We are brothers! - Ace and Rufy's moments

di EmmaStarr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Happy ending ***
Capitolo 2: *** Hot ***
Capitolo 3: *** Complicated ***
Capitolo 4: *** The best damned thing ***
Capitolo 5: *** Remember when ***
Capitolo 6: *** Naked ***
Capitolo 7: *** Thank you for the venom ***
Capitolo 8: *** I'm not ok - I promise ***
Capitolo 9: *** I dont love you ***
Capitolo 10: *** Last famous words ***
Capitolo 11: *** Teenagers ***
Capitolo 12: *** The only hope for me is you ***
Capitolo 13: *** Pieces ***
Capitolo 14: *** Best of me ***
Capitolo 15: *** Look at me ***
Capitolo 16: *** What I believe ***
Capitolo 17: *** Bleed ***
Capitolo 18: *** Still Waiting ***
Capitolo 19: *** I wonna break free ***
Capitolo 20: *** Crazy little thing called love ***
Capitolo 21: *** The invisible man ***
Capitolo 22: *** Living on my own ***
Capitolo 23: *** Driven by you ***
Capitolo 24: *** It's a hard life ***
Capitolo 25: *** To tomorrow ***



Capitolo 1
*** Happy ending ***


HAPPY ENDING



A Rufy era sempre piaciuto il lieto fine.

Lo trovava confortante, rassicurante.

Ace invece diceva che era troppo scontato, troppo noioso: lui voleva il sangue, l'azione, la paura... Il lieto fine era roba da femminucce.

“Ace, mi racconti una storia?” implorò Rufy, saltellando su e giù per la stanza.

Ace mugolò qualcosa di incomprensibile, voltandosi nel letto. “Stai fermo, ho sonno!” si lamentò.

“Dai, mi racconti una storia? Solo una!” lo pregò Rufy, continuando imperterrito a saltellare.

“Ma poi... poi prometti che stai zitto?” chiese il maggiore, esitante.

“Zittissimo! Non mi sentirai nemmeno, come se non ci fossi! Completo silenzio.” promise lui, mettendosi subito buono buono, in ascolto.

Ace tentennò: lui voleva il silenzio, lo voleva con tutto il cuore. Voleva riposare senza che quel terremoto di un bambino gli impedisse di chiudere gli occhi anche solo due secondi.

Però... lui le storie non le sapeva raccontare!

“Dai, racconti o no?” lo incitò Rufy, aspettando.

“E va bene! C'era una volta, un... pirata?” azzardò Ace, mettendosi a sedere e grattandosi la testa.

“Oh, una storia sui pirati, che bello!” gridò il più piccolo, battendo le mani.

“Questo pirata era... Sì, lui era spaventoso e crudele.” attaccò Ace, un lampo di malvagità nello sguardo. “Era così spietato che persino i più grandi Ufficiali della Marina Militare avevano paura di lui! E sai cosa ne faceva dei suoi nemici?”

“Cosa, cosa?” domandò Rufy, elettrizzato, nascondendosi sotto le lenzuola.

“Li avvelenava con i suoi artigli velenosi! Poi gli bruciava la faccia, un pezzettino per volta! Il naso, le ciglia, le guance, tutto! Il pirata era cattivo, molto cattivo. Tutti lo odiavano, tutti lo disprezzavano.” continuò Ace, alzandosi e camminando piano verso il letto di Rufy.

“E poi?” sussurrò quello, eccitato.

“Un giorno il pirata, non contento di tutto il male che aveva fatto, decise di uccidere tutti i bambini con meno di nove anni, per evitare che crescessero e diventassero pirati come lui!” gridò Ace, il pavimento che scricchiolava piano sotto i suoi piedi.

Io ho meno di nove anni!” strillò Rufy, ben nascosto sotto le coperte.

Ace non capiva: perché quel bambino non piangeva terrorizzato? Perché strillava come se fosse eccitato? Eppure lui voleva solo spaventarlo!

Voleva che gridasse di paura, che tremasse, che piangesse... Voleva farlo star male, non farlo ridere.

Doveva darci un taglio e spaventarlo a morte.

“Di' un po', tu lo sai dove approderà, stanotte?” sussurrò, ormai davanti al letto di Rufy.

“Dove, dove, dove?” chiese quello, agitandosi sotto le lenzuola.

“Sta sbarcando proprio ora... Si sente l'odore del sangue che porta con sé... E presto, presto, forse tra pochi istanti... sarà proprio qua!” concluse, togliendo di scatto le lenzuola dal corpo di Rufy.

Con suo estremo disappunto, lo trovò che rideva come un matto.

“Che c'è da ridere? È una storia orribile! Dovresti avere paura!” esplose Ace, frustrato.

Rufy smise di ridere e lo guardò, confuso. “Paura? E perché? Tanto finisce bene.” disse con ovvietà.

“Ah, sì? E come finisce, di grazia?” ribatté l'altro, scettico.

Ma certo. In fondo lui raccontava la storia, però Rufy conosceva esattamente il finale. Logico.

“Ma è semplice. Tu mi salvi.” fece Rufy, sfoderando il suo solito sorriso tanto grande e ingenuo.

Ace rimase così scioccato dall'affermazione del bambino che per poco non cadde a terra di botto.

Tu mi salvi.

Lui era il figlio di un demone, di un mostro! Lui non doveva nemmeno nascere, e invece quel bambino lo riteneva così importante...

Tu mi salvi.

Rufy gli avrebbe affidato la vita ad occhi chiusi, senza pensarci due volte.

Rufy lo vedeva come un modello, un esempio, un idolo.

Rufy aveva bisogno di lui.

Rufy lo voleva vivo.

“Finisce così, vero? Vero che finisce così? Perché non parli? Ace!” Rufy gonfiò le guance, offeso. “Vuol dire che non ho indovinato?”

“Sai una cosa? Hai ragione tu.” sospirò Ace, sorridendo. “Finisce... finisce esattamente così.” sbadigliò, tornando a sdraiarsi a letto.

“Lo sapevo.” mormorò Rufy, stendendosi a sua volta e chiudendo gli occhi. “È un lieto fine... davvero eccezionale...”

Non aveva ancora finito di parlare, che già stava dormendo.

 

Molti anni dopo, il sapore del sangue nella bocca e una ferita terribile nel petto, Ace ripensò a quel momento.

Anche adesso è un lieto fine, Rufy. Io ti salvo, giusto?”

E fu così che il grande pirata della ciurma di Barbabianca, Portuguese D. Ace, morì con l'ombra di un sorriso sulle labbra e l'ombra di un ricordo nella mente.

Un ricordo che parlava di due bambini, due amici, due fratelli.

E di un lieto fine.

 



Angolo dell'autrice:

Salve a tutti!
Questo è il mio primo tentativo su questo fandom... Che emozione >.<
Premettendo che amo questi due bambini con tutto il cuore, ho deciso di scrivere questa raccolta. Si basa su una challenge (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9887909): l'autrice ci dà dei titoli di alcune canzoni (solo titoli, non testi!) e la storia va scritta in base a questo.
Ora, perdonerete la mia incompetenza musicale ma Happy ending di Avril Lavigne non l'ho mai sentita, anche se suppongo che non sia proprio fluff... Bé, meglio. Stravolgerò un po' le cose ^^
In fondo, si tratta di spunti.
Ace e Rufy sono così dolci che basta un niente per far nascere una storia su di loro!
Io credo che siano dei personaggi molto profondi: un legame fraterno non è una cosa che leghi e disfi da un giorno all'altro, è un percorso lugno, che richiede costanza e tanto amore... Insomma, io li amo ^^
Nient'altro, spero davvero che questa prima shot vi piaccia! La prossima arriverà entro settimana prossima, il titolo sarà Hot.
E non importa come, verrà fuori dolce.
Un abbraccio a tutti!
Vostra
Emma ^^

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Capitolo 2
*** Hot ***


HOT



“Ace, ho caldo...”

“Sta' zitto.”

“Ma ho caldo!”

“Rufy, ti ho già detto di stare zitto o sbaglio?”

“Sì, ma io ho caldo!”

Non mi importa!

“Non è colpa mia se ho caldo...”

“RUFY!”

“Ho tanto, tanto caldo...”

“Non è un problema mio!”

“Tu non hai caldo?”

“No! E ora stai zitto!”

“Ma perché oggi fa così caldo?”

“È estate, idiota!”

“Ace, se dico che ho caldo ti arrabbi?”

“Esattamente.”

“Però ho caldo...”

“Rufy, ti conviene iniziare a correre.”

“Se corro sudo, e poi ho ancora più caldo.”

“Rufy, ma mi stai a sentire?”

“E ho già caldo ora che non corro, quindi figurati...”

“Mi manderai al manicomio, me lo sento.”

“...”

“...”

“Ace?”

“Sì?”

“Ho cal-”

 

Ace! Ma sei impazzito? Vai subito a ripescare Rufy, lo sai che non può nuotare!”

“Sabo, fidati. Se fossi stato qui, lo avresti buttato nel fiume anche tu.”





Angolo dell'autrice:
Salve a tutti!
Sinceramente, non so come mi sia uscito questo.
L'idea di base era diversissima - molto più lunga e travagliata, direi. Pensavo all'incendio del Grey Terminal (avete presente Rufy: "Ho caldo! No, NON È VERO! Ho caldo! No, NON È VERO" Insomma, era un amore).
Poi però al'ultimo ho cambiato idea.
Ed ecco a voi.
Perché, insomma, Rufy che fa i capricci è tenero, dite quello che volete *__*
Grazie di cuore a tutti quelli che hanno recensito, preferito, ricordato e seuito il primo capitolo. Spero davvero che vi piaccia anche questo!
Ci sentiamo in settimana, la prossima shot si intitolerà "Complicated"
Un abbraccio a tutti!Vostra
Emma ^^
 

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Capitolo 3
*** Complicated ***


COMPLICATED





Era passato ormai un po' di tempo da quel giorno così spaventoso, quel giorno in cui Rufy era quasi morto pur di non rivelare ai pirati del Grey Terminal l'esatta posizione del tesoro di Ace e Sabo.

Ace.

Rufy ce la metteva tutta per risultare simpatico a quel ragazzo, eppure ogni suo sforzo sembrava essere vano!

Con Sabo era diverso: lui era così buono, così gentile... Sabo non picchiava quasi mai, e sorrideva molto più spesso!

Ace invece era sempre cupo, parlava poco e picchiava tanto.

Rufy si era messo in testa un obiettivo: avrebbe fatto sorridere Ace, non importava come!

Per ora, i suoi tentativi non avevano dato molti frutti.

Il detto un sorriso tira l'altro in quel caso non poteva essere meno azzeccato: Ace diceva di detestare quelle “espressioni da ebete” che Rufy tirava fuori ogni tanto.

Anche fargli il solletico non aveva funzionato (aveva ancora i lividi di quella volta), e nemmeno provare a raccontare delle barzellette.

“Ma Ace non sorride mai?” chiese a Sabo un giorno, sfiduciato.

“Sì, perché me lo chiedi? Tutti sorridono.” rispose quello, confuso.

“Con me Ace non sorride praticamente mai. È... innaturale!” borbottò il più piccolo, mettendo il broncio.

Sabo rise di gusto. “Di sicuro è innaturale per te, visto che non fai che sorridere in ogni momento! Come fa la tua faccia a resistere?”

“È perché sono fatto di gomma!” rispose Rufy, sorridendo orgoglioso.

Questo fece ridere Sabo ancora di più.

“Ma lo vedi? Tu sorridi molto spesso.” notò Rufy, tornando concentrato.

“Io ho te e Ace. Per questo sono felice.” spiegò l'altro dolcemente, scompigliandogli i capelli.

Rufy si illuminò. “Anch'io sono felice perché ho te e Ace!” Poi però tornò corrucciato. “Ma non ha senso. Anche Ace ha te e me. Perché lui non sorride?”

Sabo ci pensò su. “Ace è... diverso.” azzardò, titubante.

“Oh, no, è che è complicato.” sbuffò Rufy, grattandosi la testa. “Insomma, si vede che Ace è cupo... è cupo dentro. Come se avesse dei problemi con... l'essere nato, o cose simili. Vero che non è possibile?” chiese subito, preoccupato.

“... Ovvio che non è possibile, cosa vai a pensare!” lo rassicurò Sabo, esitando solo un attimo. “Io... io devo andare a... sai... devo trovare della legna! Ci vediamo dopo!” lo salutò, correndo via.

Rufy rimase lì da solo, grattandosi la testa: se n'era andato davvero in fretta...

Poi però scrollò le spalle, sorridendo. Non importava, se doveva andare doveva andare. Anzi, anche lui poteva cercare della legna, così Sabo e Ace sarebbero stati orgogliosi di lui!

Si mise a camminare, sorridendo, finché non sentì delle voci poco lontano.

Incuriosito, drizzò le orecchie e si avvicinò.

“Ace! Ace, vieni, ti devo dire una cosa importantissima!”

“E adesso che c'è, Sabo?”

“È per via di Rufy!”

“Ah, se è finito nei guai un'altra volta io non...”

“No, non c'entra! Stavamo parlando di sorrisi e cose simili, e ad un certo punto mi ha detto che gli sembrava che tu... Insomma, che avessi dei problemi con l'essere nato! Capisci?”

“... Come ha fatto quell'idiota a capirlo?”

“Dice che è perché non sorridi mai. Mi ha chiesto perché, poi se n'è uscito con questa faccenda.”

“Bé, ha intuito, il ragazzo.”

“Ace, non scherzare!”

“Non sto scherzando. Se capisce chi sono, magari poi ci lascia in pace.”

“Sai che non è quello che vuoi.”

“Chi te lo dice?”

“... Ace, dovresti parlargli.”

“Parlarmi di cosa?” chiese Rufy, raggiungendoli allegramente.

I due sobbalzarono, spaventati dall'apparizione del più piccolo.

“Ma che fai, ci ascolti di nascosto?” ruggì Ace, colpendolo in testa.

Rufy tirò su col naso, ferito. “Vi ho sentiti per caso. Di cosa dovresti parlarmi?” replicò, ostinato.

Sabo lanciò una fugace occhiata a Ace. “Io vado...”

E prima che potessero fermarlo, era già sparito.

“Allora? Di cosa devi parlarmi? Magari di... cibo?” chiese Rufy, gli occhi luccicanti.

Il maggiore sbuffò, acido. “No. E piantala di scocciarmi.”

“Va bene.” disse subito Rufy, sedendosi per terra a gambe incrociate con un largo sorriso.

Ace lo fissò per qualche istante, quasi non credendo ai propri occhi.

“E adesso perché ti sei seduto? E che hai da sorridere?” domandò, sull'orlo della disperazione.

“Sono seduto per non darti fastidio. E sorrido perché sono felice!” rispose Rufy, alzando le spalle.

“Potresti smetterla?” ribatté Ace, fissandolo torvo. “Di sorridere, intendo. Mi dai sui nervi.”

“Oh, era questa la cosa di cui volevi parlarmi?” si stupì Rufy. “D'accordo. Non sorrido più, guarda!” disse, stringendo le labbra, gonfiando le guancie e corrucciando le sopracciglia.

Sembrava che fosse sul punto di soffocare, notò Ace inarcando il sopracciglio.

Alla fine Rufy non ce la fece più e scoppiò a ridere.

“E adesso perché ridi?” esplose Ace, tirandogli un pugno in testa.

“Non potevo farne a meno.” rispose tranquillamente Rufy, tirandosi in piedi. “Senti, Ace. Ti da fastidio se sorrido?”

“Sì.” rispose quello, cupo.

“E perché? Oh, no, lo so!” gridò Rufy, prendendo a saltellare. “È che tu...” proclamò, puntandogli un ditino in faccia “...non ne sei capace.” concluse in tutta serietà. “Ho indovinato?”

Ace chiuse gli occhi e contò fino a dieci prima di rispondere. “No, Rufy. Sono capace di sorridere.”

“Oh, allora è qualcos'altro...” rifletté Rufy, mettendosi a camminare in cerchio. “Scusa, se sai sorridere perché non lo fai mai?”

Ace deglutì. “Perché... Non voglio.”

Rufy si grattò la testa. “Sei complicato, sai? Come si fa a non voler sorridere?” chiese, confuso. “L'ho detto anche a Sabo, è come se tu avessi dei problemi con l'es-”

“Senti, Rufy.” lo interruppe Ace, vagamente in imbarazzo. “Se tu conoscessi il figlio di... Il figlio di Gol D Roger, mettiamo. Scapperesti via? Lo picchieresti? Lo uccideresti?” chiese a bruciapelo.

Il bambino lo fissò, confuso. “E perché dovrei? A parte che mi sa che non potrei ucciderlo neanche volendo... Se conoscessi il figlio di Gold Roger, lo vorrei come amico di sicuro!” affermò, sorridendo sognante. “Così mi insegnerebbe come diventare il Re dei Pirati... E immagina quante storie saprà raccontare! E poi scommetto che sarebbe fortissimo, e coraggiosissimo, e fortissimo! Non è che tu lo conosci?” chiese subito, eccitato.

Ace era rimasto sconvolto dalle sue parole, Rufy se ne accorse.

“Ho detto... Ho detto qualcosa di sbagliato?”

Ace ancora non parlava, fissando un punto imprecisato alle spalle di Rufy, l'espressione smarrita.

Il più piccolo non ce la faceva più. Gli si piazzò davanti, prese fiato e cominciò a gridare.

“Ace... Scusa, ok? Scusa se ti do fastidio e se quello che dico non va bene! Scusa se creo tanti problemi, scusa se sorrido in continuazione e se quello che faccio è sempre sbagliato! Soprattutto scusa se sono un peso e un fastidio e se farei meglio ad andare via. Però... Però io ti voglio bene, e vorrei vederti sorridere almeno un po', ecco!” concluse, gridando con tutto il fiato che aveva in corpo. Aveva le lacrime agli occhi.

Ace sembrò riscuotersi dal suo stato di trance e scosse la testa, stanco. “Ma quanto sei scemo...” sospirò, avvicinandosi a lui. Rufy tremò impercettibilmente.

“Ace...” balbettò, ma l'altro gli tirò un pugno in testa.

“Tu non sei un fastidio né un peso, chiaro? Ficcati bene in testa che se io e Sabo ti vogliamo con noi un motivo c'è! E non importa se sorridi, va bene così. Tiri un po' su il morale alle persone. Quindi non dire scemenze e andiamo a farci un giro.” disse Ace, sfoderando poi un meraviglioso sorriso.

Rufy lo fissò per un istante, estasiato, poi lo imitò con allegria. “Ma certo!”

E mentre correvano, Rufy pensò che d'accordo, Ace era davvero complicato. Con tutti quegli alti e bassi, quei cambiamenti d'umore repentini e quell'espressione arcigna, era un miracolo capirci qualcosa di quello che pensava davvero.

Però era un ottima persona, un amico affidabile e simpatico: insomma, un ragazzo così era davvero raro!

Sorrise, Rufy. Sorrise di gioia, di felicità.

Era felice, perché sapeva di aver appena trovato qualcosa che valeva più di mille tesori messi insieme.

Aveva trovato un sorriso complicato, ma che alla fine era riuscito a far venire fuori.










Angolo dell'autrice:

Salve a tutti! ^^
Come andiamo? La shot di oggi è stata abbastanza complicata da tirare fuori... E vi giuro che il gioco di parole non era premeditato >.< Anche perché era abbastanza scarso.
Shot complicata, e si intitola complicated...
Sì, avevano capito di già. Bene.
Insomma, guardando gli episodi in cui appare Ace da bambino all'inizio lui... Non sorride mai! >.<
Cioè, ma è scientificamente possibile? O.O
Io son odella filosofia che un sorriso è una delle cose più importanti del mondo. Quante altre cose arricchiscono chi lo riceve senza impoverire chi lo dona? Eh?
Esatto ^^
E, bé, Rufy l'aveva capito da un pezzo, penso. Quindi, chi meglio di lui poteva insegnare ad Ace a sorridere un po' più spesso?
Inoltre Rufy è anche abbastanza perspicace (pfffff) no, dai, su, facciamo finta che. Insomma, parliamo di Ace! Non può non essersi accorto che qualcosa no nandava, con lui.
Da qui questa shot ^^
Insomma, ditemi cosa ne pensate!
E grazie di cuore a tutti quelli che sono passati a recensire, leggere e tutto il resto! <3
A presto, un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 4
*** The best damned thing ***


THE BEST DAMNED THING


 

Tre bambini allegri sorridenti erano seduti a gambe incrociate sul ramo di un albero.

Insomma, le gambe di Rufy erano attorcigliate tre volte attorno al ramo per impedirgli di cadere, e questo toglieva un po' di dignità al gruppetto, ma non ci facevano caso.

Erano troppo eccitati.

“Un milione di Berry! Ragazzi, siamo arrivati ad un milione di Berry!” gridò Sabo, eccitato.

“Zitto, stupido! Vuoi farti sentire?” lo richiamò Ace, scoccandogli un'occhiataccia.

“Ma Sabo ha ragione, è fantastico!” rise Rufy, sporgendosi all'indietro e facendosi dondolare a testa in giù.

“Torna indietro.” lo sgridò Ace, tirandolo per un braccio. “Non scherzare, ok? È una cosa seria. E la parte migliore...” attaccò, gli occhi che luccicavano.

“La parte dannatamente migliore.” lo corresse candidamente Rufy, appena tornato tra loro.

Ace e Sabo voltarono lentamente la testa verso il minore.

“... P-prego?” balbettò Ace, confuso.

“M-ma Rufy... Non si dice!” fece Sabo, scuotendo freneticamente la testa.

“Dadan lo dice, però. L'ha detto ieri. Ha detto: “E la parte dannatamente migliore è che così potremo comprarci un nuovo dannatissimo secchio per l'acqua!” E ho pensato, cioè, non suona bene?” chiese poi, candidamente.

Ace si sbatté una mano in faccia. Sabo invece cercò di spiegargli che non erano cose da dire, non a sette anni.

“E perché a sette anni non si può mentre a centocinquanta sì?” chiese innocentemente Rufy.

“A parte che sono abbastanza sicuro che Dadan non abbia centocinquant'anni... Oh, tu sei ancora piccolo, non puoi capire.” disse Ace con fermezza.

“Sono dannatamente piccolo, già...” borbottò Rufy, per poi mettersi a ridere.

“Sono serio! Smettila!” gridò Ace, scagliandosi addosso al minore.

“Sei dannatamente serio?” chiese Rufy, schivandolo e rimbalzando su e giù dal ramo. In casi come quello, un corpo fatto di gomma era estremamente utile.

“RUFY!” esclamò Ace, prendendolo per un orecchio.

“Ahi! Mi fai male!” piagnucolò quello, agitandosi inutilmente.

“Ti fa dannatamente male, eh?” ringhiò Ace, continuando a torturare l'orecchio di Rufy senza mostrare segni di pietà. “Credi che io sia un dannato ragazzino?”

Strano come, nei momenti meno adatti e prevedibili, quell'angoscia lo prendesse impreparato e impotente.

Strano come, per quanti sforzi facesse, quell'oppressione alla bocca dello stomaco non lo abbandonasse mai del tutto.

Strano come, quando meno se l'aspettava, quelle parole rimbombassero nella sua mente.

Figlio di un demone.

Dannato.

Lui era un dannato ragazzino figlio di un demone, quella era la verità, quello dicevano tutti!

Non meritava di nascere.

Ed era inutile continuare a fingere il contrario, se poi passava la vita tormentato da questi ricordi talmente dolorosi...

“No, tu... tu non mi sembri proprio... un dannato ragazzino. Decisamente... decisamente no” ansimò Rufy, rosso in volto.

Ace fu tanto sorpreso che mollò la presa, e l'orecchio di Rufy tornò al suo posto.

“Ah... no?” chiese, esitante.

“Ma scusa, almeno sai cosa vuol dire dannato?” sbuffò Sabo, desideroso di cambiare argomento.

“Non ne ho idea.” ammise tranquillamente Rufy, sfoderando poi un incredibile sorriso. “Ma non ti s'addice proprio, Ace!”











Angolo autrice se posso farmi ancora chiamare autrice dopo questo

Salve!
Ora ditemi un po' se è normale. Chiunque abbia ascoltato The best Damned Thing sa che questo non può essere normale, non con una canzone del genere.
Ma io non l'ho ascoltata, quindi shhhh, non ditemi niente, e facciamo finta che fosse fluffosa ^^
Perché appena ho letto questo titolo mi sono detta no, Rufy queste cose non le dice >.<
Ma poi ho pensato che in fondo è un bambino. E i bambini, loro ripetono tutto... E da lì il pensiero triste di Ace era d'obbligo. Perché tutto gli ricorda quei brutti momenti. Anche quando non c'entrano niente con quello che succede al momento, ogni tanto gli prende questa tristezza...
E chi meglio di Rufy può sollevarlo? ^^
Quindi ecco a voi!
Ci sentiamo martedì prossimo!
Un bacione, vostra
Emma ^^

 

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Capitolo 5
*** Remember when ***


REMEMBER WHEN


Ace, tu mi vuoi bene?”
“Non saltare fuori con questi discorsi sdolcinati, Rufy!”
“Ma dai, rispondi!”
“Bé, sei un rompiscatole...”
“Ace...”
“Un piagnone...”
“Ace!”
“Certo che ti voglio bene, stupido.”

 

 

Ricordi, Rufy?

Ricordi quando io, Ace, tuo fratello, ti ho incontrato per la prima volta?

Ricordi quando giocavamo insieme?

Ricordi quando correvamo verso il tramonto, liberi, felici?

Ricordi quando ci spruzzavamo con l'acqua del ruscello, ricordi quando sbuffavo, ricordi quando ridevo?

Ricordi ancora quando ti ho detto che ti volevo bene?

O ricordi solo il sapore del sangue, la consistenza delle lacrime, l'odore della cenere?

Non puoi aver cancellato tutto, Rufy.

 

 

Ace, mi prometti una cosa?”
“E adesso che vuoi?”
“Mi prometti che anche quando partirai non ti scorderai di me?”
“Rufy...”
“Prometti!”
“Alle tre del mattino?”
“PROMETTI!”

Solo se prometti anche tu.”
“Andata! Allora non mi dimenticherai mai!”
“Vedi di non dimenticarti neanche tu.”

 

 

Non ho dimenticato niente, è questo il punto.

Non ho dimenticato i sorrisi e nemmeno le lacrime.

Non ho dimenticato le gioie e nemmeno le paure.

Non ho dimenticato la determinazione e la forza che contraddistinguevano te, Ace, mio fratello.

Per questo fa così male.

Per questo vorrei essere morto io.

Per questo la notte non riesco a dormire.

Perché mi manchi, fratellone, e perché non posso dimenticare.

Non posso, ho promesso.

 

 

Ace, cosa succede quando muori?”
“Chiedilo a qualcuno di morto.”
“Ace, lo sto chiedendo a te!”
“Ma io che ne so? Ti sembro morto, scusa?”
“Bé, pensavo, anche quando morirò io, non mi dimenticherò di te!”
“...”
“Ace?”
“Vedi solo di non morire, testa vuota. Non so cosa c'è laggiù, ma voglio scoprirlo prima di te.”

...”
E piantala di sorridere, è un discorso serio!”
“Ma Ace, sorridere è bello!”

 

 

Sei uno stupido, Rufy.

Te l'avevo detto, no? Te l'avevo detto che sarei arrivato prima io.

E anche ora non mi sono dimenticato di te, intesi? Non potrei mai, ho promesso.

Sono qui.

Ricordati, non lasciare che il dolore cancelli tutto il bene che c'è stato. Ricordi quanto eravamo felici?

Oh, hai un compito molto importante, adesso: vivi anche per me. Vivi per tutta la voglia di vivere che avevamo, che non può essersi spenta!

Vivi e dai il meglio di te, fratellino.

Corona il tuo sogno, non avere rimpianti.

Ma soprattutto sorridi, perché è il tuo sorriso che mi ha salvato.

Da me stesso, senza il tuo sorriso sarei perso.

 

 

Ace, mi fa male!”
“Sei stupido! Perché hai attaccato briga con quei ragazzi? Sono grandi il doppio di te!”

Lo so, però...”
“Se io fossi arrivato un minuto più tardi ti avrebbero conciato davvero male!”

Ma hanno cominciato loro!”
“Ah, sì? E che hanno fatto?”
“Dicevano che sulla montagna viveva un ragazzino strano, che faceva paura.”
“...”
“Dicevano che il ragazzino era un demonio. Che era pericoloso. E tante altre cose brutte.”

...”
Erano degli stupidi.”
E poi ti hanno picchiato?”
“No. Io ho picchiato loro.”

Sei decisamente l'esserino più stupido che io conosca.”
Ti voglio bene anch'io.”
Grazie, fratellino.”

 

 

Tu eri quello grande, quello forte, e non sopportavo chi non la pensava così.

Anche adesso, c'è gente che ti insulta. Che è contenta della tua morte.

Stupidi, stupidi che non ti hanno mai conosciuto davvero.

Ma sai cosa? Sono molti di più gli altri. Quelli a cui manchi.

Eri un grande, Ace, e alla fine mi salvavi sempre tu.

Quando attaccavo briga con i ragazzi più grandi c'eri sempre tu a difendermi, e anche quando il nonno mi picchiava tu eri lì, braccia aperte per proteggermi.

Prendi me, sembravi dire.

Scusa.

Scusa se io invece non ti ho salvato.

 

 

Ace, tu sarai sempre con me?”
“Rufy, perché i discorsi sdolcinati solo nel mezzo della notte?”
“...”
“Oh, che fatica che ci vuole, con te! Dimmi, stupido, che cavolo vuoi?”
“... Ho fatto un brutto sogno.”
“E che succedeva?”
“... Tu morivi.”

E non era un bel sogno, allora?”
Non scherzare! Ace, sarai sempre con me sì o no?”
“Bé, sei troppo debole e stupido per cavartela da solo.”
“Quindi è un sì?”
“Sì, testa di rapa. Qualsiasi cosa accada.”

 

Qualsiasi cosa accada.

Te lo ricordi, questo?

Ricordatelo, stupido. Non è più un brutto sogno, è successo davvero. Sono morto.

Ora però reagisci.

Io non ti lascerò mai, intesi? Ho promesso! A Sabo e a te, quella notte.

Quindi guardati intorno, invece di tormentarti per delle stupidate.

Guarda l'acqua del fiume. Non siamo noi, quelli, che giocano con gli spruzzi?

Guarda la foresta. Li vedi, due bambini che corrono?

Ascolta il vento. Le senti, le nostre risate?

Ecco, io sono lì.

Guarderai le stelle e sarò lì, guarderai la pioggia e sarò lì.

Quando sarai disperato sarò lì, quando scoppierai di gioia sarò lì.

Condividerò con te ogni successo e ogni fallimento, ogni paura e ogni sorpresa.

Sarò parte di te, in ogni domanda e in ogni certezza.

Chiudi gli occhi, sentirai la mia mano sui tuoi capelli. E non me ne andrò mai più, perché ho promesso, perché ho promesso a te.

 

 

Ace...”
“Vattene.”
“Ace, guarda che Sabo manca anche a me!”
“Come se nessuno l'avesse intuito...”
“Ho pianto un po', però guardami! Sorrido lo stesso, vedi?”
“Non dovresti sorridere.”
“Io sorrido per te, quindi anche tu devi sorridere per me! Ti p-prego! A-Ace!”
“... Non stai più sorridendo...”
“Piango perché tu non sorridi, ecco! Se sorridessi un po' io starei meglio!”

...”
S-sorridi solo un pochino! T-ti prego, Ace!”
“...”

A-Ace... Io da solo n-non ce la f-faccio. A-aiutami! Aiutami tu!”
“E va bene. Non piangere più. Guarda, sorrido anch'io. Visto?”

Ace... Sorridiamo tutti e due?”
“Sempre, finché vorrai. Se sorridi tu sorrido anch'io, ok?”
“Allora sorrido! Ahahah, Ace, è bello che sorridi anche tu!”
"Ahahahah! E come faccio a non sorridere? Sei così buffo!”
“È un complimento?”
“Sì, ovvio.”
“Grazie, Ace, grazie! Ti voglio tanto, tanto, tanto bene!”

... Anch'io, Rufy. Sempre. Ricordatelo.”

 

 

Come....

Come ho fatto a dimenticarmene?

Scusa, Ace. Sono stato uno stupido, lo so.

Sorridere.

Avevo dimenticato la cosa... la cosa più importante, accidenti a me!

Ecco perché sbagliavo. Avevo dimenticato di sorridere.

Ma adesso, adesso ricordo! Adesso ricordo quando me l'hai detto, Ace!

A te piaceva vedermi sorridere, anche se magari non lo dicevi e facevi resistenza e mi sgridavi.

Sei morto per me, perché io restassi qui. E resterò qui, e sorriderò sempre di più, ecco!

Non ci sono più lacrime, vedi? Mi vedi? Neanche una.

Sto sorridendo, esattamente come piaceva a te.

Perché ho ricordato, perché lo so: se sorrido io, sorridi anche tu.

E lo so, perché ti vedo.

 

Non dimenticarlo.”
Mai.”


 




Angolo dell'autrice:
Oggi è stata una giornata faticosa.
Una mia amica mi ha convinto (costretto) ad andare a scuola in bici. Puzzavo come un cane, il didietro non me lo sentivo più e - rullo di tamburi - peso esattamente come prima. Cioè! A che è servito, se non ad arrivare a scuola al pelo? E il tram fa la stessa identica strada! ç.ç
E pazienza. Questo non c'entra un bel niente, era solo per... non so, riavviare l'atmosfera (?). Passando alla storia, già...
Ok, non venitemi a chiedere perché a me vengono sempre queste idee malsane.
Oh, sì, dite quello che volete, ma sono idee malsane.
Piangevo io mentre la scrivevo...! Nah, non sono normale. Mai osato dire il contrario.
Solo, pensando a "ricorda quando" mi è venuta in mente quest'idea malsana, e chi sono io per oppormi?
Quindi boh, non so proprio che dire. Spero che vi sia piaciuta, almeno un pochino.
Ringrazio con tutto cuore quelli che recensiscono/seguono/ricordano/preferiscono!
Un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 6
*** Naked ***


NAKED


 

“Rufy, torna immediatamente qui!”

“No, Ace!”

“Ho detto di venire qui, ora!”

“Prova a prendermi!”

“Oh, ma lo sai che io sono più veloce!”

“Che la forza della disperazione sia con me!”

“La forza della disperazione non ti salverà! Vieni subito qui!”

“Ho detto di no!”

“Su, non è la fine del mondo, andiamo!”

“Sarà, ma non puoi costringermi!”

“Andiamo, ormai era praticamente fatta! Non puoi mollare adesso!”

“Oh, vedrai se non posso!”

“Rufy, al punto in cui sei arrenderti è da scemi!”

“Fatti gli affari tuoi! Io non lo faccio, punto!”

“Allora almeno torna qui che ti do questi...”

“È una trappola, non ci casco! Vengo lì e poi tu... No, no, non mi imbrogli.”

“Rufy, sto perdendo la pazienza...”

“Non vengo, punto e stop!”

Ora basta! Se non vuoi fare il bagno, almeno rimettiti i vestiti, idiota!”

 


Angolo dell'autrice:
Ehm... Salve... Ok, no, non guardatemi così. Non fatelo.
Già oggi temo di aver superato la soglia del "sono una ragazza gentile e attenta"  - fare l'animatrice all'Oratorio estivo è favoloso, dico sul serio. Milioni di bambini che ti adorano e ti senti realizzata e tutto il resto. Però, pietà di me, sto fuori dalle otto alle sei e ho sonno, quindi se dico cose senza senso non prendetevela con me.
Dopo questo adorabile scorcio della mia vita quotidiana (finirete per non poterne più fare a meno ù.ù) passiamo alla storia.
Uhm, con un titolo che significa Nudo c'era ben poco da fare, suppongo. Ho immaginato che Rufy detestasse fare il bagno e ho ricreato la stessa identica situazione della seconda storia, Hot. C'è Rufy che fa i capricci perché non vuole fare il bagno anche se Ace era addirittura riuscito a farlo spogliare. Poi Rufy ci ripensa e scappa - senza un vestito addosso, ovviamente.
Tutto qua, per strapparvi una risata dopo la cosa di settimana scorsa :)
Ora vogliate perdonarmi ma, all'alba delle ventuno e tredici io vado allegramente a dormire - credo di avere una tresca col mio cuscino, perché non posso fare a meno di lui. Ora.
Grazie a tutti voi per le meravigliose recensioni che mi lasciate ogni volta, siete stupendi!
Un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 7
*** Thank you for the venom ***


THANK YOU FOR THE VENOM
- grazie per il veleno -




“Siete proprio degli sconsiderati! Fare un bagno con questa neve? Poi ci credo che vi ammalate!”

Una donna dall'aria arcigna scrutò tre bambini infreddoliti e bagnati dalla testa ai piedi.

“Ma Dadan! Rufy è caduto nel fiume ghiacciato! Dovevamo ripescarlo!” protestò Sabo, mentre il più giovane sorrideva come se fosse qualcosa di cui vantarsi. Ace gli diede un pugno.

“E adesso siete tutti e tre malati! Mi toccherà curarvi e farvi da serva per tutto l'inverno! E... un attimo, come ha fatto a cadere nel fiume ghiacciato?” si interruppe Dadan, confusa.

“Chiedilo a lui!” sbottò Ace, con tutta la dignità che poteva avere un ragazzino bagnato fradicio, pallido, tremante e che aveva appena finito di starnutire come un ossesso.

“Ho fatto un buco per provare a pescare, ma sono scivolato dentro.” rispose candidamente l'altro, soffiandosi il naso nella gonna di Dadan.

“Ehi, levati di mezzo, marmocchio! Ma pensa te... Almeno avete pescato qualcosa?”

“Una lontra enorme, Dadan!” sorrise Sabo, trascinando l'enorme animale stecchito. “Rufy la teneva per la coda.” aggiunse, subito prima di starnutire.

“Oh, e va bene! Ma adesso venite dentro e cambiatevi, prima che moriate assiderati!” sbuffò Dadan, facendoli entrare.

“Sei una testa di rapa, Rufy! È sempre colpa tua se ci mettiamo nei pasticci!” sibilò Ace, assestandogli un calcio.

“Su, non essere così duro, Ace! Ci ha procurato la cena, in fin dei conti...” cercò di mediare Sabo, che si era accorto delle lacrime a malapena trattenute del minore.

“A tavola, si mangia!” gridò Dadan dal piano di sotto.

“Cena!” gridò Rufy felice, scapicollandosi giù dalle scale.

“Ma scusa, non stava per piangere?” borbottò Ace, tirando su col naso.

“Sai com'è fatto Rufy...” commentò Sabo alzando le spalle, rassegnato.

I due lo raggiunsero al piano terra.

“Per voi che siete malati ho preparato la minestra, banda di ingrati presuntuosi che non siete altro...” sbuffò Dadan, piazzandogli davanti tre piatti ricolmi di un verde e denso liquidi scuro.

“Ma Dadan! Che schifo!” sbottò Ace, storcendo il naso.

“Porta rispetto, e pensare che ho pure sprecato parte del mio tempo prezioso per prepararvela!” lo sgridò Dadan, sbattendogli il mestolo in testa. “E ringrazia, ci siamo capiti?”

“Va bene, va bene, grazie...” borbottò Ace. “... per il veleno, arpia!” sussurrò poi, crudele.

“Prego?” lo aggredì Dadan, voltandosi di scatto.

“Dici a me? Ma se non ho detto niente!” si difese Ace, fingendosi innocente.

“Dadan, però questa cosa non ispira neanche me...” tentò Sabo, fissando con circospezione la brodaglia fumante.

“Se non finite tutta la minestra non avrete diritto alla carne!” affermò però Dadan, incurante degli sguardi di supplica dei due ragazzini.

“Ma è buonissima, non dite sciocchezze!” esclamò Rufy allegro, ingurgitando tutta la sua minestra in un colpo solo.

“Ecco! Bravo, Rufy! Lui sì che mi dà soddisfazione!” esclamò Dadan, sorridente. “Tieni la tua carne, te la sei meritata!” disse, mettendo nel piatto ormai vuoto di Rufy un'abbondante porzione di carne.

“Evviva!” gioì quello, felice.

“E voi due vedete di mangiare tutto!” sbottò Dadan, prima di voltarsi.

Rufy rimase un attimo fermo a guardare i suoi amici, dubbioso. “A voi non... non piace?” chiese, confuso.

“Nemmeno un po'.” affermarono convinti i due.

Rufy abbassò la voce, circospetto. “Vi andrebbe se...” sussurrò, quasi impercettibilmente “... se ve la mangiassi io?”

“Certam-” cominciò Sabo, allegro, ma Ace lo fermò.

“Non se ne parla neanche.” sbottò, scuro in volto. “Sarebbe come... arrendersi, dire che questa roba è più forte di noi.”

“Sarà... io voglio la carne. Dai, Rufy, aiutami.” disse Sabo, alzando le spalle.

“Ma certo, con piacere!” rise il più piccolo, e in men che non si dica la minestra di Sabo fu solo un ricordo.

“Dadan, ho finito anch'io!” gridò il bambino, e ricevette la sua dose di carne insieme a qualcosa che poteva vagamente somigliare ad un complimento, anche se era difficile a dirsi.

“Dai, Ace... Non fare il testardo e dalla a Rufy...” tentò Sabo masticando la sua razione di carne.

“Sul serio, a me fa piacere aiutarti!” sorrise il più giovane, incoraggiante.

E Ace sapeva che era vero, che per Rufy aiutarli era qualcosa di estremamente bello e nuovo.

Ma, che diamine, era lui il maggiore! Non si sarebbe certo fatto aiutare dal suo fratellino più piccolo!

“Ho detto di no! Me la mangio da solo!” si intestardì. “E poi tu hai solo fame, per questo vuoi la mia razione. Fatti gli affari tuoi.” borbottò, immergendo il cucchiaio in quel liquido così grumoso e puzzolente.

Con circospezione, lo portò alla bocca e deglutì.

“Ma... Ma che schifo! Rufy, come hai fatto a mangiarlo?” strillò, disgustato. “La minestra di Dadan è il cibo peggiore che esista.” dichiarò, categorico.

“Cosa?” strillò Dadan da poco lontano, ma i ragazzi non ci fecero caso.

“Non mangerò.” affermò Ace, spingendo lontano il piatto.

“Vuoi un po' della mia carne?” propose Rufy, gentile.

Ace sgranò leggermente gli occhi – Rufy che rifiutava spontaneamente a del cibo era una cosa che non aveva mai visto – ma poi scosse la testa con decisione.

Era lui il maggiore!

E lui non prendeva il cibo dei suoi fratelli.

“No, non la voglio. Oggi non mangio.” disse seccamente.

“Bé, allora non mangio neanch'io!” affermò Rufy con decisione, dimenticandosi di aver già mangiato due piatti di minestra.

“Siete pazzi.” commentò placidamente Sabo, finendo con piacere la sua cena. “Però mi dispiace per voi... Questa carne è talmente buona, morbida, delicata... Si scioglie in bocca che è una meraviglia, e calda è ancora più squisita... Vorrà dire che mangerò anche le vostre parti, miei cari.” ghignò Sabo, godendosi le espressioni fameliche dei suoi fratelli.

“Ace... E se la smettessimo con lo sciopero della fame?” propose Rufy, mordendosi le labbra.

“Ho detto che quel veleno lì io non lo mangio. Se vuoi, tu sei libero di mangiare.” disse Ace con sufficienza.

“No, no. Non prendo niente neanch'io.” ripeté Rufy testardo, togliendosi con la manica un filo di bava che era colato prepotente dalla sua bocca.

“Non resisterai un minuto.” lo riprese Ace, acido. “Quindi va' a finire quella carne adesso.”

“Ho detto che faccio quello che fai tu! Non ho fame.” mentì Rufy, distogliendo lo sguardo dal volto di Ace.

“Mentire non è la tua specialità, vero?” sospirò quello, mettendosi una mano sulla fronte. “Dai, scemo. Forza, che andiamo a mangiare.”

L'espressione sul volto di Rufy era paragonabile a quella di un naufrago a cui dicono di aver visto una nave all'orizzonte.

“Va bene!” esclamò, ridendo.

A noi due, schifezza. Pensò Ace, affondando di nuovo il cucchiaio nella minestra.

Se non altro, almeno adesso ce n'era un cucchiaio in me- “Ehi!” esclamò, arrabbiato.

“Che c'è?” chiese Rufy con la bocca piena.

“Io ne ho già mangiato un cucchiaio, e invece è esattamente uguale a prima! Com'è successo?” sbottò, arrabbiato.

Rufy avvicinò il naso alla minestra. “Ma no, sembra che sia un po' di meno, se la guardi da qui...” commentò, ma Ace lo tirò su con una sberla.

“E non osare mangiarne neanche un po'! Ti ho già detto che è mia!” lo sgridò.

“Volevo che sembrasse di meno...” cercò di protestare Rufy, massaggiandosi il livido con aria offesa.

“Guarda che è di meno. Solo che non te ne accorgi.” spiegò Sabo, pazientemente.

Rufy spalancò gli occhi, colpito. “Ma allora... Allora tante piccole cose che non si vedono alla fine fanno risultati enormi?” chiese, eccitato.

“Se vuoi vederla così, re delle metafore...” commentò Ace, alzando gli occhi al cielo.

“Che bello!” esclamò Rufy, ridendo. “Allora anch'io che sono piccolo cambierò il mondo, vedrete!” disse, convinto.

Ace alzò gli occhi al cielo.

“All'inizio non se ne accorgerà nessuno, ma passo dopo passo, cucchiaiata dopo cucchiaiata, io diventerò sempre più forte, e poi vedrete come-”

Ma non poté continuare, perché mentre faceva questi suoi discorsi profetici era andato a sbattere contro la ciotola della minestra di Ace, rovesciandola completamente.

“... Ops?” tentò Rufy, colpevole.

“Come no, Rufy. Tu non cambierai il mondo un po' alla volta, sarebbe bello! Tu lo travolgerai e lo capovolgerai in un secondo, dammi retta!” ridacchiò Ace, incapace di stare serio.

“Sì, sì, scherzate!” si arrabbiò Rufy, incrociando le braccia. “Quando avrò davvero cambiato il mondo verrete a chiedermi perdono in ginocchio!”

Per tutta risposta i suoi fratelli risero così forte che anche lui non poté fare a meno di unirsi a loro.

E pensò che non importava poi tanto cambiare il mondo, alla fin fine. Non se del suo mondo avessero sempre fatto parte quei due bambini che tanto amava.

“Dadan, ho finito anch'io! Dammi quella carne, muoviti!”





Angolo autrice:
Ora spiegatemi perché pubblico sempre a quest'ora. No, perché mi vergogno di fare così tardi, ma che ci posso fare?
E pensare che domani devo pure fare la gita del Mercoledì (settimana scorsa con l'Oratorio siamo andati ad una specie di Monastero di Bose, da qualche parte in Piemonte, ed è stato carino) Bè, stavolta si va alla Torre Del Sole, vicino a Bergamo (e speriamo di non aver detto la boiata, perché io e la geografia ci odiamo cordialmente). Sarebbe anche bello, se non fosse che si parte alle otto meno cinque e bisogna essere là alle otto meno un quarto. No, cioè. VACANZE, vi dice niente? Otto meno un quarto... E io abito anche vicino! Pensate che una mia amica ci mette mezz'ora ad arrivare in oratorio... ma povera lei. Le dedicherei questa storia, ma tanto non la leggerà mai, quindi amen.
Detto ciò, passando a noi... All'inizio, pensando a "grazie per il veleno" non mi veniva in mente niente. Nada. Nisba. Zero. Poi ho pensato a Rufy che fa i capricci (ma dai!), la stavo per iniziare con Rufy che non vuole la minestra quando sono tornata in me. No, cioè, Rufy. Che. Non. Vuole. Del. Cibo. Ma dove avevo la testa?
Ma siccome i capricci mi servono (qualcuno mi aiuti) ecco quello che è venuto fuori. Spero che vi sia piaciuta, non è un granché ma... Per favore, lasciatemi un commento! :3
Un bacione, vostra
Emma

Angolo pubblicità! E ok, che vergogna fare pubblicità. Però vi ricordate quando ho scritto Hot? Tipo secoli fa? Vi avevo detto che avrei scritto una shot sull'incendio del Grey terminal, no? Bé, l'ho fatto :3 Ho anche aggiunto la traduzione in italiano dopo la splendida recensione di cola23. La trovate qui: http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=1913984
Grazie ancora!
Emma ^^

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Capitolo 8
*** I'm not ok - I promise ***


I'M NOT OK - I PROMISE

Non sto bene - Lo giuro

 



Rufy...

Perdonami...

Come ho potuto lasciare che combattessi da solo contro quell'orso?

Eppure lo sapevo, sapevo che non eri in grado di lottare contro quel bestione, non avevi nessuna possibilità e ti ho comunque lasciato lì.

Da solo.

E mi odio, e vorrei morire.

Sono nato per questo? Per... uccidere il mio fratellino?

Facevo meglio a non nascere, decisamente.

 

* * *

 

Corro dietro a Ace, come al solito.

Ma stavolta lo batto, stavolta vado più veloce!

C'è il sole, è così bello... Sono felicissimo. C'è Ace, non potrei essere più felice, ecco.

“Ace, aspettami!” grido con tutto il fiato che ho in gola.

Lo so che non risponderà e non si fermerà, lo so benissimo. Lo so che sta sghignazzando e sta facendo appello a tutte le sue energie per andare ancora più veloce, apposta per staccarmi ancora di più.

Lo so, ma che posso farci? Così è più divertente!

Improvvisamente volto l'angolo e...

No, non posso credere ai miei occhi.

“Sabo!” esclamo, quasi impazzito dalla felicità.

È qui, è in mezzo al sentiero! Allora non è morto, in qualche modo se l'è cavata, e sarà tutto come prima!

Ace lo ha sorpassato senza farsi troppi problemi, forse non l'ha visto... Ma io l'ho visto!

C'è Sabo, c'è Sabo... Gli salto addosso, ridendo come un matto.

“Sei tornato!”

 

* * *

 

Rufy, svegliati...

Non posso vederti così, in bilico tra la vita e la morte, sofferente.

Devi sorridere, ricordi? Tu sorridevi sempre, qualunque cosa succedesse.

Anche se ti sgridavo, avevi quell'espressione così irritante addosso...

Hai la febbre, tremi. Stai sognando, fratellino? Dimmi che stai bene, non posso sopportare l'idea di perderti!

Le tue labbra tremano. E se hai sete? Come faccio a capirlo? Come faccio a non odiarmi, sapendo che è colpa mia?

Non merito il tuo affetto, non merito i tuoi sorrisi, non merito te.

Se adesso morissi, non sarebbe molto meglio? Rispondimi, Rufy!”

 

* * *

 

È bellissimo, c'è Sabo!

“Sorpresa! Come stai, Rufy? Ti sono mancato?” chiede lui, ammiccando.

“Tantissimo!” rispondo, ridendo. “Ma che ci fai qui? Come hai fatto a sopravvivere?”

“Rufy! Che succede?”

Oh, Ace.

È tornato indietro, ma è così serio...

“Ace, Sabo è tornato, è qui!” dico, al colmo della felicità.

Sabo e Ace. Ace e Sabo. E poi Rufy. Siamo di nuovo tutti riuniti qui, che bello!

Ace lo squadra molto attentamente, scuro in volto.

Cosa c'è che non va? Perché non gli sorride? È Sabo! Anche lui ha pianto quando lo credeva morto...

“Ace, stai bene?” domando, cauto. “Dai! Dobbiamo festeggiare!” dico, sforzandomi di sembrare allegro. “Ace, vieni?”

Perché non vieni? Perché non parli? Perché non mi guardi nemmeno?

“Sei venuto a prenderlo, vero?” dice piano Ace, squadrando Sabo.

Quello abbassa lo sguardo, sbuffando. “Non avrei voluto, ma è così.” risponde, e Ace si fa ancora più scuro.

“Ace, stai bene?” chiedo piano.

Non sto bene! Giuro che non sto bene!” grida Ace, rosso in volto. “Non hai ancora capito, vero?”

E improvvisamente, succede una cosa strana.

Prima c'era il sole, ma adesso si è messo a piovere. Un tuono, la pioggia cade a scrosci. Dura solo un istante, come una visione, poi la giornata torna azzurra come prima.

Strizzo gli occhi, sorpreso.

“C-che cosa? Che cosa non ho capito?” balbetto, cercando di prendergli la mano.

“E me lo chiedi?” domanda Ace, furioso, scostandosi da me e stringendo i pugni in direzione di Sabo.

“Rufy... Dai, vieni.” dice quello, un debole tentativo di sorridere. Ma ho uno strano presentimento.

“D-dove andiamo?” balbetto, arretrando.

Ancora una volta tutto sparisce.

Piove. E poi sento un ruggito fortissimo: ci dev'essere un animale feroce davanti a me, non riesco a vederlo bene. Cos'è questa sensazione nella pancia? Perché ho... tutta questa paura?

La visione scompare in un attimo, così come è arrivata.

Ma Ace aveva capito, prima, vero? Diceva di non stare bene. Ecco perché.

“A-Ace...”

Ho paura, una paura pazza. Che cosa sta succedendo? E Ace lo sapeva? Sapeva della belva feroce e del pericolo?

Lui solleva lentamente lo sguardo verso di me, ed è uno sguardo tormentato, freddo: sembra che si stia consumando dal dolore, come se avesse commesso qualcosa di orribile.

Ma perché non mi risponde?

“Rufy...” e la sua voce si fa più distante. “Non aver paura, ok?”

Succede di nuovo, ancora più forte.

Piove. Piove a scrosci, l'umidità entra nelle vene, tutto è freddo e cupo. E ancora quel ruggito, fortissimo. Paura, tanta. Ace... in alto, che sta fermo e non fa niente. Aiutami, aiutami! Ace, per favore, aiutami... Per favore... No, non importa. Ce la devo fare da solo, devo fargli vedere che lo so fare. Provo ad attaccarlo, ma non sono abbastanza forte.

E poi... Fa male. Tanto, tanto male. Ed è buio.

Torno bruscamente alla realtà, al sole, al caldo, e mi stropiccio gli occhi, confuso.

“Sabo, non permetterò che Rufy venga con te!” grida Ace, mettendosi in mezzo tra me e lui.

E comincio a capire.

Perché Sabo è morto.

E l'orso del Monte Corvo mi ha fatto tanto, tanto male.

“Ace non posso farci niente, mi hanno detto...” comincia Sabo, ma Ace si mette a gridare ancora più forte.

“Prendi me, allora! Lui non può venire, vengo io! È molto meglio così, capisci?”

Qualcosa si muove in me. Se Ace e Sabo se ne andassero via insieme, io...

“No! Ace, no!” grido, aggrappandomi a lui.

“Lasciami, Rufy! È colpa mia, non l'hai ancora capito?” risponde lui, scagliandomi indietro. “È il minimo che posso fare, a questo punto!” poi la sua voce cambia tono, si fa più forte, più cattiva, più reale. Sembra provenire da tutte le direzioni. “Se adesso morissi, non sarebbe molto meglio? Rispondimi, Rufy!”

Stupido Ace.

Vuoi davvero che risponda?

 

* * *

“No. No.”

Stai parlando?

Oddio, stai parlando? Rufy! Stai bene?

“No. No.”

Non ti agitare, non farlo, dimmi solo che va tutto bene...

“NO!” spalanchi gli occhi.

Sto zitto per un istante.

Rufy... Oh, Rufy...

Ho tanta voglia di piangere, Rufy!

Allunghi una mano, stanca, e mi sfiori il braccio. “No...” ripeti, con una determinazione tanto debole quanto dolce. “Non sarebbe affatto meglio, proprio no. Sabo può tornare indietro da solo, lui ormai è là. Io e te restiamo qui. E...” la sua voce diventa un sussurro a malapena udibile. “... e grazie per non aver permesso che Sabo mi portasse con sé. Gli voglio tanto bene, però è bello stare qua.”

Capisco metà delle cose che dice.

Sabo? Ha sognato Sabo? Che voleva... portarlo via? Ma Sabo è morto!

Certo, e per colpa mia Rufy c'è andato molto vicino. Sono così triste che non posso farci niente, e comincio a piangere.

Piango come non avevo mai pianto prima.

“Rufy... Perdonami...È stata colpa mia, e hai rischiato... Sabo... Se anche tu fossi... E io come facevo, eh?”

Mi fissi curioso, da quel tuo visetto tutto pieno di bende.

“Ace, non piangere! Non devi preoccuparti, perché tra poco io diventerò molto più forte. Diventerò fortissimo e batterò quell'orso, te lo prometto! Perciò non preoccuparti e non piangere, non serve!” dici, sorridendo.

Oh, se penso che rischiavo di non vedere più quel sorriso!

“E tu non hai permesso che Sabo mi portasse via, quindi non devo preoccuparmi neanch'io.”

Questa prima o poi me la devi raccontare.

Accenno un sorriso, mettendomi seduto. “Quindi non ce l'hai con me?” chiedo, per assicurarmene.

Voglio sentirtelo dire ancora, ancora e ancora.

“Certo che no! Sono io che non ho battuto l'orso. Tu mi hai portato qui.” rispondi con ovvietà.

Ti voglio tanto bene, fratellino, così tanto che tu non lo saprai mai.

E per ammetterlo a me stesso dovevo lasciarti quasi uccidere da un orso?

E pensare che avevamo litigato perché temevo che tu preferissi Sabo a me, e ora scopro che anche in un sogno hai preferito restare al mio fianco! Come sono stato stupido...

“Nel sogno hai detto una frase strana.” dici, pensoso. “Hai chiesto se non sarebbe meglio se tu fossi morto. È stupido, vero?”

Ah. Ok, se pensi che sia stato un sogno non sarò io a distruggere questa tua idilliaca visione. “Sì, è strano.”

“Però intendevi morire al posto mio, no? Eri disposto ad andare tu con Sabo, lasciandomi qua.” aggiungi, sforzandoti di ricordare un sogno che ti scivola via dalle mani.

E questo, questo è sorprendente.

Rufy, mi hai sognato mentre offrivo la mia vita per te?

Meno male, meno male che ti sei svegliato. Vale la pena di vivere solo per aver sentito questo.

“Solo, nella realtà ricordati di non morire. Non al mio posto.” dici, serio.

… Stai scherzando, vero?

“Se fosse per salvare te, Rufy, morirei mille volte.”

Non sto più piangendo, vedi? Perché questa è una promessa.




Angolo autrice:
uh, come mi vergogno. Giàgià, sono in ritardo >.<
Ieri sono andata in vacanza da qualche parte in Piemonte, in montagna, e non c'era campo... E l'ho realizzato quando sono partita, quindi colpa mia.
Nel frattempo sono successe un sacco di cose, ma la più interessante - e quindi quella che ora potrò allegramente raccontarvi - è senza dubbio quello più triste e demoralizzante (?)
L'altro giorno ho letto una fanfiction in inglese (NON GIUDICATEMI) che mi ha uccisa dentro, quindi tanto vale che ve la racconti. va da sé che c'erano i due fratellini che tanto amiamo, solo che erano adulti e.... Rufy era un Marines, mentre Ace un pirata. Impel Down, poi Marineford. Rufy Marines, con un Ace che da piccolo non ha fatto che bulleggiarlo perché voleva diventare un Marines mentre lui voleva fare il Pirata, ma Rufy ha sempre voluto essergli amico...
Insomma, era tutto un "se non fa niente, Ace muore. Ma se fa qualcosa, sarà considerato un traditore e dovrà abbandonare per sempre la Marina, che è sempre stato il suo sogno. e... e... tristeeeeeezza :'(
Insomma, era stupenda, e non mi sono ancora ripresa. Prima o poi giuro che recupero l'idea e scrivo qualcosa di simile (chiedendo prima il permesso, ovvio).
In più lo stesso giorno sono andata alla fiera del Manga! Quello è stato stupendo, non ci sono parole.
Detto ciò, perché sennò qui no nfinisco davvero mai più, passiamo alla storia.
Come vedete non ho scritto proprio "Non sto bene, lo giuro" perché mi sembrava un po' impossibile. Giuro che non sto bene era già più utilizzabile...
L'idea del post-incidente orso mi ha sempre attirata, perché nell'Anime non viene proprio detto niente! Cioè, Ace piange, e poi... e poi una voce se è messa a gridare nella mia testa "FANFICTIOOOOOOON", perché se aspettavo loro stanno freschi.
Che altro dire? Ah, uhm, da questa ff sembra che Sabo sia definitivamente morto. Non credo sia definitivamente così, però... Facciamo finta che. La speranza è l'ultima a morire, però mi serviva a scopi di trama, ecco...
Spero davvero che vi sia piaciuta! ^^ Ditemi che ne pensate!
Un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 9
*** I dont love you ***


I DON'T LOVE YOU
- non ti amo -

 




Rufy si torceva le mani, nervoso.

Ace era lì, di fronte a lui. Non c'erano scuse, ora andava da lui e glielo diceva, chiaro e tondo. Via il dente, via il dolore. Giusto.

“Ace?”

Quasi sperava che non gli rispondesse, che per un qualche misterioso motivo non lo avesse notato...

“Che cosa vuoi, Rufy?” sbuffò invece l'altro, voltandosi a guardarlo. I suoi occhi avevano un'espressione indecifrabile.

“Ecco, è un po' che te ne volevo parlare. È una cosa seria, te lo dico subito.” lo avvertì, fissandosi i piedi.

Ace alzò gli occhi al cielo, ma si vedeva che era nervoso. Come se sapesse già quello che Rufy stava per dirgli, e lo temesse.

“Di... Di che si tratta?” chiese, esitante.

Rufy respirò profondamente, chiuse gli occhi un istante e poi li spalancò, determinato. “Ace, io... Ecco, io... Tu...” inutile, non ce la faceva!

Doveva calmarsi, assolutamente.

“Tu cosa, io cosa? Muoviti, non ho voglia di perdere la giornata!” si lamentò Ace, lanciando occhiate vagamente preoccupate intorno a sé.

Sembrava un topo in trappola, constatò amaramente Rufy. Sembrava che volesse scappare.

Oh, e a chi importava? Doveva togliersi quel peso, maledizione!

“Io... Io ti amo, Ace!” gridò Rufy con tutto il fiato che aveva, rosso in volto.

Ci fu un lungo istante di silenzio, poi...

“Mi spiace, Rufy, però... Insomma, tu sei il mio fratellino! E sei un maschio! E...” balbettò Ace, allarmato.

“C'è... Un'altra?” chiese Rufy, disperato.

Ace lo guardò come se fosse impazzito. “M-ma no, ti pare?” rispose, scuotendo freneticamente la testa.

“Allora... Un altro?” gridò Rufy, ancora più sconvolto.

Ace spalancò gli occhi, incredulo. “N-no! Ma come ti... Rufy! Senti, è solo che... Non ti amo, ecco!” borbottò alla fine, rosso come un peperone.

Il volto di Rufy si imperlò di sudore. Le sue mani presero a tremare. La bocca si aprì in una smorfia orrenda.

Alla fine non poté più trattenersi, e...

Scoppiò a ridere.

“Ahahahahah! No, Ace, dovevi vedere la tua faccia!” gridò, cadendo a terra dalle risate.

“Scemo!” lo sgridò Ace, tirandogli un pugno in testa. “Avevamo quasi finito, quasi finito!” si lamentò, disperato.

“E invece ora dovrete ricominciare tutto daccapo!” ridacchiò una voce alle loro spalle.

“Sabo, questa me la paghi col sangue.” ringhiò Ace, spaventoso.

“La prossima volta pensateci bene prima di scommettere contro il Grande Sabo! Adesso dovete ricominciare a recitare la scenetta tutta di fila senza ridere!” gongolò il biondo, sedendosi su una roccia lì davanti e godendosi la scena.

“Ahahah... Ma Sabo... È impossibile non ridere! Hai... Hai visto la faccia di Ace? Eh?” rise Rufy, ancora sdraiato a terra dalle risate.

“È tutta colpa tua se non la finiamo mai!” si lamentò Ace, scuotendo la testa. “Non fai che ridere!”

“Perché tu fai ridere.” rispose semplicemente Rufy. “Fa ridere pensare che potrei innamorarmi di te! Tu non sei mica una femmina.” disse poi, con ovvietà.

Sabo e Ace si scambiarono un'occhiata allusiva. “Tu lo sai, no, Rufy... Esistono persone che, sai... Persone maschi a cui piacciono i maschi, ecco...” cercò di spiegare Ace, in difficoltà.

Rufy inclinò leggermente la testa. “Anche a me piacciono i maschi. Voi mi piacete.” obiettò, confuso.

“Sì, ma Ace non intendeva in quel senso, è che... Insomma, come dire...” balbettò Sabo, imbarazzatissimo.

“Ehi! Che ne dite di andare a vedere quella tana di volpe di cui parlavamo l'altro giorno?” propose improvvisamente Ace, ammiccando nella direzione di Sabo.

Quello stava per rispondere che non ci pensava neanche, perché non erano ancora arrivati alla parte in cui Rufy si gettava ai piedi di Ace minacciando il suicidio per amore; ma l'espressione ingenua e curiosa del fratellino lo fece desistere molto velocemente.

“Sicuro! Andiamo! Parleremo un'altra volta.” affermò, deciso.

Rufy li seguì, ridendo come un matto.

Certe volte i suoi fratelli dicevano cose davvero strane!





Angolo autrice
Uhm. Sto seriamente valutando se l'idea di uno strizzacervelli non sia poi così malvagia.
No, perché altrimenti non si spiega la cosa che avete letto qua sopra.
Oh, ma andiamo! Cosa volevate che scrivessi con "non ti amo"? ç.ç VOI MI CAPITE, ERA UN'IMPRESA!
Ok, torniamo a noi.
Il senso era "facciamo che prima ci cascano e poi li frego", ma non è che io sdegni per principio tutte le yaoi su di loro. Ehi, dipende da come sono scritte, ok?
Detto ciò... Come vi vanno le vacanze? Io ho una cattiva notizia (pfff), insomma: parto per due settimane. Vado in montagna, e da laggiù non potrò mai pubblicare! Già per far sì che il telefono prenda bisogna arrampicarsi su un'instabile roccia attaccata al palo dell'elettricità (no, non sto scherzando ç.ç) e internet non prende da nessuna parte.
Peeerò, se una divinità mi assiste potrei cercare di convincere una mia amica a pubblicare i capitoli mentre sono via. Non vi prometto niente, sia chiaro, quindi voi preparatevi psicologicamente a dover aspettare qualcosa come due settimane e mezza, però... Non vi abbandono, ok? Farò del mio meglio! ^^
Ah, tanto lo so che per voi due settimane sono una boccata d'aria per riprendersi da cose come questa. Già.
Che altro dire... Spero vi sia piaciuta!
Grazie di cuore a tutti quelli che recensiranno e preferiscono e seguono e ricordano eccetera! ^^
Un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 10
*** Last famous words ***


LAST FAMOUS WORDS

- ultime parole famose -


“Sanji, facciamo una sosta?” implorò Rufy per l'ennesima volta.

Erano nel deserto già da diversi giorni, ormai, e quella marcia forzata stava spingendo la compagnia al limite della sopportazione. Il sole picchiava sulle loro teste con una forza impressionante, togliendo le forze, spezzando il respiro.

Forse, pensò il cuoco, forse una brevissima sosta non era poi un'idea tanto cattiva.

“Già! Io non ce la faccio più!” ansimò Usopp, trascinandosi stancamente: aveva l'aria di poter svenire da un momento all'altro.

“... Pausa?” propose Sanji esitante, guardando le ragazze.

Bibi li guardò uno a uno, poi sospirò. “E va bene, là ci sono delle rocce. Fermiamoci un po'.” concesse.

La gioia della ciurma del Cappello di Paglia non era descrivibile a parole.

Una volta fermati e ristorati, la situazione non sembrava nemmeno più tanto dura.

“Ah! Come cucina Sanji non cucina nessuno!” esclamò Rufy, soddisfatto.

“Ma guardatelo, sembra un bambino...” sospirò Nami, sconfortata.

Poco lontano da loro, seduto su un'altra roccia, Ace mangiava in silenzio.

Non che gli amici di suo fratello non gli stessero simpatici – anzi, se sopportavano Rufy meritavano tutta la sua stima e la sua ammirazione – ma in quel momento doveva stare solo, e c'era un motivo.

Voleva capire.

Voleva capire cos'era quella specie di peso sullo stomaco che avvertiva da quando aveva rincontrato il suo fratellino. Suo, e di nessun altro.

Voleva capire perché si sentisse così... fuori posto, in quell'allegra combriccola.

Perché prima, quando ancora vivevano sul Monte Corvo, Rufy non aveva avuto nessun altro a parte lui. Erano Ace e Rufy, e stavano bene così.

Poi Ace era partito, si era fatto altri amici, una ciurma, aveva scelto per che cosa lottare. Ed era logico che anche Rufy avesse fatto lo stesso, non gliene faceva certo una colpa.

Eppure...

Eppure cos'era quella sensazione di gelosia che gli attanagliava il petto, senza quasi permettergli di respirare?

Perché quando vedeva il suo fratellino ridere con Chopper e Usopp, lottare con Zoro e Sanji, chiacchierare con Nami e Bibi, sentiva che ci sarebbe dovuto essere lui, al loro posto?

Era stupido ed infantile, lo sapeva bene. Ma se aveva un difetto, purtroppo, era questo: era estremamente possessivo, lo era sempre stato.

Ma esserne consapevole non aiutava neanche un po'.

“Ehi! Ma quello laggiù è un villaggio?” gridò Rufy, distogliendo Ace dai suoi pensieri.

Bibi sollevò lo sguardo, sorpresa. “Sì, è il villaggio di Ubi! Non pensavo fossimo andati così lontano, complimenti!”

Rufy rise di gusto. “Ma se è un villaggio, magari troviamo un posto dove comprare da mangiare!”

Effettivamente le risorse stavano diminuendo pericolosamente, complice anche il fatto che Rufy mangiasse da solo per un esercito.

“Ma hai appena mangiato!” si lamentò Nami, scuotendo la testa.

Rufy sorrise, con uno di quei disarmanti sorrisi che – l'animo di Ace scalpitò al pensiero – di solito erano riservati solo ed esclusivamente al fratello maggiore, e commentò che lui aveva ancora tanta, tanta, tanta fame.

Dopodiché, senza aspettare alcuna risposta, si alzò e sfrecciò via. “Torno subito!” gridò, già parecchio distante.

“Sì, le ultime parole famose...” borbottò Ace, raddrizzandosi il cappello e non riuscendo a trattenere un sorriso: Rufy era fatto così, e in fondo lui gli voleva bene proprio per questo.

Gli altri ridacchiarono, e Ace si sentì un po' meglio.

Quando due ore dopo di Rufy non c'era ancora traccia, però, Ace cominciò a sentirsi vagamente preoccupato.

“È un po' che se n'è andato...” borbottò Usopp, pensieroso.

“È meglio che qualcuno vada a cercarlo.” disse Zoro, deciso.

Sanji fece un verso sprezzante, a metà fra uno sbuffo e una risata. “Ma se tu riesci a perderti persino in un negozio, figuriamoci una città! No, dai, vado io.”

Zoro si voltò di scatto, imbestialito. “Prova a ripeterlo, se hai...”

“Calmi, calmi. Non serve litigare, vado io.” li interruppe Ace, passando in mezzo a loro e incamminandosi. “Lo so che il mio fratellino crea dei problemi, ma me ne posso occupare io. Voi restate qui e preparate l'accampamento per la notte.” li consigliò, agitando la mano a mo' di saluto senza voltarsi.

Una volta ripresi dalla sorpresa, gli altri alzarono le spalle e lo salutarono, cominciando i preparativi per la notte.

Il sole stava per tramontare,  tingendo le dune di rosso. Buffo come quel posto fosse esattamente l'opposto della montagna su cui era cresciuto... Ace raddrizzò le spalle e continuò a camminare: chissà in che pasticcio si era cacciato Rufy! Ma era suo preciso dovere di fratello maggiore andare a ripescarlo. Suo e di nessun altro.

Alla fine, poco prima che il sole tramontasse definitivamente, Ace raggiunse il villaggio di Ubi.

Per trovare Rufy doveva trovare il cibo, e questo era elementare: si diresse quindi verso la locanda più piena e rumorosa del posto.

Non fu difficile per lui raggiungerla, dal momento che sembrava che il villaggio intero si fosse radunato là davanti: ma che cosa stava succedendo? Pregò con tutto il cuore che Rufy non avesse combinato un disastro.

Fu con somma gioia che, quando raggiunse il centro dell'attenzione della folla, vide che non si trattava di Rufy: erano due uomini che combattevano, due uomini che Ace non aveva mai visto prima.

Questo però non risolveva il problema: il suo stupido e irritante fratellino ancora non si vedeva da nessuna parte. Stava già per ripiegare su un'altra locanda, quando una voce forte ed allegra lo richiamò: “Ehi! Ace!”

Si voltò appena in tempo per vedere Rufy che lo raggiungeva, spintonando e facendosi largo tra la folla stizzita.

“Che cosa ci fai qui?” chiese il ragazzo, mettendosi in bocca parte del cibo che aveva tra le braccia.

Ace fece due respiri profondi, poi chiese con estrema delicatezza: “Rufy, se non mi spieghi nel giro due tre minuti cosa ci fai qui e perché sei sparito da più di tre ore, rischio di non rispondere più delle mie azioni!” minacciò.

Il fratellino inclinò il capo, confuso. “Così tanto? Non me n'ero proprio accorto! Comunque, cercavo del cibo.” rispose, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. Bé, in un certo senso lo era. Si mise in bocca il resto della carne e deglutì, soddisfatto.

“Sì, ma perché ci hai messo tanto? E scusa, ma non potevi offrirmene un po'?” chiese Ace, le braccia conserte.

Rufy ignorò tranquillamente la seconda domanda e si concentrò sulla prima. “Volevo vedere come finiva questo combattimento. È interessante!” affermò, sicuro. “Vedi? Quello con un occhio solo si chiama Crack. L'altro è Punch. Insomma, si fanno chiamare così, poi non so se sono i loro veri nomi... Posso chiedere, se vuoi!” propose subito, entusiasta.

Il fatto che Rufy sorridesse in quel modo proprio a lui fece quasi dimenticare a Ace il motivo per cui era arrabbiato.

Quasi.

“Non... Non mi interessa come si chiamano!” disse Ace, scuotendo la testa. “Che ti importa di come finisce, poi? Non li conoscevi nemmeno!”

Rufy rispose a colpo sicuro: “È la ragione per cui combattono. Stavamo lì a parlare del più e del meno quando ho tirato fuori che sono qui con la mia ciurma e mio fratello. Allora quello che si fa chiamare Crack ha detto che è giusto che ci sia mio fratello con me perché la famiglia è più importante di qualunque altra cosa. Punch si è subito alzato gridando che i compagni sono più importanti della famiglia e che lui non esiterebbe a mettere la vita di suo fratello dopo quella dei suoi amici. Crack continuava a dire che era più importante la famiglia e Punch insisteva con i compagni, e sono passati alle botte.” concluse, serafico.

Ace deglutì, sentendo come un brutto presentimento.

“Voglio solo vedere come finisce.” insistette Rufy, congiungendo le mani come ad implorarlo. “Ace... stai bene?” il fratello infatti sembrava sul punto di vomitare.

“Certo che sto bene. E no, dobbiamo tornare subito indietro.” affermò, deciso, trascinandolo via.

Rufy cercò di divincolarsi. “Ma dai! Per favore! Non interessa anche a te?” chiese, offeso.

Ace alzò gli occhi al cielo. “Ti svelerò un segreto, Rufy. Non è detto che il vincitore del combattimento sarà obbligatoriamente quello che ha ragione. Questa non è una questione su chi dei due è più forte, la verità è una soltanto.” disse, spingendolo via.

Rufy sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Questo lo so da me, cosa credi?” si lamentò, lasciandosi trascinare. “So anch'io qual è la verità, e resterà la stessa comunque vada il combattimento.”

Ormai erano già piuttosto lontani dalla locanda, e per le strade non c'era più nessuno: il sole era appena tramontato, e il silenzio avvolgeva ogni cosa.

“Senti un po', Rufy...” attaccò Ace, guardando per aria. Sembrava un po' in difficoltà.

Il minore se ne accorse, e rallentò un po' il cammino, incrociando le braccia dietro la testa. “Sì, fratellone?”

“A proposito della lotta di prima, e della verità...” Ace si grattò la testa, frustrato.

Come faceva a spiegargli quello che sentiva? Come poteva esprimere la sua gelosia, l'oppressione che sentiva nel petto, senza che Rufy lo prendesse per pazzo o cominciasse ad odiarlo?

Eppure, se non gliel'avesse chiesto sentiva che non sarebbe potuto andare avanti.

Doveva sapere.

“... Secondo te, chi dei due aveva ragione?”

Ecco, l'aveva chiesto. E adesso l'avrebbe saputo, avrebbe saputo se Rufy teneva di più ai suoi compagni o a lui, avrebbe saputo cosa il suo fratellino riteneva più importante.

Ma Rufy lo sorprese scoppiando a ridere. “È una domanda trabocchetto, vero? Mi stai chiedendo se sono più importanti i compagni o i fratelli?”

Ace credette di aver capito male. Domanda trabocchetto? Rufy stava bene o cosa?

Stava per chiedere spiegazioni, quando il fratellino smise di ridere e lo fissò, serio. “È logico. Non c'è nessuna differenza.”




Angolo autrice
Ciao a tutti!
Visto che ce l'ho fatta a pubblicare?!
Tecnicamente lo sta facendo una mia amica.
perciò ringraziate lei!
Che ve ne pare? E' la prima volta che scrivo su Alabasta: é venuto bene?
Un bacione, vostre
Emma ^^ e Eleonora

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Capitolo 11
*** Teenagers ***


TEENAGERS

“Sveglia!” gridò una voce, prima che la porta si spalancasse di botto e che la luce riempisse la stanza.

Non si udì nessuna risposta.

Ace avanzò lentamente verso il letto di Rufy, poi scostò le lenzuola e sospirò, mettendosi le mani sui fianchi. “È andato ancora a letto con le cuffie...” commentò, staccandogliele dalle orecchie.

Si avvicinò alla finestra e tirò su le tapparelle, riprendendo poi ad urlare.

“Coraggio! Il sole è alto, la città è in fermento, gli uccellini cantano e oggi è il tuo compleanno!” gridò.

Quelle erano le parole magiche per far alzare il suo fratellino dal letto.

“Auguri a me!” sorrise infatti quello, magicamente nel pieno delle sue energie. “Che facciamo, oggi?” in un batter d'occhio saltò giù dal letto e si infilò dei vestiti a caso, troppo impaziente per stare fermo anche solo un attimo.

Ace sorrise, incapace di trattenersi. Era passato molto tempo da quando Rufy era arrivato all'orfanotrofio in cui viveva sin dalla nascita, senza aver mai avuto un singolo amico tra quelle opprimenti mura di mattone.

Tutto era cambiato da quando Rufy aveva cominciato ad interessarsi a lui: non era passato giorno senza che, con i suoi sorrisi e la sua sfacciataggine, quell'assurdo ragazzino non lo avesse liberato poco a poco dall'oppressione costante che lo aveva sempre accompagnato.

Sì, lo doveva a Rufy se finalmente non si vedeva più semplicemente come il figlio del più grande killer dell'ultimo secolo, ma semplicemente come sé stesso.

“Lo vedrai cosa facciamo!” fu la vaga risposta di Ace, che non riuscì a trattenere una risata quando il minore sbuffò gonfiando le guance a dismisura. Era una cosa che faceva sempre, all'inizio.

Effettivamente Ace non aveva accettato subito quel petulante ragazzino, preferendo continuare a stare per conto suo. Fuori dall'orfanotrofio conosceva un ragazzo, Sabo, e spesso scappava per passare la giornata con lui. Rufy l'aveva seguito.

Ovviamente, le prime volte Ace lo aveva seminato. Non era stato per nulla difficile: Rufy non sapeva niente della città, era uno stupido ragazzino di campagna. Lo aveva seminato ancora, e ancora, e ancora, in un incrocio trafficato o scappando attraverso la discarica,
uscendo dal retro di un bar o arrampicandosi sopra un muro di cinta. Ma quel bambino rispuntava sempre fuori il giorno successivo.

Le cose cambiarono quando, un giorno, Ace e Sabo rimasero bloccati in un furgone.

La faccenda era leggermente complicata: per ottenere dei soldi in più, i due avevano aiutato una banda di ragazzi di strada con un traffico illecito di sostanze che nemmeno conoscevano, ma la banda avversaria li catturò. Dopo aver requisito il contenuto del pacchetto, il capo di quei ragazzi li chiuse nel furgone sopracitato, e li lasciò lì.

Ace e Sabo cercavano di non spaventarsi troppo, ma c'era davvero poco da fare: erano bloccati dall'esterno, ed erano sicuri che quei tizi non li avrebbero lasciati andare tanto facilmente: in poche parole, si davano per spacciati. Quindi immaginatevi quale non fu la loro sorpresa quando, dopo aver sentito un inquietante clangore metallico, la porta fu spalancata proprio da Rufy! Il ragazzino non aveva minimamente rinunciato a diventare amico di Ace, e per la prima volta quello ne fu davvero felice.

Una volta liberi, Ace e Sabo si diedero subito alla fuga, ma Rufy non fu così fortunato.

Mentre i ragazzi della banda che li aveva catturati se la prendeva con Rufy, però, Ace e Sabo non poterono rimanere a guardare. Unendo le forze, liberarono Rufy e scapparono.

Da quel giorno la stima di Ace nei confronti del bambino crebbe vertiginosamente, e sebbene fosse ancora un po' riluttante gli permise di stare con loro: il loro legame crebbe di giorno in giorno, fino a quell'incredibile momento.

Oh, Ace lo ricordava bene: come fai a dimenticarti di quando guadagni due fratelli in un colpo solo?

Era successo quando avevano iniziato a fare dei progetti sul futuro: volevano girare il mondo, ma sapevano che non avrebbe funzionato se avessero viaggiato insieme. Differenza di età a parte, loro intendevano vivere liberi, magari trovando nuovi amici e andando dove volevano, e

Ace si era spaventato.

Perché la sua più grande paura era rimanere da solo, proprio adesso che stava finalmente iniziando ad aprirsi un po' di più al mondo.

E cosa ti lega di più ad un'altra persona che un legame fraterno? Tutti avevano subito accettato, entusiasti: fu così che quel giorno il loro patto fu suggellato, la loro fratellanza creata, il loro legame reso indistruttibile. Per quanto ci pensasse, Ace non riusciva a ricordare un giorno più bello di quello.

Certo, gli conveniva che il compleanno di Rufy gli si avvicinasse parecchio, visto che non facevano che parlarne da un mese o giù di lì.

“Evvai! Faccio tredici anni, Ace! Tredici è più di dodici, no? Molto di più!” gioì, saltellando per la stanza.

Ace dovette trattenersi a stento dall'alzare gli occhi al cielo: a tredici anni come a sette, Rufy non si smentiva mai.

“Tredici è decisamente di più!” ghignò invece, scompigliandogli i capelli. Rufy rise di gusto.

“Sono un teenager?” chiese, senza riuscire a stare nella pelle dalla gioia.

“Puoi scommetterci! E in qualità di teenager hai il permesso di fare molte più cose rispetto a ieri!” continuò Ace, avviandosi verso la porta.

Uscirono in strada senza che nessuno provasse nemmeno a fermarli (Dadan, la direttrice dell'orfanotrofio, borbottò qualcosa di ostile ma si limitò a lanciargli un'occhiataccia), e Ace si diresse a passo sicuro verso il suo motorino mezzo scassato.

“Non mi dirai che...” iniziò Rufy, gli occhi luccicanti.

“E come no? Sali, ormai sei grande!” replicò Ace, ghignando.

Rufy non era salito su un motorino da quella volta di Sabo, e preferivano tutti non parlare di lui, non dopo quello che era successo. Ace non aveva mai neanche accennato alla remota possibilità che Rufy potesse anche solo pensare al suo motorino. Figuriamoci salirci sopra!

“Metti il casco.” lo avvisò, inforcando la sua piccola. Era stata dura resistere a tutte le suppliche che Rufy gli aveva fatto fino a quel giorno, ma

Ace aveva sempre saputo che più a lungo aspettava, più grande sarebbe stato il sorriso di Rufy.

E non si sbagliava.

“Dove mi porti?” chiese il ragazzino, aggrappato alla schiena di Ace. 

“In un posto bellissimo.” assicurò quello, mettendo in moto il motore.

Quello che seguì, per Rufy, fu pura estasi. Il vento in faccia, le immagini sfocate, i colori che si mescolavano, le voci che si perdevano, il rombo del motore...

Quando Ace si fermò, Rufy credette che non sarebbe riuscito a camminare mai più.

“Mi compri una moto?” furono le sue prime parole una volta messo piede a terra.

Ace scoppiò a ridere. “Aspetta ancora un anno, poi farai la patente. E quando avrai i soldi per comprartela...”

Ma Rufy lo interruppe, sbuffando. “Uffa, lo sai che non avrò mai abbastanza soldi!” si lamentò, sorvolando sul fatto che, se non riusciva a tenere da parte nemmeno un centesimo, era perché li spendeva tutti in cibo.

E poi, neanche Ace aveva mai avuto abbastanza soldi: aveva solo trovato la moto nella discarica e aveva fatto del suo meglio per aggiustarla. Quella, pensandoci bene, è stata l'unica volta in cui Rufy ebbe il permesso di toccarla: mentre la aggiustava con Ace.

Quando aveva sbuffato lamentandosi del fatto che, avendo aiutato ad aggiustarla, meritava parte della moto come ricompensa, Ace si era limitato a ridere. “Puoi avere un pezzettino del motore. Ma non puoi toccare tutto quello che ci sta intorno, perché è mio. Buona fortuna!” aveva riso.

E per quanto Rufy ci provasse, il suo pezzettino di motore non lo aveva mai preso.

Però sapere che c'era era già qualcosa, quindi non si era mai lamentato troppo.

“Perché non mi vuoi comprare una moto? Sarò buono!” sbuffò invece, offeso.

Ace sospirò, afferrandogli la testa e costringendolo a voltarla dietro di sé. “Se tieni ancora il broncio, giuro che ti stacco la testa.” affermò,
categorico.

Ma Rufy non lo ascoltava più, gli occhi spalancati per la meraviglia: era la prima volta in vita sua che vedeva un luna park.

“Questo... Questo è... Una magia?” chiese, il sorriso più grande della faccia.

Ace si limitò a ghignare ancora di più, avvicinandosi. “Qui si può entrare solo se si hanno almeno tredici anni.” annunciò, indicando un cartello poco lontano.

“Io ho tredici anni!” esclamò Rufy, come se fosse la cosa più bella del mondo.

E in effetti, probabilmente lo era.

“Non avrei mai potuto dirtelo prima, altrimenti saresti morto dall'impazienza!” ridacchiò Ace, sfiorandosi il naso con l'indice. 

“Sei eccezionale, Ace! Andiamo! Voglio fare la ruota gigante! Poi quella cosa che va su e giù! Poi voglio entrare là dentro e poi voglio vedere quel posto, e voglio tirare in quei cosi rotondi, e... Ace, ma sei ancora lì?” Rufy si voltò, stupito, notando che il fratello era ancora fermo all'ingresso. “Vieni o no?”

Ace sorrise: la sua vita poteva anche essere stata difficile, con tutta la faccenda di suo padre, poi di Sabo, e tutti i casini che aveva avuto.

Ma in tutto ciò aveva un'ancora, un punto fermo, una stella polare. Sì, Rufy era un po' come una stella, si disse. Ma era soprattutto il suo sorriso a scaldargli il cuore ogni giorno e a riempirlo di gioia.

“Sì, arrivo!”

D'altro canto, gli avrebbe svuotato il portafogli. Cose che capitano, quando tuo fratello demolisce un chiosco di zucchero filato.

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Capitolo 12
*** The only hope for me is you ***


THE ONLY HOPE FOR ME IS YOU
-sei la mia unica speranza-



Quella mattina, nella routine di Ace non c'era niente di diverso dal solito.

Infatti, come tutti le mattine, cominciò la giornata tirando un calcio a suo fratello Rufy – perché non era umanamente possibile che un ragazzino russasse tanto, la notte.

Rufy mugolò qualcosa di incomprensibile, rivoltandosi nel letto.

“Su, alzati, pigrone.” sospirò Ace, sfiorandogli i capelli. Ritrasse subito la mano, stupito: la fronte di suo fratello scottava. Scottava terribilmente.

“Ace...” mugugnò il bambino, tirandosi le coperte fino a sopra la fronte. “Mi porti da mangiare?”

L'altro inarcò le sopracciglia. “Ti sembro un cameriere?” chiese, infastidito.

“Per favore!” supplicò Rufy da sotto le lenzuola. La sua voce suonava soffocata, distante.

“Ma stai bene?” chiese Ace, esitante. Non era la prima volta che Rufy si accaldava, poteva essere normale. Però aveva una brutta sensazione...

“Te lo dico se mi porti da mangiare!” fu la risposta sempre soffocata del bambino.

Ace alzò gli occhi al cielo, borbottando fra sé che vivere a stretto contatto con quella peste lo avrebbe trasformato ben presto in una balia, e scese a prendere da mangiare.

Una volta tornato su, sbatté la carne sul letto di Rufy e aspettò. Lentamente, le coperte si abbassarono, e Ace quasi cadde a terra dalla sorpresa. Perché la faccia di Rufy non era mai stata tanto rossa, i suoi occhi non erano mai stati tanto lucidi e iniettati di sangue, e la sua fronte... Ace avrebbe potuto giurare di aver visto un sottile filo di fumo salire verso l'alto.

“Oh, cibo!” pigolò Rufy, con una voce che non sembrava nemmeno la sua.

Almeno l'appetito, però, era rimasto lo stesso.

“Adesso... adesso dimmi come stai.” balbettò Ace, anche se temeva di sapere già la risposta.

“Uno schifo, Ace. Sudo un sacco, ho male da tutte le parti e non riesco a muovermi.” disse Rufy in tutta tranquillità, lasciandosi cadere a peso morto sul cuscino.

Una goccia di sudore colò dalla fronte e si perse tra i capelli corvini del bambino.

“N-non scherzare! Dimmi la verità!” ordinò Ace, arretrando fino al proprio letto. Doveva appoggiarsi da qualche parte, o rischiava davvero di svenire.

“No, Ace, è che... È che sto male. Male male male.” alzò lo sguardo verso il fratello, e questi si accorse che stava trattenendo le lacrime. “Però non voglio morire!”

Ace sentiva che stava per scoppiare in lacrime a sua volta. “M-ma... Ma certo che non morirai! Cosa vai a pensare, scemo! Sei solo un po' malato. È... è già successo, no?”

Rufy si arrotolò un po' una manica, e Ace vide con sommo orrore un'incredibile fioritura di striature blu che si diramavano per tutto il braccio.

“Non sai sulla pancia.” commentò funereo il bambino.

Ace non poteva resistere un secondo di più. “Vado a chiamare Dadan.” disse, la voce strozzata.

La donna arrivò quasi subito, borbottando che non poteva essere niente di grave e che quelle due pesti non facevano che disturbarla.

Ma quando vide le condizioni di Rufy, la sua espressione divenne sconvolta.

“In una sola notte...” sussurrò a mezza voce, sollevandogli la maglietta.

“Allora? Cosa... cos'ho?” chiese Rufy, tremante.

Dadan lo fissò a lungo, poi sbuffò, agitando la mano con noncuranza. “Ma niente, voi due non fate che disturbarmi e farmi perdere tempo! Sta' a letto per una settimana e guarirai. Tu, vieni con me. C'è del lavoro da fare.” disse poi, afferrando il braccio di Ace e trascinandolo fuori.

Rufy avrebbe dovuto intuire che Dadan non avrebbe mai chiamato Ace perché c'era “del lavoro da fare”, ma probabilmente era troppo stanco per farci caso.

L'assurdità della situazione non sfuggì però ad Ace, e quando raggiunsero la sala pranzo si divincolò, gli occhi di fuoco. “Mi dici che succede?” abbaiò, ostile.

“Garp mi ucciderà. Incolperà me di tutto, lo so.” si lamentò Dadan, scuotendo la testa.

“Tutto cosa? Dadan, spiegami! Cosa diavolo sta succedendo?” gridò Ace, frustrato.

Se pensava a come era messo Rufy, di sopra...

“Stammi bene a sentire, ragazzino. Rufy è ammalato. Tempo fa c'è stata un'epidemia, qui al villaggio. Ha decimato gli abitanti, non sto scherzando! L'unico antidoto era reperibile da un'isola lontanissima, mentre la malattia ha il suo sviluppo in soli tre giorni.” spiegò Dadan, infastidita.

“Cioè, tra tre giorni, Rufy... guarirà?” chiese Ace, senza nemmeno crederci.

Lo sguardo di Dadan era quasi compassionevole, e Ace non lo poteva reggere.

“E allora fa' qualcosa! Se non vuoi che Garp ti punisca, trova un modo!” gridò Ace, saltandogli addosso e prendendo a colpirla.

Sentiva di essere sul punto di piangere. Rufy, Rufy... L'unica famiglia che aveva... Prima Sabo, e adesso rischiava di perdere anche lui...

“Trova un modo... Una soluzione...” balbettò, spingendola in malo modo a terra e voltandosi di scatto. Nessuno doveva vederlo in faccia, non in quello stato.

“Ho sentito... che Garp è in città, proprio ora.” sbuffò Dadan, alzandosi dal pavimento e spolverandosi la gonna. “Se c'è qualcuno che può avere l'antidoto, è lui. Viaggia sempre in posti strani, e ha la tendenza a raccogliere tutto quello che – a suo dire – può risultargli utile.”

Ace ci mise un po' a capire quello che Dadan intendeva dire.

Poi, la sua mente si rifiutò categoricamente di accettare l'idea.

“No. No, Dadan, ci dev'essere un altro metodo!” gridò, indietreggiando.

“E io che pensavo che la vita dell'altro marmocchio ti stesse a cuore... Amen, sarà una bocca in meno da sfamare.” borbottò Dadan, stizzita.

Fece per uscire, ma poi ci ripensò e si fermò. Quando parlò, la sua voce sembrava incrinata. “Ma se quando mia sorella si è ammalata io avessi avuto la possibilità di chiedere anche al mio peggiore aguzzino un antidoto, io l'avrei fatto senza esitare! L'avrei fatto!” esclamò di colpo la donna, voltandosi a fronteggiarlo con aggressività.

Ace notò però i suoi occhi umidi e i singhiozzi che le scuotevano il petto.

Dadan... aveva avuto una famiglia? Era difficile immaginarsela giovane e bella. Anzi, diciamo pure impossibile.

Ma davvero aveva avuto una sorella? Una sorella... morta durante l'epidemia?

Era un pensiero terribile, agghiacciante. E lui era ancora lì fermo ad aspettare che Rufy facesse la stessa fine di quella ragazza sconosciuta?

“E io lo farò.” sbottò, raddrizzando le spalle. “Certo che lo farò. Andrò da Garp e mi farò dare quel maledetto antidoto, costi quel che costi.” si avviò con risolutezza verso la porta, poi si voltò. “Dadan...”

Lei alzò lo sguardo truce verso il ragazzino. “Sì?”

“.. No, niente.”

Dire che gli dispiaceva sarebbe stato fuori luogo, in un momento simile. E comunque, lui non era il tipo che diceva quelle cose. E Dadan non era il tipo che se le faceva dire. Almeno in quello, erano molto simili.

Appena uscito dalla capanna dei banditi, Ace prese a correre il più velocemente possibile: doveva raggiungere Garp al più presto, per Rufy.

Raggiunse il villaggio ansimando, e spalancò con forza la porta dell'osteria di Makino. Come sospettava, Garp si trovava lì.

Non appena i presenti lo videro, presero a correre fuori dal locale: la cattiva fama di Ace era nota ovunque, soprattutto ora che aveva già dodici anni.

Nel giro di mezzo minuto, nel locale non c'erano altri che Garp, Makino ed Ace.

“È buffo vederti qui, ragazzo.” commentò alla fine Garp, buttando giù un altro boccale di sakè.

“Rufy è malato.” disse freddamente Ace, ignorandolo. “L'epidemia di qualche decennio fa, dice Dadan.”

Makino emise un grido strozzato, ma nessuno dei due ci badò.

“Non mi sembra un mio problema.” commentò invece Garp, impassibile. “Un altro, Makino.”

“Ma... Garp!” tentò di protestare la donna, sconvolta.

“Ho detto un altro.” ringhiò il vecchio, e lei non se la sentì proprio di disobbedire.

“È tuo nipote.” osservò invece Ace, stizzito. “Secondo Dadan tu hai un antidoto, visto che non fai che viaggiare.”

Garp trangugiò anche il secondo boccale e lo allontanò da sé, inclinando la testa per fissare meglio il giovane che aveva davanti.

“E se anche fosse?”

“Allora ce l'hai! Devi darcelo, assolutamente.” ordinò Ace.

Finalmente il vecchio si dimostrava utile! Avrebbe voluto ridere dalla felicità, ma si impose di mantenere la sua maschera di freddezza. Garp non meritava altro.

“Garp, daglielo!” lo incitò Makino, spaventata.

“Lasciatemi stare.” borbottò invece quello, alzandosi dallo sgabello e avvicinandosi ad Ace. “Dammi un solo motivo per il quale dovrei farlo. Se come dite diventerete dei pirati, sarebbe stupido aiutarvi.” ringhiò Garp, gli occhi di fuoco.

Ace tacque, non sapendo esattamente come replicare. Non poteva mica giurare fedeltà alla Marina, certo, però...

Che altro poteva dire?

“È tuo nipote. È mio fratello. Non è colpa sua se è messo così. Devi aiutarlo!” si ritrovò a gridare Ace, le lacrime che spingevano per uscire. Le ricacciò indietro, deciso: doveva mostrarsi forte, soprattutto davanti a Garp.

“Ancora non mi hai convinto, ragazzo... peccato, se avessi dovuto scegliere avrei preferito che fosse l'altro a sopravvivere, ma che ci vuoi fare, è la vita...”

Ace fece appello a tutto il suo autocontrollo per non saltargli addosso. Ma come poteva giocare così con la vita delle persone?
Però si trattenne: c'era Rufy di mezzo, e doveva andarci piano. Ancora non mi hai convinto... Cosa poteva dire, di più?

Tacque, senza sapere cosa dire. Garp fece un verso sprezzante e si diresse verso l'uscita.

No! Non poteva assolutamente permetterlo!

All'improvviso, fu colto da un pensiero. Le spiegazioni razionale gliele aveva già date tutte. Forse non doveva spiegargli perché salvare Rufy: magari bastava mostrarsi un po' meno... un po' più... arrendevole?

Il suo orgoglio scalpitò al pensiero. Lui non si sarebbe mai abbassato ad implorare Garp! Ma poi il pensiero di Rufy si fece strada prepotentemente nella sua mente.

Però non voglio morire!”

No, avrebbe fatto di tutto per salvare Rufy, anche calpestare il proprio orgoglio.

“Aspetta.” disse. Forse fu il tono esitante, forse la semplice sorpresa. Fatto sta che Garp si fermò. Ace fece un profondo respiro e proseguì. “Io... Io ho bisogno di Rufy. Perché è stupido, è pazzo, ma sa sorridere. E quando sorride fa stare meglio gli altri. E non può morire, perché oggi dovevamo andare a cercare quel nido di aquile che avevamo intravisto l'altro giorno, e magari diventerà un pirata, magari no. Quello che so è che non può morire, morirei anch'io!” la sua voce divenne un sussurro appena udibile, e le lacrime cominciarono a fare capolino dai suoi occhi strizzati. “Garp, sei la sua... la mia unica speranza! Per favore...”

All'inizio, non successe niente. E Ace sapeva che non sarebbe riuscito a dire nemmeno un'altra parola, tanto era sconvolto.

Una lacrima solitaria cadde sui suoi piedi, ma il dettaglio non sfuggì a Garp.

“E adesso non metterti a fare la femminuccia... Su, vieni con me.” sbuffò infatti il vecchio, uscendo.

Ace lo seguì, quasi senza credere alla sua fortuna.

Salì sulla nave di Garp e lo seguì fin dentro una cabina.

“Se non sbaglio dovrebbe essere qui...” borbottò il vecchio, mettendosi a rovistare tra le sue cose. “Sia chiaro che non lo faccio per te, né per l'altro moccioso. È per Makino. E perché mi fate pena. E poi, me ne avanzava uno di questi aggeggi.” concluse, lanciando una bottiglietta azzurra nelle mani di un incredulo Ace.

“E allora? Come si dice?” ghignò Garp, alzandosi in piedi.

Ace finse di rifletterci su. “Era ora, vecchio!” ridacchiò alla fine, schizzando via.

Uscì dalla nave alla massima velocità, dirigendosi verso la montagna.

Garp rimase a fissarlo dal ponte principale, scuotendo la testa, le mani che prudevano. “Non c'è di che, ragazzo.” borbottò, sorridendo sotto i baffi.





Angolo autrice:
Tadaaaaan! Sono tornata!
Cioè, diciamo perlomeno che adesso ho la connessione internet che più o meno sopravvive.
Ringraziamo tutti la mia amica Eleonora che ha pubblicato mentre Internet proprio non ce l'avevo!
Passando al capitolo... Io non so perché mi sono divertita a torturare quei poveri fratellini in questa maniera, non lo so. Solo che con un titolo del genere... Prima, Teenagers. E non avete idea di quanto abbia penato su quella storia, prima di ripiegare sull'AU.
Perché mi sono capitati dei titoli del genere, perché? ç.ç
In ogni caso, Ace che dice "sei la mia unica speranza" è stato difficilissimo da immaginare.
Intanto, ricordiamoci che la storia è ambientata due anni dopo la morte di Sabo, con un Ace un po' meno orgoglioso e più legato a Rufy. Non dico che sia diventato arrendevole (LUI?) ma un po' più assennato sì. E la vita di Rufy per lui è più importante dell'orgoglio, ne sono assolutamente sicura.
Quindi... è spuntata fuori l'idea dell'epidemia. E come faceva Dadan a saperne tanto, se non... perché ne era stata coinvolta?
Il passato di Dadan non ce lo dicono, no? Quindi poteva anche darsi, e secondo me che abbia perso una sorella ci sta... Spiegherebbe anche perché alla fin fine si affeziona tanto a Rufy e Ace.
Quindi niente, grazie di cuore a tutti i santi che continuano a recensire nonostante siano in vacanza, e grazie anche a quelli che leggono solamente! Ci vediamo presto! Un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 13
*** Pieces ***


PIECES

 

 

Un pezzo – la carne che Rufy implorò ad Ace il primo giorno

 

Il ragazzino aveva mangiato così poco che credeva di svenire. Si ritrovò ad implorare ad Ace per un singolo pezzo di carne, ma quello scosse la testa con fare infastidito e trangugiò il cibo restante prima di andarsene a letto. Rufy se ne dimenticò un istante dopo, ma nel mezzo della notte Ace si sentiva strano, forse ancora più sbagliato del solito. Cosa gli stava succedendo?

 

 

 

Due pezzi – come si spezzò quella roccia diretta a Rufy sulla testa di un coccodrillo

 

Era stato furbo, il ragazzino. Quell'enorme roccia che Ace gli aveva lanciato addosso nella speranza di levarselo finalmente di torno lo avrebbe molto probabilmente ucciso, se non si fosse spostato all'ultimo. Con un sonoro “crack” la roccia si spezzò in due pezzi sulla testa di un ignaro coccodrillo, che si ritrovò un bernoccolo più grande della testa di Rufy. Il ragazzino non la finiva più di ridere. Ace approfittò della sua distrazione per darsela a gambe, e per ordinare con decisione alle sue labbra di smettere di sorridere come un'idiota.

 

 

 

Tre pezzi – in quante parti si spezzò il suo bastone una volta

 

Stupido di un Rufy. Stava per farsi ammazzare un'altra volta da quei tizi di periferia. Eppure gli avevano detto, lui e Sabo, di fare attenzione! Sospirò quando fu costretto a mettere il suo bastone in mezzo tra la sciabola dell'avversario e la testa del bambino. Quando la sua arma si divise in tre, però, rischiò seriamente uno shock emotivo. Fu soltanto quando, la mattina successiva, trovò Rufy completamente ricoperto di colla addormentato sopra un bastone più o meno aggiustato, che Ace si concesse un vero sorriso.

 

 

 

Cinque pezzi – il primo bottino di Rufy

 

Era andato da solo, il deficiente. Senza avvertire lui né Sabo, semplicemente se n'era andato al Grey Terminal senza aspettarli. “Non volevo svegliarvi!” si era giustificato poi. I due lo avevano trovato sdraiato a pancia in su su un cumulo di rifiuti, ferito ad una gamba e al petto ma con un enorme sorriso dipinto in volto. Quando ebbero finito di pestarlo, curarlo e soprattutto di sgridarlo per bene, a Sabo venne in mente di chiedergli perché mai stesse sorridendo così tanto. Rufy non rispose, ma tirò fuori dalla tasca cinque pezzi d'oro, gli occhi luccicanti. Sabo lo avrebbe sgridato di nuovo, ma Ace decise di lasciar perdere: ricordava benissimo il suo primo bottino, e sapeva che niente e nessuno avrebbe mai potuto cancellare quel sorriso di vittoria che Rufy aveva inciso in volto.

 

 

 

Dieci pezzi – il puzzle più semplice di tutti

 

Rufy voleva fargli un bel regalo di compleanno, quindi aveva racimolato abbastanza soldi per entrare nella città alta e vedere un po' cosa poteva trovare. Quando passò davanti ad un negozio di giocattoli, rimase talmente incantato che entrò senza pensarci due volte. Il suo sguardo fu attirato subito dalle immense scatole piene di minuscoli pezzettini colorati. “Ace non ce la farà mai.” pensò con ovvietà. Ma non voleva rinunciare a quell'idea, quindi finì per comprare il più semplice di tutti – quello con solo dieci pezzi. Quando Ace, dopo un'ora e mezza buona di tentativi, esplose proclamando l'inutilità di quel gioco, Rufy scoppiò a ridere e non la finiva più. Forse era davvero troppo difficile, oppure Ace si rifiutava di unire i pezzi che componevano l'immagine di una bistecca.

 

 

 

Mille pezzi – un cuore ferito

 

Che aspetto ha un cuore che va in mille pezzi? Bé, ora Rufy lo sa. Ora che il mondo si è fermato, ora che esiste solo il corpo di Ace steso a terra, lì, senza vita. Che rumore fa un cuore che va in mille pezzi? All'inizio, Rufy sentiva solo silenzio. Il suo cuore faceva solo silenzio, un silenzio opprimente, un silenzio vuoto. Ace non c'era più. Poco a poco, però, il silenzio lasciò il posto a qualcos'altro.
“No, non ti do neanche un pezzo di carne, Rufy!”
“Se ci fossi stato tu, al posto di quel coccodrillo...”
“Ma non potevi stare più attento? Oh, il mio povero bastone!”
“Ben fatto, Rufy! Un ottimo bottino!”
Sono capace, è solo che non mi va!”
Eppure, un cuore che va in mille pezzi può tornare come prima, a volte. Infatti, man mano che Rufy andava avanti a ricordare, succedeva una cosa stranissima: ogni pezzo tornava al suo posto.







Angolo autrice:
no, tutto questo non è davvero esistito, state tranquilli.
Se fosse esistito, io sarei dovuta essere totalmente pazza. Perché non posso averlo scritto davvero, andiamo!
Uhm, con "Pieces", cioè pezzi, c'erano un milione di cose da dire, E io sono riuscita a fare questo uno-due-tre-cinque-dieci-mille, perché boh.
Sono da curare, già.
Come vanno le vostre vacanze? Spero che siate tutti in giro e non chiusi in una città afosa e puzzolente (l'altro giorno a Milano alle sei del mattino c'erano trenta gradi. Ditemi voi.)
Io sono ancora in montagna (ma al mare non ci arriverò mai!), e oggi siamo andati a fare un 2200 metri.
Ovviamente col trucco.
Non pretenderete mica che me li faccia tutti e 2200, no? C'era una seggiovia. ^^ È la prima volta che prendo la seggiovia senza neanche un po' di neve intorno, è stato fantastico!
Poi ovviamente sia andata che ritorno, e la cosa è stata vagamente spaventosa perché al ritorno, bé... è ripido. Ugh. Bé, siccome sono ancora viva non posso lamentarmi, va'.
Grazie a tutti quelli che, nonostante la connessione ballerina delle vacanze, continuano a recensire! Vi voglio bene! ^^
A presto, un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 14
*** Best of me ***


BEST OF ME


Dai il meglio di te, Rufy!”

Il meglio di me. Facile a dirsi, giusto?

È facile, Ace, tu che sei partito e chissà dove sei ora.

È stato facile salutarmi con quelle parole, mentre prendevi il largo con quella barchetta verso il mare sconosciuto, pronto per le mille avventure che ti aspettano. Eri felice, vero?

Insomma, dev'essere stato bello.

Ma ci pensi a me? A me che sono rimasto qui, sul Monte Corvo, completamente solo?

E pensare che ho fatto tutta quella fatica per non restare da solo, mi sono quasi fatto ammazzare piuttosto che restare da solo!

Lo so che dovevi partire, lo so che lo avevamo deciso da tanto tempo. Lo so che sarebbe stato troppo egoista chiederti di rimanere ancora con me.

E sono davvero felice, sono felicissimo per te perché puoi finalmente realizzare il tuo sogno, e io chi cavolo sono per rallentarti, per impedirtelo?

Lo so, e mi sto impegnando, e sono felice per te. Ma questo lo penso solo quando sono lucido.

Invece quando i miei colpi non vengono come vorrei e non c'è più nessuno che mi sprona, quando mi ferisco e realizzo che se voglio salvarmi devo curarmi da solo, o trascinarmi da solo alla capanna dei Banditi, quando mi viene in mente una cosa divertente e sto per dirla e mi rendo conto che non c'è nessuno ad ascoltarmi...

Mi viene da piangere, e tanto.

Mi avete lasciato da solo, è inutile dire di no!

E il brutto è che lo so. Se tu tornassi indietro perché avevi paura che mi io sentissi solo, ti rispedirei indietro a calci nel sedere, per forza. Perché è la cosa giusta.

E in fondo la maggior parte delle volte non è così dura, sai? Posso ridere anche da solo. E Dadan non è davvero così antipatica. E ci sono dei banditi che ogni tanto vengono con me a caccia e dicono che sono bravissimo e vogliono imparare da me. E al villaggio ci sono dei ragazzi che mi trovano anche simpatico.

Ma nessuno è come te.

Mi alleno tantissimo, sai? Là dove una volta ci allenavamo noi tre, esattamente là. Sai che ci sono ancora alcuni dei nostri vecchi tabelloni? Mamma mia, ero una vera frana. Perdevo sempre! Bé, è lì che vado ad allenarmi con i miei colpi Gomu Gomu, e sto diventando sempre più forte, solo...

Bé, solo che mi manca non sentirti sbuffare e lamentarti dell'inutilità del mio frutto, Ace. Mi mancano i tuoi consigli, sempre sputati con difficoltà, brevi e concisi, ma di grande utilità.

Mi manchi tu.

Sei partito da quasi tre mesi, quindi lo so che è ancora presto. Tra un po' comincerò a farmene una ragione sul serio e mi convincerò davvero che è la cosa giusta, perché lo so che qualunque cosa succeda io e te saremo fratelli. Inseparabili.

Ma allora perché mi sento così lontano?

“Dai il meglio di te!”

L'ultima cosa che mi hai detto, è di dare il meglio di me. Ti riferivi all'allenamento? Guarda che ce la sto facendo davvero. La mia forza aumenta di giorno in giorno, te lo posso assicurare!

Oppure, parlavi appunto del fatto che per me sarebbe potuto essere difficile vivere sapendoti lontano?

In questo caso hai azzeccato, come al solito. È difficile, per quanto mi sforzi a negarlo.

Ma dare il meglio di me significa anche questo, no? Mettere in mezzo la mia parte migliore, sfruttare tutto il possibile, apposta per arrivare in cima.

Tu ogni tanto eri un po' burbero, però me l'hai detto spesso. Che il mio sorriso era la parte migliore di me, intendo.

Allora è questo che intendevi? Devo dare il massimo, impegnandomi per diventare il prossimo Re del Pirati, ma dando il meglio di me. Sfruttando la mia parte migliore, facendo sempre buon viso a cattivo gioco.

So che ce la posso fare, ce la devo fare e ce la farò.

Non è come se tu fossi morto, no? Assolutamente no, è diverso. Stai vivendo avventure strepitose, stai vedendo il mondo esattamente come avevi sempre sognato.

Chissà se ti sei già fatto una ciurma? Chissà se hai già una nave? Chissà come vi chiamerete? Chissà quando avrai la prima taglia sulla testa?

Non vedo l'ora di incontrarti di nuovo, Ace.

Fino ad allora...

“Gomu Gomu no... Pistol! Ops, scusate! No, non miravo a voi! Mi spiace, mi spiace! Ehm, lo ripagherò con il tesoro. Ci si vede!”





Angolo autrice:

Uhm, no, ok, devo essere terribilmente breve perché la connessione potrebbe sparire da un momento all'altro. Già.
Oh, questa davvero non mi convince, ma che posso farci? Mi stavo appunto chiedendo l'altro giorno, ma il povero Rufy che resta tutto solo soletto tre anni? Cioè, tre anni mica sono pochi.
E anche se era tutto sorrisi e allegria, lo so che ha sofferto, LO SO. Punto.
Quindi... ecco cos'è venuto fuori. Perché Rufy lo sa, no, che in fondo per dare il meglio di sé deve sorridere. E su, non è terribilmente fluff e bellissimo quando sorride, ditelo che lo è! Rufy sei il mio amore!
Uhm, no.
Come al solito grazie di cuore a tutti quelli che recensiscono, ragazzi prima o poi risponderò! Giuro!
Un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 15
*** Look at me ***


LOOK AT ME

 

“Ace, guardami!”

“Sto dormendo, Rufy.”

“Dai, dai, guarda! Guardami!”

“No, ho detto che sto dormendo.”

“E allora perché parli?”

“Parlo nel sonno, ovvio.”

“Su, Ace! È pomeriggio!”

“Ma abbiamo cacciato tutto il tempo, fa troppo caldo per stare svegli.”

“Oh, per favore! Non riuscirò a resistere ancora per molto! Guarda!”

“Non guardo, punto e basta.”

“Allora non lo vedrai mai. È questo che vuoi?”

“Se ti fa stare zitto...”

Dai!

“Rufy, chiudi quella bocca, su!”

“Non sto zitto finché non mi guardi! Guardami, Ace!”

“Ma poi mi lasci riposare?”

“Garantito!”

“Vuol dire che devo alzarmi?”

“Basta che apri solo gli occhi, dai, guardami!”

“...”

“Allora?”

“Come diavolo hai fatto a incastrarti in quel modo? Rufy, non ti snoderai mai più!”

 

 

Angolo autrice:

Uhm.. Bé, salve? ^^''
Ok, lo so, lo so. Giovedì. È giovedì e io salto fuori solo adesso. Mi spiace tantissimo di avervi fatto aspettare tutti così tanto, e per un capitolo così piccino, poi! ç.ç
Il capitolo in realtà era già pronto da un millennio, e avevo intenzione di postarlo ieri. Qui siamo in Puglia (olèè! Mare! *.*) e mi son detta: “stasera lo posto, appena torniamo a casa dalla spiaggia”. Poi però la mia famiglia è saltata su con “Visitiamo la città XXX della quale ti dimenticherai il nome nel giro di un giorno!”
Poi una cosa tira l'altra, abbiamo cenato fuori e quando siamo tornati niente, siamo andati a dormire ç.ç
Qui la casa è piccolina, è difficile accendere il pc per aggiornare... Scusata? *puppy face*
Seriamente, questo capitolo non è niente di che, come tutti quelli strutturati in questo modo (ehi, era dai tempi di Hot e poi Naked che non ne vedevate uno così, eh? Ditelo, che vi erano mancati ù.ù) ma spero che vi abbia fatto sorridere! ^^ In sostanza Rufy si è... uhm... aggrovigliato, ecco. C'è da andarne fieri, piccolo.
Uhm, sono riuscita a fare l'angolo più lungo della storia in sé O.O
A presto, un bacione!
Vostra
Emma ^^

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Capitolo 16
*** What I believe ***


WHAT I BELIEVE


Sabo ed Ace erano molto concentrati.

Costruire una base segreta in cui vivere non era roba da nulla, e lo sapevano bene: bisognava procurarsi i materiali, studiare la migliore disposizione dello spazio, sfruttare la luce solare e assicurarsi che la base non crolli...

Tutte cose abbastanza semplici, a pensarci bene. I veri e propri problemi iniziarono piuttosto quando si trattò di trascinare tutte le travi e i materiali in cima all'albero.

“Usiamo delle carrucole...” propose Sabo, mordicchiando la punta di una penna e studiando i loro progetti.

“Ma dove le fissiamo? Abbiamo stabilito che il rifugio starà sui rami più alti, quelli ancora più in su saranno troppo deboli per sostenere un simile peso...” ribatté Ace, indicando una parte del disegno.

“Ragazzi! Che fate?”

Rufy era leggermente stufo di doversene stare buono e zitto a non fare niente mentre i suoi fratelloni progettavano e studiavano e facevano tutte quelle cose noiose. Il peggio era che lui proprio non poteva aiutarli, né guardarli, né ascoltarli né stare nel raggio di un chilometro di distanza, perché altrimenti li avrebbe deconcentrati. Più noioso di così...

“Rufy! Ti abbiamo detto mille volte di non intralciarci!” si lamentò infatti Ace, scacciandolo con un gesto della mano.

“Dicevamo... Allora, delle assi messe trasversalmente?” borbottò Sabo, tornando concentrato.

“Troppo difficile, poi scivola tutto giù. Magari una scala...” ribatté Ace, pensoso.

Rufy allungò il collo per sbirciare i progetti degli altri due, ma fu brutalmente rispedito indietro da un calcio di Ace. Probabilmente non intralciarci significava proprio non intralciarci.

“Secondo me però-” attaccò Rufy, risentito, ma Ace lo zittì.

“Taci.”

“Ma io credo che-”

“Ho detto di stare zitto!”

“Insomma, Ace, se-”

“Cuciti quella bocca!”

“Quello che credo è che-”

Basta!

Ace rischiava di esplodere: quel ragazzino non lo avrebbe mai lasciato in pace, lo sapeva fin troppo bene. Ma perché a lui? Cos'aveva fatto di male? Era troppo chiedere qualcosa come cinque, dieci minuti di pace?

Probabilmente sì, dal momento che Rufy sembrava sull'orlo di una crisi isterica.

Ma non aveva la minima intenzione di dargliela vinta, questo mai e poi mai.

Con un grugnito si voltò dall'altra parte, chinandosi nuovamente sui suoi progetti e cercando una stupida soluzione, sperando che Rufy semplicemente se ne andasse. Speranza vana, ovviamente.

E infatti... “Ace, ma io dicevo solo che se-”

“La vuoi piantare? Vattene!” ruggì Ace, spingendolo a terra. “Abbiamo questo problema delle carrucole da risolvere, e se tu non ti sbrighi a sparire ti riempio di botte fino a farti sanguinare!” esplose, alzandosi e assumendo un'espressione tale da far spaventare persino le pietre.

Rufy incassò la testa tra le spalle e si voltò, imbronciato, facendo per andarsene. “Allora non vi proporrò di usare le mie braccia allungabili per tirare su le travi. Bene, me ne vado.” borbottò, andandosene.

“Bene!” rispose Ace, prima di realizzare cos'avesse appena finito di dire il minore.

Guardò i suoi progetti, poi le braccia di Rufy. Poi i progetti, poi le braccia...

“Rufy! Torna indietro!” gridò, correndogli dietro.

“Sì, per favore!” esclamò Sabo, alzandosi con urgenza e prendendo ad inseguirli.

“No, troppo tardi! Ormai vi arrangiate!” gridò Rufy, scappando a gambe elevate.

E mentre i suoi fratelli lo rincorrevano implorandolo di fermarsi e aspettarli, Rufy non poté fare a meno di ridere come un pazzo.

Per una volta erano loro ad inseguire lui! Che bella sensazione! Doveva solo scappare e scappare e scappare e...

Preso!”

… e magari andare un po' più veloce.










Angolo autrice:
Ehilà! Come procedono le vacanze? Finalmente io ho raggiunto un posto dove internet va all'89% delle volte, quindi mi reputo soddisfatta (?)
Questo capitolo è uscito decisamente per caso, ma in fondo mi piaciucchia. Uhm. Un po'. Forse.
Ok, cos'ho appena detto.
Semplicemente, immaginare Sabo e Ace che si scervellano per trovare una soluzione che Rufy cercava di suggerirgli da un secolo è stato così divertente! XD
Oh, bé, in ogni caso. Oggi sono andata in piscina, perché qui dove sono il mio allegro condominio possiede una bella piscina all'aperto con tanto di campo da tennis (sempre stata una schiappa a tennis) e una piscina per i piccoli e una per i grandi. È bello, non c'è mai troppa gente. Oggi, preda dei migliori buoni propositi della storia, ho fatto la bellezza di trenta vasche. Inutile dire che ormai somiglio più ad un'ameba che ad un essere umano, ma pazienza. Sport! Sempre e solo sport! Dimagrirò! Bisogna esserne convinti, sìssì ù.ù
Ora vi lascio (andrei a dormire ora, se non dovesse CENARE). Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ci sentiamo presto!
Un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 17
*** Bleed ***


BLEED
- sanguinare -

 



Ace sbuffò, e una piccola nuvoletta di fumo gli uscì prepotente dalla bocca.

Perché l'Inverno doveva essere così... freddo? Una volta un marinaio di passaggio gli aveva raccontato di un'isola in cui era sempre estate, e allora perché cavolo da lui doveva nevicare tanto spesso?

Oh, faceva meglio a non pensarci.

Raggiunse il loro rifugio trascinando su la sua preda – era il primo ad arrivare, come al solito.

Sfregò le mani per riscaldarsi, senza nemmeno cercare di mettersi comodo o di trovare qualcosa da fare mentre aspettava gli altri: se lo conosceva, Rufy sarebbe arrivato da un momento all'altro. E infatti...

“Ace! Ci sei già?”

La sua preda era pateticamente piccola, notò Ace con rassegnazione, ma sapeva bene che Rufy voleva a tutti i costi fare in fretta, era un altro dei suoi stupidi capricci. Di conseguenza prendeva il primo animale che vedeva, senza curarsi delle dimensioni.

“Ci sono, sali!” si limitò a gridare, gettandogli la scaletta.

“Uff! Ehi, Ace! Oggi ho preso un animale molto più grande degli altri giorni!” gridò Rufy, e la nuvoletta che gli uscì dalla bocca sembrava quasi più grande della sua testa.

“Fa' piano!” si lamentò Ace, esaminando il cinghiale di Rufy. Non era grande un quarto del suo coccodrillo, ma decise di non farglielo notare.

“Ace, devo dirti una cosa incredibile, stupenda, favolosa, galattica, eccezionale! Volevo dirla quando c'eravate tutti, ma non ne posso più di stare zitto! Quando torna Sabo lo dico anche a lui!”

Ace si preparò psicologicamente al peggio. “Ehm, sei sicuro di...” tentò, ma già Rufy non lo ascoltava più.

“Mentre tornavo qua con la preda per sbaglio sono finito al villaggio.” attaccò infatti, e Ace si lasciò cadere sul pavimento, scuotendo mestamente il capo. Tipico suo, sbagliare strada così tanto.

“Davvero?” commentò, stanco.

“Sì, e allora già che c'ero sono andato a trovare Makino, per vedere se mi offriva qualcosa.” proseguì il ragazzino.

Logico, pensò Ace.

“Ma indovina chi ho incontrato alla sua locanda? Eh? C'era il nonno!” esplose Rufy, senza lasciare ad Ace il tempo di indovinare.

“Lui mi ha visto con la preda in spalla e si è messo a ridere, dicendo che sarei diventato un ottimo Marines eccetera eccetera, e poi ha detto che mio padre sarebbe fiero di me perché anche lui faceva cose così quand'era giovane. Allora io gli ho chiesto, e chi è mio padre? Lui ha detto che è un pazzo scavezzacollo proprio come me, e che vaga per il mondo e non fa che ficcarsi nei guai, però ha detto che io gli somiglio tantissimo! Ha detto somiglio, capisci? Non somigliavo! Significa che mio padre è vivo, vivo! Ha sempre detto che ero orfano, e invece un papà ce l'ho! E va per mare, ed è come me!”

Ace aveva seguito il racconto con interesse sempre crescente, ed ora non riusciva a crederci.

Cioè... anche Rufy aveva un padre.

Lui era l'unico orfano.

Fino a quando l'alternativa di padre era stata quella di Sabo per Ace era stato facile non lasciarsi abbattere: in fondo, erano tutti sulla stessa barca. Padre assente, padre malvagio, padre sbagliato, padre di cui ci si vergogna.

Ma così... così... Rufy li aveva superati, lo aveva superato! La rabbia di Ace esplose senza che lui facesse il minimo tentativo di fermarla. Rufy ancora continuava a blaterare, incurante di tutto.

“... E ti immagini se mio padre fosse un pirata? E se magari fosse addirittura Shanks? Certo, può darsi che lui non lo sappia ma appena glielo dirò mi prenderà nella sua ciurma, anche se ho solo sette anni, perché...”

“Smettila!” esclamò, alzandosi di botto.

“Ma perché, Ace?” chiese Rufy, confuso.

“Tuo padre non è Shanks. È troppo giovane, e poi come può Shanks essere figlio di Garp?”

Ace si complimentò con sé stesso. Un ragionamento lodevole.

“Uhm, no, magari no, hai ragione. Però può sempre essere un pirata, giusto?” sorrise Rufy, e quel sorriso fu la goccia che fa traboccare il vaso.

Ace lo spinse indietro e uscì di corsa dal rifugio, gridando: “Tuo padre può essere quello che gli pare, ma non vedo perché tu lo debba venire a dire a me!”

Prese a correre, e la neve che gli sferzava il viso non bastò a calmargli i bollenti spiriti.

Rufy aveva un padre.

Ma perché lui invece no? E se il padre di Rufy fosse stato una persona eccezionale, fantastica? Come avrebbe potuto Ace guardarlo ancora negli occhi, conoscendo il distacco che c'era tra loro? Perché lui era figlio del demonio, non importava se era vivo o morto. Gol D Roger lo avrebbe sempre perseguitato, ne era certo.

“Ace! Ace, aspetta!”

Rufy lo stava inseguendo. Chissà perché la cosa non lo sorprendeva?

Ma Ace non se ne preoccupò. Era più veloce, staccare Rufy sarebbe stato un gioco da ragazzi.

Certo che era stufo, però! Possibile che l'ombra di suo padre dovesse continuamente rovinargli l'esistenza? Bastava che Rufy dicesse una parola di troppo che, bum!, Ace esplodeva. Come poteva pensare di continuare così?

“Ace, aspett... Ahia!” Ace sentì un rumore come di qualcosa che sbatteva per terra, subito seguito dal pianto sguaiato di Rufy.

Esitante, si fermò e si voltò: Rufy doveva essere inciampato in una roccia nascosta dalla neve, e a giudicare dalla sua caviglia l'aveva presa in pieno: il sangue stava già colando giù dal piede a impregnare la soffice neve sottostante, tingendola di rosso scuro.

Rufy continuava a piangere, disperato, e Ace non se la sentì proprio di continuare a scappare.

Sbuffando e maledicendosi, tornò indietro e si accucciò al fianco del fratellino.

“A-Ace...” balbettò quello, osservando sconvolto la caviglia sporca di sangue.

“Oh, ma che scemo che sei!” sbuffò Ace, prendendo a tamponare la ferita con della neve. Non era il massimo, al momento, ma di più non poteva fare, e sperava potesse bloccare un po' l'emorragia.

“Senti, per prima...” attaccò Ace, a disagio, una mano dietro la testa.

Così, a mente fredda, sapeva di aver reagito in maniera esagerata. Però l'idea di Rufy tutto pappa e ciccia con questo misterioso padre ancora gli faceva venir voglia di spaccare tutto!

Ma poi lo sguardo cadde sulla gamba di Rufy, ancora sanguinante, e si diede dello stupido: non era suo preciso dovere badare a suo fratello e vegliare su di lui? Sentirlo singhiozzare, vederlo in quelle condizioni... Oh, come aveva potuto?

“Rufy, io non intendevo offenderti. Se hai un padre, bé... va bene... Meglio per te, io credo...”

Ma Rufy tirò su col naso e lo interruppe. “No, Ace, è una cosa stupida. In fondo io non l'ho mai visto, lui non si è mai preso cura di me e non mi ha mai consolato quando mi ero fatto male, insomma... non mi ha cresciuto lui, non mi ha fatto ridere e non mi ha raccontato le storie e non mi ha mai protetto, quindi non è mio padre. Cioè, uffa... Non serve un granché avere un padre così. È come non averlo. Volevo solo dirtelo perché era una cosa nuova che mi aveva detto il nonno, tutto qua.” concluse, alzando le spalle e cercando valorosamente di asciugarsi le lacrime, ma Ace aveva capito che in ogni caso il più piccolo c'era rimasto male.

Lui non si è mai preso cura di me e non mi ha mai consolato quando mi ero fatto male. Non mi ha cresciuto lui, non mi ha fatto ridere e non mi ha raccontato le storie e non mi ha mai protetto..

Forse era la verità era che a Rufy mancava un padre, gli mancava davvero. Per tutte quelle cose, quei piccoli gesti, quelle attenzioni che in sette anni non aveva mai ricevuto, vivendo solo con Garp. Forse voleva semplicemente illudersi un pochino, sperare che da qualche parte una persona da chiamare papà esistesse davvero, una persona pronta a curarti, ad asciugarti le lacrime e a volerti bene sempre, qualunque cosa accada.

E appena lo pensò, Ace capì che era davvero così, doveva esserlo per forza.

Di colpo sentì di odiare quell'uomo: come si era permesso di abbandonare Rufy al suo destino? Perché non era lì a consolarlo, non capiva che suo figlio aveva bisogno di lui, che piangeva perché si era fatto male, che lo voleva con tutto il cuore?

Ace raddrizzò le spalle fiero. Sapeva cosa dire. “Io sono stato un idiota, però sai una cosa? Sono qui, e se vuoi sono pronto a fare tutte quelle cose che dovrebbe fare tuo padre e che invece non ha fatto. Quindi vieni qua, che vediamo di curare quella gamba.”

Lo avvicinò a sé, permettendogli di appoggiarsi al suo petto, e con un'altra manciata di neve pulì del tutto la ferita, tamponandola con attenzione.

Mi vedi, papà di Rufy? Qui c'è qualcuno che sa come si fa, a badare a lui. Ma ti sembra così difficile? Pensava, stizzito.

“Ehi, Ace...” Rufy non singhiozzava più.

“Sì?”

“Non sanguina più, Ace. Va bene.” sorrise Rufy, e nonostante la neve stesse ancora cadendo Ace sentì caldo in tutto il corpo. “Non sanguina più.”








Angolo autrice:
Aaaahww, ma non sono dolci? Vero che lo sono? Ok, ora mi riprendo. Solo... Li trovo sempre più adorabili! <3
Davvero, questa raccolta mi sta piacendo tantissimo, sono davvero felice di essere qui a scrivere con voi Persone Meravigliose che mi seguite! Mi scaldate il cuore in una maniera...
Perché queste smancerie proprio adesso, dite? Bé, il fatto è che ho finalmente deciso qualcosa di importante: la raccolta va a finire nel capitolo 25. Ne mancano ancora 8, quindi. E li ho finiti l'altro giorno, oggi li ho riletti tutti per essere sicura e penso proprio di aver finito tutto quanto.
Continuerò ovviamente a pubblicare ogni mercoledì come al solito, non vi preoccupate, solo... sento uno strano senso di vuoto ç.ç
Vi ringrazio davvero tutti quanti per l'apporto meraviglioso che mi avete dato! ^^
E ora vi lascio alle vostre allegre vacanze, sperando che siate messi tutti bene: io ho realizzato da poco che ormai alla scuola manca poco e mi ritrovo una mole di compiti da fare invidia a... a... a chiunque abbia tanti compiti, ecco ç.ç Boh, me la caverò. Spero. Credo. Forse.
Ciao a tutti!
Un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 18
*** Still Waiting ***


STILL WAITING



Crocodile.

Era tutta colpa sua se Bibi si era messa a piangere, e Rufy non gliel'avrebbe perdonata tanto facilmente.

Per questo aveva lottato contro di lui, ma aveva fallito: Crocodile lo aveva trafitto con quel suo uncino e ora Rufy stava annaspando nelle sabbie mobili create da quell'uomo, perché non esisteva al mondo che si facesse sconfiggere da uno come lui!

Cercare di non sprofondare però era dura, e la pancia gli bruciava un casino. Se solo avesse avuto della carne, sentiva che sarebbe bastato quello!

Lui odiava la sabbia. Al Monte Corvo non ce n'era, di sabbia, solo terriccio e aghi di pino e spazzatura. Intorno ai laghi o ai fiumi c'era solo erba, al massimo terra: tutti quei minuscoli granelli erano così scomodi, così fastidiosi...

Non poteva resistere là dentro ancora per molto, decisamente. Anche perché ormai aveva la testa sotto la sabbia da un bel po', e aveva voglia di respirare. Ma come faceva a tornare su?

Oh, lui voleva solo della carne!

… Rufy si stava abbattendo. Così non poteva andare avanti, no? La pancia faceva un male cane e ora ci si mettevano anche i polmoni. Se solo fosse riuscito a far sbucare la testa dalla sabbia, avrebbe potuto gridare e magari qualcuno gli avrebbe portato del cibo, però... Come diavolo faceva a risalire? Su queste cose non si era mai allenato, maledizione!

“Ehi, non ti starai arrendendo, vero?”

Rufy rispose con un no secco e deciso, più per abitudine che per altro.

Poi cominciò a chiedersi come mai la voce di Ace fosse riuscita a raggiungerlo in un posto come quello.

“Ecco, bravo. Se non ti stai arrendendo, allora cosa hai intenzione di fare?” proseguì Ace, ghignando.

“E tu che ci fai qui?” replicò Rufy. O meglio, cercò di replicare. Aveva la bocca piena di sabbia, non dimentichiamocelo. E anche le orecchie. Insomma, come faceva Ace a parlargli?

“Ma è ovvio, no? Il mio fratellino è nei guai e io sono qui, come al solito.”

Decisamente, quella voce Rufy la sentiva nella sua testa. Bé, allora o stava morendo o aveva le allucinazioni dalla fame. Entrambe abbastanza plausibili, anche se Rufy tendeva decisamente per la seconda.

“Bé, non mi sto arrendendo, è solo che ho male alla pancia e vorrei respirare un po'. Ah, già, e ho fame.” rispose Rufy, alzando le spalle. “Niente di irrisolvibile.”

Gli sembrava quasi di vederlo, Ace, seduto a gambe larghe davanti a sé. Era così tangibile, reale, vicino.

Si erano appena separati, e già Rufy sentiva quanto gli era mancato.

“Niente di irrisolvibile, esatto, e allora... Perché non lo risolvi?”

Rufy cominciava ad arrabbiarsi: non era Ace quello con la pancia bucherellata, cavolo! Se non stava attento, quando mangiava rischiava di far uscire tutto dalla ferita, e quello sì che sarebbe stato un trauma. Ma Ace no, lui se ne stava là buono buono a parlare. Come se non avesse bisogno d'aria anche lui!

“Sono sotto delle sabbie mobili. Dammi tempo di pensare!” si offese infatti, ignorando il ghigno che non sembrava voler lasciare le labbra di suo fratello tanto facilmente.

“Sveglia. Non c'è tempo per pensare, o morirai. Ora devi alzarti e respirare, devi uscire da qua. Hai capito?” la voce di Ace era cambiata, era più seria, più matura. Rufy si spaventò un po'.

“E come faccio? Dove la trovo la forza di uscire da qua, conciato come sono?” chiese, piano.

“Devi dirmelo tu.” rispose Ace, enigmatico.

Oh, Rufy l'avrebbe preso a pugni, se non fosse stato sotto la sabbia in bilico fra la vita e la morte.

“Rufy? Sto ancora aspettando.”

La risposta o il pugno? Avrebbe voluto chiedere Rufy. Ma siccome era vagamente scontato, decise di lasciar correre.

Ora il problema più importante era: come faceva ad uscire?

E se non ce l'avesse fatta, cosa sarebbe successo?

Ace era ancora lì, stava aspettando una risposta, Rufy lo sentiva presente.

E cos'aveva detto Ace prima di salutarsi? “Ci rincontreremo da veri pirati!”

Eh no, Rufy non poteva assolutamente morire in un posto del genere! La risposta ce l'aveva dentro, l'aveva sempre saputa.

La forza per uscire da lì... gliela dava Ace, come sempre. Anche quando non c'era per davvero.

“CIIIIIBOOOO!”





Angolo autrice:
Uhm, ok, allora... Siamo tornati ad Alabasta! ^^ Questo perché in fondo dai, ne avevo scritta solo una, e con "sto ancora aspettando" la prima cosa che mi è venuta in mente è stata Rufy nei guai e ha un'allucinazione in cui vede Ace che lo motiva ad andare avanti. Allora è saltata fuori l'idea di quando Crocodile lo buca nel petto e dopo un po' la testa di Rufy spunta fuori dalla sabbia.
Insomma, Ace ci sarà sempre per lui e io- io- AW.
Oh, no, sto bene. Più leggo/scrivo/fangirleggio di loro, più li amo, sinceramente.
Siamo tornati in città, e la scuola riparte tra una settimana. Sono orgogliosa di affermare che entro domani io avrò finito tutti i compiti! Così avrò una settimana di niente prima della scuola, vivamè.
Nel frattempo faccio indigestione di Efp, che male non fa ^^
Oggi ho guardato Romance Dawn, quell'OAV o come cavolo si chiama di One Piece, trentatré minuti di Rufy che senza essere OOC quasi-flirta con una bella ragazza. CIOÈ. Toei Animation, sei tutti noi.
Mi è piaciuto tantotanto (soprattutto la fine, mano nvi dico niente xD) quindi vi consiglio di andarlo a vedere, basta scrivere "One piece Romance Dawn sub ita" e vedrete quanti ne saltano fuori. Su. Andate.
Ok, scherzi a parte. Grazie ancora di tutto cuore a chi continua a recensire, siete stupendissimi e vi vogli otanto bene! ^^
Ciao a tutti, a presto!
Un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 19
*** I wonna break free ***


I WONNA BREAK FREE
- voglio liberarmi -



“Ace! Mi aspetti un attimo, solo uno!”

Il ragazzo sbuffò e rallentò un poco, quanto bastava perché Rufy non lo perdesse di vista.

“Sei lento!” lo schernì, saltando a piedi uniti una radice sporgente.

Tre... Due... Uno... “Ahia!”

Tipico, Ace se l'aspettava: Rufy era inciampato.

Sospirando, tornò indietro e aspettò che il fratellino si rimettesse in piedi.

“Quella cosa mi ha colto di sorpresa.” affermò il più piccolo, alzandosi e sfoderando poi un enorme sorriso.

“Sarà... Su, muoviti, stiamo perdendo tempo.” ribatté Ace, scuotendo la testa.

Rufy partì in testa, ma quel preciso punto del bosco a Ace ricordava qualcosa... “No, aspetta, fermo!” gridò, ma Rufy già non lo ascoltava più.

Il maggiore fece appena in tempo ad afferrarlo e spingerlo dietro di sé, prima di sprofondare in una trappola scavata nel terreno.

L'impatto con il fondo fu decisamente più doloroso del previsto.

“Ace! Ace, stai bene?” La voce di Rufy era così distante...

“Sì, scemo! Mi spieghi come hai fatto a dimenticarti dov'era la trappola? L'abbiamo fatta noi!” si lamentò Ace, prima di esplodere in una smorfia di dolore. La spalla, la spalla...

“Oh, mi dispiace talmente tanto... Riesci ad arrivare al mio braccio?”

Ace alzò lo sguardo.

Poco più sopra di lui, a metà strada tra l'inizio della buca e il punto in cui si trovava, un braccio di Rufy penzolava incerto.

“No, è troppo lontano. Rufy, io non posso muovermi. Tu...”

“Vado a cercare Sabo!” lo interruppe subito il bambino, agitato. “Trovo Sabo e poi... poi torno! Faccio in un lampo, e vedrai che ti libereremo! Ace, ti libereremo, ok?”

Il maggiore ritenne che rispondere ok sarebbe stato troppo ovvio, senza contare che stava facendo appello a tutte le sue energie per non mettersi a gridare dal dolore.

Rufy gridò un torno presto, poi fu solo silenzio.

 

* * *

 

Doveva trovare Sabo.

Doveva trovare Sabo.

Non poteva permettere che Ace rimanesse in quel buco chissà dove nella giungla, stava anche male, Rufy ne era certo!

Si era fatto male per proteggerlo, quindi ora Rufy doveva liberarlo.

Cercò Sabo in lungo e in largo per tutta la foresta, perdendosi anche diverse volte. Alla fine, stremato, si ritrovò chissà come davanti alla capanna di Dadan.

“Ehi, ragazzi... Sabo è qui?” gridò, entrando di corsa.

“Sì, eccomi. Che succede, Rufy?” chiese il ragazzino in questione, spuntando fuori dalla loro stanza.

Rufy ringraziò mentalmente ogni divinità reale o immaginaria per avergli fatto trovare Sabo così in fretta... Insomma, fretta: quanto tempo poteva essere passato?

“Vieni! È successa una cosa terribile!” esclamò con urgenza, trascinandolo fuori.

“Mi spieghi cos'hai da urlare? E dov'è Ace, non eravate usciti insieme?” chiese Sabo, cominciando a preoccuparsi.

“È questo il punto!” disse Rufy, ormai prossimo ad una crisi di pianto. “Eravamo vicini ad una delle nostre trappole e io non me ne sono accorto, allora Ace per impedire che io ci cadessi dentro è finito giù in fondo! Si è anche fatto male!” esclamò tutto d'un fiato.

A Sabo parve di leggere la disperazione nella voce di Rufy, una disperazione terribile.

“Su, sta' calmo. Per prima cosa ci serve una corda.” constatò il biondo, rapido, e in men che non si dica entrò nella capanna.

Rufy lo seguì fino alla loro stanza, dove Sabo cominciò a srotolare vari mucchi di corde.

“Questa sarà abbastanza lunga?” chiese, pratico.

“No, è più in basso.” rispose subito Rufy, mordendosi il labbro.

Allora, pensò Sabo con un velo di preoccupazione, era davvero in basso. Come gli era venuto in mente di lasciare delle trappole del genere in giro per il bosco?

“Questa può andare.” fece Rufy, indicando una corda lì vicino.

“Ok, andiamo.”

Ma non appena uscirono dalla capanna, sorse il problema più importante...

“Allora, da che parte era, Rufy?”

“...”

 

* * *

 

Ace cominciava a stufarsi di aspettare.

Sapeva che Rufy poteva metterci dei secoli ad arrivare da un posto all'altro, e Sabo poteva trovarsi chissà dove, però...

Però non poteva sbrigarsi, maledizione?

Ormai non ce la faceva più, quella spalla l'avrebbe ucciso. Avesse almeno avuto una stecca, o delle bende... E meno male che almeno non usciva sangue, altrimenti sì che sarebbe stato fresco!

Cercava in tutti i modi di calmarsi, di aspettare tranquillo tranquillo e di non pensare al male né alla prospettiva di restare intrappolato laggiù ancora per molto, ma non era semplice.

“Oh, che diavolo. Io voglio liberarmi, non starmene qui senza fare niente aspettando di morire!” sussurrò, stizzito. “Dove sei, Rufy?”

 

* * *

 

Vagavano da un tempo che sia a Rufy che a Sabo sembrava interminabile.

Ma per Rufy la foresta era tutta uguale, accidenti!

“Stai calmo. Non ti agitare, ok? Lo ritroveremo, vedrai. Devi solo concentrarti un po', in fondo abbiamo piazzato solo dieci trappole di quelle dimensioni. Mal che vada, basterà controllarle tutte, non ti pare?”

Sabo, rifletté Rufy tirando su col naso, era davvero una persona eccezionale. Riusciva a tranquillizzarlo in qualunque occasione!

“Hai ragione, solo... Io ho paura di non ritrovarlo mai più!” disse, preoccupato. “Siamo partiti dalla radura di prima, ma poi... Siamo andati a destra, e...”

Inutile: più cercava di sforzarsi, più l'unica cosa che gli veniva in mente era l'immagine di Ace agonizzante sul fondo della buca.

Stava per scoppiare a piangere quando, improvvisamente...

Dove sei, Rufy?”

Eh no. Non se l'era immaginato, l'aveva sentito davvero.

Dove sei?”

Sembrava una supplica, sembrava che Ace stesse davvero male.

Ace aveva bisogno di lui. E quella voce era reale, e veniva da quella parte!

“Ci sono! Sabo, mi ricordo, è da quella parte!” esclamò Rufy, mettendosi a correre come un matto.

Aspettami. Sto arrivando, aspettami!

Sabo gli andò dietro finché, circa cinque minuti dopo, Rufy si fermò, ansimante.

“A-Ace?” balbettò il bambino, incerto.

“Rufy? Oh, ma quanto ci hai messo? Era ora, genio!” rispose una voce dal profondo della buca.

“Ace!” Sabo esultò di gioia. Oh, era fatta! Che sollievo...

“Ah-ah! Ce l'ho fatta, ho ritrovato il posto! La voce era giusta, portava proprio qui!” ridacchiò Rufy, incapace di trattenere la felicità.

“Eh?” fece Sabo, srotolando la corda.

“No, niente.” si limitò ad assicurare Rufy, smettendo di saltellare.

Sabo alzò le spalle e gettò la corda fino in fondo. Rufy ci aveva azzeccato, era della lunghezza giusta.

“Non riesco a prenderla, ho battuto la spalla.” li informò Ace, come se dire quelle parole fosse uno sforzo sovrumano.

“Uhm...” borbottò Sabo, guardandosi intorno. “Trovato!” legò la roccia ad un grande masso poco lontano, poi disse a Rufy: “Adesso io mi calo. Poi prendo anche Ace e torniamo su. Quello che devi fare è assicurarti che la corda tenga, altrimenti cadremmo tutti e due giù! Hai capito?”

Rufy annuì, concentrato.

“Ace, arrivo!” gridò Sabo, cominciando a scendere.

Rufy non staccava gli occhi dalla corda, attento. Ace, ti libereremo, sta' tranquillo!

Sabo si calava giù per la buca, lentamente, con attenzione.

Ho portato Sabo fin qui, ormai è fatta...

“Ehi, Rufy, ho raggiunto il fondo! La corda?” gridò Sabo, la voce distante.

“Qui va tutto bene, regge!” gridò di rimando Rufy.

“Sarà meglio.” borbottò Ace, ma Rufy lo sentì comunque.

La corda deve resistere, altrimenti come farà Ace?

Sabo ed Ace presero a risalire.

Rufy vedeva la corda tendersi, ma fortunatamente sembrava poter reggere. In ogni caso, lui non staccò gli occhi dal nodo che la teneva legata alla roccia nemmeno per un istante.

“Ci siamo quasi! Tutto a posto lassù?”

“La corda è ancora tutta a posto, andate avanti così!” esclamò Rufy, stringendo i pugni. Mancava poco, pochissimo, ce la potevano fare!

Improvvisamente, però, qualcosa alle sue spalle catturò la sua attenzione.

Si voltò di scatto, come colto da un orribile presentimento e... Impossibile! Era lui!

Rufy si mise subito in posizione d'attacco, squadrando con ostilità l'animale che aveva davanti. “Ancora tu!” sputò, brandendo il bastone.

L'animale era una specie di pennuto gigante, simile ad uno strano fenicottero rosa. Si stava avvicinando alla corda, e Rufy non poteva assolutamente permettere che la danneggiasse! Ace e Sabo avrebbero potuto farsi malissimo cadendo!

Corse addosso all'uccello, e lo colpì con il bastone. “Non ci provare!”

Certo, l'aveva già affrontato in passato ed era solo grazie ad Ace se ne era uscito vivo, però adesso Rufy era molto più grande!

Ho due mesi in più, adesso. Posso batterlo. Pensò, e fece partire un altro colpo, allontanandolo definitivamente dal masso a cui era legata la corda.

L'uccello emise un verso stridulo, lanciandosi contro Rufy con aria pericolosa, quando...

“Ehi, prenditela con uno della tua taglia, palla di piume!”

Era Ace!

Si teneva una spalla con aria dolorante, ma stava bene! Sabo era dietro di lui, e sorrideva staccandosi la corda dal fianco.

All'uccello bastò la vista dei due ragazzini per darsela a gambe levate.

“Uffa però, secondo me potevo batterlo.” mugugnò Rufy, offeso. “Stava per avvicinarsi alla corda, sai? Ma non potevo mica lasciare che arrivasse troppo vicino! Senti, Ace, per prima...” fece Rufy, rosso in viso.

Ace sbuffò. “Su, non importa. Era l'idea delle trappole che era pessima.” lo liquidò. Sabo annuì con molta forza.

“Però...” ribatté Rufy.

“Non importa. Sul serio. Ora sono libero.” lo zittì Ace con una sberla sulla testa.

Ma era vero: aveva veramente avuto un attimo di sconforto, laggiù nella buca. Quando Rufy era via già da un bel po' e la spalla faceva male e non riusciva a pensare a nient'altro.

In quel momento aveva chiamato Rufy con disperazione, lo voleva davvero, e aveva sentito la voce di Rufy gridargli in risposta. Aspettami. Sto arrivando, aspettami!

Era bastato quello, perché ad Ace tornasse di colpo tutta la forza.










Angolo autrice:
Ciao a tutti! Belli e brutti! Ehm, no, eh?
Sono in quella fase molto depressiva del domani-comincia-la-scuola-cosa-cavolo-ho-fatto-di-male-per-meritarlo, VOI MI CAPITE!? Ok, sto bene.
Sono abbastanza confusa riguardo il capitolo, precisamente perché è uscito da solo e la mia idea prevedeva che andassero a salvare Sabo, poi mi sono detta che la frase titolo la doveva pronunciare o Ace o Rufy e magari Sabo poteva andare a salvarli e bum!, è uscito questo. Come, non chiedetemelo.
Ah, e per la cronaca, non diciamolo a Rufy, ma mi sa tanto che quell'allegro fenicottero rosa non aveva nessuna intenzione di toccare la corda. Rufy voleva soltanto fare scena, diciamocelo. ù.ù
Grazie di cuore a tutti quei santi che leggono e commentano questa storia, ma io vi amo ogni giorno di più <3 <3 <3
Un bacione, per sempre (?) vostra
Emma ^^

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Capitolo 20
*** Crazy little thing called love ***


CRAZY LITTLE THING CALLED LOVE

 

Dalla porta spalancata entrarono tre ragazzini intenti ad inseguirsi e ad urlare come matti.

“Ahahahah! Avresti dovuto vedere la tua faccia, Ace! Troppo forte!”

Ace cominciò a chiedersi per quale assurdo motivo perdesse ancora tempo con due idioti simili. Davvero, non ne aveva idea.

“Su, Ace, non prendertela...” fece Rufy, scosso dai sussulti. “È solo che... la tua faccia faceva un po' ridere, ma solo un po', eh...”

“Solo un po'?” ribatté Sabo, facendosi cadere sul letto per ridere più comodamente. “Eri così rosso che pensavo stessi andando a fuoco!”

Al che anche Rufy riprese a ridere, e non la finivano più.

Ace li avrebbe uccisi, avrebbero sofferto tutti e due.

“Non è affatto vero!” gridò, cercando di sovrastare il rumore delle loro fastidiosissime risate.

“Stai scherzando!” replicò Sabo, asciugandosi le lacrime. “Ma se quando Makino ha detto che eri... adorabile... sei arrossito come un peperone! Sei cotto, amico, sei pazzamente innamorato!” E giù a ridere di nuovo.

Ma esisteva una legge non scritta secondo la quale era vietato uccidere i propri fratelli quando diventavano dei pazzi sclerotici? Perché Ace non la ricordava proprio...

“Sei pazzamente innamorato? Wow! È per questo che stavi zitto e non la guardavi?” si interessò Rufy, mettendosi a sedere e inclinando la testa. “E balbettavi così tanto e arrossivi in quel modo e sembravi appena uscito da una-”

Ace gli lanciò un'occhiata talmente omicida che Rufy si interruppe, lasciando a metà il discorso.

Ma Sabo non si faceva intimorire così facilmente, figuriamoci. “Sì, Rufy, è esattamente per questo: una pazza, piccola cosa chiamata amo-o-o-o-re!” ridacchiò, canticchiando.

Avrebbe sofferto. Sarebbe morto e Ace avrebbe ballato sulle sue ceneri.

“Ace?” Rufy smise di ridere, anche se si vedeva che la cosa gli costava un certo sforzo. Forse lui sarebbe anche potuto sopravvivere, al contrario di Sabo: certo, con qualche arto in meno, quello era sottinteso. “Ace, guarda che se sei innamorato di Makino a me sta bene. È mia amica, quindi hai il mio permesso.” concluse in tutta serietà.

No. Dovevano morire tutti.

“Come se mi servisse il tuo permesso per...” attaccò Ace inviperito, ma quando realizzò cosa stava per dire cambiò bruscamente discorso. “Che mi importa se ho o non ho il tuo permesso, tanto non sono innamorato di lei, come ve lo devo dire?”

Nessuno degli altri due sembrò dare minimamente peso alla sua affermazione, anzi Rufy riprese a sghignazzare. Sabo non aveva mai smesso.

Ambarabà ciccì coccò, li avrebbe bruciati, scuoiati, annegati o dilaniati? Ardua scelta...

“Sei sicuro?” chiese Rufy, avvicinatosi per squadrarlo dritto negli occhi.

Ace sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Sì! Sì! Certo che sono sicuro, idiota! Ma ti pare?” affermò con tutta la sicurezza che aveva.

Rufy si allontanò e cominciò a passeggiare avanti e indietro, assorto. “Ma.” attaccò, senza staccare gli occhi dal pavimento. “Se tu non sei innamorato di Makino...” Sabo deglutì, preparandosi al peggio. “Come fai a capire quando invece sei innamorato?” concluse il bambino sollevando lo sguardo, in attesa.

Al che Sabo iniziò a sentirsi leggermente in colpa. In fondo era stato lui a cominciare, ed ora Rufy sarebbe morto ucciso dalla furia omicida di Ace. Perché dopo una domanda del genere Ace non sarebbe mai rimasto tranquillo, mai. E lui, Sabo, avrebbe avuto quel povero, piccolo bambino sulla coscienza per sempre!

“Ehm, no, Rufy... Evita, ok? Ne parleremo tutti un'altra volta, su su... Andiamo...” Stava spingendo Rufy verso la porta, per farlo fuggire, quando Ace lo fermò.

“No, Sabo, fermo un attimo. Perché non glielo spieghi tu?” ordinò Ace, un ghigno spaventosamente familiare dipinto sul viso.

Sabo, che aveva già la mano sulla maniglia della porta, sentì il sangue che gli si gelava nelle vene.

“I-io?” balbettò, la voce che tremava.

“Sì, perché no? Racconta al nostro Rufy cosa si prova ad essere innamorati, come ci si sente. Coraggio.”

Ed ecco che la vendetta di Ace prendeva forma. Oh, quanto ci avrebbe goduto!

Sabo sembrò capire, e una volta certo di non avere alcuna via d'uscita prese il coraggio a due mani e cominciò. “Ehm, ecco... Vedi, Rufy, capisci di essere innamorato quando... Quando...”

“Quando?” lo imbeccò Rufy, impaziente.

“Quando pensi a qualcuno e... E gli vuoi tanto, ma tanto bene... Arrossisci, balbetti, hai mal di pancia... Vuoi che quel qualcuno sia felice, per farlo stare bene faresti di tutto, e... Argh! È complicato, Rufy! E tu, Ace, piantala di ridere! Dicevo...”

“Ace, quindi tu non vuoi che Makino sia felice?” lo interruppe Rufy, confuso.

Ace tentennò. “Bé, non è che la voglio morta, e se è felice sono contento per lei... Ma non ne sono innamorato, ho detto!” aggiunse subito, quasi gridando.

“Sono confuso.” proclamò Rufy, grattandosi la testa.

Sabo stava per rinunciare al proposito di spiegare al minore cosa significava essere davvero innamorati, quando Rufy prese a parlare di nuovo, concentrato. “Essere innamorati è una bella fregatura. Un po' arrossisci e non sai parlare, poi ti metti nei casini per far sì che l'altro sia felice e fai figuracce in continuazione, e per cosa? Per appiccicare la bocca su quella dell'altro e fare degli strani versi, come un cammello.” Rufy tentò di mimare l'espressione che avevano due persone quando si baciavano, aprendo e chiudendo la bocca come se stesse prendendo a morsi un cuscino.

Ace e Sabo fecero di tutto per non ridere.

“Insomma, Ace, se non sei innamorato di Makino è meglio così, perché se hai due fratelli che bisogno c'è di innamorarsi? È molto meglio restare noi tre e basta. Andiamo fuori a pescare?” concluse Rufy, schizzando fuori dalla porta. “Muovetevi!” gridò da fuori.

Ace e Sabo si fissarono per un istante.

“Certo che quel bambino ne dice di cose strane...” borbottò Ace grattandosi la testa.

“Ma no, secondo me è adorabile!” sghignazzò Sabo, facendo il verso a Makino.

Ace perse il controllo. “Adesso andiamo a pescare e ti affogo, Sabo, mi hai sentito? Ti affogo!” gridò, prendendo a rincorrerlo come una furia. Ma intanto rideva.

Se hai due fratelli, che bisogno c'è di innamorarsi?

Già, proprio nessun bisogno. E che Sabo se lo ficcasse bene in testa!











Angolo autrice:
Ehilà! Buongiorno a tutti!
In realtà per me non è stato proprio un "buon" giorno, perché oltre al solito tran tran oggi ho rischiato di perdere il cellulare (l'avevo dimenticato sul tram! Meno male che una mia amica l'ha visto e l'ha preso prima di uscire, poi però per punizione mi ha lasciata a lamentarmi e disperarmi per un'ora prima di tirarlo fuori... Ma non me la sento di odiarla, la mia piccola salvatrice ^^)
Poooi il mercoledì è un giorno d'inferno, perché abbiamo due ore di educazione fisica, le prime due (no, ma ci siamo capiti? Come si fa a fare due ore, già a metà della prima io sono mezza morta! Sarà un luuugn oanno scolastico).
Dulcis in fundo, dopo un'allegra lezione di matematica siamo passati a due ore di storia. E già ero stanca per prima, quindi figuriamoci...
Ecco, ora torno a casa e pubblico, così almeno ho fatto qualcosa che mi va di fare in questa allegra e simpatica giornata ^^"
Tornando a noi... Il titolo. Signore, il titolo. Ho passato vent'anni a decidermi su cosa scrivere, dal momento che "folle, piccola cosa chiamata amore" non è propriamente la frase che più ti aspetti nella bocca di Rufy o Ace (ma dai, in questo anime non c'è una storia d'amore riguardante questi due che si rispetti... Boa Hankock a parte, ovviamente XD)
QUindi ho deciso di mostrare il lato malvagio e diavoletto di Sabo (era davvero così calmo, santerellino e posato? Io non credo proprio...)
Che ve ne pare? Ah, e la "mossa del cammello" per imitare chi si bacia... ehm... con la lingua (non usiamo termini specifici che poi Rufy si impressiona) la facevamo sempre quand'ero piccola! Ripensandoci ora, muoio dalle risate :')
Grazie a tutti quelli che recensiscono e che leggono soltanto, mi fate tutti molto piacere!
Un bacione, vostra
Emma ^^

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Capitolo 21
*** The invisible man ***


THE INVISIBLE MAN



C'era una volta un uomo invisibile.
Era alto e magro, e aveva i capelli neri.

 

“Se era invisibile come fai a saperlo?”
“Rufy, sei una frana, lascia stare.”
“No, aspettate: ricominciamo.”

 

C'era una volta un uomo invisibile.
Se non fosse stato invisibile sarebbe stato alto e magro e con i capelli neri, ma tanto nessuno lo sapeva perché era invisibile.

Passeggiava tutti i giorni per la città e la foresta, ma tanto era invisibile e non se ne accorgeva nessuno. Ogni tanto andava a sbattere contro la gente, ma loro facevano: “Ahi! Rufy, mi hai dato un pizzicotto!”, senza sapere che invece era stato l'uomo invisibile.

 

“No, questo non ha senso.”
“Sta inventando la storia per pararsi il fondoschiena, cosa credevi?”
“No, non è vero, lasciatemi continuare!”

 

Insomma, la sua vita non era tanto male: si divertiva a fare in modo che i bambini prendessero colpe non loro, rubava quello che voleva e nessuno lo vedeva.
Una volta rubò un bel cappello arancione e se lo mise in testa, e gli stava benissimo.

 

“E nessuno si spaventava vedendo un cappello che volava da solo?”
“Voglio proprio vedere cosa si inventa adesso.”
“No, vi sbagliate! Lo metteva solo quando c'era vento, così tutti pensavano che stesse volando per i fatti suoi.”
“Buon salvataggio. Continua.”

 

Ma l'uomo invisibile, che per comodità chiameremo Invy...

 

“Mi rifiuto.”
“Sibby?”
“Nah.”
“U.I.?”
“Sei penoso.”
“Oh, lasciatemi raccontare!”

 

Ma l'uomo invisibile, che per mancanza di soprannomi continueremo a chiamare così, era molto solo.
Se provava a parlare la gente si guardava intorno e diceva “Eh? Rufy, smettila di prendermi in giro! Adesso ti faccio vedere io!”, mentre in realtà era stato l'uomo invisibile senza soprannome. Ed ecco che il povero bambino veniva ancora punito per qualcosa che non aveva fatto.

 

“Stai toccando il fondo, lasciatelo dire.”
“Quanta pateticità in una persona sola.”
“Siete cattivi!”
“Oh, adesso non fare il muso e va' avanti, che sono proprio curioso di vedere come va a finire!”
“Uhm, se la metti così...”

 

Dicevo, l'uomo invisibile era molto, molto solo. Non aveva nessuno con cui parlare.
E se gli prudeva la schiena non poteva dirlo a nessuno, e se voleva combattere con qualcuno non poteva, e nessuno gli preparava mai da mangiare!

 

“Traduzione: tu, Rufy, se fossi invisibile moriresti dopo due giorni.”
“Direi! Non c'è nessuno che mi fa da mangiare!
“Su, non traumatizzarti, adesso. Non sei invisibile, io ti vedo ancora. Tu, Ace?”
“Purtroppo...”
“Ok, ok, continuo.”

 

Ma un brutto giorno, però... successe il disastro!

 

“Oh, Signore, perché.”
“Shhh!”

 

Un giorno, dicevo, successe l'irreparabile disastro che avrebbe cambiato per sempre la vita dell'uomo in... Ehi! E se lo chiamassimo Bob?

 

“Io però comincio a non sopportarti più.”
“Benvenuto nel club, Sabo.”
“Ehi, me l'avete chiesta voi la storia!”
“Ma io non... Oh, e va bé, va' avanti.”
“Posso chiamarlo Bob?”
“Tutto quello che vuoi, ma va' avanti.”

 

Insomma, per farla breve, Bob stava camminando tranquillo per la strada quando inciampò in una botola – sì, Ace, c'era una botola, lasciami continuare – e il suo povero piede rimase incastrato! Infatti non indossava le scarpe, se no le avrebbero viste.

 

“No, lasciami capire, quindi era tutto nudo?”
“Sì.”
“Senza mutande?”
“Purtroppo sì.”
“E se qualcuno andava a sbattere contro...”
“No, Ace, non chiederglielo. Non so tu, io ho paura di come potrebbe rispondere.”
“Ehi! Allora vado?”
“Vai e non soffermarti sui dettagli, grazie.”

 

Come poteva fare il nostro povero Bob?
Chiamava aiuto, ma era una giornata di vento quindi nessuno lo sentiva.

Ma attenzione! Siccome era una giornata di vento, indossava il cappello! Tanto lo so che vi eravate dimenticati.
Dicevo, Bob aveva in testa il suo bel cappelli arancione. In quel momento passò da quelle parti un povero e sfortunato ragazzino di nome Rufy...

 

“Mi pareva che fosse tutto troppo normale...”
“Un uomo invisibile nudo di nome Bob con un cappello arancione in testa ha un piede incastrato in una botola per strada e tu chiami la sua storia normale? Sabo, ma ti sei ascoltato?”
“No, hai ragione, scusa. Va' avanti, Rufy.”

 

Il ragazzino era appena stato punito dai fratelli per qualcosa che non aveva fatto... Ah, i suoi fratelli si chiamavano Ace e Sabo e uno aveva i capelli biondi e corti mentre l'altro...

 

“Sì, mi conosco, grazie.”
“Continua, vuoi?”
 

Bé, comunque sia. Il piccolo Rufy stava passeggiando quando vide quel bel cappello che fluttuava da solo. Tutto felice fece per prenderlo, ma Bob sollevò il cappello con una mano. Insomma, Rufy aveva già fatto un salto e il cappello si era alzato ancora di più!
Allora Bob disse: “Se mi aiuti a spostare il piede ti regalo il cappello!”

Siccome Rufy non era stupido...


“Ah! Allora è un altro Rufy, non quello che conosco io!”
“Ace, sei malvagio.”
“Sì, Sabo ha ragione, sei cattivo. Posso continuare o no?”
“Se mi prometti che è quasi finita...”

 

Siccome Rufy non era stupido, capì subito cosa doveva fare e in un lampo il piede di Bob fu libero. Allora Bob, che era un uomo invisibile di parola, prese il suo cappello e fece per darlo a Rufy. Ma si accorse che il bambino ne aveva già uno!
Certo, il cappello di Rufy era molto più bello perché era di paglia e apparteneva ad un vero pirata, mentre quello arancione di Bob sembrava quello di un cowboy con una faccina triste e una felice disegnate sopra. Faceva un po' ridere, quindi Rufy lo voleva lo stesso.

 

“Logico.”
“Quindi da domani andrai in giro con due cappelli?”
“No! Qui arriva il bello! Ascoltate!”

 

Rufy ci pensò un po' su, poi disse all'uomo invisibile: “Dammi lo stesso il tuo cappello, perché io ho due fratelli. Uno ha già un cappello nero e a tuba, ma l'altro no. Quindi magari se me lo dai lui non è più arrabbiato con me.”
L'uomo in... Cioè, Bob sorrise – insomma,
probabilmente sorrise – e gli diede il cappello.
Rufy allora tornò a casa, ma si accorse che era un po' tardi, e già prima aveva litigato con i suoi fratelli perché loro dicevano che li aveva spinti per terra – ma era stato Bob, non Rufy!
Allora i fratelli vedendolo tornare così tardi si arrabbiarono...

 

“Mi stanno tanto simpatici i due fratelli.”
“Guarda un po', anch'io li trovo fantastici.”
“Se mi lasciate continuare... È quasi finita!”

 

Si arrabbiarono, e lo volevano picchiare. Ma Rufy, che era furbo – Ace stai zitto – propose di raccontare loro una storia che spiegava tutto quanto.
Ed è quello che ho fatto!

 

Rufy saltò giù dal tronco tagliato su cui aveva raccontato la storia e scese in mezzo ai due fratelli, sorridendo con tutto il cuore.
Aveva un'espressione così ingenua e tenera in viso che né Sabo né Ace se la sentirono di sgridarlo ancora.
“C'è da dire che la fantasia non ti manca, pulce.” sospirò Ace, scompigliandogli i capelli.
“Oh, Ace, quasi dimenticavo.” quasi gridò Rufy, schizzando via.
Tornò un istante dopo, brandendo un rozzo pacchetto fatto con delle foglie. “Ho fatto tardi un po' anche perché volevo preparare il pacchetto!” esclamò, ficcandolo nelle mani di Ace.
Era un pacchetto tanto scalcagnato che si distrusse tra le mani di Ace, che però non se ne curò: possibile che fosse...
“È il cappello della tua storia!” esclamò Sabo, stupito.
“Non era una storia, era vero.” disse Rufy, inarcando leggermente un sopracciglio.
Ace provò il cappello, sogghignando soddisfatto. “Come mi sta?” chiese, orgoglioso.
“Rufy... Ma dove l'hai preso? Tu non hai un soldo, ma non sei uno che ruba nei negozi...” fece però Sabo, fissando dubbioso il fratellino.
“Ma me l'ha dato Bob, perché non mi credete?” sbuffò Rufy, gonfiando le guance e assumendo un'espressione offesa.
Ace e Sabo stavano per rispondergli per le rime, quando un suono che somigliava terribilmente ad una risata esplose nel buio della foresta.
Ace e Sabo sobbalzarono: forse un falò in mezzo alla foresta non era stata l'idea più brillante...
Rufy però non si spaventò nemmeno un po', e scoppiò a ridere insieme alla voce. “Visto? È Bob! Ora mi credete?”
Ace avrebbe voluto ribattere che poteva essere altre mille cose, dal verso di un animale al suono di una frana, ma rimase in silenzio.
In fondo, possedere il cappello di un uomo invisibile non era poi tanto male, no?






Angolo di Emma:
Ed ecco a voi la storia più assurda, fuori di testa e totalmente priva di fondamento su come Ace abbia ottenuto il cappello.
... No, seriamente, io non ho la più vaga idea di come mai mi sia uscita una cosa del genere o.O
D'altra parte stavo un po' esaurendo le idee, e questa è la cosa più carina che mi è venuta in mente... Rufy che cerca di giustificarsi del ritardo ( a proposito, Ace e Sabo che si arrabbiano se fa tardi no nsono molto versione genitori preoccupati? ^^ --- Che. Ho. Appena. Scritto.) dicevo, Rufy che cerca di giustificarsi del ritardo mi sembra davvero tenero! Oltretutto, ci vuole tutta per inventarsi un uomo invisibile nudo di nome Bob con un cappello arancione in testa ha un piede incastrato in una botola per strada... Sì. Io e Rufy non siamo normali.
Bé, grazie di cuore a tutti quelli che leggeranno, recensiranno, metteranno tra seguite/ricordate/preferite! Ragazzi, senza di voi di sicuro non sarei a questo punto!
Ah, per la cronaca, mancano ancora quattro storie. Facciamo il conto alla rovescia? xD
Vostra
Emma

 

 

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Capitolo 22
*** Living on my own ***


LIVING ON MY OWN

 

 

Ace sospirò, calcandosi il cappello in testa e spegnendo il motore della sua imbarcazione.

La luna era apparsa da un pezzo, e lui non aveva ancora raggiunto la sua prossima isola: avrebbe dormito in mezzo al mare, sotto le stelle. Non era certo la prima volta, in fin dei conti...

Ogni tanto, in momenti come quelli, la sua determinazione vacillava: che senso aveva continuare a cercare Barbanera? Perché si intestardiva tanto?

I suoi compagni lo aspettavano sulla sua nave da così tanto tempo, ormai... Sarebbe stato bello tornare laggiù, riposarsi, ridere e scherzare.

Quanto tempo era passato da quando aveva trascorso una giornata in compagnia di un amico?

Da quanto tempo proseguiva quella caccia sfrenata, quell'assurda corsa contro il tempo alla ricerca di un uomo che sembrava non esistere?

Era stufo di vivere da solo, stufo di dormire in quella barchetta, stufo della solitudine che il mare portava con sé ogni notte.

Sdraiato a pancia in su, guardava le stelle e lasciava che i ricordi scorressero tranquilli e placidi, al ritmo delle onde che gentili avvolgevano la sua nave.

 

 

“Ace, quanto sarà grande la tua ciurma?”
“E che ne so? Lo vedrò quando me ne andrò di qua, Rufy.”
“Io voglio almeno dieci compagni, tu no?”
“... Ma sì, anche di più, magari.”
“Avere tanti compagni sarebbe splendido. Non ti senti mai solo, no? Sono come una famiglia.”
“Tu e le tue idee strampalate, Rufy! Piantala e dormi, sono le tre del mattino!”
“Chissà se sulla mia nave alle tre saranno ancora tutti svegli a ridere e scherzare...”
“Sarebbe bello...”

 

 

E invece tutto quello che Ace sentiva era il rumore delle onde.

Chissà che ore erano? Magari erano esattamente le tre di notte, chi poteva dirlo. E lui non rideva e non scherzava.

Per l'ennesima volta, si chiese come se la stesse cavando Rufy: ce l'aveva davvero, una ciurma? Che stava facendo, in quel momento?

Sperò con tutto il cuore che stesse bene, e che fosse felice.

Il suo fratellino... Almeno dieci compagni, aveva detto. Per lui il più importante era il cuoco, decisamente, ma anche un musicista sarebbe stato molto utile. Ace sogghignò al ricordo: un navigatore e un combattente erano argomenti di seconda importanza, ai tempi. Chissà se Rufy aveva trovato dei compagni di viaggio affidabili e buoni?

 

 

“Ace, dormi?”
“Ovviamente sì, Rufy. Sto dormendo della grossa.”
“Bé, io credo che la notte dormire sia sbagliato. I pirati ridono e ballano fino al mattino, lo sapevi?”
“E quando dormono i pirati, di grazia?”
“...”
“Ecco.”
“Magari al pomeriggio?”
“Non mi importa, io sarò un pirata dormiglione.”
“Io la notte ballerò e riderò tutto il tempo con i miei compagni, e sarò pieno di sakè. Così saremo tutti allegri e felici.”

 

 

Rufy ce l'aveva fatta, alla fin fine.

Aveva ancora solo sei compagni, sette contando anche Bibi, otto se volevamo aggiungere persino Karl.

Il suo viaggio era appena iniziato, ma sentiva di essere sulla strada buona.

Ogni notte, come aveva assicurato ad Ace tanto tempo prima, Rufy ballava e scherzava con i suoi compagni: Usopp e Chopper erano divertentissimi, Zoro e Sanji erano favolosi e Nami e Bibi non si smentivano mai.

Erano le tre, e ormai avevano tutti appena finito di fare baldoria: Zoro si era addormentato, e la cosa non aveva stupito nessuno. Sanji era andato a riordinare la cucina, e a giudicare dal rumore il lavoro da fare era tanto. Nami e Bibi erano andate a letto e anche Chopper e Karl non si vedevano da un bel po'. Usopp, che aveva assicurato di poter rimanere sveglio tutta la notte, russava piano appoggiato all'albero maestro della nave.

Rufy era l'unico rimasto sveglio, abbarbicato sulla polena dalla forma tanto buffa su cui era solito passare il tempo durante i viaggi.

Sospirò piano, lo sguardo perso nelle stelle tanto luccicanti e splendenti, interrogandosi per l'ennesima volta sul destino del fratello maggiore.

Le stava guardando anche lui, le stelle?

 

 

“Uau! Un'altra, Ace!”
“È Ferragosto, è ovvio che ci siano le stelle cadenti...”
“Però sono bellissime, vero?”
“Mah. Io ho sonno.”
“Non fare così, lo vedo che ti luccicano gli occhi!”
“Cosa?”
“Ma sì, sei felice. Non è vero?”
“... Sì, Rufy. Sono felice.”
“È perché ci sono le stelle?”
“È perché ci sei tu.”
 

 

Il giovane sorrise al ricordo: non c'era nessuno che Rufy amasse tanto quanto suo fratello Ace, senza dubbio.

Lì, nella quiete della notte, non poteva fare a meno di pensare a lui: anche Ace aveva appena finito di fare baldoria, ridere e scherzare con i suoi compagni? Erano esattamente le tre, Nami l'aveva strillato per far stare fermo Sanji, che faceva una confusione terribile con i piatti. Ora solo le onde che gentili si infrangevano sullo scafo della nave rompeva il silenzio di quel luogo.

E con il silenzio, con la quiete, con il vuoto tutt'intorno a lui, Rufy pensava a suo fratello e lasciava che la malinconia gli stringesse il cuore.

Dov'era Ace? Erano passati tre anni, tre lunghissimi anni di attesa. E ancora Rufy stava viaggiando, oggi verso Alabasta, domani chissà?, senza avere la certezza materiale di poter vedere Ace un'altra volta.

Capitava che questo pensiero lo struggesse, lo annientasse, ma quella sera non accadde: sentiva dentro un calore che nemmeno la malinconia più struggente avrebbe mai potuto cancellare.

Era per quella stella cadente che aveva appena illuminato per un istante il cielo?

 

 

“E così tra un po' te ne vai...”
“Sì, ho quasi diciassette anni, manca poco!”
“Sei così allegro...”
“Ho preso dal mio fratellino, no?”
“Ma non sei un pochino triste?”
“Triste? E perché?”
“Come perché? Mi stai lasciando! Mi stai lasciando da solo, Ace!”
“... Che idiota. Non me ne sto andando davvero, Rufy. Non ti lascerò mai da solo, intesi?”

 

 

Ace sorrise, notando una stella cadente sfolgorare per un attimo in mezzo alla volta celeste, pura, frizzante e bellissima.

Un po' come Rufy.

Ace viveva da solo da un bel po' di tempo, in realtà, e anche lui aveva sentito la mancanza del fratellino più di ogni altra cosa. Eppure gliel'aveva detto, no? Era stato lui a dirlo a Rufy.

Sembrava così solo, spaurito, spaventato... E anche Ace per un istante aveva pensato di mollare tutto, di non partire.

Ma la distanza non contava, no? Se c'era una cosa che Ace sapeva, era che niente avrebbe mai potuto separare lui e Rufy. Niente di niente.

Quindi... Quindi anche lui in quel momento, sdraiato in mezzo al mare e cullato dalle onde, non era solo.

Chissà se Rufy l'aveva vista, quella stella cadente di prima?

Chissà se aveva fatto baldoria tutta la notte con i suoi amici?

Una cosa, Ace la sapeva: non era da solo. Dovunque fosse, Rufy era con lui.

 













Angolo autrice:
Ok, qui non c'è molto da dire, visto che sono anche piuttosto di fretta. (Il mercoledì? Oh, non fatemene parlare. Ho tante di quelle cose da fare che manderei in tilt qualunque essere vivente)
Siccome erano millenni che non scrivevo di loro da grandi, bé, ho provato a fare una cosa del genere. Vivendo da solo, era il titolo, e allora mi è subito venuto in mente Ace mentre cerca Barbanera...
Ma siccome la mia vena di folle amante di Ace e Rufy bambini è prevalsa (prevale sempre, accidenti a lei) ci sono stati anche quei momenti di loro da bambini. perché sì :3
Spero che il capitolo vi sia piaciuto
un bacione, vostra

Emma ^^

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Capitolo 23
*** Driven by you ***


DRIVEN BY YOU



“Coraggio, Ace, andiamo!”
“Ma Rufy, io...”
“No, niente ma. Vedrai che ti piacerà!”
“Ma perché dovevi bendarmi, si può sapere?”
“Voglio che sia una sorpresa! Da questa parte, su...”
“Ahi!”
“Scusa, non avevo visto quella roccia...”
“Una roccia?
“Sì, ok, Ace. Adesso ti guido io!”
“Guidato da te muoio di sicuro.”
“Non dire così... Oh, a destra!”
“Ahia!”
“Ehm, l'altra destra.”
“Quante destre credi che-”
“No, fai un salto. Perfetto. Manca poco, ci siamo quasi!”
“Ma mi spieghi dove stiamo andando?”
“Ti ho detto che è una sorpresa!”
“Sento che morirò.”
“Non fare così... Aspetta, fermo!”
“Eh? Perché?”
“Ora cammina un po' di lato, a sin... cioè, da questa parte.”
“Cosa succede?”
“C'era una specie di serpente, non importa. Siamo quasi arrivati.”
“Un serpente? Rufy, era necessario farlo nella foresta? Basta, io mi tolgo questa benda e-”
“No, no, no! Siamo arrivati, eccoci! Guidato da me sei arrivato subito, visto?”
“Subito un corno, mi sono quasi ammazzato venti volte...”
“Su, togli la benda!”
“Sia lodato il ciel... oh.”
“Hai visto? Ce ne sono tantissimi, vero? Un bandito mi ha detto che portano fortuna!”
“...”
“Qualcosa non va?”
 

 

“Ace, dov'è Rufy?”
“Chissà, Sabo. L'ultima volta che l'ho visto aveva la testa ficcata in un nido di scarabei, non so il perché.”







Angolo autrice:
Uhm. Bé, era un po' che non scrivevo storie fatte così, vero? ^^
Questo perché ripensando alla Saga di Skypea, menter Rufy e gli altri stanno cercando di catturare l'uccello del sud a Jaya Rufy salta su dicendo che gli scarabei portano fortuna.
Siccome è la prima volta che lo sento, è stata un'idea troppo carina e dovevo metterla da qualche parte! ^^
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Un bacione
Emma ^^

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Capitolo 24
*** It's a hard life ***


IT'S A HARD LIFE




La vita non era mai stata molto buona, con Ace.

Lui ce la metteva tutta, sul serio. Ma non poteva farci un granché.
Era dura crescere con i banditi: loro non venivano se Ace piangeva. Non lo nutrivano bene. Non gli insegnavano a parlare e a camminare, aveva dovuto fare tutto da solo.
E se avesse voluto una madre? Qualcuno da abbracciare?
Ace non lo aveva detto a nessuno, ma una volta, al villaggio, aveva rubato un pupazzetto di stoffa da un passeggino incustodito. Era rozzo, sporco, somigliava ad una specie di coniglio spelacchiato, ma a Ace andava bene. Aveva solo tre anni, andava bene tutto. La notte lo stringeva al petto, immaginando un padre che glielo regalava, una madre che lo abbracciava. Una vita meno difficile. Immaginava.

 

La vita era davvero cattiva, con Ace.

Aveva quattro anni quando il nonno gli rivelò le sue origini. Suo padre era un mostro, punto.
Gli uomini alla locanda lo avevano preso in giro, avevano riso, lo avevano ucciso dentro. Cattivi. Erano tutti cattivi. La vita era orribile, non valeva la pena di essere vissuta.
Ace buttò via il pupazzo, lo gettò nel fiume: non c'era nessun padre che gliel'aveva regalato, suo padre era cattivo. Un mostro.
La notte pianse: si sentiva solo, senza niente da abbracciare. Il giorno dopo cercò il suo pupazzo per tutto il fiume, ma era sparito. Da quel giorno, Ace non pianse più.

 

A volte la vita era insopportabile, per Ace.

A cinque anni, conobbe Sabo. Con lui Ace poteva essere un po' più libero, un po' meno cupo. Ma neanche tanto. Sabo era orfano, non conosceva i suoi genitori: non poteva capire cosa si provava ad essere figli di un mostro.
Ma avevano un obiettivo: una nave pirata. Poteva farcela. Se fosse diventato pirata sarebbe fuggito da tutto questo, sarebbe andato il più lontano possibile da casa e non sarebbe tornato mai più, e avrebbe dimenticato. Voleva solo dimenticare.

 

La vita era davvero difficile, per Ace.

Era bravo a rubare, era forte. Avrebbe potuto uccidere, ne aveva la forza, la capacità.
Non aveva bisogno di niente, non sapeva più come si faceva ad abbracciare, ma non gli importava: non avrebbe mai abbracciato nessuno, perché avrebbe dovuto?
Poi apparve quel bambino. Così fastidioso, Ace non lo sopportava.
“Aspettami, Ace!”
No, lui non lo avrebbe mai aspettato, cosa credeva? Eppure, c'era un pensiero sciocco. Ace lo guardava dall'alto, non visto, mentre quel fesso si rendeva conto di averlo perso un'altra volta, come sempre, e si chiedeva come sarebbe stato abbracciarlo.

 

La vita era terribilmente imprevedibile, per Ace.

E chi l'avrebbe mai detto? Chi l'avrebbe mai pensato? Alla fine, aveva vinto lui, il moccioso. Ora quel Rufy li seguiva dappertutto, scodinzolando come un cagnolino, non importava quali cose Ace avrebbe detto o fatto.
Rufy però era strano. A volte durante la notte si svegliava di colpo, tutto sudato: un incubo, diceva tremante. Ace faceva finta di dormire, e non si muoveva quando Rufy si introduceva tremante nel suo letto. Quel piccolo corpicino caldo sembrava urlare: sono debole! Mi proteggerai? Mi terrai al sicuro?
E cosa poteva fare Ace in quei momenti, se non rispondere con forza a quell'abbraccio scomodo, appiccicoso e terribilmente giusto?

 

La vita era orribile, per Ace.

Sabo. Suo amico da sempre, il primo con cui si fosse mai confidato davvero, l'unico che lo sosteneva sempre, quello che lo capiva di più.
E ora era morto.
Non voleva crederci, non voleva che fosse vero. Pensandoci, non lo aveva mai abbracciato sul serio, Sabo. Gli sembrava una cosa così stupida, ai tempi. Ora invece avrebbe fatto di tutto per poter avvolgere le braccia intorno al corpo di Sabo e piangere, piangere, piangere...
“Ace... Non morire!”
Quell'idiota di Rufy. Era per lui che doveva andare avanti. Lo abbracciò, spontaneamente, e seppe di aver fatto la cosa giusta quando le piccole mani di Rufy si strinsero convulsamente sulla sua maglietta, mentre piangeva forte inzuppandolo di lacrime e facendolo sentire vivo.

 

La vita valeva qualcosa, ora, per Ace.

Per una volta, Ace aveva una famiglia. Aveva un padre. E aveva tantissimi fratelli: Rufy là fuori, Marco, Satch e gli altri accanto a sé.
Satch... Aveva perso un altro fratello, ma stavolta sapeva chi incolpare. Non avrebbe permesso altri spargimenti di sangue, perché veder morire le persone che amava era insopportabile.
Barbanera sarebbe morto, giurò a se stesso. Perché ora aveva qualcosa per cui lottare, oltre a Rufy, e non l'avrebbe sprecato.
Viaggiò. Vide molti posti strani. Incontrò Rufy in un'isola chiamata Alabasta, e il suo cuore era quasi impazzito di gioia nel vedere il ragazzo che era diventato, l'uomo che si era fatto. Abbracciandolo, però, vide di nuovo il bambino che era stato e che non avrebbe mai smesso di essere.

 

La vita era crudele, per Ace.

Come poteva essere vero? Come poteva esserci così tanta gente che lottava per la vita di Ace, una vita cattiva, insopportabile, imprevedibile, crudele, orribile come la sua?
Non valeva la pena che salvassero qualcosa di tanto sporco e rovinato, non...
Rufy.
Era venuto anche Rufy. Il cuore di Ace perse un colpo quando il ragazzo gridò che lo avrebbe salvato. Perché? Avrebbe voluto urlare. Perché io? Nessuno doveva morire, nessuno. Ace si odiò, e odiò la propria vita.
Guardando Rufy, lì in mezzo alla battaglia, gli sembrò quasi di vedere un pupazzetto a forma di coniglio, sporco e spelacchiato in mezzo al fango. Così debole. Così piccolo. Così perfetto da abbracciare, ma così sbagliato in quel posto.
Poi Rufy lo stupì, stupì tutti. In qualche modo ci riuscì. Era il più forte, era arrivato.
Lo aveva salvato.
Piccolo pupazzetto, sei diventato grande.

 

La vita valeva davvero la pena di essere vissuta, ora, per Ace.

Sì, ne era certo. Era valsa la pena di tutto: l'orrore, la disperazione, la sofferenza. Tutto aveva un senso, lo vedeva solo ora.
E il senso di tutto era quel dolce, spaventato, piccolo, grande ragazzo che stava abbracciando mentre moriva, consumato dal fuoco che lui stesso aveva scelto di accogliere.
L'ultima cosa che percepì fu il suo tocco leggero sulle spalle, l'ultima cosa che sentì furono le sue labbra che lo chiamavano, l'ultima cosa che vide fu il suo volto straziato dal dolore.
Le immagini si sovrapponevano, il fumo e il sangue erano ovunque.
Non faceva male, non sentiva più niente: scivolava.
Davanti agli occhi, solo tanta luce. E tutti i ricordi si mescolavano, ma la faccia di Rufy, la sua voce e i suoi abbracci rimanevano. Era per lui la sua vita, era per lui tutto quello che aveva.
Vivi. Vivi, Rufy, e che la tua vita sia piena di meraviglie. Paura, gioia, amore e disperazione, non importa: che tu possa vivere a lungo e felicemente, anche per me. Non sarò mai morto per davvero, se è valsa la pena di vivere.











Angolo autrice:
Ebbene sì. Penultima storia.
... Ma non mi sento mica pronta! >.< Questa raccolta significa davvero tanto, per me: Ace e Rufy sono praticamente la cosa più bella che abbia mai visto, scrivere di loro è stato come respirare, ed ora...
Non posso credere che questa raccolta stia volgendo al termine!
Se penso che l'ho iniziata a maggio, così tanto tempo fa...
Ma non so proprio stare lontana da questi due. E voi non vi libererete tanto presto di me! ^^
Esattamente. Ho intenzione di scrivere qualcos'altro - ho già un'ideuzza in cantiere. Per ora non vi anticipo niente, ma nel prossimo capitolo - l'ultimo! ç.ç - vi metterò una piccola introduzione di cos'ho intenzione di scrivere.
Perché uffa, chi mai potrebbe stufarsi di scrivere su di loro?
Eeesatto. Nessuno.
Grazie ancora a tutti quelli che hanno recensito, letto, preferito eccetera! Vi adoro! ^^
A presto, un bacione,
Emma ^^

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Capitolo 25
*** To tomorrow ***


TO TOMORROW

 

Non aveva fatto neanche un po' di male.

Rufy inarcò le sopracciglia, confuso: eppure, avrebbe dovuto sentire male. Insomma, era...

Aprì gli occhi, piano, e si guardò intorno. Era ancora lì, anche se si sentiva trascinare verso l'alto: ehi, era davvero strano. Allora era così che ci si sentiva? Ad essere morti?

Da lì, Rufy vedeva tutto. Era davvero incredibile, riusciva a vedere ogni cosa a chilometri e chilometri di distanza, non c'erano limiti, non c'erano confini: vedeva alberi, montagne, mare, il mare sconfinato, il mare così bello e misterioso...

Vedeva loro. Tutti.

Sapeva che sarebbero stati tristi, già: era morto, e loro rimanevano indietro. Un po' cattivo, da parte sua. Eppure non aveva rimpianti, era così che doveva andare. E loro erano al sicuro, sarebbero stati bene.

– Addio, Brook. – disse, passandogli vicino. Lo scheletro di voltò, senza vedere niente, ma Rufy doveva proseguire.

– Ci vediamo, Franky. – E il cyborg alzò lo sguardo dal lavoro che stava portando avanti, come colto da uno strano pensiero.

– Sei forte, Robin. – la salutò, e un soffio di vento le scompigliò i capelli. Lei fece per parlare, preoccupata, ma Rufy era già passato oltre.

– Continua così, Chopper! – ridacchiò, mentre la renna stava eseguendo un'importante operazione. Improvvisamente il piccolo medico si bloccò, preoccupato, una goccia di sudore sulla fronte.

– Stammi bene, Usopp. – soffiò Rufy, spingendo un pesce sull'amo dell'amico. Questi tirò su la canna da pesca, una strana espressione di consapevolezza sul viso.

– Mi mancherai, Sanji. – fece ancora il giovane capitano, facendogli spegnere la sigaretta con un colpo di vento. Lui alzò la testa di scatto, come se lo avesse sentito.

– È stato bello, Nami. – le disse, sfiorandole una guancia. Lei si portò una mano al viso, gli occhi lucidi, come se avesse capito.

– Ciao, Zoro – sussurrò, un soffio di vento che scompigliava i verdi capelli dell'amico. Lui si alzò di scatto in piedi. – Rufy?

Il giovane capitano sorrise al volto angosciato del suo migliore amico, il primo, e lo abbracciò in fretta prima di prendere definitivamente il volo.

E sapeva che in quel momento sul volto di Zoro stava affiorando un sorriso bagnato di lacrime.

Rufy cominciò a salire su, sempre più su, verso una luce calda e avvolgente che lo chiamava: non poteva più aspettare, si era trattenuto fin troppo a lungo.

Più saliva, più le cose di laggiù diventavano sfocate e distanti, ma non per questo meno reali. Rufy sapeva di aver lasciato un'enorme parte di sé laggiù con i suoi nakama, e non lo rimpiangeva.

Alla fine, nella luce abbagliante gli sembrò di rallentare, e poi intravide qualcosa: come un... cancello?

Rallentò e poi si fermò definitivamente. Era solo, ma non aveva paura. Non appena azzardò un passo, immagini di tutta la sua vita presero a scorrergli davanti agli occhi: si vide bambino, salvato da Shanks a fare la sua promessa. Si vide con Ace e Sabo a crescere sul monte Corvo, ridendo e saltando come un pazzo, felice. Si vide partire, vide Coby e l'orribile condizione in cui si trovava, poi vide Zoro e come l'aveva salvato. Vide molte, molte cose: Usopp e il capitano Kuro, Nami e Arlong Park, Sanji e il capitano Creek. Si vide nella Great Line ad aiutare tanta gente e a salvare tante vite. Drum. Alabasta. Skypea. Water Seven. Thriller Bark. La sua mente quasi non reggeva più, mentre a tutta velocità ripercorreva le tappe principali della sua vita. Vide Ace morirgli tra le braccia, e si sentì un groppo in gola. Vide la ciurma riunita dopo due anni di allenamento. Si vide battere Barbanera, trovare lo One Piece e diventare il nuovo Re dei Pirati.

Vide tutte le cose buone che aveva fatto, e si sentiva diventare sempre più leggero. Con un forte cigolio il cancello si aprì e Rufy vi si introdusse, quasi sognando. Si sentiva come se fosse appena stato giudicato, e avesse passato un esame molto importante.

Si guardò intorno.

Cominciava a distinguere delle forme, là in mezzo, delle figure. Possibile che quella fosse...

– Ciao, Rufy. Ne è passato di tempo, eh?

Il ragazzo si voltò, esplodendo di gioia. – Ace!

Era Ace, Ace! Dopo tutto quel tempo, tutte quelle lacrime, dopo... Corse ad abbracciarlo, stringendolo con tutta la forza che aveva in corpo. Rimasero così per quella che parve un'eternità, entrambi troppo commossi per parlare, finché Ace non parlò.

– Ehi, ehi, piano! – rise, scostandosi leggermente. – Anche se sono morto non significa che puoi tranquillamente provare ad uccidermi, sai.

Rufy ridacchiò. – Scusa, solo... Oh, Ace, ma quanto mi sei mancato! Sono così felice!

Lo sguardo del maggiore si addolcì. – Anche tu mi sei mancato da matti, Rufy. Ma guardati... Sei diventato il Re dei Pirati, niente di meno! E pensare che da piccolo non ti avrei dato un centesimo! – colse l'occhiataccia di Rufy e scoppiò a ridere. – Mi sono dovuto ricredere. Sono davvero fiero di te, fratellino: ho sempre saputo che ce l'avresti fatta. Adesso vieni, ti faccio fare un giro! – Si voltò e iniziò a camminare.

Rufy lo seguì, ancora stordito di felicità. Possibile che fosse tutto vero? Era questo, morire? Si guardò intorno, curioso: più passava il tempo, più cose distingueva. Il posto somigliava vagamente a Skypea, soprattutto per l'impressionante quantità di nuvole. Ce n'era dappertutto, sembrava quasi un'immensa città, piena di casette e alberi e giardini. In lontananza Rufy vedeva montagne e boschi, e lo splendido luccichio del mare. Ma in che posto meraviglioso era finito?

– Sei in Paradiso. – lo informò Ace, camminando affianco a lui con le mani dietro la testa. – Ciascuno qui vive dove più gli piace. La gente comune di solito abita in casette come queste, e qui c'è qualcuno che ti volevo proprio presentare...

Si avvicinarono ad una modesta casetta bianca circondata da un'immensità di alberi di mandarino e Ace bussò gentilmente.

– Arrivo! – gridò una voce dall'interno.

– Ace, ma chi... – cominciò Rufy, perplesso, quando la porta si spalancò.

– Ma tu sei Rufy! – gridò una donna dai capelli rosa fucsia, facendo cadere a terra il cesto di mandarini che aveva in mano e abbracciandolo con foga. Rufy era perplesso.

– Ci conosciamo? – chiese.

La donna rise. – Oh, che stupida. Io sono Bellemere, la madre adottiva di Nami! Non so davvero come ringraziarti per tutto quello che hai fatto per lei, davvero! Come hai sconfitto Arlong... Lei non avrebbe retto ancora per molto, il tuo intervento le ha salvato la vita. Tu e la tua ciurma siete stati i suoi primi veri amici e... e l'avete resa felice... la mia Nami... – Ace le passò premurosamente un fazzoletto, e Bellemere ci si soffiò il naso con forza.

– Oh, se è per questo non si preoccupi, signora. – disse Rufy con un gran sorriso. – Tutto quello che ho fatto per Nami l'ho fatto con piacere, perché alla fine si è rivelata proprio una nakama preziosa!

Questa risposta servì solo a far crescere i singhiozzi della donna, che rideva e piangeva allo stesso tempo.

– Vi va un mandarino? – propose poi alla fine, alludendo al suo immenso agrumeto.

I due fratelli non se lo fecero ripetere due volte, e poco dopo se ne andarono reggendo una cesta piena di mandarini ciascuno.

– Visto le belle cose che fa il mio fratellino? – commentò Ace, la bocca piena di mandarini.

– Dai, io non sapevo che Nami avesse una madre così simpatica! E poi non pensavo che mi sarebbe stata così grata, in fondo non ho fatto niente di speciale. Adesso dove andiamo? – ribatté Rufy, che aveva già finito la sua cesta.

– Vieni un po' più in qua... Ah-ah! Questo è il posto, credo...

Persino Rufy riusciva ad indovinare che si trattava di una palestra di spadaccini. Tutti gli allievi che si trovavano all'interno dell'edificio indossavano la stessa divisa e si stavano allenando separatamente.

– Chi cerchiamo? – chiese Rufy, curioso. – La madre di Zoro o che so io? Secondo te ci sarà da mangiare?

Ace gli tirò un affettuoso pugno in testa. – No, cerchiamo la campionessa in carica. È una ragazzina, avrà al massimo tredici anni. Oh, eccola.

Il maggiore indicò una piattaforma dove una giovane ragazza si stava battendo con bravura e velocità contro un uomo molto più grande di lei.

Prima che i due fratelli riuscissero ad avvicinarvisi, la ragazzina lo disarmò e scese dalla piattaforma con un sorriso soddisfatto. – Ed ecco che la mitica Kuina vince di nuovo! – gridò, allegra.

Poi si voltò e si trovò faccia a faccia con i nuovi arrivati, e rimase a bocca aperta.

– Ma tu...

Rufy scoppiò a ridere. – Scommetto che eri la fidanzatina di Zoro, vero?

Fu solo l'immensa gratitudine che Kuina provava per Rufy ad impedirle di colpirlo con la spada che aveva in mano.

– No, io...no! Cioè, ero sua amica... Oh, grazie di cuore per quello che hai fatto per lui! All'inizio non ero sicura che fare il pirata sarebbe stato un bene, per lui: voglio dire, è così impulsivo. Ma alla fine il tuo intervento è stato davvero fondamentale! Non l'ho mai visto così felice, e... e se ha realizzato il suo sogno, mantenendo la sua promessa con me, bé... è stato tutto merito tuo! – sfoderò un immenso sorriso, abbracciandolo velocemente.

Rufy si schernì. – Ma no, è stato merito di Zoro se è riuscito a battere Mihawk, non... – ma Kuina lo interruppe.

– No, io ti sono davvero grata! Vieni pure qui quando vuoi, se hai bisogno di un po' di svago! Non si lotta solo con la spada, sai. Ci sono combattimenti di tutti i tipi. Se avete voglia di allenarvi...

Gli occhi di Rufy presero a luccicare. – Ace, un giorno possiamo venire?

Il fratello gli scompigliò i capelli. – Non credere di potermi battere solo perché sei diventato il Re dei Pirati, eh, marmocchio?

Dopo aver salutato la ragazza, i due si avviarono verso l'uscita. – Ace? – chiamò Rufy.

– Che vuoi? Non mi dirai che...

– Bé, in effetti...

Non ci voleva un genio per prevedere quello che Rufy stava per dire, quindi Ace alzò gli occhi al cielo e sorrise. – Ma sì, diciamo che mi era mancato anche questo lato di te. Non preoccuparti, stiamo andando proprio ad un ristorante.

Si diressero verso il centro, finché Rufy non vide un'insegna che gli suonava familiare... – Ehi, ma io il Baratie l'ho già sentito! – protestò, indicando la locanda.

– Esattamente! Su, entriamo.

La folla all'interno era indescrivibile, ma Ace aveva l'aria di esserci già stato più volte.

– Ehi, Zef! – gridò, una volta arrivato alla porta della cucina. – Vecchio pirata da quattro soldi, dammi un tavolo! – gridò.

Rufy sapeva che Zef era morto qualche anno prima, subito dopo aver ricevuto da Sanji la notizia del ritrovamento dell'All Blue. Ma da questo a ritrovarlo in affari quassù in Paradiso...

– Chiudi il becco, Moccioso! Solo perché sei fratello di Rufy non puoi sentirti in diritto di approfittare del mio ristorante, sono stato chiaro? Zef di qua, Zef di là, preparami un tavolo, portami altro cibo... Non sono mica il tuo schiavo, sai?

Ace sogghignò, e sussurrò all'orecchio di Rufy. – Adesso vedrai che faccia farà...

La porta si spalancò e Zef fece la sua comparsa, alto, fiero e decisamente arrabbiato. O almeno, finché non notò la presenza di Rufy.

– Tu! – esclamò, sconvolto.

– Ehi, nonnino! Da quanto tempo che non ci si vede! – lo salutò Rufy, ridacchiando. – Chi l'avrebbe detto che ti saresti messo in affari persino qui?

Zef sbuffò, e sembrò addolcirsi. – Nutrire le persone è il mio compito, ragazzo. D'accordo che nessuno rischia più di morire di fame, ma chiunque sa apprezzare la buona cucina!

– Parole sante, vecchio! – ridacchiò Ace. – Sai, una volta anch'io ero cliente abituale del Baratie, prima di entrare nella Great Line. E qui ho sempre la precedenza!

Zef grugnì, ma li condusse ad un tavolo speciale, un po' appartato. – Con la scusa che è tuo fratello, ha sempre da mangiare a sazietà, questo scroccone. Su, se aspettate un attimo mando qualche cuoco a portarvi da mangiare! – promise, e si allontanò.

– Cosa intendeva con la scusa che è mio fratello? – chiese Rufy, confuso.

Ace rise. – Ma come, non lo immagini? Qui tu sei una celebrità, mio caro. Il Re dei Pirati, certo, ma soprattutto uno che ha aiutato milioni di persone: alcune sono già finite qui, altre hanno dei cari che tu hai aiutato. Insomma, hai visto Bellemere e Kuina, no? Loro ti adorano perché viaggi con Zoro e Nami, ma tantissima gente ti conosce per sentito dire. Abitanti di Alabasta e Skypea, per esempio. Se tu non fossi arrivato, quei paesi sarebbero andati distrutti. Ma anche semplicemente persone che ti hanno visto, a cui hai fatto qualcosa di gentile, o che ti conoscono di vista. Sei davvero speciale. E col fatto che siamo fratelli e con tutti gli eventi di Marineford, anch'io mi godo la vita, non c'è che dire! – concluse Ace, sorridendo.

Il cibo arrivò, e li mise a tacere per un po'. Qualche minuto dopo... – Bé, si vede da chi ha preso Sanji, questo è certo. – Affermò Rufy, categorico.

– Già. Possiamo tornare quando ci pare, Zef ci terrà sempre un posto. Non te lo direbbe mai, ma è davvero legato a Sanji. È contento che tu lo abbia preso con te e l'abbia aiutato a realizzare il suo sogno, per cui... Bé, ci ripaga come può! – spiegò Ace, alzandosi.

– E lo fa decisamente bene. – commentò il minore, seguendolo sorridente.

Uscirono dal ristorante e presero a passeggiare. L'aria si era fatta più fresca, e la luce più debole. – Dimmi un po'... – fece Rufy, pensoso. – Ma qui c'è la notte, la pioggia, eccetera?

Ace ci pensò su. – La notte sicuro. È quasi il tramonto. A volte piove, quel che basta per innaffiare le piante, ma non dappertutto. Credo che se sei uno che odia la pioggia, sul tuo giardino non cade. Conosco un tipo strano che ama tanto la pioggia che da lui piove ininterrottamente! Un vecchietto simpatico, però! – Ace ridacchiò.

– Ehi... – chiese Rufy, all'improvviso cupo.

– Sì?

– Dici che i miei nakama, loro... staranno bene? – Rufy non voleva sembrare debole, ma ora che era arrivato in quel posto così bello, con niente che poteva andare storto, persone così gentili e ampi spazi in cui fare quello che voleva, sentiva più che mai la mancanza dei suoi amici.

Ace lo guardò, intenerito. Avrebbe voluto che suo fratello passasse più tempo in vita, prima di morire. Era ancora presto, non era ancora vecchio. Ma era andata così, e sapeva come ci si sentiva.

– Vieni un po' qui. – sorrise, spalancando le braccia. Rufy ci si tuffò. Non importava se era infantile: Ace gli era mancato, gli era mancata una figura più grande di lui, più forte, una che lo proteggeva invece di dover essere protetta.

– Ace...

– Andiamo in un posto. – decise il maggiore, guidandolo attraverso le vie della città in cui si trovavano.

Camminando, Rufy vedeva milioni di cose. C'era tantissima gente seduta sulla veranda fuori dalla casa: le persone ridevano, chiacchieravano, cantavano. C'era chi faceva musica, chi cenava all'aperto, chi organizzava una festa. Erano tutti, tutti felici.

Mentre passava, ogni tanto qualcuno si fermava a salutarlo.

La gente lo chiamava, lo riconosceva, lo ringraziava. Grazie per aver aiutato mio figlio, grazie per quella parola gentile, grazie per aver sconfitto quel mostro, grazie per averci salvati.

Grazie per averci sorriso.

Rufy quasi non riusciva a crederci: aveva davvero fatto così tante cose buone? Gli veniva da piangere.

Ace lo strinse forte e andarono avanti, fuori dalla città, oltre i campi dove tante famiglie contadine vivevano in felicità, oltre i boschi in cui decine di bambini ridevano e correvano liberamente.

Da lontano Rufy vide altre città belle come quella che aveva visitato, colorate, profumate, vivaci.

Vide deserti, colline, montagne. Vide un mondo tutto da scoprire.

– Siamo arrivati. – lo informò Ace, fermo di fianco a lui di fianco ad un piccolo lago scuro.

– Dove siamo? – si incuriosì Rufy.

– Alla Finestra. – spiegò il fratello. – Insomma, a una delle Finestre. Ce ne sono a milioni, e quando diventi abbastanza abile riesci a crearle ovunque vai. Questa però è la mia preferita, perché non c'è mai nessuno. Guarda nel laghetto.

Rufy inclinò la testa, dubbioso, e all'inizio non vide proprio niente. Ma poi, aguzzando la vista... – Ehi, ma quello è Zoro! – gridò, eccitato.

– Shhh! – lo zittì Ace, e nel lago la figura di Zoro assunse un'aria confusa.

– Nami, hai sentito anche tu? – chiese, rivolgendosi alla persona davanti a lui.

Rufy sgranò gli occhi. – C'è anche Nami! – sillabò, eccitato.

– Guarda e non parlare, così sentiamo. – lo sgridò Ace, sorridendo.

Più passavano i secondi, più l'immagine diventava nitida e la visuale si allargava. Ora Rufy poteva vedere un'intera stanza, all'interno della quale si trovava tutta la sua ciurma. Gli si strinse il cuore nel vedere i loro occhi arrossati e le guance rigate di lacrime, ma si fece forza ed ascoltò.

– Ragazzi, non c'è un granché da fare. Bisogna scogliere la ciurma. – sospirò Nami, scoraggiata. – Senza Rufy io non... – poi un singhiozzo le impedì di continuare.

– No, no! Rufy non avrebbe voluto questo! – sbottò Usopp, scuotendo la testa. – Cosa dovremmo fare? Chiuderci in casa e deprimerci?

Zoro prese la parola. – Tutti noi abbiamo realizzato i nostri sogni, no? E adesso, cosa volete fare?

Ci fu un silenzio interrotto solo da Robin che si soffiava il naso.

– Io non voglio separarmi da voi. – sussurrò Chopper, la voce flebile.

– Ma come facciamo? È Rufy il capitano, cioè, era... – obiettò Franky, un'ondata di dolore nella voce. – Come facciamo a viaggiare insieme senza sentire la sua mancanza ogni giorno, ogni istante?

– Senza i suoi disastri e le sue trovate assurde e prive di logica le cose non saranno mai più le stesse... – pigolò Nami, facendosi forza per trattenere le lacrime.

Nessuno osò ribattere, e Rufy si sentiva mancare. Come! La sua ciurma che smetteva di andare per mare solo perché, bé, lui era morto? No! Niente doveva impedirgli di fare i pirati, se era quello che i loro cuori desideravano!

Lanciò uno sguardo preoccupato a Ace, che annuì sorridendo. Rufy sapeva cosa fare.

– Adesso state tutti zitti e ascoltate. – affermò, serio. I ragazzi si bloccarono di colpo, paralizzati. Rufy non era sicuro che lo stessero davvero ascoltando: sapeva però che lo percepivano, e tanto bastava. – Non provateci neanche a smettere di fare i pirati, ok? Non se è quello che desiderate. Io lo so che siete tutti diversi, e che nessuno di voi ha mai sognato di fare il pirata per tutta la vita prima di venire con noi. Ma adesso... Adesso lo sapete, accidenti! Sapete cosa vuol dire fare il pirata, e come potete pensare di smettere? Non vi mancherebbe troppo l'odore del mare? Non sarebbe orribile svegliarsi sempre nello stesso posto? Potete farcela!
Brook, tu hai ritrovato Lavoon poco prima che morisse. Hai adempiuto al tuo dovere e mantenuto la promessa. E ora vuoi mollare tutto? Che senso avrebbe avuto, allora?
Franky, la nave che hai costruito è arrivata fino alla fine del Nuovo Mondo, no? Sei realizzato, giusto? E allora perché fermarsi?
Robin, hai scoperto il segreto della Vera Storia. Ce l'hai fatta. E adesso? Vuoi ammuffire in una qualche libreria per il resto dei tuoi giorni?
Chopper, sei il medico più in gamba del mondo, inutile negarlo. Ma che hai intenzione di fare? Starai in un solo ospedale per tutta la vita?
Sanji, hai trovato l'All Blue e l'hai detto al vecchio. Ma perché stare in un unico ristorante, quando puoi viaggiare per il mondo e visitare tutti i paesi che vogliono assaggiare la tua cucina?
Usopp, tuo padre era fiero di te quando l'abbiamo incontrato. Cosa pensi che direbbe se sapesse che abbandoni la pirateria?
Nami, hai disegnato cartine di tutti i mari conosciuti, ma adesso che vuoi fare? Chiuderti in casa e basta?
E Zoro... Tu sei diventato lo spadaccino più forte del mondo. Che si direbbe se uno col tuo rango sparisse per sempre dalla circolazione?
Voi siete la Ciurma del Cappello di Paglia, la mia ciurma. Voi siete nati per il mare, il mare! Libertà, voglia di vivere, avventure, pericoli, gioia! Questo è il mare, questo è il nostro posto! E io sarò sempre con voi, capito? State insieme, e io sarò con voi, non importa cosa succederà. Abbiate fede. Per favore.

Rufy tremava, improvvisamente insicuro su cosa dire e cosa fare: lo avevano sentito? Era stato troppo duro? Oh, ma non potevano sciogliersi, loro erano la sua ciurma! Lanciò un'occhiata preoccupata a Ace, ma lui annuiva con orgoglio, quindi sentì di aver detto le cose giuste.

La sua voce si perse in un sussurro, e la sua mano scese fino alla pozza d'acqua per sfiorare la superficie colorata. Non appena le dita toccarono le immagini dei suoi amici, quelli ripresero a muoversi.

– Anche voi avete... – balbettò Nami, incredula.

– Io mi sento strano, più caldo. – osservò Chopper, guardandosi intorno, spaesato.

Usopp si grattò la testa. – Non so voi, ma ho come una strana sensazione... No, io non me ne vado. Voglio restare con voi su questa nave.

Sanji annuì. – Hai ragione, è questo il nostro posto.

Robin si unì a loro, affermando: – Appartengo a questa ciurma, non me ne vado.

Uno dopo l'altro, tutti giurarono di rimanere legati alla ciurma del Cappello di Paglia.

Zoro sospirò, l'ombra di un sorriso triste sul volto. – Sei sempre il nostro capitano anche se non ti vediamo, eh?

Rufy sorrise, commosso. – Sempre. – sussurrò.

Poco a poco, le immagini si dissolsero, finché il laghetto non tornò scuro e privo di immagini.

Ace si alzò in piedi e si stiracchiò. – Sei stato formidabile. Non è da tutti farsi sentire così bene la prima volta. Ora che ne dici di andare a dormire?

Rufy gli corse dietro. – Tu dove dormi?

Ace sospirò. – Bé, mi avete fatto aspettare. Cioè, sono stato così tanto tempo senza uno straccio di compagno... C'era Satch, ma lui ha ritrovato l'amore della sua vita morta pochi mesi prima di lui, e sono una coppietta tanto felice che non volevo disturbarli. Poi è arrivato mio padre Barbabianca, ma ha subito preso il largo con gli altri Grandi... C'era Gol D. Roger. – aggiunse con noncuranza.

Rufy sgranò gli occhi. – E...? – chiese, aspirando ad altri dettagli.

Ace raddrizzò la schiena. – Com'è che sei tanto curioso, adesso? Saranno affari miei quello che faccio con Gol D Roger? Oh, adesso non guardarmi così, dai, no... – Ma dovette capitolare velocemente. – Oh, e va bene, ti salvi solo perché mi sei mancato troppo. C'è stata una specie di... riappacificazione, mettiamola così. Mia madre era con lui. Sono rimasti con me per un po', poi sono dovuti partire... Sai, le navi che affondano nel mondo laggiù tornano tutte qua. Se non affondano, bé, restano nel regno dei vivi e qui invece non arrivano. Prendi il vecchio cuoco, non pensi che avrebbe preferito aprire un ristorante sul mare, invece che a terra? Però la sua nave non è ancora affondata, quindi non ha potuto. Allo stesso modo io, che la mia nave non l'ho fatta affondare, sono appiedato qui. Meno male che ci sei tu, visto che a quanto pare non sei stato troppo gentile con le tue imbarcazioni...

Rufy sapeva che Ace avrebbe approfondito l'argomento “Gol D Roger” con il tempo, quindi non chiese più nulla. Uscirono dalla foresta e si trovarono su una piccola spiaggia. Alla debole luce di un sole ormai tramontato, Rufy poté ammirare per la prima volta dopo tanto tempo tutto lo splendore della Going Merry, compagna di tante avventure.

– Ma.. Ma... – balbettò, incapace di resistere alla commozione.

– Non ti dispiace se l'ho usata come abitazione, vero? Insomma, dormire a terra mi da fastidio, non so te. Le onde conciliano il sonno. – buttò lì Ace.

– Ma figurati, io... Oh, è bellissima! La usiamo? Andiamo in giro con questa? Voglio tornare per mare, andiamo... – poi si interruppe. – Aspetta, Ace. Non andiamo subito. Insomma, voglio viaggiare, ma voglio aspettare la mia ciurma. E suppongo che tu aspetterai la tua, dico bene?

Ace si calcò il cappello sulla testa, soddisfatto. Il suo fratellino era davvero cresciuto, era diventato grande. Un uomo. Un pirata.

– Aspetteremo. – decise. – Questo però non toglie che non possiamo fare qualche giro... Proprio piccolo piccolo. – concesse, e sorrise al luccichio entusiasta negli occhi del fratellino.

– Ok. Aspetteremo gli altri. – ripeté Rufy, sospirando. Salirono sul ponte della nave, e Rufy inspirò a pieni polmoni l'aria salmastra.

– Ehi, Ace. Prima o poi quindi partiremo tutti, giusto? Tu con la tua ciurma e io con la mia. – disse Rufy dopo un po'.

– Esatto.

– Potrebbero volerci anni, ma a noi non importa perché nel frattempo saremo insieme. E anche quando saremo partiti niente ci impedirà di incontrarci di nuovo.– proseguì Rufy, concentrato.

– Puoi scommetterci. – rispose il maggiore, sorridendo.

– Ace?

– Sì?

– Cosa c'è al di là di questo mare? – domandò Rufy, voltandosi di scatto verso il maggiore.

Ace se l'aspettava, e sorrise ancora di più spostandosi di fianco al fratellino a fissare l'orizzonte, le prime stelle che spuntavano nel cielo sopra di loro.

– Sai, Rufy, ci sono mille teorie su cosa ci sia laggiù. C'è chi parla di tesori immensi, chi di pericoli inimmaginabili, chi dice che non ci sia proprio niente e chi invece dice che c'è di tutto. Anch'io ho una teoria. – passò un braccio attorno alle spalle di Rufy, la luna che sorgeva silenziosa dietro di loro. – Oltre l'orizzonte di questo mare nuovo e bellissimo, laggiù c'è il domani.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eeeeeeeeee stop.
È finita. Andata. CONCLUSA. Non sentirete più parlare di questa raccolta.
… Lo so, mi sento male solo a pensarlo, figuriamoci a scriverlo. Vi sono davvero grata, a tutti quanti: questa raccolta è significata davvero tanto per me, così come voi, le prime persone che ho conosciuto su questo splendido fandom. Mi avete accompagnata con allegria e costanza in questi venticinque capitoli, che poi sono più di sei mesi, e mi avete fatta sentire a casa. GRAZIE, RAGAZZI!
Quindi, andiamo con ordine...

 

Grazie a Sugar_Ginger: sei stata eccezionale, le tue recensioni erano sempre così fantastiche! Grazie per essere stata con me tutto questo tempo!

 

Grazie a callas d snape: sei stata davvero gentile a recensire, spero che anche quest'ultimo capitolo ti sia piaciuto!

 

Grazie a cola23: COME AVREI FATTO SENZA DI TE? E con questo ho detto tutto. Sei stata davvero stupenda, non finirò mai di ringraziarti.

 

Grazie a Akemichan: i tuoi commenti erano davvero costruttivi e mi hai aiutata molto! Sei stata favolosa! ^^

 

Grazie a sweet_hyra_97: sei una di quelle che ono rimaste fino alla fine! Grazie, grazie di cuore per tutto quello che hai fatto! :D

 

Grazie a Super Mimi_: Anche se non avevi tanto tempo libero riuscivi sempre a ritagliare un momento per questa storia, e non sai quanto significa per me! I tuoi commenti erano sempre meravigliosi, grazie!

 

Grazie a Neko: sei stata fantastica, grazie di tutto! Come avrei fatto senza di te? :D

 

Grazie a Chimera_Lupo99: Sei stata di grande aiuto lo stesso! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!

 

Grazie a bonzobyacco: spero che questa raccolta ti sia piaciuta come la storia su Harry Potter, eh! Grazie di essere passato anche se questo non è un fandom a cui sei abituato!

 

Grazie a SeleAce: sei stata davvero gentile a recensirmi, sono felice di averti fatta emozionare! A presto!

 

Grazie a Nikij: non so cosa dire, sei una di quelle che ci sono sempre state, sempre! Grazie per avermi lasciato così tanti pareri, mi fai davvero ma davvero felice :D

 

Grazie a Ma_Aling: i tuoi commenti erano sempre favolosi, sono davvero felice che questa raccolta ti sia piaciuta!

 

Grazie a GoOnWithYourSmile: La donna col Nick più bello di sempre! :) Grazie di essere passata e di aver lasciato delle recensioni così belle!

 

Grazie a MissyKawaii: sia perché hai recuperato in corner tutti i capitoli arretrati (ne hai fatti tipo sei tutti insieme, significa molto per me :D). Le tue recensioni erano sempre strepitose, grazie!

 

Grazie a La Jiky: che dire? Sei sempre stata favolosa, in ogni occasione! Ti ringrazio di cuore per avermi lasciato tanti pareri così belli e calorosi!

 

Grazie a pufffetta: anche se ti ho costretto io a recensire, comunque sei stata gentilissima a postare quei capitoli mentre io ero in vacanza! Ti voglio bene (vieni al trekking con me, donna)

 

Grazie a madda_chan: sei stata gentilissima a recensire anche qui, grazie di cuore per i tuoi commenti sempre eccezionali e graditissimi! :D

 

Grazie a Leilani: sei stata gentilissima a recensire così spesso, grazie di cuore per i commenti sempre ricchi di complimenti! Non ti merito >.<

 

Grazie a OrenjiAka: grazie di cuore per essere passata da questa fanfiction, sei semplicemente incredibile! Spero che anche quest'ultimo capitolo possa piacerti!

 

Grazie a allessor: sei stata favolosa, grazie di cuore per i tuoi commenti sempre incredibili!

 

Grazie a TheBlackWolf97: come avrei fatto senza i tuoi commenti così pieni di complimenti? Sei stata gentilissima, grazie mille! :D

 

Grazie a Yellow Canadair: grazie per aver commentato questa storia, spero che l'ultimo capitolo non ti abbia delusa!

 

Grazie a Lidja: sono felice che il capitolo 5 ti abbia emozionata, forse è stato anche il più difficile da scrivere >.< comunque grazie di tutto!

 

* * *

 

E questo è... tutto... *si soffia il naso* Ma non crediate di esservela cavata così facilmente! Perché niente può fermare Emma Stavoperdireilmiocognomemaèmegliodino! Ed ecco che, quindi...

Ho appena pubblicato una nuova storia.

Esattamente, esattamente. Sempre su Ace e Rufy, of course. Questa volta non si tratta di una raccolta, ma di una long vera e propria: inoltre ho inaugurato la mia prima gloriosa long AU su questo fandom, sìsì. L'ambientazione sarà l'antica Grecia, più precisamente Sparta ai tempi delle guerre Sparta vs Atene... Vi lascio qui un piccolo assaggino, se vi va fate un salto!

 

 

Garp sbuffò, scuotendo la testa. – Sei tu che sei in ritardo. Allora, di che si tratta?
Si avvicinò al suo interlocutore, impaziente di tornare finalmente a casa, e vide di sfuggita che il contenuto del fagotto cominciava ad agitarsi. Impallidì, facendo un passo indietro.
– Lo sai, di che si tratta. –sibilò la figura, porgendo quello che era decisamente un bambino tra le braccia di Garp e facendo per allontanarsi.
– Aspetta! Perché? Che scherzo è questo? – gridò il vecchio, inseguendolo.
– Hai saputo della profezia, no? La distruzione dell'esercito di Atene per opera di una sola persona, sventura e morte sui nostri figli, eccetera eccetera. È lui, Garp. Questo bambino, mio figlio. È lui il mostro di cui parla la profezia, quello che, da solo, dovrebbe causare la disfatta del nostro esercito. Ho detto che l'avrei ucciso, ma non posso.
L'uomo sospirò piano, passandosi una mano sulla fronte.
– E io dovrei... – sussurrò Garp, iniziando a capire.
– Tienilo. Uccidilo. Fanne quello che vuoi. Io non ne voglio più sapere niente. Risparmiarlo stasera... Più di così non avrei mai potuto fare. – spiegò l'uomo.
Garp sbuffò. – Io di sicuro non posso occuparmene, ma conosco qualcuno che lo crescerà. Vivrà sulle montagne in cui siamo cresciuti noi. A Sparta. – Garp notò che l'altro sussultò leggermente. – Oh, non preoccuparti. Sparta e Atene sono alleate, non dimentico i giorni della Grande Guerra Persiana. Vivrà su quei monti, questo è tutto ciò che posso garantirgli. E se morirà... Sarà un incidente, che vuoi farci? – concluse, alzando le spalle.
– Allora addio, Garp. Non credo che ci rivedremo. Ah, un'ultima cosa...
Garp si voltò, infastidito. – Sì?
– Ace. Il suo nome è Ace. Buona fortuna. – Sussurrò l'uomo, sparendo subito dopo nella pioggia.
Il bambino cominciò a strillare. – Fortuna... – bofonchiò Garp, allontanandosi. – Ne avrò bisogno, altroché!

 

 

 

Uhm, che dire... spero che vi abbia intrigato e vi abbia fatto venir voglia di leggerla! ^^

Voi siete dei lettori stupendi, e ci terrei ad avere la vostra opinione anche su questo mio nuovissimo progetto! ^^

Quindi... a presto, eh? Non dimenticherò mai questa raccolta, significa tantissimo per me.

Quindi, un'ultima volta,

Grazie.

 

 

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