Frozen Flowers

di Marge
(/viewuser.php?uid=6159)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


FROZEN FLOWERS



I

In cui una principessa fatica ad accettare il proprio destino




Il palazzo di ghiaccio era quasi invisibile, abbarbicato su una collina in fondo alla pianura e nascosto da una fitta nebbiolina azzurra.
Ben al riparo nel suo palanchino, pur traballando di qua e di là, Hilde ringraziò gli dei per averle concesso di nascere ricca e poter viaggiare al caldo tra le coperte, seppur con una leggera nausea dovuta agli sballottamenti.
Hilde non scordava mai di ringraziarli, per ogni passo che compieva sulla terra bianca: era nata fortunata, senza alcun dubbio, e la tata non aveva fatto che ricordarglielo, fin da quando le faceva il bagno da bambina.
“Sei nata sotto una buona stella, e sarai felice” le diceva. Ad ogni tappa di quel lungo viaggio, quando il sole calava oltre l’orizzonte ed il suo seguito si fermava per la notte in qualche locanda sperduta, Hilde scendeva dal palanchino e si rendeva conto di quanto veramente lo fosse: perfino la tata, la sua adoratissima tata, camminava nella neve un passo dopo l’altro, mentre lei poteva starsene là dentro, al caldo e sdraiata.
Il palazzo bianco sorgeva in lontananza, ed era visibile ormai da tre giorni.

“Domani saremo lì” la rassicurò la tata quella sera, mentre le pettinava i lunghi capelli scuri e li avvolgeva in volute attorno alla testa. “Sei stanca del viaggio?”
Hilde scosse la testa. “È comodo viaggiare nel palanchino, ma sono preoccupata per te.”
“Io sono abituata” sorrise l’anziana donna. “Non ti annoi?”
La ragazza annuì impercettibilmente: “Il paesaggio è sempre uguale. Credevo che, andando via da Thule, avrei visto qualcosa di diverso, ed invece è sempre tutto bianco.”
“In estate sarà più bello, vedrai: la neve si scioglierà ed il terreno si coprirà di verde.”
“Esistono veramente luoghi in cui la neve cade solo pochi giorni l’anno, ed in cui vi sono tipi di erbe così variegati da essere di tutti i colori?”
La tata si mise a ridere: “Chi ti ha raccontato queste storie?”
“Sai che da bambina amavo ascoltare i racconti dei viaggiatori.”
“Origliare le conversazioni dei grandi, piuttosto.”
Terminò di acconciarle i capelli e prese un panno da una cesta.
“Una volta udii un uomo raccontare di erbe di tutti i colori, chiamate fiori. Era un uomo straniero, parlava con un accento particolare, e veniva da molto lontano.”
“Sì, anche io ho sentito parlare dei fiori. Sembra che abbiano un profumo buonissimo.”
Mentre la tata le fasciava la testa ed il collo con il panno morbido, Hilde lasciò vagare la mente, sforzandosi di immaginare i fiori. “A cosa assomigliano?”
“Secondo me, somigliano a nuvole. Hanno diverse forme e dimensioni, e ovviamente anche colori.”
“Nuvolette colorate sui prati!” rise la fanciulla. “Che idea buffa!”
“Quando sarai sposata con il nostro sovrano, bimba mia, potrai chiedergli qualsiasi dono vorrai, perfino di portarti dei fiori dalle terre lontane.”
“Oh! Sarebbe bello, ma ho sentito dire anche che i fiori qui non possono sopravvivere, e per questo non nascono spontaneamente. Potrei chiedergli di mandarmi a fare un viaggio laggiù.”
“Fossi in te, andrei cauta con richieste di questo genere: uno sposo ama avere accanto a sé la propria sposa.”
Hilde mise il broncio: da mesi ormai la tata cercava di inculcarle qualcosa sul quel matrimonio, ma lei non ne era affatto convinta.
“Ed una sposa non dovrebbe forse amare avere accanto a sé uno sposo amato?”
“E non è forse così?” chiese l’altra, aggrottando le sopracciglia scure.
“Non posso certo saperlo senza conoscerlo” bofonchiò Hilde, ma a bassa voce, perché sapeva di non dire una cosa gradita.
“Su, vai a dormire. Domani ci aspetta una giornata molto impegnativa. Sei coperta abbastanza?”
Imbacuccata da capo a piedi in abiti caldi, compresi due manicotti di pelliccia fatti realizzare appositamente per il viaggio, Hilde si sentiva al sicuro come tra le braccia della sua tata quand’era bambina. Annuì e si accoccolò sotto le coperte, ed ad occhi chiusi pregò gli dei di farle sognare un prato pieno di fiori colorati.

Sophie aprì gli occhi quando un raggio di sole le colpì il viso. Mugugnò e nascose la testa sotto il lenzuolo.
“Su, in piedi!” la apostrofò Howl, afferrando un lembo della stoffa ricamata.
Sophie rimase immobile, sperando di divenire invisibile e poter dormire ancora un po’.
“Stamane c’è un sole splendido!” canterellò il mago, lasciando perdere per un momento il letto e cominciando a volteggiare per la stanza. Sophie cominciò a sentire degli oggetti cadere sul materasso, alla rinfusa.
“Ma è presto” si lamentò, tuttavia emergendo con la testa per la curiosità: ovviamente, il mago stava mettendo sossopra l’intera stanza provandosi tutte le camicie accuratamente piegate nel comò, prima di scegliere quella adatta alla giornata.
“Il mattino ha l’oro in bocca, mia cara Sophie.”
“Non chiamarmi così, sembra che io sia la tua vecchia zia…”
“Sei la mia nonnetta” confermò lui. Si avvicinò al letto e si piegò così da poterla fissare negli occhi. “Quand’eri vecchia eri senz’altro più arzilla.”
“Normalmente sei tu quello che alza dopo mezzogiorno” ribatté lei, ma si arrese ed uscì dalle coperte. “Ed io sono sempre in piedi fin dall’alba per lavorare. Ma questa mattina mi sento così pigra!”
Si stiracchiò e fece un bel respiro: dalla finestra spalancata proveniva un’aria frizzantina.
“Si gela fuori dal letto” mormorò, e si gettò sulle spalle una mantella di lana. Alzandosi, urtò la testa contro un mucchio di strani oggetti che penzolavano dal soffitto, dalla vaga forma a stella.
“Scendo a preparare la colazione?” chiese.
“Aspetta” disse lui, e l’abbracciò. “Buongiorno, bella bimba” mormorò con le labbra contro la guancia di lei.
Sophie sorrise: “Buongiorno a te, mago da strapazzo. Come mai stamattina sei in piedi così presto, e così pieno di energie?”
“Il tuo amore mi riempie ogni giorno di nuove forze, ed ho deciso che oggi verrai con me nel nostro giardino. Ho voglia di passare una giornata tra i fiori a contarne i petali ed osservare le farfalle.”
“Non dire sciocchezze” replicò lei, ed arrossì suo malgrado. “E poi non ci saranno molte farfalle, vista la stagione, e farà davvero freddo. Ma possiamo ugualmente andare a passeggiare.”
“Smonti ogni mio piano, Sophie. La tua crudeltà mi ucciderà.”
Sophie ridacchiò tra sé e sé. “Smettila di farneticare. Allora, vuoi la colazione?”
“Scendo io a preparare qualcosa da portare nella casina; tu vestiti.”
La strinse ancora un attimo tra le braccia, e quando scomparve al piano inferiore, Sophie sentì un brivido di freddo attraversarla da capo a piedi.

Durante il giorno successivo la nausea si attenuò, e Hilde ne approfittò per tirar fuori il suo quaderno dei disegni; amava disegnare fin da quando era bambina, e passò un po’ di tempo a sfogliare gli ultimi schizzi. Aveva cercato di ritrarre tutti i membri della famiglia, per portare con sé il loro ricordo.
Suo padre troneggiava su una poltrona appena accennata, con i lunghi capelli scuri sciolti sulle spalle, come nelle grandi occasioni, ed il mantello di pelliccia nuovo. Hilde aveva lasciato in bianco il viso, limitandosi a tracciare il contorno delle sopracciglia, e si era invece concentrata sulle mani, intrecciate fra loro in grembo. Osservando il disegno le sembrò di sentirle sulla sua testa, e si chiese quando lo avrebbe rivisto; lui le aveva promesso di venire in primavera, magari portando con sé Agnes, che quando lei era partita aveva pianto strillando come un cucciolo di foca rimasto solo.
Delle sue sorelle aveva realizzato un ritratto di gruppo, copiando un grande quadro che suo padre aveva commissionato l’anno prima per la sala da pranzo: cinque dolci fanciulle intente alle arti femminili, chi all’arpa, chi al cucito, chi alla danza. Lei, Hilde, rubava il centro della scena guardando fisso l’osservatore, immobile. Nel quaderno aveva omesso se stessa, concentrandosi invece sulle sorelle, ed osservò con tenerezza soprattutto la piccola Agnes, raffigurata seduta in terra con una bambola fra le mani.
Aveva sempre ringraziato gli dei per essere nata secondogenita, dal momento che non avrebbe dovuto portare su di sé il peso della responsabilità familiare; e quando due anni prima Elin si era sposata, aveva pensato con terrore a quando sarebbe accaduto a lei, poiché Elin era stata data in sposa ad un uomo molto più anziano, con il quale suo padre intendeva far affari.
Solo l’anno dopo, però, il Re aveva chiesto al signore dell’isola di Thule di sancire un accordo tra i Kanapohl e i Ramepohl; e quale modo migliore, se non un matrimonio tra la bella figlia della famiglia più importante dei Kanapohl, e lui, signore di tutto il regno di Angelia e quindi il maggior esponente dei Ramepohl?
Hilde aveva invidiato Agnes, per essere ancora così piccola ed essere l’ultima, ed anche Karit e Maren, che, pur avendo già tredici anni, erano ancora due bambine e nessuno si sarebbe mai sognato di darle in sposa a chicchessia. Ed Elin, almeno, era rimasta ad abitare lì sull’isola, e i due giorni di cammino necessari ad arrivare da lei sembravano nulla, in confronto al viaggio infinito che lei aveva intrapreso verso la capitale, nel continente.
“Sei così fortunata, bella come un raggio di sole all’alba, ed ora anche il Re l’ha notato e ti vuole tutta per sé” aveva detto la tata per annunciarle l’accordo. Hilde non era sicura di esserlo.
Infine, Hilde aprì la pagina in cui era ritratta sua madre, la bella signora di Thule, Pernille. Sospirò e lo richiuse quasi subito.
Subito dopo invece cambiò idea, prese una matita dalla sacca e cominciò a tracciare figure curve, quasi a caso: fiori multiformi come tante nuvolette riempirono il foglio ingiallito.

“Vieni” le disse Howl, e le tese la mano come la prima volta che l’aveva invitata nel giardino. Sophie si tirò sulla testa il cappuccio della mantella prima di uscire all’aperto.
“Nevicherà?” chiese dubbiosa; gli prese il braccio e cominciarono a camminare.
“L’aria è fresca, ma non credo. Hai paura di rimanere bloccata con me nella casina per tutto l’inverno?”
Le strizzò un occhio, e Sophie sentì il calore diffondersi su viso e collo. “Potrebbe essere interessante…” mormorò in risposta, per provocarlo, ma l’imbarazzo era talmente evidente che Howl scoppiò a ridere.
“Trovi divertente che io arrossisca?” replicò piccata.
“Lo trovo fantastico. Quando diventi rossa sei veramente bella, Sophie.”
“Non riesco a controllarlo” rispose, ed arrossì ulteriormente. Per evitare altri commenti si tirò il cappuccio fin sulla fronte, lasciò il suo braccio e corse avanti, sbatacchiando il cestino appeso al braccio. Dopo poco si fermò ad ammirare il paesaggio davanti a sé: in lontananza le montagne erano completamente ricoperte di bianco, mentre ai loro piedi una fitta nebbiolina lattiginosa mascherava l’orizzonte; ma i prati rilucevano come fossero di cristallo, d’un verde splendente.
“Peccato che i fiori siano così pochi” disse fra sé e sé, ma si voltò comunque di slancio offrendo ad Howl un sorriso entusiasta.
“Ho fame!” urlò, e lui accelerò il passo. “Nel cestino ho messo tante cose buone, sbrighiamoci ad arrivare alla casina.”

Arrivarono nella grande città a metà mattinata, nelle ore più calde. Hilde, entusiasta, si sporse dal palanchino per osservare la vita frenetica nelle vie, le donne e gli uomini, quasi tutti dei Ramepohl, intenti nelle loro faccende quotidiane. Il seguito attraversò zone periferiche, in cui si assiepavano piccole costruzioni chiare e i bambini si rincorrevano tirandosi palle di neve, fino alle vie centrali, dove grandi palazzi facevano bella mostra di sé, decorati con gli stemmi delle famiglie che vi abitavano. In cima alla città sorgeva il Castello Reale, una costruzione circolare ed imponente, sulla cui sommità svettava la statua alata simbolo di Angelia.
Il Castello era circondato da un largo fossato ora ghiacciato, ed era collegato al resto tramite un ponte di pietra. Era lì che li aspettava una delegazione di guardie reali, e tra loro un uomo con una lunga tunica candida.
“Il mio nome è Gunnar” esordì. “Sono il Primo Ministro, ed a nome della città di III ti do il benvenuto, Hilde principessa di Thule.”
Hilde s’inchinò come le era stato insegnato: “Per me è un grande onore essere accolta in questo nobile Castello. Sono giunta fin qui con la speranza di poter contribuire, per quanto in mio potere, alla pace ed alla serenità dei nostri popoli.”
Fremette, dentro di sé, ma rimase immobile con la fronte chinata; le sembrava assurdo dover sposare uno sconosciuto, per quanto fosse il Re, ed al contempo si vergognava di se stessa: non si sarebbe mai tirata indietro, di fronte al dovere che aveva verso il suo paese.
Il Primo Ministro Gunnar fece strada, e mentre attraversavano l’ampio spazio all’aperto a piedi, con il seguito dietro di loro, illustrò brevemente le ali del Castello, che si sviluppava attorno a loro.
“Vi accompagno alle stanze che sono state riservate a voi ed alle vostre dame. Le vostre guardie ed i servitori potranno sistemarsi negli alloggi con le nostre.”
“Ho con me solo la mia tata” ammise Hilde. “E le mie guardie sono davvero poche. Non ho voluto portare con me un largo seguito, dal momento che abiterò qui, d’ora in poi. Questa sarà la mia casa.”
“Sarò lieto di offrirvi dunque qualunque persona di cui abbiate bisogno. Non dovete far altro che chiedere.”
La fanciulla annuì brevemente: “Mandatemi una cameriera; siamo molto stanche a causa del viaggio, ed avremo sicuramente bisogno di aiuto. Il Re mi aspetta?”
“Sarà a vostra disposizione nel pomeriggio. Vi manderemo a chiamare.”
“Vi ringrazio.”
Poco dopo si ritrovarono nell’ala del Castello opposta rispetto alla città: lì erano gli appartamenti privati. Entrando nell’enorme anticamera che le era stata riservata, Hilde non poté fare a meno di meravigliarsi per il lusso e la grandiosità dei luoghi.
“Sulla destra vi sono diverse camere da letto e di studio. Manderò subito la ragazza” concluse Gunnar.

La cameriera comparve subito dopo: era una ragazzina di neanche quindici anni, ed era una Kanapohl bassetta ed allegra. Immediatamente decise in quale delle numerose stanze Hilde avrebbe dormito, ne assegnò un’altra alla tata e cominciò a svuotare i bauli, continuando a ripetere: “Se a voi va bene, principessa, ovviamente!”
Hilde si chiese se Gunnar avesse mandato una Kanapohl in segno di riguardo, o non vi avesse fatto caso.
“Volete che vi prepari un bagno caldo?” chiese infine la ragazza.
“Vi è acqua calda nel Castello?”
“Ma certo” sorrise, “siamo raggiunti da una corrente calda che proviene da sud, dal regno d’Ingary. È una corrente sotterranea, ma il Re è riuscito a portarla in superficie e serve l’intera città. Inoltre, le caldaie riscaldano ulteriormente quella che giunge al Castello. Posso prepararvi un bagno fumante, se a voi va bene, principessa!”
“Sta bene, ma portate dell’acqua calda anche alla mia tata.”
“Certamente!”
Mentre la ragazza s’involava verso la porta, Hilde la richiamò: “Come hai detto di chiamarti?”
“Rikke, principessa.”
“Torna qui il prima possibile ad aiutarmi, Rikke, devo prepararmi per l’incontro con il Re.”
Le sorrise ed aggiunse: “Grazie”, e Rikke sorrise in risposta.

Steso a terra sul grande tappeto di fronte al camino, tra le vettovaglie ed il resto della colazione, Howl si lasciò prendere dal torpore e chiuse gli occhi, mentre Sophie si affaccendava come sempre per riporre nel cestino gli avanzi.
“Oggi non devi lavorare?” gli chiese mentre ripiegava una tovaglia.
Lui mugugnò una negazione.
“Più tardi passerà Nina. Sta diventando molto brava con le lettere, credo che entro la prossima primavera sarà in grado di leggere speditamente quasi ogni cosa.”
“Mmmm.”
“Non studia molto, quando è a casa, perché ha sempre tanto lavoro da fare per aiutare la sua famiglia, ma è molto intelligente. È un peccato che non abbia studiato da bambina.”
“Mmmm.”
“Ad ogni modo, credo che arriverà verso il tramonto, come sempre, quindi abbiamo ancora alcune ore prima di dover tornare.” Ripose la tovaglia nel cestino e sopra vi mise una gavetta con del pasticcio avanzato. “E posso sempre tornare da sola, se vuoi fermarti qui. Ma forse Calcifer si sentirà solo…”
“Sophie.”
“Sì?”
“Puoi smettere di parlare e venire qui vicino a me, per favore?”
Lei si guardò attorno dubbiosa, soppesando la quantità di oggetti da mettere ancora in ordine: qualche piatto e posata sporchi da lavare, la caraffa del thè da vuotare; decise quindi che potevano aspettare, e si alzò dal tavolo.
Non sapeva quando, ma Howl aveva arredato nuovamente la casina, apportando delle modifiche, a suo dire, indispensabili per affrontare l’inverno: un tappeto folto e caldo ricopriva gran parte del pavimento, e dal momento che la casina non aveva divani, vi erano stati poggiati grandi cuscini. Sul lettino nell’angolo diverse coperte colorate erano ammonticchiate. Ed infine, una catasta di ciocchi ordinatamente impilati vicino al focolare, per non essere costretti ad uscire sul retro.
Sophie si sdraiò accanto a lui, rannicchiandosi con un suo braccio sotto la nuca. Il viso di Howl si distese in un sorriso.
“Che strana giornata…” mormorò lei, guardando la foschia fuori dalla finestra. “Sembra sospesa a metà, con questa neve nell’aria che non si decide a cadere, ogni cosa immobile…”
“Se venisse la neve, e restassimo qui intrappolati per giorni e giorni…”
“Non abbiamo abbastanza da mangiare, Howl.”
“Ma potrei mangiare te…”
Le prese il mento con due dita e si chinò a baciarla. “Potrei assaggiarti da capo a piedi, così lentamente da impiegarci ore…”
La voce di Howl aveva un tono basso e languido, ogni volta, che la immobilizzava; se fosse rimasto in silenzio, forse, sarebbe riuscita a fare qualcosa, a prendere l’iniziativa o fargli capire quanto le piacesse tutto quello, ma quella voce la inchiodava lì, perché il suo corpo sembrava rispondere solo a quella e non più a se stessa. Le carezze di quella voce arrivavano prima di quelle delle mani, e le provocavano brividi d’aspettativa che la confondevano.
Anche lì, a terra sul tappeto morbido, non riuscì a muoversi mentre lui parlava e le sbottonava, uno dopo l’altro, i bottoni del vestito, e poi della camicia, ed uno dopo l’altro eliminava gli strati dei suoi abiti. Rimase immobile mentre le accarezzava la pelle, ed alle mani sostituiva le labbra, e la lingua giocava a bagnarla e un soffio le procurava mille piccoli fremiti.
“Hai freddo?”
Annuì, e lui si alzò; poco dopo una delle grandi coperte la ricopriva.
Howl rimase in piedi, a sbottonarsi il pantalone; Sophie chiuse gli occhi, imbarazzata, e non li riaprì neanche quando il corpo di lui fu di nuovo accanto a lei, senza nulla addosso, e con frenesia venne spogliata anche dell’ultima biancheria.
La abbracciò e mormorò contro i suoi capelli: “Oh, Sophie, sono così felice…tu lo sei?”
Annuì e sorrise.
“Sei silenziosa…”
“Solo perché sono timida e tu…”
“Io?”
“Oh, lo sai bene! Quando cominci a… io non capisco più nulla e…”
“Ma oggi non voglio essere così” le disse, prendendole il viso tra le mani. “Oggi mi sembra di essere sospeso come in un sogno, e non vorrei più tornare indietro. Vorrei rimanere qui con te così, per sempre.”
Sophie posò una mano sul suo petto, pensierosa, e la fece scorrere lievemente. Se solo non fosse stata così timida, avrebbe potuto passare anche lei tutta la vita a carezzare quella pelle diafana. Posò un bacio leggero sulle sue labbra, poi continuò, a caso, lungo lo zigomo, il collo, la spalla.
Nel silenzio della casina, in cui solo il vento nella canna fumaria soffiava il suo canto, rimasero ad accarezzarsi e baciarsi a lungo, stretti al caldo sotto la coperta, finché diventare tutt’uno fu così naturale come respirare, ed ansimare l’uno nella bocca dell’altra, e stringersi e mescolare odori e sapori, e scordare ogni cosa al di fuori.

Hilde aveva visto il Re diverse volte, ma pur sempre in ritratto; di persona, si sorprese di trovare i suoi tratti più infantili, ed il suo corpo più longilineo e sottile di quanto apparisse nei disegni. Entrando nella sala, preceduta da Gunnar e seguita dalla tata, si meravigliò di trovarsi in una piccola stanza, calda ed accogliente, arredata con alcuni divani e numerosi quadri alle pareti. Un piccolo fuoco in un camino nella parete di fronte riscaldava l’ambiente, ma erano sistemati qui e lì anche numerosi bracieri.
Hilde rimase interdetta ed in silenzio, perché si aspettava un incontro molto più formale.
“Principessa, accomodatevi” disse il Re, ed aveva la voce di un ragazzo. Fece un gesto con una mano, e Hilde sentì la tata spingerla dolcemente verso il divano indicato.
“Il mio nome è Baldur, e come sapete sono il Re di Angelia. Spero che voi vorrete essere la mia regina.”
“Sono qui per questo” pensò Hilde, ma non lo disse. Lo fissò, cercando di capire il ragazzo dietro la corona, e mentre lo squadrava meccanicamente rispose: “È per me un onore essere qui. Ho dei doni da parte di mio padre.”
Offrì la scatola che aveva tra le mani, ed un paggio subito gliela tolse dalle mani per porgerla al Re, che ringraziò secondo la formula ed espresse il desiderio di avere presto ospite presso di sé la sua famiglia. Poi cambiò espressione, curvando le sopracciglia chiare: “Purtroppo, ho delle notizie che credo non saranno piacevoli per voi.”
“Non può più sposarmi!” pensò lei, e si scoprì felice; il cuore cominciò a batterle forte nel petto.
“Il nostro matrimonio è stato fissato per il mese prossimo. Tuttavia, sono sopraggiunti degli impegni impellenti proprio per quel periodo.”
“Il regno d’Ingary ha da poco firmato la pace con il suo regno confinante, Turny” intervenne una voce bassa, e Hilde si voltò verso l’uomo che aveva parlato. Lo conosceva di fama: era Espen, il mago di corte.
“È assolutamente necessario che il nostro Re si rechi laggiù per discutere al più presto alcuni accordi, ora che le alleanze sono state ridefinite. Ma Ingary è lontana, e starà via per almeno due mesi” continuò l’uomo, mentre Hilde fissava affascinata i suoi occhi neri, brillanti come perle.
“Non voglio rimandare di così tanto il nostro matrimonio” si affrettò a precisare il Re. “Ho dunque pensato di anticiparlo alla prossima settimana.”
“Oh” riuscì solo a dire Hilde. La prossima settimana! Così poco tempo per abituarsi all’idea, e sperare ancora…
“So che è poco tempo per i preparativi, ma credo sia necessario. Metterò a vostra disposizione tutte le mie cameriere, le pettinatrici e le sarte della città ed ogni altra persona che possa esservi utile. Ogni vostra richiesta sarà per me un ordine, e sarò felice di accontentarla.”
“Ho consigliato al Re di rimandare il matrimonio, ma egli ritiene che sia meglio anticiparlo” disse ancora Espen.
“Come volete” rispose con un fil di voce Hilde, e la tata le strinse un gomito, non vista.
Il Re le sorrise, e sembrava sincero, ma lei rimase sgomenta a guardarsi attorno, spaesata e confusa da quella notizia.
“Credo che siate molto stanca, l’isola di Thule è davvero lontana. Ho ordinato che la vostra cena venga servita in stanza, così che possiate riposarvi. Domani cominceremo i preparativi.”
“Vi ringrazio molto, Sire” intervenne la tata. “La principessa è molto affaticata dal viaggio, ed è anche colpita dal luogo in cui si trova, così diverso dalla sua casa natale. Vogliate scusare il suo silenzio.”
Hilde chinò il capo, turbata, ma sentì il Re rispondere con voce gaia: “È assolutamente naturale, e non c’è bisogno di scusarsi. Questa sarà presto la sua casa, e vi potrà abitare da regina.”
Pochi minuti dopo si alzarono per congedarsi.
Mentre uscivano dalla stanza, la ragazza sentì su di sé gli sguardi dei tre uomini: Gunnar, Primo Ministro, Espen, il mago di corte, e Baldur, il Re e suo promesso sposo. S’inchinarono formalmente al suo passaggio, ma Hilde uscì sentendo un brivido lungo la schiena.







***
Son tornata! Dopo una lunga pausa in cui ho scritto tutt’altro (avete dato un’occhiata alle mie storie su Avatar – Aang & Korra?), eccomi qui per cominciare una nuova, grande avventura insieme ad Howl e Sophie. E dal momento che ne hanno già vissute molte in patria, mi sembra giunto il momento di esplorare un po’ i dintorni. Chi è Hilde, e che paese è mai il suo, perennemente immerso nei ghiacci? E cosa avrà a che fare con i nostri due eroi ed il loro demone del focolare? I prossimi capitoli sono già in lavorazione, quindi fatemi sapere cosa pensate di questo mentre io sono la lavoro; e come sempre vi ricordo il mio LJ, dove trovate impressioni, appunti di viaggio, prove, scleri e tanto altro.
See ya giovani principesse del ghiaccio!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


FROZEN FLOWERS

II

In cui Sophie studia geografia, e poi combina un pasticcio


Seduta su un muretto accanto ad un cesto da cui faceva capolino un cavolo rosso, Sophie leggeva con le sopracciglia aggrottate una lettera. Il foglio era spiegazzato e Sophie sospirava ad ogni frase.

Carissima Sophie, figlia mia,

Ti scrivo per aggiornarti sulle ultime novità. In questi giorni autunnali tua sorella Lettie sta illuminando le mie giornate con la sua presenza, che sempre mi è cara e di gran conforto. Sai perché dico questo: non vorrai certo avermene se continuo ad insistere per una tua venuta nella mia dimora, che sia una breve visita od un periodo più lungo – anche se non accetterei mai di vederti ripartire prima di qualche settimana. La sola idea che ti consumi ostinandoti a far da sarta e da governante in un paesello di pescatori così lontano da Market Chipping mi angustia e mi tiene sveglia tutte le notti. Cerco di fare il possibile per bandire il pensiero penoso che ho di te, ma un altro, ancor più grave, mi è da qualche tempo saltato alla mente: e cioè che tu possa trovarti in una situazione alquanto disdicevole nel vivere nella stessa casa di quel mago.
Quanto lo conobbi, l’estate passata, ebbi senz’altro di lui un un’ottima impressione: un gentiluomo distinto ed educato, di bellissimo aspetto e modi finissimi. Tuttavia, devo ammetterlo, il suo splendido personale è forse offuscato dalla vanità che dimostra, e dalla facilità con cui tu, mi par di comprendere, ti sei adattata a fargli da serva (oh Dio, che parola orribile, Sophie!) senza percepire nulla in cambio che la sua ospitalità. Ho il diritto, a questo punto, di pensare ben poco di bene di questa situazione alquanto ambigua.
Una fanciulla come te merita ben altro! La tua posizione, ora che ad ogni buon diritto ti si potrebbe chiamare figliastra del conte, è ben diversa da quella modesta in cui versavamo anni fa. Ed ad ogni modo, neanche allora ti consigliai o ti diedi mai esempio di vita scostumata. Vivere nella stessa casa di un uomo senza essere sposata, ed uno così ambiguo, poi!
Ti consiglio vivamente, Sophie, in quanto madre, di riconsiderare la tua scelta. Un posto per te, nella mia casa, vi sarà sempre, come ben sai. Non capisco perché ti ostini a voler stare così lontana; oltretutto qui abbiamo una serie di amici benevoli, ogni settimana vi è un ballo a cui partecipano tutti i giovanotti della contea, e sono certa che riuscirai perfino a trovarne uno per un ottimo matrimonio, e la faccenda del mago sarà presto dimenticata. Sono sicura che ti troveresti molto bene.
Fammi avere presto tue notizie, con amore

Tua madre Fanny



“Eccoci dunque arrivati al momento” mormorò tra sé e sé. Ripiegò il foglio e lo infilò nella tasca del grembiule. “Non potevo certo aspettarmi che questa situazione andasse bene a lungo” continuò a riflettere incamminandosi. “Perfino Nina mi aveva avvertita: questo è un paese di pescatori, è vero, e contadini, gente semplice che non bada troppo alla apparenze. Ma l’entroterra di Ingary è di tutt’altro avviso, per non parlare poi di principi e nobili.”
Cominciò a scendere le scalette che dalla strada principale portavano all’isolotto su cui nasceva la loro casa a Dengulls, una delle tante uscite della porta del Castello.
“Figliastra del conte!” esclamò a voce alta. “Figurarsi! Io, Sophie Hatter, cappellaia un tempo ed ora sarta! Neanche il più bel vestito di tutto il regno farà di me una damina.”
Pensò per un momento alla sorella, che sicuramente si adattava bene a quella vita. “Mia madre si dovrà accontentare di Lettie” concluse, ma giunta davanti alla porta di casa si fermò nuovamente e sospirò: non sarebbe stato facile convincerla. “Povera mamma, dopo tutto quello che ha passato con la morte di papà, il distacco da Lettie e poi la guerra…”
Scosse la testa facendo sobbalzare la lunga treccia argentata sulla schiena, ed abbassò la maniglia.
“In questi giorni non so veramente come vestirmi” brontolò entrando nel Castello. “A Dengulls fa freddo, ma non quanto nelle Lande, o nel giardino! Non so davvero cosa mettermi: se mi copro ed esco per delle faccende in paese, muoio di caldo. Ma non posso passare la giornata a cambiarmi d’abito…”
“Questo accade perché tu marci con il passo di un soldato, quando devi sbrigare le tue faccende. Dovresti camminare in maniera più femminile, Sophie” ribatté Calcifer dal suo focolare, e si allungò a prendere un altro ciocco. “Sbrigati a chiudere, entrano gli spifferi!”
“È solo perché non ho mai abbastanza tempo per tutto.”
La fanciulla barcollò per le scale sotto al peso di un cestino colmo, poi riuscì ad arrivare al tavolo e posarvelo.
“Ho fatto un bel di provviste” esclamò sorridendo, evidentemente soddisfatta degli acquisti. “Così, anche se dovesse nevicare, non avremmo problemi.”
“Dengulls è troppo a Sud, non nevica quasi mai.”
“E tu come fai a saperlo? Sei solo un demone del fuoco.”
“Noi abbiamo studiato molto” rispose lui con superiorità.
“Su, abbassa la testa, voglio preparare un thè” lo rimbeccò lei, affrettandosi all’acquaio per riempire una pentola.
“Non capisco perché dobbiate sempre bistrattarci a questa maniera, anche ora che siamo un demone libero! Potresti utilizzare un fuoco normale, no?”
“Ma nessuno è forte e potente come te” lo blandì lei, chinandosi sulle fiamme azzurrine. “Nessuno sa far bollire l’acqua per il thè così velocemente, ed in maniera così perfetta.”
“Dici davvero?”
“Ma certo! Sei il più grande demone del fuoco del focolare che io abbia mai…”
“Siamo alle solite” li interruppe Howl, comparendo dalla porticina laterale. La ragazza volò tra le sue braccia.
“Grande demone sì, ma mai quanto quel mago incantatore…” mugugnò Calcifer da sotto la pentola.

“Chi è quest’uomo raffigurato qui?”
Seduti uno accanto all’altra sul divano davanti al fuoco caldo, Sophie e Howl erano chini su di un libro.
“Questo è il grande mago Robert O’Yale, vissuto circa trecento anni fa, ed esperto di divinazione.”
“Credevo che la più grande esperta fosse stata Shahanna, ed in seguito il padre della nonnina.”
“La divinazione è una oscura materia, e non si finisce mai di studiarla. Per alcuni è come un talento divino: hanno spontaneamente, o quasi, visioni su cosa accadrà in futuro.”
Sophie annuì, e passò due dita sul profilo severo dell’uomo disegnato.
“Ma è molto difficile spiegare perché ciò accada, e soprattutto come far sì che accada quando si vuole.”
“Come quando sono stata nel tuo passato? O quando ho assistito alla vita di Ilary?”
“È veramente un mistero come tu sia riuscita a far ciò. Ma c’è una differenza: la prima volta tu non hai solo visto il passato, ma vi hai partecipato. Calcifer ed io ti abbiamo udita e vista.”
“La seconda volta invece mi sembrava di non avere un corpo.”
“Questo è più simile ad una divinazione. È incredibile che tu ci sia riuscita.”
“Ma non sono stata io” sorrise lei, alzando le spalle. “La prima volta sei stato tu, no? A mandarmi lì. Il tuo anello magico mi ha indicato la via. Mentre la seconda è stata senz’altro Ilary. Come avrei potuto, io?”
Howl scosse la testa, non convinto.
“Tu sei un esperto di divinazione?”
“È una delle materie che ho studiato maggiormente, ma come tutti i maghi che se ne occupano, al momento tutto ciò che ottengo sono esclusivamente immagini sfocate, confuse, e spesso molto lontane da ciò che chiesto.”
“Per questo passi così tanto tempo nel tuo laboratorio, ora?”
“Voglio capire come poter ottenere di più. Soprattutto, voglio esercitarmi nel comprendere le visioni: quando andai da Talibah, la scorsa estate, per capire cosa ti stava accadendo, l’immagine che ottenni raffigurava la mia stanza da ragazzo all’Accademia. Non ho saputo cogliere questo suggerimento, non ho intuito nulla su Raphael.”
Sophie corrugò la fronte a quel nome: non poteva certo dimenticare i guai che quel pazzo aveva fatto passare loro.
“Non arrovellare la tua testolina” mormorò lui, e le posò un bacio tra i capelli. “Penso io alla magia, tu pensa ai tuoi bottoni.”
“Non me ne parlare, ho tantissimo lavoro” replicò lei, e stiracchiò le braccia verso l’alto. “Sembra che tutta Dengulls quest’inverno abbia deciso di rinnovare il guardaroba. Pare che vada di moda la pelliccia, e le signore continuano a chiedermi di cucirne inserti in ogni punto di ogni tipo di vestito…”
Howl ridacchiò.
In quel momento le fiamme divennero verdi e si alzarono quasi fino al soffitto.
Sophie balzò all’indietro per lo spavento, e Howl si alzò d’istinto e si pose davanti a lei.
“Stai indietro” sussurrò. Sophie lo vide muovere le labbra.
Le fiamme divamparono accecanti ancora per un momento, poi si ritirarono per tornare del normale color arancione. Dal fumo grigio spirò un foglietto, che volteggiò fino a posarsi in terra.
Circospetto, Howl si accovacciò ad osservarlo.
“Cos’è?” chiese Sophie, sporgendosi sopra la sua spalla.
Howl mosse un braccio in un ampio gesto, ed il foglietto si voltò: vi era disegnato uno strano simbolo, con un inchiostro slavato ed acquoso, tanto che sembravano lacrime trascinate da un pennino.
“È la scrittura di Angelia” disse il mago.
“E chi è Angelia?”
“Probabilmente proviene da Espen, il mago di corte.”
Come se avesse pronunciato una parola magica, le lacrime sul foglietto si mossero, scivolando da un angolo all’altro finché non trovarono il loro nuovo posto.
“È una richiesta d’aiuto” mormorò lui aggrottando le sopracciglia. “Ed è diretta a me. Devono avere qualche problema, laggiù.”
“Howl!” gridò allora Sophie. “Mi puoi spiegare chi è questa Angelia?”

“Dunque” esordì il mago, esibendo il suo migliore tono da insegnante. “Questa colorata in giallo è Ingary, chiaro?”
Sophie annuì, ricordando vagamente qualche lezione di quand’era bambina.
“Come puoi vedere, su due lati è circondata dal mare, mentre sugli altre due è separata dagli altri paesi da una lunga catena montuosa. Possibile che tu non conosca neanche la geografia del tuo Regno, Sophie?”
“Non era esattamente la mia materia preferita. Preferivo i romanzi.”
“Anche a noi piacciono le storie” confermò Calcifer roteando gli occhietti. “Ma non per questo non conosciamo un po’ di geografia.”
Sophie lo zittì con un’occhiata e si chinò nuovamente sulla mappa.
“Ecco Kinsgbury!” esclamò felice indicando un punto.
“Esattamente. Come puoi vedere si trova praticamente al centro del Regno. Qui, affacciata sul mare, vi è Porthaven, città di pescatori ed esploratori. Invece Dengulls si trova in questa lunga penisola a sud.”
“E Market Chipping?”
“Si trova a nord, poco prima delle Lande, che sono questa lunga distesa poco abitata ai piedi delle montagne del nord.”
“Dovremmo appendere una mappa del genere da qualche parte, qui al Castello, in maniera tale che io possa vederla spesso e memorizzare tutte le città.”
Howl la guardò come se avesse detto qualcosa di assurdo, poi sfogliò le pagine del volume fino a trovarne un’altra: “Ecco i regni confinanti con Ingary. Qui c’è Turny, lo ricordi?”
“Certo: il Regno di Rapa.”
“Bene. Qui ad est vi sono moltissimi altri principati e regni minori, ed è veramente un’impresa ricordarli tutti; alcuni sono veramente stravaganti… ed oltre comincia una enorme terra selvaggia, popolata da tribù tradizionali, ma non è rappresentata in questa mappa.”
“Oh. Credo siano molto interessanti.”
“Lo sono” confermò lui, ed alzò allusivamente le sopracciglia.
“Ti odio quando mi fai sentire così piccola ed inesperta” brontolò lei, incrociando le braccia. “Fossi stata una grande maga, probabilmente anche io avrei girato il mondo e provato ogni tipo d’esperienza.”
Howl rise bonariamente: “Ti piacerebbe viaggiare?”
“A chi non piacerebbe?”
“Benissimo, dunque! Perché è qui che andremo: ad Angelia!” esclamò, e posò il dito su una vasta terra, tutta colorata in bianco, a nord delle montagne del nord.
“Angelia è una nazione?”
“Un posto eccezionale, vedrai Sophie: coperto di neve tutto l’anno, ed abitato da persone fantastiche.”
La ragazza rabbrividì: “Neve?”
“Oh, ma è così piacevole, vedrai! Hanno abiti caldissimi, di pelle morbidissima, e cibi favolosi, capaci di scaldarti fino alla punta dei piedi. La capitale, Freedam, è una fantastica città di ghiaccio, splendente come un diamante. È lì che andremo!”
“Chi è Espen?”
“Il loro mago di corte. Io vi sono stato pochi anni fa, ed insieme abbiamo sperimentato degli interessantissimi incantesimi sul controllo dei venti… lo ricordi, Calcifer?”
“Ricordiamo solamente la difficoltà di rimanere accesi: neve, ghiaccio, praticamente acqua in ogni angolo. Siamo vivi per miracolo.”
“Sarebbe molto bello partire” ammise infine la ragazza, conquistata dall’idea della città glaciale e di porre una distanza ancora maggiore fra sé e sua madre, “ma ho così tanto lavoro! Ho bisogno di un po’ di tempo per organizzarmi, qui a Dengulls.”
“Perfetto, dunque partiremo tra una settimana” concluse lui.
Sophie sussultò, immediatamente preoccupata per tutto ciò che avrebbe dovuto concludere in soli sette giorni, ma Howl era così felice della decisione presa che l’afferrò tra le braccia e la fece volteggiare per la stanza.
“La nostra fine è vicina” sospirò il demone del fuoco, osservando i due.

“Se partiamo con il Castello, che bisogno c’è di abbandonare Dengulls?”
“Non possiamo certo fare tutto noi! Calcifer, acqua calda in bagno! Calcifer, c’è da preparare la cena!” Ad ogni frase, il demone cresceva verso il soffitto e diveniva di un rosso più acceso. “Calcifer, c’è da mantenere aperti i varchi per quattro diverse città! Calcifer, c’è da portare questo enorme, instabile, folle trabiccolo volante che vi ostinate a chiamare Castello dall’altra parte del mondo!”
“Credo di aver capito” confermò Sophie, annuendo. “Non c’è alcun problema. Una vacanza farà bene a tutti.”
Il demone soffiò un gran quantità di fumo grigiastro, poi si sgonfiò e tornò delle sue usuali dimensioni. “Oltretutto, noi odiamo quel posto così freddo ed inospitale.”
“Howl ne parla così bene.”
“Howl ha delle idee bislacche praticamente su tutto. Non ti fidare.”
“Potresti rimanere, o andare da Markl.”
“I demoni del fuoco non sono ammessi all’Accademia.”
“Ma ci sei già stato: con Howl.”
“Proprio per questo lo sappiamo!” sbraitò ancora. Sembrava estremamente irritato per qualcosa, al punto che Sophie decise che sarebbe stato meglio eclissarsi, e con la scusa di dover lavorare scomparve in negozio.
In realtà ciò che voleva fare era scrivere con calma delle lettere a Lettie ed a Markl. Le si strinse il cuore a pensare che non lo avrebbe visto ancora a lungo, e fu quasi sul punto di riconsiderare la partenza.
Non scrisse a Fanny.
Mentre pensierosa fissava la pergamena indirizzata al ragazzino, Nina varcò la soglia.
“La sua peggior allieva è pronta per la bastonata di oggi, signorina Hatter!” esordì. “Purtroppo, neanche ieri mi hanno lasciato del tempo per stu… ehi, tutto bene?”
Sophie scosse la testa: “Credo di sì. Scusami, sono solo soprappensiero. Vieni, siediti.”
L’amica si issò sul solito sgabello, ma non tirò fuori dalla cesta il libro.
“Guai?”
Sophie si affrettò a scuotere la testa: “No, anzi! Buone notizie: stiamo partendo!”
“Partendo?”
“Sì, Howl, Calcifer ed io. Andremo per un certo periodo ad Angelia, un regno a nord di Ingary.”
“Mai sentito nominare.”
“È un luogo in cui nevica tutto l’anno.”
“E che ci andreste a fare?” esclamò l’altra, sinceramente orripilata. “Al freddo ed al gelo!”
Sophie rise: “Affari di Howl. Ma pensa, Nina, io non sono mai uscita da Ingary! Fino a pochi mesi fa non avevo praticamente messo piede fuori da Market Chipping. È un’occasione magnifica!”
“Non è che finirete per incappare in qualche oscura maledizione anche questa volta?”
“Non vedo perché. Non devi preoccuparti, davvero. Ero solo triste pensando a Markl.”
L’amica sorrise comprensiva: “Quel piccoletto! Chissà come ste la sta cavando.”
“Markl è un ragazzino molto forte ed intelligente.”
“Sì, ed anche molto legato a te, nonché a quel pazzo del tuo mago. Mi raccomando, fate attenzione!”
“Ma certo. Ed ora su, tira fuori i libri. Non hai studiato neanche stavolta, eh?”
“E ormai a che serve? La mia insegnante preferita sta per abbandonarmi!”
“Quando torno, voglio sentirti leggere spedita come Markl!”
“Cosa?” ribatté Nina, e scoppiarono a ridere.

La mattina in cui partirono il cielo sopra le Lande era terso ed azzurro, e splendeva un gelido sole. Sophie, colta da una strana sensazione, alzò il viso e si godette i raggi in silenzio.
“Non è proprio come una vera partenza” disse Howl, sopraggiunto alle sue spalle.
Lei lo guardò interrogativa.
“Non abbiamo bagagli, o bauli o casse di alcuna sorta.”
“Come quando siamo andati a Kinsgbury.”
“Oh, neanche quella lo era” sminuì lui. “Avevo con noi soltanto una misera sacca!”
“Ma grazie alla tua magia era piena di cianfrusaglie!” ridacchiò lei.
“Mai quante ne avrei volute con me. Ne ho sentito tanto la mancanza! Per fortuna oggi non devo scegliere cosa portare via e cosa lasciare.”
“Già, per fortuna” continuò a canzonarlo Sophie.
“Quel viaggio è stato molto bello” continuò lui, senza farvi caso. Le prese una mano: “Sono successe molte cose, rammenti?”
“Oh, sì. Abbiamo volato sopra un Heen gigante, e ci siamo raccontati l’un l’altro la nostra infanzia… o qualche particolare di essa. Ed abbiamo anche firmato un trattato di pace, mi pare” elencò lei.
“Ed è anche cominciato qualcos’altro, tra noi” disse Howl, e portò la mano alle labbra. Vi posò un bacio lentamente, guardando Sophie negli occhi. Lei arrossì immediatamente. “Ricordi?”
“Ricordo perfettamente” assicurò mentre avvampava. Howl le si avvicinò, e mettendole una mano su un fianco la trasse a sé, chinandosi su di lei.
“Howl! Noi siamo pronti!” urlò Calcifer dall’interno.
“Un bacio prima di partire” disse lui noncurante, e senza farsi distrarre reclamò ciò che desiderava. Sophie sorrise e si fece vento con la mano, quando lui fu rientrato nel Castello.
“Se non altro, quando saremo ad Angelia ed io sarò morta di freddo, saprà come scaldarmi” mormorò tra sé e sé.

“Quanti giorni di volo saranno necessari?” chiese quella sera Sophie, durante la cena.
“In un paio di settimane saremo alle montagne, oltre le Lande” assicurò Howl.
“Vedremo il nostro giardino dall’alto!”
Howl annuì sorridendo: “Ovviamente, e potremo fermarci, se ti va.”
“Ho sempre considerato il giardino un luogo molto vicino, ma da quando abbiamo interrotto il varco sembra così lontano…”
“Si trova esattamente ai piedi delle montagne. Poi impiegheremo altre due settimane, almeno, a sorvolarle tutte, se non di più: dipende dal tempo che troveremo.”
“Non abbiamo alcuna intenzione di venire sballottati di qua e di là se vi è una bufera” assicurò Calcifer, arcigno. “Ci fermeremo per tutto il tempo necessario.”
Howl scosse la testa e riprese: “Vi è una lunga striscia di terra desolata, paragonabile alle Lande, al di là delle montagne. Quella zona fa già parte del regno di Angelia, ma la capitale è lontana, ci vorranno altri giorni di volo.”
“Così avrò tempo di finire i miei lavori” sorrise Sophie.
Il mago spostò lo sguardo sul cestino da lavoro dell’instancabile ragazza, in una angolo accanto al camino, sommerso da stoffe: “A costa stai lavorando, ancora? Non ti sembra il caso di prenderti una lunga vacanza da impegni e scadenze, ed essere un po’ più spensierata?”
“E come posso farlo, dopo aver saputo del freddo che vi è in Angelia? Devo assolutamente prepararmi.”
Si alzò e corse a prendere il contenuto del cestino per mostrarlo.
“Ma quella è la mia giacca nera!”
“Infatti, guarda: la sto foderando di pelliccia, tutta quella che avevo acquistato per le signore di Dengulls! E ne farò una uguale per me.”
“Ma Sophie…” cominciò lui in tono conciliante, alzandosi tuttavia allarmato: quella ragazza sarebbe stata capace di tagliuzzare tutti i suoi miglior abiti. “Non ve n’è affatto bisogno: quando saremo lì, potremo comprare i migliori abiti locali e non soffrirai il freddo, te lo pr…”
“E con quali soldi?”
Howl rimase senza risposta, e Calcifer dal focolare ridacchiò.
“Vedrai che il Re ci fornirà di tutto il necessario. Del resto, è stato lui a chiamarci, non ci farà morire di freddo!”
“Sarà” concesse lei, “ma non mi fido: nel frattempo fodererò queste giacche di pelliccia. Non ci farà male averne un paio in più.”


“Raccontatemi di Angelia.”
“Fredda, bianca, bagnata” riassunse il demone del fuoco.
Sophie rise: “E le persone?”
“Il popolo di Angelia si divide in due etnie: i Ramepohl ed i Kamepohl. La famiglia reale, se non erro, è dei Ramepohl, ma i Kamepohl rivendicano da sempre il dominio del regno, perché assicurano di abitarvi da molto più tempo.”
“Ed è così? I Ramepohl sono arrivati dopo?”
“Si tratta di qualcosa accaduto centinaia di anni fa” si intromise Calcifer, “è impossibile ormai sapere quale dei due popoli abbia più diritto di vivere in Angelia.”
“Giusto” continuò Howl, “ ed inoltre sono numerose le famiglie nobili che vorrebbero vivere in perfetta armonia, e che considerano entrambi i popoli cittadini di Angelia allo stesso modo. Purtroppo c’è sempre qualche frangia estremista che tenta di creare scompiglio.”
Sophie puntò un dito sul mento, pensierosa.
“Se vivono insieme da centinaia di anni, si saranno mescolati” affermò poi.
“Vi sono molte famiglie miste, ma in generale tendono a non farlo.”
“E sono riconoscibili?”
“Decisamente! Vedrai tu stessa: i Kamepohl hanno occhi e capelli scuri, neri come il carbone, ed una pelle olivastra. Mentre i Ramepohl hanno capelli rossi, ed occhi chiari, ed una pelle molto chiara.”
La ragazza spalancò gli occhi, colpita da tanta diversità.
“Ma hanno anche molti aspetti in comune” precisò ancora Howl. “Vestono allo stesso modo, ed hanno gli stessi dei e la stessa cucina. Inoltre sono molto ospitali, cerimoniosi ed educati. Credo che solo i paggi di madame Suliman reggano il paragone!”
Calcifer ridacchiò sputacchiando lapilli.
“Comincia a tirare un forte vento” disse poi. “Potremmo fermarci per la notte? Domani mattina raggiungeremo il passo.”
“D’accordo” concesse il mago. “È il mio turno di lavare i piatti, se non erro.”
“Non erri” confermò Sophie. “E mentre tu sistemi ogni cosa, io vado a prepararmi per la notte! Per una volta che posso avere il bagno tutto per me! Calcifer, potresti…?”
“Ma certo, Sophie!”
“Perché quando sono io a chiedere acqua calda, ti lamenti sempre?”
“Perché Sophie sa come ringraziarci” rispose il demone, ed indicò con una fiammella dalla curiosa forma a mano una casseruola lasciata accanto a lui, ripiena di avanzi.
Howl scosse le spalle e si diresse al lavabo, lanciando un’ultima occhiata alle gambe della fanciulla che scomparivano, veloci, sugli ultimi scalini.
“Sbrighiamoci a terminare questo affare.”

Il Castello diede i primi segni di cedimento quando ebbero valicato le montagne ed il territorio di Angelia comparve all’orizzonte.
Preoccupato, Howl si coprì per bene ed uscì a controllare gli strani cigolii e sbuffi che la struttura emetteva; e non era certo un macchinario silenzioso, di solito, ma in quel momento sembrava ansimare come una vecchia che sale un’immensa scalinata: come se stesse attingendo alle sue ultime forze.
“Cosa c’è che non va?” chiese a Calcifer, la testa infilata in una delle finestrelle.
“Non capiamo, noi stiamo fornendo energia al massimo” sfiatò il demone, che dal focolare della casa controllava al meglio ogni ingranaggio.
“Qui fuori il rumore è assordante!”
Balzò, non senza qualche difficoltà, su una delle zampe del Castello; durante il volo erano solitamente piegate all’indietro, per favorire la velocità, ma in quel momento se ne stavano aperte, ognuna per la sua direzione, e sgambettavano di qua e di là come a cercare l’equilibrio. Ogni rumore generava una serie di cigolii sinistri
“Calcifer! Possibile che tu non riesca a fare nulla?” urlò ancora. Rabbrividì e decise di tornare all’interno. “Forse scendendo nella pancia potrei esaminare gli ingranaggi e capire cosa…”
“È tutto maledettamente a posto!” ribadì Calcifer. “Ma il Castello sembra semplicemente non rispondere. Vi sarà qualche altro demone del fuoco, più potente di noi, nei paraggi?”
Howl divenne, se possibile, ancora più pallido. “Dov’è Sophie?”
“Un paio di ore fa l’abbiamo sentita borbottare su quanto sia pieno di polvere il tuo laboratorio. A quest’ora avrà fatto amicizia con la famiglia di ragni che ospiti. Sempre che non abbia dato loro lo sfratto.”
In quel momento il Castello interruppe bruscamente il suo volo; si fermò esattamente a mezzaria e cominciò a precipitare, e Howl fu sbattuto contro il soffitto. Calcifer si gonfiò fino a riempire il focolare e virò verso il verde, tutto concentrato nel frenare la brusca caduta. Il Castello rallentò, sbandò lievemente lateralmente, per poi caracollare a terra, con un colpo che non lo distrusse, ma riuscì a creare un bel po’ di scompiglio: piatti e stoviglie caddero in terra frantumandosi, i libri dal tavolo crollarono in terra, perfino la poltrona davanti al caminetto non resse il colpo e si rovesciò sullo schienale.
Howl si rialzò dolorante, corse alla porta e la spalancò: davanti a lui il vuoto si estendeva infinito, in un’impalpabile nebbiolina azzurra.
“Non muoverti troppo” lo ammonì il demone, ridotto a poche fiammelle tra la brace, “siamo appollaiati su uno sperone di roccia. Il Castello non è molto stabile.”
“Sophie!” gridò allora Howl, e si precipitò alla porticina che recava al piano inferiore, nella pancia del Castello in cui aveva sede il nuovo laboratorio. Calcifer s’intrufolò dietro di lui sulle strette scale.
“Sophie!” la chiamò ancora Howl, ma non ebbe risposta. La caduta aveva fatto cadere le candele e c’era un buio fitto: solo Calcifer rischiarava appena il locale.
Avanzando, Howl mise il piede su qualcosa in vetro che si frantumò, e nel tentativo di trovare appoggio sull’altro piede scivolò su qualcosa di viscido in terra. In quel momento si udì un pianto sommesso.
“Sophie?” chiese ancora, turbato. Aveva la sensazione che laggiù ci fosse qualcosa di diverso.
Calcifer prese aria e si gonfiò, illuminando tutt’attorno.
Ed in quel momento la videro: una bambinetta sommersa da un enorme vestito azzurro, da cui emergeva con tutto il corpo attraverso il colletto, strappato in alcuni punti. Piagnucolava tra sé e sé strofinandosi gli occhi con i pugnetti chiusi, e quando vide i due scoppiò in un pianto dirotto.
Tentò di alzarsi, ma gli abiti enormi le impedirono di camminare e cadde nuovamente; strisciò quindi fino a raggiungere la gamba di un attonito Howl. Vi si ancorò saldamente e strofinò il naso sul suo polpaccio.
“Sophie?” sussurrò dunque Calcifer, timoroso di dar forma ai suoi pensieri.
La bambina alzò il viso e li guardò, smettendo immediatamente di piangere. Alzò le braccia al cielo, manifestando la ferma volontà di essere presa in braccio.
Senza riuscire ad emettere neanche una parola, Howl la raccolse da terra, con tutto lo strascico di vestiti enormi che si portava appresso.
Il suo sguardo era fisso sulla quantità di barattoli, polveri e liquami che era caduto in terra quando il Castello era atterrato, e che con ogni probabilità si era riversato sulla sua testa.
“Pipì” disse Sophie, ed Howl inorridì.



*** Questo capitolo può vincere il premio di "più revisionato" di tutti i capitoli di tutte le storie che io abbia mai scritto in vita mia. Spero che, a storia conclusa, non mi accorga che qualcosa ancora non torna, mi prenderei a mazzate!
Dunque, come avete letto, ho messo un bel po' di carne al fuoco: Howl e Sophie si sono cacciati in diversi bei pasticci! Che altro accadrà, ora? Stay tuned, e se volete chiacchierare, leggere i miei scleri, conoscere qualche dettaglio "dietro le quinte", vi ricordo l'esistenza del mio LJ!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


FROZEN FLOWERS

III

In cui qualcuno si innamora di Howl


Per fortuna la bambina dimostrò più autonomia del previsto, e lasciata in bagno da sola, ne emerse soddisfatta. Tuttavia il vestito azzurro era definitivamente scivolato via, e lei per comodità aveva scalciato anche gli enormi mutandoni; e mentre Howl continuava a guardarla raccapricciato, si mise a rotolare sul pavimento della stanza del focolare, con indosso esclusivamente la sottoveste che le fungeva da ampia tunica.
“Non è possibile. Calcifer, dimmi che questo è un sogno.”
“Howl, prenderà freddo così. Dobbiamo coprirla.”
Le si avvicinò circospetto, si accucciò davanti a lei e provò nuovamente: “Ehi, bambina, come ti chiami?”
“Sophie!” esclamò lei sicura, e riprese a rotolare.
“E sai chi sono io?” tentò ancora il mago, che imperterrito cercava di convincersi che quella fosse una bimba qualsiasi, e la sua Sophie fosse da qualche parte. Certo, magari nelle mani di qualche spaventoso mostro assassino, da salvare e riportare a casa, ma pur sempre delle sue dimensioni originali.
La bimba di nome Sophie si fermò per scrutarlo attentamente. “Non lo so” mormorò chinando il capo, pur continuando a fissarlo da sotto in su.
“È lei, Howl, rassegnati. Guardala negli occhi.”
“Ma ha i capelli castani.”
“Sophie avrebbe i capelli castani, se solo la Strega non l’avesse maledetta.”
A quel punto la bambina fece una cosa strana: si prese le ciocche tra le mani e le fissò strabiliata. “Sono marroni!” esclamò stupita.
“Di che colore dovrebbero essere?” le chiese Howl, mentre la rassegnazione serpeggiava infida dentro di lui.
“Così” rispose la bambina, ed indicò la sottoveste candida.
“Vedi? È lei” concluse Calcifer.
“Sophie ha i capelli color delle stelle, argentati semmai, e non bianchi!” puntualizzò lui rialzandosi.
“Howl, è solo una bambina. Dimostra sì e no tre anni: lo sai che i bambini confondono quasi tutto. Piuttosto, sbrigati a coprirla prima che le venga una polmonite.”
Howl impiegò i minuti successivi a cercare di avvolgere Sophie in una coperta, combattendo con la bambina e il suo istinto di libertà.
“Adesso basta!” tuonò alla fine. “Ora te ne starai qui seduta, buona ed immobile, fino a nuovo ordine, è chiaro? Altrimenti il cattivissimo demone del fuoco Calcifer ti mangerà!”
Depose il fagotto sul divano e la fissò furente, senza lasciarsi intimidire dai lacrimoni che silenziosi le solcavano le guance.
“Non ci tirare in ballo” ribatté Calcifer diventando viola, “non abbiamo mai mangiato bambini, noi!”
“Neanche io, se è per questo.”
Howl si lasciò cadere su una sedia e si prese la testa fra le mani.
“Ed ora cosa facciamo?”
“C’è anche un altro problema: il Castello.”
Howl lo fissò con sguardo vacuo, immemore.
“Non si muove. È andato.”
Sophie scoppiò a ridere.


Howl sbraitava da circa mezzora, mentre infilava nella sua sacca magica tutto ciò che gli veniva in mente.
“Non posso crederci! Maledetto il giorno in cui mi è venuto in mente di partire per questo viaggio!”
Afferrò un paio di coperte in più e le accartocciò a forza nella sacca.
“Potevamo rimanere a Dengulls, un luogo così caldo ed accogliente! Ed invece ci troviamo abbarbicati su uno sperone di roccia in cima alle montagne più fredde ed inospitali di tutto il mondo, in un regno straniero, con un Castello totalmente inutile ed una bambina ancora più inutile alle calcagna.”
Tra le mani gli capitò la giacca foderata di pelliccia, e sbruffando ancora la infilò.
“Dove terrà secondo te i risparmi, quella tirchia di Sophie?”
“Noi non lo sappiamo” ribatté serafico il demone dal focolare. “Prova a chiederlo a lei.”
“Sophie!” urlò. La bimba rotolò davanti a lui.
“Howl, prova ad essere più dolce, o le farai paura e non ti risponderà.”
Il mago gli riservò un’occhiataccia, poi tornò a lei: “Allora, dimmi tesoro, dove tieni tutte le tue monetine? Te lo ricordi?”
La bimba lo guardò imbronciata, poi scosse la testa.
“Sophie, suvvia, prova a concentrarti. Ci servono veramente.”
“Posso dirlo a lui?” disse allora lei, indicando Calcifer con un ditino.
Howl alzò gli occhi al cielo e scosse le spalle. Sophie si avvicinò al focolare, si alzò in punta di piedi e mise le mani a coppa attorno alla bocca. Si assicurò con un’occhiata che Howl fosse abbastanza lontano, e mormorò qualcosa al demone attento.
“Possiamo andare a prenderli?” domandò lui. Sophie annuì.
“Possiamo dirlo a Howl?”
Annuì ancora.
“Sono di sopra, nella tua stanza” rivelò quindi Calcifer. “In un cassetto del comò, Sophie non ricorda quale, c’è un calzino arancione. Sono lì dentro.”
Howl si lanciò per le scale sbraitando qualcosa a proposito delle vecchie tirchie e sospettose.
“Dunque, il piano è questo” annunciò quando fu di ritorno, con il calzino arancione che spuntava fuori da una tasca. “Ci copriamo tutti per bene, e tu Calcifer farai attenzione al ghiaccio. Usciamo di qui e proteggiamo il Castello con un incantesimo che lo renda invisibile.”
Afferrò una corda ed un piumino, e fulminò Sophie con un’occhiata. La bambina non si mosse.
“Scendiamo al volo giù dalle montagne, attraversiamo la zona deserta fino al primo villaggio disponibile” continuò avvolgendola saldamente nella coperta. “È impensabile tornare ad Ingary, ora, perché abbiamo già valicato il passo: sarebbe un’impresa disperata.”
Prese la corda e cominciò ad arrotolarla attorno al fagotto.
“Lì troviamo un modo qualsiasi per giungere a Freedam. Una volta al sicuro nel Palazzo Reale, troverò un modo per sistemare questa faccenda” indicò il salame. “Ed anche per capire cosa è successo al Castello. Spero che Espen vorrà darmi una mano.”
Prese Sophie e se la legò al torso con la corda rimanente.
“Sono pronto” annunciò. Il demone annuì con aria seria, ed insieme uscirono dalla porta del Castello. La prima folata di vento gelido li investì, e Sophie nascose il viso contro il petto di Howl, impaurita.


Saltellarono abbastanza agilmente giù dalle montagne, fino a raggiungere l’infinita distesa di neve che all’orizzonte si perdeva in una nebbiolina grigia e bagnata, senza distinzione con il cielo plumbeo.
Howl si fermò pensieroso, ed anche piuttosto preoccupato: senza Castello attraversare quella zona deserta era un’impresa impossibile, nelle loro condizioni.
“Hai fame?” chiese alla bambina, che per tutto il tempo era rimasta silenziosa ed immobile. Sophie annuì spalancando gli occhi.
Calcifer era ridotto ad una fiammella azzurrina.
Al riparo dietro uno sperone di roccia Howl spezzò del pane tra loro e ne diede una parte ciascuno, infilandone pezzi in bocca alla bambina ancora avvolta nella coperta.
“Più piccoli, Howl, lei non ha una bocca grande come la nostra” lo rimbeccò il demone.
“Si può sapere come fai ad essere così esperto di bambini?”
“Si tratta solo di fare attenzione” ribatté Calcifer. “E poi ci hai lasciati soli con Markl un’infinità di volte.”
“Ma Markl era grande almeno il doppio di lei, quando è arrivato” si difese Howl. Osservò quindi Sophie aggrottando le sopracciglia. La bambina faticava a masticare, congelata ed insonnolita.
“Mettiti vicino a lei” ordinò a Calcifer. Poi le strofinò i palmi delle mani sulle guance, e Sophie si mise a ridacchiare. Con le guance rosse e gli occhi lucidi era evidente la sua somiglianza con la sua Sophie.
“Eri carina anche da piccola” mormorò Howl tra sé e sé, poi s’incupì.
“Non possiamo camminare fino ad un villaggio” disse. Si alzò in piedi e si sfilò la giacca.
“Sei ammattito?” chiese Calcifer quando Howl cominciò a sfilarsi anche la camicia. Ma l’altro si limitò a rabbrividire.
Una piuma nera svolazzò fino a terra, ai piedi di Sophie, che la prese con una manina infilata tra gli strati di lana e la portò al viso. Se la passò sulla guancia come una carezza, poi alzò gli occhi e disse solo: “Howl.”
“Non preoccuparti” disse lui raccogliendola da terra, “ti porterò al caldo quanto prima.”


Come ogni mattina, Vika uscì di casa più carica di un mulo: aveva un cesto sotto ogni ascella, uno per mano ed una grossa sacca appesa alle spalle.
“Milla, muoviti! Faremo tardi!” urlò rivolta verso la casa. Si udì una vocetta infantile rispondere, e poco dopo comparve una ragazzina, appesantita allo stesso modo. “Eccomi, eccomi!”
“Siamo già in ritardo! Vedrai, il carro ci starà già aspettando impaziente. O forse preferisci che compri le pelli da qualcun altro?”
“Arrivo!” brontolò ancora Milla, incamminandosi dietro la madre. “Sono sicura che sarà ancora lì ad aspettarci. Le nostre non sono forse le migliori?”
“Lo sono” sorrise Vika, piena d’orgoglio. “Però affrettiamo il passo. Dobbiamo anche comprare del burro.”
A quella parola lo stomaco della ragazzina brontolò, ricordandole che non aveva fatto in tempo neanche a fare colazione; la fame le mise energia, e marciò sicura fino al fianco dell’altra.
Ma qualcosa attirò ben presto la sua attenzione: a lato della strada, sopra un cumulo di neve sporca, stava un fagotto insolito. Lo vide da lontano e tenne gli occhi ben piantati, poi il fagotto sussultò e rotolò, e Milla quasi fece un salto per lo spavento.
“Mamma, lì c’è qualcosa!”
“Milla, faremo tardi.”
“Dico sul serio! Guarda!” Mollò le ceste in terra e corse dal fagotto. Rimase ad osservarlo, dubbiosa, finché quello non si voltò: tra le pelli e le coperte spuntava il visino di un bimbo, chiarissimo quasi più di un Ramepohl, ma gli occhi brillavano d’un marrone scuro e caldo.
“Oh!” esclamò allora Minna. “Mamma, è una bambino!”
Vika si avvicinò senza lasciare il carico prezioso.
“Un bambino?”
“Ma sì, guardalo!”
Milla prese in braccio il fagotto, e il bimbo sorrise.
“Come può essere finito fin qui? E di chi è?”
“Non sembra uno di noi.”
Vika la osservò attentamente. “No, è vero…”
In quel momento il bimbo aprì la bocca e disse qualcosa, ma Milla non capì.
“Cosa ha detto?”
“È la lingua del regno d’Ingary.”
“Il regno di…?”
“Milla, cosa vai a fare a scuola? Non hai studiato la geografia?”
La ragazzina corrugò un labbro, insieme colpevole e contrariata del rimprovero. “Sì, ho capito, quel regno che si estende al di là delle montagne ed arriva fino al mare… Ma a cosa serve saperlo, visto che non ci andrò mai?”
“Serve, per esempio, per cercare di capire cosa fa qui un bambino di quel posto.”
Nel frattempo il piccolo continuava a parlare, come se potessero capirlo. Ripeteva insistentemente una frase, e cercava di liberarsi dal salame di coperte e corde in cui era avvolta.
“Poggialo in terra e recupera le tue ceste, prima che le pelli si bagnino e si rovinino” ordinò la madre, ma quando la figlia si fu allontanata a sua volta posò le sue in terra e cominciò a svolgere i nodi. Non fece in tempo a fermare il bambino: mezzo nudo, avvolta solo in quella che sembrava una sottoveste da donna, gattonò sulla neve senza preoccuparsi del freddo; scavalcò il cumulo di neve e rotolò dall’altra parte, continuando a gridare la sua frase.
“Torna qui, ti ammalerai!” esclamò allora Vika, arrampicandosi a sua volta. Quasi cadde per la sorpresa quando, dall’altro lato dell’ammasso, vide un uomo riverso nella neve. “O mia dea!” esclamò. Corse da lui e lo voltò: il suo viso era bianco e freddo come se fosse morto, ma un flebile respiro ancora lo animava, trasformandosi in una nuvoletta bianca davanti alle sue labbra. Il bambino, tremando, gli afferrò una mano e se la portò al viso. Poi si girò verso la donna e disse ancora: “Howl sta male.”
A Vika sembrò di comprendere, se non le parole, almeno la grande preoccupazione.
“Mamma, dove sei?”
“Minna, corri qui, presto!”


“È una bambina” disse Vika rientrando nella stanza. La figlia si voltò a guardarla, mentre con una mano rimestava piano in un pentolone sopra il fuoco. “Femmina?”
“Sì. Ed ha la pelle chiarissima, ma non sembra una Ramepohl. L’uomo che fa?”
“Non ho udito alcun rumore di là, ma non mi fido ad entrarci da sola.”
Vika annuì, poi depositò Sophie, avvolta in un telo da bagno, su uno sgabello accanto al camino.
“Ecco, stai qui buona” disse con tono dolce. La bimba annuì.
“Ma ti capisce?” chiese Minna sorpresa.
“I bambini capiscono il tono con cui ci si rivolge loro, più che le parole. Non ricordi quando Remco era piccolo?”
“Ero piccola anche io” si difese Minna.
“Oh, eravate così carini insieme! Tu gli parlavi in una lingua tutta tua, fatta di versetti e gesti, e lui, anche se era appena nato, ti guardava con grande interesse, e sembrava capire ogni cosa!”
“Quando torneranno lui e papà?”
“Chi lo sa” Vika scosse le spalle, ed aprì un grande armadio. “Dovrei avere ancora qualche abito di quando eri piccola…”
Minna fissò con interesse la bambina, che se ne stava lì seduta, senza dare alcun problema, sorridente e tranquilla: davvero ben diversa da com’era lei a quell’età.
“È strana” disse allora. “Ha lo sguardo di una persona adulta. E poi è troppo calma, per essere così piccola.”
“Forse è solo bene educata” disse Vika, e sembrò quasi un rimprovero. “Trovato!” Tirò fuori dall’armadio un vestitino di pelli, bordato di pelliccia e decorato da un semplice ricamo sulla pettorina. “Ti starà benissimo, vedrai! Del resto, non capisco proprio come possano averti lasciata andare in giro conciata a quella maniera: una sottoveste e tante coperte come una salsiccia di foca…” “Posso pettinarla?” saltò su Minna quando la bimba fu vestita, e dedicò la mezzora successiva a districare i nodi dei capelli, così sottili e vaporosi che in poco tempo furono asciutti. Era impegnata nel farle una seconda treccina a lato della testa, quando la bimba saltò sul pavimento ed urlò: “Howl!”
Corse verso la figura comparsa d’improvviso sulla soglia della porta, a braccia tese; entrambe le donne, che non avevano sentito alcun rumore, sobbalzarono per lo spavento.
“Sophie!”
L’uomo si chinò a prendere la bambina e si abbracciarono come due disperati. Lei cominciò a parlare velocemente con la sua vocina all’orecchio dell’uomo. Lui annuì, poi si rivolse alle due donne: “Vi ringrazio” disse, e Vika notò sua figlia arrossire improvvisamente. “Grazie per esservi prese cura di Sophie” continuò, senza commettere alcun errore nella loro lingua ma con un forte accento.
“Vostra figlia si chiama Sophie?”
L’uomo annuì, senza aggiungere altro. Minna, immobile sul suo sgabello, era scarlatta in volto.
“Io mi chiamo Vika” disse quindi lei alzandosi in piedi. “E questa è mia figlia Minna. Vi abbiamo trovato mezzo morto, sepolto nella neve. Se non fosse stato per questa bambina, forse non vi avremmo neanche visto.”
L’uomo annuì ancora.
“C’è del minestrone caldo. Ne volete? Dovrete essere stanco.”
“Non vorrei disturbare.”
“Nessun disturbo!” esclamò a quel punto Minna, scattando in piedi. Corse in un angolo e ne riemerse con una pila di ciotole tra le mani. “Mio padre e mio fratello sono fuori per la caccia, in questi giorni! Potete rimanere, io posso dormire con la mamma e voi potete dormire nel mio letto. Nessun disturbo!”
L’uomo rise piano, poi si rivolse verso la donna, che guardava la figlia con un rimprovero inespresso negli occhi.
Lui, quindi, sfoggiò un sorriso abbagliante: “Stiamo invadendo la vostra casa. Una ruota della nostra carrozza si è sfracellata sulle montagne, e siamo stati costretti a camminare a lungo, ma andremo via al più presto, domattina.”
Vika, inebetita, si ritrovò ad annuire, senza riuscire a staccare gli occhi dal volto di quel bellissimo giovanotto. Sentì le guance diventarle calde, e si diede della stupida: non era certo un’adolescente come sua figlia!
“Nessun problema” borbottò, voltandosi per nascondere il rossore. “Potete rimanere anche più a lungo; come ha detto mia figlia, in questo momento c’è spazio a sufficienza. Dove siete diretti?” “Freedam” rispose l’uomo.
“È piuttosto lontano” rifletté lei. “Ma ogni settimana parte una slitta-diligenza dal nostro villaggio.” “Partirà fra due giorni” disse Milla, impegnata nel versare la minestra nelle ciotole. “Ecco qui.”
Si sedettero in circolo a terra, sopra le pelli davanti al fuoco.
“La nostra è una famiglia di cacciatori e conciatori; vendiamo sia la carne che le pelli ai mercanti che girano per tutto il paese. Voi, invece?”
“Sono un studioso” rispose lui, in maniera enigmatica.
“Capisco… e vostra moglie?”
Lui si prese il tempo di un boccone per rispondere. “Non è più con noi” disse poi. Tornò a guardare la compagnia: la ragazzina gli stava riservando uno sguardo adorante. Sospirò e spostò gli occhi su Sophie: appena finita la sua parte si era acciambellata contro di lui e già dormiva.
“Sarà meglio che ci ritiriamo” disse alzandosi. “Domattina farò delle provviste per il viaggio. Grazie per il vestito di Sophie.”
“Potete tenerlo” rispose Milla in un gran sospiro. Il suo umore era cambiato, nell’arco della cena, almeno cinque o sei volte, ma in quel momento svolazzava sicuro ben oltre le stelle: quel bellissimo uomo non aveva forse fatto intendere di essere senza moglie? E forse era anche in cerca di qualcuno che facesse da madre alla bimba: regalargli l’abito era un’ottima mossa.
“Vi accompagno” disse Vika, precedendo ogni ulteriore mossa della figlia. “Milla, vai a riempire la brocca d’acqua.”


Una volta solo nella stanza Howl depose con grande cura Sophie dormiente sul letto.
Si sedette pensieroso: aveva lasciato alle due interlocutrici molta libertà nell’immaginare ciò che non aveva rivelato, ma avrebbe dovuto inventare una storia più credibile per il lungo viaggio, senza Castello, fino alla capitale di Angelia.
Non si sorprese, ma fu contento, quando il fuoco in un secchio ai piedi del letto si avvolse su stesso ed esibì un paio di occhietti rotondi.
“State tutti bene?” chiese Calcifer.
“Sì. Per fortuna queste due donne ci hanno trovati… Sophie li ha condotti fino da me. Che tipetto intraprendente!”
“Sophie è rimasta Sophie” sentenziò il demone del fuoco. “Vi controllavamo da lontano, ma eravamo ridotti davvero male, dopo quel volo pazzo tra i ghiacci delle montagne. Howl, sei un incosciente!” “Che altro avrei potuto fare?”
“Portaci altra legna. Siamo troppo stanchi per uscire da queste braci accoglienti.”
Sorridendo Howl gli lanciò un ciocco, che Calcifer afferrò al volo e strinse a sé vorace.
“Come raggiungeremo Freedam? E come aggiusteremo il Castello, e scioglieremo l’incantesimo su Sophie?”
A quella sfilza di domande Howl si mise due dita sulla fronte, su una grande ruga che gliela attraversava completamente. “Espen mi aiuterà. Non ho idea di cosa sia accaduto al Castello, né tantomeno a Sophie.”
Si tolse la camicia e la gettò su una sedia. “Ora riposeremo tutti quanti. Domani penserò ad una soluzione per ogni cosa.”
“Rimandi solo il problema, come sempre.”
“Taci, maledetto demone!”
Offeso, Calcifer si acciambellò su se stesso e scomparve quasi tra i ciocchi di legna. Howl si infilò sotto le coperte e strinse a sé il corpo di Sophie. Ogni singolo muscolo del suo corpo era sfinito; aveva speso in quel volo disperato ogni energia, umana e magica. Il vento gelato gli aveva seccato il viso, e le labbra erano screpolate e spaccate. Preoccupato, passò le dita sul volto di Sophie, ma la bimba era rimasta al riparo contro di lui per tutto il tempo, ed era morbida e calda.
Nonostante la stanchezza, rimase a fissare il soffitto lungo, inquieto.
“Sei triste?” chiese lei dopo un po’, fissandolo con gli occhi spalancati.
“Mi manca la mia Sophie” rispose, e mentre lo diceva si accorse che era vero: se fossero stati insieme avrebbero trovato il modo di ridere anche di quella situazione assurda.
“Ma io sono qui” rispose la bimba, e gli mise una mano sul viso. Howl sorrise e chiuse gli occhi.


A Milla sembrava veramente di svenire: la testa le girava, ed il cuore le batteva forte nelle orecchie. Con la brocca tra le mani tremanti si accasciò a terra sotto la finestra, incurante della neve che le bagnava la gonna. Le gambe erano come vuote, e non le reggevano.
“Un demone del fuoco!” pensò, esterrefatta. “È uno stregone!”
Ripensò al suo sorriso, agli occhi azzurri come il cielo in primavera e le sue mani forti, strette intorno alla ciotola. Per la prima volta, immaginò le mani di un uomo attorno a sé, a stringerle un braccio, o magari a tenerle il volto, e un brivido l’attraversò da capo a piedi. “Che mi abbia fatto un incantesimo?” si chiese. “Se così fosse, mamma non potrebbe neanche arrabbiarsi, se io andassi via con lui.”
Strinse la brocca come se fosse una zattera per salvarsi, ed un’altra parte di lei pensò: “Fra due giorni se ne andrà, e questa febbre mi passerà.”
Poco dopo si alzò nuovamente a sbirciare: il fuoco si era assopito, e l’uomo era probabilmente nel letto.
“Il mio letto!” pensò Milla nuovamente, ed arrossì. Non avrebbe mai più lavato le lenzuola, per sentire il suo profumo per il resto della sua vita.
Ancora instabile sulle gambe, raccolse la brocca e corse in casa, dove Vika la stava sicuramente aspettando impaziente.


***
Perdonatemi per l’immenso ritardo, a volte la real life ci costringe a delle pause forzate contro cui nulla può. Ora sono tornata, viva e vegeta, con tantissime novità!

Innanzitutto, questo nuovo capitolo, che spero vi sia piaciuto. Io mi sono divertita molto a scriverlo! Fatemi avere i vostri commenti, ci conto!

In secondo luogo, ta-daaaàn: FACEBOOK! Ho fatto il grande passo anche io. Quindi mi trovate come Marge Pendragon se mi volete tra gli amici (vogliatemi!), oppure potete anche solo mipiaciare la pagina dedicata alla saga di Flowers Wall. Oppure entrambe le cose :)
Conto di utilizzare a pagina per tutte le informazioni relative alla scrittura di questa storia e le altre della saga, mentre il mio account… beh, ci sarà quello che mi passa per la testa :) Vi aspetto numerosi! See ya!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


FROZEN FLOWERS

IV

In cui Howl, volente o nolente, pronuncia parecchi incantesimi.


“Certo che quella è proprio una bella giacca” disse Minna dalla soglia della porta. Howl sobbalzò e si voltò a guardarla.
“Ah, grazie…” mormorò, e rimase immobile: cosa voleva quella ragazzina da lui?
Minna strinse le mani davanti a sé e fece qualche passo nella stanza: “Vostra figlia dorme ancora?”
Howl gettò un’occhiata a Sophie, raggomitolata sotto le coperte.
“Suppongo di sì.”
“Supponete?”
Howl alzò le spalle e tornò nuovamente al suo lavoro: cercare di rattoppare la camicia.
“Non vi chiama papà.”
“Mh?”
“Io chiamo papà mio padre, ma la bambina non vi ha chiamato così. E so anche come si dice nella vostra lingua, a Ingary, e sono sicura che lei non ha pronunciato questa parola. Piuttosto, non ci avete rivelato il vostro nome.”
“Mi chiamo Michael Jenkins. E Sophie non mi chiama padre, è vero.”
La ragazzina tacque, presa da riflessioni tutte sue. Poi si guardò attorno circospetta.
“Il vostro fuoco sta per spegnersi” disse e si avvicinò al secchio di latta in cui Calcifer cercava disperatamente di sprofondare. “Sarebbe un peccato lasciar spegnere un fuoco dalle fiamme così belle…”
Si chinò e prese un ciocco di legna dalla pila ai piedi del letto. Howl scrollò le spalle, tornando a infilare le dita nei grandi buchi prodotti dalle sue ali. La ragazzina riprese a girare per la stanza.
“Ti serve forse qualcosa?” chiese lui cercando di essere gentile; dopotutto aveva occupato la sua stanza.
“Proprio una giacca particolare…” disse invece lei, e fece un giro completo attorno alla sedia su cui era appoggiata. “Sembra quasi stregarmi…”
Howl sobbalzò a quelle parole, e con occhi spalancati guardò verso il fuoco: che fosse una di quelle che aveva incantato quando ancora cercava Sophie? Non poteva essere, era passato così tanto tempo!
Non troppo, a pensarci bene, ma Sophie l’aveva toccata, rimaneggiata e foderata in pelliccia a lungo, lui se ne sarebbe accorto se fosse stata… “No, non me ne sarei accorto. Sophie è già attratta da me.” Sospirò e decise che era ora di allontanare quella ficcanaso dalle sue cose.
“Sapete dove posso procurarmi del cibo per la colazione?” chiese quindi alzandosi in piedi.
“Di là in cucina c’è di tutto” rispose lei indicando la porta.
“Vorrei comprarne un po’.”
“La mamma è uscita, si è raccomandata di non lasciarvi digiuni, nonché di controllare che non toccaste altro che la colazione, anche se questo forse non avrei dovuto dirvelo.”
Ridacchiò colorandosi di rosso in viso e si portò una mano davanti alla bocca con fare civettuolo. Si udirono diversi scoppiettii provenire dal fuoco, e Howl strinse le labbra.
“Minna, quanti anni hai?”
Colpita dalla domanda inattesa lei si azzittì per un momento, poi alzò fiera il viso: “Tredici.”
In quel momento Sophie emise un mugugno e si rigirò tra le lenzuola; Howl si precipitò da lei.
“Si è solo svegliata, non c’è bisogno di correre tanto” borbottò Minna. Si avvicinò a sua volta al letto.
“Questa ragazzina è dieci volte almeno più ardita di Sophie” borbottò Howl nella lingua di Ingary. “Anche se non ci vuole poi molto. Tutto bene?”
La bambina si guardava intorno spaesata.
“Non ho capito cosa avete detto.”
“Perché non l’ho detto a te” ribatté lui, e il fuoco fischiò ancora.
“La legna dev’essere bagnata” osservò lei, ma strinse gli occhi e fissò furente Howl.
“Ma sarebbe scortese verso la signora rifiutare la colazione, ed inoltre non voglio che Sophie abbia fame” continuò a ragionare lui ad alta voce, senza farsi capire. “Siamo pronti per mangiare” dichiarò alla sua ospite alzandosi in piedi, con Sophie tra le braccia che si strofinava gli occhi.
“I bambini vanno lavati appena sono svegli, e sarebbe meglio non farli dormire con gli abiti di tutti i giorni” punzecchiò Minna incrociando le braccia. Howl sgranò gli occhi e li spostò su Sophie, poi nuovamente su Minna: “Dici? Beh, lo farò poi. Credo che ora abbia fame.”
Minna si voltò offesa e cominciò a camminare verso la porta.
“Credo che voi non siate suo padre. Siete troppo imbranato.”
“Non ti è stato insegnato a non impicciarti?”
In tutta risposta la ragazzina scappò via e lasciò solo Howl in mezzo alla cucina, estremamente irritato ma d’altro canto anche lieto di esser rimasto solo. Sophie, quieta tra le sue braccia, tirò il pendaglio che lui aveva al collo.
“No, con questo non si gioca!”

Non vi era molto da fare, se non aspettare due giorni la partenza della diligenza; inoltre era ancora stanco per il volo.
“È normale che tu ti senta così. Se solo Sophie capisse cosa hai combinato, a conciarti in quella maniera!”
“Non vi era altra soluzione, lo sai bene.”
“Non dovresti continuare ad attingere a quel tipo di poteri. Non fa bene al tuo cuore.”
“Il mio cuore è al sicuro.”
A dispetto di quanto detto, si rigirò sulla schiena e portò le mani al petto. Batteva.
“Howl, guarda!” esclamò in quel momento Sophie. Corse verso il letto a braccia protese: “Il Castello!” esclamò. Howl prese dalle sue dita l’accrocco di legnetti e spago.
“Il Castello Errante?”
“Esatto! Lo voglio aggiustare!”
Sorrise: “Fai bene. Il Castello ha bisogno di te, Sophie.”
La bimba annuì e tornò ai suoi giochi, in un angolo.
“Howl, ci stiamo per spegnere. C’è bisogno di altra legna, qui non ve n’è abbastanza.”
Con un sospiro il mago si alzò dal letto. “Esco a prenderne” disse infilandosi la giacca. “Controllala” aggiunse prima di chiudere la porta alle sue spalle.
“Ho bisogno di altra legna” esordì quando trovò Minna, seduta su un panchetto dietro casa. Aveva una pelle spessa tra le mani.
“Non ne abbiamo molta” rispose senza alzare gli occhi. “Non teniamo acceso il fuoco durante il giorno, soprattutto nelle giornate di sole. Non è facile trovarne qui.”
Howl si guardò attorno: neve, a perdita d’occhio, il villaggio di casupole in mattone in fondo alla via, sullo sfondo la catena montuosa. “Scusami, hai ragione. Ma devo veramente tenere acceso il mio fuoco. Posso bruciare anche altro, sterpaglie, rifiuti… qualsiasi cosa.”
“D’estate raccogliamo tutti gli arbusti possibili, e gli uomini si spingono sulle montagne in cerca di legna. Ma deve bastare tutto l’inverno, e siamo appena all’inizio.”
“E come fate?”
“Bruciamo il grasso di foca o di balena nelle lampade. E teniamo i fuochi spenti, tranne che per cucinare ed alla sera. Ecco fatto!” Finalmente alzò il viso, con un sorriso soddisfatto. “Vi piace?”
Howl serrò le labbra: stava solo perdendo tempo, ma se non avesse ottenuto l’aiuto della ragazzina non sarebbe mai riuscito, da solo, a trovare qualcosa da dare a Calcifer.
“Cos’è?”
“Mia madre mi permette di tenere i ritagli delle pelli. Quando ne ho abbastanza, li cucio insieme e cerco di vendere ciò che ne ricavo. È per la mia dote.”
Lo fissò dritto negli occhi e Howl faticò a non ridere.
“È una buona cosa” bofonchiò. “Anche a Sophie piace cucire.”
“Ma se è così piccola!”
Lui non rispose; la ragazzina aggrottò la fronte e lo scrutò.
“Voi non mi convincete” dichiarò.
“Però ti piaccio” disse lui, e subito dopo si morse la lingua: cosa gli saltava in mente?
Lei arrossì violentemente, infilò la testa in un sacco posato ai suoi piedi e cominciò a rovistare.
“Andrebbero bene delle ossa?”
“Ossa?”
Riemerse dal sacco con degli spuntoni chiari tra le mani.
“Mamma mi permette di lavorare le ossa per farne dei ciondoli o dei gioielli. Sapete, per la dote…”
Arrossì di nuovo, ma tese le braccia ad offrire il contenuto dei palmi e continuò: “Questi sono dei pezzi che non utilizzo, non sono abbastanza belli.”
“Non credo che le ossa brucino” ribatté lui, ma di nuovo si pentì di aver parlato troppo presto, perché Minna s’imbronciò.
“Le prenderò ugualmente” si affrettò a dire. “Andranno bene, in un modo o nell’altro.”
Lei gli fece cadere le ossa in mano con malagrazia, e riprese a rovistare nel suo sacco.
Howl rimase lì in piedi, a disagio. Decisamente, aveva perso molta della sua tecnica nel saper trattare con le donne: da mesi non aveva occhi che per una sola, con la quale tuttavia ogni strategia classica era del tutto inutile. Per un momento, sentì nostalgia della sua Sophie.
“Cosa stai preparando oggi?” chiese per cambiare discorso. “Posso sedermi un po’ qui con te?”
Minna si illuminò in viso ma cercò di dissimulare, e non staccò gli occhi dal pezzo di ossa che aveva in mano.
“È solo un ciondolo.”
Rimasero in silenzio per un po’, mentre la ragazzina incideva a fatica l’osso con un punteruolo.
“Il prossimo mese una delle mie cugine entrerà nella maggiore età” disse dopo un po’. Soffiò sull’oggetto, lo rimirò a distanza e riprese a scalpellare. “Le regalerò una collana di sottili fili di pelle intrecciati, e questo ciondolo. Voglio incidervi un simbolo di buon augurio.”
“È una bella idea” convenne lui.
“Se le piacerà e la porterà spesso, le altre ragazze del villaggio la vorranno uguale, ed io ne venderò moltissime!”
Howl scoppiò a ridere.
“Howl! Howl!”
Sophie corse verso di loro. Si attaccò ad una sua gamba e mormorò a bassa voce: “Calcifer dice che sta per morire.”
Howl trasecolò: si era dimenticato!
“Non sta per morire davvero, vero?”
“Devo rientrare” disse a Minna, e lei annuì, senza alzare gli occhi dal suo lavoro.
“Grazie della compagnia e delle ossa.” Raccolse Sophie da terra ed entrò in casa.

Minna notò che sua madre aveva imbandito, per quella sera, una cena particolarmente elaborata rispetto a quelle cui erano abituate quando erano sole.
“Vi ho preparato una nostra specialità” esordì Vika. “Spero che sia di vostro piacere. La carne è di prima qualità.”
Si udì il fuoco fischiettare nella camera accanto.
“Il nostro ospite parla benissimo la nostra lingua, vero mamma?” esordì Minna quando tutte le ciotole furono riempite. “Siete già stato ad Angelia?”
“Effettivamente ho trascorso qui un lungo periodo di studio, ma è stato molti anni fa.”
“Davvero? Ma che interessante!”
“La stagione era ben diversa e la neve non era così alta. In alcun punti era perfino del tutto sciolta.”
“E di cosa vi siete occupato?” intervenne Vika: la sua curiosità non era inferiore a quella della figlia, perché quell’uomo era davvero singolare.
“Sono uno studioso, signora. Ho studiato.”
“Studiato cosa?”
Howl deglutì un altro boccone per temporeggiare. “La vostra lingua” disse infine. “E le vostre tradizioni. Sono uno studioso di popolazioni.”
Non male come scusa, si disse; nei suoi numerosi viaggi aveva effettivamente incontrato diverse civiltà, era preparato e conosceva diverse lingue. Tuttavia la risposta non soddisfece Vika, che continuò ad osservarlo con attenzione.
“Vi sono molti uomini con i capelli del vostro colore ad Ingary? Qui non ce ne sono, non passerete di certo inosservato, sembrate una torcia accesa.”
“Minna! Ti sembra una cosa da dire?”
La ragazzina arrossì ma mantenne lo sguardo della madre, che in tutta risposta lo spostò nuovamente sull’ospite.
“So che i Kamepohl hanno chiome scure come il carbone, mentre voi, Ramepohl, rossi come la brace.
“Siete nel giusto.”
“Questo è un villaggio di Ramepohl, vero?”
“Effettivamente siamo in maggioranza, come quasi tutti i villaggi più a sud. I Kamepohl occupano tutte le isole del nord, ma si può dire che ormai, soprattutto nelle grandi città, i due popoli siano ben rappresentati entrambi.”
“Ricordo Freedam come una capitale in cui i due popoli coesistevano in pace” disse Howl, e si assicurò che Sophie stesse mangiando. La bimba non emetteva un fiato da ore, ma osservava tutto con attenzione e non aveva lasciato per un solo momento il fianco di Howl.
“Lo è! E lo sarà ancora di più molto presto!” esclamò allora Minna, illuminandosi.
“Cosa accadrà?”
Anche Vika sorrise nel rispondere: “Il nostro Re si sposerà molto presto.”
“Il Re Oddvar?”
“No, suo figlio Baldur, che è salito al trono due anni fa, alla scomparsa del padre. Ha finalmente deciso di prendere moglie, e per rinsaldare i vincoli di pace ha scelto come sposa una bellissima principessa Kamepohl, Hilde dell’isola di Thule.”
“Ne ho un’immagine!” disse Minna balzando in piedi. Tornò poco dopo mostrando una pergamena: “È bella, nevvero? Personalmente preferisco i colori di noi Ramepohl, ma se dovessi essere una di loro, sicuramente vorrei assomigliarle.”
“Notevole” asserì Howl. Il ritratto istituzionale era tuttavia piuttosto privo di spirito: lo sguardo della fanciulla ritratta era vuoto. Nonostante le proporzioni perfette era difficile dire se Hilde fosse davvero una bella donna.
“È così incantevole che da quando è giunta a Freedam, il re le ha proibito di mostrarsi in pubblico: crede che possa sciuparsi! Ma tutti sanno che sull’isola di Thule il clima è molto più rigido che nel continente, quindi credo che Hilde sia abituata al freddo. Sicuramente Baldur è geloso!”
“Minna, ti pregherei di avere rispetto. Scusatela, signore, mia figlia ama raccogliere i pettegolezzi dei viaggiatori che giungono dalla capitale, e non fa che ripeterli ed ingigantirli con le sue amiche.”
“È normale per la sua età” rispose lui. Minna mise il broncio e tornò in camera con il ritratto.
“Siete dunque deciso a partire dopodomani con la diligenza?”
“Precisamente. Vorrei arrivare a Freedam il prima possibile. Credete che possa procurarmi qualche provvista per il viaggio e degli abiti di riserva? Ho con me del denaro di Ingary.”
“Non ci sarà alcun problema. Domani vi farò accompagnare da Minna, d’accordo?”
“Non so se domani avrò tempo!” fece udire lei dall’altra stanza, ma Vika sorrise a Howl e gli assicurò che l’avrebbe trovato.

Durante la notte, mentre le due donne dormivano nell’altro locale, Howl si alzò furtivo dal letto.
“Dove vai?” mormorò Calcifer.
“Diavoli dell’inferno, non mi è permesso di fare un passo senza che il mio demone mi chieda delucidazioni!” sbraitò agitando le braccia. Sophie si voltò nel letto e aprì gli occhi.
“Ecco, l’hai svegliata. Complimenti” commentò ancora Calcifer caustico.
“Howl, dove vai?” chiese anche lei.
Shh, Sophie, fai silenzio.” Si chinò sul letto. “Torno subito. Devo fare una cosa.”
“Voglio venire anche io.”
Alla fine si ritrovarono tutti e tre al gelo, dietro casa.
“Dunque, cosa facciamo qui?”
“Un momento solo… Dovrebbe essere da queste parti” rispose Howl con la testa infilata in un sacco. “Trovato!” esclamò poi: stringeva tra le mani un ciondolo d’osso, grezzamente lavorato.
“Bello!” esclamò Sophie tendendo le braccia.
“Sì, lo è, ma non posso dartelo: appartiene a Minna.”
“E quindi cosa facciamo qui fuori?” domandò ancora Calcifer, ed emise un fumo azzurrognolo di stizza.
Il mago non rispose. Pose il ciondolo sul palmo sinistro, sussurrò una parola lieve come un fiocco di neve che cade e posò l’indice sulla superficie d’avorio. Una luce scaturì dalla punta del polpastrello, e Howl la spinse a forza nell’osso.
Un momento dopo, era di nuovo buio.
“Ricominci con questi incantesimi di attrazione?”
“È solo un modo di ringraziare le nostre ospiti.”
“Che bel ciondolo!” esclamò ancora Sophie. Howl la guardò stringendo gli occhi: “Non capisco mai se Sophie sia davvero immune ai miei incantesimi, oppure no.”
“Sophie è un bel mistero. Torniamo dentro, qui fuori si gela.”
Una volta rientrati Calcifer si tuffò nel suo secchio; le sue fiamme brillarono turchine ancora a lungo.

“Eppure ti stavo simpatico” commentò Howl con un sorrisetto. “Cos’è cambiato? Improvvisamente hai deciso che non sono più degno neanche del tuo saluto?”
“Non capireste mai, e dovreste fare silenzio anche voi, dal momento che la dama al vostro fianco – e cioè io - non ha desiderio di fare conversazione.”
Lui represse una risata ed urlò: “Sophie! Torna qui o ti farai male!”
La bambina smise di correre avanti e lo aspettò.
“Non è educato neanche che parliate continuamente nella vostra lingua, dal momento che io non posso comprenderla.”
“Ma Sophie non parla la tua.”
“Oh, i bambini imparano in fretta, e inoltre capiscono il tono, più che le parole, in una conversazione” ribatté lei alzando le spalle.
“Ma quanta esperienza di bambini che hai! Vuoi diventare la mia tata?”
Minna arrossì e decise definitivamente che gli avrebbe più rivolto la parola. Il sentiero però stava entrando in città e sua madre le aveva dato compiti ben precisi.
“Dov’è finita Sophie?”
“Come vi allarmate! Eccola lì, di fronte a Granni.”
Howl sorrise nel vederla intenta ad osservare il lavoro di ago e filo rapido di una vecchia seduta su uno sgabello.
“Howl, guarda!”
“Ti piace?”
Sophie annuì e si accucciò tranquilla ai piedi della vecchia.
“Potete chiedere degli abiti a Granni, è lei che cuce per tutto il paese” disse Minna.
“Sei molto gentile” disse lui, e piegò la testa su una spalla sorridendole. Minna arrossì e sentì le gambe venirle meno, mentre cercava di concentrare lo sguardo sul luccichio verde degli orecchini che portava, piuttosto che sui suoi occhi azzurri. “Maledetto fattucchiere!” pensò. Nonostante avesse una gran voglia di restare al fianco di Howl per quell’ultima giornata, si forzò a fare due passi mentre lui discuteva con la vecchia.
“Queste sono senz’altro le nostre migliori pelli!” biascicava la vecchia. “Interamente ricamate a mano!”
“Veramente avrei bisogno di qualcosa di caldo per il viaggio. Anche senza alcun ricamo.”
“Volete vestire vostra figlia come un cacciatore? È una bimba così bellina!”
Rivolse un sorriso sdentato a Sophie che ricambiò e gonfiò le guance.
Howl strinse le labbra: “Sentite, cara signora, io ho bisogno esclusivamente di una giubba pesante per la bambina, che tenga caldo. Niente altro. Inoltre…”
Un grido squarciò l’aria. Nel secondo che Howl e la vecchia impiegarono a voltarsi, diverse altre grida, tutte assieme, si erano aggiunte. “Che succede?” disse la vecchia sbattendo i denti. In lontananza apparvero delle persone in corsa.
Howl avrebbe volentieri afferrato Sophie e sarebbe scappato nella direzione contraria, al sicuro, ma si guardò attorno ed in un attimo realizzò che lei non era più attaccata ai suoi pantaloni.
“Sophie, maledetta impicciona!” sbraitò, e si lanciò al suo inseguimento. “Una bambina, ma pur sempre una donna: ficcanaso e curiosa!”
Incredibile quanta distanza potesse aver coperto con le sue gambette in così poco tempo. “Sophie, torna immediatamente qui!” urlò, ma lei, incurante, si infilò in un vicolo, aprendosi un varco a forza tra le gambe di quelli che scappavano via proprio da lì.
La voglia di spiccare il volo e planare su di lei a larghe falcate era molta; ma la represse, si infilò tra gli altri che scappavano senza perdere d’occhio quel puntolino marroncino. Sophie si aiutava con le mani per andare più veloce sulla neve.
“Appena ti prendo, signorina…!” sbraitò ancora lui, e spinse malamente di lato un ragazzotto.
“Fossi in voi non andrei di là” disse questi, ma ormai era troppo tardi: Sophie era sbucata alle spalle di una delle ultime case del paese e si era bloccata.
“Minna!” la sentì gridare Howl.
La raggiunse in fretta, la prese tra le braccia e notò solo in quel momento: a pochi metri da loro un gigantesco orso bianco era in piedi davanti alla ragazzina, tremante ed accoccolata in terra. L’animale alzò una zampa, preparandosi a colpire, e aprì la mascella per mostrare i denti.
“Minna!” urlò ancora Sophie.
L’orso si bloccò, spostò lo sguardo su di lei; alzò il muso al cielo ed emise un ruglio.
Sophie riuscì a divincolarsi e scattò in avanti. Howl urlò, ma senza curarsi di lui la bambina corse in avanti. L’orso la puntò, appoggiò le zampe anteriori a terra e la caricò.
“Sophie!” urlò ancora Howl, e senza più pensare, balzò in aria. In volo, a metà strada tra l’orso e la bambina, un paio di ali picee squarciarono la giacca; atterrò sulla neve con i vestiti a brandelli, coperto di piume nere e squame grigiastre.
“Minna, scappa via!” urlò lui, con voce gutturale.
“La mia borsa!” piagnucolò lei: la sacca giaceva abbandonata a terra poco più in là, oltre il territorio della bestia.
Gli occhi dell’orso brillarono d’un rosso sanguigno, e per nulla intimidito si gettò sull’avversario. Howl ricevette il colpo in pieno, ma riuscì a pararsi il petto con le braccia e spinse fino a gettarlo via.
“Andate subito via!” ruggì ancora. Alzò le braccia coperte di piume e mormorò a bassa voce alcune parole. L’orso, che stava caricando ancora, andò a sbattere contro un’invisibile barriera. Il colpo lo fece infuriare: si alzò sugli arti posteriori e con una zampata riuscì a farsi strada.
Howl, che non voleva alzarsi in volo per non lasciare la strada libera verso le altre due, strinse i denti e si concentrò per creare un nuovo incantesimo.
Una luce azzurra si frappose fra loro.
“Howl, adesso!” urlò Calcifer, ed insieme le loro parole esplosero come il rombo di un tuono.
Quando la luce bianca e accecante scomparve, davanti a loro non vi era più nulla: l’orso era scomparso.
Howl si lasciò cadere sulle ginocchia, ansimando. Sophie fu subito davanti a lui, ad abbracciarlo.
“Ora passa tutto” disse con la sua nuova vocina infantile.
“Tu stai bene?” mormorò lui, e lei annuì. “Scusami” aggiunse, e Howl non ebbe la forza di ribattere nulla.
Minna si alzò, ancora tremante sulle gambe, e andò a raccogliere la borsa. Impaurita, poi, si voltò verso il terzetto. “Grazie” sussurrò.
Una folla di curiosi si era intanto radunata ai margini; il ragazzo che poco prima aveva consigliato a Howl di scappare esclamò: “Ma dov’è finita la bestia?”
“Non era un animale” disse qualcun altro. “Era un Nanuuk… uno spirito malvagio.”
“E chi è quell’essere metà uomo metà uccello?” disse una terza voce.
“Non c’è nulla da guardare!” esclamò allora Minna facendosi avanti. “Stiamo tutti bene, tornate a casa vostra, su!” Agitò le mani verso la folla e si mise davanti a Howl. “Su, sgombrare!”
“Sarà meglio che anche noi torniamo a casa” disse lui alzandosi. In terra rimase un mucchietto di piume nere; prese Sophie in braccio e, con Calcifer al seguito, passarono tra due ali di curiosi che li fissavano.
“Ma con chi ha fatto amicizia la figlia di Vika…?” si udì mormorare. Minna si voltò e fece una linguaccia.

Howl sedeva su una sedia, rivolto al muro, da quando erano rientrati in casa. Ai suoi piedi, in religioso silenzio, Sophie e Calcifer.
“Minna, spiegami nuovamente cos’è successo, per filo e per segno, daccapo, perché mi sembra d’impazzire.”
“Ma te l’ho già detto, mamma!” Sbatté un piede in terra. “Quell’orso è apparso all’improvviso. Ho perso la borsa cercando di scappare via, e mi avrebbe staccato la testa se lui non fosse intervenuto.”
“In paese ho sentito parlare di magia.”
“Howl, forse dovresti parlar loro” sussurrò Calcifer.
Alle sue parole, le due donne sobbalzarono, e Vika mise una mano attorno alle spalle della figlia.
“Non c’è niente da temere, loro mi hanno salvata!” protestò quella. “È solo il suo demone del fuoco.”
Vika spalancò gli occhi senza trovare la forza di dire altro.
Howl sospirò, posò le mani sulle ginocchia e finalmente si alzò.
“Tolgo subito il disturbo” annunciò.
“Non ve n’è alcun bisogno!” si affrettò a replicare Minna. “Non importa quel che si dice in paese! Solo pochi stupidi ignoranti cacciatori di foche possono pensare che…”
“Minna, non parlare a quel modo!”
“Ma mamma, è vero! Diglielo anche tu: non c’è bisogno che vada via. Dove può andare poi, con la bambina?”
“Ad ogni modo la diligenza parte domani mattina. Non c’è altro da fare che aspettare” convenne la donna. Fece un passo in avanti: “Però cercate di essere sincero con noi. Chi siete?”
Howl guardò per un attimo la donna negli occhi, poi spostò lo sguardo su Calcifer e Sophie.
“Io sono il mago Howl” disse. “Devo raggiungere Freedam, il vostro mago di corte mi aspetta.”
“Espen…” rifletté Vika. “Come mai viaggiate a piedi? Perché vi abbiamo trovato nella neve in condizioni disperate?”
“Sono solito viaggiare assieme al mio Castello, ma ha subìto un guasto appena valicato il passo, sulle montagne.”
“Vedi, mamma, ci ha praticamente raccontato la verità” disse precipitosamente Minna, senza chiedersi affatto come potesse un Castello viaggiare.
“Spero che tu sia più precisa, quando io ti chiedo di essere sincera con me” disse la donna con uno sguardo storto alla figlia. Minna annuì e abbassò gli occhi.
“Mi spiace di avervi mentito. Non volevo creare alcun problema, ma oggi sono stato costretto ad intervenire.”
“Di questo non posso che ringraziarvi. Vi siete guadagnato il vostro posto.”
“Dobbiamo ringraziare anche Sophie. È stata lei a trovarmi ed a portare il signor mago da me” aggiunse Minna. Vika sorrise: “Questa bimba è davvero speciale.”
Guardò nella sua direzione, ma nuovamente sussultò alla vista di Calcifer che svolazzava, piccolo piccolo, sulla spalla di Sophie.
“Scusatemi se sono ancora così… poco abituata alla presenza del vostro demone. Suppongo tuttavia di dover ringraziare anche lui.” Lo fissò, imbarazzata, poi la sua bocca si aprì in un sorriso sicuro: “Gradisce forse qualcosa da mangiare?”
“Faaaaame!” assicurò Calcifer, e spalancò la bocca. Sophie scoppiò a ridere.
“Perfetto, credo sia ora di mandare giù un boccone tutti assieme!” propose quindi la donna, e poco dopo erano tutti assieme seduti sul grande tappeto al centro della stanza.

La mattina dopo Minna si occupò di comprare per Howl abiti pesanti, provviste ed una scorta di legna bella secca per il viaggio di Calcifer.
“Posso parlarvi per un momento in privato?” disse.
Howl si assicurò con un’occhiata che Sophie fosse seduta sul suo sedile e che Calcifer non si muovesse dal suo fianco. Seguì Minna poco distante dalla diligenza.
“Vi ho preparato un dono” disse lei a testa bassa. Infilò la mano nella borsa.
“Un dono?”
“Ho visto che portate molti gioielli. È strano per un uomo, ma voi siete tutto bizzarro, quindi avevo pensato… però no, non sta bene comunque regalare gioielli ad un uomo, la mamma mi ammazzerebbe.” Ridacchiò, nervosa: “Regalerò un ciondolo solo a mio marito, quando un giorno ne avrò uno. Quindi vi ho preparato questo.”
Howl prese dalle sue mani un sacchetto in pelle, chiuso da una fettuccia e decorato con un motivo geometrico. “Potete utilizzarlo per le monete, o per riporre i vostri gioielli quando gli togliete. Insomma, come volete.”
“Ti ringrazio davvero, mi sarà utile. Ed è anche molto bello” disse lui, e la guardò chinando il volto su una spalla. Minna annuì, senza capirci nulla.
“Se ripassate da queste parti fra qualche anno e siete ancora senza moglie…” buttò lì lei.
Howl scoppiò a ridere: “Certo che sei sfacciata!”
“Non è bello prendermi in giro!”
“Hai ragione. Scusami se mi prendo gioco di te: non sono una persona buona. Ma posso dirti fin da subito che il mio cuore non è libero.”
Minna provò a replicare: avrebbe potuto passare ore a decantare le sue virtù, per dimostrargli che era una persona buonissima! Invece annuì.
“Sophie non è vostra figlia, vero?”
“Ora devo andare. Grazie del regalo.”
Saltò sulla slitta e prese Sophie sulle ginocchia; la bimba si sporse oltre le sue spalle ed agitò una mano.




***
E anche questo mese ce l’ho fatta! Mi sembra incredibile, a rileggere questo capitolo: l’ho scritto tutto a pezzetti e revisionato mille volte. Spero davvero non ci siano errori – in tal caso fatemelo sapere! – e soprattutto che fili bene. Le scene d’azione, come sempre, mi fanno faticare molto.

Vi ricordo la novità del 2014: FACEBOOK! Ora ce l’ho anche io. Quindi mi trovate come Marge Pendragon se mi volete tra gli amici (vogliatemi!), oppure potete anche solo mipiaciare la pagina dedicata alla saga di Flowers Wall. Oppure entrambe le cose :)
Vi aspetto numerosi! See ya, al prossimo mese con il prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***


FROZEN FLOWERS

V

In cui si giunge in un altro Castello, altrettanto pieno di guai.



“Non se ne può più di tutto questo bianco” disse Calcifer per l’ennesima volta. “Le Lande sono ripetitive, ma mai quanto questo paese: neve, neve e solo ne…”
“Ti ho detto di far silenzio” borbottò Howl tra i denti.
“Perché mai dovremmo? Rinchiusi in questo secchio da due giorni, non possiamo neanche mettere il naso fuori, si congela e c’è solo neve fino all’orizzonte. Bel viaggio davvero, degno di un dem…”
“Taci! Innanzitutto perché stai spaventando le altre persone.”
Una donna dai capelli bianchi, che viaggiava in compagnia di un ragazzetto, colta in fallo sobbalzò e distolse lo sguardo. Diede una gomitata al suo accompagnatore, che invece non riusciva a togliere gli occhi di dosso a Howl.
“Secondo, perché è inutile continuare a ripeterlo. Freedam si trova all’altro capo del paese, ci vorranno diversi giorni per arrivare, e nessuna tua lamentela potrà cambiare tutto ciò.”
Calcifer borbottò tra sé e sé; considerando conclusa la questione, Howl si voltò verso Sophie. “Tutto bene?”
Lei annuì.
“Ti annoi?”
“No, sto bene. La neve è bella!”
Si udirono dei fischi provenire dal secchio tra le loro gambe.
Howl la fissò a lungo, poi si accucciò per sussurrare a Calcifer: “A te non sembra che sia cresciuta un pochino?”
Il demone allungò un occhio in direzione della bambina. “Veramente no.”
“Non potrebbe, forse, trattarsi di un caso analogo alla maledizione della Strega delle Lande? Ricordi, in quel periodo, Sophie ringiovaniva un pochino ogni giorno che passava.”
“A noi non sembra che sia cambiata poi di tanto. E non porta addosso i segni di alcun maleficio.”
“Forse tu ed io non siamo abbastanza potenti da rendercene conto.”
“Non credo esistano in tutta Ingary esperti più grandi di noi in questa sorta di incantesimi. Ce ne saremmo accorti, invece non abbiamo neanche sentito l’arrivo della maledizione. Nulla di nulla.”
“E dunque, cosa può essere accaduto? Sophie non può certo essersi trasformata in una bambinetta di sua volontà!”
“Non credi sia stata colpa di tutti quegli incantesimi che le sono piovuti addosso quando il Castello si è fermato?”
Howl non rispose.
Sophie era intenta a osservare un bambinetto di fronte a sé, un Kamepohl dai capelli corvini; stava sdraiato tra le gambe della madre e disegnava su una pergamena con un carboncino.
“Posso disegnare anche io?” chiese lei. Il bambino alzò gli occhi e la fissò.
“Non ti può capire, se parli la lingua di Ingary” spiegò Howl. Si chinò e ripeté la richiesta al bambino.
“Ma sì, Uro, fai fare un disegno a questa bella bimba” disse la donna. Sorrise ma sembrava a disagio: spostava continuamente gli occhi dalla testa bionda di Howl a Calcifer nel suo secchio a terra. Il demone strinse gli occhietti, offeso.
“Guarda!” esclamò Sophie poco dopo. Tese a Howl il foglio.
Non appena lo ebbe tra le mani, lui impallidì e gli sfuggì dalle dita. La pergamena cadde sulla superficie di legno della diligenza ed i contorni del disegno s’incendiarono d’una fiamma chiarissima: due figure umane, una più grande ed una più piccola, inscritte in un cerchio, e intorno tante piccole stelle. La pergamena bruciò fino a farsi cenere, tra le urla del bambino e di sua madre.
“Non è successo nulla” mormorò Howl. “Vogliate scusarmi, è assolutamente mia la colpa.”
“Succedono cose strane, da qualche settimana” borbottò la donna.
“Vogliate spiegarvi” la esortò lui, improvvisamente interessato.
“Gli spiriti, che da tempo si erano ritirati, sono tornati a mostrarsi. Sono arrabbiati.”
“Ne avete visti altri?”
“Noi stiamo andando in città proprio per questo motivo” intervenne un vecchio, dalla fila alle loro spalle. “Nel mio villaggio ci sono state due apparizioni e in una è rimasta ferita una ragazzina. Noi andiamo dai nostri parenti a Freedam, almeno lì saremo al sicuro.”
“Terra di spiriti…” disse Calcifer.
“Non si è mai al sicuro” ribatté la vecchia nell’angolo e gli riservò un’occhiata gelida. “Se perfino agli spiriti è permesso di viaggiare in diligenza a questa maniera…”
“Noi non siamo uno spirito, signora, noi siamo un demone!” cominciò Calcifer.
“Spiriti, demoni, che differenza volete che faccia? Bestie che dovrebbero…” Uno schianto improvviso interruppe le sue parole. La diligenza derapò verso sinistra e si bloccò. I cani uggiolarono.
“Cos’è stato?” gridò qualcuno. Si levarono delle urla dalle file posteriori.
“Spirito, spirito!”
Cominciarono a scemare dalla diligenza gridando.
Un’ombra nera balzò sulla slitta e cominciò a rovistare con le due zampe anteriori, scaraventando un uomo sulla neve come fosse un sacco vuoto.
In un attimo, Howl afferrò Sophie sotto le ascelle. “Calcifer, in alto!” gridò e spiccò un salto. In aria distese le gambe e a grandi falcate si allontanò dalla slitta, tra le urla delle persone. Sophie gli si stringeva al petto.
“Howl, quella gente!” esclamò indicando in basso con un ditino.
Lui planò a terra ad alcuni metri di distanza.
“Non ti allontanare da lei” ordinò, e si lanciò verso la slitta. La bestia, insoddisfatta, lanciò un grugnito, balzò in avanti sulla fila successiva di sedili e riprese a cercare.
Howl alzò un braccio, strinse le labbra e compì un ampio movimento. Quella si irrigidì un istante, poi emise un urlo e si voltò con gli occhi accecati dalla rabbia.
“Non basta!” urlò Calcifer.
Howl spiccò un altro salto, proprio un momento prima che la bestia si gettasse su di lui; mucchi di neve volarono in ogni direzione.
“Sophie, non ti muovere!” gridò Howl, ma lei incurante trotterellò verso una vecchina che arrancava cercando di mettersi in salvo. Il conducente correva di qua e di là, cercando di trattenere i cani e al contempo urlando isterico tra sé e sé.
“L’avevo detto io!” ripeteva la donna Kamepohl. “Non è un viaggio da fare, di questi tempi, ora moriremo tutti per colpa di un demone!”
“Ehi, noi non stiamo…” cominciò Calcifer offeso, ma s’interruppe subito. “Howl! È un demone!”
Quasi a confermare la sua intuizione, la bestia alzò il muso dalla neve e fissò Howl. Il mago aggrottò le sopracciglia bionde e sorrise.
“Bene, allora staremo a vedere.”
Allungò il collo e spalancò la bocca, mentre squame nere gli comparivano sul volto.
“No!” gridò Sophie e si gettò verso di lui. Fece appena in tempo ad afferrargli una gamba, che le ali squarciarono i vestiti di Howl. D’istinto, pur alzandosi in volo, lui chiuse le braccia coperte di piume nere attorno a lei.
“Non farlo Howl!” implorò Sophie con le lacrime agli occhi. “Non ti trasformare!” Strinse i pugni attorno al pelo scuro sul petto. In quel momento i denti della bestia penetrarono nella carne della spalla e Howl emise un lamento roco. Rovinarono a terra tra le urla degli altri.
“Sophie, va via di qui…” mormorò. Lei scosse la testa. “Non vado da nessuna parte” disse, e a Howl sembrò di udire la sua voce di adulta, ma il dolore non gli permetteva di vedere chiaramente.
Un calore si spanse all’improvviso alle sue spalle. Nell’aria si diffuse un suono strano, che sembrava una lingua fatta di scoppiettii e fischi e vampate. Sophie si strinse contro il petto di Howl, e lui sentì distintamente, tra le braccia, il suo corpicino da bambina.

“Howl?”
Aprì gli occhi e li richiuse subito: tutto quel bianco non faceva che aumentare il suo mal di testa.
“È vivo” disse Calcifer.
Sophie posò una manina sulla sua fronte. “Non avrà freddo, con tutti i vestiti a brandelli?”
Si guardarono attorno, ma tutti si tenevano a debita distanza, ammucchiati davanti ai resti della slitta; perfino i cani, accucciati a terra, non emettevano un fiato, con le orecchie tirate indietro e le code tra le zampe.
“Calcifer…” biascicò Howl. Aprì un occhio: “Sei ridotto ad una fiammella azzurra… Morirai…”
Sophie sussultò a quelle parole. Corse verso la slitta, dove le persone tremanti si aprirono in due ali per farla passare. Rovistò sotto al sedile dove erano seduti e tornò con le mani piene delle ossa donate da Minna. Calcifer spalancò la bocca e ne ingurgito una in un momento solo.
“Brava bimba” mormorò Howl sorridendo. Con un grugnito si alzò a sedere. Sophie lo guardò aggrottando le sopracciglia.
“Non essere preoccupata, non mi fa più male.”
Lei incrociò le braccia al petto e Calcifer ruotò gli occhietti verso l’alto.
“In poco tempo saremo pronti per riprendere il viaggio” gridò quindi Howl nella lingua di Angelia. Il conducente annuì, incapace di proferire parola.
“Io non voglio riprendere il viaggio con loro!” esclamò un signore.
“Suvvia” brontolò un’altra. “Dove volete che vadano, siamo nel bel mezzo del nulla! Non possiamo di certo abbandonare la bambina.”
“Ma il demone sì!”
“Ma è stato lui a fermare l’altro!”
“Bell’affare, finire in mezzo a lotte tra demoni!”
Ognuno cominciò a dire la sua sull’argomento, in un crescendo di voci. Calcifer, ridotto a poche fiammelle, non sapeva più dove guardare.
“E quelli ora chi sono?” esclamò il conducente con il cappello tra le mani. I cani cominciarono ad abbaiare: all’orizzonte erano comparse delle figure.
In poco tempo furono vicini: un gruppo di dieci uomini a cavallo di renne dal manto bianco, le cui briglie erano adornate di ricami color d’oro e blu.
“Corpo delle Guardie Reali di Angelia” annunciò il primo di loro. Scese dalla cavalcatura. “Chi di voi è il signor mago Howl Pendragon della terra d’Ingary?”
“Io rispondo a questo nome” disse Howl alzandosi. Il dolore alla spalla gli strappò una smorfia. “Sono in viaggio verso Freedam con il mio demone del focolare su invito del mago Espen.”
“Il Primo Ministro Gunnar ci ha inviati a scortarvi fino alla capitale. Sapete cavalcare una renna?”
“Sempre che le renne non abbiano rimostranze a portare i maghi ed i loro demoni.”
La guardia fece un cenno ad uno degli altri, che smontò a sua volta e gli condusse la bestia candida. “Non vi sarà alcun problema, signor mago” assicurò.
Howl prese Sophie e la issò sulla sella.
“E questa bambina… chi è?”
“Lei viaggia con noi.” Si inchinò verso il conducente della diligenza: “Vogliate scusarmi se abbandono la vostra splendida compagnia a metà del viaggio. Il denaro che ho versato all’inizio, potete tenerlo. Spero sarà sufficiente a riparare i danni subiti dal vostro mezzo. Con permesso.”
In poco tempo la compagnia era scomparsa nuovamente oltre le dune bianche, tra gli sguardi allucinati ma sollevati del resto dei viaggiatori.

“Howl! Il grande mago farfallone!”
“Espen!”
Scese dalla renna e strinse con forza la mano all’altro stregone, vestito d’una tunica in pelle chiara e decorata da ricami in argento.
“Sei riuscito a giungere qui, infine! Avevo quasi perso le speranze.”
“Anche noi, Espen.”
“Hai trovato moglie, finalmente, smettendo di terrorizzare tutte le fanciulle del regno d’Ingary?”
Senza rispondere, Howl alzò gli occhi sul Castello Reale e la sua statua alata.
“Hai ancora con te il tuo demone!”
Espen era ben stupito, ma non ebbe tempo di dire altro: alle sue spalle comparve un uomo con una lunga barba bianca, ma sopracciglia ancora rosse.
“Signor mago Pendragon, è un piacere ed un immenso onore avervi nel nostro palazzo” esordì.
“Howl, ricordi Gunnar, il nostro Primo Ministro?”
“Senza dubbio” rispose lui inchinandosi. “ È un onore per me essere qui, e spero di potervi essere d’aiuto.”
“Il vostro apporto sarà prezioso. Vi prego di seguirmi. Il Re vuole incontrarvi quanto prima.”
“Il mio amico viene da un viaggio lungo diversi giorni, Primo Ministro. Avrà sicuramente bisogno di rinfrescarsi e riposarsi. La questione può attendere fino a domani mattina.”
Gunnar fece una smorfia, poi annuì lentamente. “Domattina cominceremo i nostri lavori con il Re, dunque. Vi sono state assegnate delle stanze.”
“Ho bisogno di legna per il mio demone” disse Howl.
“Chi è quella bambina?” chiese Espen. Sophie, ancora in cima alla renna, sorrise e agitò una manina.
“Lei viaggia con me. E resterà con me in ogni momento.”
“Non è possibile tenere una bambina così piccola continuamente al vostro fianco” intervenne Gunnar. “Avremo importanti discussioni da portare avanti. Non sarà che d’intralcio.”
Howl s’inalberò: “Sono venuto fin nel vostro paese, libero da qualsiasi vincolo, solo per un sentimento di amicizia profonda. Non sono tenuto a rimanere né ad accettare alcuna delle vostre condizioni.”
“Oh oh” sussurrò Calcifer a Sophie, “le cose non si mettono bene. Del resto noi indietro non possiamo certo tornare da soli, con il Castello in quelle condizioni.”
Gunnar e Howl si fissavano torvi, ma Espen si mise in mezzo: “C’è una soluzione, amico mio. Conosco una persona fidata a cui affidare la bambina mentre noi saremo occupati. Non devi preoccuparti, non le accadrà nulla: è una promessa.”
Dopo un momento di riflessione, Howl annuì. “Vedremo” pensò.

Il Castello di Freedam era immutato da quando l’aveva visitato anni prima: una enorme costruzione bianca, difficile distinguere la pietra chiara dal ghiaccio. All’interno corridoi, volte ed enormi sale si susseguivano in un complicato labirinto, in cui era impossibile orientarsi se non dopo averlo conosciuto a lungo. Si diceva che solo Gunnar, Primo Ministro da quando era Re il padre di Baldur, conoscesse ogni singolo angolo, ma era più probabile che vi fossero camere segrete anche a lui.
Howl ricordava i tempi passati, quando assieme a Espen aveva cercato di visitarlo completamente; alcune zone erano protette da antichi incantesimi, che all’epoca non erano riusciti a infrangere.
Un suono di passi alle sue spalle lo fece voltare. Sorrise.
“Non ho affatto dimenticato come è ospitale questo vostro Castello, nonostante il suo volto austero. Le stanze sono davvero belle, e te ne ringrazio.”
Sophie dormiva di già nel grande letto al centro, mentre Calcifer sonnecchiava finalmente tra due ciocchi di legno.
“Vi è una stanza in cui può dormire la bambina, di là” ripose l’altro mago, in abiti civili. I suoi occhi leggermente allungati e neri come la notte brillavano vivaci.
“Lei rimane qui.”
Espen non aggiunse altro.
“E tu, hai trovato moglie?” chiese Howl. Stava sistemando le sue cose in due grandi bauli.
“No, non ancora. Nonostante le tue lezioni su come affascinare una donna, devo ammettere di non essere molto bravo. Credo mi manchi l’incanto della chioma dorata.”
“A questo è facile porre rimedio, se solo mi lasciassi fare.”
“E spiccare come una stella tra tutti questi Kamepohl neri e Ramepohl rossi? Non sarebbe acuto da parte mia!”
Risero insieme, ma Espen tornò immediatamente serio.
“Mi spiace di averti trascinato fin quaggiù. Domani Re Baldur ti comunicherà la questione. Ho veramente bisogno del tuo aiuto per risolvere questo grattacapo.”
“Sono venuto per questo.”
“Non sarà così facile. Purtroppo è diventato molto difficile fidarsi l’uno dell’altro. Non potevo chiedere aiuto che a te, esterno alla vicenda, senza alcun interesse in essa. Sai che l’equilibrio tra Kamepohl e Ramepohl è sempre prossimo a spezzarsi.”
Howl lo fissò pensieroso.
“Domani comincerò a fare tutto quanto in mio potere, Espen.”

Sophie, vestita d’un abitino blu dalla linea dritta e pieno di decorazioni, stava in piedi in mezzo alla stanza enorme, con le mani dietro la schiena.
“Allora, come ti chiami?”
“Lei non parla la lingua di Angelia” intervenne Howl.
La donna alzò gli occhi. “Voi sareste...?”
“Howl, mago del regno d’Ingary. E lei è Sophie. Voi, signora?”
“Talitha” rispose lei. “E sono la balia di…” Si interruppe e si morse un labbro. “Potete lasciare con me Sophie per tutto il tempo necessario. Il signor mago Espen si è molto raccomandato, e per me sarà un immenso piacere.”
Howl si inchinò: “Vi prego aver molta cura della mia Sophie, signora balia.” La balia sussultò per l’inusualità del gesto. Howl si voltò in un tintinnio di ciondoli e scomparve, accompagnato dal ticchettio dei suoi stivali.
Rimaste sole, si guardarono per un momento, entrambe dubbiose.
“Sei una bimba molto carina” disse Talitha dopo un po’. “Con questi capelli color della legna… non ve ne sono di bambine come te, qui, sai?”
Si chinò su di lei e sorrise: “Anche se non mi capisci, sono sicura che insieme ci divertiremo. Conosco molti giochi che piacciono ai bambini della tua età.”
Per un momento un velo di tristezza passò nei suoi occhi. “Quando Hilde aveva la tua età, era la bambina più bella del mondo.”
Sophie sorrise.
“Vuoi fare un disegno?”
La prese per mano e la condusse ad un grande tavolo dove campeggiavano carta, colori e libri di ogni tipo. “Mi spiace di non poterti leggere alcuna favola, bambina, ma possiamo disegnare insieme.” Sophie s’illuminò. Si gettò sul tavolo e si mise subito al lavoro. Talitha sorrise ancora d’un sorriso triste.
Poco dopo Sophie le porse il frutto delle sue fatiche: un mare verde in cui galleggiavano fiori gialli e rosa.
“Il mio giardino segreto” disse nella sua lingua.
“Non posso capirti…” mormorò Talitha. Prese il foglio tra le mani e lo osservò con attenzione. “Oh, mia Hilde!” esclamò poi, e una lacrima le scese dagli occhi e annacquò i colori. “Come vorrei poterti condurre in un luogo tanto bello!”

“Sua Maestà” si inchinò Espen. Alle sua spalle, anche Howl chinò il capo e rimase in attesa. Nella sala immensa non vi erano che loro, alcuni ministri e poche guardie accanto al portone.
“Il mio nome è Baldur, re di Angelia. Benvenuto nel mio paese, mago Pendragon” disse la voce di un ragazzo.
“È un piacere per me esservi d’aiuto” rispose. Osò alzare gli occhi: davanti a lui vi era effettivamente un uomo giovane, sicuramente più giovane di lui stesso, dal volto imberbe e folti capelli rossicci. Nella sua mente tornò l’immagine di un ragazzino. “Ci siamo già incontrati, quando visitai a lungo il vostro paese, anni or sono.”
“Mi spiace di non ricordarmi di voi” ammise il Re. “All’epoca ero solo un ragazzo e voi…”
“Non mi sono trattenuto a lungo presso il Castello Reale. Espen ed io abbiamo compiuto dei viaggi in tutto il regno. Fu una visita splendida.”
Gunnar, in piedi alla destra del Re, si schiarì la voce.
“Ed è proprio Espen, il nostro mago di corte” esordì, “ad aver caldamente incoraggiato il vostro arrivo qui. La questione è della massima importanza ed urgenza.”
Il volto di Baldur si adombrò. “Esattamente. Si tratta di Hilde.”
Howl drizzò le orecchie. “Credevo il problema fosse il ritorno di spiriti e demoni.”
“Ah, quelli” intervenne Gunnar. “Non sono altro che dicerie del popolo. Ogni qual volta accade qualcosa, una valanga o una tempesta particolarmente violenta, sono sempre pronti a dare la colpa agli spiriti.”
Howl aggrottò le sopracciglia. “E cosa è accaduto alla principessa Hilde?”
“Ella è giunta circa un mese fa nel mio Castello. Le nostre nozze erano programmate per la settimana successiva, dal momento che io mi sarei in seguito dovuto recare nel regno di Turny.”
Il Re tacque per un momento, quasi a raccogliere i pensieri. Gettò un’occhiata al suo Primo Ministro, poi riprese con voce più bassa: “Ma, pochi giorni dopo il suo arrivo, Hilde è scomparsa.”
“Scomparsa?”
Intervenne Gunnar: “Esattamente. Non vi è alcun segno di lotta, né nessuno ha visto nulla. Vi erano delle guardie, ovviamente, davanti le sue stanze, e la sua balia dormiva in una stanzetta attigua, pronta a giungere ad ogni richiesta della principessa. Tuttavia anch’essa non ha udito nulla. La principessa si è volatilizzata.”
“Abbiamo provato ogni sorta di incantesimo di ritrovamento” si intromise a quel punto Espen. “Ma nessuno ha dato risultati. Il Castello è stato inoltre frugato da cima a fondo, senza esito.”
“Non ho sentito parlare di tutto ciò durante il mio viaggio.”
“La notizia è segreta” intervenne Re Baldur. “Hilde è figlia di uno dei più importanti capifamiglia del Nord. Non vogliamo scatenare una guerra civile annunciando la sua scomparsa, proprio mentre si trovata al Castello Reale!”
Gunnar annuì gravemente.
“Siete famoso per i vostri incantesimi di divinazione. Ed è notizia risaputa, ormai, che avete avuto un ruolo assai fondamentale nelle trattative di pace tra Ingary e Turny. Il vostro aiuto è fondamentale.”
Howl fissò a lungo i volti degli uomini attorno a sé: il giovane Re intimorito, il vecchio Ministro dall’aria seria e preoccupata, il Mago di Corte pieno di speranza.
“Farò quanto in mio potere” asserì. “Ma un incantesimo di divinazione non è semplice da effettuare, se non si conosce affatto la materia che si va cercando. Le risposte possono talvolta essere arcane e di difficile interpretazione.”
Espen annuì. “E dunque?”
“Ho bisogno di conoscere la vostra principessa. Parlerò con le persone che erano con lei. Farò delle ricerche.”
“Tutto questo ci farà perdere molto tempo prezioso!” sbottò Gunnar. “Le nozze dovevano già esser state celebrate!”
“Potete continuare a cercarla con i vostri metodi, nel frattempo” concesse Howl. “La magia non è certo un’arte che obbedisce a comando.”
“Howl è un grande esperto di divinazione, ve lo assicuro” intervenne Espen. “Saprà ritrovarla.”
“Sua Maestà?” chiese dunque Gunnar.
Il ragazzo si guardò attorno, spaesato. “Bene, dunque,” cominciò. “Il signor mago Howl può cominciare come ritiene più giusto. Noi proseguiremo con le nostre ricerche, e tutte le Guardie di palazzo saranno avvertite di cercare in ogni angolo della città.”
“Mantenere il più assoluto riserbo è una priorità” aggiunse il Primo Ministro. Baldur annuì.
“Dunque, siamo d’accordo?”
“Un momento ancora” disse Howl. “Non abbiamo discusso del mio compenso, mi pare.”
Tre paia di occhi spalancati si puntarono su di lui.

“Piccola Sophie, ora ti presenterò un amico. Lo vuoi conoscere?”
La bambina, presa com’era dai suoi pastelli, alzò a malapena gli occhi. Talitha scrollò le spalle e fece un cenno ad una guardia. Poco dopo arrivò un bambinetto Kamepohl, di poco più grande.
“Buongiorno, Even. Hai terminato la tua lezione?”
“Chi è quella bambina?” chiese lui senza prestarle attenzione.
“Alle domande si risponde.”
“Io te ne ho fatta una” ribatté lui. Raggiunse Sophie: “Ehi, chi sei?”
Lei alzò gli occhi.
Talitha sospirò. “Non può capirti, non parla la nostra lingua. Viene da Ingary, il regno al di là delle montagne. Lo hai studiato, vero?”
Even annuì. “Come si chiama? E chi è? Perché è qui?”
“Sophie. È giunta con il mago Howl, che ora sta aiutando tuo zio Espen.”
“È sua figlia?”
Talitha si trovò senza risposta. “Credo di sì, non saprei…” mormorò. “Vuoi disegnare anche tu?”
“No, sono stufo. Voglio la mia renna.”
“Di certo la tua educazione lascia molto a desiderare. Si dice vorrei e si chiede il permesso. Vuoi ricominciare dall’inizio?”
Even sbuffò, scese dalla sedia e si mise in piedi di fronte la balia, composto. “Ho studiato molto, questa mattina, quindi ora vorrei, per piacere, cavalcare la mia renna nel giardino del Castello. Posso, signora balia?” Sorrise, ed il suo voltò sembrò quello di un angelo. Talitha s’intenerì: “Ben fatto, Even. Puoi andare, ti farò accompagnare da qualcuno.”
“Non puoi venire con me?”
“Devo rimanere con Sophie. Ordine tassativo: non possiamo lasciare questa stanza.”
Uno scoppiettio del fuoco nel camino sottolineò le sue parole.
Il bambino corrugò le labbra.
“Su, vai a cavalcare. Domani mi mostrerai cosa sai fare, chiederemo al signor mago il permesso di portare con noi la piccolina.”
Il fuoco fischiò ancora.



***
Finalmente siamo giunti nella capitale! Come vi è sembrato questo capitolo? Io personalmente non vedevo l’ora di arrivare tra quattro solide mura e cominciare a raccontare della sparizione di Hilde, e di tutti i personaggi che ruotano attorno a lei – losche trame, interessi personali… vedrete!

Durante questo mese ho superato i 150 likes sulla mia pagina FB, non posso che ringraziarmi! Se qualcuno di voi lettori, non l’avesse ancora fatto mi trovate come Marge Pendragon oppure direttamente alla pagina dedicata alla saga di Flowers Wall. Aggiungetemi e mipiaciatemi, mi farà molto piacere!
Vi aspetto numerosi! See ya, al prossimo mese con il prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


FROZEN FLOWERS

VI

Nel quale Howl fa un bel sogno e Calcifer racconta favole.



Howl era decisamente soddisfatto: “La faccenda è semplice, null’altro che una principessa smarrita. Ricordi quando fummo incaricati di trovare la figlia del Governatore in quel remoto paese dell’est, anni fa? E questa volta saremo pagati decisamente meglio!”
“Dunque, cosa hai estorto loro?” sbuffò Calcifer nascosto tra le braci.
“Soldi, ovviamente” Howl sorrise con le sopracciglia incurvate.
“Mago vanesio e tirchio! Con tutti i problemi che abbiamo, cosa dovremmo mai farcene del denaro?”
“Possibile che tu non capisca? Cos’altro potevo chiedere, ora che Sophie è una bambina? Servirà del tempo per capire quale sortilegio è il suo. Con quel denaro potremmo andare ovunque, chiedere aiuto a qualsiasi stregone e trovare qualsiasi ingrediente necessario. Inoltre, non scordare il Castello da riparare.”
Calcifer corrugò le labbra, dubbioso. “Forse non è in questa direzione che dovresti cercare.”
“Torna da Sophie e non preoccuparti. So cosa faccio.”
“Non hai bisogno di noi?” Il piccolo demone era offeso.
“Al contrario, ho bisogno che tu stia con lei. Non posso concentrarmi affatto se temo che possa accaderle qualcosa. Passerò la giornata con Espen, a interrogare le guardie.”
Si alzò e si voltò verso la balia che ricamava seduta su una poltrona; ai suoi piedi Sophie giocava tranquilla.
“Tornerò presto” disse Howl alla bambina. Poi si rivolse a Talitha: “Vi prego di aver cura di Sophie ancora per un po’.”
“Con chi stavate parlando, tutto chino sul caminetto?”
“Non preoccupatevi di questo. Dovete rimanere in questa stanza, intesi? Non permettete a Sophie di andare in alcun altro luogo.”
“Almeno al gabinetto possiamo andare?” ribatté lei sarcastica. Howl sorrise del suo sorriso più accattivante: “Sono sicuro che avete una grande esperienza con i bambini. Più tardi vorrei parlarvi con calma della vostra Hilde.”
Talitha sussultò e depose il ricamo in grembo. “Dunque è per questo che siete giunto.” La bocca le tremò.
“Abbiate cura della mia Sophie e vi giuro che ritroverò Hilde.”
“Sono al vostro servizio” rispose lei.

Nascosto dietro una colonna, Howl osservava la sala circolare del trono da parecchio tempo. La luce bianca, riflessa dalle pareti di ghiaccio, lo aveva accecato a tal punto che non desiderava altro che chiudere gli occhi e sdraiarsi al buio da qualche parte.
Un araldo annunciò l’ennesimo suddito venuto a chiedere consiglio; Howl sbuffò.
“Ma quanti ne passano al giorno?” chiese a bassa voce chinandosi verso la guardia più vicina.
“Dipende dalle giornate, signor mago,” rispose quella, “a volte anche un centinaio. Non tutti però riescono a giungere fino ad Freedam per chiedere un consiglio.”
“E dunque?”
“In ogni città del paese vi sono governatori che svolgono la stessa funzione, signor mago.”
Le voci al centro della sala si fecero concitate e attrassero nuovamente l’attenzione di Howl.
“Mia figlia, sua Altezza, potrebbe aspirare a un matrimonio molto più conveniente!” diceva un uomo Kamepohl, longilineo e scuro.
“Mio figlio si è messo in testa che potrà essere felice solo con questa fanciulla” ribatteva un Ramepohl dai cappelli fiammanti, “e non capisce le difficoltà che ne deriveranno!”
“Non c’è nulla di male ad essere un Ramepohl” rincarò l’altro, guadagnandosi un’occhiataccia da diversi in sala, “ma non va bene per mia figlia!”
Baldur alzò una mano e i due tacquero.
“I due ragazzi sono innamorati e vogliono sposarsi?” chiese. I due uomini annuirono contemporaneamente. “Ma le famiglie non sono d’accordo perché sarebbe il primo matrimonio misto del villaggio. Cosa temete?”
“Ci sarà confusione” disse uno.
“Non sapranno quali tradizioni seguire, cosa mangiare il Giorno dell’Angelo o come vestirsi durante Festa della Neve. Se avranno figli, saranno guardati in maniera strana da tutti gli altri bambini” aggiunse l’altro.
“Se posso permettermi” si intromise Espen. Baldur annuì. “Qui a Freedam i matrimoni misti sono comuni, le famiglie vivono in maniera molto pacifica e i bambini non hanno mai dimostrato alcun problema.”
“Con tutto il rispetto, signor mago di corte” rispose pronto il padre della fanciulla, “il nostro è un piccolo villaggio, e come abbiamo già spiegato, sarebbe il primo matrimonio misto.”
“Perfino il vostro Re contrarrà molto presto un matrimonio con una ragazza Kamepohl” continuò Espen con voce forte. “Per essere di buon esempio per tutto il popolo.”
“I popoli” corresse a denti stretti uno dei due.
Espen aggrottò la fronte: “Non possiamo certo impedire ai due ragazzi di sposarsi.”
“Noi siamo del parere,” disse l’uomo Ramepohl, “che una lettera di sua Maestà che sconsigli questa unione sia del tutto sufficiente a scoraggiarli.”
“Non vedo perché dovremmo!” esplose allora Espen. Si alzò in piedi e rimase con una mano a mezzaria, indeciso sul da farsi.
Baldur sussultò al suo movimento e spalancò gli occhi. “Beh…” borbottò. “Faccenda complicata… non vorrei mai che questi due ragazzi mettessero al mondo degli infelici…”
“La vita nei piccoli villaggi è molto diversa da quella cui siamo qui abituati” disse allora Gunnar con la sua voce profonda. “È nostro dovere impedire che questi due giovani, compiendo un passo affrettato e non ponderato, siano infelici a loro volta.”
“E questo forse impedendo il loro matrimonio?” esplose Espen.
“Le tradizioni sono un tesoro da conservare, sono la nostra più grande ricchezza” rispose Gunnar, immobile sulla sua seggiola accanto al trono di ghiaccio. “La grande dignità e fierezza dei Kamepohl, l’operosità e lo spirito dei Ramepohl: non devono essere dimenticati solo per volontà d’unire. I due popoli hanno sempre convissuto pur separati. Forse i due giovani si sbagliano ed è nostro dovere impedirlo.”
“Il nostro dovere è garantire la libertà ai nostri sudditi!” urlò Espen. Era rosso in volto e non riusciva a stare fermo: a ogni passo avanti e indietro si udiva il suono del campanello che portava al collo.
Baldur si schiarò la voce. Ottenuto il silenzio, si guardò intorno, posando gli occhi ora sui due padri al centro della sala, ora sui suoi due consiglieri, così diversi tra loro.
“Scriverò una lettera, dunque” disse. “Se questa è la volontà delle loro famiglie. Bisogna sempre aver fiducia nell’esperienza dei più grandi.” Tacque e trattenne il respiro: nessun suono arrivò a contraddirlo.
“Scriverò che sarà difficile per loro portare avanti questo matrimonio, per via delle differenze e della natura del loro piccolo villaggio. Tuttavia non posso sconsigliarlo apertamente, anzi consiglierò loro di considerare l’ipotesi di trasferirsi in una città dove vi sono molte altre unioni miste.”
Sorrise e si guardò intorno in cerca di approvazione: Gunnar non disse nulla, Espen si risedette e prese a tormentarsi il mento con due dita. I due padri abbassarono il capo in segno di saluto e rispetto e se ne andarono senza aggiungere una parola oltre i ringraziamenti di rituale.
Dietro la colonna, Howl strinse gli occhi sui tre: Baldur al centro, seduto sul suo trono sul quale sembrava piccolo e sperduto, Gunnar alla sua destra, grave e potente, e Espen alla sinistra, rosso in volto per l’ira.
“Interessante” mormorò.

Talitha ricamava veloce al tombolo. Sophie, seduta ai suoi piedi su di un folto tappeto di pelo, giocava con dei cubi di legno.
“La mia Hilde, quando era bambina, era davvero una peste, sai? Non sapevi mai dove andare a cercarla.”
La vecchia sospirò. “Vi sono di quelle bambine che vorrebbero essere dei maschi, perché invidiano la libertà dei loro fratelli, e le si trova sempre sporche di fango arrampicate tra le rocce, con le mani sbucciate e i capelli in disordine. Hilde non era così. Hilde è sempre stata una vera principessa, fiera e regale, e pur tuttavia, sempre così distante.”
Sophie alzò gli occhi e sembrò prestarle attenzione.
“Imparò a leggere prestissimo e scompariva per ore nella biblioteca del palazzo. Ha sempre divorato qualsiasi volume le capitasse sotto mano. E amava intrufolarsi nelle case della gente, quando scappava. Ricordo che una volta la trovammo comodamente seduta al desco di un pescatore di salmone, intenta a cenare con tutta la famiglia! Il pover’uomo non sapeva neanche si trattasse della figlia del signore di Thule.”
Sophie sorrise. “Hilde” disse. La balia spalancò la bocca per la sorpresa.
“Sai dunque parlare?”
“Hilde. Sophie.” ripeté la bambina. Si accigliò per un momento, poi abbassò di nuovo lo sguardo sui cubi e scordò ogni cosa. Con una manata li fece cadere e scoppiò a ridere.
Ne afferrò uno e corse al caminetto. “Calcifer, hai fame?” urlò.
Talitha quasi cadde nel correre a fermarla, prima che gettasse il giocattolo tra le fiamme.
“Questa bambina è strana” borbottò tra sé e sé.

Calcifer non lasciò, per tutto il giorno, il caminetto della stanza dove si trovavano Sophie e la balia. “Ci sentiamo così deboli… questo paese non fa per noi, decisamente!” si lamentò quando Howl tornò in serata.
Il mago tuttavia era poco propenso a seguire le sue lagnanze: continuava a riflettere.
“Sophie dorme?” chiese. Si avvicinò al letto dove la bimba respirava tranquilla. Si sedette sul bordo e allungò una mano per carezzarla, ma si fermò a metà strada. Sospirò.
“Ha chiesto di te per tutto il giorno” riferì il demone.
“Domani passerò del tempo con lei. Oggi ho assistito a una scena piuttosto interessante.”
Si alzò e prese la giacca dalla sedia sulla quale l’aveva gettata.
“Esci ancora?”
“Devo parlare con Espen in privato. Veglia su Sophie, Calcifer.”

Howl fu fortunato a incontrarlo mentre vagava per gli infiniti corridoi color del ghiaccio: “Credevo di ricordare a memoria la strada per le tue stanze” borbottò.
“Il palazzo è costruito appositamente per confondere, come ben sai. Cercavi proprio me?”
“Vorrei scambiare due parole sulla scomparsa della principessa Hilde. Oggi ho curiosato in giro e ho parlato alle guardie ma, come voi stessi avete detto, nessuno si è accorto di nulla.”
Man mano che proseguivano, Howl riconosceva la strada; non ebbe più alcun dubbio quando varcarono una porta dorata con il simbolo di Angelia iscritto in un cerchio.
“Finalmente, ecco l’accesso a quella fantastica torre in cui dimori! Ti ho sempre invidiato molto per questa tua sistemazione.”
Scalini candidi si inerpicavano a stretto giro. Cominciarono la salita e non parlarono fino a che non furono in cima. Howl, che lo seguiva dabbasso, ne approfittò per osservarlo da vicino: qualche capello bianco si mescolava, sulla nuca, a quelli scuri tipici dei Kamephol. Non sapeva l’età esatta di Espen, ma lo aveva sempre ritenuto di poco più giovane di sé e ricordava senza fallo il suo volto giovane e imberbe di qualche anno prima. Ora il tempo mostrava il suo corso senza pietà, più di quanto avesse mai fatto sul volto di Howl, con qualche ruga, la fronte corrucciata e nell’insieme un’espressione stanca.
“La scomparsa di Hilde vi sta dando parecchie preoccupazioni, nevvero?” chiese una volta nella stanza principale della torre. Come il Castello, era invasa dagli strumenti magici di Espen, ma sistemati con un preciso ordine; perfino i volumi erano impilati nelle librerie secondo colore e dimensioni, ben diverso dall’ammucchiata che in genere regnava al Castello.
“Sophie pagherebbe oro per un laboratorio così ordinato” commentò Howl ad alta voce, senza pensarci.
“Sophie, la tua bambina?”
Colto in fallo, Howl non replicò. Espen lo fissò per un momento, poi rispose: “La scomparsa della principessa Hilde, nonostante sia un fatto grave, è una delle ultime preoccupazioni di questo regno. Baldur e Gunnar sono sempre stati convinti che un matrimonio misto potesse risolvere le tensioni tra i due popoli, ma come hai potuto ben vedere tu stesso oggi, non è affatto così semplice.”
“Qual è la tua ipotesi sulla sua sparizione?”
Espen si accomodò su una larga poltrona e sistemò le vesti larghe attorno a sé. Poi fece un cenno a Howl verso un’altra poco distante.
“In realtà non ho alcuna idea: da sempre vi sono correnti che vogliono ostacolare la pace tra Ramepohl e Kamepohl. In questo caso, quando la notizia sarà pubblica, sarà fin troppo facile cavalcarla per i movimenti separazionisti. Temiamo anche la reazione della famiglia della fanciulla.”
“Più che comprensibile, dal momento che credevano di inviare una figlia a divenire regina e invece scompare. Come potete assicurarvi che la notizia non trapeli? La balia Talitha, ad esempio, è sicuramente fedele alla famiglia più di quanto lo sia a voi.”
“Talitha è una donna eccezionale” esclamò Espen con trasporto. “Ha cresciuto Hilde come fosse figlia propria ed è sempre stata la sua migliore amica e consigliera. Al momento si fida molto delle misure che stiamo prendendo per ritrovarla.”
“Ho intenzione di parlarle, infatti” confermò Howl. Congiunse le mani in grembo e si guardò intorno: “I tuoi studi sulle costellazioni proseguono?”
In un angolo un enorme telescopio era montato rivolto alla finestra.
Espen annuì.
“Zio Espen!” gridò una vocina. Un ragazzino sui sei anni irruppe nella stanza da una porticina laterale e si gettò su di lui.
“Even! Dovresti essere a letto, a quest’ora!”
Nonostante il tono burbero, Espen accolse tra le braccia il bambino. Howl lo guardò sorpreso: “Non sapevo avessi un nipote!”
Even si accorse in quel momento di lui, ma rimase a fissarlo dalle braccia dello zio, improvvisamente intimidito dalla figura inusuale del mago.
“Ricordi mia sorella Alja?”
“Vagamente. Era una bambina ancora, e inoltre tua sorella. Non avrei mai potuto interessarmene” disse con un sorriso malizioso. Espen sorrise a sua volta, ma senza trasporto. Sembrava triste.
“Sei il padre di Sophie?” disse allora Even.
“Come l’hai conosciuta?” domandò Howl senza rispondere.
“Talitha si sta occupando di Even. La sua balia ci ha lasciati da poco e con tutto il trambusto dovuto a Hilde non ho avuto modo di assumerne un’altra. Inoltre quella donna ha bisogno di tenersi occupata, è distrutta dalla perdita.”
“Sophie non sa parlare” sussurrò il bambino all’orecchio dello zio, non abbastanza piano da non farsi sentire. “Però è carina.”
Howl sorrise.
“Per questa sera ti lascio” disse alzandosi in piedi. “Tornerò sicuramente. Mi farebbe molto piacere scrutare ancora le stelle assieme a te.”
“Sarà mio compito invitarti al più presto, allora.”
Mentre scendeva le scale, Howl udì Espen ridere assieme al bambino. Per un solo momento il suo pensiero andrò ad Alja, che ricordava come una bellissima bambina Kamepohl alla soglia della pubertà; si chiese che fine avesse fatto.

Quando rientrò, Calcifer dormicchiava tra la braci ma aprì un occhietto non appena sentì il rumore.
“Hai chiesto a Espen aiuto sull’incantesimo di Sophie?” chiese.
Howl si lasciò cadere su una poltrona di fronte alle fiamme.
“Per il momento non ho intenzione di farlo. Tantomeno parlare del Castello.”
Calcifer allungò la bocca in una smorfia di disapprovazione: “Ritieni di poter risolvere il problema da solo?”
“Senza dubbio. È colpa mia se Sophie è tornata bambina, chissà quale intruglio le si è rovesciato sulla testa” rispose convinto lanciando un’occhiata al letto dove lei dormiva. “Inoltre, la faccenda del Castello non mi torna. Gunnar non crede alla presenza di spiriti maligni in Angelia, ma sia io che te li abbiamo visti, ci hanno attaccati per ben due volte. Credo sia collegato al malfunzionamento del Castello, perché si è fermato non appena abbiamo varcato il confine.”
Il demone emise due sbuffi di fumo grigiastro, pensieroso. “Vorremmo essere più utili, noi qui” disse infine.
“Avrò bisogno di te molto presto. Quando avrò raccolto abbastanza elementi, tenterò un incantesimo di divinazione per ritrovare Hilde. Poi potremmo andar via, e grazie al compenso, saprò sistemare ogni cosa. Per il momento, ho solo bisogno di te per sorvegliare Sophie.”
Calcifer annuì grave: “Non la lasceremmo mai sola, lo sai bene.”

Il suo sonno si fece leggero e tornò a galleggiare sulla superficie della coscienza, in un dormiveglia in cui gli occhi non volevano aprirsi ma i sensi erano acuiti.
Era caldo, sotto le coperte, un tepore che si irradiava dal suo fianco sinistro arrostendolo come fosse un fuoco magico. Cercò di muovere le dita della mano destra e gli parve di riuscirci appena, erano fredde e intorpidite.
Un tocco leggero alla spalla sinistra lo sorprese. Fece cadere la testa verso quel lato, i capelli gli carezzarono la guancia destra; si forzò a schiudere gli occhi.
Di fronte a lui, il viso di Sophie, i suoi occhi marroni aperti, la linea delle sopracciglia forti tese, quasi aggrottate al centro della fronte. Una nuvola di capelli color delle stelle tutt’attorno al volto di ragazza.
“Sophie!” esclamò. La voce gli uscì in un rantolo assonnato.
“Sshh, Howl, non parlare” disse lei portandosi un dito alle labbra. Sorrise. “Dormivi così pacificamente che non ho voluto svegliarti.”
Lui deglutì. Quanto gli era mancata!
“Come hai fatto…” cominciò, ma lei lo zittì posandogli quello stesso dito sulla bocca. Un brivido attraversò il corpo di Howl.
“Avevo solo voglia di te” disse.
Howl si umettò le labbra, poi chiuse gli occhi e la sentì avvicinarsi. Quel contatto, che un tempo non conosceva affatto e poi aveva dato per scontato per lunghi mesi, ebbe il potere di sconvolgerlo. Le afferrò il volto con entrambe le mani e tornò a baciarla con forza aprendole le labbra con la propria lingua. Quella di lei non aspettava altro e, mentre s’incontravano, Howl la tirò a sé.
Sophie, docile, seguì la natura del movimento e si sdraiò con il busto su di lui, le mani aperte sul torace.
“Oh, Sophie…!” esclamò. Il calore, che proveniva da lei, si spandeva ora su tutto il corpo. La baciò ancora a occhi aperti, lentamente e alzandosi verso di lei, per non perdere neanche un momento di quella vista. Con un sorriso, Sophie alzò il bacino e aprì le gambe per sistemarsi su di lui; era vestita di una camicia da notte chiara che si era arrotolata attorno alle ginocchia, scoprendole di poco le cosce. La coperta scivolò ai loro piedi.
Howl la accarezzò lungo le spalle, le braccia e, quando lei le alzò per toccargli i capelli, continuò lungo i fianchi. Arrivato al bacino, strinse tra le dita la stoffa e la carne insieme, indugiando con lo sguardo sul ventre.
Il desiderio lo accese.
“Come mi sei mancata…” rantolò. Come aveva potuto anche solo pensare di poter attendere a farla tornare una fanciulla? Ogni sua azione fino a quel momento gli parve folle e priva di ogni logica: essere lì, nel castello di Freedam, a indagare sulla sparizione di una qualsiasi principessa dei ghiacci, invece di cercare a ogni costo una soluzione per Sophie, per riaverla indietro assieme alla sua pacifica vita nel Castello Errante.
Scese con le mani alle ginocchia, le infilò sotto la stoffa e risalì lentamente lungo la pelle delle cosce; Sophie chiuse gli occhi e fremette per il piacere.
Scattò a sedere e la strinse a sé, prese a baciarle il collo morbido con frenesia. Un bacio, due, scendere verso la clavicola, mordere piano la sporgenza dell’osso e prendere la strada verso la pelle delicata del seno, scostando con la punta del naso il bordo della camicia. Lei gli abbracciò la testa e ansimò contro il suo orecchio, strofinò il bacino contro di lui mentre lui le bagnava un capezzolo indurito.
Howl le strinse la carne dei fianchi fino a che non la sentì gemere.
“Scusami…” mormorò. “È da così tanto che…”
Lei gli si attaccò nuovamente alle labbra, bollente.
Avrebbe voluto mangiarsela e nel frattempo farla impazzire di piacere, per perdere la testa con lei. Gli era mancata, oh sì, la sua acutezza nel riflettere, la sua semplicità nel fare le cose di ogni giorno, la gioia con cui gli correva incontro ogni mattina con una novità o un pettegolezzo rubato nelle strade di Dengulls, la felicità con cui gli mostrava un altri fiore cresciuto nel giardino o leggeva una lettera di Markl dall’Accademia.
Ma, oltre ogni altra cosa, gli mancava il modo dei loro corpi di convivere in uno stesso spazio influenzandosi a vicenda, come legati da fili invisibili; non vi era volta in cui lei non si muovesse senza che lui lo avvertisse, che lui facesse un passo senza che Sophie, istintivamente, si accomodasse nello spazio modificato in relazione alla sua presenza diversa. E tutto ciò si acuiva la sera, lassù nell’ultima stanza del Castello Errante, dove giocavano a scoprire quante sensazioni un bacio può dare in diversi parti del corpo, quando riuscivano a dimenticare dove finisse la pelle di uno per cominciare quella dell’altra, in una giostra di vita.
Come in quel momento in cui, con le dita tra i capelli, scopriva che riusciva a farle scorrere brividi lungo la spina dorsale solo accarezzandole il cuoio capelluto e a confonderla con la lingua a picchiettare la pelle del collo. Sophie, in estasi, gli stringeva le spalle.
“Oh, Howl…!” la sentì mormorare. Lei chinò la testa per baciargli una guancia, ma fu troppo brusca e i denti sbatterono contro lo zigomo di lui.
Howl ridacchiò.
Una risata sottile, da voce infantile, gli fece eco. Howl sbatté gli occhi.
Aprì le palpebre, pesanti come macigni. Era disteso a letto, le coperte tutte accatastate solo sul lato sinistro. Girò la testa e fissò la bambina seduta su uno sgabello basso di fronte al fuoco. Era in camicia da notte e teneva il volto tra le mani.
“Mi racconti un’altra storia? Bella come questa” la sentì dire.
Calcifer spalancò la bocca: “Ti abbiamo mai raccontato di quella volta in cui una fanciulla di nome Sophie è venuta dal futuro a salutarci?”
“Sophie come me?”
“Esattamente!” confermò il demone accompagnando ogni sillaba con una smorfia e uno sbuffo di lapilli colorati. Sophie rise ancora.
Howl fissò il soffitto e sospirò.




***
Questo capitolo è stato davvero difficile da scrivere. Ho scritto, cancellato e riscritto praticamente tutte le scene, spostandone alcune a momenti successivi, tagliandole altre. Però di buono c’è che tutto questo lavorare alla storia mi ha fatto tornare l’ispirazione di gran carriera, quindi il prossimo non tarderà.
Il rating è salito ad Arancione per via del sogno di Howl, e credo che rimarrà questo per tutta la storia. Avendo scelto di far tornare Sophie bambina, non c’era altro modo per infilarci una scena del genere. Ma non fatevi distrarre da due coniglietti in calore: il capitolo è disseminato di piccoli indizi per capire cosa sia successo a Hilde e a Sophie. Dal prossimo entreremo nel vivo dell’azione e delle investigazioni! Secondo voi cosa è successo alle due fanciulle, una sparita e l’altra retrocessa a bimbetta?
Fatemi avere i vostri pareri tramite commento, messaggio privato, su FB o su LJ o anche con un corvo o un gufo viaggiatore :)
See ya soon, e grazie di tutto il pesce!
<-- citazione :P

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


FROZEN FLOWERS

VII

In cui Calcifer prende in mano la situazione.




“Sophie non ricorda nulla della vostra vita passata” esordì Calcifer la mattina seguente.
“Lo so, vi ho sentiti stanotte. Eppure, non ne sono convinto: i suoi sentimenti non sono cambiati, sa chi sono io e chi sei tu. Ricorda perfino il Castello, ma le mancano i fatti.”
“Credi che questo faccia qualche differenza rispetto alla sua maledizione?”
Howl volte lo sguardo verso di lei: giocava a terra con i cubi di legno.
“Sophie!” la chiamò. Lei alzò gli occhi. “Dov’è Markl?”
“A scuola” rispose rapida. Howl e Calcifer si lanciarono un’occhiata. “Sophie, per caso hai memoria di cosa è accaduto quando eri l’ultima volta nel laboratorio del Castello?”
“Quando è caduto tutto in terra?”
Fece una smorfia, corrugò le sopracciglia e sporse il labbro inferiore.
“Sta per mettersi a piangere” disse Calcifer.
“E io cosa dovrei fare?” esclamò esasperato Howl. Le si accovacciò accanto e tirò fuori il suo tono più gentile: “Sophie, suvvia, non piangere. Fra poco verrà Talitha e potrai passare un’altra bella giornata con lei.”
“Ma io non voglio!” ululò lei. Diede una manata ai cubie li fece rovesciare. “Voglio stare con Howl!”
Si alzò in piedi, barcollò per un paio di passi e lo raggiunse. Gli strinse un ginocchio con entrambe le braccia. “Posso stare con te?”
Howl spalancò le braccia e lei ci si tuffò. Le lacrime le scendevano silenziose lungo le guance.
“Oggi terrò Sophie con me” decise alzandosi. “C’è qualcosa che non va in lei: è triste.”
“Anche quando fu trasformata in una vecchia dalla Strega delle Lande ebbe una crisi di pianto, ricordi? Quando i tuoi capelli diventarono arancioni.”
“Non rammento.”
“Per forza, eri impegnato a commiserarti e a piangerti addosso per la fine della tua bellezza. Sophie non aveva mai preso in considerazione veramente il terribile maleficio subito, e se ne rese conto tutto insieme. Solo Markl riuscì a convincerla a tornare dentro per aiutarti.”
Calcifer si alzò dal caminetto e svolazzò davanti a loro: “Sophie, non piangere. Ricordi la bellissima fanciulla con i capelli argentati che ci ha salvato?”
Lei, con il viso nascosto a metà sul petto di Howl, annuì impercettibilmente.
“Ora noi salveremo lei, è una promessa.” Poi si rivolse al mago: “Lasciaci andare in giro. Possiamo passare di camino in camino senza farci notare troppo, cercheremo qualcosa che sia utile a Sophie. Deve tornare a essere quella che era il prima possibile.”
In quel momento bussarono alla porta; Howl diede l’avanti mentre Calcifer si mescolava alle fiamme del camino.
“Sono Talitha, signor mago.”
“Proprio voi” rispose lui.
“Mi cercavate?”
“Esatto. Vi informo che oggi non dovrete occuparvi di Sophie, la bambina resterà con me.”
“Dunque posso congedarmi?”
“Se non avete fretta” disse lui posando Sophie a terra, “in realtà avrei desiderio di parlare con voi.”
La vecchia rifletté un momento. “D’accordo” disse infine. “A patto che non mi facciate fare tardi: ho una lezione con Even a mezzogiorno.”
Howl sorrise piegando il capo su un lato; i suoi orecchini verdi mandarono uno scintillio che fece trasalire la balia. Calcifer scivolò silenzioso alle sue spalle e sparì oltre la porta.

“Hilde era una fanciulla testarda, oh sì!” iniziò Talitha. “Esattamente come suo padre. Il signore di Thule non sarà affatto contento quando saprà.”
“Credete che non concederà più la mano di sua figlia al re?”
Seduto in poltrona, Howl congiunse le mani in grembo. Gli risultava difficile concentrarsi sulla sparizione della principessa e la sua mente volava al Castello, lasciato incustodito su uno sperone di roccia, e a Sophie che disegnava tranquilla tra loro.
“A dirla tutta, era Hilde a non volersi sposare affatto” disse la balia. La sorpresa catturò l’attenzione di Howl.
“Credevo fosse stato preso un accordo.”
“Precisamente, ma come saprete, questi non sono patti d’amore. Sono sicura che anche nel regno di Ingary funzioni alla stessa maniera: la gente semplice e povera può scegliere chi amare, ma la figlia di un signore è troppo importante per lasciarle questa libertà.”
“Hilde era dunque infelice?”
Talitha soppesò con cura le sue parole: “Nessuna fanciulla può essere infelice se sta per diventare la regina di un reame tanto bello come Angelia, non credete, signor mago?”
“Conosco diverse che rinuncerebbero a tanto onore, pur di seguire il loro cuore” rispose lui; lo sguardo gli corse a Sophie.
“Il cuore di Hilde non era affatto impegnato. E inoltre lei riconosceva l’onore nonché l’opportunità di fare del bene al suo popolo, con questo matrimonio.”
“Poco fa avete detto che non era suo desiderio sposarsi.”
“Esatto, ma Hilde è una fanciulla responsabile. Non ha mai espresso il suo disaccordo né ha dato segno di volersi tirare indietro. Ma a me non poteva certo sfuggire la verità, io l’ho cresciuta come fosse figlia mia.”
Le si inumidirono gli occhi.
“Avete qualcosa di Hilde che io possa utilizzare per il mio incantesimo di divinazione?”
“Tutti i suoi abiti e i suoi oggetti sono nella stanza che occupava. Di cosa avete bisogno?”
“Qualcosa che amava, al quale era molto attaccata, che possa parlare di lei. Un oggetto per entrare in comunicazione con la sua anima, ovunque essa si trovi.”
Talitha sussultò a quelle parole. “La magia mi intimorisce” sussurrò per scusarsi. Strinse le mani in grembo mentre rifletteva.
“Guarda, Howl!” esclamò Sophie. Si alzò per tendergli un foglio scarabocchiato: una figura umana e una fiammella rossa da un lato, dall’altro un’altra figura più grande vestita d’azzurro con accanto uno strano essere a quattro zampe, due lunghe orecchie e una enorme lingua rosa; sullo sfondo c’era una casina con un grande cerchio accanto. Tutt’attorno, stelle gialle con la coda.
Mentre Howl spalancava gli occhi per la sorpresa e li fissava su Sophie, Talitha esclamò: “Ma certo, il quaderno dei disegni!”
Il mago si riscosse e la guardò interrogativo: “Hilde ama dipingere e tiene un quaderno con degli schizzi. È sicuramente quanto di più simile a un diario segreto ella possieda.”
“Sarà perfetto” annuì Howl.
“Volete seguirmi? Possiamo continuare a parlare mentre andiamo verso la sua stanza.”
Impiegarono un po’ di tempo a preparare Sophie, perché Howl, nonostante avesse dichiarato di voler occuparsi di lei per tutta la giornata, non si era ancora preoccupato di vestirla e lavarla. Talitha non fece un solo commento, limitandosi a vestire la bambina con gesti esperti, ma il suo volto esprimeva tutta la curiosità e un po’ di disappunto per come Howl gestiva la faccenda. Lui, dal canto suo, era già abbastanza scocciato e nervoso per quella situazione che gli aveva tolto la sua Sophie per restituirgliene una fonte solo di problemi, e non si diede pena di fornire alcuna spiegazione. Per un po’ camminarono in silenzio e, tra i corridoi del Castello labirintico, che sembrava sempre deserto, risuonarono solo i loro passi ritmici e quelli saltellanti di Sophie.
“Voi non siete suo padre” disse lei dopo un po’.
Non si affrettò a negare.
“Tuttavia la bambina vi guarda come se fosse l’unica persona di cui si fida veramente. Quando voi siete nella stanza, i suoi occhi brillano.”
“Non avete forse detto di aver paura della magia?” la interruppe lui, e il suo volto assunse un’espressione cupa tale da far desistere la povera balia dall’indagare ulteriormente.
“A questo proposito” disse lui dopo qualche altro passo, perché gli dispiaceva essere brusco con lei, “dov’è la madre del fanciullo Even? Non l’ho ancora incontrata, da quando sono arrivato.”
La balia sospirò: “Mi trovo in questo luogo da poco tempo e non sono a conoscenza di tutte le storie. Tuttavia, quando il bambino mi è stato affidato, il mago di corte Espen mi ha spiegato che non ha padre né madre.”
“Espen ne è lo zio.”
“Precisamente. Credo che la sorella del mago sia deceduta quando il bambino era molto piccolo, e così anche suo padre. Even è un bambino capriccioso e molto solo, necessita di una guida forte. Si vede che è cresciuto senza.”
“Espen non è in grado di occuparsene?”
“Credo che voi maghi non abbiate molto senso del dovere come genitori. Espen ama il fanciullo e questi stravede per lo zio, ma non è certo sufficiente.”
Talitha fece una smorfia talmente eloquente che Howl si guardò bene dal chiedere ancora.

La stanza di Hilde era rimasta come era stata trovata: il letto era sfatto, come se qualcuno vi avesse dormito, ma le coperte erano state tirate alla bell’e meglio per tentare di ricomporlo. La toletta era in ordine e i vestiti tutti accuratamente ripiegati nei bauli.
“Nessuno di voi ha mai pensato che Hilde sia fuggita di sua spontanea volontà?” chiese Howl guardandosi attorno. Talitha rovistava in un baule sotto la finestra.
“Dove sarebbe potuta andare, oltretutto passando inosservata?” ribatté lei.
“Del resto, avrebbe preso con sé qualcosa” rifletté Howl ad alta voce. “E se fosse stata rapita, avremmo dovuto trovare qualcosa sottosopra. Invece, è tutto perfettamente in ordine: sembra proprio che si sia semplicemente scomparsa mentre dormiva.”
Talitha si avvicinò a lui e gli porse il quaderno.
“Sono molto affezionata a quest’oggetto” disse a bassa voce.
“Ne avrò cura, non temete” asserì lui.
In quel momento uno scalpiccio di passi nel corridoio segnalò l’avvicinarsi di qualcuno molto frenetico.
“Talitha!” esclamò il giovane Even comparendo nel vano della porta. “Oggi andiamo a cavalcare insieme! L’avevi promesso!”
Il bambino frenò la sua corsa quando si accorse di Howl.
“Sempre tra i piedi” mormorò.
“Even!” sclamò scandalizzata Talitha. “Saluta immediatamente il signor mago come si deve. Fra poco sarò libera di raggiungerti.”
Il ragazzino fece un mezzo inchino. Poi si avvide di Sophie, che intimidita se ne stava tra le gambe di Howl.
“Puoi venire anche tu! Anzi, devi venire, ti piacerà, vedrai!” esclamò.
“Potreste aggiungervi” disse la balia. “Avete mai cavalcato una renna sulla neve? È un’esperienza magnifica.”
“Sono costretto a declinare” disse prontamente Howl. “Oggi avrò molto da fare. Sarà per un’altra volta. Vi ringrazio per il vostro aiuto prezioso.”
Con Sophie per mano e il quaderno dei disegni sotto braccio, si avviò.
“Che antipatico” sentì commentare da Even.

Può essere piuttosto facile per una fiammella passare inosservata: c’è sempre una torcia o un camino nel quale mescolarsi per non farsi scoprire. Calcifer saltellò di fuoco in fuoco e volò rasente i muri indisturbato. Non sapeva bene cosa stesse cercando, perché non aveva idea di cosa fosse successo al Castello e a Sophie, ma sperava di incappare in qualcosa d’illuminante.
Era stato anni prima assieme a Howl nel laboratorio di Espen in cima alla torre e si ritrovò lì per caso dopo qualche peregrinazione. Mentre una serva, di spalle, si occupava di spolverare un grande tavolo, si tuffò tra i ceppi del camino e lì rimase a guardarsi attorno circospetto.
Quando la sua vita era legata a quella di Howl e lui ne custodiva il cuore, Calcifer non amava interagire con altri esseri umani. La conoscenza dell’abisso di negatività dello spirito di Howl gli era bastato. Espen, inoltre, allora era veramente un ragazzino inesperto, un’anima candida ben diversa da Howl, e Calcifer non vi aveva trovato nulla d’interessante. Ma forse, pensò, la sua conoscenza sarebbe stata utile ai loro scopi.
Nell’aspetto, la grande stanza circolare non era cambiata: era ordinata e il telescopio puntava verso l’alto. La servetta ebbe ben poco lavoro e lasciò quasi subito il laboratorio.
“Da dove cominciamo?” si disse Calcifer. Svolazzò qui e lì senza meta, indeciso. I libri erano tutti impilati nelle scaffalature, le pergamene arrotolate, i barattoli allineati al loro posto con etichetta leggibile.
Il Castello si era fermato non appena si erano addentrati nelle montagne di Angelia e la brusca caduta aveva causato il rompersi di numerose pozioni proprio addosso a Sophie. Com’era possibile che, fra tutto quello che sarebbe potuto succedere, era accaduto che lei si era ritrovata bambina? A sua memoria, Calcifer non ricordava incantesimi per ringiovanire; invecchiare sì, forse, e ne era prova la maledizione che la Strega delle Lande aveva scagliato solo qualche mese prima, ma ringiovanire? Un incantesimo del genere avrebbe fatto la fortuna del suo inventore. Che Howl avesse lavorato a qualcosa del genere, in segreto, vittima come in passato della sua vanità?
No, ne avrebbero parlato, Calcifer l’avrebbe saputo.
E perché mai Sophie sembrava a momenti più piccola, e in altri invece completamente consapevole, come se fosse solo imprigionata nel corpo di una bambina?
Frustrato, continuò a svolazzare qui e lì, fissando lo sguardo ora sul dorso di un tomo voluminoso, ora concentrandosi sulle foglie contenute in un mortaio. Espen era mago di corte e si occupava un po’ di tutto, soprattutto di incantesimi e pozioni di guarigione: un infuso di foglie contro il mal di gola decantava su di un tavolino basso.
Sopra di questo vi era uno specchio. Sulle prime non vi fece caso, ma poi, quando se ne stava allontanando, i suoi occhietti rotearono e si ridussero a una fessura: nello specchio non vi era alcun riflesso di fiamma, restituiva solo l’immagine della stanza vuota e in primo piano il bicchiere con la tisana.
Calcifer fu subito in allerta. Guardingo allungò una fiammella in direzione del vetro e la sensazione di attrazione che provò lo fece balzare all’indietro, gli occhi sbarrati e un intenso fumo nero ad avvolgerlo.
“Dobbiamo correre da Howl!” si disse, e si precipitò giù per le scale.

Howl era tornato di gran corsa nelle sue stanze: non aveva messo in conto quanto i bisogni fisiologici di una bambina così piccola potessero essere impellenti.
“Hai finito?” domandò per la centesima volta alla porta del gabinetto.
“Quasi” rispose Sophie cantilenando. Lui ebbe la netta sensazione che lo stesse prendendo in giro; si portò due dita alla tempia e cominciò a massaggiare. Le porte si spalancarono e Calcifer volò dentro affannato.
“Abbiamo visto una cosa!” esplose sputacchiando lapilli ovunque. “Nel laboratorio di Espen!”
Howl alzò le sopracciglia interrogativo. Calcifer si tuffò tra i ceppi del caminetto e subito riprese volume. “Abbiamo corso fin qui per dirtelo!”
“Lo vedo. Cosa è accaduto? E cosa facevi lì?”
“Ci siamo capitati per caso, stavamo girovagando qui e lì… abbiamo pensato che a un problema magico serva una risposta magica. Quel laboratorio è davvero ordinato, comunque.”
Howl si chinò sul caminetto e i capelli biondi vennero avanti a coprirgli il viso: “Non divagare, cosa hai visto?”
“Vi è uno specchio per demoni, lassù.”
Il mago spalancò gli occhi.
“Diciamo davvero” si affrettò Calcifer. “Il nostro riflesso non c’era, perché noi siamo di qua.”
“Sicuro di averi visto bene?” sussurrò Howl.
“Sicurissimo” disse il demone allargando la bocca. Prese un ceppo e ce lo infilò tutt’intero; cominciò a masticare vistosamente con rumore di scricchiolii. “E non era neanche nascosto…” precisò; schegge di legno volarono sulle pietre del camino. “Come hai fatto… cruch… a non vederlo, tu? Crunch crunch…”
“Forse perché io mi ci sono riflesso” rispose Howl. Anni fa, quando il suo cuore era ancora separato dal corpo e Calcifer lo custodiva, aveva cercato di riflettersi in uno di quegli specchi e ciò che aveva visto lo aveva terrorizzato; era stato allora che aveva cominciato ad accumulare talismani e ninnoli per difendersi, senza voler ammettere di aver semplicemente paura di se stesso.
“Possono esservi molti motivi per cui Espen conserva un specchio del genere” cominciò a riflettere ad alta voce. “Primo fra tutti, è il mago di corte. Sono sicuro che Suliman ne ha ben più d’uno.”
“Sicuro” disse Calcifer. “Altrimenti come avrebbe potuto, durante la guerra, manovrare tutti quei mostri di cui si circondava?”
Howl incrociò le braccia. “Suppongo che sia meglio che lo tenga lui, al sicuro nel palazzo reale, piuttosto che finisca in mano di qualcuno che possa utilizzarlo per i suoi scopi.”
Calcifer deglutì; attraverso le sue fiamme, il ciocco divenne cenere e cadde sulla superficie del caminetto. “Ma in quella stanza si entra facilmente. Noi non abbiamo fatto alcuno sforzo, e vi era persino una serva. Sembrerebbe quasi che chiunque possa accedervi e farne ciò che vuole.”
“Ho finito!” trillò Sophie riapparendo. “Calcifer, sei tornato!” aggiunse poi con un sorriso; corse fino a loro e sorrise beata.
“Tuttavia non è che chiunque possa richiamare un demone da uno specchio del genere: serve una magia piuttosto complessa” continuò Howl, una mano sul mento.
“Ma la magia si studia” disse Sophie.
Due paia di occhi spalancati si posarono su di lei. Era la prima osservazione sensata che faceva da quando era tornata una bimba. “Markl diceva sempre che lui avrebbe studiato tantissimo per diventare bravo come te” aggiunse. Si sedette in terra, esausta per tanto sforzo, e si infilò un dito nel naso. Howl distolse lo sguardo con una smorfia.
“Chiederò a Espen se crede che qualcun altro abbia usato il suo specchio di recente. Forse le apparizioni di demoni cui abbiamo assistito sono collegate alla sparizione di Hilde.”
“Siamo spiacenti di non aver trovato nulla per lei” disse Calcifer triste con un’occhiata a Sophie.
“Non importa” rispose Howl, “prima risolviamo questo caso, prima potremo tornare al Castello, pieni di soldi, e trovare una soluzione anche a tutti i nostri guai.”
“È permesso?”
Si voltarono tutti e tre verso la porta: Gunnar era in piedi, le mani nascoste nelle ampie maniche di pelliccia.
Howl lo fissò senza dire una parola.
“Sua Maestà vorrebbe parlarvi.”
Si fece di lato e nell’arco della porta comparve Baldur. Howl abbassò la testa in segno di rispetto.
“Mi dispiace interrompere il vostro lavoro” disse il re. “Ho sentito il bisogno urgente di vedervi. L’ansia per il ritrovamento di Hilde non mi lascia un momento. Vi sono novità?”
“Non ne ho avuto tempo” disse Howl. “Questa mattina ho intrattenuto un lungo colloquio con Talitha, la sua balia. È stato molto utile, molto presto sarò in grado di provare il mio incantesimo di divinazione.”
“Non vi è modo di affrettare il tutto?” domandò Baldur evidentemente preoccupato; il viso era paonazzo e spostava lo sguardo convulsivamente da una parte all’altra.
“Credetemi, sono il primo a volerla ritrovare il più presto possibile” disse Howl. Li guardò sospettoso.
“La notizia è trapelata” disse Gunnar. Il re sussultò e cominciò a tormentarsi le mani. “Qualcuno deve essersi venduto. Per il momento non è confermata e ci vorrà del tempo prima che arrivi a Thule a suo padre, ma dovete far presto.”
“Capisco. Farò tutto quanto è in mio potere” disse ancora Howl. Dentro di sé stava maledicendo quella principessa sparita, il re terrorizzato come un bambino che ha compiuto una marachella e quel losco primo ministro.
“Io non saprei cosa fare!” proruppe Baldur prendendosi la testa tra le mani. “Questo matrimonio era stato organizzato per rinforzare la pace, e ora ci troviamo alle soglie di una guerra civile!”
Gunnar si irrigidì: “Sua Maestà, non è il caso…”
“Ed io non ho neanche mai desiderato sposarmi…!” continuò il giovane. Era sull’orlo di una crisi di pianto, tanto che Sophie si sentì in diritto di alzarsi e andare a carezzargli una gamba. Lui la fissò stupito, come se la vedesse per la prima volta.
Si schiarì la voce. “Scusate lo sfogo” disse. Si passò una mano sul volto e riapparve con lo sguardo duro, alcun tremore residuo nella voce: “Vorrei un rapporto giornaliero su come procedono le vostre ricerche. Governare questo paese non è compito vostro, non avremmo dovuto neanche rendervi partecipe delle novità.”
Si aggiustò la veste, scosse la testa e si voltò. Gunnar fece per seguirlo, ma Howl gli posò una mano sul braccio: “Vorrei parlarvi. Ora.”

Howl si accomodò sulla poltrona che dava le spalle al caminetto. Sophie era davanti le fiamme, quieta. Gunnar, in piedi di fronte a lui, spostava lo sguardo ora sul viso del mago, ora su Calcifer nel caminetto. Era a disagio e lo dava a vedere chiudendosi in un silenzio ostinato.
“Non amate la magia?” chiese Howl con un sorrisetto.
“Non particolarmente.”
“Forse, la temete?”
“Come non temere un essere del genere, non umano, capace di azioni terribili?”
Howl fece un cenno con la testa in approvazione. Dal canto suo, Calcifer si allargò per sembrare il più grande possibile; Sophie ridacchiò tra sé e sé e gonfiò le guance a sua volta.
“Ad ogni modo il mio è un demone del focolare e non ha alcun interesse nel danneggiare gli esseri umani. Non dovete preoccuparvi di lui.”
“Era necessario condurlo a Freedam?”
“Voi viaggiate mai senza la vostra famiglia?” chiese Howl con disappunto.
“Certo, quando non è un viaggio di piacere.”
“Ebbene” rispose il mago alzandosi in piedi. “Io non lo faccio mai.”
Gunnar sussultò impercettibilmente. “Siamo qui per parlare delle nostre abitudini personali?”
“No di certo. Vorrei che mi parlaste di questo matrimonio. Baldur non ne era affatto convinto, mi pare.”
“Il re ne era convintissimo” ribatté Gunnar stizzito. “Di certo non è un matrimonio d’amore, ma per nessun re lo è mai. Il nostro sovrano sa cosa è bene per il suo popolo.”
“Siete dunque convinti che un matrimonio misto sia la soluzione a ogni contrasto?”
Il primo ministro esitò a rispondere. “Personalmente, non lo sono mai stato. È giunta l’ora in cui prenda una sposa e cominci a dare eredi, ma il re stesso ha pensato che una donna Kamepohl sarebbe stata la soluzione migliore.”
“Oh!” sbottò Howl. “Siete stati molto abili nel complicarvi la vita, con questo matrimonio che nessuno desiderava!” Si voltò a riflettere, dando le spalle a Gunnar.
“Non approvavate che si sposasse, o che sposasse proprio Hilde?” chiese poi. Il primo ministro aggrottò le sopracciglia: “Cosa state insinuando?”
Howl si girò a guardarlo: “Nulla: cerco di capire. Se io fossi stato in Hilde, sarei fuggita da questo palazzo o non vi sarei mai arrivata. Baldur stesso non desiderava sposarla e lo faceva per dovere; voi, il primo ministro, mi siete sembrato piuttosto contrario in generale alle unioni miste, e ora mi confermate che neanche questa vi andava a genio.”
“Io penso al bene del popolo!” esplose l’altro. “Come una guerra civile potrebbe giovargli? O credete che sia stato il re in persona a farla scomparire?”
“Questo lo escludo” sussurrò Howl stringendo gli occhi. “È tutto, potete andare” aggiunse.
Gunnar fremette per lo sdegno. “Vi avverto” disse quando fu sulla soglia, “se avrò il sentore che la vostra presenza qui non sia d’aiuto alla nostra causa, ma anzi che il vostro ruolo sia solo di seminare zizzania tra noi, non esiterò a far di tutto per spedirvi indietro nel vostro assolato paese.”
Se ne andò senza aggiungere una parola, e Howl rimase a fissare la porta chiusa, pensieroso, per qualche istante.
“Howl!” lo chiamò Sophie. Lui non rispose, perso nelle sue riflessioni: Gunnar si professava protettore del popolo, ma forse aveva interessi personali; di sicuro la sua avversione per i Kamepohl era evidente. Baldur era una marionetta tra le sue mani ma sapeva, a volte, prendere delle decisioni in autonomia per le quali, poi, era inamovibile.
“Howl!” lo chiamò ancora la bambina. “Calcifer ha fatto puff!”
E se invece Baldur avesse…
“Howl! HOWL!” insistette a chiamarlo. Lui spostò lo sguardo su di lei.
“Calcifer non c’è più” disse Sophie. “Era nel camino e stavamo parlando. Poi ha fatto puff, e ora non c’è più.”
Detto questo, gli occhi le si riempirono di goccioloni tondi che cominciarono a cadere giù come tante biglie.





***
Chiedo perdono! Avevo promesso questo capitolo per l’inizio del mese, e invece siamo al 30, giusto in tempo. Mi spiace tantissimo, avevo preso il via e la maggior parte era pronto molto tempo fa, ma poi sono accadute un po’ di cose: da una parte, queste scene finali sono state impegnative da scrivere, per far parlare tutti questi personaggi su questioni tanto importanti avevo bisogno che gli eventi futuri fossero ben chiari nella mia mente; dall’altra, ho scritto altro: una storia sempre su Howl/Sophie, Mad as a hatter, sulla quale mi farebbe piacere un vostro parere, e una lemon che però pubblicherò più avanti (benché si collochi, temporalmente, prima di FF).

Vi ringrazio per la pazienza, spero che questo capitolo vi piaccia e che mi lascerete un commentino. See ya, stavolta spero presto!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2238338