By your side

di _Carol
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una nuova vita ***
Capitolo 3: *** Nuove facce ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Immagini di vivere in un sogno, in una favola, tutta tua, con la tua famiglia, i tuoi amici, pensi che nessuno potrà mai rovinarti tutto, perché decidi tu, scrivi la tua storia, la tua vita…
Una storia, una vita, crudele…potrà anche cominciare con un “c’era una volta” ma non sarà mai una favola.
La storia di una bambina che c’era e adesso non c’è più, pagine bruciate, gettate al vento per riscrivere una nuova vita a penna senza l’opportunità di cancellare tutto.

 
C’era una volta una bambina che era nata e viveva in una piccola cittadina della Germania con i suoi genitori, i migliori genitori del mondo, che la trattavano come una principessa, la riempivano di attenzioni, non le era mancato mai niente, forse era la bambina più felice del mondo.
Anche il suo nome era quello di una principessa, si chiamava Anastasia.
I pomeriggi freddi delle vacanze natalizie era solita passarli con i suoi due migliori amici e vicini di casa, due gemelli con il viso da angelo, e che alla fine erano due vere pesti.
Stavano ore e ore, finché non faceva buio, a giocare in giardino alla lotta con le palle di neve, quando cominciavano a calare le tenebre di solito tornavano ognuno alla propria casa, ma quella sera era particolare, era la sera di natale e dato che le strade erano bloccate, tutti gli impegni erano saltati e i genitori della piccola, i signori Meyer, avevano deciso di invitare i vicini a cena.
Nell’aria c’era un odore di zabaione e di magia, nonostante la neve gelida che continuava a cadere imperterrita, la casa era calda, una serata magnifica tra risate e allegria, era la ricetta perfetta della felicità.
Ma è vero che non tutte le favole hanno un lieto fine.
Anastasia l’aveva capito quando aveva ricevuto queste parole “la mamma è volata via” dal padre, che aveva il viso coperto di lacrime.
Dopo quel regalo di natale, il più brutto della sua vita, si era trasferita con il padre in Italia, per non vedere più quei luoghi, per non respirare più quell’aria, per sfuggire dal dolore.
Lasciò lì la sua vita, i suoi amici, il suo mondo.
Visse con il ricordo della madre, che aspettava ancora, giorno dopo giorno, senza poter darsi una ragione, con tanti perché senza risposta, solo una vita davanti, lei, suo padre e il suo cagnolino Mozart.
Così in quella terra straniera trascorse gli ultimi 10 anni della sua vita, finché il destino, crudele, non le fece un altro regalo come quel natale.
Dopo che era passato tutto, aveva ricominciato da capo, si ritrovava in quella situazione, di nuovo, questa volta da sola, anche il padre le era stato portato via, da uno stupido, maledetto incidente stradale.
Questa volta era più matura, a 16 anni ce l’avrebbe fatta a superare tutto, con le difficoltà certo, ma ce l’avrebbe fatta.
Era sola questa volta, ma ci sarebbe riuscita per loro, per quanto gli voleva bene, per quei “vi voglio bene” che non poteva dirgli, per quei “mi mancate” pronunciati in silenzio contro il cuscino ormai pieno di lacrime, doveva farlo per se stessa.

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Capitolo 2
*** Una nuova vita ***


“Sii sempre come il mare che, infrangendosi sugli scogli, trova sempre la forza di riprovarci.” Jim Morrison.

Il giudice aveva stabilito che la signorina Evelyn Becker si sarebbe presa cura di Anastasia, almeno finché quest’ultima non fosse stata maggiorenne.
Evelyn era la zia, sorella della madre, non era sposata e aveva continuato a vivere in Germania nonostante la grave perdita.
Anastasia aveva ancora le valigie in mano, era tornata nella sua terra, quando stava in Italia non si sentiva a casa, non poteva dimenticare la sua bella favola e tutto quello che aveva lasciato li, in Germania, ma non poteva credere di aver dimenticato le uniche persone care che ormai gli rimanevano, quei due gemelli, di cui non ricordava più il nome, né l’aspetto, anche se ormai dopo gli anni non li avrebbe più riconosciuti.
Tra le persone care non c’era la zia, non l’aveva mai conosciuta, viveva in un’altra parte della Germania, la città si chiamava Magdeburgo.
Evelyn le aveva mostrato la sua stanza, cercando di essere il più comprensiva possibile.
Anastasia cominciò a sistemare la sua roba, non aveva parlato molto da quando era arrivata, voleva solo sistemarsi e dormire quanto più possibile per non pensare, ma soprattutto per non ricordare.
Non cenò nemmeno quella sera, si era rinchiusa nella sua stanza e non ne era più uscita, in meno di due ore aveva svuotato le valigie e gli scatoloni, riposto i vestiti nell’armadio, organizzato tutti i suoi cd preferiti su una mensola, montato il suo pc, appeso i poster delle più svariate band rock che ascoltava ricoprendo quasi tutte le pareti e infine sistemato il letto.
Stava tutto lì, in quelle poche cose era rinchiusa la sua vita.
Uscì dalla camera solo il giorno dopo, quando Evelyn era entrata in punta di piedi ed era andata ad alzare la serranda per far entrare un po’ di luce, si avvicinò ad Anastasia e le sussurrò in un orecchio:
-Sveglia, oggi ci aspetta una bella giornata, andremo in centro e poi compreremo anche i libri per la scuola-
-No! Non voglio…voglio stare qui a dormire…-
-Ma chi dorme non piglia pesci.-
-Non vado mica a pescare io…-
-Anya, non fare così, so come ti senti, ma non puoi reprimere tutto così, sfogati e vedrai che tutto andrà meglio.-
-Tu non sai proprio come mi sento! Non provare a fare la comprensiva con me! Lasciami in pace!-
-Va bene, vuol dire che andrò io a comprare i libri per la scuola, comincerai domani, ho già parlato col preside, non ci saranno problemi. Intanto se vuoi cominciare ad ambientarti, conoscere gente puoi uscire pure, ho fatto fare una copia delle chiavi, te le ho poggiate sulla scrivania. Ricorda però quando esci di farmi sapere dove vai, chiamami, lasciami un messaggio, qualsiasi cosa. Ci vediamo all’ora di pranzo. Ciao.-
Detto questo Evelyn si avviò alla porta d’ingresso, l’aprì ed uscì.
Anastasia era rimasta sola a casa, in realtà non voleva dormire, era solo che non voleva vedere Evelyn, per lei era una completa estranea, non l’aveva mai vista prima di quel momento, non poteva chiamarla zia come se nulla fosse successo.
Decise di alzarsi, andò nel salone dove, acciambellato sul suo grande cuscino, trovò Mozart il suo fedele cane, che non appena la vide si alzò di scatto e andò a “salutarla”.
Non sapeva che fare, non conosceva nessuno, e non se la sentiva di mettere piede fuori di casa, decise semplicemente di sedersi a vedere la tv.
Tra i canali tedeschi ne cercava uno di musica, trovò qualcosa, passavano video a rotazione, in quel momento c’era il video di quattro ragazzetti sbarbati, differenti dagli altri, quella canzone sembrava avere un significato profondo.
*Ci sanno fare!* pensò subito, non erano nemmeno brutti: il batterista aveva biondi capelli corti, e il viso tondo e così puro che ricordava proprio quello di un bambino, non aveva nemmeno l’ombra di un muscolo, era paragonabile a Ciccio Bello; il bassista tra tutti era il più “normale”, aveva davvero un bel corpo, su quello si erano fissati i suoi occhi, era muscoloso in modo equilibrato e delle braccia molto lunghe e pure queste muscolose, portava i lunghi capelli castani lisci con una riga di lato e i lineamenti ricordavano vagamente Leonardo Di Caprio; il chitarrista invece aveva un look insolito per essere in quella band, che era più sul rock, portava vestiti che potevano essere una tripla XL, gli calzavano grandissimi, dato che il suo corpo era davvero scheletrico e gli davano un’aria più da rapper che da rockettaro, magari questo poteva anche andare, ma quei dreads che portava raccolti da una fascia e su il cappello abbinato alla maglietta la disgustarono alquanto, o comunque non aveva mai visto un tizio andare in giro conciato così; ma quello che la colpì ancora di più fu il cantante, all’inizio fu titubante, ma si convinse dalla voce che era un lui e non una lei, il suo aspetto però traeva in inganno, il viso era caratterizzato da dei lineamenti molto delicati, ed era incorniciato da lunghi capelli neri con meches color biondo cenere tutti sparati in aria e aveva gli occhi truccati con dell’ombretto nero, il che dava anche a lui un aspetto molto particolare, le piacque quel look piacevolmente insolito, inoltre indossava, al contrario del chitarrista, vestiti molto attillati che marcavano ancora di più il suo corpo esile, era rimasta incantata a fissare tutti quei bracciali, quegli anelli che si intravedevano ogni tanto all’interno delle maniche di quel giubbotto di pelle, quei jeans così attillati le ispiravano tutto, fuorché qualcosa di casto.
Ad un certo punto comparve il nome della band e il titolo della canzone, *Tokio Hotel?...questi tizi sono strani anche nel nome!* pensò quando aveva cominciato a ridere.
Il video era finito, ma lei era ancora lì che ripensava a quella melodia che l’aveva catturata e a quei quattro tipi tanto strani.
Aveva passato tutta la mattinata guardando video di gruppi e cantanti di ogni genere e non si era accorta del tempo che trascorreva veloce, finché Evelyn non inserì la chiave nella serratura, aprì la porta ed entrò in casa tutta infreddolita, era metà dicembre e faceva un freddo che si congelava.
Anastasia la salutò sorridendo, quella canzone le aveva fatto cambiare umore, mai una canzone le aveva fatto un effetto del genere, in pochi minuti delle belle parole cantate al tempo di una batteria l’avevano resa felice, almeno quella giornata lo sarebbe stata, e voleva rendere partecipe anche sua zia.
-Ho comprato tutti i libri e anche dei quaderni, delle penne, matite…insomma ho pensato che potessero tornarti utili.-
-Grazie-
-Ehm…vuoi mangiare?- disse Evelyn posando ordinatamente tutte le buste sul pavimento.
-Si, non è una cattiva idea, ho una certa fame!-
Anastasia cominciò ad apparecchiare la tavola, per due, come era solita fare, mentre Evelyn cercava di arrostire delle fettine di carne senza farle bruciare.
Non riuscivano a conversare, volevano conoscersi, ma da dove cominciare?
Prese la parola Anastasia, che fece una domanda che la assillava da qualche giorno:
-Come mai non sei sposata o fidanzata?-
Evelyn arrossì molto ma cercò comunque di rispondere con diplomazia:
-Diciamo che ancora non ho trovato la persona giusta.-
Era una frase “tipo”, lo dicono tutti quando non sanno che dire, ma cercò di togliersi dall’obiettivo ponendo la stessa domanda ad Anastasia:
-E tu? Sei fidanzata?-
-No…Gli unici ragazzi che ho conosciuto…che superficiali!-
Scoppiarono a ridere entrambe
-Si! Hai proprio ragione! Uno serio e di sani principi non se ne trova!-
Trascorsero il pomeriggio a parlare, non solo di uomini, stavano cominciando a conoscersi davvero, era successo tutto così in fretta che Anastasia aveva proprio bisogno di parlare e confidarsi con qualcuno ed Evelyn non si era dimostrata solo una zia responsabile ma anche un’amica comprensiva.
Anastasia era di nuovo a casa, tutto quello che le restava da fare era cominciare la sua nuova vita.

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Capitolo 3
*** Nuove facce ***


“Oggi è il domani di cui ieri ci preoccupavamo.” Anonimo

La mattina seguente, stessa situazione, quasi stesse parole.
-Sveglia! Che oggi ti aspetta il tuo primo giorno di scuola! Il sole è alto in cielo e gli uccellini cinguettano felici, su! Questo mondo aspetta solo te!- Evelyn era entrata nella stanza, era andata ad alzare la serranda per far entrare la luce da fuori e cercava di tirare giù dal letto Anastasia, che dal suo canto non voleva saperne.
-E nooo!...voglio dormire!-
-Chi dorme non piglia pesci!-
-Ti ho detto che non pesco!-
-Vedi di sbrigarti che arriviamo tardi, vado a preparare la colazione, ti aspetto di là e ti voglio lavata e vestita!-
Evelyn uscì dalla stanza, era già pronta, aveva i lunghi capelli biondi legati in uno chignon, indossava quello che doveva essere uno dei suoi tanti completi giacca e gonna per andare a lavoro, era un avvocato, uno dei più bravi dall’agenda ricca di impegni.
Finalmente, dopo una mezz’oretta circa, Anastasia varcò la porta della cucina, anche lei adesso era pronta, portava i lunghi capelli di un intenso nero corvino liberi sulle spalle e un ciuffo le copriva quasi mezzo volto, non si truccava mai troppo, preferiva rimanere al naturale, ma non rinunciava ad un filo di matita per sottolineare il colore dei suoi occhi, verdi smeraldo con delle striature di un giallognolo intenso, un colore alquanto strano, l’avevano sempre chiamata “occhi di gatto”, indossava una delle sue felpe preferite, era nera con la grande faccia di un gatto ricamata davanti con il bordo rosso, dei jeans neri abbastanza aderenti, abbelliti da catene varie e una cintura di pelle nera borchiata, ai piedi portava un paio di converse rosse per riprendere i “colori” della felpa, ai polsi bracciali di tutti i tipi, da quello più grande come la cintura, a quelli più piccoli tra cui catenelle e cordicelle varie, le mani curatissime e le unghie dipinte con lo smalto nero.
Fecero subito colazione e in men che non si dica furono fuori casa, Evelyn accompagnò Anastasia fino alla scuola, dato che era il primo giorno, non ci voleva molto, una decina di minuti massimo a piedi.
Cominciò subito a guardarsi intorno, perché tutti quei ragazzi sembravano uguali a quelli che aveva lasciato in Italia? Che fossero superficiali come quelli? Va bene che tutto il mondo è paese, ma la guardavano storto, come se non fosse un essere umano, ed era in momenti come quelli che voleva tirare fuori le perle di saggezza della sua cantante preferita:
“Mi guardate male perché sono diversa, io rido perché siete tutti uguali” Amy Lee.
Si limitò a camminare e a guardarli cercando di trattenere le risate, erano tutti li pronti a fare qualsiasi cosa pur di essere “fighi”, tutti con i medesimi vestiti, ovviamente firmati, agli occhi di Anastasia erano solo un grande gregge senza arte né parte.
Era suonata la campana quando, dopo aver attraversato il cortile, aveva varcato la soglia di quella grande, forse enorme, scuola.
La prima cosa che la aspettava era recarsi in presidenza per farsi indicare l’aula e l’armadietto, riuscì a trovare subito quest’ultimo e iniziò a sistemare i suoi libri, il problema fu trovare l’aula, perché non era dove gliel’avevano indicata, quando era entrata l’avevano mandata al piano di sopra, finalmente trovata l’aula aprì la porta
-Buongiorno-
-Buongiorno! La signorina…Meyer! Giusto?- Una donna, abbastanza giovane, non molto alta e dai capelli mediamente lunghi e rossi la accolse calorosamente
-Ehm…si sono io-
-Si accomodi pure, scelga il posto che più le piace-
-Veramente io…- Non sapeva cosa dire e non sapeva cosa fare
-Su, via la timidezza e scelga un posto, magari accanto al ragazzo che trova più carino-
Ecco, questo la metteva ancora di più in difficoltà, i ragazzi, che complicati, che mondo a parte.
Sentiva almeno venticinque paia di occhi puntati addosso, così decise di scegliere in fretta, non avrebbe fatto la pignola, voleva fare scegliere al fato, ma non scelse un ragazzo, si mise a fissare un posto vuoto in fondo all’aula
-Non le piace nessuno in questa classe?...va bene, vada per quel posto, si accomodi pure-
Anastasia non se lo fece ripetere e subito si recò a quel banco che aveva scelto, ma non era ancora finita, la donna le rivolse di nuovo la parola, si presentò come la professoressa di lettere e le spiegò che per quel giorno, dato che stavano per cominciare le vacanze, non avrebbero fatto lezione
-Allora Anastasia, vieni dall’Italia giusto?-
-Esattamente-
-Come ti trovi qui?-
-Bene…sono qui da poco…-
Finalmente capì che Anastasia non aveva molta voglia di parlare così si rivolse alla classe e cominciarono a parlare del lavoro che i ragazzi avrebbero dovuto svolgere durante le vacanze.
Suonò la campanella, quella “lezione” sembrò volare, la prof si alzò e uscì dall’aula, Anastasia era rimasta li, al suo banco, aveva aperto il suo quaderno e aveva cominciato a scrivere, era un modo per liberare la sua testa da tutti i pensieri, erano dei testi e poi ci buttava giù delle basi al pianoforte, lo strumento che aveva studiato per anni.
Dopo qualche minuto le si accostò qualcuno
-Che scrivi?-
Si voltò un attimo per guardarlo, servì quell’attimo per farle capire, lei l’aveva già visto
-Ma tu…-
-Ma io?-
-Ma io ti conosco!-
-Bellezza…tutti mi conoscono!- disse il ragazzo aggiungendo un sorrisetto malizioso
-Sei anche modesto noto…ma che ci fai qui?-
-…Ci studio forse?-
-Tu?...Studi?...Non hai affatto l’aria di uno che studia…-
-Beh anche se non sembra, sono un uomo di cultura io!- sottolineò la parola “uomo” e le fece l’occhiolino, poi incuriosito si avvicinò al quaderno
-Che scrivi?-
Anastasia fece in tempo a chiudere il quaderno per non fargli leggere
-Non sono affari tuoi!-
-Va bene, va bene, calmati…- poi porgendole la mano si presentò ufficialmente
-Io mi chiamo Tom, Tom Kaulitz, piacere-
-Anastasia, Anastasia Meyer…-
-Che bel nome!....hai impegni per questa sera?-
-No…-
-Ottimo! Esci con me?!-
-Assolutamente no!...-
-E daaaaaiii!!! Ti prego ti prego ti prego!!!- aveva fatto finta di inginocchiarsi e glielo aveva chiesto con gli occhi più teneri che potesse assumere
-Ho detto di no, non mi incanti…-
-Ti ha mai detto nessuno che hai degli occhi stupendamente belli?-
E quelle parole, si erano una tattica, lei sarebbe stata la sua ultima preda, non se la sarebbe lasciata sfuggire, ma i suoi occhi gli piacevano davvero non era poi tutta una menzogna.
-Vattene va…- lei aveva capito tutto, non era la prima volta che i ragazzi si comportavano così con lei, lo sapeva non c’era da fidarsi con loro, erano tutti uguali e tutti, chi più chi meno, maniaci del sesso.
-Dai! Perché mi cacci così? Non ti piaccio nemmeno un po’?-
-Uhm…Fammi pensare…No! Nemmeno un po’!-
Tom stava per continuare il discorso, ma lo fermò un ragazzo, Anastasia aveva già visto anche lui
-Tom! Sempre il solito tu eh?- disse rivolgendosi a lui, poi si girò verso lei
-Scusalo fa sempre così, mi dispiace se ti ha dato fastidio-
-Fa niente…ma tienilo a cuccia…-
-Sarà difficile, ma ci proverò…Beh io mi chiamo Bill Kaulitz, piacere!- le porse la mano e con quella anche un enorme sorriso, davvero affascinante, che la incantò
-Io sono Anastasia…- disse porgendogli a sua volta la mano.

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