c’è una cabina telefonica, chiamiamo un taxi e andiamo a casa.” – indicò con il dito un paio di metri più avanti a loro, dove una cabina telefonica svettava. Era un posto un po’ strano dove mettere il telefono, ma… non importava, c’era una via d’uscita, non avrebbero dovuto dare spiegazioni, potevano andare a casa e riposare.
“Ma ci riconosceranno…” – cercò di obiettare Louis, senza successo.
“Fingerai di star male, sei bravo a recitare, no?” – Louis odiava le frecciatine di Harry, ma il riccio era fatto così, ogni tanto doveva sottolineare acidamente quanto fosse contrario alla relazione finta di Louis con la Calder. Non la sopportava, era la gelosia a parlare per lui, ma era arrivato ad un punto in cui non sopportava più nulla. Louis si ritrovò costretto ad annuire, e con Harry si avvicinò alla cabina. Il riccio tentò di aprire la porta, ma sembrava bloccata. Forse era vecchia, e quindi inutilizzata. Poi notò un piccolo luccichio per terra, e notò la chiave.
Perché qualcuno sano di mente, avrebbe dovuto chiudere a chiave una cabina del telefono?
La raccolse da terra, e notò che la cabina avesse davvero una serratura. La cosa era sempre più strana, ma avevano bisogno di quel taxi, subito. Inserì la chiave nella serratura e aprì la porta. Una volta dentro, spalancò gli occhi.
“Oh mio dio, è più grande all’interno!” – urlò, e iniziò a girare per ‘la cabina’, guardando ogni piccolo angolo, ogni centimetro di essa. Era un piccolo patrimonio tecnologico, anche se Harry non capiva affatto come si utilizzasse.
Louis non capì subito, ma sentendo l’urlo di Harry si preoccupò non poco, e corse all’interno della cabina abbandonata, spalancando anche lui gli occhi.
Com’era possibile?
Uscì fuori per capire come fosse possibile, ma poi dei passi vicini lo spinsero a chiudere in fretta la porta. Doveva dirlo ad Harry, dovevano nascondersi. Erano finiti in qualcosa di più grande di loro, e non potevano scappare.
Perché quella cabina era enorme all’interno?
Perché era chiusa?
E perché la chiave era per terra?
E se li avessero rapiti?
“Harry!” – urlò al compagno, terrorizzato. Non sapeva cosa stava accadendo e quelle persone si avvicinavano, aveva una brutta sensazione, davvero tremenda, e doveva sbrigarsi ad avvisare Harry, erano in pericolo, qualcuno poteva fargli del male, e lui non voleva che ad Harry avessero fatto del male, ne era sicuro, il riccio avrebbe lasciato che ne facessero a lui, piuttosto che permettergli di farne a Louis. Il castano ne era certo.
“Cosa c’è, amore?” – chiese Harry – “mio dio, hai visto che figata questo posto? C’è anche un computer!” – esclamò indicando con il dito uno schermo su cui comparivano dei segni strani.
“Harry, siamo in pericolo, ci sono persone che si avvicinano, e se fossero i padroni di questa… cosa?” – chiese allarmato, facendo distaccare il giovane Styles da tutto ciò che stava osservando.
Dovevano nascondersi, ma dove? Quella ‘cabina’ era tanto grande, ma non aveva nessun posto utile per potersi nascondere, e… dove dovevano andare?
Louis tremò ed Harry si premurò di abbracciarlo e stringerlo forte. Non potevano nascondersi, e qualcuno si stava avvicinando. Non sapeva se sarebbero sopravvissuti o no, quindi fece la prima cosa che gli venne in mente di fare. Lo afferrò per i fianchi e lo baciò dolcemente. Louis parve sorpreso, invece di cercare un riparo, lo baciava?
Forse era vero, non dovevano preoccuparsi troppo, forse era l’ultima occasione, aveva ragione Harry, dovevano solo stare insieme. Si erano cacciati in un guaio con le loro stesse mani, e ormai non potevano far nulla.
Le voci erano vicinissime.
“Charlotte, la chiave?” – chiese una voce maschile. Louis si irrigidì tra le braccia di Harry, che lo strinse più forte a sé, come per proteggerlo da coloro che stavano per entrare.
“Ehm… non ce l’ho.” – disse una voce femminile. Il castano si lasciò leggermente andare, tra le braccia di Harry. Avevano una possibilità per farcela, per non farsi male. Dovevano solo stare tranquilli, loro non potevano entrare, la chiave l’avevano loro.
“Come non ce l’hai?” – strillò l’altra voce – “okay, okay. Sarà qui intorno, da qualche parte. Jack, cercala!” – esclamò.
“Scusa… io… non lo so, l’avevo messa in tasca.” – sospirò la ragazza – “m-mi dispiace, i-io non volevo… oh cavolo, sono inutile… io…”
“Ehi, tranquilla. Ho sempre lo schiocco di dita per aprirlo, d’accordo?” – le disse con la voce inclinata alla dolcezza, e i due ragazzi all’interno della cabina sbiancarono. Cos’era, uno strano sogno in cui erano piombati?
Cabine all’interno più grande, un uomo che poteva aprirla con uno schiocco di dita…
Tic.
La porta si spalancò, rivelando i due ragazzi, che davanti al pannello di controllo del TARDIS si abbracciavano. Uno tremava, l’altro cercava di rassicurare l’altro.
“Harry Styles e Louis Tomlinson!” – urlò la ragazza, guardandoli estasiata. Erano loro, erano davvero loro.
Si portò una mano tra i capelli, ridendo. C’erano anche loro in tutta quella storia, era… fantastico, davvero fantastico.
“Ecco, abbiamo capito chi ti ha rubato la chiave, Charlotte.” – disse l’uomo con i capelli scuri, rivolgendosi alla ragazza, mentre i due ragazzi spalancavano gli occhi. Louis iniziò a tremare, mentre l’altro lo spinse dietro di sé, proteggendolo. Anche se erano stati riconosciuti, quelle persone potevano avere cattive intenzioni, e lui non avrebbe mai permesso a nessuno di far del male a Louis.
“No, noi…”
“Silenzio!” – proruppe l’altro uomo, quello grosso, con un fucile enorme in mano, mentre un altro moro dietro di lui, gli faceva abbassare l’arma. – “anzi ditemi. Di che razza siete? Perché volete rubare il TARDIS?”
Louis sbiancò. Erano dei neonazisti?
Ci mancava solo quello.
Avrebbe preferito un esercito di fan agguerrite pur di avere un autografo, piuttosto che quel tipo di fronte. Era inquietante.
“N-non vogliamo ru-rubare nulla, d-davvero…” – balbettò il riccio, leggermente a disagio. Voleva solo proteggere Louis, a lui potevano fare di tutto, ma non dovevano toccare Louis.
“Da che pianeta venite?” – chiese l’altro uomo con il fucile.
“Jack, Ianto, posate i fucili!” – urlò la ragazza, mettendosi davanti ai due. – “sono due cantanti, li conosco! Li state spaventando a morte, suvvia!”
“Parleranno durante il viaggio, dobbiamo andare via, subito” – interruppe l’altro, il primo che era entrato. Tutti gli altri annuirono, e finalmente quelli che si chiamavano Jack e Ianto abbassarono le armi, posandole per terra, ed andarono ad aiutare il Dottore a mettere in moto il TARDIS, mentre la ragazza si avvicinava a Harry e Louis per tranquillizzarli. Porse gentilmente la mano al riccio sorridendo.
“Io sono Charlotte Ellis, loro sono Jack Harkness” – indicò il castano che fece un gesto veloce con la mano in direzione dei due nuovi arrivati – “Ianto Jones” – indicò l’altro, che fissando Jack ammirato, non notò che si riferissero a lui – “e il Dottore” – indicò l’ultimo che fece un sorriso esclamando un “Eeehi!” e i due sorrisero leggermente più rilassati. Nessuno voleva fargli del male allora. – “Jack fa solo paura, non è in grado di far del male ad una mosca.”
“Questo lo dici tu, dolcezza, posso fare molto male se lo voglio.”
“Jack, non ora.” – sbottò il Dottore, riportandolo all’attenzione – “piuttosto vieni a darmi una mano”
“Agli ordini, capo!” – esclamò il capitano, andando accanto al Dottore, che gli diede le indicazioni da seguire.
La ragazza prese per le mani i due ragazzi e li fece appoggiare contro una parete dell’interno della cabina, scrutandoli intensamente. I due non avevano aperto bocca da quando erano entrati, ed erano leggermente spaventati. Spiegarono velocemente a lei cosa ci facessero lì, e perché avevano pensato di nascondersi nella cabina.
“Quindi state insieme?” – chiese. Il suo animo da Larry shipper, prese il sopravvento, facendole fare quella domanda fatidica, a cui sicuramente sarebbe seguito un ‘no’, ma lei ci aveva provato.
“Sì.” – rispose immediatamente Harry, sbalordendo il fidanzato, che si strinse a lui – “se morirò almeno mi sarò tolto questo peso. Sì, stiamo insieme, amo Louis, lo amo tantissimo.” – confessò, mentre sul viso del suo ragazzo spuntava un sorriso dolcissimo, e incantato. Harry aveva fatto centro di nuovo.
La ragazza esultò, abbracciandoli entrambi, felice che lei avesse da sempre ragione, quei due si amavano ed era ovvio. Ora ne aveva la certezza assoluta.
“Sono contenta per voi, davvero tanto.” – sorrise guardandoli. Harry si voltò verso Louis, scrutando il suo viso. Era perplesso, felice e… qualcosa che non ancora capiva, dopo tre anni, Louis era ancora un mistero per lui.
“Lo dici tu al neonazista che siamo innocui?” – chiese Louis, ancora spaventato da Jack. E allora Harry sorrise, perché sapeva che quello era il modo di fare di Louis felice ed imbarazzato, cambiare argomento.
Anche se, tutto sommato, aveva fatto bene, quel tipo era davvero inquietante, soprattutto con quei fucili tra le mani. Non che Harry si lasciasse spaventare facilmente, ma… doveva ammettere che quello l’aveva spaventato parecchio. Non si vedevano tutti i giorni fucili di quelle dimensioni.
“Neo cosa? Chi?” – chiese la ragazza alzando lo sguardo verso gli altri – “intendi Jack?” – chiese a Louis, che annuì immediatamente. Jack, quel tipo inquietante, con il fucile enorme che aveva chiesto delle razze. Non si incontrava mica tutti i giorni una persona del genere, dannazione. Charlotte scoppiò a ridere. Jack neonazista? Quella era un’assurdità bella e buona.
“Oh, no, no!” – esclamò – “lui non è un nazista, tranquillo, vero capitano?!” – urlò nella sua direzione.
“Oh li ho conosciuti i nazisti, gente non raccomandabile, non sono uno di loro mi dispiace!”
“Già…” – concordò il Dottore – “che brutta persona Hitler, io l’ho conosciuto, sapete?” – chiese, guardando espressamente Charlotte, che parve pensierosa. L’aveva beccata, una cosa su di lui che non sapeva, finalmente.
“Okay, mi beccata. Questa non la sapevo. Ma è l’unica!” – sbuffò incrociando le braccia al petto, mentre il cosiddetto Dottore si lasciava andare in una sonora risata insieme al capitano Jack e il ragazzo silenzioso, Ianto.
I due cantanti spalancarono gli occhi. Che assurdità erano mai quelle? Come avevano potuto quelle persone incontrare Hitler se non sembravano essere così anziani? Anzi, erano giovani e… Jack maneggiava bene i fucili, un vecchietto non ce l’avrebbe mai fatta. Rabbrividirono di nuovo, e si schiacciarono contro la parete, cercando di sparire. Come potevano trovarsi in quella situazione, perché non li avevano lasciati andare?
“Io lo sapevo che dovevamo restare con gli altri…” – mormorò Louis con il volto affondato nel collo di Harry, mentre il riccio lo stringeva per un fianco, e lo rassicurava dicendogli che sarebbe andato tutto bene, che l’avrebbe salvato a qualsiasi costo. Era pronto a tutto pur di salvare Louis, e non avrebbe permesso a nessuno di nuocere alla salute del suo fidanzato, era una promessa che faceva a se stesso e a Louis, l’avrebbe protetto, costasse quel che costasse.
“Dov’è che andiamo?” – chiese Harry, spaventato appena.
“Camelot.”
 
Intanto a Camelot, Merlin, rimasto fuori dalla cabina, ancora non capiva cosa dovesse fare. Insomma, gli aveva detto di non battere ciglio, non davanti alle statue, perché se quelle erano fissate da esseri viventi, allora erano immobili. Forse era per questo che agivano solo di notte, quando tutti dormivano e nessuno li guardava, ecco perché la gente spariva di notte, non perché – come sosteneva Uther – potenziali stregoni fuggivano dalla città, ma perché sventuratamente venivano uccisi da quelle statue.
Dovevano stare attenti, molto attenti.
Ritornò velocemente al castello, sperando che Arthur dormisse ancora, ma quando entrò nelle sue stanze, lo trovò già in piedi, con le braccia conserte al petto e un’espressione adirata sul viso.
“Dove. Sei. Stato?” – sibilò – “perché Lady Charlotte fuggiva con te stamane?” – chiese afferrando la spada, e avvicinandosi minacciosamente a lui – “perché Merlin, perché?!” – urlò brandendo la spada, spingendo il povero servitore ad indietreggiare.
“Arthur, Arthur calmatevi!” – urlò parandosi il viso con le mani terrorizzato. Non aveva mai visto il principe così furioso, almeno non di prima mattina. La mattina Arthur era docile, quasi dolce, e a Merlin faceva sempre tanta tenerezza, ma quella mattina qualcosa aveva fatto scattare la sua ira, qualcosa che nemmeno il servo comprendeva.
“Allora sarà meglio per te che mi risponda.” – sussurrò minacciosamente ad un palmo dal suo viso. Lo sguardo di Merlin si spostò dalla spada al petto nudo del principe, e inevitabilmente il giovane mago arrossì visibilmente, notando la spaventosa vicinanza con il suo stramaledettissimo principe.
Perché la sua vicinanza gli faceva quell’effetto disastroso?
“Lady Charlotte… voleva fare una cavalcata… le ho mostrato la strada sicura e John Smith l’ha accompagnata, tutto qui…” – deglutì, e poi sospirò vedendo che la spada di Arthur si allontanava da lui, aveva temuto il peggio per un attimo.
“Smettila di mentirmi, Merlin, tu non dovresti farlo.”
“I-Io non vi mento affatto, i-io…”
“So tutto!” – urlò – “so tutto, tu sei un mago, sei un mago e mi hai mentito per tutto questo tempo, e io odio chi mi mente, come odio quelle persone che mi hanno ingannato!” – urlò furioso, brandendo la spada che sfiorò la testa del mago e si conficcò nel muro. Il respiro del servo era accelerato, come il suo battito cardiaco, tutto stava prendendo la piega sbagliata quella mattina, tutto stava andando male.
“D’accordo, i-io vi ho mentito, è vero, sono un mago, uccidetemi pure, m-ma la ragazza no, lei non ha mentito.” – deglutì il mago, spaventato a morte dall’atteggiamento del suo principe. Il giorno prima era la dolcezza fatta uomo, quella mattina sembrava una furia, aveva più paura di lui quella mattina più di qualsiasi altro giorno. – “da-da quanto tempo sapete della magia…?”
“Da sempre.” – sospirò – “ti ho sentito una volta, hai pronunciato delle parole strane. Io… credo che fossi stato avvelenato. Mi hai salvato la vita, quella volta.” – posò la spada, facendola cadere per terra, odiava vedere Merlin terrorizzato, soprattutto a causa sua. Chiuse gli occhi e prese un bel respiro profondo. Non sapeva cosa l’avesse spinto a comportarsi così, ma sapeva che era qualcosa di strano, proveniente da lui stesso, dal suo… cuore.
E’ una scenata di gelosia, davvero? – pensò il mago, guardando sbalordito il principe che afferrava una camicia e la indossava. – “scusa, non volevo urlare. Ero solo… infastidito.”
Merlin annuì e ringraziò di cuore chiunque esistesse che quel giovane si fosse calmato. Dopo averlo aiutato a vestirsi, si recò con lui dai due prigionieri e portò loro qualcosa da mangiare. Qualcosa gli diceva che non fossero pericolosi, ma prevenire era meglio che curare, anche a quei tempi. Subito dopo, passarono dai due ospiti, a cui furono dati degli abiti di ricambio e fu servita loro la colazione. Siccome tutti a corte, avevano notato che quell’uomo fosse particolarmente dotato per scoprire le cose impossibili – quella notte, infatti, preso da un attacco di insonnia e noia, aveva smascherato una serva che rubava dei viveri dalle cucine, preso un ladro entrato a palazzo e sventato un crollo di una pila di sacchi di grano, pareva che avesse sentito nelle mura che qualcosa fosse instabile nelle fondamenta, e le sue teorie furono tutte veritiere – fu chiesto lui di indagare sulle misteriose sparizioni.
Sherlock, invece, cercava ancora di dare una spiegazione logica a ciò che stava vivendo. Non era possibile trovarsi in quella situazione, o era un sogno o un brutto scherzo di Moriarty che non si era ancora fatto vivo. Solo quelle potevano essere le soluzioni, lui non era stupido, lo sapeva.
“Sherlock, per favore, ragiona.” – lo implorò John seguendolo – “hai fatto tutte le teorie possibili e stanotte per la noia hai aiutato il re.” – sbuffò esasperato – “appena torna quel tipo, il Dottore, gli chiediamo come tornare a casa, fine della storia, ma ti prego, ha detto che non è sicuro, ci sono delle statue assassine!”
“Oh, per favore, John, ragiona tu!” – sbottò Sherlock – “non possono esistere statue assassine, saranno robot, e io devo scoprire chi c’è dietro.”
“Quando fai così sei davvero insopportabile, lo sai?”
“E tu sei il solito che non capisce quando è il tempo di smettere di fantasticare come i bambini.”
John sbuffò e si arrese.
“Bene, indaga da solo” – sbuffò allontanandosi – “ma non battere ciglio!”
Sherlock lo ignorò e continuò a camminare, prima di trovarsi davanti una statua. Aveva gli occhi coperti e sembrava innocua, per un attimo si voltò per cercare John, fu un solo attimo, perché quando si girò di nuovo quella era cambiata, diventando spaventosa. Le mani erano protese in avanti, la bocca spalancata, i denti aguzzi…
“J-John… John!” – urlò. Cercò di tenere gli occhi aperti, non doveva battere le palpebre né girarsi. Lui era abituato alle sfide estreme, ma quella cosa era davvero inquietate. – “John!” – urlò ancora, sperando che l’amico arrivasse in tempo, che lo aiutasse. – “John! John!”  
John non arrivò, ma la città si popolò di nuovo, e l’angelo restò in quella posizione, mentre Sherlock ne approfittava per correre via, a cercare John. No, non sarebbe rimasto più da solo con quei… mostri intorno a lui. Oh, no. Non l’avrebbe fatto mai più.
Quando trovò John, lo trovò impegnato in una conversazione fitta con quattro ragazzi.
Due erano il principe e il servo incontrati il giorno prima, e gli altri due?
“Quindi siete di Lima in Ohio?” – chiese John guardando i due, che annuirono – “e vi siete trovati qui, a causa di una statua.”
“Sì, signore.” – confermarono i due.
“John!” – urlò di nuovo Sherlock, correndo verso di lui. – “l’ho visto…” – deglutì sussurrando, senza essere sentito da nessuno, era strano, lui non aveva mai paura di nulla, ed avere paura era una sensazione nuova, come il fastidio che provava vedendo John con i ragazzini vicino.
“Sherlock, cosa c’è?” – chiese il medico, non avendolo sentito esprimersi, ma avendo sentito solo il suo nome.
“Sono due studenti” – spiegò brevemente – “dal fatto che si tengono per mano, direi che siano fidanzati. Vi siete conosciuti a scuola, vero?” – chiese, senza permettere a nessuno di replicare – “a giudicare dal battito cardiaco, avete molta paura, e… oh avete avuto una discussione da poco.” – completò la sua deduzione, terrorizzando ancora di più i due ragazzi appena giunti.
“Io sono Kurt” – disse quello più alto, con gli occhi azzurri – “Kurt Hummel…”
“E io sono Blaine Anderson” – si presentò quello con i capelli scuri e gelatinati. I presenti annuirono, e capirono che anche loro erano vittime delle statue a forma di angelo con gli occhi coperti.
Com’era che li aveva definiti il signore che si faceva chiamare Dottore? Ah sì, Weeping Angels.
“Quindi siamo in sei ad essere arrivati qui a causa delle statue. Noi due” – fece indicando sé stesso e John – “voi due” – indicò i due ragazzi di fronte a sé – “e i due rinchiusi nelle prigioni.” – decretò.
Iniziava a capire di trovarsi in un contesto completamente irrazionale?
Forse la vista di quella cosa gli aveva dato l’input che serviva per ragionare non-normalmente, o forse si era convinto che quello era il piano di Moriarty, chi lo sapeva, ma non avrebbe dato la soddisfazione a nessuno di batterlo, nemmeno in un contesto del genere. Forse era proprio di quello che aveva bisogno per non annoiarsi totalmente a casa, come aveva fatto fino a quel momento. Oh, forse era anche Mycroft che cercava di metterlo in difficoltà, non importava, chiunque fosse, non l’avrebbe spaventato, lui era Sherlock Holmes.
“Come è successo? Che stavate facendo?” – chiese subito ai due.
“Eravamo in strada.” – disse Blaine – “Kurt quel pomeriggio aveva visto una cosa strana ed era spaventato…” – disse il primo, guardando gli altri che gli ponevano le domande con una strana espressione sul viso, quasi terrorizzata.
“… Blaine voleva confermarmi che non fosse vero quello che avevo visto, e siamo tornati lì…” – continuò l’altro, visibilmente terrorizzato, per Sherlock non ci volle molto a capire chi fosse l’anello debole tra quei due.
“… poi non ricordo nulla, avevo visto la statua ferma, e gli stavo dicendo che non era vero e poteva stare tranquillo…” – continuò ancora Blaine, stavolta tremando un po’ di più, perché c’era stato quel momento di vuoto totale di cui non ricordava nulla, ed era un’orribile sensazione.
“… poi era tutto buio, e ci siamo risvegliati qui.” – completò Kurt, ora terrorizzato a morte, quasi quanto Blaine, che però lo abbracciò immediatamente per tranquillizzarlo. Kurt era decisamente l’elemento più fragile secondo Sherlock, e non si sbagliava, ne era assolutamente certo.
“Ma che diavolo di storie sono?” – sbottò Arthur – “non ha senso, Merlin!”
“Lo so, nemmeno per me ne ha, ma è successo, dobbiamo risolverlo.” – sorrise verso il principe, che sembrò più rilassato. Ed annuì. Dovevano parlare con i prigionieri, anche loro si erano trovati lì a causa di una statua. Dovevano capire il più possibile su quella specie di avvenimenti strani che stavano accadendo nella città. Non potevano più starsene con le mani in mano, se era vero che da altre epoche si spostavano persone nella loro epoca, e viceversa, dovevano salvaguardare il popolo. Merlin aveva fatto bene a parlarne con lui, era sicuro che il principe quella volta sarebbe riuscito a trovare una soluzione.
Una volta tornati al castello, Arthur andò nelle segrete, mentre lui, prima scortò Sherlock e John nelle loro camere, e poi ne concesse una delle altre ai due appena arrivati, diede loro degli abiti consoni al secolo in cui si trovavano, e poi si diresse da Gaius a chiedere se per caso avesse scoperto qualcosa riguardo quei pezzi di legno usati come armi dai due stranieri.
“Meraviglioso, questa contiene la piuma di una fenice.” – spiegò il cerusico, quando Merlin gli pose la domanda – “è un esemplare molto raro di una specie magica, questo strumento dev’essere molto raro.”
“E… quindi i due stranieri sono…?”
“Maghi, come te, sì. Ma di un altro secolo.”
A Merlin brillarono gli occhi. C’erano dei maghi giovanissimi del futuro e lui perdeva tempo in chiacchiere? Doveva subito parlare con loro, ma non avrebbe detto niente ad Arthur, per non metterlo davanti ad una scelta difficile. Aveva accettato lui, ma ciò non implicava che avrebbe scelto anche gli altri. Non era possibile, era comunque figlio di Uther e detestava la magia. Chissà perché aveva accettato lui…
“Io vado a parlare con loro, Gaius, ci sono tante cose che mi piacerebbe sapere!”
“Certo, capisco la tua voglia di conoscenza, ma attento…” – ma non finì la frase, Merlin esultò di gioia sorridendo.
“Arthur sa tutto, non devo più nascondermi con lui, ha detto che sapeva già tutto, e non mi denuncerà a suo padre, mi ha ringraziato!”
Gaius sorrise rilassato e gli diede la sua ‘benedizione’ così Merlin prontamente corse nelle segrete, dov’era anche Arthur e lo trovò impegnato in un’accesa discussione con i due maghi. Gli stavano spiegando come si fossero trovati lì, e lui probabilmente aveva parlato loro delle statue assassine.
“Ma erano solo una leggenda i Weeping Angels, non esistono davvero.” – protestò il ragazzo dai capelli biondi – “e poi tiratemi fuori da questa gabbia, mio padre lo verrà a sapere.”
“Potrà anche venirlo a sapere, ma non potrà portarti via da qui.” – si intromise Merlin, facendo spuntare un sorriso irrazionale sulle labbra di Arthur, che lo invitò a sedersi accanto a lui di fronte la cella. Il ragazzo dai capelli scuri non parlava, era in silenzio.
“Tu chi sei?” – chiese il mago all’altro mago. Era quello a cui aveva sottratto la bacchetta durante lo scontro la notte precedente.
“Harry Potter, signore.” – rispose subito, mentre l’altro storceva il naso e andava a sedersi in un angolo della cella. Doveva fare qualcosa per andarsene da lì, lui era un Malfoy, non poteva essere rinchiuso. – “una domanda, signore.” – fece poi Potter. Merlin annuì e lo incitò a continuare.
“Da quando Merlin era un ragazzo?”
Merlin spalancò gli occhi, mentre Arthur scoppiava a ridere.
“Cosa dovrebbe essere, una donna?” – chiese con sarcasmo, mentre il mago con gli occhiali arrossiva vistosamente.
“Potter, non ne fai una giusta, ti trovi davanti un grande mago come lui e dici una cosa così stupida?”
“Io ho letto di lui che era un vecchio, cosa vuoi da me?” – sbottò l’occhialuto, scusandosi subito dopo con Merlin per l’infelice domanda portagli. Arthur si alzò e afferrò il suo mago per una spalla, aiutandolo ad alzarsi. Le guardie avevano annunciato il ritorno a palazzo di Lady Charlotte e del suo fidato cavaliere, per questo loro dovevano andare ad accoglierli. Quando Arthur però uscì fuori dal palazzo, trovò Lady Charlotte scortata da ben cinque persone, magari avevano mandato dei cavalieri a riprenderla? Probabile.
La salutò con il baciamano, come al solito e poi la scortò all’interno del castello.
“Dobbiamo parlare con il re” – disse il Dottore, arrivando subito al sodo. Ma Arthur disse loro che quella mattina, il re non fosse presente, quindi avrebbero dovuto aspettare il pomeriggio.
Tutti annuirono, e concordarono anche sul liberare i due prigionieri, si riunirono nella sala da pranzo del palazzo del principe Arthur, e fu discussa tutta la questione prima con lui, che sembrava di larghe vedute e disposto ad aiutarli. Il Dottore disse lui tutta la verità, e spiegò brevemente cosa fossero i Weeping Angels, Sherlock confessò di averne visto con orrore uno da vicino e anche Kurt diede la sua versione dei fatti. Di nuovo furono fatte le raccomandazioni da parte del Dottore, e tutti concordarono che lui avesse ragione, in fondo, era il più anziano – letteralmente – e quindi quello con più esperienza, ergo tutti dovevano fare ciò che diceva lui, e ascoltare ogni sua parola. Per Charlotte e Jack non era un problema, loro lo avrebbero ascoltato parlare a macchinetta per tutto il tempo necessario.
Fu eletto anche come portavoce presso il re, perché quello era il compito più arduo, far capire al re che non erano stregoni che volevano portare la magia a Camelot per distruggerla, ma solo aiutarla.
“Solo una domanda… Dottore.” – fece Arthur. – “voi siete uno stregone?”
“No. Un Time Lord.”
 
Quando la sera Uther fece ritorno, fu chiesta l’udienza.
L’aria era a malapena respirabile tant’era l’ansia che circolava tra tutti. Nessuno era tranquillo, tutti avevano paura che tutto andasse male tutti temevano il peggio, che effettivamente arrivò.
“Sono il Dottore” – si presentò – “parlo a nome di tutti i presenti, noi sappiamo la causa delle sparizioni.”
“Ebbene?”
“Sono Weeping Angels, sire, una razza antica quanto l’universo. Non si sa da dove vengano, ma si nutrono di energia che accumulano quando una preda viene mandata indietro nel tempo.”
“E’ stregoneria!”
“No, non è stregoneria, sono le statue, sono alieni!”
“Padre, forse sarebbe il caso di ascoltarli...” – tentò Arthur, forse se il padre avesse visto che non c’era niente di male, che suo figlio si fidava degli stranieri, forse c’era qualche speranza, ma l’odio verso la magia di Uther, era talmente radicato, che anche in passato non aveva creduto al figlio, e aveva portato Camelot quasi alla disfatta.
“No! Lui e i suoi amici sono degli stregoni, li farò giustiziare!” – lo interruppe subito, e Jack già stufo di sentirlo urlare ‘stregoneria’, si fece avanti, facendo avanzare subito le guardie che gli puntarono le spade addosso.
“Woh, calma belli, non voglio fare niente al vostro re” – sbuffò infastidito, poi si rivolse ad Uther, che lo guardava oltraggiato. – “in quanto a voi, re Uther, ascoltate il Dottore, lui ha sempre ragione.”
“Jack, ti prego” – cercò di farlo ragionare il Dottore, senza risultato. Jack continuò imperterrito, fino a che stufo non afferrò il cacciavite sonico del Dottore, e con esso si avvicinò alla porta, aprendola subito.
Uther saltò in piedi, e urlò che quella fosse stregoneria. Jack fu preso dalle guardie e messo in ginocchio davanti ad Uther. Nel portarlo via, le guardie fecero cadere accidentalmente il cacciavite, afferrato poi da Charlotte, e nascosto sotto il suo vestito.
“Giustiziatelo, ora!” – urlò Uther fuori di sé, mentre una guardia perforava il costato del capitano con una spada. Tutti dietro di lui inorridivano, a parte il Dottore, Ianto e Charlotte, che sapevano cosa sarebbe accaduto successivamente a lui. Fu portato via e gettato in strada, come ‘pasto per gli avvoltoi e i cani’ – così aveva detto Uther, e tutti gli altri furono spostati nelle segrete.
Erano spacciati. Il Dottore non aveva avuto successo con Uther, ma senza l’intervento di Jack non avrebbero avuto il modo di organizzare un piano degno di quel nome per sconfiggere le statue.
“Vi farò scappare, promesso.” – mormorò Arthur ai prigionieri, mentre li chiudevano dentro, poi sparì insieme a Merlin. Doveva per forza trovare un modo per farli fuggire, ne andava della salvezza di Camelot. Non ce l’avrebbe fatta da solo con Merlin, non quella volta, necessitavano dell’aiuto di qualcuno.
Ianto sospirò, sentendosi incredibilmente solo. Sì, Jack aveva salvato il Dottore, ma ora lui si trovava dannatamente solo, e odiava sentirsi così. Stava bene solo quando Jack era nei paraggi, e in quel momento non c’era.
Kurt era terrorizzato, e si stringeva forte a Blaine, cercando un po’ di coraggio e sicurezza in lui, che a sua volta era spaventato, leggermente meno di Kurt, per la sorte che li avrebbe attesi.
Louis era completamente schiacciato su di Harry, e più lo stringeva, più sentiva di perderlo, non voleva, aveva paura anche lui. Odiava trovarsi in quelle situazioni, e non poteva farci nulla, il riccio invece cercava di aiutarlo a mantenere la calma più che poteva, l’aveva promesso, l’avrebbe difeso da tutto.
Sherlock era in piedi a riflettere, e a guardare fuori. La luna stava spuntando, il primo giorno in quella situazione così strana era appena passato, e ancora non aveva capito perché provasse quel fastidio ogni volta che qualcuno era con John, che era addormentato per terra, appoggiato ad una parete.
Draco ed Harry – Potter – battibeccavano come al solito, ma entrambi erano tremendamente spaventati, non avevano le loro bacchette, e non sapevano come difendersi. Merlin aveva distrutto quella di Draco e ‘rubato’ quella di Harry.
Infine, il Dottore, appoggiato ad una parete con una gamba piegata all’insù, e l’altra distesa in avanti, ospitava sulla sua spalla la testa della giovane Charlotte, placidamente addormentata e rinchiusa senza che avesse fatto nulla.
Li avevano anche fatti mettere nella stessa cella, grazie alla saggia scelta del futuro erede al trono.
Merlin ed Arthur invece erano nelle stanze del principe, che non aveva voluto restare solo. Erano placidamente appoggiati entrambi sul grande letto di Arthur e Merlin si lasciava accarezzare senza protestare. Forse era così che doveva andare, forse dovevano scoprire di provare qualcosa l’un per l’altro.
Forse mi sono innamorato. – pensò sorridendo il mago, prima di addormentarsi, quasi con la testa sul petto del principe, che appena lo notò, sorrise dolcemente, prima di seguirlo tranquillamente nel mondo dei sogni.
Quella fu la notte più lunga per tutti. 
 
To be continued...
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Ben ritrovati signori e signore lettori/lettrici.
Visto come sono veloce? E no, Lu non voleva per niente che pubblicassi oggi, lei voleva direttamente ieri. LOL
Allora, facciamo la conoscenza di Uther, che è odioso, as always.
I Larry si intrufolano nel TARDIS perchè Charlotte ha perso la chiave e... beh, siamo pieni di fluff da qualche parte.
Piccola parentesi per Charlotte... è me. Praticamente, solo con nome nazionalità ed età diversa LOL 
Sherlock ... è semplicemente stupendo.  Quanto sono carini tutti a ricordare a lui e John che sono una bella coppia? Aw, aw. 
Arthur è l'unico che ragiona decentemente qui, a parte il nostro amato Ten. Che voi non avete idea di quanto mi manchi, okay Eleven è simpatico, ma Ten.. era perfetto.

Jack muore, ma non muore realmente, chi segue Torchwood e DW sa cosa gli succede. 
Blaine è stupido, e un po' detestabile, ma non avevo ancora visto la 5x01. Ew, tenetevelo così.

Sono tutti imprigionati.
E non voglio spoilerarvi nulla, ma ne vedremo delle belle.
Ringrazio le poche persone che seguono questa cosettina e spero che piaccia a chiunque legga. 
Ciao dolcezze (sto abusando delle citazioni di DW nei saluti, ma ehi, siamo nel fandom di DW)
Alla prossima 'puntata'!

 

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Capitolo 3
*** Terza parte. ***


Desclaimer: Nessuno dei personaggi citati mi appartiene, purtroppo. Non intendo offendere nessuno - come potrei, io li adoro tutti - e tutto ciò che ho scritto è stato fatto solo per il mio puro diletto, senza alcuno scopo di lucro, lo giuro, non guadagno nulla da questo. 
 
Credits: Alla mia Lu (che mi amerà per aver pubblicato subito anche la terza parte) per il banner. Quell'angelo è figo, ma anche inquietante.
 
Avviso: Contiene fangirling. (lo ripeto sempre, perchè... meglio avvisare sempre. LOL)
Avviso2: Tutti i personaggi sono OOC, anche se ho cercato di rimanere quanto più IC ho potuto, spero di non aver cannato nulla. Ovviamente molte delle cose che dirò sono prese dalle varie serie, ma non tutto. Alcune cose, e teorie le ho inventate di sana pianta. (es. le deduzioni brillanti di Sherlock.)

 
 
Allons-y!
P.s come nelle parti precedenti sul banner trovate il link della colonna sonora. 

 
Il giorno dopo, era stato annunciato loro che Uther fosse impegnato, e che l’esecuzione sarebbe avvenuta solo quel pomeriggio e non la mattina come avevano saputo qualche ora dopo essere stati imprigionati. Il Dottore non poteva usare il cacciavite sonico, recuperato grazie a Charlotte, perché avrebbe solo fomentato i sospetti di Uther. Dovevano solo aspettare che Jack tornasse e che Arthur lo aiutasse ad uscire da quella situazione scomoda, e poi dovevano studiare un piano per distruggere gli angeli, ed essere di nuovo liberi.
“Dunque” – esordì il Dottore, iniziando a guardarsi intorno, per cercare una soluzione. Non potevano uccidere materialmente dei sassi, e non potevano nemmeno affrontarli ad occhi chiusi, era categoricamente impossibile. Quindi dovevano ragionare e trovare una soluzione plausibile, fattibile e rapida, perché gli angeli erano velocissimi. – “dobbiamo sconfiggerli, e dobbiamo essere rapidi quanto loro, insomma dobbiamo trovare una soluzione.”
“Ma non mi dire” – fece sarcasticamente Sherlock guardandolo con superiorità – “evidentemente il suo cervello è troppo limitato per trovare una soluzione, Dottore.”
“Oh ma certo!” – esclamò sarcastico il Dottore – “abbiamo un altro Time Lord tra noi e non lo sapevo. Come si fa chiamare? Il Maestro già esiste, chi vuole essere… uhm… il Professore, le piace?”
“No, io sono un Consulting detective, non un Time Lord, o quella roba lì” – rispose prontamente l’altro, guardandolo in cagnesco. John guardava il compagno preoccupato, sapeva cosa stava per accadere.
Sherlock indicò Ianto, seduto sconsolato in un angolo della cella e: “E’ un agente segreto, ha un’arma nascosta nella tasca posteriore dei pantaloni, sotto la giacca, ama vestirsi in modo ordinato, è visibilmente preoccupato, e… credo abbia una relazione con il povero deceduto.”
“Jack non è morto” – scosse la testa il Dottore – “primo errore Sherlock Holmes, vede Jack non può morire, è un punto fisso nello spazio e nel tempo, non può morire, ritorna sempre in vita, e… credo che quando farà buio verrà a prenderci, o anche prima.” – spiegò il Dottore, tranquillamente.
“Non le credo. E una persona non può tornare in vita!” – esclamò indignato Sherlock – “il suo cervello non è più sviluppato del mio.”
“Vogliamo provare?” – chiese il Dottore.
“Dottore, Sherlock!” – sbottò Charlotte, alzandosi in piedi, stufa di quel battibecco insensato – “dovremmo pensare a come liberare Camelot e il nostro secolo da quelle… cose infernali, non litigare come ragazzini!”
“Ragazzina, nessuno…” – iniziò il Consulting detective, guardandola. Aveva interrotto un battibecco tra geni. Tutti gli altri ridevano , John compreso che gli batté una pacca sulla spalla.
“Non. Chiamarmi. Ragazzina. Signor Holmes.”
Sherlock spalancò gli occhi, come poteva quella ragazzina parlargli in quel modo? Non era modo, non si confaceva alla buona educazione, beh, nemmeno lui era stato molto educato, ma lui non se ne accorgeva nemmeno quando feriva qualcuno, figurarsi quando toccava tasti dolenti come quello…
“Mai mettersi contro una donna, Sherlock, ricordalo.” – lo canzonò John, ridendo ancora.
“Charlotte ha ragione” – concordò il Dottore, facendo tingere le guance della ragazza di rosso acceso – “dobbiamo trovare una soluzione, e in fretta.”
Sherlock prese a camminare per la cella. Sfiorava di tanto in tanto i piedi di Harry, Louis, Kurt e Blaine, seduti ancora per terra, mentre Ianto era scattato in piedi, insieme a Draco e Potter, che guardavano quell’uomo che camminava per la cella riflettendo, avanti e indietro. Un po’ faceva venire il mal di mare.
“Tranquilli, fa sempre così.” – li rassicurò John.
“Angeli assassini, assassini solitari, se si guardano restano immobili, se chiudi gli occhi sono veloci, e terrificanti” – mormorava tra sé e sé, poi si fermò, improvvisamente prese a gesticolare in modo stranissimo. Nessuno capiva cosa volesse fare, a parte John che lo guardava sempre più… affascinato?
“Statue assassine, angeli terrificanti…” – pensò ancora ad alta voce – “cosa mi manca? Cosa mi manca?”
Tutti avevano il fiato sospeso, Sherlock stava per avere uno dei suoi lampi di genio. Chi non conosceva Sherlock Holmes, alla fine?
“Ci sono!” – esultò – “specchi, abbiamo bisogno di specchi!”
“Specchi?” – chiese il Dottore.
“Sì, specchi, posizionandoli davanti ai nostri visi, nel momento in cui non guardiamo, ciò che vedranno sarà il loro riflesso, cioè la loro specie, e quindi rimarranno fermi per tutta l’eternità, come aveva detto lei, Dottore. – spiegò il Consulting detective, fiero della sua idea.
Il Dottore sorrise ed esultò anche lui. Era la soluzione, finalmente avevano la soluzione, potevano sconfiggerli. Era bastato solo quell’uomo e il suo genio.
“Lei è un maledettissimo genio, Sherlock Holmes!” – urlò esultando – “lei è il mio nuovo migliore amico.” – rise, guardando gli altri, dicendo loro di attendere Jack, così da poter attivare il piano in seguito.
“Mi dispiace, Dottore” – disse sorridendo e girandosi verso l’amico – “ma John è il mio unico migliore amico.”
Charlotte li osservò, quasi in preda ad una crisi di lacrime, e si lasciò sfuggire un singhiozzo di felicità. Quei due insieme erano troppo carini, dolci.
“Sicuri che non stiate insieme?” – chiese Harry alzandosi dal suo posto vicino a Louis – “Insomma, siete così affiatati. Un po’ come me e Louis”
“Non sono gay!” – esclamò John, arrossendo. Perché tutti li scambiavano per coppia? Che ciò che provava per Sherlock fosse troppo evidente?
“No, nemmeno Louis lo è per i mass media, ma… tecnicamente sta con me.”
Il castano seduto per terra rise coprendosi il viso con le mani. Harry riusciva sempre ad imbarazzarlo, qualsiasi fosse la situazione. E quindi, per smorzare l’imbarazzo, si sentì in dovere di accontentarlo con la stessa moneta.
“Beh, tu per i mass media sei etero, e non solo, hai una sfilza di ragazze incredibile nel tuo letto, ma… ops. Tu sei mio.” – lo punzecchiò ridendo. Harry non riuscì a fermarsi e avvolse un braccio attorno alla vita del ragazzo, abbassandosi alla sua altezza, e regalandogli un delicato bacio sulla guancia.
Quei due urlavano ‘dolcezza’ da tutti i pori, fin da quando erano arrivati. Potevano vederli tutti, e non se ne importavano del resto, rischiavano solo di morire, almeno per le ultime ore della loro vita, avrebbero vissuto da ragazzi liberi e non costretti a fingere. Erano solo loro stessi, un diciannovenne e un quasi ventiduenne che si amavano. Harry stringeva Louis per dargli coraggio e salvarlo, e Louis cercava smaniosamente la protezione di Harry, come se egli fosse un’ancora di salvataggio. Chiunque avrebbe voluto un amore come il loro.
“Beh, è vero” – confermò Blaine alzandosi afferrando la mano di Kurt che lo seguì immediatamente – “si può fingere di essere chi non siamo. Ma alla fine la nostra natura viene fuori.” – ridacchiò, coinvolgendo il fidanzato che annuì.
“Oh certo, come quella volta in cui credevi di essere etero e volevi baciare Rachel?” – chiese sarcastico, guardandolo male. Era stato geloso come non mai quella volta, e non stavano ancora insieme. La sua era gelosia senza limiti, a tutti gli effetti, e non poteva farci nulla, non poteva fermarla.
“Beh, sono riuscito a farti ingelosire. È un buon risultato.”
“Sì, lo ammetto.” – ridacchiò.
L’aria si era notevolmente alleggerita, avevano un piano, qualcosa con cui sconfiggere quelle creature e liberarsi dal problema, inoltre tutti gli arrivati, fatta eccezione per pochi, superato il momento di paura e terrore, si erano notevolmente sciolte, diventando tutte loquaci, eccetto Ianto, che continuava a fissare un punto oltre la minuscola finestrella della cella.
“Ianto, c’è qualcosa che non va?” – gli chiese John, guardandolo. Era l’unico che si fosse accorto della sua assenza, certo era quello che aveva partecipato meno a tutte le discussioni, forse era solo più timido rispetto a tutti gli altri, o forse…
“E’ che… sento parlare così tanto voi di amore, e… felicità. Tra me e Jack non c’è futuro, insomma… lui vivrà per secoli, per sempre.” – sospirò – “io morirò, prima o poi.” – si bloccò per un attimo, deglutendo – “e lui si dimenticherà di me. Non mi amerà mai quanto lo amo io.”
“Oh…” – a Charlotte gli occhi diventarono subito lucidi, e corse verso il moro abbracciandolo forte. – “tranquillo, sono sicura che Jack ti amerà, anche tra un milione di anni.”
“Ne sei sicura?”
“Sì. Te l’ha giurato, no?”
“Quando?”
“Oh, ehm… Spoiler!” – esclamò imbarazzata, grattandosi la nuca. Non doveva esporre così tanto tutte le sue conoscenze di quei mondi paranormali. – “l’importante è che Jack ti ama. E tu ami lui.” – sorrise felice – “l’amore è una cosa bella e anche brutta” - brontolò – “ma quando vedo tutto questo fluff, tra le mie OTP il mio cuore impazzisce!” – esclamò iniziando a saltellare per la cella. Tutti i presenti ignorarono le parole strane appena dette dalla ragazza, a parte il Dottore, che scoppiò immediatamente a ridere. Quella ragazza era una forza della natura, divertente, carismatica, timida, dolce, ma anche coraggiosa. L’elemento mancante in quel puzzle, in quel mix di persone così diverse tra loro, unite da qualcosa che non ancora era ben chiaro a tutti.
“Avete finito di fare i sentimentali?” – la voce del capitano Jack riecheggiò nella cella, facendo sorridere immediatamente tutti, Ianto per primo, sollevato per sentirlo di nuovo tra loro, alzarono immediatamente lo sguardo verso quella che era la voce, proveniva dalla finestra in alto.
“Jack!” – fu l’urlo unanime – eccetto per pochi elementi – che si elevò, prima che il capitano riuscisse a dire loro di non urlare. Si lasciò scappare una risata, prima di spiegare tutto il piano.
“Allora, Merlin addormenterà le guardie, Arthur aprirà tutte le porte, e io farò da guardia per non permettere ad altri di interferire, tutto chiaro?” – spiegò brevemente. Tutti annuirono, e lui diede le ultime disposizioni. Dovevano uscire in coppia, una coppia alla volta, senza fare rumore, e senza permettere a nessuno di dare l’allarme. Una mossa del genere sarebbe stata deleteria per tutta la squadra.
Il sole stava calando, l’ora dell’esecuzione era vicina, l’aria un po’ più tesa di quella mattina, quando Merlin riuscì ad addormentare le guardie, permettendo ad Arthur di aprire la cella in cui tutti erano rinchiusi. Jack fuori dal castello controllava la situazione, mentre Merlin dopo aver svolto il suo ruolo prendeva i cavalli dalle stalle.
Non si seppe quale fu il passo falso. L’allarme fu dato da qualcuno.
“Correte!” – urlarono in coro il Dottore ed Arthur. Tutti velocemente iniziarono a correre per i cunicoli delle segrete, in lungo e in largo, in quelle piccole gallerie oscure che diventavano man mano più strette, fino ad arrivare ad una grata, un vicolo cieco. Nessuno riusciva ad aprirla, era impossibile.
Dopo l’ultima volta che era stata distrutta, erano state prese misure efficaci.
“Oh toglietevi di mezzo.” – fece il Dottore estraendo il cacciavite sonico, e puntandolo contro gli angoli della grata, riuscendo a toglierla del tutto. Afferrò la mano di Charlotte, aiutandola ad uscire e poi corse veloce come non mai verso la cittadella, dove c’era il suo TARDIS. Harry fu il secondo ad uscire, e tenendo per le mani Louis, lo aiutò ad uscire fuori, stringendogli la mano, corse nella direzione in cui era corso il Dottore.
Li seguirono Sherlock e John, che stranamente si diedero la mano, ed iniziarono una corsa forsennata all’inseguimento degli altri. E ancora, Kurt e Blaine furono fuori, e corsero, corsero fino a raggiungere gli altri.
Jack, corso alla grata, aiutò Ianto ad uscire. Regalandogli un caloroso abbraccio non appena questi fu fuori, e poi anche loro corsero alla volta del TARDIS. Potter e Malfoy invece facevano a gara a chi sopravvivesse per primo, quando riuscirono ad uscire anche loro, seguirono tutto il gruppo, infine Arthur si riunì a Merlin e anche loro corsero via, veloci contro il buio che iniziava a scurire il cielo. Una volta arrivati al TARDIS, però lo trovarono letteralmente circondato dagli angeli. Tutti restarono con gli occhi spalancati.
“State calmi. Non battete le palpebre. Indietreggiamo lentamente… e non battete le palpebre.” – fece il Dottore, invogliandoli a stare calmi. Quelli annuirono tutti, e indietreggiarono lentamente. C’era poca gente per le strade a quell’ora. I passi dei cavalli erano veloci, li stavano raggiungendo, non avevano più scampo, quando Merlin pronunciò delle parole antiche, strane, e fece volare a terra alcune statue, posizionò i cavalli portati davanti ad essere, e più veloci della luce, corsero via tutti insieme, verso il bosco.
Li sarebbero stati al sicuro per un po’.
Una volta raggiunto il bosco, si fermarono solo quando Merlin indicò loro la presenza di una grotta, dove avrebbero potuto passare la notte. Vi entrarono e subito tutti si guardarono intorno. Era abbastanza spaziosa, abbastanza da contenere quattordici persone in fuga.
“Se solo avessi avuto la mia bacchetta, avrei distrutto quelle statue!” – esclamò Malfoy adirato, lasciandosi scivolare contro una delle pareti – “invece quell’imbecille di Merlin l’ha distrutta!”
“Ehi, biondino, modera le parole” – lo rimproverò Arthur guardandolo male, nessuno poteva permettersi di offendere Merlin davanti a lui, da quel momento avrebbe definito come oltraggio anche le offese  rivolte al suo servo, al suo mago. Il servitore alzò lo sguardo su di lui, e gli sorrise.
Arthur non poteva capire cosa significasse per Merlin il fatto che lui l’avesse difeso in quel momento.
Charlotte li guardava con i cosiddetti occhi a cuoricino, Louis ed Harry erano quasi commossi, e tutti gli altri discutevano su come risolvere quella scomoda situazione. Non avevano aiuti da Uther, quindi nemmeno sotto ordine di Arthur i cavalieri li avrebbero aiutati, inoltre erano dei fuggitivi, nessuno li avrebbe aiutati, rischiando di inimicarsi il re in persona, che aveva persino tentato di giustiziarli, giudicandoli tutti degli stregoni.
“Cosa mi faresti, stupido babbano?” – sbottò Malfoy, guardando Arthur, che spalancò gli occhi vista l’insolenza di quel giovane dai capelli biondi. Come osava parlargli così, dopo che gli aveva salvato la vita? Ma soprattutto come osava parlare così al futuro re di Camelot? Era così che sarebbero diventati nel futuro? Così irrispettosi verso le autorità?
“Bada a come parli, Malfoy, lui è il principe Arthur!” – intervenne Charlotte, prima che chiunque altro potesse dire qualsiasi cosa.
“Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporca babbana.”
La ragazza spalancò gli occhi e dopo veloci passi giunse vicino a lui, e gli regalò un sonoro schiaffo sulla guancia, che si arrossò lasciando intravedere il segno visibile delle cinque dita sulla pelle diafana del ragazzo. Mai insultarla chiamandola ‘babbana’, era un insulto che non accettava, nemmeno da un mago.
“Malfoy, ti fai mettere i piedi in testa da una ragazza?” – rise Potter guardandolo. Okay, forse Charlotte aveva esagerato con lo schiaffo, ma dannazione se quel tipo era irritante. Subito dopo essersi ripreso dallo schiaffo, la guardò in modo torvo, e se non fosse intervenuto Potter, allontanandola da lui, probabilmente le avrebbe fatto del male. Quel tipo era imprevedibile, ecco, imprevedibile e irritante. Merlin, sentita la mancanza di rispetto per Arthur comunque, non resisté a vendicarlo e con parole silenziose, lo fece sollevare in aria e scontrare contro una parete.
Minacciosamente si avvicinò a lui, e lo alzò per la maglietta.
“Abbi rispetto del futuro re, colui che ti ha salvato la vita” – sibilò. Mai mancare di rispetto al principe davanti a lui, era una cosa che non tollerava da nessuno… che lui l’avesse fatto per primo, anni prima, non contava.
“Basta, smettetela di litigare” – intervenne il Dottore – “dobbiamo trovare una soluzione, come diceva il signor Holmes, possiamo usare degli specchi, ma… da dove li prendiamo? E soprattutto chi è così veloce da usare degli specchi contemporaneamente per tutti? Noi non ce la faremo mai.” – sospirò sconsolato, lasciandosi scivolare contro una parete di roccia della caverna. Si passò una mano sul viso, fino ai capelli, pensando. Come avrebbe risolto quella scomoda situazione?
“Ci… sarebbe Clark Kent.” – disse ad un certo punto Charlotte.
“E chi sarebbe?” – chiese Jack, guardando verso di lei.
“Uhm… diciamo che è un alieno. Superman? Vi dice niente?” - tutti la guardano perplessi, come se stesse dicendo una delle idiozie più grandi dell’intero universo. – “oh andiamo! Smallville? Niente?” – si girò verso il Dottore – “andiamo! Non sei mai stato su Krypton?”
“Oh sì!” – esclamò – “ma il pianeta è stato distrutto.”
“Il pianeta. Ma c’è un superstite, Clark, appunto, o come è stato chiamato dai genitori Kal-El.” – spiegò la ragazza, mentre il Dottore annuiva quasi convinto.
“Vuol dire che conoscerò davvero Superman?” – chiese Louis eccitato – “no dai, è il mio eroe fin da bambino, lo conoscerò davvero?!”
“Beh, se il Dottore accetta la mia proposta di andare a Smallville e chiedere aiuto, sì.”
“Fantastico!”
“Io lo sapevo che eri un nerd convinto.” – ridacchiò Charlotte.
Sherlock sembrava su un altro pianeta, ascoltava, ma era come se si rifiutasse di accettare la situazione, John al contrario era curioso di sapere come sarebbero andate a finire le cose, Merlin ed Arthur avevano imparato ad accettare tutte quelle stranezze, Harry e Louis speravano di tornare a casa presto, anche se il castano voleva conoscere Superman, quindi l’avventura stramba in cui era capitato gli stava piacendo, Kurt e Blaine capivano poco di tutto quello, ma come Harry e Louis speravano di tornare a casa, Potter e Malfoy battibeccavano in un angolo su chi avesse dovuto usare l’unica bacchetta loro rimasta.
“C’è solo un problema” – disse il Dottore. – “il TARDIS è nella cittadella, io non posso prenderlo.”
“Nessun problema, ci penso io!” – esclamò Merlin, facendo spalancare gli occhi ad Arthur.
“Non se ne parla, tu non vai da nessuna parte da solo!” – lo rimproverò – “andrò io.”
“Arthur, voi non avete un drago.”
“Un… cosa?”- chiese strillando il principe, mentre il servo correva fuori dalla caverna e urlava a gran voce parole antiche, magiche di richiamo.
Un “cosa?!” – si elevò da tutti, che corsero fuori a guardare, tranne Sherlock che si rifiutò di accorre e vedere tale stranezza. Lui sapeva che quello fosse tutto un brutto incubo, non potevano davvero esistere quelle creature strane, quelle statue… uomini veloci, maghi, draghi. No, non era possibile, si rifiutava di accettarlo.
“Fantastico, quello è un drago vero!” – urlò il Jack, non ne aveva mai visto uno vero.
Arthur tremò improvvisamente. Non era lo stesso drago che lui aveva ucciso tempo prima? Perché era vivo? Merlin gli aveva mentito di nuovo, perché Merlin lo comandava, e quello rispondeva ai suoi ordini?
“Cosa ti serve, giovane mago?” – chiese il drago, guardando Merlin che l’aveva chiamato.
“Merlin, c’è qualcosa che vorresti dirmi?”
“No!” – esclamò – “oh beh… non l’avete proprio ucciso, diciamo che…io sono un signore dei draghi.” – tossicchiò – “l’ultimo.”
“C-Cosa?” – Arthur spalancò gli occhi senza capire. Il mago non gli rispose, e salì a bordo del drago, dicendogli dove andare e cosa fare. Poco importava che Uther l’avesse visto, poteva rischiare per una volta al fine di salvare Camelot.
“Aspetta!” – esclamò il Dottore, lanciandogli due chiavi – “usale per te e il drago, vi faranno passare inosservati.”
Merlin ringraziò e ne mise una attorno al collo, e l’altra con un po’ di fatica la legò ad un’estremità di un orecchio del drago, sotto le sue proteste.
“Merlin!” – urlò il principe, guardandolo preoccupato e apprensivo – “sta’ attento, per favore” – lo supplicò con lo sguardo – torna da me – aggiunse mentalmente. Merlin annuì e gli mostrò il pollice, per fargli capire che avesse inteso il messaggio nascosto tra le sue parole, e poi riuscirono a spiccare il volo, il drago spiegò le ali, e si alzò in cielo con maestosità, fierezza e imponenza. Tutti erano a bocca aperta, e guardavano la scena con ammirazione e timore.
Potter e Malfoy non potevano crederci che un drago potesse essere così accondiscendente, che rispondesse ai comandi di un mago, l’esperienza di Potter, soprattutto, aveva insegnato che i draghi non erano poi così amici degli umani o dei maghi, non c’erano più dubbi, quello era senz’altro il grande Merlin, il leggendario mago, che aveva servito il principe Arthur. Erano quelli originali, nessun impostore o altro.
John tornò all’interno della grotta, e andò subito da Sherlock per dirgli quanto accaduto, ma lo trovò riverso per terra, svenuto.
“Sherlock, ehi, Sherlock” – lo scosse – “mi senti, Sherlock?”
“Mmh…” – mormorò l’altro aprendo gli occhi – “dove sono?”
“A Camelot”
Non appena sentì quel nome una serie immensa di cose senza senso – per lui – gli giunsero alla mente, gli annebbiarono il cervello, rendendolo incapace di ragionare in modo normale, e svenne di nuovo, stavolta tra le braccia di John, che si intenerì a vederlo in quello stato.
Dopo mezz’ora, Merlin fece ritorno con il TARDIS. Il drago teneva la macchina spazio-temporale tra gli artigli e il Dottore appena vide quella scena agghiacciante, si preoccupò subito che la sua macchina subisse dei danni irreparabili, ma niente avvenne, e il TARDIS atterrò insieme al drago e a Merlin, che sceso dal suo dorso, dopo aver rimosso la chiave. Il mago ringraziò il grande drago per l’aiuto, e quello spiccò il volo velocemente. Il giovane mago sorrise vittorioso agli - ormai - compagni di avventura, e si affrettò a tornare nella caverna per dire ad Arthur che fosse tornato, si aspettava una paternale lunga e piena di parole, si aspettava di litigare con lui, di essere trattato male, come al solito, ma nulla avvenne. Arthur gli corse incontro e lo avvolse con le sue forti braccia, facendogli perdere l’energia nelle gambe. Merlin tremava, mentre Arthur lo abbracciava, e dopo un attimo di esitazione ricambiò l’abbraccio. Quella era la sensazione migliore che avesse mai provato in tutta la sua vita: stretto tra le braccia di Arthur, nessun luogo era migliore.
“Bentornato.” – gli sussurrò con dolcezza, mentre Merlin – letteralmente – si scioglieva tra le sue braccia.
Intanto, fuori il Dottore faceva delle raccomandazioni a tutti  i rimanenti, soprattutto a Jack e Ianto.
“Mi raccomando, voi due, vi affido tutti gli altri, non fate accadere nulla durante la mia assenza.”
“Conta su di me, Dottore, andrà tutto bene.” – lo rassicurò Jack, sorridendo.
“Conti anche su di me, signore, non la deluderò!” – esclamò Ianto, unendosi al compagno.  
I due maghi erano rientrati, mentre i quattro giovani, erano ancora lì fuori, impauriti ed emozionati. Mai avevano ammirato tanta bellezza in una sola volta.
“Occupatevi anche di quei ragazzini, sono ancora terrorizzati.”
“Sì, capo!” – esclamarono i due agenti del Torchwood, recandosi da Harry, Louis, Kurt e Blaine, riportandoli dentro la caverna per farli stare al sicuro, prima di uscire di lì e mettersi di guardia. Alzarono un pollice nella direzione del Dottore, che annuì e si recò al TARDIS, seguito da Charlotte, che era elettrizzata. Stava passando tutto quel tempo con il Dottore, stava vivendo una delle avventure più strane di tutta la sua vita, ed era con le persone che ammirava e seguiva, meglio di così non poteva andarle, decisamente.
“Sei pronta?”
“Lo chiedi anche?” – ridacchiò, mentre il Dottore scuoteva la testa e rideva con lei. Già, era imprevedibile quella ragazza, ed era strano che non si spaventasse dopo tutto quello che aveva visto. Forse un po’ di paura l’aveva, ma non lo mostrava per non apparire debole. Quello era più probabile.
“In questo caso… Allons-y!” – esclamò, prima di partire.
Prossima tappa: Smallville.
 
Dopo essersi assicurati che all’esterno la situazione fosse tranquilla, Jack e Ianto rientrarono nella caverna, sedendosi più verso l’esterno, in modo da percepire immediatamente il pericolo. Non si erano ancora parlati da quando si erano ritrovati, anzi forse non si erano ancora parlati fin dalla partenza da Cardiff. Nel TARDIS non avevano parlato, anche perché Ianto appariva sempre pensieroso. Jack non riusciva a spiegarsi come mai quell’atteggiamento, così inaspettato, così all’improvviso. Un’altra cosa che ugualmente non riusciva a spiegarsi, era l’apparente freddezza nei suoi confronti, sì, l’aveva seguito ma non gli aveva rivolto la parola, certo non era strano, Ianto era un tipo silenzioso, ma con lui non aveva mai fatto così.
“Tutto bene, Ianto?” – chiese preoccupato.
Il moro non rispose, si guardò solamente intorno studiando le ‘coppie’ che avevano intorno. C’era John che lasciava che Sherlock dormisse appoggiato su di lui, stringendolo appena; dall’altra parte c’erano Harry e Louis che si sussurravano parole dolci, inascoltabili; accanto a loro, Blaine tentava di tranquillizzare Kurt, che era quasi vicino alla crisi di nervi; e infine Arthur che discuteva su cosa fare con Merlin, il quale pendeva dalle sue labbra, fissandogliele quasi in trance.
“Sì, tutto bene” – fu la risposta sussurrata dell’agente, che non osò distogliere lo sguardo dall’esterno della grotta. Iniziava a calare la notte, il freddo a gelare le ossa e la paura ad entrare in ognuno.
Tutti erano persi in loro stessi. Chi aveva un compagno, si stringeva a lui, tutti erano in ansia per il Dottore e Charlotte, che non erano ancora tornati. Non sapevano cosa fosse potuto accadere, magari non avevano trovato quel luogo, o magari il tipo si era rifiutato, o magari erano stati attaccati dagli angeli, o forse ancora avevano sbagliato epoca… non lo sapevano, ma tutti erano in ansia per loro, per il loro non ritorno.
“Sarà meglio andare a cercare della legna, si gela qui dentro” – disse ancora, alzandosi, e lasciando Jack in uno stato di stranezza e incomprensione. Che era preso al suo dolce e timido Ianto Jones? Perché questo era così freddo con lui?
“Ianto, aspetta!” – esclamò, raggiungendolo. Se c’era qualcosa nella loro… poteva chiamarla relazione? Doveva saperlo. Non poteva ignorare questi segnali di una… crisi?
“Non c’è bisogno di avere una balia, qui non ci sono pericoli.” – disse freddamente, avanzando a passo svelto tra le frasche. Il bagliore della luna lo illuminava, rendendolo agli occhi di Jack bellissimo.
Da quando sono diventato così sdolcinato? Bleah.
Nella grotta, i rimasti non si accorsero dell’assenza dei due.
Sherlock aveva da poco ripreso conoscenza, ma non osava muoversi dalle braccia di John, era… piacevole.
E da quando lui provava sensazioni del genere? Soprattutto, da quando le provava verso John?
No, non poteva provare sensazioni simili, sentiva le mani formicolare, e quasi le gambe tremare. Era una sensazione stranissima per lui, non voleva che John si accorgesse di quel martellio intenso proveniente dal suo petto. Non poteva essere il suo cuore, cos’era? Un infarto in corso? No, i suoi segni vitali erano buoni, giusto?
Che diavolo gli stava facendo John?
La stessa cosa era per l’ex soldato. Provava una strana sensazione piacevole tenendo Sherlock tra le braccia. Aveva da sempre avuto l’istinto protettivo accentuato verso di lui, fin da quando si erano conosciuti, e non voleva che gli accadesse niente di male, soprattutto in quella situazione. Si era reso conto che fosse sveglio, l’aveva sentito tremare lì tra le sue braccia, e il suo primo pensiero era stato quello di stringerlo forte.
No, non sono affatto innamorato di lui, è solo il mio migliore amico.
Poco più in là, Louis se ne stava placidamente appoggiato contro il petto di Harry, e lasciava che il riccio lo cullasse e rassicurasse. Insomma, aveva paura certo, ma… avrebbe conosciuto il suo Eroe, tutta quella paura, ne valeva la pena, e poi aveva Harry con sé, di cosa doveva aver paura? Sorrise al riccio, dandogli un bacio sulla guancia, mentre questo gli sorrideva incerto, come per trasmettergli sicurezza, ed incoraggiarlo, insieme ce l’avrebbero fatta.
E Louis si fidava ciecamente di lui.
Giuro, che quando tutto questo finirà, faremo coming out e ci sposeremo.
Kurt e Blaine invece erano incerti. Non avevano ancora ben capito la situazione, non capivano perché fossero lì, perché ci fossero tutte quelle persone strane, perché c’era un uomo che usava una cabina telefonica per spostarsi… tutto quello era troppo irreale, non potevano crederci. Kurt, poi, era letteralmente terrorizzato, soprattutto a causa di quelle statue, a quel punto, Blaine sperava che quell’uomo con la cabina blu tornasse presto, e portasse via tutti, riaccompagnandoli a casa. Dovevano solo aspettare, o risvegliarsi dal sogno, una cosa era certa, avrebbe protetto Kurt da qualunque cosa fossero quelle statue.
Non batterò mai gli occhi, e lo farò anche per te, Kurt.
Arthur guardava Merlin, che senza battere ciglio si preoccupava di accendere un fuoco anche debole tra le rocce, con scarsi risultati, ma ci provava. Non sapeva cosa pensare, quel servo gli aveva fatto qualcosa, non sapeva bene cosa, ma l’aveva fatto. Forse un incantesimo, era uno stregone dopotutto, no?
No, Merlin era un tipo leale, anche se aveva mentito, in fondo, Arthur poteva capirlo. Come fidarsi del figlio di un re che giustiziava senza un giusto processo chiunque usasse la magia? Ma Arthur era diverso dal padre, perché Merlin non l’aveva capito subito? Perché gli aveva mentito?
Lo uccideva sapere che Merlin non provasse lo stesso per lui. Era una cosa che lo mandava in bestia.
Arthur si fidava ciecamente di lui, avrebbe affidato a lui la sua stessa vita, anche se era uno stregone, perché lui conosceva il vero Merlin, gli aveva salvato la vita tante volte, e continuava a farlo, se avesse voluto, avrebbe potuto ucciderlo la prima volta che si erano incontrati/scontrati.
Fidati di me, ti prego, fidati di me.
Improvvisamente, la quiete fu interrotta da Potter e Malfoy, che correvano di spalle all’indietro verso la grotta.
“Uscite fuori, ci hanno trovati! Sono troppi, aiutateci, non possiamo battere gli occhi!” – urlò Potter, risvegliando tutti dallo stato in cui erano. In un attimo, tutti i presenti all’interno della grotta uscirono, Jack e Ianto di ritorno, udirono le urla, accorsero immediatamente, tutti spalancarono gli occhi: davanti a loro un intero esercito di Weeping Angels.
Era quella la fine di tutto?
Dottore, torna presto, ti prego. – fu il pensiero generale di tutti.
 
Sherlock era saltato dal suo ‘sonno’, a causa di John che l’aveva chiamato a ripetizione.
Non aveva udito le urla, era troppo impegnato a dedurre a che ritmo battesse il cuore di John, insomma, era il suo più bello che avesse mai sentito. Era una sinfonia perfetta, era… la canzone più bella che avesse mai sentito, ed era felice di poterla udire, ma il richiamo di John lo destabilizzò, e fu costretto ad alzarsi, a chiedere cosa accadesse. Il medico glielo spiegò rapidamente, e lui fu come preso dal terrore, che solo gli occhi di John – che gli dicevano che sarebbe andato tutto bene - riuscirono a placare. Aveva paura, sì. Una paura così forte da non riuscire a farlo respirare, ma lo sguardo del medico era come curativo, riusciva a farlo sentire meglio.
L’uomo gli prese la mano, e lo guidò verso l’esterno della grotta. Le statue erano lì, con gli occhi coperti. Non potevano battere ciglio, non potevano girarsi, né guardare se gli altri fossero arrivati.
Volevano sopravvivere, ovviamente, e dovevano ancora aspettare che quell’uomo con la cabina tornasse.
“Sherlock” – disse improvvisamente, facendo sobbalzare il Consulting detective che dovette far forza su se stesso per non girarsi e rispondergli. – “li fisso io, tu va via, okay? Scappa!”
John voleva salvarlo?
John voleva rischiare da solo, per salvarlo?
Sherlock si sentì andare a fuoco, e scosse la testa. Non avrebbe permesso a John di fare tutto da solo, avrebbero vinto, insieme. Quella era la battaglia di tutti, tutti contro gli angeli, e lui non avrebbe mai lasciato il suo blogger, il suo medico, il suo assistente, il suo John da solo. No, non lo avrebbe lasciato solo, avrebbe lottato con lui.
Magari astuzia e intelligenza, li avrebbero salvati. Sperare non costava nulla, in fondo, no?
Doveva ragionare. Doveva riuscire a trovare una soluzione temporanea. Non poteva rischiare così tanto…
D’istinto, gli venne di afferrare la mano di John e stringerla forte.
“Sherlock, cosa fai? Ho detto scappa!” – tenere gli occhi aperti iniziava a diventare faticoso, non poteva resistere a lungo, non poteva farcela. Doveva riuscire a fare qualcosa. La presa di Sherlock divenne sempre più salda, ma non decideva di dare una risposta a John, forse aveva un piano. Forse qualcosa iniziava a frullare bene nella sua testa, da quando era arrivato in quel luogo dimenticato da tutti. – “per le terza volta, Sherlock, va via.”
“Ho un’idea, sta’ zitto, non ti lascio solo.” – disse il Consulting detective tenendolo ancora per mano. – “diciamolo a tutti. Facciamo a turno. Uno ha gli occhi aperti, l’altro batte le palpebre. Ci alterniamo. Dovrebbe funzionare, ma dobbiamo coordinarci bene.”
“Sherlock, tu…” – iniziò il medico, ma il Consulting detective non lo fece finire, che concluse per primo la frase.
“… sono un genio, lo so.”
“Stavo per dire che ti amo, ma va bene lo stesso.” – ridacchiò John, senza accorgersi di aver appena confessato ed ammesso i suoi sentimenti per Sherlock, che si imbarazzò oltremodo. Iniziava ad amare l’imbarazzo, ma non troppo, insomma, doveva mantenere sempre un certo contegno.
“M-Mi ami? Ma…”
“Come genio, ovvio.” – si corresse subito, rendendosi conto della gaffe appena fatta. Non voleva apparire totalmente idiota ai suoi occhi, per aver detto una cosa del genere. – “attuiamo il tuo piano?”
Sherlock ci rimase un po’ male. Ma solo un po’, no, non aveva sentito un vuoto enorme dentro di sé, non aveva provato per un attimo la voglia di urlare e piangere, ma respinse tutto. Era una sensazione davvero irritante, e fastidiosa, non adatta a lui, ovviamente, poiché John l’aveva detto in un momento di eccitazione, tutto era lecito in quelle situazioni particolarmente emozionanti.
Riuscirono a coordinarsi, comunque, e ad alternarsi con il battito degli occhi.
Sembrava funzionare, ma Sherlock non lasciava la mano di John, e la cosa iniziava a diventare troppo intima. Erano così… vicini. Così… i loro cuori aumentarono di battito, le mani intrecciate iniziarono a sudare, e tenere gli occhi aperti diventava faticoso. Forse anche il sonno stava prendendo il sopravvento su di loro.
Non sapevano che fare. Erano persi. Continuavano con il piano di Sherlock, perché era l’unica arma a loro vantaggio. Non potevano andare via, non potevano muoversi, né potevano fare qualsiasi altra cosa.
“Sherlock… non è vero che ti amo solo come genio.” – disse John, ad un certo punto.
Il Consulting detective si ghiacciò sul posto, lo stava prendendo di nuovo in giro come prima? Era duro, freddo e cinico fino ad un certo punto, il suo cuore aveva una piccola breccia, quella breccia aveva il nome di John Watson.
“Mh… quindi?” - cercò di ostentare durezza, e freddezza, ma non riuscì molto bene, perché la sua voce tremò.
“Volevo che lo sapessi.” – disse apparentemente imbarazzato – “tutto qui. Volevo che lo sapessi.”
“Mi sembra di avertelo detto, non sono interessato, insomma… alle relazioni.”
“Certo, lo so.” – annuì il medico, senza poterlo guardare. Se l’avesse fatto, avrebbe letto tutta l’insicurezza del Consulting detective, tutta la sua paura e il suo cinismo a pezzi.
Sherlock sorrise per un attimo. John lo amava nonostante lui fosse così maledettamente insopportabile?
Era possibile? Insomma… sì, lo era. John l’aveva appena detto.
Intrecciò le dita con le sue, e gli strinse forte la mano.
John non riuscì subito ad interpretare quel gesto, probabilmente era positivo visto che Sherlock non aveva dato ancora di matto. Restò in attesa di un segno dall’altro, che pareva perplesso.
Certo, John aveva voluto che lui lo sapesse, perché probabilmente avevano poche possibilità di sopravvivere, quindi poche probabilità di vedersi ancora, di parlare, di uscire, di…
“John?” – disse improvvisamente, facendo saltare il medico dalla sorpresa.
“Sherlock?” – chiese di rimando, mentre l’altro arrossiva, senza che lui lo vedesse, o lo percepisse. La mano sudava tremendamente ora, segno che era nervoso, molto nervoso, era davvero irritante, ma come facevano i normali a resistere con quelle… emozioni? – “sei in crisi di astinenza da fumo?” – chiese.
“No, niente astinenza” – replicò, non riuscendo a trovare le parole adatte per dire quello che voleva dire.
“Allora, cosa?” – chiese curioso il medico, guardandolo, mentre il cuore di Sherlock faceva le capriole, e batteva all’impazzata, insieme a quello di John, che non ne voleva sapere di smettere di martellare all’interno del suo petto.
“Se sopravvivremo… ricordami di baciarti.” – e allora il cuore di John smise di battere per un attimo.
Poco più in là c’erano Harry e Louis.
Avevano ascoltato il consiglio di Sherlock, ed anche loro si alternavano con il battito degli occhi. Erano coordinati alla perfezione, fino a quando una folata di vento non sollevò dei granelli di terriccio, infastidendo la vista dei ragazzi. Nell’attimo in cui si sfregarono gli occhi, permisero alle statue di avanzare, e se le ritrovarono ad un palmo di distanza. Louis tremò inevitabilmente e mantenere gli occhi aperti fu ancora più difficile di prima. Sperava che il suo turno di tenere gli occhi chiusi arrivasse più in fretta, e finisse il meno rapidamente possibile. Non riusciva a tollerare la vista di quelle… creature, ne aveva il terrore. Tremava, aveva paura, ma non osava dirlo ad Harry, sapeva che avrebbe fatto di tutto per proteggerlo, per farlo stare al sicuro. Non poteva dirglielo, sarebbe stato egoista, e… no, era tremendamente terrorizzato, ma non avrebbe fatto l’egoista facendo fissare solo ad Harry quei mostri. Era il suo ragazzo, dopotutto, no?
“Tutto bene, amore?” – chiese il riccio, preoccupato. Conosceva Louis come le sue tasche e sapeva bene che doveva essere terrorizzato. Quelle creature erano in grado di spaventare persino lui stesso, che non aveva paura di nulla, figurarsi un ragazzo sensibile come il castano, doveva essere fin troppo spaventato.
“S-sì…” – fu la risposta tremolante del castano, che ancora tremava, ma non osava toccare Harry per farglielo capire, né osava dirgli come stesse davvero. Lui non era egoista. Lui avrebbe aiutato Harry, e avrebbe finto di non aver paura, in fondo, erano anni che fingeva di essere chi non era, poteva farlo per una volta per il bene di Harry, no?
“Non dire cazzate, lo so che non stai bene.” – gli disse, afferrandogli la mano, e accarezzandogli il dorso di essa – “lo sento che tremi, anche se ti sforzi di non toccarmi per non farmelo capire.”
“Non ti si può tenere nascosto nulla, eh Styles?”
“Quando si tratta di te, Tomlinson?” – chiese retorico – “nulla.”
Louis sorrise impercettibilmente. Amava quando Harry si preoccupava per lui, ed amava il sesto senso del riccio nei suoi confronti, era inquietante che sapesse sempre come stesse, anche attraverso dei messaggi. Ricordava bene quella sera di tre anni prima, subito dopo X-Factor, quando stando in camere diverse avevano iniziato a mandarsi messaggini, ed Harry aveva preso a fargli complimenti su complimenti, per tutto il tempo, e lui poi era arrossito. Quando gli aveva detto di smetterla, ormai era rosso in viso, ed Harry gliel’aveva detto, rendendolo ancora più in imbarazzo. Com’era possibile che sapesse tutto in quel modo? Erano tre anni, e Louis ancora non l’aveva capito.
L’unica cosa chiara era che amasse Harry Styles. Lo amava più di qualsiasi altra cosa.
“B-Beh, stavolta non puoi fare nulla.” – disse il castano. Continuavano ad alternarsi con il battito degli occhi e Louis non ne poteva più di guardare quelle statue che, in quel momento, non avevano più gli occhi coperti. Erano terrificanti.
“Vedrai che il Dottore arriverà e ci salverà.” – lo rassicurò il riccio, accarezzandogli ancora la mano – “e poi verrà Clark Kent, renditi conto.” – ridacchiò. Louis sembrò sollevarsi e annuì energicamente. L’unica cosa positiva di tutta quell’avventura, era questa: avrebbe incontrato il suo eroe d’infanzia. E questo non poteva che fargli piacere.
“Già… dici che se gli chiedo un autografo, me lo fa?”
“Sei il solito nerd, amore.” – rise il riccio – “ma ti amo anche per questo.”
“Smettila di essere così perfetto, e dolce, e… bellissimo.” – Harry ridacchiò arrossendo appena, e avvicinò il castano a sé, avvolgendogli un braccio attorno ai fianchi. Il castano continuava a tenere gli occhi fissi davanti a sé, lasciando ad Harry il tempo di riposare. Tremava sempre di più, sembrava che quelle cose fossero sempre più vicine. Era sempre più terrorizzato, e non voleva farlo pesare ad Harry, che lo stringeva forte a sé, per rassicurarlo un po’, per farlo stare meglio, e non fargli avere troppa paura.
“E tu smettila di mentirmi, Louis.”
“C-Cosa?”
“Hai paura, e vuoi nasconderlo. Perché?” – chiese, non duramente, accarezzandogli il fianco. Louis aveva le lacrime agli occhi, ormai la paura era troppo forte, sentiva gli occhi pizzicare e sentiva di non poter reggere la visione di quelle statue ancora per molto.
“N-Non voglio… che tu ti senta obbligato a fare qualcosa per me.” – disse – “e non dire che non è vero, ti conosco troppo bene, so che lo faresti.” – Harry sentendolo ridacchiò e gli baciò la tempia con dolcezza. Fece risalire la mano che aveva sul fianco del ragazzo fino alla sua testa, e l’appoggiò contro la sua spalla, nascondendogli la vista di quegli orrori. Non meritava di star male, se aveva paura, lui avrebbe fatto di tutto per ridurla in qualche modo.
“Che fai…?” – chiese.
“Non sopporti la vista delle statue, no?” – chiese, e Louis si ritrovò ad annuire terrorizzato, ancora tremante. – “chiudi gli occhi, non guardare. Ti proteggo io.” – sussurrò stringendolo contro la sua spalla. Louis non avrebbe guardato quelle statue un secondo di più, non poteva permettersi di farlo star male, né di fargli avere paura, ormai era chiaro tutto. Avevano già affrontato tutto quello, dovevano solo aspettare ancora un po’, la soluzione sarebbe giunta in breve tempo. Poi sarebbero saliti nella cabina blu, e sarebbero tornati a casa, insieme, sani e salvi.
“Andrà tutto bene, amore, tutto.” – sussurrò baciandogli la guancia, rassicurandolo. Mantenere lo sguardo fisso senza battere gli occhi era difficile, troppo difficile. Le palpebre stavano per abbassarsi, gli occhi erano pesanti, stanchi… non avrebbe retto, non ce l’avrebbe fatta.
“Harry…”
“Ce la faccio, tranquillo.”
Louis gli era grato, ma sapeva che Harry non avrebbe resistito tutto quel tempo con gli occhi spalancati. Doveva aiutarlo in qualche modo,doveva essere forte, ma non ce la faceva, non poteva aiutarlo.
E se fossero morti? Se non ce l’avessero fatta?
Sarebbero stati liberi.
No, quella non era la soluzione, dovevano lottare, insieme. Insieme ce l’avrebbero fatta, come sempre. Dovevano essere forti, loro lo erano. Si strinse al fianco di Harry, e poi alzò lo sguardo verso la creatura. Era ancora più terrificante di quanto ricordasse, ma no importava. Doveva lottare, insieme ad Harry.
“Ce la faremo insieme, Haz.”
Appena usciti, Merlin ed Arthur erano rimasti con gli occhi spalancati.
Quelle statue erano arrivate fin lì, li avevano raggiunti, come avessero fatto era un mistero. Come potevano delle statue muoversi? Erano di pietra, non potevano muoversi, vero? Era impossibile, la pietra non poteva muoversi da sola, non… Arthur dovette chiudere per un attimo gli occhi – e per fortuna che Merlin li avesse tenuti lui aperti per entrambi – per rendersi conto di ciò che stesse accadendo.
Il consiglio di Sherlock arrivò anche a loro, e dopo un attimo di incertezza e non coordinazione, in cui le statue si era mosse e avevano scoperto gli occhi, avevano iniziato anche loro a battere gli occhi in sincrono.
I dubbi di Arthur erano ancora lì, radicati in lui. E anche se non voleva dirlo a Merlin perché non voleva costringerlo a fidarsi di lui, non poteva affatto farlo, se gliel’avesse detto, detto da lui sarebbe suonato come un ordine, e non voleva affatto che Merlin pensasse che lui gli ordinasse di fidarsi di lui. Non era moralmente ed eticamente corretto.
“Cosa avete, Arthur?” – chiese il giovane servo, avendo visto il suo principe perplesso.
“Niente, Merlin, ce la fai a mantenere gli occhi aperti? Vuoi chiuderli un po’?” - nella mente di Merlin passarono troppi pensieri contrastanti.
Perché Arthur si preoccupava per lui? Perché lo trattava bene, e non male come al solito? Perché diventava sempre così maledettamente perfetto? Perché lui era emozionato da morire, a trovarsi a pochi centimetri da lui? Nonostante condividessero lo stesso destino, fossero le due facce della stessa medaglia, Merlin non avrebbe mai pensato di trovarsi in una situazione di… vicinanza così estrema al principe. Non che non ci fossero stati contatti tra loro, ma qualcosa gli suggeriva che quella volta tutto fosse diverso, qualcosa che li avrebbe cambiati radicalmente. Ma soprattutto, perché si era preoccupato poco prima con il drago, e appena era tornato l’aveva abbracciato in quel modo – cosa non aveva mai fatto prima – stringendolo, senza il minimo segno di arrabbiatura? E perché lui si era sentito… bene?
“No, state tranquillo, piuttosto, voi?”
“Sto bene, non preoccuparti per me.” – sorrise incerto. Doveva fare qualcosa, doveva far capire a Merlin che poteva affidargli la sua stessa vita, ignaro che il servitore l’avrebbe fatto ad occhi chiusi, senza rimpianti, senza paura, senza fermi. L’avrebbe fatto e basta, perché ogni cellula di lui, urlava che si fidasse di Arthur.
“Merlin, visto che potremmo finire male, che ne dici di darmi del tu?” – chiese. Se stavano per morire, voleva almeno che Merlin non si sentisse come suo servitore. Era una sensazione strana quella che provava in quel momento, ma sperava davvero che il ragazzo comprendesse le sue intenzioni. Non era un obbligo, ma una tacita richiesta.
“S-Seriamente, sie/sei capace di chiedermi una cosa del genere in un momento… così?” – fece girandosi, senza rendersene conto. Arthur spalancò gli occhi, e lo spinse dietro di sé. Non poteva permettere certe distrazioni, non in quella situazione, non poteva permettere che le statue facessero del male al suo Merlin.
Lo stregone, quando sentì di essere stato spostato dietro al principe, tentennò per un momento. Arthur voleva proteggerlo, quindi ci teneva davvero a lui, non era solo perché fosse un servo, poteva permettersi servi migliori di lui, non c’era altro.
“Arthur, io posso respingerle, ti prego.”
“Non se ne parla, resta lì.” – parve un ordine, ma non lo era davvero. Il principe voleva solo proteggerlo, preservarlo da qualunque male. Voleva che lui stesse bene, che vivesse altri mille anni, non perderlo quel giorno, non per colpa delle statue, non senza aver almeno tentato di fare qualcosa per lui. – “fidati di me.” – eccola, la richiesta nascosta, finalmente esplicata, finalmente detta, dichiarata. Ce l’aveva fatta, la lunga lotta contro se stesso era giunta al termine, gliel’aveva detto. Ma Merlin si sarebbe fidato di lui? L’avrebbe ascoltato?
Il mago appoggiò una mano sul suo fianco e lo accarezzò lentamente. Avvicinò il viso all’orecchio del principe, e con la voce bassa, sussurrata, lenta, come mai l’aveva usata nei suoi confronti…
“Mi fido.” – confessò il mago, deglutendo. Stava per rivelargli qualcosa di troppo, stava per… dichiararsi, e non poteva, non in quella situazione,non in quel momento, non poteva. – “ma tu devi fidarti di me.”
Arthur fu perplesso. Perché lo chiedeva, perché non accettava quella semplice richiesta, e cercava di fare di più? Perché rendeva tutto più difficile?
“Perché?” – chiese il principe, ancora perplesso.
“Sono un mago, sono un signore dei draghi, ti ho mentito per tutto questo tempo, ma a fin di bene, pratico magie sotto il tuo naso, per salvarti la vita, ho fatto fuggire un drago, che ha giurato che non sarebbe mai tornato a Camelot, altrimenti l’avrei ucciso, sai che il cuore di un drago è a destra e non a sinistra? Sì, avevi sbagliato a colpirlo. E… poi dannazione, sai quante volte ti ho salvato la vita? Come minimo devi fidarti di me, insomma, siamo una bella squadra, non è colpa mia se quando ti guardo mi vengono i brividi e…” – Arthur non gli fece finire la frase, voltò il capo verso di lui e lo baciò sulle labbra. Non importava nulla, né le statue, né la loro velocità, né altro. Loro due erano importanti in quel momento. Se quello era l’ultimo momento che passavano insieme, lo avrebbe vissuto a pieno, senza ripensamenti. Allora appoggiò la mano sulla sua guancia, e ne tracciò il contorno con un dito. Merlin dischiuse lentamente le labbra, e allora Arthur approfondì il bacio, sorridendo contro le sue labbra. Il bacio più bello di tutta la loro vita. Quello di Merlin con Freya? Nulla. Quello di Arthur con Gwen? Il nulla più assoluto.
“Arthur, Merlin!” – urlò il ragazzo occhialuto dietro di loro – “non distraetevi!”
“Romanticismo, puah.” – brontolò Malfoy, affiancando Potter.
I due risero, arrossirono, e si voltarono di nuovo verso le statue per osservarle, mentre gli altri due correvano a dare una mano agli altri. L’altro mago aveva ragione, non dovevano distrarsi, era stata tutta fortuna la loro, che i due stregoni stessero uscendo in quel momento dalla grotta. Forse era il destino, che da sempre li univa che quel giorno, proprio in quella situazione, li avesse uniti in quel modo, e li avesse salvati dalle statue, ed era stato il destino a mettere sulla loro strada il Dottore e i suoi amici strani.
Le loro dita si intrecciarono come per magia, il principe e il mago sorrisero, uniti da qualcosa di diverso, che non ancora riuscivano a spiegare bene, ma c’era e dovevano solo accettarlo.
“Cosa sarà?” – chiese Arthur, e il servo apprese subito a cosa si riferisse.
“Il destino.”
Intanto, Kurt non voleva uscire dalla grotta. Aveva troppa paura, non aveva ancora capito come facessero a trovarsi secoli addietro, con due membri degli One Direction, un tipo con una cabina blu, due tipi armati, un tizio che guardava una persona e capiva chi fosse, cosa facesse nella vita, quale trucco usasse per sapere tutte quelle cose era sconosciuto, ed era accompagnato da un tipo altrettanto strano, che pendeva praticamente delle sue labbra, poi c’erano i due che litigavano sempre, quello con gli occhiali e il biondo, e poi una ragazza che sembrava quasi normale, a parte loro due, ovviamente.
Blaine cercava di convincerlo ad aiutare gli altri, ma Kurt non si convinceva, non ci riusciva, era troppo spaventato da quella situazione.
“Ce la faremo, lo prometto, ma andiamo a dare una mano, okay? Te lo prometto, Kurt.” – disse prendendogli il viso tra le mani e baciandolo delicatamente sulle labbra. Kurt sembrò convincersi, e giunsero quando Sherlock suggerì a tutti di alternare il battito delle palpebre. Quando affiancarono gli altri notarono anche loro il numero esagerato di quelle statue, e Kurt non riuscì a non trattenere un urlo.
“Non ce la faccio, non ce la faccio…le statue, no…” – mormorò coprendosi gli occhi. Blaine sorrise appena intenerito vedendo la sua reazione. Gli prese delicatamente una mano e lo appoggiò contro il suo petto, facendolo abbassare un po’, vista la differenza d’altezza. Kurt subito lo abbracciò, e lasciò che Blaine lo abbracciasse.
Non voleva che il suo ragazzo guardasse da solo quelle statue orrende, ma era più forte di lui. Ne aveva il completo terrore, non riusciva a guardarle per più di trenta secondi, senza averne la paura più completa. Si erano posizionati alla destra di Merlin ed Arthur, e alla sinistra di Harry e Louis. Li sentivano parlare, consolarsi a vicenda, dichiararsi silenziosamente l’amore, e l’unica cosa che riusciva a fare Kurt era tremare e sperare che Blaine lo riportasse nella grotta. Cosa che accadde realmente. Quando i due ragazzi che sostenevano di essere maghi uscirono, loro cedettero il posto a loro, mettendosi dietro.
Blaine riuscì a riposare un po’ gli occhi e a far calmare Kurt.
Non poteva biasimarlo, aveva paura anche lui. Erano in una situazione del tutto sovrannaturale, e non sapevano nemmeno loro come uscirne. La paura era tanta, ma non potevano davvero scappare.
Mentre Kurt pensava che fosse tutto vero, e che sarebbero morti lì, da soli, a causa delle statue di pietra, Blaine era convinto che fosse un incubo. Uno dei peggiori della sua vita, ma pur sempre un incubo finto, frutto della sua fantasia, e del suo subconscio, molto fantasioso, ma pur sempre subconscio, probabilmente condizionato dal racconto di Kurt.  Non aveva creduto ad una parola di quel Dottore, non potevano esistere alieni, né statue che vivevano milioni di anni, addirittura dalla nascita dell’universo. Da quale libro di fantascienza aveva letto quella cosa?
Doveva solo svegliarsi, e contemporaneamente rassicurare Kurt.
Odiava vederlo così piccolo ed indifeso, odiava vederlo tremare e non voleva che lui stesse male in quella situazione, per questo doveva svegliarsi in qualche modo.
“Blaine… lo sai che ti amo tanto?”
“Ma cosa…?”
“Da quando ci siamo conosciuti alla Dalton, disegnavo cuori con il mio nome e il tuo nome uniti…” –  confessò tremando sull’orlo delle lacrime. Aveva paura di morire, paura di restare bloccato in quel posto, e Blaine ancora non voleva credere a niente. Ancora era così scettico ed odioso, persino Sherlock si era convinto che quella fosse realtà e che ne sarebbe uscito solo grazie al suo intelletto (o forse era ancora convinto che fosse opera di Moriarty, ma fingeva di aiuto convincersi che fosse vero per dare il meglio di sé, questo era ancora sconosciuto) – “e-e io… Blaine…”
“Kurt…” - ridacchiò – “lo sapevo. Ma sta’ tranquillo, non morirai.”- gli baciò la guancia – “non moriremo. Lo prometto.”
“Tu credi a tutto, vero? Non credi che sia un sogno…”- lo guardò implorante con gli occhi pieni di lacrime, e il moro non riuscì a dirgli di no. Non riuscì a dirgli la verità. In fondo, una mezza bugia poteva dirla, poteva omettere i suoi veri pensieri, rassicurando Kurt, era il suo sogno, dannazione, poteva sopravvivere se lo voleva.
“Ovvio che ci credo…” – sussurrò baciandogli la guancia. – “e ti prometto che ce la faremo, ma ora vieni con me.” – gli disse con il sorriso sulle labbra – “aiutiamo gli altri.”
“Va bene, va bene… ma non riesco a guardarle quelle statue, sono terrificanti…”
“Facciamo così” – mise le mani a coppa intorno al suo viso, facendolo sorridere appena – “quando non riesci più a guardare, lo dici a me, e metti gli occhi contro la mia spalla. Così le guardo da solo, mh?”
“O-Okay…” – mormorò il castano. Allacciò le braccia attorno al collo del moro e lo baciò intensamente sulle labbra, facendolo sorridere. Finalmente iniziava a sciogliersi, proprio come aveva voluto lui, quindi era vero. Era un suo sogno e tutto andava come voleva lui. Si alzarono da terra dopo un ennesimo bacio sulle labbra, e si diressero dagli altri affiancandoli. Anche loro iniziarono a battere gli occhi in sincrono, prima uno e poi l’altro, alternandosi in modo da tenere sempre quelle annate statue sotto controllo.
Kurt aveva paura.
Blaine credeva fosse tutto un sogno.
Uno tremava ed era terrorizzato.
L’altro era tranquillo, e sorrideva.
Blaine avvolse le spalle di Kurt con un braccio, e l’altro allungò il braccio dietro la sua schiena, cingendogli i fianchi. Si strinsero in quel modo. Potevano osservare tutte le altre coppie, chi stringeva le mani, chi con la coda dell’occhio si trasmetteva amore…
Chi implorava mentalmente il ritorno del Dottore, e chi temeva che si fosse perso, fosse morto da qualche parte.
Tutti temevano che non tornasse più, tranne Blaine, che era convinto che appena l’avesse pensato, sarebbe tornato.
Torna, torna, torna…
Ma quando aprì gli occhi il Dottore non c’era, le statue erano più vicine, avevano avanzato verso di loro, e fu allora che la paura pervase anche Blaine facendolo ghiacciare sul posto.
Kurt si accorse del suo irrigidimento, e la situazione mutò. Stavolta fu Kurt a tranquillizzare il moro e a dirgli che ce l’avrebbero fatta. Dovevano essere forti, ed uniti. Dovevano salvarsi insieme ed andare a casa.
Insieme.
“Blaine, andrà tutto bene.”
Jack e Ianto erano andati a cercare della legna, e durante la ricerca non si erano parlati. Jones aveva tenuto il broncio tutto il tempo, e Jack non aveva voluto insistere, gli avrebbe parlato solo se avesse voluto, anche se la situazione era diventata opprimente. Solo quando ritornarono, avendo udito le urla vicine, su un attacco degli angeli, e si ritrovarono a fissarne due che si erano posizionate davanti a loro.
Non dovevano battere gli occhi. Dovevano tenere duro, e non battere mai gli occhi. Era quella l’arma vincente, ma avrebbero dovuto tenere gli occhi fissi sulle creature per tutto il tempo.
Jack non aveva paura, dopo aver affrontato tutti gli alieni possibili, compresi i Daleks, ed essendo lui immortale, non correva alcun rischio, e non poteva di certo aver paura di affrontare un sasso. La cosa difficile era tenere gli occhi spalancati davanti a sé, e non battere mai le palpebre. Inoltre, l’unica paura che aveva, era il pensiero che capitasse qualcosa a Ianto. Certo, poteva apparire freddo. Istintivamente gli afferrò una mano, lo sentì fremere, e mollare subito la presa.
Okay, era chiaro. Era arrabbiato con lui per chissà quale motivo.
Beh, dovevano aspettare il Dottore, e non battere gli occhi, non muoversi, non voltarsi e restare fermi, avevano il tempo necessario per parlare e chiarire tutta la questione. 
“Allora, Ianto, come mai sei arrabbiato con me?” – chiese Jack, appoggiandosi contro un albero, tenendo lo sguardo sulla statua di fronte a lui.
“Non sono arrabbiato con te, Jack.” – rispose Ianto, fissando anche lui quella statua. Era davvero terrificante, e lui ne aveva affrontati tanti di alieni, fin dallo pterodattilo affrontato insieme a Jack quando si erano conosciuti, eppure non aveva mai sentito quei brividi lungo la schiena, quei brividi di terrore, che lo spingevano ad avere sempre più paura, paura di qualsiasi cosa. Era vero, allora, che ci si sentiva in quel modo, in una situazione di terrore?
“Avanti, ti conosco bene. Cosa ti tormenta?” – insisté il capitano, senza poter guardare il suo compagno negli occhi per constatare se mentisse o meno, ma sapeva riconoscerlo anche dalla voce, era addestrato a capire quando qualcuno mentiva o meno, e l’aveva già fatto in passato.
“Niente, davvero.” – la voce di Ianto si incrinò sul ‘davvero’, e allora Jack comprese che c’era davvero qualcosa che non andasse, ma cosa? Non ricordava di aver fatto qualcosa di male, anzi nell’ultimo periodo era anche più dolce con lui, cosa doveva fare ancora? Portarlo all’altare o cosa?
Oh, no, gli era già bastato vedere Gwen sposarsi con Rhys per terrorizzarsi in modo assurdo, forse più di quanto non lo fosse davanti ai Weeping Angels. Odiava i matrimoni, e poi… beh, lui avrebbe vissuto per tutta la vita, mentre Ianto no. Lui era immortale, Ianto no.
“Ianto?” – appoggiò una mano sulla sua spalla, e lo senti rabbrividire. – “Ianto. Cos’hai? Dimmelo.” – duro, freddo, tagliente, quello era un ordine, un ordine perentorio.
“No.”
“Sono il tuo capitano, il capo, ora me lo dici.”
“Sei insopportabile!” – sbottò – “non puoi usare la tua autorità per farmi confessare come sto!”
Forse era un buon segno la sua perdita di pazienza. Forse avrebbe confessato tutto, erano in una situazione di pericolo, l’insistenza e la paura potevano portare a certi scatti, soprattutto su un tipo sensibile come Ianto.
“Io non ti sopporto, quando fai così!” – urlò – “sei uno stronzo con me, fai finta che io non esista e davanti a me flirti con qualsiasi cosa respiri.” – confessò.
E’ geloso? Sul serio?
Ianto tremava. L’arrabbiatura, la paura avevano preso il sopravvento su di lui e allora Jack lo abbracciò, facendogli nascondere il viso sulla sua spalla, come quando avevano ballato al matrimonio di Gwen.
“Ianto… sei geloso?” – chiese con una risata nella gola – “è una scenata di gelosia, questa?” – chiese ancora, accarezzandogli la schiena, senza scostare lo sguardo dalle due creature, mentre stringeva il ragazzo tra le braccia.
“Anche… mi dà fastidio che non vuoi ammettere che abbiamo una relazione.”
“Noi non abbiamo una relazione.” – freddezza, nuovamente la freddezza che lacerò il cuore di Ianto per la… aveva perso il conto di quante volte le parole di Jack avessero spezzato il suo povero cuore, ogni volta era una nuova pugnalata.
“Ma…” – provò a dire, le parole gli morirono in gola – ho bisogno di te, tanto bisogno di te, Jack.
“Ianto, io sono immortale, tu un giorno morirai.”
“Goditela per ora, ti prego…” – lo supplicò anche con lo sguardo. Jack non resisteva ai suoi occhi, che tuttavia erano rivolti alle statue, che immobili scrutavano i due ragazzi con i loro occhi famelici. Volevano la loro energia, e lui non avrebbe mai permesso che prendessero quella di Ianto, del suo Ianto.
“Io ho una figlia, che ha avuto un figlio. Sono nonno, capisci?” – cercò di dire, comunque, per non rendere le parole dure che gli aveva rivolto più comprensibili.
“Mi sono sempre piaciuti gli uomini più grandi.”
“Cosa devo fare con te, Ianto Jones?”
“Amami, ti chiedo solo questo, per ora, amami. Puoi?”  - chiese supplichevole. Restò tra le sue braccia, e si girò verso le statue, fissando lo sguardo su di esse, e guardandole intimò al capitano di riposare un po’ lo sguardo, riusciva a guardarle, soprattutto se restava tra le sue braccia. Era così bello e forte…e  trasmetteva  così tanta protezione da far sentire Ianto fortissimo e pieno di volontà.
Tuttavia non sapeva la risposta, era ignaro, sperava che Jack lo ascoltasse.
Tanto prima o poi sarebbe finita, lo sapeva, ne era consapevole.
Ma lo amava, cosa poteva farci?
Assolutamente nulla, era una cosa che era accaduta, non rimediabile. Si era innamorato di Jack, e nemmeno la sua immortalità l’avrebbe fermato dall’amarlo con tutta la sua anima fino alla fine.
“Allora, puoi?” – chiese nuovamente, sentendo un sospiro rassegnato da parte di Jack, voleva dire sì? Accettava? Lui non si faceva false speranze, sapeva di vivere una relazione del tutto atipica… ma l’amore era imprevedibile, no?
“Posso.”
 
Intanto qualche secolo più  avanti, Charlotte e il Dottore viaggiavano nel TARDIS verso Smallville.
La ragazza sembrava preoccupata, era come se non avessero pensato ad un dettaglio, un piccolo dettaglio che avrebbe cambiato definitivamente le cose. C’era una cosa ancora da chiarire, una cosa… che non riusciva ad afferrare, ma qual era?
“Tutto bene?” – chiese il Dottore, fissandola.
“Sto pensando ad una cosa.” – confessò – “c’è qualcosa a cui non abbiamo pensato. Una cosa che ci sfugge.”
“Forse hai ragione, ti riferisci agli specchi, vero?”
Come faceva? Leggeva nel pensiero?
No… lui non era in grado di fare quello, lei lo sapeva. Forse era solo un sesto senso, o il cervello molto sviluppato, o… era solo un Time Lord, sapeva tutto sempre e comunque.
“Come… come hai fatto?” – chiese lei sorpresa.
“Sono il Dottore, ovvio.”
Charlotte alzò gli occhi al cielo ridendo. Decisamente era un tipo fuori dal comune, era un tipo meraviglioso, era tutto ciò che lei aveva sempre desiderato. Chi non avrebbe desiderato viaggiare insieme all’ “uomo dello spazio”?
Gli colpì scherzosamente la spalla, e lui rise insieme a lei.
Discussero riguardo gli specchi, dove prenderli, e lui le disse che ci avrebbe pensato lui, che a Smallville avrebbero avuto degli specchi e lì li avrebbero presi. La ragazza era sempre più affascinata da lui, e desiderava con tutto il cuore che niente di tutto quello smettesse, che lui restasse sempre lì  a renderle le giornate migliori. I fantasmi della sua quotidianità sembravano svaniti, lei sembrava un’altra persona, meno timida, più spigliata, allegra, dalla battuta pronta. Il Dottore la stava cambiando in meglio, la stava rendendo quella che non era mai stata, conservava dentro di sé la vecchia se stessa, ma si migliorava, diventava più matura, meno irascibile. Era molto meglio in quel modo, era più solare. Persa com’era nei suoi pensieri, non si accorse che fossero arrivati a Smallville, solo quando il Dottore aprì la porta del TARDIS e fu investita dall’aria fredda di lì, si accorse che fossero arrivati. Brontolò qualcosa sul freddo, e il Dottore le appoggiò il suo cappotto lungo sulle spalle. Lei scoppiò a ridere di nuovo, era davvero troppo lungo per lei, ma non importava, era del Dottore, e quello era un gesto che faceva raramente. Si strinse di più il cappotto addosso, e lo seguì. Erano atterrati nel giardino della fattoria Kent.
Appena fuori dal TARDIS, infatti, notarono la figura di un ragazzo alto e muscoloso, che doveva per forza essere Clark. Dopo una breve occhiata, si accorsero che il giovane aveva corso verso di loro, in un batter d’occhio, e aveva scaraventato il Dottore contro la porta del TARDIS.
Era senza dubbio Clark Kent.
“No, no!” – urlò Charlotte, cercando di staccarlo dal Dottore. Con la forza che si ritrovava avrebbe potuto fargli del male, provocargli qualche grave danno, e spingerlo già alla rigenerazione.
Charlotte rabbrividì.
A parte che non voleva che ciò accadesse, non era ancora il tempo di farlo, era presto, lei sapeva.
“Cosa volete? Cosa ci fate qui?!” – chiese con la voce alta il ragazzo dalla casacca rossa e la t-shirt blu. Non aveva freddo? Ah, lui era immune a tutto, anche al freddo, giusto.
“Io sono Charlotte, Charlotte Ellis” – si presentò – “e lui è il Dottore. E abbiamo bisogno di te.”
Clark lasciò andare il Dottore, e annuì.
Non rifiutava mai delle richieste d’aiuto, e non poteva quella volta, era un sano principio della sua vita.
Il Dottore rivolse uno sguardo riconoscente alla ragazza, che ammiccò nella sua direzione.
“Di cosa avete bisogno?” – chiese allora, il ragazzo guardandoli. Il Dottore si schiarì la voce, e scostò Charlotte, dicendo che quella era area di sua competenza. Doveva spiegare per filo e per segno cosa serviva, e cosa dovesse fare, e vista l’indole un po’… aggressiva di quel ragazzo, doveva stare attento a ciò che diceva, e attento che non facesse del male alla ragazza, che lui aveva preso sotto la sua ala protettiva. Non poteva rischiare di metterla in pericolo a causa sua, no? Aveva già commesso quest’errore con Rose, con Martha, con Astrid, con tantissime altre persone, e con la stessa Donna, che ancora non si arrendeva, e lo seguiva ovunque, di certo non avrebbe permesso anche a Charlotte di avere dei problemi a causa sua, né di rischiare la vita.
Spiegò a Clark degli angeli, delle persone bloccate nell’altra dimensione, e del piano degli specchi. Senza che arrivasse a fargli la domanda, Clark intuì il motivo della loro visita, e corse in casa recuperando quanti più specchi poteva, grandi, piccoli, medi. Charlotte aveva ragione, quel ragazzo era altruista e disponibile, aveva sbagliato a giudicarlo male.
“Certo che vi aiuterò, avevo sentito delle sparizioni, volevo essere d’aiuto in qualche modo.” – disse il ragazzo, quando i due chiesero stupefatti se davvero avesse accettato con tanta facilità.
“Bene, allora ripartiamo. Non abbiamo molto tempo.” – disse seriamente il Dottore.
“In che senso?” – chiese Charlotte perplessa.
“Gli altri potrebbero aver bisogno, sai… gli angeli. Si muovono se non sono osservati. E a Camelot di notte nessuno li osserva” – spiegò il Dottore.
“Dannazione, è vero!” – esclamò la ragazza. Clark intuì che dovessero partire subito, e il Dottore guidò tutti verso la cabina blu.
“Ma ci entreremo in tre?” – chiese Clark. Come potevano entrare tre persone in una cabina tanto piccola.
“Entra e guarda.” – replicò il Dottore, aprendo la porta. Il ragazzo entrò e spalancò gli occhi.
Non poteva essere, era… irreale. Ne aveva viste di cose strane, ma non come quella cabina.
“E’ più grande dentro!” – urlò. Charlotte rise e lo seguì subito, stessa cosa fece il Dottore, chiudendosi la porta alle spalle. Il ragazzo ancora non quantificava la grandezza intera di quella cabina. Potevano entrarci anche eserciti.
“Già, fa quest’effetto.”  - disse il Dottore, avvicinandosi subito ai comandi. Impostò di nuovo le coordinate di Camelot e ripartirono verso il posto da salvare.
Tutti speravano che il piano di Sherlock funzionasse.
Durante il viaggio, venne spiegato a Clark nel dettaglio cosa avrebbe fatto, come avrebbe dovuto muoversi, come avrebbe dovuto agire. Doveva essere abile, a non battere gli occhi, posizionare gli specchi e correre veloce. Ovviamente tutti avrebbero aiutato, fissando da angolazioni diverse le creature.
Il ragazzo parve capire il suo ruolo.
Charlotte gli batté una mano sulla spalla, incoraggiandolo. Tutto sarebbe andato per il verso giusto, ne era sicura.
Si fidava soprattutto del Dottore, con lui lì niente sarebbe andato nel verso sbagliato, tutto sarebbe risultato giusto.
Stavano per atterrare, quando lei gli si avvicinò e lo guardò. Pareva preoccupato per qualcosa, e non era un buon segno, se il Time Lord si preoccupava… c’era qualcosa che non quadrava.
“Che hai?”
“Niente, andrà tutto bene.” – disse, cercando di convincere prima se stesso e poi lei. C’era qualcosa che non quadrava, qualcosa che non andava. Ma non doveva farlo capire, doveva trovare il problema e risolverlo da solo.
“Se lo dici tu… ma non preoccuparti, okay?” – lo guardò sorridendogli. Adorava quella ragazza, riusciva a fargli vedere il lato positivo anche nella situazione più drammatica. Forse aveva bisogno di qualcuno, non poteva stare da solo. Certo, aveva ancora Donna, e sarebbe dovuto tornare a prenderla, altrimenti chi l’avrebbe sentita con le sue lamentele? Doveva ammetterlo, gli mancava, ma quella Charlotte era una forza della natura, nonostante fosse timida, era diversa, era in grado di sollevare i morali. E a lui serviva in quel momento qualcuno così. Dopo ciò che gli avevano detto gli Ood, soprattutto. Non voleva che la sua canzone finisse.
Le baciò la guancia, facendole battere il cuore, giusto un secondo prima che il TARDIS atterrasse e lei rimasse imbambolata lì, dentro alla macchina spazio-temporale. Le ci vollero almeno un paio di minuti prima di riprendersi. Il Dottore e Clark erano già usciti.
Quando anche lei uscì, notò che tutti fossero all’erta, con gli occhi spalancati.
Istintivamente chiuse la porta del TARDIS, e appena si voltò si ritrovò davanti uno degli angeli. Erano più terrificanti dal vivo che in foto, doveva ammetterlo.
“Dottore!” – urlò – “Dottore! Dottore!”
Lui non appena la sentì, corse nella sua direzione e la vide in pericolo. Sapeva perché quella creatura si fosse avvicinata al TARDIS, ma non avrebbe permesso a quella né di far del male a Charlotte, né di prendere possesso della cabina. Era troppo importante davvero.
“Non battere gli occhi, non farlo!” – le urlò.
“Non li batto… no…” – tremò cercando di tenere gli occhi aperti, la creatura era a pochi centimetri da lei, poteva vederla perfettamente: gli occhi vuoti, la bocca aperta, i denti appuntiti, le mani già protese verso di lei – “ma è terrificante…” – mormorò.
Il Dottore fece uno scatto veloce, correndo nella sua direzione, e si posizionò tra la ragazza e la statua.
“Va’ nel TARDIS!” – esclamò, quando lei fu al sicuro dietro la sua schiena. Charlotte solo in quel momento, quando non vide le spalle del Dottore coperte dal cappotto, si rese conto di averlo ancora lei. E allora sorrise, recuperando un po’ di coraggio.
“No, non ti lascio solo.” – gli disse cercando di affiancarlo, ma lui la stoppò,  con un braccio. Non l’avrebbe permesso.
“Va’ nel TARDIS!” – ripeté – “Clark sta per agire, ti raggiungiamo tutti tra poco, lo prometto, ma ora nel TARDIS, lì sarai al sicuro.”- le disse con fermezza, velata da leggera dolcezza. Senza che lui potesse vederla annuì e indietreggiò verso il TARDIS, entrando velocemente e chiudendosi la porta alle spalle. Non poteva far nulla, non poteva aiutarli.
Intanto fuori erano tutti impegnati a tenere gli occhi aperti. Clark aveva iniziato a correre veloce, talmente veloce che nessuno poteva vederlo. Sistemava gli specchi davanti a tutte le statue, nessuna esclusa. Ne avevano recuperati altri nel TARDIS, quella nave spaziale era così grande da contenere anche una stanza con degli specchi. Continuò a posizionare specchi sotto gli occhi sorpresi ed ammirati di tutti, soprattutto quelli di una persona.
Louis Tomlinson fissava Clark con somma ammirazione. Certo, era appena un ragazzo, e magari non aveva nemmeno scoperto tutti i suoi poteri, ma cavolo, quello era Clark Kent in persona.
Per Sherlock invece quello era l’ennesimo fenomeno paranormale. E… iniziava ad accettarli, un po’, forse.
Quando ebbe finito, intimò a tutti di allontanarsi, di togliersi da lì. Allora tutti si spostarono, corsero verso il TARDIS e Clark si accorse dell’ultima statua. Corse velocemente e posizionò lo specchio davanti a quella, liberando il Dottore.
L’ansia era palpabile. Non sapevano se aveva funzionato, in quel momento tutti stavano guardando, quindi non avrebbero potuto muoversi.
“Chiudete gli occhi.” – disse il Dottore.
Tutti parvero spaventati da questo. Dovevano chiudere gli occhi? E se quelle si fossero mosse?
“Dobbiamo capire se abbiamo fallito o no.” – spiegò ancora. Tutti annuirono, convinti. Avevano ragione loro, no? Avevano vinto, le statue erano state sconfitte, non avrebbero mai più dato fastidio, no?
“D’accordo allora, lentamente, tutti. Chiudiamo gli occhi.” – disse ancora il Dottore.
Harry Styles, Louis Tomlinson, Sherlock Holmes, John Watson, il Dottore, Clark Kent, Kurt Hummel, Blaine Anderson, Arthur Pendragon, Merlin, Harry Potter, Draco Malfoy, Jack Harkness e Ianto Jones chiusero gli occhi in contemporanea. Per un primo momento, non accadde niente. Pensarono tutti di aver vinto, gli angeli ormai erano fermi, immobili. Niente poteva rimetterli in moto. Si stavano fissando, no?
“Shhh… non aprite gli occhi.” - disse il Dottore – “non ancora, non ancora…” – tensione, ansia, tremore, paura. Tutto ciò scorreva nelle vene delle persone presenti che tenevano gli occhi chiusi e tremavano, in attesa di qualcosa di cui non avevano idea se fosse arrivata o meno.
Poi accadde. Il rumore di vetri rotti riecheggiò per tutta la radura e la sua eco si espanse a macchia d’olio. Il Dottore spalancò gli occhi, ritrovandosi faccia a faccia con l’angelo e, che protendeva le mani in avanti.  
“Tutti nel TARDIS!” – urlò, facendo in passo indietro – “veloci!”
Tutti aprirono gli occhi velocemente. L’ansia non permetteva loro di tenere gli occhi aperti e fissi, battendoli vedevano man mano gli angeli avvicinarsi, allunga le mani, tentare di afferrare qualcosa davanti a loro.
Gli specchi si erano rotti. Secondo le superstizioni popolari erano sette anni di sciagura, per loro significava solo una cosa: Fallimento.
Una volta che furono tutti dentro, il Dottore indietreggiò ancora lentamente tenendo lo sguardo sulla creatura, attento a non perdere di vista le altre che aveva intorno, e raggiunta la porta del TARDIS vi entrò. Violenti scossoni mossero la cabina, segno che alcuni degli angeli l’avevano accerchiata. Appena dentro, il Dottore corse ai comandi. Il TARDIS volò tra le stelle, lì dove gli angeli non potevano raggiungerli.
Erano al sicuro, ma per quanto lo sarebbero stati?

 
To be continued...
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Hi everybody!
Sono puntuale come un orologio svizzero, e strong, quindi vi propino anche la terza parte del cross-over.
Allora qui ritroviamo...
Il Dottore e Sherlock che litigano.
Johnlock
Ancora tanto fluff e un po' di suspance.
L'idea degli specchi di Sherlock non era male, ma ovviamente era troppo presto affinchè decedessero quelle malette statue.
E' arrivato anche KEEENT, quindi il nostro cast è al completo finalmente.
Ho raggiunto l'OOC con Ten, ma mia storia, miei personaggi, mie scelte, ew, tanto non voglio offenderlo in nessun modo, lo amo çç
So di abusare dell'Allons-y, ma lo amo, quando lo dice è troppo çç
Forse saranno sei parti, la prossima è di 17 pagine, e forse la divido ulteriormente, non lo so lol
A parte questo...
Spero che il crossover vi piaccia, e...
Scappo. 
Alla prossima, sweetie. <3


 

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Capitolo 4
*** Quarta parte. ***


Desclaimer: Nessuno dei personaggi citati mi appartiene, purtroppo. Non intendo offendere nessuno - come potrei, io li adoro tutti - e tutto ciò che ho scritto è stato fatto solo per il mio puro diletto, senza alcuno scopo di lucro, lo giuro, non guadagno nulla da questo. 
 
Credits: Alla mia Lu (che ama Louis troietta)  per il banner. Quell'angelo è figo, ma anche inquietante.
 
Avviso: Contiene fangirling. (lo ripeto sempre, perchè... meglio avvisare sempre. LOL)
Avviso2: Tutti i personaggi sono OOC, anche se ho cercato di rimanere quanto più IC ho potuto, spero di non aver cannato nulla. Ovviamente molte delle cose che dirò sono prese dalle varie serie, ma non tutto. Alcune cose, e teorie le ho inventate di sana pianta. (es. le deduzioni brillanti di Sherlock.)
Allons-y!
 



 
“Dobbiamo studiare un altro piano” – disse il Dottore – “gli specchi sono fragili, e non possono resistere per molto. Non li bloccano in eterno e l’abbiamo già verificato.” – spiegò prendendosi la testa tra le mani. Il TARDIS era in orbita, lì non correvano pericoli di attacchi. Forse quelli che avevano smosso il TARDIS si erano bloccati per sempre, perché si erano guardati l’un l’altro una volta che la cabina era sparita. Ma quanti potevano essere? Nemmeno una decina, e paragonati al numero che erano, quelli fermati non rappresentavano nemmeno la punta dell’iceberg.
“Dovremmo restare qui per un po’.” – disse Charlotte avvicinandosi a lui – “riposare, perché si vede che tu sia stanco, rilassarci e poi pensare a qualcosa” – gli sorrise – “sono sicura che tu troverai la soluzione, hai bisogno di mettere a posto le sinapsi.” – gli diede una pacca sulla spalla – “una buona tazza di tè?”
“E dove lo prendi il tè? Siamo nel TARDIS.”
“Sì, ma il tuo TARDIS non è l’unica cosa che può contenere tutto lo spazio e il tempo.” – il Dottore la guardò stralunato, mentre Charlotte si abbassava ed apriva uno zaino, dal quale estrasse dei bicchieri e un termos.
“Quello… è uno zaino?”
“Il mio zaino da scampagnata.” – ridacchiò – “te l’ho detto, sono irlandese. Ero a Londra per una gita… di piacere.” – spiegò – “quindi qui ho tutto l’occorrente per sopravvivere.”
“Ti faccio notare che siamo quindici persone, inclusa te.”
“Tu non conosci mia nonna, Dottore.” – lo guardò con sfida, alzando un sopracciglio – “mi ha fornito cibo e bevande che basterebbero per sfamare un esercito.” – il Dottore rise scuotendo la testa. Quella ragazza era imprevedibile. Aveva imparato che nulla era impossibile, solo imprevedibile, in fondo, lui aveva una cabina che poteva contenere decine e decine di persone. Prese dei bicchieri di carta, ne sistemò quindici davanti a sé, e verso del tè in ognuno di essi, distribuendoli poi a tutti. Era una fortuna che avesse portato con sé il suo zaino, altrimenti sarebbero restati in quella situazione scomoda, senza viveri e acqua.
Tutti i presenti si sedettero per terra, chi contro le pareti del TARDIS, chi solo sul pavimento.
Dovevano solo riuscire a trovare una soluzione, non era poi così complicato. Il Dottore era preoccupato, quella volta non aveva affatto idea di come risolvere la situazione, era fin troppo complicata. Come potevano distruggere delle statue che si bloccavano nel momento in cui venivano fissate? Doveva trovare un modo, altrimenti nessuno di loro ce l’avrebbe fatta, e non avrebbe potuto riportare nessuno nella propria epoca.
“Dovremmo pensare a qualcosa da fare.” – disse Kurt, improvvisamente ritornando nella sua forma migliore.
“Sì, è vero.” – concordò Charlotte - “siamo quindici persone, in una nave spazio-temporale, abbiamo a disposizione tutto lo spazio che ci pare, ci sono quattro cantanti, e…” – estrasse un cellulare dalla sua tasca – “la musica.”
“Ragazza, tu sei un genio!” – esclamò Kurt sorridendo – “possiamo organizzare un Glee club qui dentro!”
“Un Glee, cosa?” – chiese Sherlock. La cosa diventava irritante. Non ne poteva più di sentire assurdità, tra le statue, le cose assurde, la cabina enorme dentro… il suo cervello rischiava di fondere.
“Shh” – ammonì il ragazzo, guardando la ragazza – “hai abbastanza canzoni lì dentro?”
“Certo che ne ho abbastanza, e con l’aiuto del Dottore, posso renderle solo basi, in modo che…”
“Possiamo cantare, ah tu sei un genio, davvero!” – sorrise. Finalmente iniziava ad avere meno paura, e la scelta di cantare lì dentro, lo emozionava. Gli bastava un po’ di musica per placare le sue paure – “Blaine, tu ci stai?”
“Lo chiedi anche, tesoro?”
Perfetto, Blaine era dentro. Erano già a due membri di quel club di cantanti improvvisati.
“Sì, anche io voglio partecipare.” – disse Harry, il riccio, alzandosi. Seguito a ruota dal suo fidanzato, Louis, che accettò anche lui di buon grado quella scelta improvvisata di cantare, almeno tutti si sarebbero rilassati e le acque si sarebbero placate, rendendo tutto più piacevole, e meno terrificante.
“Mi unisco!” – esclamò anche Jack, sorridendo.
“Ci sto anche io!” – fece John alzandosi – “Sherlock, che ne dici?” – chiese all’amico… o cos’erano, adesso?
“La mia mente è troppo sviluppata per certe idiozie.” – rispose inacidito.
Arthur e Merlin si tirarono indietro, perché effettivamente non avrebbero conosciuto nessuna delle canzoni proposte, perché… beh, erano di un’altra epoca. Clark declinò l’offerta perché sosteneva di non saper cantare bene, e non voleva fare pessime figure davanti a tutta quella gente; Malfoy si rifiutò, perché lui – testuali parole – “non mi abbasso a certi livelli babbani inferiori.”, Potter era troppo timido per cantare, e la stessa cosa era per Ianto.
Charlotte si offrì per scattare foto, riprodurre le canzoni, e filmare di tanto in tanto qualcosa.
“E tu Dottore?” – chiese Kurt, guardandolo – “tu ti unirai a noi?”
Il Time Lord parve un attimo perplesso.
Forse doveva accettare, in fondo non gli costava nulla cantare, anzi avrebbe fatto bene ai suoi nervi, tra l’altro era una cosa che gli piaceva da morire fare, quindi, perché no? Ma poi come avrebbe pensato al piano?
Tutti lo guardavano con ansia, sperando che desse l’okay per quella cosa un po’ strampalata e piena di… non senso, ma alla fine, dovevano rilassarsi in qualche modo, no? E poi cosa aveva senso da un paio di giorni a quella parte?
“Va bene, ci sto!” – esclamò, sorridendo.
“Allora è deciso, saremo il Glee club della cabina blu!” – esclamò il ragazzo, mentre Charlotte tirava fuori un pezzo di carta, del nastro adesivo e una penna dalla borsa.
“Io direi più…  TARDIS Glee club” – corresse mostrando il foglio a tutti i presenti, mentre Kurt annuiva allegramente, e una volta aggiunti un paio di strappi di nastro, la ragazza aprì la porta del TARDIS, trovandosi davanti uno degli spettacoli più emozionati ai quali avesse assistito.
L’universo si espandeva davanti a lei, milioni erano le stelle – vere stelle, polveri e gas in fusione – che c’erano davanti a lei, i pianeti del sistema solare erano lì, e lei aveva gli occhi spalancati, stupefatta.
“Oh, non te l’avevo ancora mostrato?” – chiese il Dottore affiancandola.
“E’… meraviglioso. Dannazione, è stupendo!” – indicò con il dito un punto davanti a loro – “quella è la Via Lattea?”
“Oh sì. Ma non aspettarti di vedere costellazioni.”
“Lo so, per chi mi prendi?” – lo guardò alzando un sopracciglio – “le stelle delle costellazioni si vedono in quel modo sulla terra, ma da qui… sono tutte a grandi distanze tra di loro.”
“Sei preparata allora.”
“Certo! Studio astronomia.” – sorrise e corse dentro per prendere la macchina fotografica dallo zaino. Uno spettacolo del genere non poteva farlo passare inosservato e non fotografato.
Era tutto così meraviglioso lì fuori, c’era un universo intero da esplorare. Come avrebbe potuto dire di no a quello spettacolo? Come avrebbe potuto rinunciarvi da quel giorno?
Il Dottore l’aveva trovata, quando vagava sola e smarrita per Londra. Non era proprio smarrita, ma aveva bisogno di qualcosa del genere per rivalutare tutta la sua vita, e… cambiare.
Tornò alla porta aperta del TARDIS e iniziò a scattare delle foto, sotto gli occhi attenti e sorridenti del Dottore.
“Il TARDIS ci protegge, vero? E’ per questo che possiamo respirare?” – chiese. E il Dottore rise, perché era assurdo che sapesse davvero così tante cose su di lui, sul TARDIS, sui suoi viaggi, su chi l’aveva accompagnato e su chi aveva affrontato.
“Esatto, guarda, non te lo chiedo nemmeno come tu faccia a sapere certe cose.” – scosse la testa, mentre la ragazza non poteva far altro che sorridere, scattare foto, e continuare a sorridere. Quell’avventura era davvero la cosa migliore che le fosse capitata in tutta la sua vita e poi… dannazione era insieme a tutti coloro che stimava, e ammirava. Era tutto così epico che stentava a credere che fosse… reale.
“Dottore?”
“Sì?”
“Grazie. Di tutto.” – disse, e prima che lui rispondesse, lo abbracciò con delicatezza. Avvolse le sue esili braccia intorno ai fianchi del Dottore, e lasciò che lui ricambiasse – con suo sommo stupore – l’abbraccio. Appoggiò la testa sul suo petto e i battiti dei due cuori del Time Lord le invasero l’orecchio, facendola sorridere.
Non poteva essere tutto un sogno, non poteva davvero.
Era tutto così reale, così tangibile, ed era sempre più emozionata.
Quale sarebbe stata la prossima mossa?
Tossicchiò spostandosi da vicino a lui, arrossendo incredibilmente, mentre lui si lasciava andare in un sorriso intenerito e dolce, che spediva la ragazza – letteralmente – su un altro pianeta.
Okay, forse lo adorava tanto.
Forse un po’ più di tanto.
Si fece aiutare da lui a sistemare il cartello improvvisato e sorrise soddisfatta. Non poteva crederci, aveva creato un Glee club insieme a Kurt Hummel, tra i cui membri c’erano anche Harry Styles e Louis Tomlinson, insieme a John Watson, Jack Harkness, il Dottore e Blaine Anderson. Nel pubblico c’erano Arthur Pendragon, Merlin, Clark Kent, Sherlock Holmes, Ianto Jones, Draco Malfoy ed Harry Potter. Quanto a lei, era la responsabile della regia e della fotografia, un evento del genere non poteva passare inosservato e soprattutto non poteva non essere ripreso.
Non voleva perdere nemmeno un attimo, non voleva dimenticare nemmeno un secondo, non voleva che sembrasse davvero frutto della sua fantasia frenata, o non aver nessun ricordo. Doveva ricordare per tutti i giorni della sua vita l’avventura più bella che avesse mai vissuto.
Il ‘TARDIS Glee club’ era nato.
L’adrenalina era alle stelle, lo stomaco contorto in una massa informe, il cuore impazzito e l’aria carica di sensazioni positive.
“Allora.” – esordì – “i cantanti vengano qui vicino a me, e mi dicano la canzone che vogliono cantare.” – ordinò – “gli altri si dispongano per ordine d’altezza seduti per terra, farete il coro.”
“Ma noi…” – tentò Merlin, cercando di spiegare che loro non conoscevano le parole, né la melodia.
“Silenzio. E’ ovvio che chi non conosce la canzone, non canterà granché. Ma se seguite gli altri non avrete problemi.” – spiegò velocemente. Poi chiese al Dottore qualcosa, che nessuno degli altri capì, e gli passò il telefono.
Il Dottore doveva solo fare in modo che la batteria durasse di più e che il suo si amplificasse, oltre a dover lasciare solo la base delle canzoni, cose che riuscì a fare grazie all’aiuto del cacciavite sonico che aveva.
Ormai tutto era pronto. I ruoli erano stati stabiliti e tutti avrebbero deciso cosa cantare, soprattutto per chi farlo.
Charlotte sperava in tanti momenti romantici tra le varie coppiette che aveva avanti. Prese la macchina fotografica, e la mise in modalità di registrazione, sistemò il telefono in modo che il suo si estendesse a macchia, e poi chiese chi fosse il primo a volersi esibire. Non vedeva l’ora di vedere quali canzoni avrebbero scelto. Era estasiata.
Durante tutto quel tempo, era cambiata, aveva abbracciato il Dottore, con lui viaggiato e visto le stelle, appena istituito un Glee club nel TARDIS, conosciuto il futuro Re Arthur e il suo aiutante-mago Merlin, incontrato Harry e Louis degli One Direction, parlato con il famoso Sherlock Holmes insieme al medico John Watson, incontrato due maghi – Malfoy e Potter – fatto amicizia con Kurt e Blaine, e conosciuto il famosissimo Clark Kent, il supereroe più conosciuto, inoltre aveva visto con i suoi occhi i temibili Weeping Angels, le statue che avevano terrorizzato tutti.
Intanto, Louis aveva avvistato Clark e insisteva con Harry perché gli andassero vicino.
Era più che emozionato, fin da bambino aveva sognato di poterlo incontrare, ed eccolo lì, con il suo eroe preferito, bloccato in una cabina blu, insieme anche al suo ragazzo. Era una situazione sovrannaturale, ma per lui meravigliosa.
Quando finalmente ebbe convinto Harry, lo trascinò fino al ragazzo con la casacca rossa e la t-shirt rossa, e sorrise.
“Ehm… Clark?” – chiese inizialmente intimidito, stringendo la mano di Harry – “sei… sei il vero Clark Kent?”
Quello si voltò verso di lui, e gli sorrise annuendo – “Sì, sono il vero Clark. Tu… sei?”
“Louis Tomlinson!” – esclamò estasiato, allungando una mano verso di lui per stringergliela. – “so tutto di te, come sei arrivato sulla terra, come hai sconfitto il male, di come hai salvato la terra!” – lasciò senza accorgersene la mano di Harry, per afferrare quella di Clark con entrambe le mani, stringendola forte. – “posso fare una foto con te? Quando mi capita di incontrare di nuovo Clark Kent in carne, ossa e… muscoli. Hai i muscoli!” – esclamò, sotto gli occhi contrariati di Harry, che guardava il suo ragazzo gioire per quel campagnolo spilungone e palestrato.
“Ehm… piacere di conoscerti, Louis” – ridacchiò Clark, facendo impazzire ancor di più il castano, che dimenticando totalmente la presenza di Harry dietro di lui, chiese se potesse toccargli i muscoli e vedere se fossero davvero “d’acciaio” come si diceva. Il riccio continuava a guardarli innervosito. Indietreggiò di parecchio, fino ad urtare contro un altro dei passeggeri di quella nave stranissima.
“Qualche problema?” – chiese la voce che Harry riconobbe come quella di Ianto.
“No, è che…” – sospirò – “odio vederlo con altre persone, specialmente se è così…” – indicò Louis che toccava addominali di Kent, che rideva alle reazioni dell’altro ragazzo – “… estroverso.”
“Oh capisco, sei geloso.” – ridacchiò l’agente Torchwood, toccandogli la spalla.
“No, io…” – tentò di giustificarsi Harry, cercando di dissimulare la sua palese ed evidentissima gelosia nei confronti dell’altro. Odiava quando si sentiva così, ma non poteva farci nulla. Assolutamente nulla.
“Sei geloso.” – completò l’altro, mentre Harry sconfitto abbassò la testa annuendo. Inutile negare, era geloso, e lo era da tre anni, non riusciva a nasconderla nemmeno quando Louis si avvicinava a qualcuno dei loro compagni di band…
“Okay, forse lo sono un po’.”
“Un po’, eh?”
“Oh mio dio!” – si sentì l’urlo eccitato di Louis, che fece ridere tutti – “sei davvero forte!”
Harry si girò verso la provenienza di quell’espressione eccitata, e spalancò gli occhi.
Louis si lasciava tranquillamente tenere in braccio da quel tipo, mentre Charlotte scattava foto su foto, e lui rideva. Rideva così tanto che la sua risata scaldava i cuori di tutti. Erano anni che non era così felice, e doveva esserlo con quel… campagnolo spilungone?
“Okay, dì pure che sono molto geloso!” – esclamò, allontanandosi da quel punto a grandi falcate, raggiungendo quello in cui erano Louis e quel… ragazzo. Sentiva il nervosismo salire sempre di più.
No, non era mai stato un tipo eccessivamente geloso, ma…in quel momento lo era. Non sopportava vedere Louis così… attratto da un altro. Era una cosa che non rientrava nei suoi schemi mentali. No, doveva esserci un certo limite tra ciò che Louis poteva fare con un altro e quello che poteva fare con lui, ed essere preso in braccio non rientrava nella prima categoria di limiti. Forse era davvero troppo geloso.
“Ehi spilungone muscoloso!” – esclamò quando fu vicino.
Okay, non era una buona idea mettersi contro uno immune a tutto, tranne che a della pietra verde – Louis gli aveva spiegato milioni di volte chi fosse Clark Kent, tutti i suoi poteri, e il suo unico punto debole – ma la gelosia era esplosa, insieme alla rabbia, e proprio non riusciva a trattenersi.
“Dici a me?” – chiese Clark, ignaro di tutto ciò che stava succedendo al ragazzo che gli rivolgeva la parola.
“Sì, dico a te.” – disse nervoso – “quello è il mio ragazzo, mettilo giù!” – trillò, mollandogli un pugno sul braccio, sentendo immediatamente un dolore immensamente atroce espandesi per tutta la mano. Era davvero “d’acciaio” come si diceva.
Louis, ancora in braccio a Clark, scoppiò a ridere, e lo guardò con dolcezza. Amava quando lui era geloso, amava quando dimostrava in quel modo il suo amore per lui, e amava da morire il fatto che da quando erano  lontano da casa, Harry spiattellava a tutti la loro relazione, era una bella sensazione, appagante.
Voleva dire che prima o poi sarebbero usciti allo scoperto? Avrebbero smesso di nascondersi?
“Tranquillo, ricciolino, non gli faccio niente.” – fece mettendolo a terra, facendo nascere un verso contrariato nella bocca di Louis, che silenziosamente protestava. Ma era comunque soddisfatto. Aveva una foto insieme a Clark Kent, il vero, non un manichino o una statua di cera. Era il vero, in carne, ossa e muscoli.
Non poteva lasciarsi sfuggire quest’occasione.
Louis si avvicinò ad Harry sorridendo sornione e gli avvolse le braccia attorno al collo felice come non mai.
“Sei geloso, amore?” – chiese con gli occhi dolci, e l’espressione innocente.
Harry sbuffò e lo allontanò in malo modo. Si era fatto male, e Louis lo scherniva anche. Fantastico!
“Haz, ma…” – provò Louis, ma il riccio gli rivolse uno sguardo di fuoco, facendolo sentire improvvisamente piccolo.
“Tornatene dal tuo Clark!” – strillò esasperato, chiudendo a pugno la mano che si era ferito. Si allontanò a passo svelto, mentre Louis lo guardava dispiaciuto. Non credeva che avrebbe avuto quell’attacco di rabbia nei confronti di Clark. Harry era un ragazzo tranquillo, a modo… forse era solo geloso.
“Charlotte, gli medichi tu, la mano?” – chiese dispiaciuto e preoccupato, sospettando che Harry si fosse rotto un paio di ossa, e abbassò lo sguardo. Non voleva litigare con Harry, e il riccio aveva decisamente esagerato, ma sapeva come farsi perdonare, certo che lo sapeva.
“Perché non vai tu?” – sorrise la ragazza passandogli un tubetto di pomata e una garza – “così parlate, siete stressati entrambi.” – Louis sorrise annuendo. Era vero, doveva farlo lui, per questo ritornò da Harry, e una volta accanto a lui, gli fece un sorriso di scuse, e gli prese delicatamente la mano tra le sue, accarezzandola piano, prima di passarvi sopra la pomata e avvolgere attorno ad essa un po’ di garza per fargliela tenere ferma.
“Te lo richiedo, sei geloso?” – chiese con un mezzo sorriso sulle labbra, fissando il suo ragazzo negli occhi.
“Da morire.” – brontolò il riccio, appoggiando la fronte contro la sua.
Louis conosceva i suoi punti deboli, e sapeva che Harry non riusciva a tenergli il broncio per più di dieci minuti, ma comunque avrebbe fatto di tutto fargli capire che la sua reazione a Clark, seppur eccessiva, era stata solo indotta dal suo essere un fan sfegatato del supereroe. Lo baciò con dolcezza, facendo sciogliere non solo il riccio, che tenendolo tra le sue braccia si sentì di nuovo completo, ma tutti gli altri intorno. Ognuno di loro avrebbe voluto tenere in quel modo la persona a cui tenevano di più. Quei due ragazzi erano un esempio per tutti. Tutti avrebbero dovuto sciogliersi e lasciare liberi i sentimenti. In una situazione del genere, mantenere la calma era la cosa più indicata, e rilassarsi era d’obbligo. Tutti parevano stressati e troppo preoccupati rispetto a cosa stava accadendo, cosa sarebbe accaduto, e come sarebbe finita tutta quella storia, tutti speravano di tornare a casa propria, e ritornare alla normalità.
Forse un po’ di musica avrebbe alleviato i loro animi, e avrebbe ristabilito un po’ di tranquillità tra tutti. Forse quella di creare un club sul TARDIS non era male come idea. Forse la musica era la chiave mancante. Era quella cosa che li avrebbe salvati.
Non potevano sapere cosa sarebbe successo dopo quella notte, lunghissima notte, che avrebbero passato su una nave spazio-temporale, in orbita, e sospesi nello spazio.
Per persone come Charlotte, sognatori, di larghe vedute, amanti della stravaganza e dell’irrealtà, era un sogno.
Per persone come Sherlock, calcolatori, ragionatori, schematici e amanti della realtà, era un vero e proprio incubo. Non riusciva a capire perché a lui fosse capitata una cosa del genere. Per fortuna che con lui c’era John, altrimenti non avrebbe saputo come fare. Si sarebbe sentito fuori luogo – cosa che sentiva, ma con John era attenuato – si sarebbe sentito perso, ma avendo John al suo fianco era tutto diverso. E non sapeva come sarebbe finita con lui, insomma, gli aveva detto che l’avrebbe baciato, ma in effetti non l’aveva fatto, non ancora.
Forse aspettava il momento giusto, forse. Magari aveva solo paura.
“Okay, basta, basta!” – esclamò Charlotte, felice dopo aver scattato una foto a Louis ed Harry – “chi canta per primo?” – chiese, sorridente.
“Io! Vengo io per primo!” – esclamò Jack avvicinandosi alla ragazza, che sorrise dolcemente esultando. L’uomo le disse all’orecchio la canzone che voleva cantare e lei annuì, dicendogli che fosse presente nel suo cellulare.
Lo posizionò davanti alla telecamera, facendo partire la base, attivando immediatamente la registrazione.
Jack rivolse lo sguardo a Ianto, e sorrise, iniziando a cantare.
I wanna call the stars, down from the sky
I wanna live a day that never dies
I wanna change the world only for you
All the impossibile, I wanna do.” – Ianto subito alzò lo sguardo su di lui, e sorrise. Non era possibile, Jack non gli stava davvero dedicando una canzone. Era… meraviglioso, non gli era mai successa una cosa così.
I wanna hold you close under the rain
I wanna kiss your smile and feel the pain
I know what's beautiful looking at you
In a world of lies, you are the truth” – a parte qualche eccezione, tutti avevano già le lacrime agli occhi, soprattutto Ianto, che non poteva davvero credere alle sue orecchie. No, Jack non stava cantando per lui, non lo stava… guardando negli occhi.
And baby every time you touch me
I become a hero, I'll make you safe
No matter where you are
And bring you everything you ask for
Nothing is above me
I'm shining like a candle in the dark
When you tell me that you love me” – Jack sorrise mentre cantava, vedeva Ianto imbarazzato e amava vederlo così, timido, arrossito. Sperava che quella canzone, facesse passare in parte l’arrabbiatura nei suoi confronti.
I wanna make you see, just what I was
Show you the loneliness and what it does
You walked into my life to stop my tears
Everything's easy now, I have you here” – lo indicò, finalmente e Ianto non capì più nulla. Lo fissò intimidito e stralunato. Davvero non sapeva come comportarsi, era così strano. Jack aveva una voce meravigliosa, non l’aveva mai sentito cantare, e forse si innamorò di lui per la millesima volta da quando lo aveva conosciuto.
And baby every time you touch me
I become a hero, I'll make you safe
No matter where you are
And bring you everything you ask for
Nothing is above me
I'm shining like a candle in the dark
When you tell me that you love me” – Jack sorrise guardandolo, era vero, si sentiva diverso quando Ianto gli diceva di amarlo, si sentiva bene, nonostante sapesse che avevano un tempo limitato, sperava che quel tempo limitato non finisse mai.
In a world without you
I would always hunger
All I need is your love
to make me stronger” – la voce di Jack era spettacolare. Tutti avevano i brividi e al moro scappò una lacrima, mentre guardava il suo fidanzato cantare. Poteva considerarlo, fidanzato, no? Gli stava praticamente dicendo di on voler vivere in un mondo senza di lui. Dannazione, quanto erano complicati i sentimenti. Qualcosa di assurdo, soprattutto per un agente che avrebbe dovuto essere freddo e calcolatore.
“And baby, Everytime you touch me
I become a hero, I'll make you safe
No matter where you are
And bring you, everything you ask for
Nothing is above me
I'm shining like a candle in the dark
When you tell me that you love me” – dopo una lacrima, ne seguirono altre, sempre di più. Fino a che il viso di Ianto non fu invaso dalle lacrime. Tante lacrime lente, di commozione, di felicità, d’amore. Voleva alzarsi, correre da lui e abbracciarlo forte. E poi baciarlo fino allo sfinimento. Forse quello era stato uno dei momenti migliori della sua vita, che non avrebbe ripetuto mai più. Uno di quei piccoli momenti indimenticabili che avrebbe sempre portato nel cuore, che l’avrebbero fatto sorridere nei momenti più bui e tristi, e forse Jack lo amava davvero, ma era troppo... se stesso per capirlo.
When you tell me that you love me” – capitava raramente, nessuno dei due voleva mai dire quelle due paroline magiche, quelle che avrebbero risolto tutti i problemi, solo Ianto ogni tanto, preso dai momenti di dolcezza, si spingeva tanto oltre, ma Jack mai. Non lo faceva mai. Era sempre freddo, e forse un po’ lo comprendeva, insomma, aveva più di cento anni, ne aveva viste tante, troppe – “You love me” – occhi negli occhi, sorrisi stampati sulle labbra, e forse un pizzico d’amore che non faceva mai male ai cuori di nessuno – “When you tell me that you love me” – concluse la canzone, fissando Ianto negli occhi. Tutti si alzarono in piedi applaudendo, nessuno si sarebbe mai aspettato da  Jack tanta dolcezza e tanto amore, e soprattutto quella voce pazzesca.
Il cuore di Ianto batteva all’impazzata, e – purtroppo – ne capiva anche il motivo. Era quel maledetto capitano che lo faceva sentire così. Non poteva sentirsi come un ragazzino, non in quel momento, lui era un agente, doveva mantenere il sangue freddo,  e il cervello all’erta, teoricamente. Tecnicamente si alzò da terra, e raggiunse Jack, avvolgendogli le braccia attorno al collo, sussurrandogli sulle labbra, prima di baciarlo, “ti amo”.
Dopo un ulteriore applauso, andarono a sedersi vicini. Ianto con la testa appoggiata sulla spalla di Jack, e quest’ultimo che gli cingeva i fianchi con un braccio, sotto gli occhi felici di Charlotte, che scattò un'altra foto.
“Chi è il prossimo?” – trillò guardando tutti gli altri. John precedette di pochi secondi Louis, che voleva cantare per farsi perdonare da Harry per poco prima. Il medico si avvicinò alla ragazza e le sussurrò il titolo della canzone che aveva scelto con attenta meditazione poco prima, gli occhi della giovane brillarono, capendo a chi volesse dedicare la canzone, e dopo averlo posizionato davanti alla telecamera ancora in funzione, fece partire la base, e John iniziò a cantare, mentre gli altri rimasti a terra, gli facevano da coro.
I’ve been lied to, you been cheated
I’ve been cried to, you been mistreated
I’ve been watching you, you want action
You need love and I need satisfaction” – iniziò cercando con lo sguardo Sherlock, che imbarazzato, distoglieva lo sguardo, fissando una delle pareti del TARDIS, a caso.
I’m burning for love
Filled with desire
I can’t stand the heat
And my heart’s on fire
I can’t get enough
It’s down to the wire
I’m making my move, I’m looking for you
I’m burning for love” – Sherlock si ostinava a tenere lo sguardo lontano da quello di John, per non imbarazzarsi, per non sentire la pressione di quelle parole. Aveva capito che l’ex-soldato si riferisse a quello che poco prima si erano detti nella foresta, eppure… non sapeva cosa pensare. Insomma, aveva detto quelle cose perché preso dalla paura, no? Per quanto fosse strano per uno come lui, Sherlock arrossì incredibilmente tanto. John lo aveva appena indicato dicendogli che lui volesse amarlo? Amare, era serio? Aveva inalato qualcosa in quella cabina per dire certe cose così assurde? Quell’avventura a John faceva davvero male, bruciare d’amore? Ma che diavolo significava?
You’re the victim it’s in your eyes
I’m the suspect and love’s the crime
Tensions mounting bodies shaking
I can’t take the anticipation” – no, no, quello era un colpo basso bello e buono, non poteva paragonare l’amore ad un crimine, quelli che lui amava risolvere. Era impossibile, non voleva crederci, era… asssurdo.
Allora perché, aveva la voglia incredibile di alzarsi da terra e avvicinarsi a lui per baciarlo? Beh, in fondo, l’aveva detto prima, no? Se fossero sopravvissuti avrebbe voluto baciarlo.
I’m burning for love
Filled with desire
I can’t stand the heat
And my heart’s on fire
I can’t get enough
It’s down to the wire
I’m making my move, I’m looking for you
I’m burning for love” – che diavolo significavano quelle parole? Perché le stava cantando a lui? No, si rifiutava di credere una cosa del genere. John non poteva bruciare d’amore, era scientificamente impossibile. Era qualcosa totalmente irrazionale, e a lui l’irrazionalità non piaceva, per niente.
No, non aveva bisogno d’amore, no di certo, lui non poteva amare. Finiva sempre per ferire le persone con il suo atteggiamento, e non voleva succedesse con John, era il suo unico amico, o forse qualcosa di più?
Now that I got you in my sight
Can’t take another sleepless night
Oh, no, no
You can run but you can’t hide
You’re the only one I need
To feel the fire inside” – no, no, John doveva smetterla, non poteva continuare con quella canzone, era troppo. Non poteva continuare a guardarlo. Sentiva gli occhi del soldato su di sé, sentiva il suo sguardo bruciare addosso, e no, non doveva arrossire, non poteva. Lui non era innamorato di John, e John non lo era di lui.
Perché invece, voleva solo baciarlo?
John sorrise allora terminando la canzone, finalmente aveva incrociato gli occhi del Consulting detective, e non riusciva a staccarli da lì. Tutto pareva magico, non riuscivano nemmeno a sentire gli applausi. John riusciva solamente a sorridere guardando Sherlock, che era combattuto tra il sorridere e… il restare indifferente.
Non che la canzone di John non gli avesse fatto piacere, ma lui era solito restare impassibile davanti a certe smancerie. Il bruno si sistemò il cappotto, nascondendo all’interno del colletto di esso il viso terribilmente arrossato. Perché si sentiva così? Cos’aveva fatto? Aveva solo cantato una canzone, in fondo. Una canzone nemmeno bellissima. Erano solo idiozie, stupide idiozie. Cantare non serviva a nulla, né tanto meno provare sentimenti. Erano tutte cose inutili. John dopo poco ringraziò con un breve inchino e ritornò al suo posto, accanto a Sherlock. Era stato un buco nell’acqua? A giudicare dallo stato di Sherlock era un sì e un no.
“Sei stato bravo” – borbottò il Consulting detective – “insomma, sì. Bravo.” – le mani iniziarono a sudare e lui prese a sfregarle tra di loro. Quella di sicuro era una crisi d’astinenza da fumo, non imbarazzo.
“Grazie” – sorrise – “speravo ti piacesse.”
“Sì beh…” – si morse il labbro, per evitare di dire qualche cattiveria, com’era solito fare lui – “insomma, i Bon Jovi? Davvero?” – lo spintonò per un braccio – “non ti facevo tipo da Bon Jovi, tu sei… uhm…”
Quella era una cosa strana e inusuale. Sherlock senza parole.
John aveva compiuto un miracolo, a quanto pareva.
“Sherlock?” – chiese, appoggiandogli una mano sulla guancia, fermando la moltitudine incredibile di parole che fuoriuscivano al secondo dalla bocca del Consulting detective. La mano di John bruciava.
“Cosa…?” – chiese senza guardarlo negli occhi, e quello fu il primo passo falso di Sherlock, perché se avesse alzato lo sguardo, avrebbe visto che John era una spanna più vicino a lui. E i loro nasi quasi si sfioravano.
“Sta’ zitto, e baciami.” – disse in un sussurro, catturando le labbra di Sherlock con le sue. L’altro restò per un attimo stranito, e tutto intorno a loro parve fermarsi. Forse e solo forse voleva quello da quando si erano conosciuti e forse lo voleva anche John, visto che ormai le sue labbra erano incollate e lo stava baciando con dolcezza, una disarmante dolcezza che bruciava dentro di loro. Non capiva perché sentiva il suo cuore battere all’impazzata, e non capiva nemmeno perché si sentisse così… strano.
Sapeva solo che avesse dischiuso le labbra e avesse permesso a John di approfondire quel bacio tanto voluto e desiderato da entrambi, nonostante lo nascondessero e cercassero di negarlo a loro stessi, quel bacio lo volevano e lo aspettavano da sempre, era inutile dire il contrario, e tutti se n’erano accorti. Chiunque li vedesse, li scambiava per una coppia, e forse lo sarebbero stati in futuro. Quel bacio stava cambiando tutto, il loro rapporto, quello che avrebbero provato da quel momento in poi, ogni cosa.
Sentirono un flash, probabilmente di Charlotte che urlava felice di quell’evento, ma non vi fecero caso.
Sentirono gli altri applaudire, ma non vi fecero caso. Erano semplicemente persi in quel bacio dolce che si stavano scambiando quella sera strana di quel giorno, in cui si erano trovati lontani dalla loro realtà.
Quando finalmente rinvennero, restarono vicini, molto vicini. Era il turno di Louis, stavolta era riuscito ad alzarsi prima che qualcun altro decidesse di precederlo.
La base era già partita, e lui aveva iniziato a cantare.
If I don't say this now I will surely break
As I'm leaving the one I want to take
Forgive the urgency but hurry up and wait
My heart has started to separate” – un sorriso timido si dipinse sulle sue labbra, mentre rivolgeva lo sguardo al suo ragazzo, che ancora gli teneva il broncio, finto ovviamente, era ovvio dal bacio di poco prima che l’avesse perdonato.
Oh, oh, be my baby
Oh, oh, oh, be my baby
I'll look after you” – Harry inclinò la testa, sorridendo, oh, quanto amava la voce di Louis, era il suono più bello che avesse mai ascoltato, era come una medicina, una di quelle buone, che facevano stare bene. Sorrise guardando il ragazzo, che ammiccò nella sua direzione.
There now, steady love, so few come and don't go
Will you won't you, be the one I'll always know
When I'm losing my control, the city spins around
You're the only one who knows, you slow it down” – Harry socchiuse gli occhi, e si beò di quel suono, lasciando che esso accarezzasse le sue orecchie, e lo facesse sorridere come un ebete.
Tutti ascoltavano la canzone, la voce di Louis era così dolce e rilassante che no poteva non essere ascoltata. Charlotte aveva gli occhi lucidi, e tutti gli altri erano estasiati. Non c’era qualcuno che non ascoltasse.
Oh, oh, be my baby
Oh, oh, oh, be my baby
I'll look after you” – indicò Harry, che aveva appena aperto gli occhi, e si lasciava scappare l’ennesimo sorriso rivolto al suo ragazzo. Non poteva davvero essere arrabbiato con lui, nemmeno se lui aveva urlato di gioia, toccato un altro, e lasciato che questo lo prendesse in braccio.
If ever there was a doubt
My love she leans into me
This most assuredly counts
(S)he says most assuredly”- Harry mandò un bacio volante a Louis con la mano, e il ragazzo fece il gesto di afferrarlo, continuando a cantare. Non aveva mai visto Louis così rilassato, e forse l’idea che stava ponderando da un po’, non era poi così sbagliata, assurda e… disastrosa.
Oh, oh, be my baby
Oh, oh, oh, be my baby
I'll look after you” – il riccio aveva sempre saputo che Louis fosse un tipo timido, riservato, piccolo e indifeso, ma in quel momento gli sembrava di vedere l’opposto. Anche se era leggermente goffo nei movimenti, Harry lo trovava incredibilmente eccitante. Anche in quel momento, all’apice della sua dolcezza. - “After You, oh, oh, be my baby, oh…” – il riccio non ne poteva più, voleva alzarsi, andare da lui e baciarlo fino a fargli perdere il respiro e la ragione, voleva baciarlo intensamente con amore e dolcezza, con passione e intensità.
It's always have and never hold
You've begun to feel like home
What's mine is yours to leave or take
What's mine is yours to make your own” – tutti erano ancora attenti e in ascolto, mentre ad Harry erano scappate un paio di lacrime. Quello era davvero un ragazzo speciale, aveva fatto bene a sceglierlo, tre anni prima.
“Oh, oh, be my baby
Oh, oh, oh
Be my baby
I'll look after you” – Louis concluse la canzone, e Harry fu il primo ad alzarsi in piedi ed esultare, mentre il ragazzo faceva un inchino un po’ imbarazzato, impacciato e goffo. Nonostante avesse ventun anni, Louis conservava l’innocenza di un ragazzino, non la giocosità, ma l’innocenza pura.
“Quello è il mio ragazzo!” – urlò Harry applaudendo, mentre Louis, imbarazzato abbassava lo sguardo e ringraziava chiunque gli facesse complimenti. Okay, la situazione era un tantino imbarazzante, e la reazione di Harry ancor di più. Ritornò al suo posto, e si accoccolò vicino ad Harry, appoggiando la testa sulla sua spalla, facendogli capire che non dovesse dire niente, che andava bene così. Sussurrò solo un timido ‘grazie’ e aspettò che il prossimo si esibisse.
Era stata davvero una meravigliosa idea quella del gruppo di canto nella cabina.
Il prossimo ad esibirsi era Kurt, che si avvicinò a Charlotte, dicendole la canzone che volesse usare, e poi si diresse nel punto in cui tutti si erano esibiti. Sorrise guardando Blaine, e aspettò che la ragazza facesse partire la base, poi iniziò a cantare, sorprendendo tutti con la sua meravigliosa voce.
Share my life, take me for what I am
Cause I'll never change all my colors for you
Take my love, I'll never ask for too much
Just all that you are and everything that you do” – fermo sul posto, teneva le braccia lungo i fianchi, e sorrideva, guardandosi intorno, alla ricerca dello sguardo del suo fidanzato, che doveva guardarlo negli occhi mentre gli dedicava la canzone, non poteva non farlo.
I don't really need to look very much further
I don't want to have to go where you don't follow
I won't hold it back again, this passion inside
Can't run from myself, there's nowhere to hide” – Blaine lo guardò con gli occhi colmi di fierezza ed amore, mentre Kurt cantava guardandolo dritto negli occhi, cercando di trasmettergli quello che provava in quel momento.
Don't make me close one more door
I don't wanna hurt anymore
Stay in my arms if you dare
Or must I imagine you there
Don't walk away from me... ” – protese le mani in avanti verso di lui, continuando ad intonare la canzone, e gli occhi di Blaine iniziavano a riempirsi di lacrime. I brividi percorrevano la sua schiena da cima a fondo, facendolo rabbrividire e sentire un ragazzino alla prima cotta.
I have nothing, nothing, nothing
If I don't have you, you, you, you.” – il suo indice puntava verso di lui e il bruno non riusciva ad evitare di sorridere ed avere gli occhi rossi. Quella era una delle emozioni più belle della sua vita, ogni volta che ascoltava Kurt cantare era un’emozione enorme, non c’era niente di paragonabile alla sua voce.
You see through, right to the heart of me
You break down my walls with the strength of you love
I never knew love like I've known it with you
Will a memory survive, one I can hold on to” – il ragazzo stava cantando con l’anima e il cuore tra le mani. Tutti se ne erano accorti, in quella cabina troppo grande per essere tale, le emozioni si stavano condensando, rendendo l’atmosfera più dolce, più carica, più… romantica.
I don't really need to look very much further
I don't want to have to go where you don't follow
I won't hold it back again, this passion inside
Can't run from myself, there's nowhere to hide
Your love I'll remember forever” – anche Kurt aveva gli occhi lucidi, come succedeva sempre quando metteva tutto se stesso nelle canzone così dolci e romantiche. E guardava Blaine, che anche lui commosso, lo guardava sorridendo, ed era tentato di saltargli al collo e baciarlo, stringerlo forte, e ringraziarlo. Dietro di lui, Charlotte in lacrime, che cercava di far foto con una mano e asciugarsi le lacrime con l’altra.
Don't make me close one more door
I don't wanna hurt anymore
Stay in my arms if you dare
Or must I imagine you there
Don't walk away from me...
I have nothing, nothing, nothing” – Blaine non diede il tempo al giovane Kurt di finire la canzone. No, si alzò in piedi, prima che la melodia finisse, mentre il ragazzo ancora cantava e corse verso di lui, abbracciandolo forte. Era stato il momento migliore della sua vita, e quando Kurt cantava in quel modo, Blaine non poteva farci nulla, si emozionava peggio di un bambino piccolo. Il castano sorrise dolcemente e avvolse le braccia attorno al collo del ragazzo, che aveva il collo affondato nel collo del fidanzato, e singhiozzava, troppo preso dall’emozione.
“Ehi… la prossima volta non canto se reagisci così” – sussurrò il più grande, stringendolo tra le braccia, sorridendo felice come non mai. Gli baciò la guancia con delicatezza, sorridendo. Blaine faceva tanto il forte, il duro, ma poi era un tenerone, e un romantico di prim’ordine, peggio di Kurt stesso, anche se non l’avrebbe mai ammesso.
“Non dire sciocchezze, amo quando canti così, quando ci metti tutto te stesso…” – sussurrò contro il suo collo, lasciandosi cullare dalle braccia del fidanzato, che non poteva farci nulla, era adorabile qualsiasi cosa facesse. Dall’avere paura di una statua al dedicargli una canzone mozzafiato. Quello era il potere di Kurt, essere sempre adorabile in ogni situazione, e Blaine cadeva ai suoi piedi ogni giorno di più, non avrebbe vissuto un singolo giorno senza di lui, era ovvio. Era una delle cose più ovvie e palesi del creato.
“Io amo te.” – confessò a bassa voce, facendo sorridere – nuovamente – come un idiota Blaine, che non si trattenne, alzò il viso verso il suo e posò le labbra sulle sue, fregandosene di trovarsi davanti a tutti, se aveva fatto bene i conti, erano tutte coppiette come lui e Kurt, quindi… lo baciò. Lo baciò con dolcezza e amore. Era un bacio casto, fatto di piccole parole non dette. Blaine non aveva mai sentito Kurt dire quelle parole con tale facilità, ma forse era il momento di mettere a nudo i propri sentimenti. Sì, era giusto, doveva farlo anche lui. Ma era troppo ovvio e prevedibile che lo facesse subito dopo di lui, avrebbe aspettato un po’.
Intrecciò le dita con quelle di Kurt, e insieme a lui tornò a sedersi tra gli altri, che applaudivano Kurt e con lui si congratulavano per la meravigliosa esibizione non conclusa a causa di Blaine. Quella canzone aveva risvegliato i sentimenti di due persone tra quel piccolo pubblico improvvisato. Charlotte cercava di non piangere dall’emozione, ne aveva provate troppe. E tutta quella dolcezza le stava facendo scoppiare il cuore, notato ciò, il Dottore si alzò, chiamando Jack con sé, e il capitano batté una mano sulla fronte. Quando arrivarono da lei, le dissero velocemente la canzone, e prima che la ragazza la facesse partire, brevemente decisero come avrebbero cantato quella canzone. Intanto tra gli spettatori, qualcun altro si organizzava per cantare assieme ad altri, decidendo le canzoni. La musica partì e i due improvvisati cantanti iniziarono a dettare il tempo battendo le mani, coinvolgendo di già tutti i presenti. Quale stregoneria era quella? Che domande, erano Jack e il Dottore, riuscivano a coinvolgere sempre tutti in tutto.
Tonight I'm gonna have myself a real good time
I feel alive and the world I'll turn it inside out, yeah
And floating around in ecstasy
So don't stop me now don't stop me
'Cause I'm having a good time having a good time” – Jack iniziò a cantare per primo, mentre il Dottore annuiva improvvisando balletti imbarazzanti a ritmo di musica, accompagnato dal capitano.
I'm a shooting star leaping through the sky
Like a tiger defying the laws of gravity
I'm a racing car passing by like Lady Godiva
I'm gonna go go go
There's no stopping me” – continuò il Dottore, guardando il suo partner, che continuava ad improvvisare balletti imbarazzanti, mentre Charlotte rideva battendosi una mano sulla fronte, quei due erano… impossibili.
I'm burnin' through the sky yeah
Two hundred degrees
That's why they call me Mister Fahrenheit
I'm trav'ling at the speed of light
I wanna make a supersonic man out of you” – cantarono insieme, coinvolgendo finalmente tutti che li seguirono nei balletti imbarazzanti facendo da coro a quella canzone. Tutti ridevano, si divertivano, e finalmente parevano davvero rilassati. Charlotte scattava foto su foto, gioiosa di vedere quanto l’idea sua e di Kurt avesse avuto successo. Quel ‘TARDIS Glee Club’ era stato come una benedizione, e forse un piano per sconfiggere gli angeli stava per essere ponderato da qualcuno, ma era troppo presto, ancora.
Don't stop me now” – cantò per primo Jack, aiutato da chi tra gli altri conosceva la canzone.
I'm having such a good time
I'm having a ball” – continuò ancora il Dottore, guardando divertito la ragazza, che non voleva saperne di aggregarsi a quella banda di scalmanati imbarazzanti.
Don't stop me now” – di nuovo Jack aiutato dagli altri, che rideva rilassato, salutando il suo… partner Ianto che lo fissava quasi fiero dal suo posto. Ianto nemmeno si era unito alle danze, era troppo timido, a differenza di chi era rimasto lì. – “If you wanna have a good time just give me a call” – cantò nuovamente il Dottore, mentre nel pubblico si scatenava il putiferio. C’era Louis che si alternata tra Clark ed Harry, che moriva di gelosia ogni qualvolta il liscio si avvicinava al kryptoniano. Per non parlare dei due maghi, che si erano lasciati trascinare dalla musica ‘babbana’ e si scatenavano anche loro tra tutti. Forse solo Merlin ed Arthur non capivano bene cosa accadesse, perché, effettivamente anche John aveva coinvolto Sherlock, e la cosa per il Consulting detective era davvero troppo strana, non era mica da lui lasciarsi andare in quel modo.
Don't stop me now
'Cause I'm having a good time
Don't stop me now
Yes, I'm havin' a good time
I don't want to stop at all” – stavolta cantarono in coro, aiutati da tutti gli altri che facevano da coro. Poi improvvisamente la musica continuò, senza che i due continuassero a cantare. Jack guardava il Dottore senza capire, che a sua volta guardava Jack in modo strano. Forse avevano dimenticato la canzone.
“Ops. Scusate, credo di aver dimenticato come continua!” – esclamò il Dottore – “sono vecchio, la mia memoria non è poi così buona, sapete?” – chiese ironicamente, suscitando ilarità in tutti i presenti.
Charlotte si batté una mano sulla fronte, ridendo. Non era assolutamente possibile una cosa del genere, era comica e… buffa. Come poteva dimenticarsi una canzone? Tutti scoppiarono a ridere, Jack compreso che gli diede una pacca sulla spalla. La situazione era diventata improvvisamente comica. Era vero che la musica avesse alleviato i loro animi, ed era un bene in quella situazione tanto critica. Non potevano rischiare di perdere la testa, nessuno di loro. Erano fondamentali tutti, se si erano ritrovati lì, c’era un motivo specifico, e il Dottore doveva scoprilo, oltre a scoprire come riportare tutti a casa in tempo, prima che gli angeli che li avevano spediti lì, si nutrissero della loro energia, se non l’avevano già fatto, era ovvio. Ma in qualche modo doveva fermarli, doveva esserci un modo per liberare quel popolo da quella minaccia, doveva esserci una soluzione, e lui trovava sempre le soluzioni a tutti i problemi. Doveva trovarla anche per quello. Non solo perché aveva sulle spalle le vite di quattordici persone capitate con lui, ma perché non era quello il destino di Camelot, lui lo sapeva. Non sarebbe finita distrutta dagli angeli, spopolata di tutti i suoi abitanti. Quindi il suo compito era doppio, doveva salvare il popolo, doveva risolvere tutto e salvare la storia e il tempo. In quel momento, però, aveva davvero bisogno di rimettere in ordine le idee, e l’idea di quella ragazza di cantare canzoni a caso, o mirate come avevano fatto tutti coloro che avevano cantato prima di loro, era una buona idea per distendere i nervi. Doveva solo avere pazienza, ed aver fiducia in tutti. Sicuramente gli avrebbero dato una mano a risolvere tutto, con le loro idee, del resto, sapeva che gli umani fossero davvero inventivi se ci si mettevano, altrimenti erano solo in grado di fare guai.
“Allora, chi è il prossimo?” – trillò Charlotte, facendolo distogliere dai suoi pensieri. Sì, doveva distrarsi, era molto meglio, poi ci avrebbe pensato. La notte era ancora lunga, e sapeva che nessuno dei presenti avrebbe dormito a causa della preoccupazione. Blaine si alzò sorridendo ed andò alla postazione, dicendo alla giovane con quale canzone volesse esibirsi, lei annuì, facendone partire la base. Il bruno mandò un bacio a Kurt, facendogli intendere che la canzone fosse per lui, e iniziò ad intonare le parole della canzone, mentre il suo ragazzo aveva già le lacrime agli occhi, e tutti aprivano le orecchie, facendogli da sottofondo, era piacevole la voce di Blaine, in fondo.
Before you met me, I was a wreck but things
Were kinda heavy, you brought me to life
Now every February, you’ll be my valentine,
Valentine” – Kurt arrossì immediatamente sentendolo cantare. Adorava quando Blaine cantava, del resto era così che si erano conosciuti, quando Kurt si era trasferito alla Dalton e aveva conosciuto i Warblers, e di conseguenza Blaine.
Let’s go all the way tonight
No regrets, just love
We can dance until we die, you and I
We’ll be young forever” – il castano abbassò lo sguardo nettamente in imbarazzo, mentre Blaine sorrideva mentre cantava guardandolo. Kurt era davvero adorabile, e nonostante fosse più grande di lui, sentiva la necessità di proteggerlo da tutto, e anche di rassicurarlo, era sempre insicuro, timido… adorabile, quando si trattava del moro.
You make me feel like I’m living a teenage dream
The way you turn me on, I can’t sleep
Let’s runaway and don’t ever look back, don’t ever look back” – tutti gli altri presenti, come accaduto prima, gli facevano il coro, aiutandolo con la canzone. Kurt era sempre più in imbarazzo, e si stava coprendo il viso con le mani per nascondere il rossore delle sue guance. Ogni tanto si vergognava un po’ del suo essere così intimidito davanti a Blaine, soprattutto quando arrossiva per ogni minima cosa, ma sapeva che non fosse un problema per il ragazzo.
Let’s go all the way tonight
No regrets, just love
We can dance until we die, you and I
We’ll be young forever” – oh, quello forse era un sogno. Restare sempre giovane, insieme a Blaine. Il ragazzo si avvicinò a lui tendendogli le mani, mentre continuava a cantare e Kurt non poté dire di no. Gli afferrò le mani, e lasciò che il suo ragazzo lo aiutasse ad alzarsi da terra, e lo trascinasse con sé, ballando con lui. Charlotte li guardava intenerita, scattava foto senza fermarsi mai, mentre tutti gli altri li fissavano sorpresi battendo silenziosamente le mani: erano uno spettacolo adorabile da guardare, da ascoltare. Loro erano bellissimi, Kurt era ancor più imbarazzato, e Blaine sempre più allegro. La loro situazione drammatica stava lentamente scemando dalle loro menti.
You make me feel like I’m living a teenage dream
The way you turn me on, I can’t sleep
Let’s runaway and don’t ever look back, don’t ever look back” – e no, Kurt non avrebbe guardato indietro, mai non l’avrebbe mai fatto. Non poteva, né voleva guardarsi indietro, né ricordare i brutti momenti. Davanti a sé tutta la vita, da vivere con Blaine e realizzare i suoi sogni, magari anche mettere su famiglia con lui, un giorno.
Let you put your hands on me
In my skin tight jeans
Be your teenage dream tonight” – Blaine continuava a cantare, mentre gli altri cantavano in sottofondo, e Kurt ballava con lui. Oh, Kurt era adorabile quando si muoveva, forse perché ne aveva vergogna, o perché davanti a tutte quelle persone ballare con il proprio ragazzo, una canzone non propriamente ballabile non era il massimo a cui aspirare, però lo leggeva sul suo viso colmo di imbarazzo, quel sorriso divertito segno che non era più spaventato da quella situazione. Dopo quasi due giorni, finalmente Kurt iniziava ad ambientarsi. Forse Blaine aveva smesso di credere che fosse tutto un sogno. Non aveva desiderato di nascondersi in una cabina enorme dentro e organizzare un gruppo di canto lì dentro, ma la cosa non lo turbava più di tanto, non in quel momento, non con Kurt tra le sue braccia, colui che gli dava la forza di sostenere anche le situazioni più terribili, come quella in cui erano capitati.
My heart stops when you look at me
Just one touch now baby I believe
This is real so take a chance and don’t ever look back, don’t ever look back” – continuo a ballare con lui, come se quella canzone fosse loro e gli appartenesse, come se da quello potesse dipendere tutto il resto. Stavano così bene che non desideravano altro in quel momento. Non potevano restare in quel modo stretti l’uno all’altro per sempre?
My heart stops when you look at me
Just one touch now baby I believe
This is real so take a chance and don’t ever look back, don’t ever look back” – Kurt lo guardò negli occhi, sorridendo, come poteva non amare quel ragazzo così dolce e… adorabile, si era innamorato di lui dalla prima volta che si erano visti. E il primo bacio con lui? Totalmente inaspettato, meraviglioso. Forse sì, era lui il suo sogno adolescenziale.
I might get your heart racing
In my skin tight jeans
Be your teenage dream tonight
Let you put your hands on me
In my skin tight jeans
Be your teenage dream tonight” – o forse non solo adolescenziale, visto che era Blaine, visto che era il ragazzo di cui si era innamorato per la prima volta, con cui era andato al ballo, colui che aveva cambiato scuola per lui. Sì, era quello giusto. Lo sapeva. Blaine concluse la canzone, attirando Kurt verso di sé, e il castano lo abbracciò forte, affondando il viso nell’incavo del suo collo, stringendolo fortissimo a sé. Era una sensazione magica, meravigliosa. Gli altri applaudirono ancora, e Charlotte scattò altre foto. Blaine e Kurt si guardavano negli occhi, si scrutavano a vicenda, cercando nello sguardo dell’altro qualcosa, un segno che li aiutasse a capire che tutto ciò che c’era tra di loro non fosse solo un bellissimo sogno, dal quale non si sarebbero mai voluti svegliare.
 
 
To be continued

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Hi everybody!
Vi linko velocemente le canzoni usate: 
- When you tell me that you love me (cantata da John Barrowman, aka Jack.)
- Buring for love
- Look after you (cantata da Loulou)
- I have nothing (cantata da Kurt, vi prego, datemi la sua voce.)
- Don't stop me now ( cantanta sempre da John aw.)
- Teenage dream (cantata da Blaine.) 


Ora, so che questa cosa è totalmente malata, impossibile e tutto quello che volete, ma ho amato scriverla.
E mi sono divertita da morire.
C'è un altro capitolo con il glee club, ovviamente, ma ho dovuto dividerlo a metà, per ovvi motivi.
Mi scuso per il ritardo, e... ci vediamo alla prossima parte.

Byeee.

 

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Capitolo 5
*** Quinta parte. ***


Desclaimer: Nessuno dei personaggi citati mi appartiene, purtroppo. Non intendo offendere nessuno - come potrei, io li adoro tutti - e tutto ciò che ho scritto è stato fatto solo per il mio puro diletto, senza alcuno scopo di lucro, lo giuro, non guadagno nulla da questo. 
 
Credits: Alla mia Lu  per il banner.
 
Avviso: Contiene fangirling. (lo ripeto sempre, perchè... meglio avvisare sempre. LOL)
Avviso2: Tutti i personaggi sono OOC, anche se ho cercato di rimanere quanto più IC ho potuto, spero di non aver cannato nulla. Ovviamente molte delle cose che dirò sono prese dalle varie serie, ma non tutto. Alcune cose, e teorie le ho inventate di sana pianta. (es. le deduzioni brillanti di Sherlock.)
Allons-y!

 

 
Mentre loro ritornavano al loro posto, appena Blaine ebbe terminato la canzone, Harry si alzò immediatamente.
“Posso venire io, ora?” – chiese alzando istintivamente la mano. Non che fosse timido, ma quella situazione era del tutto strana e nuova per lui, e un po’ si sentiva in imbarazzo a cantare una canzone così intima e personale.
“Certo, vieni!” – esclamò Charlotte, sorridendogli. Il riccio sorrise e si avvicinò a lei, incerto. Non sapeva se potesse cantare la canzone che lui aveva scritto tempo prima, e che forse Louis non aveva mai ascoltato. Non aveva avuto il coraggio di fargliela ascoltare, ma forse quello era il momento giusto, quello era il momento per fargliela ascoltare. Magari l’avrebbe cantata a cappella, senza musica, perché… chi diavolo poteva conoscere quella canzone che aveva registrato di nascosto, lontano da tutti, con un suo amico? Chi conosceva il segreto del suo diario? Nessuno.
“Senti… penso che tu non la conosca, quindi vorrei cantarla senza base, è un problema?” – disse alla ragazza a bassa voce, per non farsi sentire dagli altri. Lei alzò un sopracciglio, per chi la prendeva? Un’ignorante, per caso?
“Quanto è antica, scusa?” – chiese la ragazza non capendo subito cosa intendesse il ragazzo di fronte a lei.
“No, non è antica, è che non è… mai uscita.” – fece Harry, grattandosi il collo in difficoltà – “l’ho scritta io, per Louis.” – confessò arrossendo leggermente. Non era da lui arrossire, dannazione. Era che… era troppo personale.
La ragazza si illuminò, annuendo. Aveva capito quale canzone fosse, e non avrebbe mai immaginato di ascoltare quella canzone, proprio quella canzone dal vivo. Velocemente afferrò il cellulare, ammiccando nella direzione di Harry, facendo partire la base. Harry non capì come quella ragazza avesse la base di quella canzone, ma andava bene così, gli serviva cantare quella canzone in quel momento. Forse la gelosia, forse l’amore sproporzionato nei confronti di Louis, o la paura di restare solo, non lo sapeva, ma qualcosa lo spingeva a cantare quella canzone in quel momento.
Now you were standing there right in front of me
I hold on, it's getting harder to breathe
All of a sudden these lights are blinding me
I never noticed how bright they would be” – gli occhi chiusi, le mani nelle tasche, l’espressione tranquilla, e solo la sua voce che si espandeva. Louis stava parlando amabilmente con Clark, non si era nemmeno accorto che Harry si fosse alzato e che avesse iniziato a cantare. Forse avrebbe dovuto aprire gli occhi, e guardarlo.
I saw in the corner there is a photograph
No doubt in my mind it's a picture of you
It lies there alone on its bed of broken glass
This bed was never made for two” – Harry capì che Louis non lo guardasse, non aveva bisogno di vederlo per saperlo, certe cose le sentiva sulla sua pelle. Il castano continuava a parlare con il ragazzo di Smallville, ignorandolo. Forse era stato questo a spingere Harry a cantare quella canzone durante la notte più lunga della loro vita.
I'll keep my eyes wide open
I'll keep my arms wide open” – allargò le braccia, senza aprire gli occhi. Sapeva che quando l’avrebbe fatto, avrebbe pianto, forse. Odiava quando si trovava in quelle situazioni orribili con Louis, odiava sentirsi geloso, odiava essere possessivo. Ma… a volte era più forte di lui, a volte temeva che Louis lo lasciasse, solo perché fosse spaventato dal coming out, nonostante il riccio non gli desse mai pressioni e preoccupazioni riguardo ciò.
Don't let me
Don't let me
Don't let me go
'Cause I'm tired of feeling alone” – riabbassò le braccia, stringendole a pugno, odiava soprattutto quando Louis lo ignorava in quel modo. Stava cantando per lui, dannazione, perché non lo capiva? Perché continuava ad ignorarlo?
Don't let me
Don't let me go
'Cause I'm tired of feeling alone” – l’aveva scritta in un momento di tristezza, quando avrebbe solo volute lui al suo fianco, e lui non c’era. E la situazione sembrava ripetersi, a causa di quel campagnolo, che aveva in più di lui?
I promise one day I'll bring you back a star
I caught one and it burned a hole in my hand oh
Seems like these days I watch you from afar
Just trying to make you understand” – in fondo, non era difficile ciò che cercava di dirgli. Non lo era affatto, allora perché lui sembrava ignorarlo? Tutti potevano percepire la disperazione contenuta in quelle parole, tutti potevano percepire quanto quel ragazzo soffrisse la situazione che era costretto a vivere insieme all’altro: nessuna libertà.
I'll keep my eyes wide open, yeah” – Harry respirò profondamente, e finalmente si decise ad aprire gli occhi, vagò per la stanza, incontrò gli occhi comprensivi di Kurt e Blaine, scorse Arthur e Merlin stringersi la mano, Sherlock e John guardarsi dolcemente, e finalmente il suo sguardo si incrociò a quello azzurro splendente del suo ragazzo.
Don't let me
Don't let me
Don't let me go
'Cause I'm tired of feeling alone” – stavolta cantò guardandolo direttamente negli occhi, mentre Louis si mordeva il labbro inferiore per trattenere le lacrime. Il solito emotivo. Lo sguardo di Harry era serio, determinato. Doveva fargli capire quando fosse suo, e quanto non volesse essere lasciato solo, quanto fosse terrorizzato da questa prospettiva.
“Don't let me
Don't let me go” - lesse un evidente ‘never’ sulle labbra di Louis, seguito da un gesto che ricordò vagamente la forma di un cuore, che lo fecero sorridere come non faceva da qualche tempo. Ecco perché lo amava, per quei piccoli gesti che compiva nei suoi confronti, gesti che gli facevano sempre battere il cuore all’impazzata, e lo facevano sentire un ragazzino alla prima cotta, alla prima avventura. La verità era che Louis era un’avventura da vivere dall’inizio alla fine, per tutta la vita, e lui l’avrebbe fatto, era una promessa fatta a se stesso e al castano. Ammiccò nella sua direzione, dicendogli con lo sguardo quanto fosse suo e quanto gli appartenesse. Che non gli venisse in mente di appartenere ad altri. Ripeté per due volte quel ritornello, prima di concludere la canzone.
Don't let me
Don't let me go
'Cause I'm tired of sleeping alone” – sospirò concludendo la canzone: lo sguardo incatenato a quello di Louis, la voce leggermente più bassa, e una lacrima solitaria a rigargli il viso. Louis piangeva seduto al suo posto. Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi, infatti dopo poco distolse lo sguardo, guardando i suoi piedi. Forse si era lasciato troppo trasportare dalla presenza di Clark e aveva ignorato Harry. Era stato solo un piccolo errore, dannazione, non credeva che avesse fatto così male al riccio.
Harry abbassò lo sguardo, e passò una mano sul viso, scacciando le lacrime, asciugandole. Non doveva pensarci, doveva lasciarlo libero di fare le sue scelte, ed essere geloso non rientrava in ciò che avrebbe fatto bene a loro.
“Scusate…” – mormorò, allontanandosi dalla postazione, e avvicinandosi agli altri. Si sedette accanto a Ianto, che lo comprese. Anche lui era maledettamente geloso di Jack, e qualsiasi essere vivente si avvicinasse a lui, meritava odio.
“Posso stare qui, vero?” – chiese al moro, che si girò verso di lui, sorridendogli comprensivo.
“Certo, non sarà un problema nemmeno per Jack, vero?” – chiese all’altro, voltandosi. Jack storse il naso, avrebbe davvero dovuto sopportare quel tipo accanto? Non era affatto giusto.
“Certo. Nessun problema.” – brontolò. Ianto gli diede un bacio sulla guancia ringraziandolo, e si rivoltò verso Harry, confermandogli che anche Jack fosse d’accordo. Il riccio si rilassò e lanciò uno sguardo di fuoco a Louis, che aveva appoggiato la testa sulla spalla di Clark, e parlava ancora con lui. Che diavolo si stavano dicendo quei due?
Si guardò la mano fasciata e buttò fuori l’aria, sbuffando. Era troppo geloso, forse.
“Non so cosa fare, Ianto, è… preso da quel campagnolo del cazzo!” – sbuffò alzando la voce, in modo che anche Louis potesse sentire, ovviamente il liscio sentì, e la cosa riuscì solo a farlo intristire ancor di più. Non credeva che Harry potesse rimanerci così tanto male, era solo il suo eroe, ed era stato contento di vederlo dal vivo, aveva sbagliato in questo? Forse sì, insomma… non avrebbe dovuto ignorarlo, ma non se n’era reso conto, era stato involontario, ed era così tanto dispiaciuto…doveva risolvere in qualche modo e forse aveva il piano giusto per farlo.
Si congedò per un attimo da Clark, dicendogli che sarebbe tornato dopo e si avvicinò di soppiatto a Kurt che ancora abbracciava Blaine, con la testa affondata contro la sua spalla. Si ritrovò a sospirare, se non fosse stato per colpa sua, non avrebbe mai litigato con Harry, e non ci sarebbero stati ulteriori problemi. Dovevano restare uniti.
“Ehi, posso chiederti un favore?” – chiese a bassa voce. L’altro ragazzo si voltò subito verso di lui, con un sorriso a trentadue denti ed annuì.
“E’ per il tuo ragazzo?” – chiese – “ma è vero allora? State insieme?”
Louis arrossì di botto. Era la prima volta che si ritrovava da solo a dover rispondere a quella domanda. Certo, la risposta era pressoché ovvia, viste tutte le volte che si erano baciati davanti a tutti, ma non era abituato a confermarlo. Non che preferisse mentire e vedere Harry distrutto, ma era quella la routine alla quale era abituato, non aveva ancora fatto il callo a dire la verità. Erano solo due giorni che Harry se ne stava fregando del parere altrui e stava dicendo a destra e a manca della loro relazione. Era piacevole, ovviamente, ma era anche imbarazzante, totalmente imbarazzante, ma in fondo erano in un’altra epoca con persone che poco probabilmente avrebbero rivelato la loro relazione al mondo, quindi potevano dire di essere ‘assicurati’ da questo.
“B-Beh, sì. Non siamo abituati a dirlo a chiunque, e la cosa è un po’ imbarazzante” – confessò il ventunenne, mentre l’altro lo guardava con gli occhioni inteneriti.
“Non preoccuparti, il segreto sarà al sicuro, vero Blaine?” – chiese al fidanzato, che annuì sorridendo – “sappiamo cosa si prova, quindi non lo diremo.” – lo rassicurò con un sorriso tranquillo sul volto, mentre Louis rilassava le spalle, e sorrideva, finalmente tranquillo. Un lampo di gelosia attraversò gli occhi di Blaine, ma la mano di Kurt, appoggiata contro il suo fianco, e la sua stretta possessiva suggerivano che il castano fosse molto più geloso di lui.
“Bene… grazie, io…” – Louis iniziò a balbettare. Era sempre così timido ed insicuro, la storia che lui fosse estroverso e ‘stronzo’ non era altro che una macchinazione, uno stratagemma del merchandising per attirare più gente. Tutto ciò che Louis aveva intorno era menzogna, lui stesso, la sua ‘ragazza’, il suo carattere, quello che faceva, tutto, tutto urlava menzogna, il vero Louis Tomlinson non veniva mai fuori, non poteva venire allo scoperto, altrimenti si sarebbe capito che era piegato, che aveva smesso di essere se stesso per volere di chi era più potente di lui, che mentiva ogni giorno della sua vita. L’unica cosa vera di tutta la sua esistenza, da ben tre anni, era quel riccio, era Harry. Harry era stata un ancora di salvezza per lui, solo con lui poteva essere se stesso, quel goffo ragazzo, impacciato e timido dell’audizione di X-Factor, quello che pubblicamente non esisteva più, non era mai esistito. Solo con Harry poteva essere se stesso, e in tutto quel buio pieno di bugie e costrizioni, Harry era il faro, la luce, la salvezza, la verità.
“Cosa volevi chiedermi?” – Kurt spezzò il flusso dei suoi pensieri con quella domanda. Louis parve tornare alla realtà e sorrise intimidito. Non stava davvero per chiederlo, era… assurdo, non lo conosceva nemmeno, come avrebbero fatto?
“Mi chiedevo se… ti andrebbe di aiutarmi con una canzone, volevo cantarla per Harry, ma… non mi va di andare di nuovo da solo lì.” – disse con l’imbarazzo che spuntava fuori da ogni parola che pronunciava.
L’altro ci pensò un momento, prima di annuire.
“Perché, no?” – sorrise – “sarà una bella esperienza cantare con Louis Tomlinson.”
Blaine accanto a lui emise uno sbuffo contrariato, mentre Kurt si alzava con Louis e si dirigeva al centro della sala, da Charlotte per chiederle di far partire la canzone scelta. Si sarebbero organizzati al momento.
Intanto Harry, poco distante, storceva il naso vedendo Louis insieme a quell’altro e non a lui. Invece di chiedergli scusa… andava da un altro?
Si alzò dalla postazione e si allontanò per quanto potesse, dopo aver chiesto a Ianto di chiamarlo appena tutto sarebbe finito. Non vide lo sguardo triste che gli rivolse Louis, né notò che Blaine gli si avvicinasse.
Voleva solo che quella riunione di canterini finisse.
Voleva tornare a casa sua.
Voleva solo smettere di sentire un vuoto enorme all’interno dello stomaco, e perdere quella brutta sensazione di oppressione al petto, e la voglia di piangere. Non ne poteva più. Voleva solo tornare alla sua normalità.
Era meglio vedere Louis con una ragazza, perché in fondo sapeva che essendo gay, non gli sarebbe mai piaciuta lei, ma la situazione era diversa con altri ragazzi, uomini come lui.
Heartbeats fast
Colors and promises
How to be brave
How can I love when I'm afraid to fall
But watching you stand alone
All of my doubt suddenly goes away somehow” – la voce di Louis tremò per un attimo, ma il ragazzo riuscì comunque a puntare lo sguardo su Harry, che cercava di ignorarlo. E no, Louis non l’avrebbe mai permesso, Harry non poteva ignorarlo, non in quel momento.
One step closer” – Kurt si unì a Louis, rivolgendo lo sguardo a Blaine con un sorriso dolce sulle labbra.
I have died everyday waiting for you
Darling don't be afraid
I have loved you for a thousand years
I love you for a thousand more” – i due cantarono insieme, guardando dolcemente i loro amati. Louis cercava disperatamente lo sguardo di Harry, il quale però non ricambiava. Louis sospirò e Kurt si avvicinò a lui, appoggiandogli una mano sulla spalla, per confortarlo.
Time stands still
Beauty in all she is
I will be brave
I will not let anything take away
What's standing in front of me
Every breath
Every hour has come to this” – mentre Harry non riusciva a guardare Louis, Blaine spostò lo sguardo su Kurt, lasciando che un sorriso dolce si dipingesse sulle sue labbra. Era inutile essere geloso, l’aveva capito, finalmente.
Gli mandò un bacio volante con la mano, e Kurt gli sorrise in risposta.
Intanto, Merlin si era voltato verso Arthur. Nonostante non conoscesse quella canzone, riusciva ad intendere quelle parole. E si rivedeva totalmente. Okay, forse non l’avrebbe mai ammesso a lui, ma amava Arthur, e quel bacio nel bosco l’aveva come risvegliato, facendo storcere tutte le sue certezze, abbattendo tutti i muri creatisi tra loro.
Senza dire nulla, intrecciò la sua mano con quella del principe, il quale non si ritrasse, anzi intensificò la presa.
One step closer” – di nuovo Kurt e Louis insieme. Harry si decise ad alzare lo sguardo verso il suo ragazzo, e si lasciò scappare un timido sorriso. Okay, ammetteva di aver esagerato un pochino con la gelosia, forse però.
I have died everyday waiting for you
Darling don't be afraid I have loved you
For a thousand years
I love you for a thousand more” – Louis e Kurt cantarono nuovamente insieme, il ritornello, mentre Harry e Blaine gli sorridevano, senza mostrarlo troppo. Harry aveva davvero esagerato, errare era umano, in fondo.
Merlin strinse con forza la mano di Arthur, e si sporse verso di lui, lasciandogli un bacio sulla guancia.
Da quando era così romantico?
Il principe sorrise e lasciò che il servo appoggiasse la testa contro la sua spalla, Merlin ne fu felice, tanto che si strinse più forte a lui. Non poteva crederci davvero. Arthur aveva davvero accettato la sua magia? Era… rimasto con lui, nonostante tutto? Sorrise strofinando la guancia sulla sua spalla, come poteva non amarlo?
And all along I believed I would find you
Time has brought your heart to me
I have loved you for a thousand years
I love you for a thousand more” – Kurt si zitti di proposito, voleva che quei due chiarissero una volta per tutte, e che quella canzone facesse capire al riccio quanto il castano fosse realmente innamorato di lui, e quanto fosse pentito.
Louis parve per un attimo perso, ma capì le intenzioni dell’altro, e sorrise guardando finalmente il verde degli occhi di Harry, perdendosi in esso, amandolo solo con lo sguardo, come sempre da tre anni. Erano sempre stati i loro sguardi a parlare, non le loro bocche, quelle erano chiuse, sigillate.
“I have died everyday waiting for you
Darling don't be afraid I have loved you
For a thousand years
I love you for a thousand more” – Louis non riuscì ad andare oltre, la voce sembrava come bloccata dalla sua gola, per questo fu Kurt a concludere la canzone, guardando Blaine negli occhi, facendogli intendere che non dovesse essere geloso, era inutile. Detto da lui, che era il primo a fare scenate di gelosia era comico, ma… erano adolescenti, potevano fare degli errori, no? E poi era così… percettibile che fosse quella la cosa giusta da fare, che apparentemente non c’era niente che non funzionasse tra loro. A parte qualche litigio di tanto in tanto, ciò nonostante, sia Harry che Blaine non si mossero dalla loro postazione, non mossero nemmeno un passo, troppo orgogliosi e provati dalla canzone per farlo. Blaine si era ingelosito leggermente della vicinanza di Kurt a Louis, ma era stato solo un duetto, una semplice canzone, non una dichiarazione d’amore. La dichiarazione d’amore l’aveva vista nei suoi confronti quando l’aveva guardato negli occhi. Gli altri, ignari di ciò che trapassava tra i quattro ragazzi in questione applaudirono ai due appena esibitisi. I due fecero un inchino leggermente impacciato, e si andarono a sedere di nuovo. Era stato davvero un fiasco totale? Davvero a quei due non era pervenuto il messaggio?
“Sta tranquillo, sono sicuro che Harry abbia capito. Non è un ragazzo stupido.” – lo rassicurò appoggiando nuovamente una mano sulla sua spalla. Forse aveva ragione, ma Louis aveva la maledetta ansia che Harry lo lasciasse per uno stupido errore.
“Già, lo spero” – mormorò lanciando uno sguardo preoccupato ad Harry, che non lo notò. Si rivoltò verso Kurt, e gli fece un sorriso di sbieco – “sei bravo comunque, non riuscivo a starti dietro.”
“Oh grazie, nemmeno tu sei male.” – ricambiò il sorriso, anche lui guardando il suo ragazzo, lasciandosi sfuggire un sospiro. Perché ora Blaine lo ignorava? Cosa aveva fatto di male?
“Mi dispiace, non… io non volevo che voi due litigaste” – mormorò dispiaciuto. Era una disgrazia per tutti, finiva per litigare lui stesso con qualcuno, o far litigare gli altri. Sentiva davvero troppa pressione su di sé, e non sapeva come scaricarla. Aveva paura, era stanco, ed aveva litigato con Harry, inoltre era lontano da casa, e non sapeva se sarebbe mai tornato. L’unica cosa positiva era il non doversi nascondere.
Poco più in là, c’erano John e Sherlock, che sembravano quasi estranei a tutto ciò che accadeva intorno a loro. Sherlock aveva ascoltato quella canzone, non la conosceva, ovviamente, non era una cosa di necessaria importanza ai suoi fini lavorativi, ma in quel momento, ascoltandola l’aveva reso più… dolce? No, lui non era dolce, lui era freddo. Doveva esserlo, eppure John era così premuroso con lui, così amorevole. In quel momento, gli cingeva i fianchi con un braccio, e lui automaticamente aveva appoggiato la testa sulla sua spalla. Non capiva perché il suo cervello pareva spento. Sembrava che tutto ciò che aveva elaborato fino a quel momento fosse svanito. Era svanito nel nulla dopo il bacio scambiato con John. L’aveva totalmente destabilizzato, quel bacio. Non poteva essere vero.
Non osava parlare, non avrebbe trovato le parole adatte in quel momento, avrebbe saputo solo balbettare come un povero idiota e lui non era un povero idiota, il suo cervello era superiore a tutti gli altri. Quelli dei presenti sommati, non avrebbero raggiunto il livello del suo, era ovvio, era solo che John in quel momento lo rendeva… zitto.
O meglio, lo fece fino a che il capitano Jack non si avvicinò a loro chiedendo a John se volesse unirsi a lui e al Dottore per la prossima canzone. Perché accidenti doveva chiederlo a lui? Con tante persone lì presenti, proprio a John?
Ma la cosa che più lo lasciò senza parole, fu il fatto che John accettò. Sherlock per protesta strinse il braccio del medico, ma questo lo rassicurò, dicendogli che sarebbe tornato subito.
Okay, cosa non andava in lui?
No, non era geloso. Non lo era affatto.
Intanto, molto più in là, Harry e Blaine commentavano l’esibizione di poco prima dei propri ragazzi. Harry pareva più rilassato e meno geloso, si era reso davvero conto di aver esagerato, anche se le azioni di Louis erano state eloquenti ed esplicite nei confronti di un altro, Harry era consapevole della fedeltà di Louis, così come Louis lo era della sua.
Invece Blaine era solamente affascinato dalla bravura del suo ragazzo, gli aveva fatto battere il cuore due volte, come non mai in vita sua. Poi gli avrebbe spiegato che si era allontanato solo per far compagnia ad Harry.
“E’ stato bravissimo” – esordì il moro, con il sorriso stampato sulle labbra, lanciando un breve sguardo al suo ragazzo – “insuperabile.” – continuò mentre Harry voltava lo sguardo verso il suo ragazzo e annuiva.
Avevano sbagliato di pochi secondi, altrimenti i loro sguardi si sarebbero incrociati.
“Beh, anche Louis è stato incredibile. Era così… e poi… oh…” – non riuscì ad esprimersi e lasciò le frasi a metà, senza apparente motivo logico, solo emozione – “e poi i suoi occhi, dannazione, li hai visti?”
“Ero impegnato a guardare quelli del mio ragazzo.” – sorrise come un ebete. Okay, ad entrambi faceva male ascoltare i loro ragazzi cantare dal vivo. Sembravano due idioti, due idioti innamorati.
“Io credo che dovremmo ricambiare” – disse Harry dopo un paio di minuti di riflessione. Anche Blaine era d’accordo, dovevano cantare qualcosa per loro, ma non sapevano cosa.
“Dovremmo decidere una canzone, non credi?” – chiese Blaine guardandolo e ridendo. Si erano ripresi dal momento di ebetismo, e avevano iniziato a fare le persone serie e razionali. Dovevano trovare una canzone, come avevano fatto gli altri due. Una canzone comune che li unisse e raccontasse di loro, di com’erano.
“Beh… vanno d’accordo.” – osservò Harry – “avranno sicuramente qualcosa in comune.”
“Beh, Kurt quando è agitato parla sempre tanto, troppo, forse.” – rise – “ma è così adorabile. Guardalo, sorride, non è la cosa più bella del mondo?”
“Anche Louis, dannazione, quando inizia a parlare in quel modo, mi vien voglia di baciarlo e zittirlo.” – ridacchiò, incupendosi dopo aver rivolto lo sguardo al suo ragazzo – “Lou è triste, temo di aver esagerato con le mie… fisse mentali.”
Forse avevano la canzone, ma Harry si sentiva in colpa. Aveva promesso tempo addietro che non avrebbe mai permesso a Louis di stare male, né a causa sua, né a causa di altri. Doveva risolvere quella cosa in qualche modo, ma come? Forse una canzone, e il farsi perdonare sarebbero bastati. Forse doveva riportarlo a casa… o renderlo libero.
I due stavano per andare ad esibirsi, ma furono preceduti dal Dottore, Jack e John che si posizionarono al centro della sala. Poco importava, sarebbero stati i prossimi, e avrebbero ringraziato, in un certo senso i due ragazzi, sì, l’avrebbero fatto.
Merlin e Arthur nel contempo, se ne stavano lì, a stringersi, prima di essere avvicinati dai due maghi che fin dall’inizio si erano solo resi inutili, rispondendo male a chiunque. E dovevano chiedere scusa per il loro comportamento, quello non era semplicemente un mago, ma il mago di tutti i tempi.
“Ehm, Merlin?” – esordì Potter, avvicinandosi. Arthur grugnì. Quei due dovevano sempre disturbare. Non potevano farsi gli affari loro? E poi perché Merlin era sempre così propenso ad ascoltare gli altri?
“Sì, cosa c’è?” – sorrise infatti il servo, voltandosi verso il ragazzo che gli aveva rivolto la parola.
“Beh, noi… volevamo scusarci per il nostro comportamento.” – disse – “non credevamo che tu fossi quel Merlin.”
“Sì infatti” – si aggiunse il biondino – “non credevamo fossi il vero, insomma, davvero hai la stessa età di Arthur?”
“Perché, quanti anni dovrei avere?” – chiese allora, inclinando la testa, facendo sorridere Arthur. Adorava quel suo atteggiamento da finto idiota.
“Beh, la leggenda dice che tu sei un mago antico, vecchio, sai con la barba lunga, come Silente.” – chiese ancora, mentre Malfoy sbuffava. Perché diamine doveva infilare Silente in ogni discorso? – “E il cappello a punta blu? Non hai una bacchetta come noi?” – chiese ancora.
“Potter, insomma, smettila di stressarlo, è evidente che è ancora giovane e tu gli stai dicendo il suo futuro. Un po’ di rispetto.” – lo rimproverò. 
“Va bene…” – guardò Arthur in difficoltà, in effetti lui sapeva tramutarsi in vecchio con capelli bianchi e tutto il resto, ma non poteva rivelare anche questo ad Arthur, non ancora, era troppo presto, ma il principe intese che quella fosse una richiesta d’aiuto e si spicciò a scacciare i due invasori, e a premere le sue labbra contro quelle di Merlin, dannazione, ne sarebbe diventato dipendente, erano così… irresistibili e incredibilmente morbide. No, ne era già dipendente. Charlotte si avvicinò loro intenerita, non disturbandoli gli lasciò due tovaglioli con dei biscotti sopra, nel caso avessero fame e corse dal Dottore, John e Jack per far partire la base della canzone da loro scelta.
You're just too good to be true.
Can't take my eyes off of you.
You'd be like heaven to touch.
I wanna hold you so much.
At long last love has arrived.
And I thank God I'm alive.
You're just too good to be true.
Can't take my eyes off you.” – iniziò John, guardando Sherlock che era arrossito di nuovo, secondo il medico non esisteva niente di più di dolce di lui, in quel momento. Per quanto Sherlock negasse, il suo cervello era spento, il suo cuore batteva all’impazzata e il suo viso era rosso come un peperone.
Pardon the way that I stare.
There's nothing else to compare.
The thought of you leaves me weak.
There are no words left to speak.
But if you feel like I feel.
then let me know that it's real.
You're just too good to be true.
Can't take my eyes off you.” – continuò Jack guardando verso Ianto che cercava di distogliere lo sguardo, per l’imbarazzo. Era una situazione così strana, vedere il suo… compagno dedicargli tutte quelle canzoni. Per lui era una sorpresa, era qualcosa di meraviglioso. Non era possibile, era la seconda in una sola serata. Perché la stava dedicando a lui, no? Lo vedeva bene che lo guardasse negli occhi, non era la sua fantasia, vero?
I love you baby, and if it's quite all right,
I need you baby to warm my lonely night.
I love you baby.
Trust in me when I say:
Oh pretty baby, don't let me down, I pray.
Oh pretty baby, now that I found you. Stay.
And let me love you, baby. Let me love you” – il ritornello venne cantato da tutti e tre, mentre chi era rimasto seduto rideva, e chi come Sherlock e Ianto morivano di imbarazzo. Insomma, non potevano fare così, né John né Jack, era ingiusto. Harry e Blaine invece erano inorriditi. Louis era ritornato a ballare con Clark, mentre Kurt improvvisava balletti con Charlotte. La cosa non turbava tanto Blaine, visto che il suo ragazzo era omosessuale, ma era comunque inorridito, Kurt che preferiva ballare con qualcuno che non fosse lui, alla fine si stava solo divertendo, si andava bene.
You're just too good to be true.
Can't take my eyes off you.
You'd be like heaven to touch.
I wanna hold you so much.
At long last love has arrived.
And I thank God I'm alive.
You're just too good to be true.
Can't take my eyes off you.” – attaccò il Dottore, trattenendo le risate, insomma, un Time Lord che si comportava in quel modo, non si era mai lasciato andare in quel modo, o meglio non si era mai divertito in quel modo, senza dover risolvere qualcosa di complicato. I Weeping Angels potevano aspettare un paio d’ore, si era convinto, alla fine.
I love you baby, and if it's quite all right,
I need you baby to warm the lonely night.
I love you baby.
Trust in me when I say:
Oh pretty baby, don't bring me down, I pray.
Oh pretty baby, now that I found you. Stay.
And let me love you, baby. Let me love you.” – Arthur e Merlin non si trattennero e si unirono agli altri in quei balletti improvvisati. La scena che si presentava davanti agli occhi i Harry e Blaine era la seguente: Louis con Clark, Kurt con Charlotte, Ianto fissava Jack con la bocca spalancata e Sherlock che fissava in un modo strano John, e persino i due maghi ‘asociali’ si erano uniti. Alla fine, decisero di non pensarci troppo ed unirsi a tutti gli altri, insieme. Agli occhi di Louis e Kurt non passò inosservato. Beh, alla fine si stavano solo prendendo la loro piccola rivincita sugli altri due.
You're just too good to be true” – conclusero i tre cantanti improvvisati, facendo scoppiare tutti i presenti in un sonoro applauso. Chi rideva, chi arrossiva, chi sorrideva, chi cercava di nascondere i propri sentimenti. La situazione sembrava comica, ma erano tutti davvero rilassati e tranquilli. Certo, c’era chi aveva qualche piccola crisi interna, ma in fondo, niente di grave o disastroso. Tutto sarebbe tornato alla normalità, prima o poi.
Harry e Blaine si guardarono, intuendosi con lo sguardo, ed annuirono. Era il loro momento, dovevano farlo. Insomma, erano gelosi, okay, Louis aveva ballato di nuovo con Clark, ma Harry rimaneva il suo ragazzo, geloso, ma pur sempre il suo ragazzo. Stessa cosa valeva per Blaine, non che fosse seriamente nervoso nei confronti di Kurt, ma dopo quella canzone voleva riscattarsi nei suoi confronti. Era questione di principio, e poi era piacevole cantare. Si era accordato con Harry, e sapevano esattamente come comportarsi. Speravano solo che andasse tutto per il verso giusto, e che nessuno rimanesse deluso. Si avvicinarono a Charlotte, quasi trasportandola via di peso sotto gli occhi curiosi di Kurt e Louis che non capirono esattamente cosa stesse accadendo. No, non potevano davvero cantare insieme.
Lo facevano per ripicca, o cosa? Non riuscivano a spiegarselo, ma li fissavano mentre avanzavano verso la solita postazione, dicevano alla ragazza di mettere una canzone, e posizionarsi con il sorriso sulle labbra.
Quando la canzone partì, i due ragazzi finalmente capirono.
It's amazing how you can speak
Right to my heart without saying a word,
You can light up the dark” – iniziò Harry sorridendo, mentre guardava Louis da subito, non voleva perdersi un attimo del suo sguardo fin dal principio. Non importava quanto fosse arrabbiato, l’importante erano loro due.
Try as I may
I could never explain what I hear when
You don't say a thing” – continuò Blaine guardando il suo ragazzo, che si indicava con un sorriso imbarazzato e dolce sul volto. Oh sì, che si riferiva a lui, era abbastanza esplicito, no?
The smile on your face lets me know that you need me
There's a truth in your eyes saying you'll never leave me
The touch of your hand says you'll catch me whenever I fall
You say it best when you say nothing at all” – cantarono i due insieme, guardando i due ragazzi, che imbarazzati cercavano di guardare altrove. Beh, forse un po’ era vero che fossero due logorroici, specialmente quando erano a disagio, forse solo un po’, come in quel momento, anche se non riuscivano a pronunciare una singola parola.
All day long
I can hear people talking out loud
But when you hold me near
You drown out the crowd” – beh, in fondo era vero, Blaine si sentiva sempre solo anche se era nella folla, perché l’unica persona che avesse in mente era Kurt, il suo Kurt.
The crowd” – fece eco Harry, la stessa cosa valeva per lui, aveva sempre Louis in mente, anche quando si trovava circondato da tutte quelle persone, come in quel momento, circondato quelle persone, immaginava lui al suo fianco.
Try as they may
They can never define what's been said
Between your heart and mine” – continuò nuovamente Harry, fissando ancora Louis, oh, il riferimento alla loro realtà era così palese, che non c’era bisogno di altre parole. Il riccio si ritrovò ad allungare la mano verso Louis, indicandolo.
The smile on your face lets me know that you need me
There's a truth in your eyes saying you'll never leave me
The touch of your hand says you'll catch me whenever I fall
You say it best when you say nothing at all” – forse non si erano accorti, che mentre loro due dichiaravano il loro amore ai loro amanti, tra il piccolo pubblico c’era un’altra persona che riconosceva l’amato in quella canzone, o meglio due persone che riconoscevano gli amati in essa. Arthur in primis. Merlin parlava così tanto che a volte per dire una cosa giusta avrebbe solo dovuto zittirsi, magari con un bacio, per dire la cosa esatta. Istintivamente allungò la mano sulla sua gamba, accarezzandogliela piano. Sì. Decisamente quella canzone gli faceva pensare a Merlin, il futuro era divertente da scoprire, in fondo, c’erano canzoni – così erano state definite dagli altri – che parlavano di lui e Merlin. Anche per le strofe precedenti, aveva trovato riferimenti, e di certo non poteva dirlo al ragazzo sarebbe stato un po’ imbarazzante ammettere certe cose con lui. Voltò il viso il verso il suo e vide che il servo lo osservava. No, non avevano pensato la medesima cosa, sarebbe stato imbarazzante, eppure sembrava che le loro menti fossero in comunicazione, legate da una strana sorta di magia, una strana magia; forse portata dagli abitanti del futuro?
The smile on your face; The truth in your eyes; The touch of your hand
Let's me know that you need me” – mentre i due ragazzi si destreggiavano in quelle note, anche John ascoltando quella canzone pensava a Sherlock. Insomma, sembrava davvero parlare di lui, parlava tanto, era sfacciatamente sincero, diceva sempre ciò che pensava, senza peli sulla lingua, anche se doveva ferire, ed era evidente che avesse bisogno di lui, era così evidente che John non aveva mai pensato di lasciarlo solo nei guai, come quando l’aveva salvato dal tassista assassino, o aveva tentato di farlo fuggire da Moriarty, mettendo in pericolo la sua stessa vita. Tutto riportava al fatto che avesse bisogno di lui, non di altro, l’aveva capito soprattutto durante quella strana avventura capitatagli per caso. Non gli sarebbe capitato mai più di vedere Sherlock smarrito e quasi spaventato.
The smile on your face lets me know that you need me
There's a truth in your eyes saying you'll never leave me
The touch of your hand says you'll catch me whenever I fall
You say it best when you say nothing at all” – Kurt si avvicinò a Blaine, così come Louis si avvicinò ad Harry, ed entrambi avvolsero le braccia attorno al collo dell’amato, aspettando che entrambi finissero la canzone, prima di unire le labbra alle loro e baciarli con dolcezza e apparente possessività. Con quel bacio tutto fu tranquillo, tutto fu chiaro. Non ci fu bisogno di altre parole, arrivati a quel punto, bastavano solo i gesti, quei gesti. Un bacio aveva cancellato via tutti i problemi. Come dicevano nel film ‘Enchanted’, il bacio del vero amore era davvero la cosa più potente che esistesse. Era bastato solo quello, un semplice bacio, a rimettere le carte in tavola, e due coppie si erano riunite, dopo due canzoni decisamente troppo romantiche. Finalmente tutto tornò al proprio posto. Louis tra le braccia di Harry, e Kurt tra quelle di Blaine. Tutto era perfetto, niente avrebbe distrutto la nuova pace ritrovata dai ragazzi, nemmeno le dannate statue. Niente avrebbe distrutto gli amori nati da quell’avventura pazza, senza senso, pericolosa e disarmante. Bisognava suggellare quel momento, bisognava far in modo che i rapporti si mantenessero. Qualcuno doveva prendersi la responsabilità di aiutarli.
Chi meglio della ragazza che si era autonominata ‘Fangirl’ poteva farlo? Charlotte saltò in piedi euforica applaudendo, prima di correre da tutte le coppie, incitando i ragazzi già in piedi a restare fermi, e ad alzarsi chi era ancora seduto. Tutto doveva essere perfetto in quel momento. Niente doveva interromperlo.
Li fece sistemare in un punto preciso del TARDIS: Harry con Louis, Blaine con Kurt, Merlin con Arthur, John con Sherlock, e Jack con Ianto, dopo aver scattato la foto, depositò la macchina fotografica, e prima di far partire la canzone, si fermò per dire qualcosa, qualcosa che premeva per uscire dal suo cuore.
“Io… solo ieri, ero una stupida ragazzina di diciotto anni, fuggita dall’Irlanda, per una piccola avventura” – sorrise imbarazzata – “poi mi sono imbattuta del Dottore, e grazie a lui in tutti voi.” – le tremavano le mani – “non ho mai cantato in pubblico, diciamo che non ho mai cantato davvero, a parte in playback con gli artisti in sottofondo” – tutti ridacchiarono mentre diceva quella frase. Era dannatamente adorabile – “e beh, vi dedico questa canzone perché, cazzo, voi vi amate, quindi, beh ho finito, la canzone è per voi, coppiette del TARDIS.” - disse – “vi meritate tutto.”
“Un altro nomignolo strano, non ci credo!” – commentò ironicamente il Dottore, incitandola ad iniziare. Lei gli sorrise e fece partire la base di una canzone che secondo lei si addiceva a tutte le coppie che erano lì presenti. Appena partì la base, tutte le coppie si strinsero più forte, iniziando ad ondeggiare sul posto. 
Oh, thinkin' about all our younger years
There was only you and me
We were young and wild and free” – Harry strinse i fianchi di Louis, guidandolo su quelle note, cantate da una ragazza, che credeva nel loro amore, e lo sosteneva. Forse aveva inteso che non tutti non avrebbero accettato la loro relazione, forse, in quel momento non importava. Louis appoggiò la testa contro la sua spalla e continuò ad ondeggiare stretto a lui. Nemmeno lui avrebbe mai creduto possibile una cosa del genere, eppure era successo qualcuno aveva apprezzato il loro amore, non lo discriminava, e la cosa lo rendeva stranamente felice, davvero felice.
Now nothin' can take you away from me
We've been down that road before
But that's over now
You keep me comin' back for more” – anche John avvicinò a Sherlock, e la cosa sarebbe risultata anche dolce se il moro non l’avesse superato di parecchio in altezza. Ma in fondo cosa importava? Forse si erano trovati davvero per la prima volta. Sherlock nemmeno poteva credere al ‘miracolo’ avvenuto. Era impossibile che qualcuno provasse qualcosa per lui, e ancor più impossibile che lui provasse qualcosa per qualcun altro, era davvero irreale, ma con John era tutto così bello da risultare addirittura vero. Anche se non era probabile, che una cosa bella fosse reale con lui era così.
Baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven” – Charlotte continuava a cantare, aveva le lacrime agli occhi, mentre guardava le coppiette ballare tra di loro, lentamente. Erano l’apoteosi della perfezione, erano bellissimi, erano innamorati. Meritavano ogni bene, ne era certa. Vedeva ognuno tra le braccia della persona adatta, vedeva le maledette metà destinate ad incontrarsi finalmente insieme, finalmente al posto giusto, tra le braccia della persona giusta; una lacrima sfuggì al suo occhio.
And love is all that I need
And I found it there in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven” – Harry cullava Louis tra le sue braccia, mentre la canzone continuava, così come John teneva forte Sherlock, che imbarazzato oscillava lentamente. Non sapeva perché lo facesse, era semplicemente il medico a guidarlo, forse era vero che avesse bisogno di amore, solamente di amore, nient’altro, e l’amore di cui aveva bisogno era lì, davanti a lui, più precisamente si trovava tra le braccia dell’amore.
Oh, once in your life you find someone
Who will turn your world around
Bring you up when you're feelin' down” – Arthur sorrideva, abbracciando delicatamente Merlin e muovendosi lentamente a tempo con la canzone insieme a lui. Era una bella sensazione, in fondo. Non avrebbe mai richiesto di meglio. Ginevra? Principesse bellissime? Che se ne faceva di quelle donne, quando aveva Merlin tra le sue braccia? Il servitore più imbranato di sempre, il ragazzo più coraggioso che avesse mai conosciuto, colui che gli aveva salvato la vita innumerevoli volte e non chiedeva niente in cambio, non c’era niente di meglio di lui, in quel momento; era tutto maledettamente perfetto.
Ya, nothin' could change what you mean to me
Oh there's lots that I could say
But just hold me now
Cause our love will light the way” -  Kurt sorrise, finalmente tutto era chiaro con Blaine, non poteva esserne più felice, si stringeva a lui, ci ballava lentamente sulle note di quella canzone dannatamente bella e romantica. Quella ragazza aveva perfettamente indovinato la canzone esatta da cantare. La canzone che racchiudeva il significato di amore, il sentirsi in paradiso tra le braccia della persona amata, come si sentiva lui in quel momento, con Blaine.
Baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven” – Charlotte intonò nuovamente il ritornello, stavolta accompagnata dal Dottore come doppia voce, e gli sorrise, mentre cantava. Li vedeva benissimo, vedeva l’amore scorrere tra loro, tra le loro braccia mentre danzavano lentamente sulle note della canzone. Erano davvero dolcissimi, bellissimi, perfetti. Erano tutto ciò che si potesse definire ‘amore’ al mondo. La palese attrazione che avevano gli uni con gli altri era stranamente travolgente.
And love is all that I need
And I found it there in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven” – forse era questo che era mancato nelle loro vite fino a quel momento: l’amore. Perché nessuno di loro l’aveva realmente provato, prima di incontrare la persona che avevano davanti, altrimenti non si sarebbero spiegati i sacrifici di ognuno di loro. Come Arthur che cercava sempre di portare Merlin fuori città, o come Blaine che si era trasferito in un’altra scuola solo per Kurt, perché non voleva lasciarlo solo né sentire sempre e costantemente la sua mancanza. Definitivamente, tutti avevano bisogno d’amore per arrivare in paradiso, o forse solo delle braccia dell’amato? L’avrebbero scoperto solo continuando quella meravigliosa avventura, non c’era altra risposta.
I've bin waitin' for so long
For somethin' to arrive
For love to come along” – Ianto aveva appoggiato la guancia contro la spalla di Jack, e a lui si stringeva, mentre la canzone continuava. Non avrebbe mai creduto che la loro relazione potesse avere quel salto di qualità. Erano passati dal non aver definito nemmeno un po’ la relazione, all’essere uniti in quel modo, era possibile una cosa simile? Pareva di sì, ci erano finiti con tutte le scarpe. E Ianto ne era dannatamente felice. Insomma, non che Jack gli avesse detto di amarlo, ma non negarlo nemmeno era un gran passo avanti. Magari prima o poi si sarebbe sciolto e gliel’avrebbe detto fino allo sfinimento, ma forse non era ancora il momento giusto.
Now our dreams are comin' true
Through the good times and the bad
Ya, I'll be standin' there by you” – continuò a cantare la ragazza, mentre le coppiette si perdevano nelle braccia della persona che più amavano. Harry sorrise, continuando ad ondeggiare con Louis, era vero il suo sogno si era realizzato, soprattutto quello di avere qualcuno da amare, di cui prendersi cura. Ce l’aveva tra le braccia, e non l’avrebbe mai lasciato solo, non di nuovo. Anche quello di Louis si era realizzato, aveva incontrato una persona speciale, la sua persona, ed era diventato suo, l’amava con tutto se stesso, e sapeva che sarebbe stato al suo fianco nonostante tutto.
Il desiderio di Arthur si era realizzato, Merlin si era fidato e gli aveva raccontato tutta la verità, non poteva esserne più felice, non era stato necessario ‘ordinarglielo’, l’aveva fatto e basta, e questo era bastato per lui, per farlo felice.
Merlin poi non poteva non essere felice. Nonostante tutto Arthur l’aveva accettato così com’era: un mago, e non l’aveva bandito dal regno, o giustiziato, no. L’aveva baciato ed anche molto, molto intensamente.
Sherlock aveva avuto la conferma di avere accanto una persona vera, che gli voleva davvero bene. Non sapeva cosa fosse l’amore, non poteva dire che l’amasse, ma era sicuro che John gli volesse bene, ci tenesse a lui.
John gioiva internamente. Amava Sherlock ed era riuscito a dirglielo, ed era contento che il Consulting detective non l’avesse respinto, ma che avesse provato ad aprirsi anche lui a quel nuovo sentimento nascente tra loro.
Kurt non poteva essere giù di morale. Aveva Blaine, l’aveva avuto fin da quando si erano conosciuti e continuava ad averlo. Era bellissimo ed emozionante appartenere a trecentosessanta gradi alla stessa persona fin dall’inizio.
Blaine stringeva forte Kurt continuando a ballare con lui. Non avrebbe mai creduto di essere così fortunato in tutta la sua vita. Aveva incontrato la persona giusta, perfetta per lui, colui che lo completava ed amava. Era felice, punto.
Jack non sapeva perché provasse la voglia di sottolineare quanto lui e Ianto si appartenessero. Non sapeva spiegarlo, era come se una presenza lontana e remota gli suggerisse di tenerlo stretto e godersi il – poco – tempo con lui.
Ianto, d’altra parte, era felice della piega che tutto aveva preso. Era così bello poter stare insieme a Jack senza che gli si rifiutasse di dire la verità su di loro, e non poteva mentire, nonostante fosse un po’ geloso, era felice con lui.
Baby you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven” – definitivamente, tutti erano convinti di aver trovato il loro paradiso, la loro dimensione in quel momento, quando tra le braccia avevano le persone che amavano. Quella era davvero la sensazione più bella che potessero provare, il sentimento  più intenso e meraviglioso esistente nell’intero universo: l’amore.
And love is all that I need
And I found it there in your heart
It isn't too hard to see
We're in heaven” – sì, tutti loro avevano solo bisogno d’amore per essere completi e felici, non avevano bisogno d’altro, persino Sherlock se ne stava rendendo conto, stupendosi abbastanza, perché non era da lui.
Charlotte concluse la canzone con un sorriso imbarazzato sul viso, coloro che stavano ballando e il Dottore, insieme a coloro che erano rimasti seduti – Clark, Potter e Malfoy – scoppiarono in un grosso applauso, congratulandosi con lei per la scelta della canzone, e di come l’avesse eseguita. La ragazza imbarazzata nascose il viso dietro le mani, arrossendo all’impazzata. Non  le era mai capitata una cosa del genere, l’unica volta che aveva provato a canticchiare a scuola l’avevano derisa, e si era sentita umiliata come non mai, ma quella volta era diverso, stavano applaudendo a lei, non ad un’altra persona, a lei, proprio a lei. Non sapeva se esserne felice o… strana. C’era chi era andato ad abbracciarla, poteva giurare che uno di loro fosse stato Harry Styles. E la cosa l’aveva imbarazzata ulteriormente, e dannazione quanto era alto? A stento gli arrivava al petto, era lui che era troppo alto, non lei bassa. Tra i tanti, riconobbe anche Louis, Arthur – dannazione, il principe Arthur mi ha abbracciata, muoio! – forse anche Ianto, Jack… tutti? Ma che diavolo era successo? Aprì finalmente gli occhi, e si rese conto di essere completamente circondata. Okay, doveva mantenere la calma. Doveva, ma non riusciva. Cercò supplichevole lo sguardo del Dottore, che appena lo intercettò, si spicciò ad intervenire.
“Su forza, lasciatela respirare.” – disse a tutti, abbracciandola lui, stavolta. E definitivamente la ragazza sentì un urgano dentro. Stava per collassare, ne era sicura, non poteva reggere a tutto quello. – “e vediamo di riposare qualche ora. Ora gli angeli si saranno spostati dalla foresta, suppongo.”
Tutti gli altri annuirono, e finito il momento di imbarazzo della giovane, il Dottore trovò delle coperte più o meno calde e le distribuì ai presenti. La situazione era tenera: Harry aveva fatto sedere Louis in braccio a lui, e cercava di coprire lui, che era evidente avesse freddo, la stessa cosa faceva Blaine con Kurt. Merlin invece era appoggiato alla spalla di Arthur, e cercava di coprire entrambi; Sherlock e John invece erano in una posizione strana, sembrava che Sherlock avesse la testa sulle gambe di John, e cercava di usare la coperta per entrambi, con un piccolo sorriso sul viso; dall’altro lato, Ianto era appoggiato al petto di Jack, e la coperta sembrava coprire bene entrambi, a parte i piedi di Jack, che essendo più alto di Ianto, aveva preferito coprire lui. Clark, e i due maghi avevano la loro coperta personale. Charlotte invece aveva pensato bene di osservare le stelle, seduta per terra con la porta del TARDIS leggermente aperta, una coperta sulle spalle e una tazza di tè in mano. Resisté per un po’, fino alla fine della tazza di tè, poi tutto si fece buio, la stanchezza prese il sopravvento, e reclinò la testa in avanti. Quando anche l’ultima stella si spense nella sua testa, tutti dormivano, compresa lei. Il Dottore la riportò vicino agli altri, coprendola con la coperta che aveva sulle spalle, solo lui non dormiva, lui pensava ad una soluzione.
Non aveva smesso di pensarci nemmeno un attimo, anche se aveva provato a non farlo, era stato più forte di lui, doveva risolvere quel disastro, prima che gli angeli si nutrissero delle energie di chi era lì a causa loro, e creassero dei punti fissi nel tempo. Sapeva che non era ancora accaduto, non doveva essere accaduto, e lui avrebbe evitato che accadesse. Umani, non sanno difendersi da nulla. 

 
To be continued...
 
_______________________________________________________________________

Hello everybody!
Ebbene sì, questa volta ritorno un po' prima. E vi comunico che questa è la penultima parte.
Beh... questa era anche la seconda parte del Glee club nel Tardis, cosa che a Lu avrò detto milioni di volte...
Va beh, sono vecchia, lei lo sa. cc
Anyway, Louis fa ancora la troietta con Clark, c'è fluff ovunque
E so di essere incredibilmente OOC, con tutti, soprattutto con Ten e no, non mi interessa l'ho detto mille volte che è così <3
Allora vi linko le canzoni, perchè sì.

Don't Let me go 
A Thousand years  
Can't take my eyes off of you  (cantata dal nostro John aka Jack <3 )
When you say nothing at all 
Heaven

Olè, e con questo si conclude la quinta parte del cross-over. Ringrazio chiunque lo segua, e chi recensisce. Siete meravigliosi. 
Il prossimo sarà l'ultimo. 
Bene, io mi dileguo, e ci vediamo al prossimo capitolo.
Bye bye! 


 
 

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Capitolo 6
*** Sesta parte. ***


Desclaimer: Nessuno dei personaggi citati mi appartiene, purtroppo. Non intendo offendere nessuno - come potrei, io li adoro tutti - e tutto ciò che ho scritto è stato fatto solo per il mio puro diletto, senza alcuno scopo di lucro, lo giuro, non guadagno nulla da questo. 
 
Credits: Alla mia Lu  per il banner.
 
Avviso: Contiene fangirling ECCESSIVO nel finale.
Avviso2: Tutti i personaggi sono OOC, anche se ho cercato di rimanere quanto più IC ho potuto, spero di non aver cannato nulla. Ovviamente molte delle cose che dirò sono prese dalle varie serie, ma non tutto. Alcune cose, e teorie le ho inventate di sana pianta. (es. le deduzioni brillanti di Sherlock e il finale sugli angeli, lo so che quando spediscono qualcuno indietro nel tempo, si nutrono dell'energia temporale e creano punti fissi nel tempo, lo so.)
Allons-y!



 
Atterrarono quando era già giorno.
La foresta pareva tranquilla. Gli angeli rimasti si erano allontanati e i cinque che li avevano accerchiati erano fermi l’uno di fronte all’altro, e sarebbero rimasti lì per sempre, a fissarsi per l’eternità. Finalmente toccavano la terra, finalmente erano sulla terra ferma e non sospesi nello spazio.
Sherlock si guardò intorno, pensieroso. Doveva ossigenare il cervello e svuotarlo dal pensiero ‘John’ per un po’, doveva ritornare alle sue facoltà normali. Ma appena capì quale fosse la soluzione, si diede dello stupido per non averlo capito subito. Decisamente l’amore rallentava le sue capacità, doveva tornare cinico e distaccato come prima.
“Ma certo!” – esclamò – “come ho fatto ad essere così stupido?”
La soluzione era lì, vicina. Era sempre stata lì davanti ai suoi occhi, e lui non c’era arrivato prima.
“Cos’hai, Sherlock? Non ti senti bene?” – chiese premuroso John, vedendolo più strano di come lo fosse stato fino a quel momento. Il Consulting detective sembrava euforico, come se finalmente tutto quello che era successo avesse un senso, non del tutto, certo, ma aveva capito un paio di cose che sarebbero state utili ai fini del ritorno a casa. Perché sì, si era abituato, con John era stato meraviglioso, ma doveva tornare a casa, e doveva anche trovare una spiegazione plausibile. Non era possibile che le persone sparissero per colpa della statua a forma di angelo, era assurdo, ancora non ci credeva, eppure se ripensava al parco, trovava cosa non andasse. Accanto alla statua di Peter Pan non c’era mai stato un angelo, eppure quella mattina c’era. Perché non se n’era accorto prima?
“Ho trovato la soluzione, John!” – esclamò.
“Sì, una bellissima idea come quella degli specchi?” – fece acido Malfoy, stranamente spalleggiato da Potter, che per una volta era d’accordo con lui. Non potevano rischiare un altro fiasco a causa di quel genio da quattro soldi – solo secondo loro, ovviamente - che pretendeva di spadroneggiare e dare lui le soluzioni a tutto.
“Conoscete un metodo migliore di quello che non ho ancora espresso, stupidi ragazzini con dei bastoncini?”  - chiese alzando un sopracciglio, mentre i due maghi storcevano il naso. Potter strinse la sua bacchetta, estraendola dai pantaloni, disse che ci avrebbe pensato lui. Perché lui era il Prescelto, colui che era sopravvissuto, quindi non poteva fallire contro delle innocue statue di marmo.
Nessuno di loro rivolgeva gli occhi alla caverna dove si erano accampati la prima notte nel bosco, tutti le davano le spalle, e inesorabilmente con una velocità da far spavento, gli angeli iniziarono ad uscire da lì e ad avvicinarsi a loro. Clark se ne rese conto con il suo superudito e: “Attenti, arrivano!” – urlò. Tutti immediatamente si voltarono verso la caverna alle loro spalle, e tutti restarono con gli occhi spalancati.
Fortunatamente se n’era accorto lui, altrimenti sarebbe stata la fine per tutti.
“Pff. Ci penso io” – fece Malfoy, strappando la bacchetta dalle mani di Potter, puntandola contro uno degli angeli – “STUPEFICIUM!” – urlò, ma la bacchetta non era sua, non la controllava. L’incantesimo si riversò su di lui, che volò all’indietro per diversi metri, perdendo la bacchetta tra le frasche del bosco.
“Sei un idiota, Malfoy!” – rispose con un urlo Potter, andando a recuperare la bacchetta. Magari un altro incantesimo avrebbe funzionato, era solo marmo alla fine. Fortunatamente la bacchetta era intatta, per questo la recuperò dal terreno e corse verso gli altri, e la puntò su altre statue – “REDUCTO!” – urlò, ma l’incantesimo venne deviato. Non si sapeva bene da cosa. L’incantesimo volteggiò, e poi precipitò velocemente e pericolosamente verso Louis. Clark intercettò fulmineamente il movimento del fascio di luce, e correndo velocemente spostò il ragazzo di diversi metri, prima che egli venisse colpito da quella magia. Louis era totalmente terrorizzato, se non fosse stato così spaventato, avrebbe urlato felice, dopo aver corso a quella velocità con Clark.
Clark Kent gli aveva appena salvato la vita, e lui non riusciva a trovare la cosa fantastica. Ricordava quel lampo, l’aveva visto vicino, troppo vicino. E se  Harry fosse stato colpito?
“M-Mi hai salvato…” – disse sottovoce al kryptoniano, avvolgendo le braccia intorno al suo collo, e affondando il viso nell’incavo del suo collo – “mi hai salvato la vita.” - l’altro ricambiò l’abbraccio, intuendo che avesse bisogno di essere tranquillizzato. – “voglio Harry…” – mormorò – “dov’è Harry?” – chiese ancora tremante.
“Ti riporto da lui, sta’ tranquillo, va tutto bene.” – lo rassicurò. Louis annuì e lasciò che Clark lo riportasse da Harry. Non riusciva a sentirsi al sicuro, non senza Harry. Non appena li vide riavvicinarsi, il riccio corse verso di loro. Non era arrabbiato, geloso o altro, era solo preoccupato per il suo ragazzo. Non aveva visto subito Clark allontanarlo, si era sentito solo spingere per terra e quando aveva aperto gli occhi, aveva scorto solo un pezzo di terra bruciacchiata. Aveva temuto il peggio per Louis, e stava per picchiare quell’occhialuto stupido che non aveva ascoltato Sherlock, ma per fortuna Louis stava bene e per quanto lui non sopportasse il campagnolo, l’aveva salvato e doveva essergli riconoscente.
“Haz…” – mormorò il ragazzo vedendolo, fiondandosi tra le sue braccia. Harry lo afferrò subito e lo abbracciò fortissimo, stringendolo forte a sé, tranquillizzandolo. Era successo tutto così in fretta che non se n’erano accorti.
“Grazie, Clark, grazie per averlo salvato.” – lo ringraziò con un cenno della testa, facendo sorridere l’altro, che si riunì immediatamente agli altri, aiutandoli a fissare gli angeli.
“Biondino e occhialuto, siete inutili. Quindi non fate nulla, non muovetevi e posate quei bastoncini.” – li richiamò Sherlock, riprendendo l’attenzione degli altri su di sé. Non era possibile che fossero così stupidi.
“Sherlock, cos’hai in mente?” – chiese John, guardandolo leggermente preoccupato.
“Allora, dobbiamo disporci in cerchio.” – disse semplicemente – “e chiudere tutti gli occhi. Quando chiudiamo gli occhi, dobbiamo abbassarci velocemente. Gli angeli si disporranno a cerchio intorno a noi, e nel momento in cui ci abbasseremo, si guarderanno, e non si muoveranno più.” – spiegò velocemente.
“Signor Holmes, lei è un genio!” – esclamò il Dottore. Come aveva fatto a non pensarci lui? L’unica arma contro gli angeli, erano gli angeli stessi. Dovevano agire, immediatamente. Dovevano riuscire a fare come aveva detto Sherlock.
Potevano farcela, collaborando tutti insieme.
Non appena Louis si fu ripreso, e sia lui che Harry si furono uniti agli altri, tutti si disposero in cerchio, tenendo ancora lo sguardo sulle statue, non dovevano perderle di vista, non dovevano spostare lo sguardo per nessuno motivo, non ancora. Dovevano essere veloci, sincronizzati e istantanei. Dovevano farcela, era l’ultima spiaggia.
“Al tre, siete pronti?” – chiese il Dottore – “prendiamoci tutti per mano, così saremo precisi nell’abbassarci.”
Harry afferrò la mano di Louis, che a sua volta prese la mano di Kurt, che afferrò la mano di Blaine, il quale prese la mano di Clark, che a sua volta prese la mano di Sherlock, il quale fu felice di prendere la mano di John, meno contento fu John a prendere la mano di Potter, che inorridito prese la mano di Malfoy, accanto al quale c’era Merlin, al quale dovette prendere la mano, poi Merlin intimidito intrecciò le dita a quelle di Arthur, che a sua volta prese la mano di Charlotte accanto al Dottore, al quale strinse la mano, poi lui prese quella di Jack, che a sua volta intrecciò la sua con quella di Ianto, il quale concluse il cerchio, prendendo la mano di Harry.
Il cerchio era unito, dovevano prima chiudere gli occhi e lasciarli avvicinare.
“Uno!” – esclamò ancora il Dottore, tutti si irrigidirono.
“Due!” – urlò. Se avessero sbagliato qualcosa, sarebbe finita per tutti, non ci sarebbe stata più alcuna possibilità, tutto sarebbe finito, il TARDIS perso, e nessuno in grado di aiutarli.
“Tre!” – finì. Tutti contemporaneamente chiusero gli occhi. Clark teneva sottocontrollo il movimento degli angeli con l’udito, li avrebbe avvisati tutti nel momento in cui quelli fossero stati troppo vicini.
Erano veloci, velocissimi. Si avvicinavano ad una velocità incredibile.
Ancora poco, pochissimo.
Erano quasi in posizione, mancavano poche frazioni di secondo.
Ancora un po’… ancora un po’…
“Adesso, aprite gli occhi!” – esclamò il ragazzo di Smallville, e tutti spalancarono gli occhi. Erano letteralmente circondati dagli angeli. Potevano osservarli, nella loro vera forma. Senza mani sul viso.
Li avevano già visti, ma in quel momento sembravano ancora più crudeli che mai.
Tutti tremavano, erano spaventati.
L’ansia saliva sempre di più.
“Devono avvicinarsi di più.” – disse il Dottore – “così finirà come con gli specchi.”
Tutti i presenti deglutirono ancora. Ancora qualche minuto di ansia, ancora un po’, poi sarebbero stati salvi, ce l’avrebbero fatta, non avrebbero più avuto il problema chiamato Weeping Angels.
Richiusero gli occhi. Stavolta si mossero più veloci di prima.
Ormai erano vicini. Vicinissimi, Clark poteva sentirli, quasi minacciosi vicini a loro.
“Adesso, aprite gli occhi ora!” – urlò. Quando tutti aprirono gli occhi, gli angeli erano davvero vicini. Troppo vicini. Non potevano muoversi, se l’avessero fatto sarebbero morti, non potevano chiudere gli occhi, dovevano solo aspettare il segnale, e poi andare via da quel cerchio mortale.
“Dobbiamo abbassarci” – disse Sherlock – “veloci, abbassatevi e chiudete gli occhi!” – diede il via muovendo il braccio verso il basso e tutti lo seguirono immediatamente. Quando tutti toccarono terra, chiusero immediatamente gli occhi.
C’era altra ansia, in quel momento.
Era stato un fallimento come la soluzione precedente?
Aveva funzionato?
Era tutto assurdo, strano, tutto… irreale, ma forse ce l’avevano fatta. Forse avevano vinto loro, avevano sconfitto gli angeli piangenti. Riaprirono gli occhi, ed erano ancora lì. Erano vivi, ce l’avevano fatta, forse.
Cautamente, in fila indiana uscirono dal cerchio gattonando sul terreno. Non appena furono tutti fuori, uno dopo l’altro, si guardarono intorno. Gli angeli sembravano essere tutti lì, il cerchio più piccolo creatosi la notte prima intorno al TARDIS e quello che avevano appena creato era immobile.
Erano lì, fermi per l’eternità.
Ce l’avevano fatta, davvero?
“Ce l’abbiamo fatta!” – urlò Charlotte, incredula. Erano riusciti davvero ad annientare, per modo di dire, quelle statue infernali? – “ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta!” – trillò emozionata saltando al collo del Dottore, abbracciandolo. Tutti esplosero in un urlo di giubilo. Ci erano riusciti, avevano salvato tutti, ed erano salvi loro stessi. Sherlock incredulo aveva abbracciato John esultando. Non sapeva come, ma la sua soluzione era quella giusta. Nessuno poteva credere a quanto fosse accaduto. Era tutto così pazzesco; Kurt e Blaine si abbracciavano felici, potevano tornare a casa; Harry e Louis poco più distanti si baciavano perdendosi l’uno nell’altro.
Jack aveva baciato la fronte a Ianto, quello era il massimo che sapesse esprimere in pubblico, mentre Arthur traeva a sé Merlin baciandolo sulle labbra. Non si capiva niente, persino Potter e Malfoy si erano stretti la mano e sorridevano tra di loro, la cosa pareva davvero strana, visto che non si sopportavano per niente.
“Ce l’hai fatta, Dottore!” – aveva esclamato Charlotte, aggrappandosi al suo braccio, gioendo con lui, che le sorrideva annuendo soddisfatto.
“Ce l’abbiamo fatta, non li avrei fermati senza il vostro aiuto.” – le sorrise – “soprattutto senza quello di Sherlock e le sue brillanti deduzioni.”
“Lo so, sono un genio, non c’è bisogno che lei lo dica, Dottore.” – si complimentò con se stesso il Consulting detective, affiancato da John. Quei due già erano inseparabili, dopo tutta la storia nel TARDIS… chi l’avrebbe staccati più?
Era tutto finito, davvero. Avevano sconfitto gli angeli, e quindi quello era il momento orribile del ritorno a casa?
Charlotte da un lato sperava non accadesse mai quel momento, chi avrebbe voluto tornare a casa dopo aver vissuto quell’esperienza? Come avevano fatto tutti a lasciare il Dottore e tornare alla normalità? Era una cosa inconcepibile.
“Voi siete tutti invitati al mio castello per domani!” – urlò Arthur – “darò un ballo in onore di tutti voi, che avete salvato Camelot, e avete trovato l’amore, come me!” – sorrise stringendo la mano di Merlin, che arrossì sentendo le parole del principe.
Tutti accettarono l’invito, anche Sherlock che era sempre il più restio a queste cose.
Forse non era ancora tutto finito, no?
Si recarono tutti al palazzo dei Pendragon, la città era sgombra, tutti gli angeli erano nel bosco, bloccati lì per l’eternità. Nessuno avrebbe dovuto mai addentrarsi in quelle zone, ma non c’era pericolo, era un luogo troppo lontano dal borgo perché qualcuno vi andasse. Era davvero impossibile.
I nostri eroi tornavano vincitori, dopo aver sconfitto la minaccia.
Arthur disse al padre di aver distrutto tutte le statue, e lo convinse a partire per un po’, prima di ospitare tutti gli altri lì a Camelot, poi insieme a Merlin e Gaius iniziò i preparativi per il ballo.
Due giorni dopo, tutti i preparativi erano finiti. Il salone dei ricevimenti era addobbato al meglio, e il principe si premurò di riservare quella festa a pochi eletti, tutti i presenti nel TARDIS, Gaius, i suoi cavalieri più fidati e qualche dama di corte per i pochi della ‘squadra’ che non avevano un partner, non era stata richiesta nemmeno la presenza di Gwen, e straordinariamente, per l’evento, Merlin non avrebbe dovuto essere un servitore, ma un ospite, per ordine di Arthur. Il principe diede ad ognuno di loro una camera, e fornì loro gli abiti adatti alle feste. All’unica ragazza tra di loro, aveva regalato un abito rosato, prezioso, lungo, tipico da nobildonna, elegante, raffinato; mentre gli uomini aveva regalato dei classici abiti da cerimonia, composti di pantaloni scuri e camicia di cotone bianca.
Tutto era pronto per la festa di corte, tutti erano pronti e tutti avevano un cavaliere o una dama. Harry aveva Louis, Kurt aveva Blaine, John aveva Sherlock, Jack aveva Ianto, Arthur aveva Merlin, Clark, Potter e Malfoy avevano scelto ognuno di loro una dama della corte per trascorrere la serata. Il Dottore e Charlotte erano ancora indecisi, lei non voleva uno dei cavalieri di Camelot, anche se le avrebbe fatto davvero piacere, e il Dottore non era esattamente il tipo da feste, non come quelle almeno. Lui era un tipo d’azione, e i festeggiamenti non facevano per lui, non si fermava mai, né si guardava indietro, lui era l’uomo che continuava a correre, fermarsi non era il suo genere di cose.
La festa era iniziata da poco, Arthur faceva gli onori di casa, nuovamente, mentre tutti gli altri si guardavano intorno, stupefatti da quanto potesse essere bello un castello medievale dal vivo. Non ne avevano mai visti sul serio.
“Ora che è tutto risolto” – esordì il Dottore – “ti va di dirmi la verità?”
“Quale verità?” – chiese la ragazza, sudando freddo – “non nascondo niente, io.”
“Ti sei irrigidita, torturi le mani e ti mordi il labbro” – spiegò Sherlock comparendo al suo fianco. John era attratto dal castello, mentre lui da altro. Aveva capito fin da subito che quella ragazza nascondesse qualcosa, ma non si era soffermato molto sull’argomento. La ragazza sembrava in difficoltà. Non poteva ammetterlo, non davanti al Dottore, l’avrebbe deluso, e no, l’aveva appena conosciuto, non poteva deluderlo già.
“I-Io…” – balbettò. Non ci riusciva, non poteva, era troppo difficile.
“Forza, Charlotte Ellis, dì a noi chi sei davvero” – la incoraggiò il Dottore, senza l’ombra di nervosismo nella voce. Voleva tranquillizzarla, ma voleva che si sentisse a suo agio.
“Sherlock l’avrà già capito, fallo dire a lui.” – disse abbassando lo sguardo. Il Dottore rivolse lo sguardo al Consulting detective, incitandolo a dire cos’avesse dedotto solo guardando la ragazza.
“E’ una ragazza che scappa, è sola, maledettamente sola, questo spiega la borsa piena di roba, e piena di cose anche trascurabili, come delle forbici. Sei abituata a fare tutto da sola, e… non vai più a scuola. Sei troppo intelligente per studiare ancora, sebbene tu abbia diciotto anni.” – spiegò velocemente, accompagnando tutta la spiegazione con i gesti della mano. Non sembrava così brutto detto da lui, ma lei si vergognava da morire, di tutto.
“E’ vero, tutto.” – confessò, abbassando la testa.
“Ehi, ehi, e perché non l’hai detto subito?” – chiese il Dottore, alzandole il viso con un dito.
“Non mi avresti mai scelta, sono solo una fallita.”
“Che conosce le stelle, e tutta la mia vita.”
“Scusa, non volevo mentirti.” – sospirò – “ma me ne vergogno, troppo.”
Lui si intenerì guardandola e l’abbracciò delicatamente. Aveva visto bene, era solo una ragazza sola, che sognava di viaggiare, e in un certo senso gli ricordò Astrid, l’aliena conosciuta qualche anno prima sul Titanic.
“Anche io ho mentito” – confessò il Dottore – “ho novecentosei anni.”
Charlotte scoppiò a ridere, stringendolo forte. Era vero, lui era davvero speciale. Non ne avrebbe conosciuti di migliori di lui, da nessuna parte. Lo ringraziò silenziosamente, stringendolo forte, e fu allora che lui volle fare qualcosa di carino verso qualcuno. Una delle rare volte in cui si comportava in modo gentile con gli estranei, a parte quando doveva salvarli da qualche catastrofe.
“Ti va di farmi da dama per stasera?” – le sussurrò all’orecchio, e lei annuì energicamente, arrossendo e sorridendo imbarazzata. Dannazione, certo che lo voleva.
In quel momento, tutto sembrava andare bene, ma bene davvero.
 
Improvvisamente la situazione era mutata. Tutti avevano qualcuno, nessuno era solo, si prospettava la serata perfetta, per tutti, ma dopo quella sera sarebbe finito tutto, niente sarebbe stato lo stesso.
Tra chi aveva scoperto l’amore, chi l’aveva consolidato e chi aveva preso delle scelte, c’era qualcuno, il cui destino era già stato scritto, a cui non sarebbero state date altre possibilità.
Qualcuno doveva restare, ma il Dottore non lo disse subito, non voleva distruggere quel momento così bello e romantico a tutti i presenti, non poteva.  
La festa era iniziata alla grande, tra cibo, chiacchiere, risate e amore, la serata stava trascorrendo benissimo per gli eroi della serata. L’ingrediente fondamentale di quella serata era l’amore, il dolce, semplice e puro amore, quello scoppiato o consolidato durante quell’avventura, l’amore che regnava sovrano quella notte.
Charlotte era felicissima, il Dottore si era offerto di farle da cavaliere durante la festa, e non poteva esserne più felice, inoltre aveva fatto amicizia con tutti, nonostante fosse timidissima, era riuscita ad instaurare un minimo di dialogo con quelli che erano i suoi eroi, alcuni ringraziandoli, altri parlandoci tranquillamente, altri aiutandoli, altri… detestandoli come mai in vita sua. Tutto sembrava tranquillo, gli angeli erano stati fermati, Uther era fuori città, e non poteva uccidere nessuno di loro, e tutti loro erano immersi nell’amore più puro e semplice che potesse esserci. Lei era un po’ meno innamorata degli altri, ma si trovava in compagnia del Dottore, meglio di quello non avrebbe potuto chiedere niente, e non vedeva l’ora di osservare attentamente le coppiette ballare. Sicuramente la scena sarebbe stata emozionante come quando avevano ballato nel TARDIS, se non di più.
Quando finalmente il principe si avvicinò a Merlin, tutti intesero cosa stesse per accadere.
Arthur fece un inchino e porse la mano al suo… non poteva più definirlo servitore, come doveva definirlo? Amico? No, era più di un amico. Compagno? No, non poteva. Il suo… Merlin. Era semplicemente il suo Merlin.
“Mi concedi questo ballo?”- gli chiese con il tono della voce piegato alla dolcezza, alla tenerezza, all’affetto (o all’amore?), facendo arrossire il mago che, stranamente, senza parole accettò la sua mano, intersecando delicatamente le sue dita a quelle del principe, tastandone la consistenza e la reale presenza di esse. Poteva essere un sogno, in fondo, no?
“Sì, accetto” – confermò il servo. Il principe lo tirò in piedi, e lo trascinò contro di sé, stringendolo forte. E loro furono i primi ad aprire le danze, seguiti immediatamente da tutti gli altri, che invitarono rispettivamente i propri partner, chi solo per la serata, chi per tutta la vita. Erano tutti emozionati, era la prima volta che partecipavano ad un ballo di corte. Mentre tutti prendevano familiarità con il luogo, Merlin aveva un groppo alla gola. Sì, era felice che lui avesse accettato quel sentimento nascente dentro di loro, ed era felice di trovarsi tra le sue braccia in quel momento, perché poteva essere, per esempio, morto, senza testa, dopo quello che aveva rivelato al principe. Invece era andato tutto bene, però… c’era una domanda che ronzava nella sua testa, una domanda che premeva per uscire, una domanda che per lui avrebbe cambiato tutto, avrebbe riscritto tutto ciò che credeva.
“Arthur…” – sussurrò, imbarazzato. Da quando si sentiva in quel modo davanti al principe?
“Dimmi, Merlin.” – gli sorrise l’altro, durante il ballo. Oh, nonostante Merlin non fosse tanto pratico con le danze, e fosse molto goffo e maldestro, guardarlo in quel momento gli faceva spuntare un tenero sorriso sulle labbra.
“Ma ora… io e te. Insomma, cosa siamo?” – chiese tutto d’un fiato – “e Gwen? Che fine farà? La…” – deglutì – “lascerai?” – chiese infine, liberando finalmente tutti i dubbi, quel dubbio che dal momento in cui Arthur l’aveva baciato, era sorto nella sua mente. Che ne sarebbe stato di lui, una volta che il principe sarebbe tornato da lei?
Arthur restò un attimo senza parole. Non credeva che quella domanda sarebbe arrivata tanto presto, cosa rispondergli? Era una cosa talmente strana quella che c’era con lui, ma anche così bella… e dolce, ed emozionante. Da quanto tempo non provava qualcosa del genere verso la bella serva di sua sorella?
“Io…” – iniziò il principe fermandosi subito dopo, non sapendo cosa rispondere. Non se la sentiva di dire una falsa verità al servo, facendolo soffrire in futuro, ma non voleva nemmeno ferirlo in quel momento. Cosa doveva fare?
“Non devi dirmelo subito, tranquillo.” – sospirò il servo, abbassando lo sguardo sulle sue scarpe, c’era una macchiolina per terra molto interessante e decisamente carina da guardare, di certo meglio che subire le occhiate di pietà del principe. Sapeva di non essere importante per lui, se non come amico, ma Arthur l’aveva illuso per bene in quei giorni precedenti. Il principe si accorse del suo cambiamento d’umore, e gli sollevò il viso, baciandolo delicatamente sulle labbra. Forse la risposta l’aveva trovata, ma aveva paura di dirlo, forse era solo un codardo in quelle occasioni, ma non voleva affatto far soffrire Merlin, non poteva. Era la cosa più preziosa che possedeva, se n’era appena accorto, la corona, il denaro, il castello, tutto ciò che aveva, non valevano nemmeno la metà di quanto valesse Merlin per lui. Era come una gemma preziosa, una gemma rara nelle profondità della terra, era introvabile, era colui che l’aveva conquistato totalmente e aveva mandato in pappa il suo cervello e il suo cuore.
Era lui.
“Credo che…” – tossì schiarendosi la voce, una volta staccatosi da lui – “noi potremmo essere una coppia meravigliosa.” – confessò, sorridendo e arrossendo impercettibilmente.
“Il mago intelligente e l’asino regale?” – annuì lentamente – “non credo funzionerà, insomma, un asino…”
“Merlin?”
“Sto zitto, lo so.”
Si guardarono per un attimo, e poi scoppiarono a ridere, insieme, prima che Arthur catturasse nuovamente le labbra di Merlin con le sue, danzando ancora con il servo, che ora sorrideva rilassato.
Non aveva più dubbi su di loro, nessuno.
Poco più in là, anche John aveva chiesto a Sherlock di ballare, ma il Consulting detective era piuttosto restio, si era opposto dicendo che uno come lui non si lasciava coinvolgere in ‘certe cose’, ma poi gli occhi dolci di John avevano fatto breccia nel suo cuore ancora, facendolo cedere nuovamente ad una ‘tentazione’ istigata dal medico.
Perché finiva sempre per essere così debole davanti a lui? Era assurdo.
Che potere aveva quel dannato John su di lui?
“Sono tremendamente idiota in questo momento, John, non so ballare!”- esclamò Sherlock, lasciandosi guidare dall’altro. Stava rivivendo il momento orribile già vissuto nella cabina blu, e per fare un’altra figuraccia. Lui e i suoi piedi maledettamente scoordinati. Aveva pestato i piedi al medico circa una decina di volte, qualche notte prima, e non… insomma, non voleva. Lui non si comportava mai da sciocco, erano gli altri ad esserlo, non lui.
“Non importa, tu segui me.” – disse John con il sorriso sulle labbra.
“Ma ti pesterò i piedi, di nuovo.” – si lamentò il Consulting detective, guardando l’altro quasi disperato.
“Non lo farai, e poi chi se ne frega? Rilassati, tanto dopo stanotte torneremo a casa” – sospirò. Ecco, tornare a casa lo spaventava a morte. Non aveva idea di cosa sarebbe successo una volta tornati, non aveva idea di nulla, era totalmente assente dalla prospettiva di dover tornare come prima, e… la cosa un po’ lo terrorizzava. Comico, no? Un ex soldato terrorizzato dal poter essere rifiutato da un Consulting detective a caso, ma davvero non poteva fare altrimenti, era ansioso e terrorizzato, doveva solo essere  più rilassato, no? Stava andando tutto bene.
“Già, a casa” – sospirò il bruno, guardandolo negli occhi – “cosa faremo a casa?”
“In che… ouch!” – si lamentò per il piede di Sherlock finito pesantemente sul proprio – “senso?”  - chiese, fingendo di non capire, quasi dimenticando chi avesse davanti.
“Oh scusa” – borbottò il Consulting detective, guardandolo – “beh, comunque non fare lo stupido, sai benissimo a cosa mi riferisco.” – riprese, guardandolo. In effetti, John doveva capirlo che Sherlock non era uno da prendere in giro.
“Lo so, lo so.” – borbottò – “volevo sentirtelo dire” – comunicò, facendo spuntare un sorriso sulle labbra dell’altro, un sorriso furbo, che la diceva lunga.
“Quindi?” – insisté, petulantemente.
“Quindi… cosa?” – quel farsi domande a vicenda, stava diventando fastidioso. Perché nessuno dei due si decideva a dare una risposta normale? Perché non potevano semplicemente dirsi tutto normalmente, senza tutti quei giri di parole? Ah, perché dovevano essere entrambi così maledettamente stupidi? Non potevano venirsi incontro, per una volta?
“Quindi stiamo insieme o no?” – esplose Sherlock, pestandogli di nuovo accidentalmente il piede, facendo nascere un lamento di dolore nella bocca dell’altro, che però sorrise annuendo. Aveva avuto la risposta che voleva, stavano insieme, cosa poteva esserci di meglio?
“Il tuo silenzio non è un enigma per me, lo sai, vero?” – fece il detective guardandolo – “hai sorriso, sei felice, quindi ne deduco che per te, è un sì. E quindi…” – John non gli diede il tempo di finire la sua lunghissima deduzione, che gli diede ragione baciandolo velocemente sulle labbra, zittendolo.
E no, non poteva continuare così, Sherlock prima o poi si sarebbe opposto, non poteva zittirlo sempre. Con quei dannatissimi baci, le cose dovevano essere seriamente riviste, ma in quel momento si godeva quella specie di danza improvvisata con John, poteva dire di essere stato incredibilmente fortunato? Forse sì.
Jack intanto cercava di capire perché Ianto avesse di nuovo il lampo di gelosia nello sguardo. Non era possibile che fosse sempre e costantemente così geloso. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, avrebbe voluto rassicurarlo, ma stavolta proprio non capiva cosa avesse fatto, stavano bene insieme fino a poco prima… oh forse aveva capito, forse non era geloso, ma solo spaventato. Da cosa non lo sapeva, ma era spaventato, forse i loro discorsi sul tempo, sul dirsi addio un giorno, su Jack che poteva vivere in eterno e lui no, su ciò che erano, l’avevano turbato.
Per questo si limitò a stringerlo senza troppe parole, senza troppe cerimonie e a danzare con lui. Sapeva di essere incredibilmente fortunato ad averlo trovato, e se non si fosse trovato nel tempo giusto, nel momento giusto, e se non avessero sfidato insieme quello pterodattilo, non sarebbero lì, in quel momento. Sarebbero solo due sconosciuti, non si sarebbero mai incontrati. Lui lo amava, sì, che lo amava,  ma poteva dirglielo? Si sentiva pronto a fare quel passo a dire quelle parole? Non l’aveva mai fatto prima di quel momento, non avrebbe mai potuto farlo,  lui non era un tipo dai sentimentalismi, ma… sentiva che il loro tempo poteva essere agli sgoccioli, che avrebbero affrontato la grande separazione prima del previsto, sebbene Jack sperasse di non viverlo mai, o il più tardi possibile.
Si fermò, e gli prende il viso tra le mani, baciandolo immediatamente con trasporto, non lasciandogli il tempo di dire nulla, senza lasciargli il tempo di respirare. Semplicemente premette le sue labbra con le sue e lo incitò a socchiudere le labbra, approfondendo il bacio, oh quanto avrebbe voluto farlo suo in quel momento, e forse quella tentazione aveva avuto la meglio su di lui, quando senza farsi notare dagli altri, spinse Ianto a ritornare nelle stanze, chiudendosi dentro, lontano da occhi curiosi.
“Jack, ma cosa…?” – mormorò il moro, cercando di staccare le sue labbra da quelle di Jack, che gli morse il labbro in risposta, facendogli intendere quanto lo volesse in quel momento. Non poteva più aspettare, era da tanto che non si possedevano in quel senso, e gli mancava da morire.
“Mi manchi” – mormorò contro le sue labbra, facendolo distendere sul letto dalle lenzuola bianche, ponendosi sopra di lui a cavalcioni. Riprese a baciarlo intensamente sulle labbra, sul collo, sul mento… qualsiasi punto raggiungibile dalle labbra, e poi lo spogliò, privando anche se stesso dei vestiti, e poi due parole, prima di unirsi a lui e fare l’amore scivolarono via dalle sue labbra, così leggere, semplici e pure come dovevano essere, fecero battere due cuori all’unisono, rendendo due persone felici, come non mai.
“Ti amo”
E poi fecero l’amore tutta la notte, mentre di sotto la festa continuava, e tutti erano ignari di cosa capitasse al piano superiore del castello.
Proprio al piano di sotto, altre due coppie danzavano tranquillamente tra di loro, tra loro c’erano Kurt e Blaine che si stringevano l’un l’altro, promettendosi silenziosamente di non mollarsi mai, di essere sempre insieme, come potevano non esserlo? Blaine si era trasferito nella scuola di Kurt pur di stare con lui, se non era una dimostrazione d’amore quella, quale poteva essere? Essi si perdevano tra le braccia del compagno, sperando che quel momento non finisse mai. Quella situazione risvegliava in loro troppi ricordi, belli, brutti, dolorosi, felici… ne avevano così tanti che avrebbero potuto scriverci una storia sopra, di tutto quello che era successo tra di loro, dal quel giorno in cui si erano conosciuti, e ne avevano ancora tanta di strada da fare, ma veramente tanta.
“Blaine, ti ricordi la prima volta che abbiamo ballato insieme?” – chiese Kurt con le labbra sul suo collo, sorridendo contro di esso.
“Certo che lo ricordo. Sono stato così fiero di te, quando non ti sei tirato indietro…” – sorrise stringendolo maggiormente per i fianchi – “… nonostante ti avessero umiliato pubblicamente, io non ce l’avrei fatta.”
Kurt sorrise dolcemente stringendo le braccia che aveva attorno al suo collo.
“Oh io ricordo tutto, davvero.” – sussurrò quasi come se quello che stava dicendo fosse un segreto sconosciuto a molti, e conosciuto solo da loro, come se quello che si stavano dicendo fosse solo un segreto tra di loro, una silenziosa promessa, detta con i ricordi, una promessa d’amore, di speranza e futura felicità. Una promessa suggellata poi da un bacio scambiato al centro della sala, con scrosci d’applausi, e risate sommesse, e poi si sorrisero genuinamente, guardandosi l’un l’altro.
“Sai Kurt?” – sorrise guardandolo – “credo che una volta tornati a casa… dormirò tantissimo.” – ridacchiò mentre Kurt si stringeva a lui, continuando a danzare.
“Io credo che farò un bagno.”
“Mmh, magari possiamo farlo insieme” – sussurrò Blaine, strofinando le labbra contro quelle del suo ragazzo, che mormorò qualcosa contro di esse, facendo intendere al moro che fosse molto consenziente alla cosa.
I loro sguardi vagavano per la sala, in attesa che qualcosa cambiasse, in attesa che quel Dottore dicesse loro che fosse arrivata l’ora di andare a casa, che qualsiasi cosa fosse accaduta durante quell’avventura fosse finita, che tutto fosse tornato alla normalità, che loro finalmente avessero la pace che meritavano, loro e tutti gli altri.
Certo, quel ballo era l’ideale per dimenticare quanto vissuto, ma non vedevano l’ora di ritornare a casa loro, nel loro mondo, con le loro comodità. Non erano affatto abituati a quello stile di vita.
“Sono assolutamente d’accordo.” – ridacchiò il castano, stringendolo forte a sé, continuando quella danza e lo scorrere incessante dei loro pensieri, che come un orologio andava avanti senza fermarsi mai.
Qualche metro più in là, Harry sbuffava peggio di una ciminiera. Non era possibile che si trovasse lì nel salone delle feste di un castello medievale, con tante coppiette intorno a lui, senza il suo ragazzo con una dama a caso del regno.
No, non lo accettava, e perché? Non aveva resistito agli occhi dolci di Louis che: ‘Ho chiesto a Clark di ballare con me, sai per ringraziarlo per avermi salvato prima nel bosco!’ e lui come un povero idiota aveva anche detto di sì, perché se quella mattina avrebbe voluto ucciderlo, non poteva, perché aveva salvato il suo ragazzo da un incantesimo all’apparenza pericoloso. E sì, lo aveva ringraziato, ma che questo ora gli togliesse il suo posto accanto a Louis, no. Era ingiusto, non poteva soffiargli così il ragazzo. Non era nemmeno tanto sicuro che quel Clark fosse etero, insomma, erano tutti gay lì, e lui era davvero troppo geloso per ragionare normalmente. Sapeva che l’unica cosa da fare fosse avvicinarsi a quello, e tirargli un sonoro pugno, ma l’aveva già fatto, e la sua mano era guarita da poco, quindi non era fattibile, eppure… lanciò uno sguardo di fuoco verso Louis, che gli sorrise innocente, e allora Harry capì. Era solo un modo per farlo ingelosire ancora, come se non avesse fatto abbastanza durante quei giorni di stranezze.
Quando finalmente Louis si degnò di staccarsi da lui, gli si avvicinò sorridente e scostò delicatamente la ragazza, invitandola ad andare dall’altro ragazzo, mentre lui avvolgeva le braccia attorno al collo di Harry, sorridendogli.
“Amo vederti geloso, lo sai?” – sussurrò, appoggiando la testa sulla spalla del riccio, che se un minuto prima ribolliva di gelosia e risentimento, in quel momento era l’essere più tranquillo e pacato del mondo, solo perché lo riaveva finalmente tra le braccia. Forse era il momento giusto, era giunto il momento di dirgli tutto.
“Io odio vederti con quello lì, mi sa tanto di… depravato che ti salterà addosso da un momento all’altro.” – annuì il riccio, chiudendo gli occhi e sospirando. La gelosia era davvero una bruttissima bestia.
“Sì… e magari mi legherà al letto e…” – Harry inorridì e senza dargli il tempo di finire di parlare, lo baciò velocemente, con irruenza, ma anche con dolcezza, come solo lui sapeva fare. Un mix di emozioni e sensazioni, che li facevano volare, e poi atterrare velocemente, come se non esistesse altro, arrivarono al cuore dei due ragazzi. In fondo, a loro questo bastava, a loro erano piaciuti fin troppo i due giorni di libertà, il non sentirsi obbligati a fare qualsiasi cosa per nascondersi, uscire con chi non volevano, passare il tempo insieme… baciarsi quando volevano. Anche se avevano litigato diverse volte a causa della gelosia di Harry, non era un poi così grande problema visto dov’erano ora e com’erano più uniti in tutti i senti. Louis se ne accorgeva dal modo in cui Harry lo stringeva, fremeva per dirgli qualcosa, e non poteva più tenerlo dentro, lo capiva anche dal bacio, un po’ più teso delle altre volte, leggermente più preoccupato per la risposta del castano. Il linguaggio del corpo era il loro modo normale per comunicare, era normale che si capissero, ma cos’aveva Harry?
Cosa doveva chiedergli?
Una proposta di matrimonio?
No, troppo presto, allora cos’era?
“Haz” – sussurrò staccandosi da lui, tenendo le braccia sulle sue spalle, per evitare di allontanarlo troppo da sé e di cadere, un po’ gli tremavano le gambe, ansioso per ciò che il riccio gli avrebbe chiesto – “devi dirmi qualcosa, vero?”
“Beh, in certo senso…” – iniziò Harry, con la voce leggermente tremante per ciò che stava per dire, un po’ era ansioso, era una cosa totalmente senza senso, una cosa talmente strana, ma per loro poteva significare tutto. Era un po’ imbarazzate doverlo chiedere, era qualcosa che li avrebbe liberati dalle costrizioni, dal nascondersi.
“Facciamo coming out appena torniamo nel nostro mondo?” – e allora, Louis lo baciò, rispondendo positivamente alla sua domanda.
Quando la luna fu alta in cielo, tutte le stelle in esso comparse, e la notte calata, la festa terminò.
L’avventura terminò.
Sarebbe tornato tutto alla normalità?
 
Una nuova alba era sorta per tutti.
Non appena era sorto il sole, tutti, dopo aver recuperato i vestiti normali della loro epoca, si erano diretti nella radura dov’era rimasto il TARDIS, il principe e il servo gli avevano fatto da guida in quei boschi, per evitare che loro si perdessero in quelli, visto che non li conoscevano, non bene come loro che vivevano da quelle parti.
Finalmente quell’avventura giungeva al termine, e il Dottore avrebbe riaccompagnato tutti a casa. La minaccia degli angeli era stata sventata a Camelot, ma negli altri secoli? Come avrebbero fatto?
Ormai conoscevano il piano, non avrebbero impiegato molto ad eliminare la minaccia anche lì. Insomma, se c’erano riusciti a Camelot, non potevano farcela nel loro tempo? Certo che potevano, era semplice, in fondo.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero” – disse il Dottore affranto, aprendo la porta del TARDIS all’alba di quella mattina – “non è ancora finita” – comunicò con un sospiro – “dobbiamo neutralizzare gli angeli rimasti nelle vostre epoche.”
Beh, non era una novità, insomma, alla fine era ovvio, visto che sei di loro si erano ritrovati in quel luogo per colpa di quelle dannatissime statue. Tutti erano certi che non avrebbero mai più perso di vista una qualsiasi statua, che fosse a forma d’angelo o altro. In ognuna di quelle, avrebbero potuto trovare un Weeping Angel e no, non volevano assolutamente che una situazione del genere ricapitasse, sì, erano decisamente molto traumatizzati.
“Sì, quindi? Qualcuno deve rimanere qui?” – chiese sconvolto Sherlock, solitamente non era uno che si faceva prendere dal panico, ma detto in termini poveri, avrebbe preferito di gran lunga ritrovarsi in quella piscina con Moriarty che minacciava di uccidere John, che di nuovo faccia a faccia con quelle maledette statue infernali.
“No, non dobbiamo, ma dobbiamo fare in fretta, riportare tutti nei propri mondi e… fermarli come abbiamo fatto qui.” – spiegò il Dottore, guardandoli tutti, dispiaciuto di sottoporli ad altro stress fisico e mentale, magari gli avrebbe cancellato la memoria una volta finito tutto davvero.
“Io posso darvi ancora una mano, se è necessario” – intervenne Clark, sorridendo. Se non c’era della kryptonite di mezzo, lui poteva fare davvero tutto.
“Oh sì!” – esultò Louis – “sarebbe meraviglioso se tu ci aiutassi!” – e Harry scherzosamente lo colpì sul braccio. Ormai non aveva nulla da temere, ma la gelosia era sempre il suo punto debole.
Clark sorrise nella direzione del ragazzo dagli occhi azzurri, e ammiccò, il riccio intercettò il suo sguardo e attrasse a sé il castano, baciandogli la guancia, sentendolo sorridere. Si divertiva a stuzzicarlo.
Arthur e Merlin si avvicinarono a loro, leggermente intristiti, e li salutarono uno ad uno, tutti, ringraziandoli per quanto fatto per il regno e per loro, insomma, avevano salvato tutti da quella minaccia, e inoltre avevano fatto sì che loro si unissero ancor di più, anche come coppia, non potevano non essere riconoscenti.
“Oh ci mancherete da morire” – mormorò Charlotte abbracciando Merlin.
“E’ stato un piacere averti qui, Lady Charlotte” – ridacchiò il mago, ricordando la piccola bugia detta dal Dottore a favore della ragazza.
“Già, avrei dovuto farvi uccidere solo per avermi mentito in quel modo.” – intervenne Arthur, contrariato, non preservava rancore per quella bugia, era stata detta a fin di bene, come quella di Merlin, in fondo. Ora conosceva tutto di lui, e sapeva di potersi fidare del tutto del suo servo, che lui e la sua magia non avrebbero nociuto né a lui né al regno, e l’avrebbe ovviamente aiutato contro suo padre, e l’avrebbe nascosto preservandolo da ogni male.
Il mago scoppiò a ridere dandogli un’amichevole pacca sul braccio, facendo sorridere di conseguenza il principe, che finalmente si mostrava più rilassato e meno preoccupato. Il regno era di nuovo al sicuro, grazie a quelle persone che nonostante non lo conoscessero, non fossero di quel luogo, li avevano aiutati in tutti i modi possibili, e avevano salvato il regno.
“Merlin, noi…” – iniziò il moretto con gli occhiali rotondi, guardando tremando quello che per lui e tutti quelli del suo tempo il mago più grande di tutti i tempi, che sorrideva agli altri salutandoli. Okay, forse non aveva il coraggio di parlargli di nuovo, dopo tutte le figuracce che avevano fatto lui e Malfoy in quei giorni davanti a lui, ed era comprensibile, perfettamente comprensibile.
“Oh Potter, sei totalmente inutile!” – sbottò, appunto, Malfoy, scostandolo. Arthur si voltò contrariato verso il biondino, forse Merlin l’aveva cambiato troppo visto che non sopportava l’arroganza.
“Dovresti essere più gentile con il tuo amico” – in realtà non gli era andato giù il fatto che avessero mancato di rispetto al suo Merlin in quella caverna. No, non lo accettava.
“Dimmi pure!” – esclamò il mago voltandosi sorridendo, ignorando il discorso tra Arthur e Malfoy, due arroganti come loro dovevano vedersela tra di loro, senza mettere altri in mezzo.
“Mi chiedevo se potevi riparare la bacchetta di Malfoy.” – chiese leggermente in imbarazzo, non sapeva perché volesse aiutarlo, ma sapeva che non era giusto che lui perdesse la bacchetta, in fondo, c’erano cose che né il tempo né lo spazio avrebbero mai potuto cambiare, tra queste l’ingenuità e la bontà di Potter.
“Posso provarci, hai i pezzi?”
“Sì!” – esclamò il maghetto, voltandosi verso Charlotte, e chiedendole i pezzi della bacchetta che le aveva consegnato la prima notte, nella cella. Lei velocemente passò i pezzi della bacchetta al ragazzo, che a sua volta si voltò verso Merlin, sotto gli occhi perplessi e stupiti di Malfoy, che non credeva ai suoi occhi.
Il mago osservò i pezzi, e forse conosceva qualche incantesimo in grado di riparare quella bacchetta, chiuse gli occhi, aprendo i palmi delle mani su di essi e pronunciò sotto voce delle parole in lingua antica. Poi spalancò gli occhi, che si tinsero di rosso e la magia fu fatta. Lentamente i pezzi della bacchetta si unirono, ricostruendola completamente.
Tutti erano allibiti, nessuno poteva crederci, eppure… 
“Fantastico, grazie!” – esclamò il moro, sorridendo al mago, che gli riconsegnò la bacchetta.
“E’ stato un piacere.”  
Malfoy non disse nulla, stranamente, nonostante Potter fosse totalmente inutile a volte, quella volta doveva riconoscere che avesse avuto un’ottima idea. Forse qualcuno gliel’aveva suggerito.
Qualcuno di più intelligente di lui, come quello Sherlock, che sapeva sempre tutto.
Una volta ultimati i saluti, tutti entrarono nel TARDIS. Alcuni di loro ancora non si capacitavano di quanto fosse immenso al suo interno. Quella cabina era davvero sorprendente.
Il Dottore aveva il compito di riportare tutti a casa nel minor tempo possibile, e rendere nuovamente inoffensive quelle statue, che avrebbero potuto nuocere a molte persone, se non l’avevano già fatto mentre tutti loro erano bloccati a Camelot, fortunatamente appena giunsero nel luogo della sparizione di John e Sherlock, tutto sembrava ancora a posto, come l’avevano lasciato.
“Lo sapevo!” – esclamò Sherlock – “ricordavo ci fosse qualcosa di strano qui, non c’è mai stato quell’angelo davanti la statua di Peter Pan!” – esclamò indicando quello che era rimasto lì, e sfortunatamente era uno solo. O forse loro credevano fosse uno solo.
“Sherlock, ce n’erano due.” – intervenne John, correggendolo.
“Cosa?”
“Ce n’erano due quando siamo spariti, lo ricordo!” – esclamò John, ecco, ora c’era un bel grosso problema, dov’era finito l’altro? Dovevano stare attenti, poteva essere ovunque.
“Ah, uomini, si perdono in un bicchiere d’acqua” – brontolò Charlotte, aprendo nuovamente il suo zaino ed estraendo da esso un piccolo specchietto circolare, all’esterno arancione. Con esso controllò alle sue spalle, percorrendo tutto il perimetro del TARDIS, era sicuro che gran quantitativo di energia della macchina, li avrebbe attratti tutti, era questione di tempo.
“Hai uno specchio nella borsa?” – chiese John, perplesso.
“Elementare, Watson” – disse lei, controllando ancora – “ho sempre voluto dirlo!” – esclamò imitando il Dottore quando diceva quella frase, il quale spalancò gli occhi ridendo.
“Oh no, Dottore, l’hai contagiata talmente tanto che ora parla come te!” – esclamò Jack, ridendo anche lui.
Jack, Sherlock, il Dottore, John, Clark e Charlotte erano fuori dal TARDIS, mentre Ianto era rimasto dentro a tenere d’occhio gli altri, avrebbero potuto farsi male, insomma.
Sembrava tutto tranquillo, Sherlock e John tenevano sotto controllo l’angelo posizionato sotto la statua innocua, mentre il Dottore e Charlotte controllavano che non si avvicinasse nessun angelo alle spalle, e contemporaneamente Jack e Clark sorvegliavano il perimetro del TARDIS.
Poi improvvisamente, tutti furono all’erta.
Qualcosa era in avvicinamento, ed era sicuro che fossero altri angeli, che cercavano di avvicinarsi al TARDIS.
“Tutti dentro!” – urlò il Dottore, quando si accorse che fossero circondati. Se gli angeli si fossero disposti intorno alla cabina, tutti loro sarebbero partiti, sparendo, e le statue si sarebbero fermate per sempre. Poteva funzionare, l’aveva già fatto una volta, non lui personalmente, una ragazza aveva agito per lui, ed aveva funzionato perfettamente.
Tutti obbedirono, e velocemente, anche grazie a Clark che diede man forte con la velocità, entrarono nella cabina, chiudendosi la porta alle spalle. Il Dottore corse ai comandi, mentre gli angeli fuori muovevano la cabina, cercando di entrare, o di distruggerla in qualche modo per potersi nutrire della sua energia, ma il Time Lord mise in moto il TARDIS, sparendo da quel punto, e gli angeli si ritrovano a fissarsi l’un altro, diventando così statue di marmo e basta.
La nave spazio/temporale, atterrò a pochi metri da dov’era sparito, e finalmente Sherlock e John furono liberi di andare via, non appena la porta si aprì nuovamente il detective uscì respirando finalmente tranquillo l’aria noiosa di Londra, che gli era mancata da morire. John fu il secondo ad uscire, e prima di andare via, ringraziò con una stretta di mano e il saluto militare il Dottore.
“No, no, il saluto no!” – si lamentò.
Sherlock si affacciò alla porta del TARDIS e si lasciò scappare un sorriso.
“Arrivederci, e grazie” – disse afferrando la mano di John e tirandolo fuori – “non mi mancherà per niente quell’anormalità.” – disse ancora, dopo aver salutato. Tutti risero, non avrebbero immaginato altre parole da Sherlock, anzi a momenti avrebbero fatto scommesse sul fatto che prima o poi lo dicesse.
“Ciao Sherlock, ciao John!” – esclamò Charlotte – “mi raccomando fatevi vedere sempre insieme e negate la vostra palese relazione” – urlò ridendo.
“Perché?” – chiese John, perplesso.
“Perché è divertente!”  - entrambi risero, e dopo un rapido cenno con la mano, entrambi sparirono all’orizzonte, tenendosi per mano. Quanto sarebbero durati insieme?
La ragazza tornò nel TARDIS, sorridendo.
Utilizzarono lo stesso metodo, quando riportarono a casa Kurt e Blaine, che dopo un paio di abbracci con poche parole corsero via da lì, tenendosi per mano, così come avevano fatto la prima volta che si erano incontrati. Velocemente il Dottore con il suo TARDIS riaccompagnò anche Malfoy e Potter, giungendo al binario tra il nove e il dieci.
“Mi dispiace, mi dispiace davvero, ma non posso proseguire” – disse il Dottore, dispiaciuto di non poterli riaccompagnare fino al famoso castello, ma le misure di sicurezza per chi non era un mago, erano davvero… efficienti.
“Ovvio, siete babbani” – replicò acidamente Malfoy.
“Io non sono un babbano, sono un Time Lord, vengo da Gallifrey…”
“… costellazione di Kasterborous, hai novecentosei anni e sei colui che salverà la vita a tutta la popolazione terrestre, lo sappiamo” – scimmiottò Charlotte, mentre il Dottore, indignato, si voltava verso di lei e la guardava di traverso, forse cercando di rimproverarla, senza però farlo davvero.
“E’ inquietante essere anticipato.” – scosse la testa – “e poi stavo per dire che sono l’ultimo dei Time Lords.”
“Siamo lì, su.” – ridacchiò – “era la mia seconda scelta.”
Il Dottore diede indicazioni ai due maghi su cosa fare per evitare gli angeli, e poi sia lui che Charlotte ritornarono nella cabina blu, andando via anche da lì. Dovevano essere riaccompagnati solamente Clark, Louis, Harry, Jack, Ianto e infine Charlotte.
“Come mai il TARDIS non può andare ad Hogwarts? Credevo potesse andare ovunque nel tempo e nello spazio.”- disse la ragazza, una volta entrata. – “e gli angeli come diavolo facevano a trovarsi lì? Hogwarts è impenetrabile, la maggior parte delle volte.”
“Infatti, ma non volevo rischiare collisioni attraversando quella barriera” – spiegò il Dottore – “e gli angeli sono statue quando vengono osservati, quindi saranno stati trasportati da statue all’interno della scuola.” – concluse. Era un po’ confusionaria come spiegazione, ma aveva un senso. Il gruppo, comunque, stava pian piano sciamando, diventando sempre più piccolo e circoscritto, giunsero a Smallville, dove ringraziarono mille e mille volte Clark per l’aiuto reso loro e…
“Charlotte, mi scatti una foto con Clark?” – chiese Louis, facendo – stavolta – ridere Harry, che se prima era stato solo lentamente geloso, ora lo era a tutti gli effetti, ma celava tutto dietro la risata. Prima o poi a casa sarebbero tornati – “posso, vero, Clark?” – chiese con gli occhioni luccicanti, ai quali nessuno poteva resistere.
“Certo, vieni!” – esclamò Clark aprendo le braccia, e Louis ci si tuffò dentro, un po’ perché quando gli sarebbe ricapitato nella vita? Un po’ per far innervosire Harry, insomma, era così carino e adorabile da geloso. E poi, dopo ciò che gli aveva risposto durante il ballo a Camelot, poteva permettersi di prenderlo un po’ in giro.
Charlotte scattò la foto ad entrambi, e subito dopo, Louis si fece firmare un autografo da lui, l’avrebbe messo nella sua collezione accanto alla futura statua di dimensioni naturali che gli avrebbe regalato Harry.
Dopo aver salutato Clark, il resto della squadra viaggiò fino a Cardiff insieme al Dottore, e lì lasciarono Jack e Ianto.
“E’ sempre un piacere lavorare con te, Jack, a presto!” – esclamò il Dottore, salutando il vecchio amico.
“Ci rivedremo davvero, non riesco a starti lontano.” – ridacchiò il capitano, facendogli il classico saluto militare. Il Dottore rispose con un cenno, scuotendo la testa.
“Signorina, è stato un onore conoscerla” – salutò poi Charlotte, facendole un inchino, mentre lei arrossiva e gli stringeva la mano, imbarazzata, mentre Ianto colpiva non molto amichevolmente Jack sul braccio, invitandolo a non flirtare con qualsiasi cosa respirasse, almeno non davanti a lui.
Ecco, l’avventura era finita e lei ritornava ad intimidirsi. Intanto Ianto andava da Harry per salutarlo, sotto l’occhio geloso di Louis, che non accettava che qualcuno si avvicinasse al suo ragazzo quando c’era lui.
“Ianto, fammi indovinare, sei geloso?” – chiese il riccio, ripetendo quello che pochi giorni gli aveva detto il moro.
“Da morire. Te l’avevo detto che ti capivo benissimo.” – replicò quello, lanciando un’occhiataccia a Jack, che continuava a flirtare. Dannazione, ma c’era stato qualcosa tra lui e il Dottore in passato? Non lo sapeva, ignorava quel lato di Jack, sapeva avesse avuto dei flirt in passato, ma non sapeva con chi, Jack non gliel’aveva mai detto, cavolo.
“Su, amico, non preoccuparti, li sta solo salutando.” - fece Harry, battendogli una mano sulla spalla e poi abbracciandolo. Lui era uno che dispensava abbracci a tutti, non si stava affatto vendicando con Louis per quello che aveva fatto, no, per nulla.
“Harry…” – tossì Louis – “guarda che il tuo amico dovrebbe andare”
Harry ridacchiò, staccandosi da Ianto, e salutandolo con un sorriso dolce. Louis continuava a fulminarlo con lo sguardo, e sperava con tutto il cuore che quel ragazzo mettesse via le sue mani da Harry, lo pretendeva, quasi.
Ianto riservò un saluto anche al castano, e poi tornò da Jack e il Dottore, che salutò entrambi, scortandoli fuori dal TARDIS. C’era una piccola cosa da chiarire, ma il Dottore l’avrebbe fatto dopo molto tempo.
Louis abbracciò subito Harry, non appena quel ‘tipo’ fu andato via, e il riccio ridacchiò, constatando che la sua piccola vendetta aveva avuto l’effetto desiderato, ora sapeva che Louis non avrebbe mai più fatto lo scemo con altri. O forse l’avrebbe fatto, chi poteva saperlo?
Quando il Dottore rientrò nel TARDIS, Charlotte gli si avvicinò sorridendo, lo prese per mano e lo avvicinò ai due giovani cantanti, abbracciando tutti e tre contemporaneamente.
“Ten, e i Larry contemporaneamente, cosa posso volere di più dalla vita?” – sorrise ridendo – “per non parlare dei Klaine, Johnlock, Janto e Merthur!” – esclamò felice come non  mai – “i miei feels impazziscono e ho un casino di foto!”
“Oh, non… badate a lei, parla in modo più strano di me, a volte.” – disse il Dottore, scuotendo la testa.
“I Larry siamo noi, vero?” – chiese Louis.
“Sì, sì lo so, ‘the biggest load of bullshit I have heard’ non c’è bisogno che ti giustifichi, Tomlinson, so tutto.” – disse la ragazza annuendo – “ e sappi che hai ucciso i feels di tutti, ma sappiamo tutti che non eri tu, sei perdonato”
“Noi abbiamo fatto pace dopo quello, tranquilla” – disse Harry trattenendo una risata.
“Tu non parlare, mister ‘I’m in love with Lou and his little things’ ti ha sentito mezzo mondo, e non solo hai fatto impazzire di feels tutto il fandom, dopo hanno fatto uscire troppe foto Elenour, o come diavolo si dice.” – disse piccata, scuotendo la testa, assumendo un’espressione disgustata.
“Mi sono perso, lo ammetto.” – ammise Louis, trattenendo le risate.
“La cosa importante è che voi due siete una coppia meravigliosa” – fece lei abbracciandoli, sorridendo – “mi fate un autografo, vero?”
“Vuoi farci firmare qualche attestato di matrimonio?” – chiese Harry, ridendo, mentre insieme a Louis firmava un pezzo di carta porto loro dalla ragazza, che felice impazziva per avere le firme di Harry Styles e Louis Tomlinson.
“Ho abbastanza foto che farebbero impazzire Tumblr.” – disse ridacchiando – “ma potete stare tranquilli, non le metterò da nessuna parte.” – li rassicurò.
I due ragazzi non sembravano più turbati dal fatto che tutti potessero scoprire la loro relazione, ma non dissero nulla, e il Dottore rimise in moto il TARDIS accompagnando i due ragazzi ad Holmes Chapel, il paese natale di Harry, intimando loro di stare attenti, perché gli angeli potevano essere sempre nei paraggi.
“Staremo attenti, grazie di tutto.” – sorrisero i due ragazzi, dopo aver abbracciato la ragazza e aver stretto la mano al Dottore, lasciarono finalmente la cabina blu e si diressero verso la casa di Harry, quando il castano ricordò una cosa, e si voltò verso Charlotte, e sorrise.
“Tieni le orecchie aperte nei prossimi giorni, quando ci saremo ripresi da tutto questo…” – fece una pausa guardando Harry mordendosi le labbra – “ci sarà una bella sorpresa.”
Il riccio si voltò verso di lui, e sorrise annuendo.
“Una meravigliosa notizia.” – puntualizzò, prima di mandare un ultimo saluto ai due, e trascinando per mano il suo ragazzo in casa, chiuse la porta alle loro spalle, baciandolo subito.
“E’ un coming out?” – chiese, senza ottenere risposta – “ehi, voi due non potete annunciare un coming out e andarvene come se nulla fosse!” – sbuffò ridendo – “oh siate felici, lo meritate” – mormorò tra sé e sé, prima di rientrare nel TARDIS.
Finalmente loro erano liberi, finalmente tutto era finito, ed erano tornati a casa loro, sani e salvi.
Finalmente avrebbero fatto coming out, e chi se ne fregava della fama e del resto. Avevano appena rischiato la vita in una cabina blu che li aveva portati a Camelot, indietro di chi sapeva quanti secoli.
Non potevano più aspettare, e non volevano più aspettare.
Ormai era da troppo che si nascondevano, troppo che fingevano, troppo che… troppo e basta, dovevano farlo, e l’avrebbero fatto non appena ripresi dal viaggio sconvolgente nel tempo, in quel momento preferivano baciarsi e consumare il loro amore tra le pareti della casa di Harry per due lunghe settimane, del resto il Dottore aveva suggerito tanto riposo per chi non fosse abituato a viaggiare nel tempo.
Charlotte era rientrata nel TARDIS con il sorriso sulle labbra, guardando il Dottore.
“Ora mi spieghi perché non li abbiamo riaccompagnati a Cardiff dove li abbiamo trovati?” – chiese curiosa.
“Avevano bisogno di riposo” – disse solamente.
“Conosco quello sguardo, dimmelo, cos’era successo?” – insisté ancora, guardandolo. Non avrebbe smesso di chiedere finché lui non le avesse dato una spiegazione plausibile. Non aveva senso perché riaccompagnarli se potevano prendere un treno fino ad Holmes Chapel? Il Dottore le lanciò un’occhiata eloquente, invitandola a tentare di rispondere lei, prima che lui le desse la risposta, ci pensò un po’ e poi… - “Ah.”
“Già” – fece serio lui.
“Tu stai dicendo che…”
“Hai capito bene.”
“Ora ho capito!” – esclamò, mentre il Dottore ridacchiava sommessamente – “e tu non ridere! Come ho fatto a non pensarci io? Erano nel tempo sbagliato, quindi…”
“A Cardiff del 2013 ci sono altri angeli, andiamo?” – chiese il Dottore, sorridendo.
Charlotte annuì allegra, non era ancora finita, sarebbe rimasta ancora un po’ con lui e non l’avrebbe riaccompagnata ancora a casa, non subito, almeno.
Harry e Louis non avrebbero mai saputo cosa fosse accaduto, non avrebbero mai saputo che si erano trovati nel TARDIS perché erano stati attaccati anche loro dagli angeli, che li avevano spostati indietro negli anni solo di qualche anno, era meglio così, ecco perché il Dottore aveva preferito accompagnarli per ultimi.
Insieme, il Dottore e la ragazza si diressero a Cardiff, dove trovarono gli altri angeli pronti a dar fastidio ancora alla popolazione. Qualcosa non andava, erano troppo sparpagliati nelle epoche, era troppo strano che fossero ovunque. Con lo stesso stratagemma, riuscirono a fermare anche quelli di Cardiff e parve che la pace fosse stata ristabilita e l’ordine restituito alle varie epoche. Nonostante la cosa fosse strana, decisamente strana poteva dirsi che il suo lavoro fosse finito, e poteva viaggiare almeno una volta, senza tutti quei problemi.
Inoltre era indeciso su cosa fare di Charlotte, sì, poteva portarla con sé ancora un po’, non c’era problema non era passata nemmeno una settimana da quando si era separato da Donna.
Rimise in moto il TARDIS, e la ragazza iniziò a rimettere le sue cose nella borsa, stava tornando a casa, non poteva farci nulla, ormai tutto era finito, lui le aveva promesso un viaggio, uno e uno solo, ed era giunto al termine.
Poteva esserne felice, però. Aveva riscoperto se stessa, aveva conosciuto tutte quelle fantastiche coppie, visto il loro amore sbocciare e consolidarsi, peccato che sapeva come sarebbe andata a finire per molti di loro.
“Ora che ci penso, anche tu sei del 2013, o sbaglio?” – chiese il Dottore, guardandola.
“Lo ammetto, ma tu ti trovavi esattamente qui.” – sorrise – “forse hai fatto tu qualche errore.”
“Cosa?” – chiese stupito – “Ho lasciato Donna da sola in un tempo che non conosce?! Sono uno stupido.” – sospirò tenendosi la testa tra le mani disperato.
“Vuoi una mano a cercarla?” – chiese speranzosa, guardandola con gli occhi luminosi, supplichevoli. Lui acconsentì fermando il TARDIS prima che ripartisse, e velocemente uscirono. La ricerca della donna durò parecchio tempo, durante il quale i due poterono approfondire la loro conoscenza e Charlotte riuscì persino a scattarsi una foto con lui.
“Dottore?” – chiese improvvisamente.
“Sì?”
“Sarai sempre tu il mio Dottore.” – confessò imporporando di rosso le sue guance, sorridendo appena, doveva dirglielo, voleva dirglielo fin dall’inizio.
“Che vuoi dire?” – chiese lui perplesso, senza capire.
“Non posso dire nulla, sarebbe spoiler.”
“Anche tu con gli spoiler?”
Lei alzò le spalle sorridendo appena, prima di vedere il Dottore sovrastato da qualcosa che gli era saltato addosso.
“Donna!” – esclamò  riconoscendo la sua lunga capigliatura rossiccia, la abbracciò, stringendola notando che tremasse. – “ehi, va tutto bene.” – la rassicurò, staccandosi da lei.
“E’ orribile! Ma dove siamo?”  - chiese lei con il tono di voce alto, com’era solita fare.
“Nel 2013, scusa, devo aver impostato male qualcosa.” – ridacchiò – “ti presento Charlotte, una mia nuova amica.”
“Oh mio dio, Donna Noble!” – esclamò sorridendo e abbracciandola immediatamente.
“Piacere?” – chiese Donna, ricambiando l’abbraccio.
“Sono Charlotte Ellis!” – esclamò staccandosi e stringendole la mano – “è un onore conoscerti, dannazione, io ti adoro, sei fantastica!”
La rossa rise annuendo, capendo fosse una delle tante cose strane che capitavano solo con il Dottore, e l’assecondò. Il Dottore le spiegò brevemente cosa fosse accaduto, degli angeli, delle varie dimensioni unite,  Donna capì poco, ma fu felice di ritrovarsi dentro al TARDIS, con lui. Charlotte era un po’ meno felice. L’avevano trovata praticamente subito e non poteva più trovare altre cose stravaganti da fare, niente di niente. Sospirò chiudendo definitivamente il suo zaino e lo mise in spalla. Il Dottore non le disse niente, ma scambiò un’occhiata d’intesa con Donna, prima di fermare il TARDIS in un punto ignoto della galassia.
Charlotte aprì la porta, convinta di trovarsi di nuovo in Irlanda e guardò fuori, spalancando gli occhi.
No, non poteva essere… c’era lo spazio infinto davanti a lei.
“Cosa significa?” – chiese guardandolo, senza capire, o forse non riusciva a realizzarlo pienamente.
“Beh… ti va di accompagnarci?” – chiese il Dottore, affiancandola mentre lei non parlava, ammutolita e stupita. Non l’avrebbe mai creduto possibile. Non erano cose che capitavano ad una come lei.
“Dai, per qualche viaggetto, così non ti annoi!” – esclamò Donna, sorridendo affiancandola a sua volta. Il Dottore le aveva spiegato velocemente anche la storia della ragazza, e sì era d’accordo anche lei che dovesse seguirlo.
“Io… sì, sì!” – sorrise emozionata – “dannazione sì!” – esclamò abbracciando sia il Dottore che Donna, urlando felice come non mai. Non lo credeva possibile. Era… fantastico.
Il Dottore richiuse la porta del Tardis, e le due donne gli andarono vicino sorridendo, mentre lui rimetteva in modo.
“Pronte?” – chiese, ricevendo in risposta un cenno affermativo con la testa – “allons-y!”



 
Don't blink, 
Don't even blink,
Blink and you are dead.
Don't turn your back
Don't look away
And don't blink.
Good luck.



The end.


 
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Ehi everybody, rieccomi con l'ultimo appassionante episodio della lunghissima OS, diventata poi una fanfiction. 
Sul finale c'è il delirio puro, credo di averlo scritto di notte, quindi... ehm, okay. 
Siamo arrivati alla fine della storia, siamo arrivati alla conclusione. Charlotte rimane con il Dottore, ma poi ritornerà a casa, e io forse scriverò un nuovo crossover. Non lo so, ma forse ho ancora un po' di delirio da qualche parte, e università permettendo...
Devo ultimare delle OS, ma non importa.
Questo finisce qui, e mi mancherà tanto, da morire. L'ho amato, e spero che l'abbiate amato anche voi. 
E non so cosa dire, forse è banale, o boh.
Ditemi voi cosa ne pensate, se volete, altrimenti.. boh, non fatelo lol
Odio gli addii, e come il Dottore non mi piacciono i finali, ma ahimè "every song must end".
Quindi, dolcezze, per l'ultima volta, vi saluto.

Con una bella gif di Ten, che a me manca tanto. 

Byebye, <3
P.s quanto può essere figo, Tennant? Damn.  (e sì, giusto per rimanere in tema, è presa da 'Blink' lol) 

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