Seven days di rolly too (/viewuser.php?uid=29305)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo giorno ***
Capitolo 3: *** Secondo giorno ***
Capitolo 4: *** Terzo giorno ***
Capitolo 5: *** Quarto giorno ***
Capitolo 6: *** Quinto giorno ***
Capitolo 7: *** Sesto giorno ***
Capitolo 8: *** Ultimo giorno ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Sono tornata con una nuova fic! Protagonisti, questa
volta, i fratelli della Sabbia e il carissimo Shikamaru. I capitoli saranno un
po' più corti del mio solito, ma spero che vi piacerà lo stesso.
“Fammi capire.” borbottò Kankuro, osservando la sorella. “Vuoi che lui resti
qui?” La ragazza gli lanciò uno sguardo cattivo e annuì con vigore. “Ma
certo! Dove vuoi che vada, conciato così? Deve rimanere fino a che non si sarà
ripreso.” Il giovane scosse più volte il capo. “Perché non possiamo
semplicemente portarlo in ospedale?” esclamò, esasperato. “Perché” ringhiò
Temari “è un ninja della Foglia. Konoha, lo capisci? Lo uccideranno.” “Sì, ma
a noi cosa importa? Siamo in guerra con Konoha...” “Ma abbiamo un debito con
loro. Naruto ha salvato Gaara. E ora, non voglio più sentirti discutere. Vai dal
Kazekage, ti vuole parlare.” concluse Temari, inginocchiata accanto ad un
ragazzo privo di sensi. Gli puliva le ferite con un panno umido, ogni tanto
glielo passava sul volto sudato. “Come vuoi” replicò Kankuro alzandosi e
dirigendosi verso la porta. Uscì, sbattendola alle sue spalle. Temari
sospirò. Gli avvenimenti degli ultimi mesi stavano rendendo tutti troppo
nervosi. Quando Gaara era diventato Kazekage, Suna aveva goduto di un periodo di
pace. Poi, però, il Consiglio aveva deciso che quel ruolo non era adatto ad un
ragazzino che, per l'altro, aveva passato anni ad uccidere senza alcun motivo.
Al suo posto era subentrato un uomo crudele e avido, che ben presto aveva
trascinato il villaggio sul lastrico, e aveva dichiarato guerra a Konoha. Gli
abitanti non avevano trovato il coraggio di ribellarsi al suo dominio, ma i tre
fratelli della Sabbia, di nascosto, aiutavano i ninja della Foglia ad entrare
clandestinamente nel Paese del Vento, e fornivano loro informazioni in cambio di
cibo e farmaci, che scarseggiavano sempre più. Tre settimane prima erano
riusciti a riportare Choji, che era stato ferito, nel Paese del Fuoco, e proprio
in quel momento Temari si stava occupando di Shikamaru, che era stato coinvolto
in un'esplosione che aveva devastato gran parte del Villaggio. Il ragazzo si
mosse lievemente quando Temari prese a chiudergli un taglio con dei punti di
sutura. “Shikamaru...” provò a chiamarlo, ma lui non rispose. La kunoichi
chiuse per un secondo gli occhi. Non era un ninja medico e al villaggio non ne
era rimasto neppure uno che non agisse per conto del Kazekage. Le ferite che il
giovane aveva riportato sembravano gravi, e lei non sapeva come comportarsi. I
ninja di Konoha non sarebbero tornati per tre settimane, e lei non poteva
chiedere aiuto a nessuno. Gaara era stato mandato in missione da qualche parte,
lontano. Kankuro invece si era lasciato trasportare troppo dalla situazione, era
stato messo sotto pressione dal Kazekage ed aveva reagito male, diventando
irascibile e scontroso.
Continuò a medicarlo per ore, fino a che non le sembrò che il suo volto
avesse ripreso colore. Si alzò, e si avviò verso la cucina. Kankuro sarebbe
arrivato, sperava, di lì a poco, dato che era già sera, e avrebbe voluto
qualcosa da mangiare. Aveva appena iniziato a cucinare che la porta s'aprì.
Andò nell'ingresso, e vide il fratello avanzare verso di lei, pallido e
barcollante. Gli corse incontro, e lo aiutò a raggiungere la
cucina. “Gaara...” mormorò Kankuro, facendole cenno di sedersi. “Cosa?
Cosa è successo a Gaara?” domandò la ragazza, preoccupata. “L'hanno arrestato
per sospetto di tradimento, e l'hanno condannato a morte. Senza processo. C'è un
mandato di cattura anche per te. Credo che abbiano scoperto che nascondi
Shikamaru. Io sono agli arresti domiciliari.” spiegò il fratello. Temari
impallidì. “Cosa facciamo?” sussurrò. “Cosa facciamo?” “Ho pensato a
tutto. Abbiamo una settimana per salvare Gaara, sarà impiccato tra sette
giorni... Tu e Shikamaru dovete andarvene stanotte. Ho parlato con Baki, vi
aiuterà a superare il deserto. C'è un posto dove sarete al sicuro... Starai lì.
Io invece andrò a Konoha. Parlerò con l'Hokage, le chiederò aiuto.” Temari
approvò il piano del fratello, nonostante vi trovasse ancora delle enormi falle.
Sicuramente sarebbero stati entrambi sorvegliati, come avrebbero fatto ad
allontanarsi dal Villaggio? Come sarebbero riusciti a portare Shikamaru, che era
ferito e privo di sensi, al di là del deserto? Come avrebbero salvato Gaara? Era
stata una volta soltanto nelle prigioni del Villaggio della Sabbia. Era
impossibile scappare. Il caldo soffocante, la mancanza di aria e di acqua
debilitavano i prigionieri, e c'erano centinaia di guardie ad ogni accesso.
Tuttavia, bisognava tentare. “Quando partiamo?” chiese la ragazza,
alzandosi. “Tra dieci minuti. Prendi solo l'essenziale.” ordinò Kankuro, e si
alzò a sua volta. Iniziarono a preparare silenziosamente i bagagli. Presero ben
poco; Kankuro si accontentò di un abito di riserva e delle sue marionette,
Temari invece prese un abito per sé e uno per Shikamaru, dei farmaci e del cibo.
Alla fine, afferrò il suo grande ventaglio. “Andiamo?” “No, bisogna
aspettare Baki. Come pensi di fare a trasportare Shikamaru,
altrimenti?” Rimasero entrambi in silenzio, seduti accanto al ragazzo di
Konoha, che giaceva a terra. Temari respirava a fondo per mantenere la
calma. Le pareva di vedere, fuori dalla finestra con le serrande sbarrate, la
squadra speciale di Suna che la veniva a prendere. Le sembrava di sentire la
voce di Gaara che implorava aiuto. Cosa stava facendo in quel momento suo
fratello? Era solo, forse al buio... Magari non l'avevano neppure fatto
mangiare, forse lo stavano torturando. Aveva letto da qualche parte, tanti anni
prima, che le prigioni del Villaggio della Sabbia erano famose per la severità
dei suoi carcerieri. E se Gaara avesse perso il controllo, se avesse distrutto
tutto con la sua potenza? Scosse la testa. Gaara amava il suo villaggio ed
ogni suo abitante, non avrebbe mai fatto male a nessuno. Guardò Kankuro. Il
ragazzo fissava un punto imprecisato davanti a sé, corrucciato. Cosa sarebbe
successo a lui? Era agli arresti domiciliari, e quindi era più al sicuro sia di
lei che di Gaara, ma se il Kazekage avesse cambiato idea? Se avesse saputo che
miravano a farsi aiutare da Konoha, che erano dei traditori, che avrebbe fatto?
Aveva assistito ad un processo fatto ad una famiglia di traditori
qualche mese prima. Tutto il popolo era presente. Una madre con due ragazzini,
il più grande dei quali non poteva avere più di una decina di anni. Erano stati
accusati perché avevano accettato del cibo dai ninja della Foglia che avevano
occupato una parte del Villaggio. Prima avevano ucciso i due ragazzini,
obbligando la madre a guardare. Poi l'avevano rinchiusa in carcere.
Avrebbero fatto lo stesso anche con loro, se li avessero scoperti? Avrebbero
ucciso Gaara e Kankuro davanti ai suoi occhi, per poi costringerla a vivere con
il ricordo della morte dei fratelli? Un rumore sordo la fece sussultare.
Qualcuno aveva bussato pianissimo alla porta sul retro. Kankuro corse ad aprire,
e si trovò davanti la figura altera di Baki. Senza dire una parola, lo fece
entrare. Si avvicinarono in silenzio a Shikamaru, e Baki gli diede un'occhiata
veloce. “Penso che possiamo arrivare al di là del deserto, se ci sbrighiamo,
in una notte. Dobbiamo cercare di evitare di esporlo al calore eccessivo, se
possiamo. Non gli farebbe per niente bene.” constatò. Non aspettò una
risposta da parte di uno dei due fratelli. Si inginocchiò e lo sollevò; le
braccia e la testa caddero all'indietro, come prive di vita. Si voltò verso la
porta. “Andiamo, Temari.” ordinò. La ragazza abbracciò frettolosamente il
fratello, poi seguì il suo maestro fuori dalla casa.
La strada era deserta. Temari si sarebbe aspettata un gran numero di guardie
a controllare lei e la sua famiglia. Incrociò lo sguardo di Baki solo per un
istante, e la sua espressione le fece capire quello che temeva. Erano
state eliminate. Una morsa le strinse lo stomaco, come accadeva sempre quando
uccideva qualcuno. Quante vite era costato il tentativo di salvare lei, i suoi
fratelli, e un ninja della Foglia? Baki si fermò improvvisamente,
interrompendo i suoi pensieri. Anche Temari aveva sentito. Qualcuno veniva dalla
loro parte. Si nascosero dietro al muro di una casa, in silenzio. La ragazza
pregò perché, chiunque fosse quella persona, non si accorgesse del respiro un
po' affannoso di Shikamaru e non venisse a controllare. Il cuore le batteva
furiosamente in petto, nonostante apparisse tranquilla. Si tranquillizzò un po'
quando le venne in mente che nessuno avrebbe potuto udire il rumore del suo
cuore, a meno che non le avesse poggiato l'orecchio sul petto, cosa che lei non
avrebbe certamente permesso. Sorrise lievemente a quel pensiero. Baki le fece
un cenno con il capo, indicandole che si poteva proseguire. Lo seguì.
Avvicinandosi alle porte del Villaggio notò un corpo insanguinato a terra. Era
evidente che il suo maestro aveva già provveduto a sgomberare la strada.
Arrivarono al deserto senza intoppi. Iniziarono a correre più velocemente
che potevano, senza parlare, senza guardarsi, preoccupandosi soltanto di non
lasciare tracce. Quando era ormai l'alba, Baki si fermò. Erano nel bel mezzo
del deserto di Suna, ed entro poche ore sarebbe sorto il sole. Si avvicinarono
ad un'oasi. Temari ricordava quel posto. Era lì che aveva scoperto ciò che era
Gaara. Era lì che aveva visto per la prima volta Shukaku. “Baki...” mormorò.
“Qui non possiamo nasconderci.” L'uomo scosse il capo. Posò a terra
Shikamaru, e si avvicinò ad un'alta palma. “Neppure io sapevo che esistesse.
Me ne ha parlato Gaara appena lo hanno catturato.” Temari annuì. Dopotutto, Baki
era diventato una delle guardie della prigione. “Lo ha costruito lui. E' un
rifugio sotterraneo, veniva qui da piccolo per non farsi trovare.” Si
inginocchiò accanto al fusto della pianta, e si mise a muovere la sabbia con le
mani, febbrilmente. Continuò la sua operazione fino a che non scoprì una piccola
botola di legno. Temari sgranò gli occhi, stupita. Suo fratello, quando era
ancora un bambino, si nascondeva sotto alla terra? Stava solo, sepolto dalla
sabbia? Quanto poteva essere sicuro quel rifugio, se Gaara non poteva
essere ferito? Quanto erano state curate le sue difese? Baki aprì la botola.
Infilò le mani nell'apertura, e cercò a tentoni una scala, una corda, qualcosa
con cui poter scendere. Alla fine, sorrise trionfante. Prese Shikamaru e iniziò
a scendere. Quando fu sotto, Temari lo raggiunse. Baki estrasse una candela
dalla tasca e l'accese. Aveva posato a terra Shikamaru, che si agitava nel
sonno. Si guardò intorno fino a quando non individuò un interruttore della luce.
Lo premette e una piccola lampadina illuminò l'ambiente. Gaara aveva avuto
così tanto tempo da passare solo da essere riuscito a portare
l'elettricità in mezzo al deserto? Temari osservò a lungo il luogo in cui si
trovava. Il rifugio era composto da un'unica stanza, con le pareti, il
soffitto e il pavimento rivestite di spesso legno chiaro. In un angolo erano
sistemati alcuni orsacchiotti di peluche; compagni di giochi e unici amici di un
Gaara bambino che si era costruito un mondo a parte, lontano dalla sua famiglia.
Nonostante la povertà dell'arredamento, che consisteva in un tavolino di legno
traballante e un vecchio fornello elettrico, il posto le dava uno strana
sensazione, a metà tra un profondo senso di solitudine e di accoglienza.
Spostò lo sguardo su un fu ton colorato piegato in un angolo. Gaara non
poteva dormire, e allora perché quello era lì? “Rimarrete qui.” disse Baki.
“Quando uscirò da qui, coprirò di nuovo la botola con la sabbia, in modo che
nessuno la veda. Tu togli la scala, in questo modo, se mai doveste essere
scoperti, il nemico partirà svantaggiato. Vi porterò cibo ogni notte, non uscite
da qui. Gaara mi ha assicurato che di giorno è fresco e che da quel rubinetto”
lo indicò con il dito “esce acqua potabile.” aggiunse. “Devo andare, adesso. Mi
aspettano alla prigione per il mio turno.” “Baki? Se vedi Gaara... digli che
andrà tutto bene. Lo tireremo fuori di lì.” L'uomo annuì. La ragazza si
morse un labbro, mentre osservava uscire. “Aspetta!” esclamò. Baki mise la
testa dentro. “Che vuoi ancora? E' tardi.” “Digli anche che gli voglio
bene.”
Temari si sedette accanto a Shikamaru. Gli sfiorò la fronte con una mano. Era
caldo, e il sudore gli imperlava la fronte. Non era sicura che fosse stata
l'esplosione a causargli quella febbre alta. Tuttavia, importava poco perché gli
fosse venuta, quello che era fondamentale era rimetterlo in sesto. Durante il
viaggio gli si era riaperta una ferita sul petto. Il sangue scuro gli macchiava
la maglietta. Temari sospirò, prese uno straccio pulito, ago e filo. Aprì il
rubinetto che le aveva indicato Baki, sperando che avesse detto la verità.
Inizialmente caddero solo poche gocce, poi, con immenso sollievo della ragazza,
il flusso dell'acqua si regolarizzò, e lei riuscì a bagnare completamente la
stoffa. Richiuse il rubinetto e si avvicinò a Shikamaru. Gli tolse la maglia,
strappandogli un gemito di dolore, e si chinò sulla ferita. I punti si erano
strappati. Levò quello che rimaneva del filo, pulì bene il taglio, ed iniziò a
cucirlo nuovamente. Ogni volta che l'ago passava attraverso la pelle del ragazzo
veniva colta da un senso di nausea, ma cercò di resistere. Da quando Gaara era
stato deposto, aveva dovuto imparare a fare anche quello. Quando ebbe
finito, aprì il futon e vi si sdraiò sopra. Pensò a Kankuro. Forse era già
partito per Konoha. E se l'avessero preso? Se se ne fossero accorti? L'avrebbero
ucciso, l'avrebbero torturato? L'avrebbero costretto a rivelare dove lei si
stava nascondendo? Un gemito di Shikamaru la distolse dai suoi pensieri. Si
alzò e lo raggiunse. “Ti sei svegliato...” mormorò, incrociando gli occhi
scuri del ragazzo, che si tirò a sedere. “Dove sono? Cosa è successo?”
domandò guardandosi intorno. “C'è stata un'esplosione al villaggio.” spiegò
Temari. “Questo me lo ricordo.” replicò il giovane. “Ma poi? Cosa è successo
poi?” “Ti ho trovato e ti ho portato via di lì. Ma ora hanno arrestato Gaara
e l'hanno condannato a morte,” la voce le si incrinò appena “Kankuro è agli
arresti domiciliari, ma è diretto a Konoha per cercare aiuto, io invece sono
ricercata, quindi siamo nascosti. Siamo sotto al deserto.” “Dov'è Choji? So
che quando è stato ferito l'hanno portato da voi...” “A Konoha. Siamo
riusciti a riportarlo indietro.” Il giovane sospirò, sollevato. “Quindi ora
io e te dobbiamo rimanere nascosti qui finché non ci saranno novità?”chiese dopo
un po'. Temari annuì. “Che seccatura...” “Senti un po', cry-baby, pensi
davvero che a me faccia piacere rimanere qui ad aspettare che i miei fratelli si
facciano impiccare?” esclamò la ragazza furibonda. “N-no...” farfugliò
Shikamaru, spiazzato dallo scatto d'ira della giovane. “E allora non iniziare
con i tuoi lamenti, la situazione è già abbastanza incasinata senza che ti ci
metti anche tu.” Gli ci vollero pochi secondi per capire ciò che stava
succedendo. La fissò; era rossa in volto per la collera, ma i suoi occhi avevano
una luce di disperazione che non era riuscita a nascondere. Credeva davvero che
i suoi fratelli non ce l'avrebbero fatta? A Shikamaru sembrava di sentire la
preoccupazione della kunoichi, gli sembrava di poterla toccare, di poterla
provare sulla sua stessa pelle, tanto era forte. Cosa voleva dire per lei essere
rinchiusa sotto al deserto, senza sapere ciò che stava succedendo fuori? Cosa
significava temere per la vita dei propri cari? Chiuse gli occhi. A lui
non era mai capitato di temere per la vita dei suoi famigliari. Suo padre era
spesso in missione, certo, ma per qualche strano motivo l'idea che morisse non
gli era mai sembrata particolarmente reale. Per Temari invece era diverso,
proprio in quell'istante, mentre lui, con gli occhi chiusi, ascoltava il suo
respiro accelerato, stava pregando perché sia Gaara che Kankuro si salvassero.
Se Ino fosse stata lì, certamente gli avrebbe consigliato di dire qualcosa che
potesse tranquillizzarla, un parola gentile per assicurarle che i due ragazzi
non correvano nessun rischio. Eppure, gli sembrava stupido farle notare che i
suoi fratelli erano i due ninja migliori di Suna proprio quando uno dei due era
in carcere e l'altro in fuga. Avere un quoziente intellettivo superiore a
duecento non gli serviva a nulla, in quel momento. Aprì gli occhi quel tanto
che bastava per notare che la ragazza si stava asciugando frettolosamente gli
occhi con la manica del kimono. Fece finta di non accorgersene, si alzò
lentamente e le si avvicinò. “L'Hokage aiuterà Kankuro, e si sistemerà
tutto.” le assicurò posandole una mano sulla spalla. Lei lo fissò qualche
istante, gelida. Dopo un po' lo sguardo le si addolcì, e gli occhi le si
riempirono di lacrime. Tuttavia non pianse, le ricacciò dentro, si fece forza ed
annuì. “Ma Gaara? Cosa può fare l'Hokage per Gaara?” A quella domanda
Shikamaru non seppe trovare risposta. Sapeva benissimo che le probabilità di
sopravvivenza del ragazzo erano bassissime. Per qualche strano motivo era certo
che la sabbia non sarebbe intervenuta, in caso di un'impiccagione. Dopo
l'estrazione di Shukaku, la sua difesa si era mostrata sempre più inefficiente.
Inoltre, gli shinobi di Konoha non avrebbero fatto in tempo a fare
nulla. Anche Temari sembrava averlo intuito. Shikamaru sapeva perfettamente
che non era una sciocca, probabilmente aveva già calcolato le probabilità che
aveva suo fratello di sopravvivere. Erano infinitesimali, a conti fatti. Un
violento capogiro costrinse il ragazzo a sedersi a terra. Lei gli si inginocchiò
accanto, preoccupata. Non disse nulla, gli portò una mano alla
fronte. “Scotti, cry-baby.” constatò. “Dovresti riposare.” Ma il giovane non
la stava ascoltando. Era talmente diversa dalla Temari che aveva conosciuto agli
esami di selezione dei chunnin, dalla ragazza che lo aveva salvato da Tayuya...
Non sorrideva più, aveva perso peso, era pallida e stanca. Eppure aveva
l'energia di sempre. Come ci riuscisse, per Shikamaru era un mistero. Forse
proprio la situazione critica le dava la forza di continuare, forse soltanto la
speranza che si sarebbe sistemato tutto le dava il coraggio di guardare
avanti. “Cry-baby? Mi stai ascoltando?” Shikamaru scosse il
capo. “Possiamo andarci noi a salvare Gaara.” propose, incerto. “Noi?”
ripeté Temari. “Ma tu non sei ancora in grado di combattere...” “Non ha
importanza” replicò il ragazzo. “Se agiremo con cautela non ci sarà bisogno di
combattere. Stammi a sentire un attimo, Mendekouze; io e te siamo perfettamente
in grado di tenerci lontano dai guai, se tu non ti fai prendere dalla
situazione.” “Io farmi prendere dalla situazione?!” ripeté alterata la
giovane. Shikamaru annuì, mostrandosi molto più serio e risoluto di quanto
Temari l’avrebbe mai potuto immaginare. “Senti un po’, Mendekouze, io non
voglio litigare con te; a quanto pare, ti devo la vita. Mi hai curato, quindi mi
devo sdebitare. Quello che sto cercando di dirti è che la situazione è molto
delicata, e quindi è abbastanza normale farsi prendere dalla situazione.” spiegò
pacatamente. Avrebbe voluto aggiungere che, però, essendo ninja, avrebbe dovuto
mostrarsi più fredda, ma non lo fece. Sapeva perfettamente che un simile
intervento gli sarebbe costato la vita. La ragazza lo fissò per un po’, con
l’aria di star meditando sulle sue parole. Alla fine sospirò, sorrise lievemente
e si sedette a gambe incrociate accanto a lui. “D’accordo, cry-baby.” lo
incitò. “Sentiamo un po’ il tuo piano.”
***
Kankuro si fermò qualche istante per riprendere fiato. Non era stata per
nulla una buona idea partire da solo. Sentiva attorno a sé il fruscio
sommesso delle foglie, e in ogni ombra gli sembrava di vedere la Squadra
Speciale di Suna che gli annunciava la morte dei suoi fratelli e la sua
imminente carcerazione. A ripensarci, neppure offrire aiuto ai ninja di
Konoha era stata una buona idea. Tutto era nato a causa loro, in fondo.
Sapeva perfettamente che, dopotutto, ciò che avevano fatto era giusto e che
in quel modo avevano salvato delle vite, ma non gli importava. Sentiva un
nodo alla gola. Il sorriso compiaciuto del Kazekage gli era impresso nella
mente, gli appariva davanti, mentre le sue parole gli rimbombavano nella
mente. “Tuo fratello Gaara è stato arrestato” Scosse il capo,
riprendendo a correre. Non gli sarebbe successo nulla. Si sarebbe salvato.
Certo, ma come? Lui stava andando a Konoha, e non era detto che il Villaggio
accettasse di aiutarlo. Sapeva che, se avesse chiesto a Naruto, si sarebbe
fiondato a Suna, ma quanto era prudente? “Sarà impiccato per tradimento
tra sette giorni.” Aveva bisogno di un aiuto più qualificato che un
ragazzino esuberante e impulsivo come il biondo. Doveva trovare qualcuno che
riuscisse a riportare la faccenda su un piano diplomatico, che riuscisse a
trattare la liberazione di Gaara. “Senza processo.” Ma alla fine,
a cosa sarebbe servito trattare? Avrebbe organizzato un colpo di Stato, se fosse
stato necessario. Avrebbe trovato ninja disposti ad aiutarlo, li avrebbe
istruiti, avrebbe ucciso il Kazekage e rovesciato il governo. E l’avrebbe
fatto in sette giorni.
Ecco qui, il primo capitolo di una storia che non sarà molto lunga
(ho previsto otto capitoli). Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi
sapere cosa ne pensate!
Baci,
rolly too! |
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Capitolo 2 *** Primo giorno ***
Ed ecco a voi il secondo capitolo, che racconta il primo
giorno di "convivenza" di Temari e Shikamaru. Comparirà anche Gaara, mentre
Kankuro sarà lasciato in disparte e tornerà nel prossimo... (Deve dividersi la
fine del capitolo con il fratello, quindi una volta l'uno e una volta l'altro)
Dopo aver detto questo, vi lascio alla lettura.
Shikamaru, seduto sui talloni, guardò Temari, che dormiva accanto a lui. Si
agitava nel sonno, mormorando parole senza senso. Non gli era mai capitato di
pensare a lei come ad una persona in grado di perdere il controllo, piangere e
disperarsi. Eppure, era proprio quello che era successo. La sera prima, quando
aveva finito di illustrarle il suo piano, che la ragazza aveva approvato
incondizionatamente, era corsa in bagno. Aveva aperto l’acqua, e dopo un po’ il
ragazzo aveva sentito chiaramente dei singhiozzi soffocati. Quando era
tornata, la kunoichi aveva gli occhi lucidi di pianto, ma lui aveva deciso di
ignorarlo. Improvvisamente la giovane si rizzò a sedere, e si portò
istintivamente una mano sul volto. Lui distolse lo sguardo. Non aveva mai visto
Temari perdere il controllo, si sentiva a disagio ad osservarla. Da uno
spiraglio sul soffitto, dove si trovava la botola, entrava un fascio di luce
chiara e della sabbia sottile. “E’ giorno, Mendekouze.” la informò quando lei
si voltò a guardarlo. “Lo so perfettamente.” replicò quella. “Ma avevi detto
che ci saremmo mossi di notte, se non sbaglio.” “Sì, ma stavo pensando che
sarebbe troppo rischioso.” La giovane aggrottò le sopracciglia. “E cosa vuoi
fare, allora?” “Andare al villaggio. Tu sei la sorella del Kazekage e ti
conoscono tutti, ma io non sono nessuno; sono sicuro che passerò inosservato.”
spiegò. “Loro si aspettano che ci muoviamo di notte, perché tutti lo
farebbero.” “E’ rischioso.” obiettò la ragazza, accigliata. “Anche
penetrare nelle prigioni del Villaggio per liberare Gaara lo è. Però, se non
sbaglio, è tra i tuoi progetti, Mendekouze. E’ una seccatura enorme, preferirei
rimanere a dormire, ma ho un debito con te.” si alzò e si avvicinò alla
botola. “Sei ferito.” gli ricordò Temari. “Cerca di non esagerare, e
soprattutto, cry-baby, non metterti nei guai. Nessuno ti verrà a salvare.” e
rimase ad osservarlo mentre, con una smorfia contrariata, apriva la botola e
usciva dal rifugio.
Shikamaru si guardò intorno. Era nel bel mezzo del deserto di Suna, come
Temari gli aveva spiegato, e, se ne rendeva conto solo in quel momento, non
aveva idea di dove fosse il Villaggio. Aguzzò la vista, cosa difficile sotto al
sole accecante di quel Paese, ma non gli sembrò di scorgere nulla di
particolarmente rilevante. Fu tentato di tornare nel rifugio e chiedere
indicazioni a Temari, ma sicuramente la ragazza lo avrebbe deriso e sbeffeggiato
per l’eternità, una volta che quel disastro fosse passato. D’altra parte,
nonostante fossero passati quasi due anni, lo chiamava ancora ‘cry-baby’, anche
se, in effetti, il suo tono era molto diverso da quello che utilizzava tempo
prima. Si incamminò verso sud, pregando che fosse la direzione giusta. Quando
si accorse che era in vista delle porte del Villaggio, rallentò il passo.
Procedeva lentamente, riflettendo. Non aveva mai avuto, in tutta la sua
vita, un’idea tanto azzardata come quella che l’aveva invaso la sera prima, e
che l’aveva convinto ad esporre un piano decisamente folle a Temari, che, dal
canto suo, ancora sconvolta per le sorti dei due fratelli e incapace di
mantenere il pieno controllo di sé, aveva accettato. Erano entrambi ninja
dotati di grande logica e astuzia, che non guastava, ma rimaneva il fatto che
erano due contro tutte le forze armate del Paese, che, a giudicare dal nuovo
regime, non si facevano scrupoli ad uccidere e torturare chiunque, in cambio di
una lauta ricompensa dai propri superiori. Come avrebbero fatto, inoltre, se
fossero riusciti ad entrare nelle prigioni, a portare fuori Gaara? Nella
migliore delle ipotesi l’avrebbero trovato sfinito, forse affamato o ferito, ed
era troppo ovvio il fatto che sarebbero stati seguiti e che li avrebbero
attaccati. Dubitava che Kankuro sarebbe riuscito ad aiutarli. Forse Konoha
poteva intervenire in campo diplomatico, ma cosa sarebbe successo all’Hokage se
le altre Potenze Ninja avessero scoperto che aveva dato ordine di assassinare il
Kazekage? A poco sarebbe servito spiegare che si trattava di un ribelle, che
sottometteva il popolo con il terrore e la violenza, che aveva sperperato il
denaro del Villaggio e che aveva deliberatamente corso il rischio di far
annientare tutto il Paese dichiarando guerra a quella che probabilmente era la
maggiore potenza militare. In molti Paesi era così. Arrivò alle porte del
Villaggio, e una guardia gli corse incontro. “Straniero! Che fai qui? Cosa
vuoi fare in questo Villaggio?” gli domandò. Shikamaru lo squadrò per un
istante. “Straniero?” esclamò, indignato. “Vivo qui da più tempo di te, e hai
il coraggio di chiamarmi straniero? Fammi passare, il Kazekage mi ha fatto
chiamare e verrà a ringraziare te se arriverò in ritardo.” A quelle parole, la
guardia impallidì, e si fece da parte. Il ragazzo di Konoha non osò immaginare
le punizioni che erano riservate a quegli uomini. S’incamminò nella parte
ovest del Villaggio. Si avvicinò all’edificio delle carceri. Era per metà
sotterraneo; la parte che si vedeva era rivestita interamente di metallo, che
sicuramente rendeva l’interno troppo caldo per essere sopportato. C’era un’unica
apertura, una minuscola finestrella al livello del terreno. La fissò per un
po’. Se si fosse avvicinato, le guardie che controllavano l’edificio l’avrebbero
fermato ed interrogato, e avrebbero scoperto che non era un abitante di Suna.
Tuttavia, se non avesse controllato... Forse quello era l’unico modo per
entrare. Forse quella era la chiave per la salvezza di Gaara. C’erano due
guardie. Come poteva fare ad allontanarle entrambe? Si inginocchiò a terra,
mormorando “che seccatura”, e congiunse le mani, come era solito fare, per
pensare meglio. Afferrò un kunai, e vi legò una carta bomba. Attento a non
farsi vedere, in quella zona sovraffollata del Villaggio, lo lanciò contro una
parete rocciosa. Dopo qualche istante, quella esplose. Le persona, per strada,
iniziarono a gridare. Le guardie si allontanarono correndo, gridando tra la
polvere, cercando chi avesse causato un disastro simile. Shikamaru non si
lasciò scappare l’occasione. Si inginocchiò accanto a quella apertura, e guardò
all’interno delle prigioni. Uomini, donne, bambini, tutti in un’unica stanza.
Erano sudati, sporchi, stremati; cadevano al suolo uno dopo l’altro, i bimbi
piangevano, qualcuno gridava. Si sforzò di cercare qualcosa che potesse
aiutarlo. All’improvviso, una figura lo fece sobbalzare. Un ragazzo con i
capelli rossi e le vesti strappate, accasciato a terra, stava immobile nella
parte più lontana della grande stanza. Cercò di sporgersi un po’ per
distinguerlo meglio, ma era impossibile, con tutte quelle persone accalcate una
sull’altra. Si allontanò dall’edificio quando realizzò che le guardie
sarebbero tornate di lì a poco. S’incamminò nuovamente verso il deserto, attento
a non farsi seguire. Avrebbe dovuto dire a Temari quello che aveva visto?
Quel ragazzo poteva essere Gaara, ma se invece fosse stato qualcun altro?
Avrebbe avuto senso darle una falsa speranza? Ma se invece non fosse stata una
falsa speranza... Ma solo una ragione in più, una motivazione più
forte... Incapace di trovare risposta ai suoi ragionamenti, arrivò davanti
alla botola. Si guardò attentamente intorno, cercò di tendere l’orecchio per
avvistare eventuali inseguitori, ma gli sembrava tutto tranquillo. Nell’oasi non
c’era nessuno, ed era circondato dal deserto. L’unico modo per seguirlo sarebbe
stato quello di rendersi invisibili, ma era pressoché certo che non esistesse
una tecnica simile. Aprì lentamente la botola e si calò all’interno.
“Allora, cry-baby?” fece la voce di Temari da sotto alle coperte. “Scoperto
qualcosa di interessante?” Shikamaru rimase zitto per un po’, pensieroso. Non
sapeva cosa fare. La ragazza lo guardò. Le sembrava di sentire la mente del
giovane lavorare freneticamente. Cosa cercava di tenerle nascosto? “Ho visto
all’interno delle carceri.” spiegò alla fine. “Ho visto un ragazzo che avrebbe
potuto assomigliare a Gaara.” Lei scattò in piedi e gli si avvicinò,
scrutandolo, indagatrice. “Era lui?” domandò in un sussurro. “Credi che fosse
lui?” Shikamaru annuì. “Credo di sì.” “Come
stava?” “...” “Cry-baby...” il tono di lei si fece più
minaccioso. “Male. Sembrava privo di sensi.” Rimasero in silenzio.
Shikamaru osservò la ragazza, ma non aveva idea dello scompiglio che le aveva
creato nel cuore.
Lei si voltò, dandogli le spalle. “Era ferito?” la voce le uscì più
tremolante di quanto avrebbe voluto, ma non era sicura che gliene
importasse. “Non lo so.” Batté con violenza il pugno contro la parete di
legno. Si sentiva arrabbiata, delusa, spaventata, preoccupata. Se Kankuro non
fosse riuscito a farsi aiutare? Se l’Hokage avesse rifiutato una missione così
pericolosa, una missione che avrebbe potuto uccidere molti dei suoi ninja? Se
anche lui fosse rimasto vittima della violenza del nuovo Kazekage? Forse
l’avevano già catturato... E lei era lì, a fare nulla, a stare nascosta. A
rimanere protetta. Era davvero ciò che le avevano insegnato? Una grande
kunoichi, c’era chi la riteneva la migliore del villaggio, eppure in quel
momento era rinchiusa sotto al deserto in attesa di farsi salvare. Come le
principesse di quelle storie sciocche che, da bambina, non le erano
piaciute. Anche poche ore prima, aveva lasciato che fosse Shikamaru ad
avventurarsi al villaggio, che fosse lui a rischiare di farsi uccidere. Non
era quello in cui credeva. “Voglio andare al villaggio. Voglio andare subito
da Gaara.” disse, ostinandosi a non guardare il ninja di Konoha. Avrebbe
voluto Kankuro accanto a lei. Si sentiva stranamente a disagio insieme a quel
ragazzo perennemente svogliato che, però, le aveva proposto di andare a salvare
suo fratello, e che aveva spontaneamente creato un piano d’azione. “Non
possiamo andarci adesso.” replicò Shikamaru. “E’ giorno, e, come ti ho già
spiegato, ti noterebbero. Ci muoveremo di notte.” La ragazza annuì, e si andò
a sedere in un angolo. Cinse le ginocchia con le braccia e vi affondò il volto,
immobile. Shikamaru la fissò per un po’, indeciso sul da farsi. Era quasi
certo che stesse piangendo, ma era altrettanto sicuro che una sola parola fuori
posto gli sarebbe costata la vita. Cercò di concentrarsi. Cosa avrebbe fatto
un altro al suo posto? Se non avesse avuto davanti una ragazza terribilmente
orgogliosa e violenta, l’avrebbe consolata. Ignorò il fatto che Temari
rispondesse perfettamente a quella descrizione, e fece un passo in
avanti. Alla fine, le si avvicinò cautamente e le si sedette accanto. Non era
sicuro che lei gliel’avrebbe permesso, ma provò lo stesso a posarle una mano
sulla spalla. Considerò un buon segno il fatto che lei non si fosse
ritratta.
“Andrà tutto bene...” le sussurrò dolcemente, accarezzandole la schiena,
scossa da singhiozzi. Lei non rispose, così il ragazzo decise di
continuare. “Sono sicuro che Kankuro stia benissimo. Tra due giorni sarà a
Konoha, lì troverà qualcuno che lo aiuterà...” Temari tirò su col naso, ma
non si mosse. “Per quanto riguarda Gaara... lui è forte. Lo salveremo, lo
tireremo fuori di lì.” non trovò null’altro da dirle. Fare promesse che, lo
sapevano entrambi, non potevano essere mantenute, non era saggio né tanto meno
consolatorio. Si guardò intorno, cercando un’ispirazione che lo potesse aiutare,
inutilmente. Avrebbe voluto poter fare di più. Non si sarebbe mai immaginato
di trovarsi in una situazione simile. Di solito, nella loro squadra, era Ino
quella che piangeva. Il più delle volte per rabbia o frustrazione, ma
generalmente era Choji a consolarla. Glielo diceva sempre, il suo amico, che non
sapeva come comportarsi con le ragazze, soprattutto quelle in lacrime. E
solo in quel momento si accorgeva di quanto fosse vero. Aveva avuto
occasione di incontrare Temari solo poche volte, e gli aveva sempre dato
l’impressione di una ragazza forte e del tutto estranea al pianto e alla
disperazione. Era stato molto stupido pensarlo. Avrebbe dovuto immaginarlo.
Quando Gaara, durante l’esame di selezione dei chunnin, gli aveva raccontato la
propria vita, non si era preoccupato di pensare a ciò che volesse significare
vivere accanto a lui. Forse, tra Gaara e i suoi fratelli, erano loro quelli che
avevano sofferto di più. D’altro canto, stavano a contatto con un bambino
psicolabile, con una potenza al di là della concezione umana, che provava
piacere nell’uccidere le persone. Erano cresciuti nel terrore di essere i
prossimi? Era per quello che si erano allontanati da lui, che avevano deciso di
abbandonarlo? Mentre era immerso nei suoi pensieri, si accorse che Temari gli
si era poggiata addosso, ed ora piangeva con il volto premuto contro la sua
maglia. Gli sembrava di sentire la sua sofferenza, e avvertì una spiacevole
sensazione alla bocca dello stomaco. Le cinse le spalle con un braccio, e la
strinse a sé. Con l’altra mano le carezzò i capelli ricci e spettinati,
lasciando che si sfogasse, che ritrovasse da sola l’autocontrollo.
Gli sembrava che fossero passate ore quando Temari si scostò da lui. Aveva
gli occhi rossi e gonfi, era pallida, tremava. “Credo che sia quasi il
tramonto, Mendekouze.” la informò quando realizzò che era abbastanza tranquilla
per poter intavolare una conversazione sensata. Lei annuì, incapace di
parlare. “Andiamo, su, dobbiamo fare il girò più lungo se vogliamo passare
inosservati.” si diresse verso la botola, e lei lo seguì.
Uscirono dal rifugio, il volto colpito dall’aria fredda del deserto. Il sole
stava tramontando ad ovest, e le lunghe ombre delle rocce che proteggevano Suna
si stagliavano sulla sabbia rossastra. Arrivarono fino ad una di queste,
lontani dalle porte del Villaggio. Si arrampicarono in silenzio fino in cima,
attenti a non farsi vedere né sentire dalle centinaia di guardie che
sorvegliavano l’ingresso. Quando sentirono una di loro che si avvicinava, si
nascosero insieme in una stretta insenatura nella parete rocciosa. Immobili,
vicini, potevano sentire l’uno il respiro dell’altro, e a Shikamaru parve di
avvertire anche il cuore della ragazza, che batteva furiosamente. Quando la
guardia se ne fu andata, camminarono lentamente fino alla porta del Villaggio.
Distrassero le sentinelle con una carta bomba, e riuscirono ad arrivare senza
intoppi fino alle carceri.
Shikamaru le indicò la finestrella da cui aveva visto il ragazzo che sembrava
Gaara.
Temari si avvicinò cautamente, e guardò dentro. Un forte odore nauseabondo le
arrivò prepotente alle narici, facendole salire alla gola un conato di vomito.
Ignorò la nausea e continuò a cercare il proprio fratello. Alla fine, lo
vide. Sdraiato nella parte più lontana della stanza, circondato da alcune
donne che si stavano prendendo cura di lui, fissava il soffitto immobile. C’era
una macchia di sangue che si allargava intorno a lui, gli abiti erano inzuppati
del liquido scarlatto. La ragazza chiuse gli occhi. Non era
possibile. Gaara, il neonato con gli occhi azzurri; l’esperimento mal
riuscito del quarto Kazekage; il bambino che doveva essere ucciso; l’arma
segreta di Suna; il ninja più forte del Villaggio; il quinto Kazekage; suo
fratello minore, ridotto ad un ragazzino sanguinante, pallido come cenere,
immobile a terra. Avrebbe voluto correre da lui, abbracciarlo, medicare le
sue ferite, invece era costretta ad osservarlo da una finestrella larga poco più
di dieci centimetri, che probabilmente era stata creata da qualche prigioniero e
che le guardie non avevano ritenuto abbastanza rischiosa perché meritasse di
essere chiusa.
Si allontanò dalla finestra, e guardò Shikamaru. “Come possiamo fare?”
sussurrò. “Ci verrà in mente qualcosa.” replicò il ragazzo. “Dovremmo
procurarci una pianta della prigione, però.” “E anche cercare di capire
quando sono i momenti migliori per tentare di entrare. Perché suppongo che tu
non voglia tendere un’imboscata, vero?” aggiunse lei, inarcando un sopracciglio.
Le avevano sempre insegnato ad attaccare, sempre e comunque, per ottenere
qualcosa. Era stata semplicemente la sua indole a condurla sulla via del
ragionamento e della strategia, che a volte, però, non le pareva più così
efficace. “Infatti. Sarebbe un suicidio. Le guardie sono molto più forti di
noi, e sono certo che non si farebbero problemi ad ammazzarci.” “Sono entrata
nelle prigioni una volta soltanto.” rifletté la ragazza. “Le celle si trovano in
fondo a dei corridoi stretti, bui e bassi.” “Un pessimo posto,
dunque.” “Già. All’ingresso di ogni corridoio ricordo che c’erano delle
guardie.” “Non ricordi altro?” “La prigione è costruita su cinque piani,
di cui tre sotterranei, uno semi-sotterraneo e uno sotto al tetto.” recitò lei.
“L’ho studiato a scuola” spiegò, davanti allo sguardo interrogativo di
Shikamaru. “Però non so dove sia l’entrata.” aggiunse. “Ci lavoreremo. Adesso
cerchiamo di capire quali sono i punti deboli di questo posto.” Iniziarono a
osservare attentamente l’edificio. Shikamaru misurò lo spessore delle pareti,
Temari cercò dei punti meno controllati, ma senza successo. L’unico accesso a
quell’edificio sembrava essere proprio quella minuscola finestrella. “Se
facessimo saltare la parete, però, probabilmente crollerebbe tutto.” constatò il
ragazzo, sovrappensiero. “E non possiamo mica farci arrestare per andare dentro,
no... Che seccatura.” concluse, sedendosi a terra. “Cry-baby...” la voce di
Temari non gli era mai sembrata così minacciosa. “Se ripeti ancora una volta
‘che seccatura’, io ti giuro che non rispondo più di me.” Si accoccolò accanto a
lui, e lo guardò. Il giovane non rispose. Improvvisamente, l’unico pensiero
che il suo cervello sembrava essere in grado di formulare riguardava gli occhi
verdi di Temari, e sicuramente spiegarle che gli piaceva molto il modo in cui la
luce fioca della una si rifletteva nelle sue iridi, facendo brillare quel colore
così intenso, sarebbe stato senza dubbio il modo più semplice, veloce ed
efficace per perdere all’istante la facoltà di respirare. Alla fine, però,
rifletté che in fondo non era necessario metterla al corrente dei suoi pensieri,
e che quindi poteva tranquillamente continuare a fantasticare. La osservò
mentre si alzava, e nuovamente guardava in quella finestra. L’unico modo per
avvicinarsi a suo fratello. Per lei era l’unica cosa che la spingeva a
continuare con quel piano folle, ma per lui? Che cosa aveva convinto Shikamaru a
impiegare le sue energie per aiutarla? Sospirò, ben consapevole della
risposta. Il ricordo delle vecchia Temari, con quella scintilla maliziosa che le illuminava gli occhi
quando lo chiamava ‘cry-baby’; i suoi capelli ricci, stretti in quei quattro codini troppo ridicoli per non risultare semplicemente
perfetti, su di lei; il profumo della sua pelle, che sapeva di sabbia; il suo
carattere forte e deciso, che l’aveva aiutata a tenere insieme quella famiglia
caduta a pezzi, che l’aveva portata a sopravvivere alla solitudine, alla
tristezza, alla paura, ma che in quel momento non la stava aiutando. Sembrava
che stesse lentamente cadendo a pezzi, che stesse lasciando crollare quella
maschera che si era costruita in quegli anni. Per quanto avrebbe potuto
sopportarlo? Quanto avrebbe resistito, prima di impazzire, di dover sfogare
tutti i sentimenti repressi da anni; la voglia di piangere, di gridare, di
essere consolata anche lei, per una volta? E lui, Shikamaru, sarebbe stato in
grado di rincuorarla, se ce ne fosse stato bisogno? Si era già dimostrato
incapace una volta... Alla fine, giunse alla conclusione che l’unico modo per
aiutarla fosse liberare Gaara. Improvvisamente tutto gli sembrò incredibilmente
assurdo. Dovevano agire la notte, e il tempo non sarebbe mai bastato per
elaborare un piano decente. Si alzò. Il sole sorgeva all’orizzonte.
Rimanevano soltanto sei giorni.
***
Gaara si lasciò cadere in ginocchio, stremato. Si piegò su sé stesso per il
dolore. Un ennesimo pugno lo colpì alla testa, mandandolo a sbattere contro
il pavimento freddo con il volto. Una delle guardie lo prese per le braccia e lo
costrinse a mettersi nuovamente in piedi. Il ragazzo barcollò, e puntò gli
occhi chiari su quelli neri della guardia, che lo afferrò per i capelli per
tenerlo fermo e lo colpì all’addome con un ginocchio. La sabbia aveva smesso
ormai da un po’ di proteggerlo, e se ne stava immobile a terra, rossa di sangue.
Da quanto tempo era lì? Non ne aveva idea; non riusciva neppure a capire se
fosse giorno o notte. Un ennesimo colpo al torace lo fece annaspare. Cadde a
terra, in ginocchio, mentre una guardia gli si avvicinava e con un calcio lo
costringeva a guardarlo. “Ne hai abbastanza?” gli domandò. Gaara non rispose.
Sì, ne aveva abbastanza. Voleva andarsene da lì, voleva rivedere i suoi fratelli.
Nonostante fosse difficile ammetterlo, gli mancavano immensamente. Desiderava
sentire ancora la voce rassicurante di Temari, che prima gli parlava dolcemente
e poi lo sgridava perché doveva finire tutto ciò che aveva nel piatto; voleva
ancora sentire Kankuro frignare perché aveva rifiutato di mandarlo in missione a
Konoha, dove doveva incontrare una persona misteriosa di cui né lui né Temari
erano ancora riusciti a scoprire l’identità, o ricordargli che certo, aveva
avuto paura di lui in passato, ma che ora aveva capito di volergli bene; voleva
ancora sentirlo dire che dovevano recuperare il tempo perduto, mentre lavavano
insieme i pavimenti in seguito ad una delle numerose punizioni della
sorella. Avrebbe fatto qualunque cosa per sentirli ancora quando lo
chiamavano “fratellino” solo per farlo innervosire... Se fosse uscito vivo di
lì, decise che non si sarebbe mai più arrabbiato per una sciocchezza simile. Che
lo chiamassero come preferivano, purché fossero insieme a lui. Perché in
quel momento era solo, di nuovo, con il peso di una condanna a morte sulla
testa. Non gli importava più di tanto, per qualche strano motivo non aveva preso
in considerazione la possibilità di essere ucciso. Non si era ancora del
tutto rassegnato all’idea che la sabbia non riusciva più a proteggerlo come un
tempo, nonostante fosse ancora un valido aiuto, per lui. Il chakra a
disposizione influiva sempre di più sul controllo di quell’elemento che per
tanti anni era stato scudo e arma, vita e morte. “Dove sono i tuoi fratelli?”
il pugno arrivò veloce e preciso. Sentì un dolore acuto, e il sangue che dal
naso gli colava sul volto e sui vestiti. “Da me non saprai niente.” replicò,
fissando il suo aguzzino, che emise un suono basso simile ad un ringhio. Chissà
quanto doveva essere frustrante, per lui, sentirsi ripetere la stessa frase da
ore, ad ogni colpo, ad ogni minaccia. “Dove si sono nascosti?” “Da me non
saprai niente.” Un altro colpo, allo stomaco. “Va bene, fai a meno di
dirmelo. Ma sappi una cosa: quando li troveremo... e accadrà presto, vedrai...
li ammazzerò personalmente davanti a te. Anzi, tua sorella è una bella ragazza,
magari...” “Stai zitto.” lo interruppe Gaara, preso da una collera
improvvisa. “Stai zitto.” ripeté, facendosi forza e raddrizzandosi. Fissò il
soldato negli occhi, e per un momento a quell’uomo parve di vedere la stessa
scintilla di cattiveria che aveva imparato a riconoscere tanti anni prima in un
Gaara ancora bambino, quando ancora era agli ordini del Quarto
Kazekage. Indietreggiò quando la sabbia, a terra, si sollevò, e con un guizzo
si scagliò contro di lui, mentre il ragazzo sembrava aver ripreso un po’ della
sua energia. Fu colpito solo poche volte, prima che il giovane si accasciasse
a terra, privo di sensi. Lo afferrò e lo trascinò fino alla cella dove lo
tenevano insieme agli altri prigionieri. Lo gettò all’interno, con le gambe che
ancora gli tremavano per la paura. Aveva davvero temuto che il ragazzo perdesse
il controllo. Si allontanò, portandosi una mano sulla guancia, dove il
sangue rosso colava da un profondo taglio.
Gaara aprì gli occhi. Era a terra, vicino alla porta della cella. Cercò
di respirare profondamente. Il caldo era insopportabile, e quando si portò una
mano sulla fronte la scoprì madida di sudore. Gli abiti intrisi di sangue gli si
erano appiccicati addosso, gli mancava l’aria, aveva sete. Si passò la lingua
sulle labbra screpolate, guardando fuori da quella piccola finestrella che
costituiva l’unico contatto con il mondo esterno. Certo, i piedi dei passanti
non erano particolarmente interessanti né utili, ma quel pezzetto di cielo che
riusciva ad intravedere gli diceva, almeno, se fosse giorno o notte. In quel
momento riusciva a scorgere persino la luna... Gli sembrava di sentire, in
lontananza, la voce della sorella che diceva qualcosa riguardo alla missione,
chiamare “cry-baby”... Chiuse gli occhi, aspettando che la fatica e il sonno
prendessero il sopravvento su di lui. Le parole di Baki gli risuonarono nella
mente ancora una volta, come era successo per tutto il tempo in cui era stato
sotto tortura. “Temari mi ha chiesto di dirti che ti tirerà fuori di
qui.” Era seguito un attimo di silenzio. “E che ti vuole
bene.”
Solo un sospiro, e tutto divenne nero.
Allora... quesito per i
miei lettori: credete che io sia andata troppo OOC con Temari in questo
capitolo? Se è così, fatemelo sapere, così provvederò ad aggiungere
l'avvertimento.
Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo!
Baci,
rolly too |
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Capitolo 3 *** Secondo giorno ***
Eccomi con il nuovo capitolo! Ringrazio tantissimo tutti
quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, e rispondo a lilithkyubi che mi
ha chiesto se apparirà Matsuri. No, non ci sarà, perchè ho deciso di incentrare
questa fic esclusivamente sulla coppia Shikamaru/Temari, senza altri pairing,
per potermi anche concentrare meglio sul tema fondamentale, che è sempre e
comunque il rapporto di Temari con la famiglia. Detto questo, vi lascio al
capitolo!
Temari fissò con evidente disapprovazione Shikamaru, che dormiva
beatamente in un angolo della stanza. Da quando erano tornati al rifugio,
lei non era riuscita a chiudere occhio. Il ricordo del volto pallido di Gaara le
tornava in mente ogni volta che cercava di addormentarsi, causandole una forte
fitta allo stomaco, così, alla fine, aveva deciso di rinunciare. Ma ascoltare
il respiro un po’ pesante del ninja di Konoha le dava fastidio. Avrebbe voluto
svegliarlo, e gridargli che non c’era motivo di essere così tranquilli, ma
sapeva che sarebbe stato stupido e alquanto infantile. Non erano suoi i
fratelli che rischiavano la pelle. Cosa poteva importargli se uno dei due era
lontano chilometri, ed un altro era stato torturato? Si alzò, ed iniziò e
camminare avanti e indietro per la stanza. Non poteva certo fargliene una colpa,
dopotutto lui si stava già impegnando molto per aiutarla... “Stai un po’
ferma, Mendekouze, mi fai venire il mal di testa...” la voce svogliata del
giovane le giunse come uno schiaffo. Si voltò velocemente verso di lui, che si
era tirato a sedere e la fissava stancamente. “Cerca di startene tranquilla,
e prova a dormire, invece che agitarti tanto.” la rimproverò con un sorriso
appena accennato. Sapeva perfettamente che non era stata in grado di chiudere
occhio per tutto il tempo, e che era rimasta a rimuginare sulla sorte dei suoi
fratelli, sentendosi in colpa per ciò che stava accadendo.
Si alzò e le si avvicinò. Le posò una mano sulla spalla, e lei
chinò lo sguardo. “Dai, Mendekouze. Sforzati di dormire almeno un po’. Io
adesso vado al villaggio, cerco di capire dove sia l’entrata di quel carcere. Mi
è venuta un’idea. Tu nel frattempo riposa. Pensa che Kankuro è forte come un
toro, e Gaara, anche se forse non sta proprio bene, è vivo.” Le portò due dita
sotto il mento e le sollevò dolcemente il capo, in modo da poter incrociare il
suo sguardo. Gli occhi le brillavano, lucidi di lacrime che, Shikamaru lo sapeva
benissimo, non avrebbe mai versato. Le spostò una ciocca di capelli ricci da
davanti al volto, e le indicò il futon. “Forza.” la incoraggiò. “Se non
dormi, voglio proprio vedere come farai ad aiutarmi. Dobbiamo salvare Gaara,
ricordi?” lei annuì, cercando di sorridere. Non ci riuscì, ma acconsentì
comunque a sdraiarsi, senza dire una parola. Aveva un nodo alla gola che le
impediva di parlare, a meno di non far risultare la sua voce estremamente fioca
e tremula, così rimase zitta quando il ragazzo aprì la botola e sparì nella luce
accecante del deserto.
Shikamaru si diresse a passo spedito verso il Villaggio, con una
nuova determinazione in corpo. No, quella Temari non gli piaceva neppure un po’.
Era deciso più che mai, e, per una volta, decise che alla fine, forse, era una
gran seccatura, ma che se serviva a riavere indietro quella ragazza prepotente e
orgogliosa che aveva incontrato agli esami di selezione dei chunin, ne valeva la
pena. Aveva smesso già da un pezzo di cercare di convincersi di non provare
nulla per la kunoichi. Mentre la osservava, fingendo di dormire, si era accorto
che stare insieme a lei gli provocava una strana sensazione di sfarfallio nello
stomaco. Si sentiva bene accanto a lei, felice. E con un cervello come il suo,
non poteva non capire cosa fosse accaduto. Temari aveva semplicemente preso
il sopravvento nella sua mente, ed era diventata la destinataria di tutte le sue
attenzioni. Si concesse di fantasticare sulla ragazza fino all’entrata del
Villaggio, quando una guardia lo fermò, esattamente come il giorno prima. Lo
fissò per qualche istante. “Chi sei e che vieni a fare a Suna?” “Devo
vedere il Kazekage.” rispose il giovane, impassibile. “E sono già in ritardo.”
aggiunse con tono eloquente. La guardia si fece da parte senza fiatare. Non
sembrava del tutto convinto, ma non indagò oltre. Shikamaru rifletté che,
probabilmente, nel dubbio, era meglio scegliere la soluzione che l’avesse tenuto
ben lontano dal nuovo Kazekage e dalle sue punizioni. Una volta entrato al
Villaggio, si fermò a respirare l’aria che profumava di sabbia. Quanto era
cambiato da quando Gaara era stato deposto... Per un po’, prima di quella
guerra, aveva dovuto fare la spola tra Suna e Konoha per organizzare gli esami
di selezione dei chunin. Allora Suna era un luogo pacifico, con i bambini
che giocavano in strada, i venditori ambulanti che lo fermavano per offrirgli le
loro mercanzie e un forte profumo dolce nell’aria. Ora, invece, nelle strade
deserte si avvertiva soltanto l’odore metallico del sangue, che contribuiva a
rendere estremamente temibile quel nuovo governatore che nessuno aveva mai
visto. Era stato un colpo di Stato piuttosto abile, che non aveva scatenato
rivolte del popolo e che era passato praticamente inosservato. Tuttavia,
Shikamaru era convinto che nessuno, al Villaggio, non avesse notato che pochi
giorni prima delle deposizione di Gaara, molti dei consiglieri erano scomparsi
nel nulla, e che erano stati proprio i nuovi arrivati a proporre il suo
allontanamento dalla carica di Kazekage. Ed ora, quel ninja che aveva
terrorizzato tutti, solo pochi anni prima, all’esame di selezione dei chunin,
non poteva più far paura a nessuno. Era un prigioniero come tanti, che
attendeva pazientemente il momento della sua esecuzione sopportando torture,
sete e fame.
Si fermò quando giunse davanti alla casa dei tre fratelli della
Sabbia. Era evidente che il Kazekage l’aveva fatta perquisire; tutto era
sottosopra, e la porta giaceva abbandonata in angolo della strada. Diede le
spalle all’abitazione e vide, in lontananza, ciò che stava cercando. Lungo il
perimetro del Villaggio, nelle rocce che fungevano da confine, aveva notato,
mesi prima, una piccola porta scura. Si mimetizzava quasi perfettamente con
l’ambiente, ma ad un occhio attento come quello del ragazzo non era
sfuggita. In linea d’aria era perfettamente allineata con il carcere, e la
sera prima gli era venuto il sospetto che fosse proprio quello l’accesso
dell’edificio. Dopotutto, era una delle strade meno affollate di Suna, e non
sarebbe stato difficile trascinarvi un prigioniero senza farsi notare. Forse
era proprio per aumentare la sensazione che fosse solo una porta messa lì a
caso, ma non c’era nessuna guardia all’esterno, cosa di cui Shikamaru fu
estremamente grato. Certo era una seccatura in meno, ma il problema era che non
aveva idea di quello che avrebbe trovato all’interno. Nella migliore delle
ipotesi, sentinelle e carcerieri. Nella peggiore, avrebbero dovuto affrontare
una delle Squadre Speciali del Villaggio. Rimase fermo lì davanti a lungo,
indeciso sul da farsi. Per scoprire se la sua ipotesi era vera, l’unico modo era
entrare. Ma quanto sarebbe stato prudente? Non era stato lui stesso, dopotutto,
ad affermare che non sarebbero mai dovuti arrivare ad uno scontro? Si sentiva
estremamente combattuto. Una parte di lui era ancora recalcitrante all’idea di
aiutare Temari e sfidare apertamente il nuovo Kazekage, e tutto ciò implicava
che ritenesse anche decisamente fuori luogo penetrare in quella che era a tutti
gli effetti una fortezza, da solo, con soltanto tre tecniche a sua disposizione
e il fisico ancora molto provato dall’esplosione che l’aveva ferito e dalla
febbre, che non era certo gli fosse passata del tutto. Eppure, era
perfettamente consapevole che trascinare anche Temari lì dentro sarebbe
equivalso a consegnarla alla giustizia; c’erano tantissime possibilità che
venisse catturata, e cosa le avrebbero fatto, una volta scoperto che aveva
abbandonato abusivamente il Villaggio ed aveva tramato alle spalle del Kazekage
con la complicità di un nemico? Si sedette e congiunse le mani nel suo gesto
abituale. Cercò di concentrarsi il più possibile, ma, con suo grande
disappunto, scoprì che era un’operazione che gli riusciva impossibile. Le
immagini che si susseguivano nella sua mente certo non lo stavano aiutando a
prendere una decisione razionale e ponderata. Temari accoccolata in un angolo
che piangeva; Temari che radeva al suolo un’intera foresta con un colpo solo,
Temari che scendeva nell’arena sul suo grande ventaglio. Temari, che
seccatura. Gli impediva persino di pensare. In quel momento, l’unico istinto
che aveva era di tornare al rifugio e guardarla mentre dormiva -aveva scoperto
che era estremamente dolce quando era addormentata, e bella oltre ogni sua
immaginazione-, oppure abbracciarla e lasciarsi cullare dal suo profumo. Ma,
si disse, facendo tutto questo, l’unica cosa che avrebbe ottenuto sarebbe stato
un biglietto di sola andata per il cimitero. Piuttosto, doveva tornare a
concentrarsi sulle sue possibilità riguardo al carcere. Cercò di rallentare
il ritmo dei suoi pensieri. Quando si accorse che non serviva a nulla, respirò a
fondo e si avvicinò alla porta lentamente, controllando che nessuno lo stesse
osservando. Abbassò lentamente la maniglia con il cuore in gola e un forte
senso di nausea, lo stomaco contratto in una morsa di terribile terrore. Se
si fosse fatto ammazzare, come avrebbe fatto Temari ad aiutare i suoi fratelli?
Non sapeva quando sarebbe riuscito a tornare Kankuro, e i tempo che avevano per
salvare Gaara era davvero poco. Lei, da sola, non sarebbe mai riuscita a
sopraffare le proprie emozioni per ragionare a mente lucida, non sarebbe
riuscita ad ideare un piano sicuro. Si sarebbe fatta catturare...
La porta si aprì con un cigolio che lo fece sobbalzare. Se ci
fossero state delle guardie, l'avrebbero sicuramente sentito. Mosse un passo
incerto all'interno di quello che sembrava un corridoio buio e stretto. La porta
si chiuse alle sue spalle, e lui fu inghiottito dall'oscurità. Dovette
aspettare diversi minuti prima che i suoi occhi riuscissero a distinguere la
luce tenue di una fiaccola. Cercando di fare meno rumore possibile, avanzò
cautamente, stando all'erta. Sentiva, in lontananza, le voci di alcuni uomini
che discutevano e ridevano. Tese le orecchie, distinguendo due voci, più un
gemito sommesso di sofferenza. Camminò fino a che non scorse la fine del
corridoio. Rimase abbastanza lontano dai due uomini, sperando che non si
voltassero e non si accorgessero della sua presenza; non c'era nessuno spazio
dove nascondersi e l'unica via di salvezza era quel corridoio che si era
lasciato alle spalle. Aguzzò la vista. Dietro ai due uomini c'era una porta
di metallo. Il gemito che sentiva, probabilmente, veniva da lì. Mosse un altro
passo per cercare di capire cosa stessero dicendo le due guardie, e si fermò
quando si accorse di riuscire a cogliere le loro parole. “Non dice dove
sono.” stava raccontando la prima guardia, e l'altra annuì. “Sì, lo so. Non
cede. Continuano a torturarlo, e non gli danno da mangiare né da bere, ma
continua a tacere.” “Non mi stupisce affatto. Dopotutto, lo abbiamo sempre
saputo che era un osso duro.” “Già, ma se non scopriamo dove sono gli altri
due ragazzini, il Kazekage ci fa impiccare. Non c'erano a casa.” “Se tu fossi
stato al loro posto non ti saresti fatto trovare. E poi sono i tre ninja
migliori del Villaggio. Secondo me ci porterà soltanto un sacco di guai, questo
arresto. Se Gaara perde il controllo, siamo finiti.” concluse la prima guardia
con un sospiro. “E se cercassero di tirarlo fuori?” ipotizzò dopo qualche
istante di silenzio l'altro. “Non credo. L'unico accesso è questo qui ed è
troppo ben nascosto. Se proveranno ad entrare, li uccideremo.” Shikamaru
trattenne il fiato. Esattamente come aveva previsto, quello era l'ingresso della
prigione. Ritenne di aver visto abbastanza. Iniziò ad indietreggiare
cautamente, sperando che il suo respiro non fosse udibile per quelle guardie,
così impegnate nella loro conversazione da non essersi accorte della sua
presenza. Tuttavia, sapeva benissimo che non poteva essere fortunato per
sempre. Quando fu abbastanza lontano da loro da rendersi conto che non
l'avrebbero più potuto sentire, cominciò a correre. Raggiunse la porta e l'aprì
di scatto, convinto che non ci sarebbe stato nessuno fuori ad aspettarlo.
“Ciao, ninja della Foglia.” fece una voce beffarda davanti a sé.
Guardò l'uomo che aveva parlato. Era la guardia che il giorno prima l'aveva
fatto entrare al villaggio, davanti a lui con una katana. “Credevi davvero
che non mi fossi accorto che sei uno straniero? Ti ho visto, qualche giorno fa,
insieme ai ninja di Konoha.” spiegò sorridendo. “Ora ti catturerò e ti porterò
dal Kazekage, e lui mi premierà per aver preso un nemico tutto da solo...” A
quelle parole, Shikamaru si riscosse. Tutto da solo? Significava forse che non
aveva avvertito nessuno? Se fosse stato realmente così, quello che aveva davanti
era uno degli shinobi più stupidi che avesse mai incontrato. Era davvero
convinto che sarebbe riuscito a catturarlo da solo? In fin dei conti, se era
stato mandato in guerra lontano da Konoha, era proprio perché non era uno dei
ninja più sprovveduti che si trovavano al Villaggio. Sospirò. Per
liberarsi di lui, avrebbe dovuto ucciderlo. E in quel deserto, con il sole alto
nel cielo, non sarebbe stato difficile farlo.
Shikamaru agì talmente in fretta che l'altro quasi non se ne
accorse. Lo catturò, legando la propria ombra a quella dell'uomo, che lo fissò
terrorizzato, conscio di aver fatto un passo falso e di essersi lasciato
abbindolare come un bambino. “Hai detto a qualcuno della mia presenza?”
chiese svogliatamente il ragazzo. “Perché, se l'hai fatto, sarebbe davvero una
grande seccatura.” “N-no.” balbettò la guardia. “Perfetto, allora. Ti
ammazzo subito. Non ti preoccupare, non sentirai nulla.” aggiunse, fissandolo.
La vicinanza con il suo nemico gli permise di ucciderlo molto velocemente. Lo
guardò mentre si afflosciava a terra, poi lo scavalcò ed iniziò a correre verso
il rifugio. Ormai era pomeriggio inoltrato; aveva dormito fino all'ora di pranzo
ed era rimasto in quel lunghissimo corridoio per quasi due ore. Uscì dal
Villaggio senza farsi vedere, aiutato da una bomba che era stata fatta esplodere
nella parte nord del Villaggio. Guardando la Squadra Speciale che correva in
quella direzione, pensò con rammarico che in quella zone si trovavano anche i
ninja di Konoha. Improvvisamente tutto gli sembrò stupido. Perché non si
erano fatti aiutare da loro? In quel gruppo si trovavano anche Neji e Kiba, e
loro non avrebbero mai rifiutato di aiutare Gaara. Sarebbero stati molto più
utili di lui. Eppure, in qualche modo, sentiva che chiedere a loro sarebbe stata
la scelta sbagliata.
Quando entrò nel rifugio, si avvicinò a Temari, in silenzio. La
ragazza era sdraiata sul futon e teneva gli occhi chiusi, ma era evidente che
non stava dormendo. “Mendekouze...” la chiamò dolcemente, posandole una mano
sulla spalla. Lei si voltò e lo guardò. Aveva gli occhi lucidi e rossi di
pianto, come sempre quando in quei giorni la lasciava sola. Quella vista lo
fece star male. Era davvero così incapace da non riuscire a consolare una
ragazza disperata? “Ho trovato l'ingresso.” disse. A quelle parole, lei
scattò a sedere. “Dov'è?” domandò. “Proprio di fronte a casa tua.” “La
porta nella roccia...” mormorò Temari, e Shikamaru annuì. “Sono
entrato.” “Folle!” Lui la ignorò e proseguì. “C'è un corridoio molto
lungo, stretto e basso, proprio come avevi detto. L'ingresso è costituito da una
porta di metallo, davanti a cui ci sono due guardie. Le ho sentite parlare, si
aspettano che qualcuno cerchi di tirare fuori Gaara e sono pronte ad ammazzare
chiunque ci provi.” Seguirono dei lunghi minuti di silenzio, durante i quali la
ragazza spostò lo sguardo su un orsacchiotto impolverato abbandonato in un
angolo. Lo fissava con intensità, persa in chissà quali pensieri. Ad un
tratto, puntò gli occhi verdi su quelli scuri del giovane, che rimase senza
fiato davanti a quel colore che lo faceva impazzire. “Ma noi ci proveremo lo
stesso, vero?” chiese con un filo di voce. Shikamaru
annuì. “Certo.” “Questa notte?” Il ragazzo tentennò, incerto. Dopo aver
visto il luogo in cui dovevano entrare, era sempre più convinto che non ce
l'avrebbero mai fatta. Tentare quella notte stessa sarebbe stato un suicidio, e
sapeva che Temari ne era perfettamente a conoscenza. Quanto era disposta a
rischiare pur di abbracciare suo fratello? Perché, alla fine, poco importava che
fosse una grande kunoichi. Qualcuno, tempo prima, gli aveva detto che un ninja
era soprattutto una persona con dei sentimenti. In quel momento non gli erano
sembrate parole di così grande valore; lo sapeva perfettamente. Ma ora, davanti
a lei, aveva capito ciò che quella persona intendeva. Temari era cambiata
radicalmente, soffocata e torturata dalle sue stesse emozioni, sepolte da anni,
con chissà quale sofferenza e sacrificio. L'aveva fatto per amore dei suoi
fratelli, che non sarebbero stati in grado di andare avanti senza di lei, che
aveva svolto la funzione di collante nella famiglia, ma che era quella che per
prima avrebbe avuto bisogno di consolazione e di supporto. Una ragazza
cresciuta troppo in fretta in un mondo crudele che non aveva orecchie per il
pianto di quei bambini, traditi dalle ambizioni del padre, che era stato
disposto a sacrificare la vita della moglie e, in qualche modo, anche quella di
suo figlio, pur di creare un'arma potente e temibile. In quel momento, per la
prima volta, Shikamaru si era accorto di quello che era Temari per i suoi
fratelli, pur non avendo praticamente mai parlato con loro. Temari per loro
era un'amica, una sorella, una madre. In quella famiglia dai ruoli confusi,
dove chi era fratello poteva essere anche figlio e padre contemporaneamente,
dove era importante mantenere un equilibrio perfetto al fine di garantire la
stabilità delle loro vite. Erano tre fratelli vissuti in solitudine, che
erano riusciti ad avvicinarsi solo da pochi anni e con molta fatica. E lei,
che era il punto di congiunzione tra i due maschi, che avevano un carattere più
freddo, in quel momento cosa stava passando? Terrorizzata all'idea di vedere il
giorno della morte di Gaara, in ansia per Kankuro, che era da qualche parte,
lontano, doveva trovare la forza di reagire, di svolgere anche lei il suo
compito. “Cry-baby...” mormorò improvvisamente lei, distogliendolo dai suoi
pensieri. “Ti è mai capitato di pensare che tutto quello che hai fatto è
sbagliato?” Lui rimase silenzioso. “No.” ammise infine. Lei abbassò il
capo. Sembrava sfinita. “Io credo, invece, che tutto quello che ho fatto non
sia servito a nulla. Vedendo questo posto... quello che Gaara ha fatto, da solo,
penso che avrei potuto stargli più vicino, aiutarlo. So che è una follia cercare
di salvarlo questa notte, ma io voglio tentare, lo capisci? Devo impedire che
gli sia fatto ancora del male, dopo che io gliene ho fatto tanto.” “Non dire
così. Hai fatto tanto per loro, e sono sicuro che lo sanno e te ne sono
riconoscenti.” le sussurrò, carezzandole la schiena. Contrariamente a quanto
aveva immaginato, lei lo lasciò fare. “Non possiamo andare lì stanotte.”
tentò di convincerla il giovane. “Non siamo pronti.” La scrutò attentamente,
e aggiunse, con tono di rimprovero: “E poi, tu devi dormire.” Con un mano
la costrinse a sdraiarsi nuovamente, e la coprì fino alle spalle. “Dormi,
Mendekouze.” le sussurrò. “Chi vuoi salvare, se non sei neppure in grado di
reggerti in piedi?”
***
Kankuro maledisse per l'ennesima volta la pioggia che scendeva
inesorabile, e gli bagnava i vestiti e i capelli. Il trucco gli si era sciolto e
gli era colato sul volto, causandogli un immenso fastidio. Lui odiava la
pioggia, ma la sua presenza voleva dire che era riuscito a mettere una
considerevole distanza tra sé e il Villaggio. Cercò di accelerare ancora, ma
un senso di vertigine lo invase, costringendolo a fermarsi definitivamente. Il
giorno prima non aveva pranzato, pur di non perdere tempo, ma in quel momento la
fame gli stava facendo perdere le forze. Rassegnato, si sedette nel bel mezzo
della pianura in cui si trovava, e prese un po' del cibo che aveva portato con
sé. Mangiò in fretta, ignorando l'acqua che lo inzuppava. Sollevò lo
sguardo quando si accorse che c'era qualcuno, nelle vicinanze. Due ninja si
stavano avvicinando minacciosi, con le armi in pugno. Li osservò attentamente.
Non sembravano affatto pericolosi. Vestiti di stracci e con il volto coperto,
segno che non erano intenzionati ad uccidere il loro
avversario. Probabilmente, dunque, dei briganti. Si alzò, deciso ad
evitare lo scontro, se fosse stato possibile. “Non porto ricchezze con me, né
denaro.” disse a quello che si trovava più vicino, mettendo comunque mano ad un
kunai. “Non voglio combattere.” aggiunse. “Lo sai quante persone ci hanno
detto così, e poi abbiamo scoperto che in realtà avevano con sé molti oggetti di
valore?” fece quello più lontano. “Meglio verificare!” esclamò, iniziando a
correre verso di lui. La velocità con cui gli si scagliò contro sorprese
Kankuro, che fu costretto ad indietreggiare per evitare di cadere. Si riprese
subito, e con il kunai fermò l'attacco del nemico, mentre l'altro lo afferrava
alle spalle. Sbuffò. Erano più forti di quello che sembravano, in fondo. O
forse, più semplicemente, era lui ad essere esausto per il viaggio che stava
affrontando. Lo stavano rallentando, e questo non andava bene. Non aveva
molto tempo per arrivare a Konoha, doveva salvare Gaara, non poteva certo
perdere tempo con quei due! Scivolò in una pozza di fango, mentre lottava
violentemente per toglierseli di dosso. Per evitare di cadere si aggrappò al
collo di uno dei due, mandandolo a terra. Facendo appello a tutte le sue
forze, afferrò quello che gli stava alle spalle per i capelli, e, facendo leva
sulle propria spalla, lo fece crollare sopra al compagno. Quell'espediente
gli consentì di allontanarsi da loro. Iniziò a correre verso Konoha. Lo scontro
non gli interessava, doveva giungere a destinazione il prima possibile. Una
fitta improvvisa alla gamba lo fece cadere rovinosamente. Finì col volto nel
fango, gemendo per il dolore. Guardò la gamba sinistra e si accorse che uno dei
due ninja era riuscito a trafiggerlo con un kunai. Lo estrasse con violenza,
inghiottendo il dolore e rialzandosi. Quella complicazione lo avrebbe rallentato
non poco, e la cosa lo innervosiva molto. Perché non volevano capire che non
aveva nulla di valore con sé? Perché non lo lasciavano andare? Scosse il capo,
ripetendosi che quei pensieri erano inutili e non facevano altro che ritardare
il suo arrivo a Konoha. Senza indugiare oltre, decise che sarebbe ricorso
alle sue marionette. Bastarono poche, mosse per imprigionarli entrambi
all'interno di Kuroari. Le grida disperate dei due uomini si persero nello
scrosciare della pioggia. Quando la tensione per lo scontro si allentò, fu
costretto ad inginocchiarsi, incapace di reggersi in piedi. La ferita non
era grave, e probabilmente neppure profonda, eppure gli doleva molto e lui non
aveva nulla per curarsi. La osservò a lungo. Forse sarebbe riuscito a
raggiungere il villaggio della Foglia prima di dissanguarsi. In fondo, mancava
poco più di un giorno. Si rialzò, appellandosi a tutta la sua volontà. Si
rimise a correre, stringendo i denti, deciso a non abbandonare Gaara se prima la
vita non avesse abbandonato lui. Avrebbe proseguito con le unghie e con i
denti, se fosse stato necessario. Doveva correre e non pensare al
dolore. Mancavano solo cinque giorni.
Ecco qui! Spero che vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne
pensate!
Baci,
rolly too |
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Capitolo 4 *** Terzo giorno ***
Ordunque. Sono
tornata, con quasi due settimane di ritardo rispetto a quello che mi ero
prefissata, ma sono tornata con il quarto capitolo di questa storia che è
probabilmente una delle più difficili che io mi
sia mai ritrovata a scrivere. Infatti, questo capitolo per me è stato letteralmente
disastroso (ne esistono sette versioni, non so se mi spiego...) e tuttora ci sono
delle parti che non mi convincono pienamente. Ma vabbè,
lascio a voi l'impresa di giudicare. Ringrazio tantissimo tutte le persone che
hanno recensito lo scorso capitolo, mi ha fatto tantissimo piacere leggere i vostri
commenti!
Shikamaru sbuffò, prendendo uno dei mantelli che Temari gli stava
porgendo. Aveva rinunciato ormai da un po' a cercare di farla dormire, dato che
la ragazza non sembrava per nulla propensa ad abbandonarsi al sonno, ed era
riuscita persino a convincerlo a portarla dal fratello. Certo, secondo lui
non era molto prudente addentrarsi nel Villaggio di notte, in due, senza un
piano preciso e sapendo di avere le guardie armate di Suna alle calcagna, ma lo
sguardo cattivo che la ragazza gli aveva lanciato gli aveva fatto abbandonare
ogni tentativo di protesta. Uscì dal rifugio prima di lei, tirandosi il
cappuccio fin sugli occhi, e affondando il mento nel bavero rialzato del
mantello nero. Non sapeva come avesse fatto Temari a procurarseli; forse li
aveva semplicemente trovati lì, ma, più probabilmente, li aveva sottratti a
qualcuno mentre lui non c'era. Non appena lei lo raggiunse, si avviarono
insieme verso il Villaggio. Era buio, e la notte era decisamente troppo fredda
per i gusti di Shikamaru, che sentiva il gelo penetrargli fino alle ossa.
Sperava vivamente che la giovane si accorgesse del pericolo che stavano
correndo ben prima di dover arrivare ad uno scontro con la Squadra Speciale, ma
qualcosa gli diceva che niente e nessuno sarebbe riuscito a farle cambiare
idea. Sbuffando, strinse il kunai che teneva in mano. Il contatto con il
metallo freddo dell'arma gli ricordò che, ripensandoci, non avrebbero
assolutamente dovuto trovarsi costretti a combattere con chicchessia.
Già un uomo si era accorto di quello che stavano cercando di fare, e lui
aveva dovuto ucciderlo. Sperava soltanto che avesse detto la verità, quando gli
aveva confessato di non aver avvertito nessuno della sua presenza. Giunsero
alle porte del Villaggio dopo poco tempo di cammino. Seminascosti dalle
rocce che costituivano il confine, osservarono attentamente l'ingresso. C'erano
soltanto due guardie. Probabilmente, il conflitto con la Foglia stava
causando più problemi di quelli che il Kazekage si aspettava, o non avrebbe
avuto altro motivo per ridurre così drasticamente la difesa del
Villaggio. Temari gli rivolse uno sguardo eloquente, e mise mano al suo
kunai. Aveva dovuto rinunciare al ventaglio per evitare di essere riconosciuta,
con quell'arma così visibile e rara. Shikamaru annuì. Si mossero insieme,
come una persona sola; giunsero alle spalle dei due uomini e cinsero loro il
collo con le braccia, senza dar loro il tempo di realizzare cosa stesse
accadendo. Con un movimento veloce e deciso affondarono i kunai nella carne,
tagliando la gola alle due guardie senza troppi complimenti. Quando quelli
caddero riversi a terra, senza vita, Shikamaru li afferrò ognuno per un braccio,
e li trascinò più lontano, nel deserto, mentre Temari spostava la sabbia per
cancellare le tracce che il sangue aveva lasciato. “Speriamo che ci mettano
tanto a trovarli.” commentò il giovane, mentre si dirigeva nuovamente verso il
Villaggio. Lei lo seguì senza rispondere. Era pallida e tesa, ma sembrava più
che mai risoluta e assolutamente decisa a finire ciò che aveva
iniziato. Camminarono silenziosi fino alla casa dove Temari viveva con i
fratelli, tendendo le orecchie e aguzzando la vista, per quanto possibile,
cercando di scorgere ogni minima presenza, in quella notte senza luna. Si
avvicinarono cautamente alla porta nella parete. La aprirono piano, sperando di
riuscire ad evitare un cigolio che, senza dubbio, avrebbe messo in allarme le
guardie. Entrarono uno dietro l'altro, lentamente. Shikamaru sentiva il
cuore battere in gola. Cercò di deglutire, ma aveva la bocca completamente
asciutta per la tensione. Come aveva fatto a lasciarsi convincere a quel
suicidio? Bastava un solo passo falso, un solo sussurro, un rumore un po' più
forte, e tutto sarebbe finito nel peggiore dei modi. Temari sarebbe stata messa
a morte all'istante, e lo stesso avrebbero fatto con lui. Anzi, forse con lui
sarebbero stati più duri. L'avrebbero torturato per trovare informazioni suoi
ninja di Konoha che combattevano al fronte, e lui quanto avrebbe resistito prima
di raccontare tutto? Lui, che per sua stessa ammissione era uno dei ninja più
vigliacchi del Villaggio? Decise di non pensarci. Non li avrebbero presi. Non
vivi, almeno. Il corridoio sembrava deserto, esattamente come la prima volta
in cui era entrato. Dunque, a rigor di logica, in fondo avrebbero trovato due
guardie armate fino ai denti, che avrebbero fatto la stessa fine di quelle
all'ingresso del Villaggio. Certo, ma dietro a quella porta di metallo? Le
celle? Un altro corridoio? Sicuramente, altre sentinelle, con molta probabilità
decisamente più esperte e capaci di quelle che si trovavano a pochi metri da
loro. Ad un cenno della ragazza accanto a sé, uscirono allo scoperto,
rinunciando a quel poco di protezione che il buio del corridoio poteva offrir
loro. Le guardie ebbero un'esclamazione di sorpresa non appena li videro,
illuminati dalla luce di una delle torce appese alla parete. Non fecero in
tempo ad imbracciare le armi, che i due ninja erano già su di loro. Il kunai di
Temari si piantò, preciso, nel petto del più basso tra i due, mentre Shikamaru
aveva reciso la gola all'altro, riservandogli la stessa fine dei suoi compagni
di guardia alle porte del Villaggio. “Sei sicura di quello che stiamo
facendo?” le domandò il ragazzo in un sussurro. “Se entriamo, potremmo non
riuscire a tornare indietro.” Lei esitò qualche istante prima di rispondere, poi
lo guardò dritto negli occhi ed annuì. “Voglio vedere Gaara.” decise, e aprì
la porta con mano tremante.
Davanti a loro si snodava un altro lungo corridoio, ma, a
differenza dell'altro, il soffitto era immensamente alto ed era ben illuminato.
Lungo le pareti si trovavano altre porte di metallo, che, probabilmente,
conducevano ad altri corridoi. Non sembravano esserci guardie. Probabilmente,
rifletté Shikamaru, in quel posto non c'era davvero nulla che valesse la pena di
essere protetto. Chiunque fosse giunto lì, avrebbe incontrato dei problemi solo
dopo aver scelto una di quelle porte ed averla aperta. Una di quelle li
avrebbe condotti da Gaara, ma quale? Come avrebbero fatto a sceglierne una?
Fissò la ragazza, che si stava guardando intorno corrucciata. “Da quando sono
stata qui è cambiato tutto.” mormorò Temari, quando si accorse del suo
sguardo. “Non so dove dovremmo andare.” “Proviamone una a caso e speriamo che
sia quella giusta.” propose lui alla fine, ma aspettò prima di aprirne una.
Cercò di ricordare nella sua mente l'esatta ubicazione dell'edificio carcerario,
e di ricostruire nel modo più preciso possibile la planimetria sotterranea di
Suna. Alla fine, titubante, prese la sua decisione. Uno sguardo scambiato in
fretta con Temari gli fece capire che lei era giunta alla stessa conclusione, e
questo lo rilassò. Inspirò profondamente e si avvicinò alla porta che, secondo i
suoi calcoli, si trovava più a sud. L'aprì, trattenendo il respiro per
l'agitazione. Se avesse sbagliato, non era certo che sarebbero riusciti a
sopravvivere alla Squadra Speciale di Suna. Perché, naturalmente, erano loro che
controllavano il carcere, proprio come a Konoha quel compito era affidato agli
ANBU. Anche Temari, dietro di lui, era nervosa. Improvvisamente furono
assaliti da un nauseabondo odore, intriso di sudore, sangue e sporcizia,
ampliato dal caldo opprimente che li avvolse. Shikamaru deglutì a vuoto,
nauseato. La ragazza si era portata una mano alla bocca, reprimendo un conato di
vomito. Il giovane non sapeva cosa lo stesse spingendo a continuare, ma era
perfettamente a conoscenza del fatto che entrare in quel posto era di estrema
importanza per Temari, che, in fondo, voleva soltanto vedere suo
fratello. Mosse un passo all'interno della stanza che gli si parava davanti,
e si sentì mancare. Il caldo, insopportabile, gli toglieva il respiro. Si
accorse in quel momento che tutte le pareti erano di metallo, e questo lo
rassicurò. Alla fine, aveva scelto la porta giusta. Il carcere non era molto
grande, e non c'erano guardie in giro. Probabilmente, rifletté Shikamaru,
ritenevano che mandare delle forze armate in un luogo così debilitante fosse uno
spreco. Ma per quale motivo, allora, c'erano soltanto due soldati a sorvegliare
l'intero edificio? Come era possibile una cosa del genere? Il Kazekage confidava
così tanto in sé stesso da credere che nessuno avrebbe tentato di entrarvi?
Forse sarebbero stati più fortunati di quello che pensavano. Forse sarebbero
riusciti a portare via Gaara quel giorno stesso. Dalla stanza si diramavano
diversi corridoi, da cui provenivano lamenti, pianti e gemiti soffocati. Temari
si diresse verso il più vicino, e scomparve nella penombra, senza attendere che
Shikamaru la seguisse. Il ragazzo fece appena in tempo a raggiungerla, che
sentì chiaramente il tonfo sordo di un corpo che cadeva a terra. Le si avvicinò,
e si sporse oltre di lei per vedere cosa fosse accaduto. Ai piedi di Temari
giaceva un cadavere insanguinato, colpito alla schiena, con un unico colpo
preciso. Una guardia. Nessuno dei due disse nulla. Alla loro destra si
trovava una delle celle. La parete era costituita interamente da una grata di
metallo, che permetteva di vedere bene all'interno. Decine di persone, ammassate
l'una sull'altra, troppo sfinite persino per accorgersi della loro
presenza. In un angolo, un bambino piangeva disperato, tra le braccia di una
donna immobile con gli occhi chiusi. “Non è qui.” mormorò Temari dopo un po',
scrutando la cella con apprensione. Il giovane annuì, e la seguì fino ad
un'altra cella. Non appena riuscirono a scorgerne l'interno, Temari impallidì
visibilmente, barcollò, fece qualche passo traballante in avanti, poi corse
accanto alle sbarre. Anche Shikamaru l'aveva visto. Gaara era a terra, lì
accanto, con gli occhi chiusi ed il respiro affannato. Aveva il volto
impolverato, incrostato di sangue, con rivoli di sudore che gli correvano sulla
pelle fino a gocciolare sul terreno sabbioso. Temari allungò una mano fino a
sfiorargli la fronte, e il giovane aprì gli occhi stanchi. Riuscì a voltare la
testa fino a scorgere la figura della sorella, aprì la bocca per parlare, ma la
richiuse subito dopo. “Gaara...” mormorò la ragazza, ignorando Shikamaru,
che li aveva raggiunti per verificare le condizioni del giovane
Kazekage. “Gaara... cosa ti hanno fatto?” lui non rispose. Si mosse
leggermente, poi, con evidente fatica, in un rantolo, riuscì a
sussurrare: “Acqua...” Shikamaru si allontanò nuovamente, mentre la
kunoichi bagnava un fazzoletto e, attraverso le sbarre, bagnava le labbra
screpolate del fratello. Certo, aveva immaginato che non avrebbero trovato
Gaara in condizioni ottimali, ma non si aspettava un simile spettacolo dopo soli
tre giorni di prigionia. Evidentemente, il nuovo Kazekage aveva deciso di non
perdere tempo. Che strazio doveva essere, per Temari, vedere il fratello minore
in quelle condizioni, dopo che il ragazzo aveva dovuto patire la fame, la sete,
e, probabilmente, a giudicare dalla quantità di sangue, anche le torture
spietate dei carcerieri di quel Paese che, da quel punto di vista, era sempre
stato estremamente barbaro? Gaara non era certo in grado di muoversi, quindi,
l'unico modo per tirarlo fuori di lì era portarlo via di peso. Ma come potevano
fare? Avrebbero avuto il coraggio di lasciare indietro tutti gli altri
prigionieri? Come potevano spiegare loro che Gaara era l'unica speranza di
salvezza che avevano? Improvvisamente un rumore lo fece sobbalzare. Tese
l'orecchio, e udì chiaramente un gruppo di persone che correvano nella loro
direzione. Li vide svoltare l'angolo, accorgersi della sua presenza. Corse da
Temari. “Corri! Ci hanno scoperti, dobbiamo andarcene subito da qui!” gridò,
afferrandola per un braccio e costringendola ad alzarsi. “Non posso lasciarlo
qui...” protestò lei, ma Shikamaru non la ascoltò. La prese per le spalle, la
scosse con violenza. “Se ci prendono, ci ammazzano! Come pensi di essergli
utile da morta? Lo porteremo fuori di qui, ma non adesso!” le mise in
mano un kunai, che lei afferrò con poca convinzione. “Vai... corri...” la
voce roca di Gaara le arrivò debolissima, ma per lei fu come uno schiaffo. Si
riscosse immediatamente, e si scagliò con violenza contro i tre ninja che li
avevano raggiunti, imitando Shikamaru, che ne aveva già impegnati due in un
corpo a corpo serratissimo, che lo vedeva in netto svantaggio. Si diresse
decisa verso quello che la stava puntando. Armata solo di un kunai, mentre
quello stringeva tra le mani una katana, non si perse d'animo; sentiva la rabbia
ribollirle nello stomaco ripensando ai tagli e alle abrasioni sul volto del
fratello, i lividi sui polsi e sulle caviglie, la pelle secca per il caldo e la
disidratazione. Voleva scoprire chi l'aveva ridotto così, chi era stato a fargli
del male. Poco importava chi avesse dato l'ordine di farlo, a lui sarebbe
toccato per ultimo, e la sua fine sarebbe stata la più violenta tra tutte. Ma
quello che l'aveva torturato, che non aveva avuto il coraggio di ribellarsi, di
pensare che, in fondo, nonostante fosse un Kazekage ed un grande ninja, Gaara
era solamente un ragazzino, che non avrebbe meritato quelle sevizie; anche lui
avrebbe dovuto pagare. E se non era il ninja contro cui stava lottando, e che
l'aveva già ferita con quella spada che sapeva utilizzare tanto bene, allora
sarebbe stato un altro; forse uno di quelli che combattevano con Shikamaru,
forse la guardia che lei aveva ucciso di fronte all'altra cella o magari quelle
che facevano la guardia alle porte del Villaggio... In un momento di cieco
furore, piantò il kunai nel petto dell'avversario, e lo lasciò lì, senza curarsi
di controllare se fosse vivo o morto; colpì con un potente pugno alla nuca uno
degli avversari di Shikamaru, che tagliò la gola all'altro. Con la vista
appannata per le lacrime, seguì Shikamaru lungo il corridoio, sentendo le voci
delle guardie dietro di loro. Improvvisamente, la consapevolezza di aver
lasciato lì Gaara la avvolse, e le gambe le cedettero sotto il peso di quella
rivelazione. Non appena Shikamaru se ne accorse, però, tornò indietro per
raggiungerla, inginocchiata a terra; la sollevò, la rimise in piedi, e tenendola
per una mano continuò a correre, disperatamente, fino a farsi bruciare i
polmoni, cercando di evitare i kunai che i ninja lanciavano loro. Uno lo colpì
di striscio ad un braccio, ma nella fretta di mettersi in salvo non se ne
accorse. Quando Temari vide il graffio, però, aumentò il passo, ritrovò sé
stessa. Correndo, lanciò indietro degli shuriken, senza controllare se fossero
andati a segno oppure no; accelerò finché poté, ma non lasciò la mano di
Shikamaru, che stava qualche passo davanti a lei. Aprirono di botto la porta
nella roccia, e delle frecce sibilarono intorno a loro. Il ragazzo le scansò
tutte, aiutando anche Temari, che ne aveva deviate alcune con un
kunai. “Maledizione...” borbottò la giovane tra i denti, saltando per evitare
che una freccia la colpisse alla gamba. Arrivarono alle porte del Villaggio.
C'erano decine di guardie ad aspettarli, e insieme realizzarono che non
sarebbero mai riusciti ad uscire senza fare una strage. Mentre il ragazzo
impegnava alcune di loro in combattimento, cercando di impedire che arrivassero
a Temari, lei avvolse le sue armi in delle carte bomba, poi le lanciò contro le
pareti rocciose, facendole esplodere. I massi crollarono sull'intera Squadra
Speciale, mentre Shikamaru era riuscito a fare un salto indietro e ad evitare la
frana. Corsero sopra ai detriti, passando sui cadaveri delle guardie che
avevano cercato di fermarli. Arrivarono al rifugio, sfiniti. Passarono dalla
botola uno dietro all'altro, silenziosi.
Non appena furono dentro, Shikamaru si lasciò crollare a terra,
portandosi una mano al cuore, che batteva furiosamente nel petto sanguinante.
Non si accorto di quelle ferite durante la fuga. A osservarle bene non
dovevano essere più che tagli, anche se bruciavano in modo terribile. Spostò lo
sguardo sulla ragazza e si accorse che anche lei sanguinava, dalle gambe, dalle
braccia e da un taglio che le attraversava la fronte, anche se sembrava non
essersene accorta. Tremava violentemente, era più pallida che mai e aveva gli
occhi lucidi e rossi. Rimase ferma in mezzo al rifugio per un po', senza muovere
un muscolo, poi, all'improvviso, barcollò e cadde in ginocchio, accasciandosi a
terra. Shikamaru si alzò di scatto, maledicendo i lividi, i tagli e la
stanchezza, e le si avvicinò. Le circondò le spalle con le braccia, ignorando le
sue proteste, e la tenne stretta a sé. Lei cercò di divincolarsi, disperata,
ma Shikamaru non lasciò andare. Le portò una mano alla testa e le carezzò i
capelli. “Calmati, Temari, cerca di calmarti. Torneremo, torneremo a prendere
Gaara non appena sarà possibile.” Lei posò le mani sul petto del ragazzo,
sporcandole di sangue, lo allontanò con forza, lo guardò negli occhi con le
lacrime che le correvano lungo le guance. “Tu non capisci! Sai che cosa vuol
dire per me tutto questo? Avremmo dovuto portarlo via prima, ne avevamo la
possibilità, e invece non ci siamo riusciti! E' sempre lui, sempre lui! Perché?
Perché tutto questo? Cos'ha fatto la mia famiglia di tanto sbagliato per
meritarsi così tanta sofferenza? Cos'ha fatto Gaara di così sbagliato per
meritarsi una vita così crudele?” Il ragazzo chinò lo sguardo. “Non sto
dicendo che per te non sia una sofferenza, cerca di capire. Credi davvero che
Gaara sarebbe riuscito a sopravvivere ad una fuga come quella di prima? E' un
miracolo se noi siamo vivi. Lui non ce l'avrebbe fatta, lo sai. Non odiarmi
perché ti ho portata via, non l'abbiamo abbandonato. Lui lo sa.” “Mi sento
così in colpa...” la ragazza si allontanò da lui, e si mise a cercare qualcosa
nella sua borsa. Alla fine, ne estrasse delle bende. Si avvicinò a Shikamaru,
gli levò la maglia senza troppi complimenti ed iniziò a medicargli le ferite.
Lui le portò una mano al volto, asciugandole le lacrime con un dito. “Non
piangere, Temari. Ce la faremo sicuramente. Mancano ancora quattro giorni.”
***
Gaara chiuse gli occhi e cercò di deglutire, invano. Circondò le
ginocchia con le braccia, e vi affondò la testa. La vista della sorella,
poche ore prima, gli aveva dato la forza di mettersi seduto. Sapeva che di lì a
poco sarebbero arrivate le guardie, lo avrebbero preso e picchiato nuovamente,
per sapere come avessero fatto Temari ed il ninja della Foglia ad entrare nelle
carceri, ad uccidere gli shinobi di Suna, a trovarlo e parlargli. Nonostante
tutto, il ragazzo si sentiva estremamente soddisfatto. Aveva sentito alcuni
uomini parlare, poco tempo prima, quando avevano portato via i cadaveri delle
guardie che Temari e Shikamaru avevano ucciso. Sembrava che avessero
iniziato a dubitare della forza del nuovo Kazekage. Quando si erano avvicinati
alla cella del giovane, lui aveva potuto notare dei lividi sui loro volti
spaventati. Forse anche loro erano stati torturati, per aver fallito così
miseramente un compito semplice come quello di sorvegliare il carcere. Quando
si erano accorti del suo sguardo, uno dei due gli aveva lanciato un veloce
sguardo di incoraggiamento. Si era allontanato, ed era tornato poco dopo con una
brocca piena d'acqua, che aveva usato per pulirgli del sangue il viso pallido, e
per dissetarlo. Gaara sapeva che quegli uomini odiavano il nuovo Kazekage
almeno quanto lui, ma la paura li teneva soggiogati, proprio come il resto del
popolo.
In quel momento, la cella s'aprì. Entrarono due di quelli che
gli erano stati fedeli, mentre lui era al potere. Erano due uomini giovani e
ancora inesperti, totalmente alla mercé degli scagnozzi del nuovo Kazekage. Gli
si avvicinarono e lo afferrarono per le braccia, facendolo alzare. Si muovevano
in fretta, eppure sembrava che stessero cercando di trattare il ragazzo con il
maggior riguardo possibile. Lo portarono in una stanza fortemente illuminata,
dove lo attendeva il suo aguzzino, con un ghigno sadico negli
occhi. “Bentornato, signor Kazekage.” Il ragazzo lo fissò qualche istante,
con la testa alta, senza paura. L'uomo prese una frusta da terra. “Ciò che ha
fatto tua sorella è molto grave, ragazzino, e adesso il popolo l'ha saputo, e
per le strade non si fa altro che insultare il nuovo Kazekage, che è molto
dispiaciuto per questo comportamento.” Il suo ghigno si allargò. “Pertanto, mi
ha pregato di darti una lezione coi fiocchi, che sia di monito per tutti.
Inutile dire che mi farà enormemente piacere.” Senza dire altro, gli si
avvicinò, lo prese per un braccio e lo trascinò fino ad un angolo della stanza,
dove si trovava un pilastro di legno scuro. Gli strappò la maglietta sporca e
lacera, la gettò da una parte. Lo costrinse ad appoggiarsi col petto al palo, e
gli legò le mani in modo che non potesse muoversi. Infine, con calma
esasperante, srotolò la frusta.
Non appena la frusta gli toccò la schiena per la prima volta, il
giovane non riuscì a reprimere un urlo di dolore. Il secondo colpo arrivò
talmente in fretta che la voce gli morì sulle labbra, il respiro gli si mozzò e
la vista si appannò. Al terzo colpo, iniziò a non capire più ciò che gli
accadeva attorno. Avvertiva il dolore lancinante della pelle che si lacerava
sotto a quelle sferzate così violente, ma ciò che vedeva era troppo offuscato
per poterlo distinguere, e un fischio ininterrotto nelle orecchie non gli
permetteva di ascoltare ciò che il carceriere gli stava dicendo. Nella sua
mente riusciva ad elaborare solo immagini confuse di ciò che era accaduto quella
notte, quando Temari gli si era avvicinata con le lacrime agli occhi. Mai, in
tutta la sua vita, l'aveva vista piangere. Era sempre stata una ragazza forte.
Certe volte, Gaara era riuscito persino a pensare che tra i tre fosse proprio
lei quella in grado di sopportare più dolore. Aveva imparato bene a nascondere i
propri sentimenti, forse anche inconsciamente, per potersi occupare di due
fratelli che da soli non sarebbero riusciti a sopravvivere. Era a lei che
dovevano tutto. Il ragazzo si ripromise che, una volta uscito di lì, avrebbe
trovato un modo per sdebitarsi con lei, che in quel momento si stava affannando
per aiutarlo, stava collaborando con un nemico, mettendo a repentaglio la
propria incolumità, per tirarlo fuori di lì. “Bene, ragazzino.” lo canzonò il
carceriere, dopo quelle che sembravano ore, slegandogli i polsi. “Direi che sei
pronto.” Lo sollevò senza difficoltà, in malo modo. “Adesso la tua gente
vedrà che cosa succede a chi si oppone al Kazekage.” Lo portò su una delle
rocce, nel punto dove il villaggio era più popolato. A metà altezza erano state
fissate delle corde, e quando le vide, Gaara capì cosa gli avrebbero
fatto. Non reagì quando la guardia gli legò i polsi in alto sopra alla testa,
né quando gli passò una corda intorno al torace per fare in modo che non
cadesse. “Rimarrai appeso qui tutto il giorno, moccioso.” spiegò compiaciuto
l'uomo, prima di andarsene. Gaara rimase immobile. Sentiva il sangue che
colava dalla schiena ferita sulla roccia bollente, e il sole cocente che gli
illuminava il volto, impedendogli di aprire gli occhi. Trasse un respiro
profondo, si fece coraggio. Avvertiva che le forze lo stavano abbandonando, ma
non si diede per vinto, respirò di nuovo, risentì nella mente ciò che la sorella
gli aveva detto, poche ore prima. “Resisti, Gaara. Resisti.”
Ecco qui. Allora, come sempre credo di essere andata
decisamente OOC... Comunque sia, fatemi sapere cosa ne pensate.
Bacioni,
rolly too |
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Capitolo 5 *** Quarto giorno ***
Ultime notizie dal Veneto: io giuro solennemente che non
pubblicherò mai più una fiction prima di averla completata. Questo giuramento
nasce dal fatto che mi sto rendendo conto sempre di più che questa è una delle
classiche storie assai difficile, per me, da scrivere, quindi mi ritrovo
spesso a corto di idee. Pertanto, per questo capitolo dovete ringraziare la
mia formidabile beta i_still_believe, che mi ha aiutata tantissimo con la trama.
Detto questo, ringrazio immensamente tutti quelli che hanno commentato lo scorso
capitolo, e che mi fanno trovare la voglia di continuare.
Shikamaru sbuffò per l'ennesima volta, scostando un
ricciolo biondo dal volto di Temari, che dormiva, stesa sul futon. Quella
missione che si erano prefissati si stava dimostrando più complessa di quanto
avesse immaginato. L'avventura della notte precedente aveva tolto loro ogni
altra possibilità di entrare al Villaggio liberamente, come, almeno lui, aveva
sempre fatto. Inoltre, nessuno gli garantiva che il Kazekage non avesse
deciso di uccidere Gaara, in seguito a quegli avvenimenti che erano costati così
tante vite umane. Infine, spostò lo sguardo su Temari. La ragazza, in quei
giorni, aveva dimostrato più di una volta di aver perso la lucidità che di
solito la caratterizzava. E ciò significava semplicemente che ora era lui a
dover pensare ad un piano alternativo per entrare al Villaggio ed anche ad un
modo per farla rimanere tranquilla quel tanto che bastava per evitare di essere
scoperti. Non poteva rischiare nuovamente come la sera prima, ma non voleva
neppure allungare la sofferenza di Temari e dei suoi fratelli. Non avrebbe
mai creduto di poter provare pietà per Gaara, eppure quel ragazzino sporco,
pallido e sanguinante aveva ben poco del crudele ninja con cui avevano avuto a
che fare durante l'esame di selezione dei chunin. In quel momento, la giovane
si mosse. Aprì gli occhi ancora lucidi, si mise a sedere e si passò le mani sul
volto esangue. Rimase immobile qualche istante, poi si stese nuovamente, senza
dire una parola, chiuse gli occhi e si riaddormentò. Shikamaru si sdraiò
accanto a lei, sfinito. Da quando erano tornati non era riuscito a chiudere
occhio. Il terrore che lei, una volta sveglia, tornasse al Villaggio da sola,
gli impediva di rilassarsi. Se l'avessero catturata non avrebbero tardato ad
ucciderla o a torturarla. La guardò. Le ciglia lunghe e arcuate erano
bagnate di lacrime, che erano cadute sul cuscino, lasciando una macchia chiara
accanto al suo volto; le labbra carnose socchiuse erano secche e screpolate.
Nonostante tutto, però, il ragazzo sentiva di non aver mai visto niente di più
meraviglioso, da che poteva ricordare.
Temari si svegliò dopo quelle che a lui parvero molte ore. Si
alzò, iniziò a girare per la stanza, nervosa. “Mendekouze, stai calma.” il
ragazzo sbuffò. “Stai calma?!” ripeté la giovane in un grido. “Non dirmelo
mai più. Non dopo aver visto Gaara in quelle condizioni.” sibilò fissandolo
truce. “Sto cercando di pensare ad un altro modo per tornare al Villaggio
senza passare per la porta.” spiegò Shikamaru pazientemente, alzandosi e
raggiungendola. Le posò le mani sulle spalle e la fece sedere a terra. “Ho
bisogno del tuo aiuto, perché io non conosco il Villaggio.” continuò, scrutando
la sua espressione torva. “Non ci sono altre entrate.” lo informò subito la
ragazza. “Quello è l'unico accesso; però potremmo provare a scalare le rocce del
perimetro. Quelle nella zona nord non dovrebbero essere sorvegliate. Anche se da
quelle parti rischiamo di incontrare la guarnigione di Konoha.”
s'interruppe. Shikamaru sapeva a cosa stava pensando. I ninja della Foglia
non avrebbero fatto del male a lui, ma non poteva garantire che non se la
sarebbero presa con la ragazza, nonostante lei li avesse aiutati. L'umore dei
combattenti era a terra, e non si sarebbero fatti scrupoli a sfogare la propria
rabbia su una persona qualsiasi. “Non possiamo passare di lì. Sarebbe
rischioso.” commentò allora. “Che ne dici della zona est?” “E' la più
sorvegliata.” replicò Temari. “Perché ad est c'è Konoha, i nemici arrivano da
lì.” “Giusto...” convenne il ragazzo, seccato. Come aveva fatto a non
pensarci? Gli sembrava di aver perso la facoltà di ragionare. “Forse nella
parte ovest.” tentò. “Anche se è vicina alla porta del carcere, potrebbero
pensare che torneremo da lì...” “Sicuramente sarà così. Dobbiamo tentare
nella parte nord. Tu sei di Konoha, non ti attaccheranno. Ci sono meno rischi.”
considerò la giovane, guardandolo negli occhi. Il suo sguardo parlava chiaro.
Era l'unica scelta che avevano, nonostante per lei fosse molto rischioso. Quanto
era disposta a spingersi oltre per salvare suo fratello? Sembrava che avesse
perso il senso del limite, che non riuscisse più a distinguere ciò che era
estremamente pericoloso da ciò che non lo era. La ragazza aveva intuito i
pensieri di Shikamaru. “I miei fratelli sono tutto quello che mi rimane.”
spiegò, con una nota di tristezza nella voce. “Non amici né parenti, e sono le
persone con cui ho trascorso tutta la mia vita. Kankuro è lontano e io non posso
fare niente per lui, ma Gaara è qui vicino a me, ed io devo almeno provare. A
costo di farmi uccidere.” Il giovane si limitò ad annuire. “Proviamoci,
allora.” si avvicinò alla botola, l'aprì, uscì. La ragazza lo seguì
immediatamente. Camminarono veloci, in silenzio, fino alla parte nord.
Iniziarono ad arrampicarsi, e subito Shikamaru si lasciò sfuggire
un'imprecazione a mezza bocca. Le rocce scottavano a causa del sole cocente.
Tolse in fretta la mano, e concentrò il chakra sui piedi. Lo stesso fece Temari,
quando si accorse che non era in grado di toccare la roccia senza
scottarsi. Arrivarono in cima sfiniti, con il volto imperlato di
sudore. Avanzarono lentamente, fino a scorgere l'interno del Villaggio dal
punto in cui si erano fermati. Un gruppo di persone era fermo davanti alla
parete rocciosa nella zona ovest del Villaggio. Shikamaru strizzò gli occhi,
cercando di vedere meglio. Temari, invece, aveva già capito. Lo afferrò per un
braccio, lo avvicinò a sé. “E' Gaara!” gemette, improvvisamente pallida.
“Hanno legato Gaara alla parete di roccia!” Il ragazzo la guardò stralunato.
Scesero insieme nel Villaggio, sperando che nessuno li vedesse. La giovane si
coprì il volto con un velo leggero, come erano solite fare le donne di Suna per
proteggersi dalle tempeste di sabbia. Shikamaru si tirò il cappuccio del
mantello che aveva indossato fin sugli occhi, e camminò a testa bassa finché non
raggiunsero quel gruppetto, che andava via via infoltendosi. Alzarono lo
sguardo e lo videro. Davanti a loro, a metà altezza, sulle rocce del Villaggio,
legato con delle corde, c'era Gaara. Temari barcollò, si aggrappò a
Shikamaru. Senza maglietta, il sangue era colato dalla schiena fino a terra,
macchiando il terreno sabbioso. Nel petto molti lividi e tagli facevano bella
mostra di sé, il volto appariva come una maschera di sangue. Alcuni dei
cittadini parlavano a bassa voce tra di loro. Ad un certo punto, uno di loro
si allontanò dagli altri, e si avvicinò al ragazzo. “Kazekage-sama!” lo
chiamò. Il ragazzino non si mosse. “Kazekage-sama!” ripeté l'uomo, più forte.
Gaara socchiuse gli occhi,, si tese per un istante, poi sembrò perdere i sensi
nuovamente. “Resistete, Kazekage-sama!” gridò un ragazzino tra la folla.
In quel momento arrivò una guardia. “Avete visto cosa succede a mettersi
contro il Kazekage?” urlò alle persone, mentre altri due shinobi allontanavano
l'uomo che si era avvicinato alla parete rocciosa. “Guardate bene!” continuò
la guardia. “Questo è quello che si meritano i traditori. Il vostro ex Kazekage
aiutava gli shinobi della Foglia, che stanno distruggendo il nostro Villaggio.
Merita tutto questo. E tra tre giorni, all'alba, sarà impiccato come un
traditore.” Nessuno osò ribattere. Sopraggiunsero anche altre guardie, con
dei lunghi bastoni. Una di loro colpì Gaara all'addome, all'improvviso, con
violenza. Shikamaru sentì Temari irrigidirsi, accanto a sé. Le prese la mano
e la strinse. La giovane tremava, con lo sguardo fisso a terra. Il secondo
colpo arrivò dopo pochissimo. La ragazza sussultò, sentendo il rumore sordo
del legno a contatto con il corpo martoriato del fratello.
Rimasero immobili sotto il sole cocente per ore, fino a che le
guardie non smisero di picchiare Gaara. Solo allora Shikamaru osò alzare lo
sguardo sul ragazzo. Aveva riaperto gli occhi, e fissava dritto davanti a sé.
Aveva la bocca piena di sangue, che sputò a terra dopo un colpo di tosse.
Tremava violentemente, e appariva privo di forze. Nonostante tutto, però,
guardò le persone che erano immobili davanti a lui, ad una ad una, con una luce
di riconoscenza negli occhi. Si soffermò qualche istante in più quando si
accorse della presenza di Temari, che aveva puntato su di lui gli occhi verdi
pieni di lacrime. Una delle guardie si arrampicò sulla roccia, fino ad
arrivare accanto al giovane. Tagliò le corda che lo teneva legato all'altezza
del petto, ed iniziò a tagliare anche quelle dei polsi. Quando Shikamaru capì
cosa stesse per accadere, guardò Temari, che, pallidissima, teneva gli occhi
puntati sul fratello. All'ultimo momento, la costrinse con una mano a voltare il
viso e ad appoggiarlo sul suo petto. Gaara cadde al suolo con un tonfo sordo
ed un gemito di dolore. Shikamaru sentì Temari chi si afflosciava tra le sue
braccia, inerme. Senza farsi notare dalle guardie, la sollevò delicatamente e si
diresse, senza pensare, verso la parte nord del Villaggio. Doveva uscire più
in fretta possibile, o avrebbe attirato troppo l'attenzione. Se l'avessero
visto, sicuramente gli avrebbero chiesto che cosa ci faceva con una ragazza
svenuta in braccio. E se solo l'avessero vista, l'avrebbero riconosciuta
all'istante.
“Shikamaru!” una voce improvvisa alle sue spalle lo fece
sobbalzare. Si voltò di scatto, riconoscendo davanti a sé la figura scarna di
Neji Hyuuga, che lo fissava severo. “Che cosa ci fai qui? Ti abbiamo dato per
morto quattro giorni fa.” domandò, accigliato. Il ragazzo si morse un labbro,
stringendo con più forza Temari. Quanto poteva fidarsi di Neji? Chi gli
garantiva che poi l'altro non avrebbe avvisato i jonin di competenza?
L'avrebbero di certo costretto a combattere, e non era sicuro che avrebbero
risparmiato a Temari la sorte che toccava ai nemici di Suna. “Non c'è tempo
di spiegare. Devo andarmene subito.” “Scappi? Noi qui combattiamo da mesi, e
tu te ne vai con una della Sabbia? Lo sai che cosa ti fanno se ti scoprono?” lo
apostrofò lo Hyuuga, provocatorio. “Io conto sulla tua discrezione.” replicò
Shikamaru. “Ti prego, Neji, è importante.” “Anche il tuo Paese lo è.” lo
rimbeccò subito Neji, e si avvicinò. “Sarai considerato un traditore. Sei in
combutta con quelli di Suna?” “Devo aiutarla.” fece un cenno col capo alla
ragazza che teneva tra le braccia. “Vuole soltanto salvare suo fratello. Se
Gaara venisse liberato, credi davvero che lascerebbe in vita il nuovo Kazekage?
Il popolo non si ribellerà, la guerra finirà e tu potrai tornare a casa, come
tutti gli altri.” “E' così importante questa cosa per te?” “E'
lei che è importante per me.” Neji lo fissò qualche istante,
silenzioso. Sembrava stesse riflettendo. Alla fine, indicò a Shikamaru un
passaggio che i ninja della Foglia avevano scavato nella roccia. “Esci, e fai
in fretta. Io non ho visto né sentito niente.” Il giovane non se lo fece
ripetere. Lo salutò con un cenno del capo, e corse fuori dal
Villaggio.
Arrivò al rifugio, premurandosi di cancellare le tracce, e, una
volta dentro, stese Temari sul futon. Quello svenimento improvviso era
l'ultima cosa che si sarebbe aspettato da una ragazza forte come lei. Eppure,
pareva che in qualche modo la sofferenza dei fratelli la rendesse più
vulnerabile. Shikamaru si chiese quanto le fosse costato vedere Gaara in quelle
condizioni, senza la possibilità di fare nulla. Si sentiva colpevole per
quello che era successo, forse? Si rammaricava di non poter fare di più?
Shikamaru avrebbe dato qualunque cosa per alleviare quel dolore, per garantirle
che Kankuro stava bene, e che anche Gaara si sarebbe salvato senza
difficoltà. In qualche modo, sapeva che in quel momento Kankuro non era in
pericolo. Sarebbe dovuto giungere a Konoha di lì a qualche ora, sempre che non
vi fosse già arrivato, e presto sarebbe stato di ritorno. Ma non era certo
che Gaara avrebbe resistito per altri tre giorni. L'avevano trovato molto più
mal ridotto di quello che si aspettavano, e nel giro di un giorno era stato
sottoposto a torture che avrebbero ucciso chiunque. Sperava soltanto che il
ragazzo si dimostrasse abbastanza forte da poter sopravvivere.
***
Kankuro barcollò fino alle porte del Villaggio della Foglia,
premendo una mano sulla ferita alla gamba. L'aveva medicata come aveva potuto,
utilizzando come benda un pezzo della sua tuta, e non aveva certo rallentato il
passo per quello che riteneva un semplice taglio. Maledisse più e più volte i
ninja che l'avevano attaccato. Se non fosse stato per loro, certo in quel
momento non avrebbe avuto la vista così annebbiata per il dolore, e,
soprattutto, avrebbe evitato di indebolirsi per la perdita di sangue. Imprecò
energicamente quando inciampò su una radice, perdendo l'equilibrio e
sbilanciandosi in avanti.
Entrò nel Villaggio, e subito i due guardiani gli furono addosso.
Lo esaminarono per un po', in silenzio, probabilmente chiedendosi che cosa mai
ci facesse un ninja della Sabbia, ferito, nel loro Villaggio, nel bel mezzo di
una guerra. “Sei Kankuro?” domandò dopo un po' uno dei due. “Il marionettista
di Suna?” Il giovane annuì. “Devo parlare con l'Hokage.” spiegò. Si rizzò
in piedi come meglio poté, ripetendo: “Devo parlare con l'Hokage.” “L'Hokage
non può certo ricevere ninja nemici in un momento come questo!” ribatté
Izumo. “Devo parlare con l'Hokage.” ribadì allora il giovane, più minaccioso,
nonostante sentisse che le forze stavano per venirgli meno. “Ti abbiamo detto
di no.” replicò Kotetsu, poi aggiunse: “Ma tu sei ferito. Ti portiamo in
ospedale.” Kankuro fece per protestare, ma una fitta particolarmente forte
gli fece abbandonare ogni tentativo di ribellione, e si lasciò portare via senza
fare troppe storie.
Quando arrivarono in ospedale, la prima persona che vide fu
Sakura. Improvvisamente capì che lei era l'unico modo per arrivare
all'Hokage. La chiamò ad alta voce, pregandola di raggiungerlo. Lei gli corse
vicino, guardò prima Izumo, poi Kotetsu, infine parlò. “Kankuro! Che cosa ci
fai qui? E perché sei ferito?” “Devo parlare con l'Hokage, subito.” la
implorò, fissandola negli occhi chiari. “Ma... Kankuro, l'Hokage adesso non
può...” tentò di dissuaderlo lei, ma il ragazzo la interruppe furibondo. “Lo
so che siamo in guerra, e che vengo dal Villaggio nemico, ma, Kami-sama, io odio
il Kazekage almeno quanto voi! E se non mi aiutate, ucciderà Gaara!” gemette,
esasperato. L'espressione della giovane s'indurì. “Ti metto a posto
quella gamba e poi ti porto da Tsunade-sama.” decise, e senza aspettare iniziò a
guarirlo. Pochi minuti dopo stavano correndo verso il palazzo dell'Hokage,
ignorando gli sguardi stupefatti che gli abitanti lanciavano al ragazzo di
Suna. Giunsero davanti ad una porta di legno scura. Sakura bussò con
foga. La voce della donna la invitò ad entrare. Kankuro rimase ad aspettare
fuori qualche istante. Si guardò intorno, nervoso. Se l'Hokage non avesse
accettato di aiutarlo, cosa avrebbe fatto? Con che coraggio sarebbe tornato da
Temari, per confessarle che non era riuscito nella sua impresa? Già,
Temari... Chissà come stava. Sperava davvero che non si fosse messa nei guai,
che fosse rimasta al sicuro, e che, soprattutto, si fosse sbarazzata di
quell'assurdo ninja della Foglia. Se l'avessero trovata in sua compagnia,
l'avrebbero giustiziata senza troppi complimenti, con l'accusa di complicità con
il nemico e attentato alla patria. E Gaara? Come stava lui? Deglutì a vuoto.
Baki gliel'aveva spiegato bene. Le torture erano estremamente comuni nelle
prigioni del loro Villaggio, e sicuramente il Kazekage non si sarebbe lasciato
sfuggire l'occasione di seviziare Gaara. In quel momento, la porta
s'aprì. “Vieni dentro.” lo invitò Sakura, facendosi da parte per lasciarlo
passare. Una volta all'interno, Kankuro si ritrovò faccia a faccia con
l'Hokage, che lo fissava seria. Era la prima volta che si trovava in presenza di
una persona importante come quella. Da che era nato, il Kazekage era sempre
stato uno dei suoi famigliari, eccezion fatta, ovviamente, per quell'usurpatore
che secondo lui non aveva assolutamente nulla di importante. “Hokage-sama...”
iniziò, titubante. Poi, vedendo che la donna non lo interrompeva, continuò più
deciso: “Hokage-sama, sono venuto qui per chiedervi aiuto. Il Kazekage ha
catturato Gaara, lo impiccherà tra tre giorni perché ha aiutato i ninja della
Foglia. Io lo so che siamo in guerra, ma né io né Temari siamo in grado di
aiutarlo... Siamo ricercati anche noi, e rischieremmo soltanto di aggravare la
situazione. Vi prego...” “Basta così. Ho capito la situazione. Tu capisci,
però, che noi siamo a corto di uomini. Non posso mandarti in aiuto una squadra
particolarmente abile, perché qui sono rimasti soltanto genin e chunin. Se credi
di poterti accontentare, potrei anche concederti un paio di persone...” “Un
paio di persone andranno benissimo.” replicò subito Kankuro, colpito da tanta
disponibilità. “Allora ho chi fa per te. Intanto verrà Sakura, in caso Gaara
avesse bisogno di un medico. E poi, c'è un'altra persona... Sì, qui al Villaggio
ci dà un sacco di problemi, è troppo agitato.” Improvvisamente la porta si
spalancò. “Kankuro! Cosa ci fai tu qui?” Il giovane guardò il ragazzo che
era entrato e accennò un sorriso tirato. Forse sarebbero davvero riusciti a
salvare Gaara.
Mi rendo conto che non è nulla di speciale, ma sto affrontando un momento di ispirazione zero, che spero
passi presto. Per questo motivo non posso fare promesse riguardo al prossimo
capitolo.
Spero di leggere i vostri pareri!
Baci,
rolly too |
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Capitolo 6 *** Quinto giorno ***
Bene, per prima cosa direi che è il caso che io mi scusi
per l'enorme ritardo e che vi ringrazi per tutti i bellissimi commenti che mi
avete lasciato. In secondo luogo vi chiedo di perdonarmi perchè questo capitolo
è oscenamente corto, e perchè davvero non è niente di speciale. Sono riuscita a
scriverlo soltanto grazie alla mia carissima i_still_believe, che dovete
ringraziare per questo capitolo. Detto questo, vi lascio alla
lettura.
Temari scagliò con violenza il bicchiere contro la parete, mandandolo in
frantumi. Non appena aveva riaperto gli occhi, ed aveva ricordato ciò che era
successo quella mattina, aveva iniziato a sfogare la sua rabbia sugli oggetti
che le erano passati tra le mani, e tutti erano finiti in pezzi. Sotto lo
sguardo vigile di Shikamaru, solo l’orsetto di peluche con cui Gaara doveva aver
giocato da bambino era stato risparmiato. Ma il futon era stato ridotto a
brandelli di stoffa, le pareti erano solcate da profonde incisioni che la
ragazza aveva fatto con dei kunai. Il giovane, da che aveva iniziato, non
aveva avuto il coraggio di dire nulla. L’aveva lasciata fare, sperando che prima
o poi la sua ira scemasse, ma per il momento si vedeva costretto ad ammettere
che, di quel passo, avrebbe distrutto l’intero rifugio. L’orgoglio della
kunoichi era stato ferito quando, solo poche ore prima, lei gli era “miseramente
crollata in braccio, come una stupida ragazzina qualsiasi.”Shikamaru aveva
tentato di convincerla che avrebbe potuto capitare a chiunque, ma lei gli aveva
risposto con un ringhio furioso, così aveva lasciato perdere. Tuttavia,
riconosceva che la situazione gli stesse decisamente sfuggendo di mano. Se per
qualche istante, il giorno prima, aveva pensato che sarebbero riusciti a salvare
Gaara, in quel momento le sue speranze erano ridotte all’aiuto che avrebbe
dovuto arrivare da Konoha entro qualche giorno. “Mendekouze...” mormorò,
quando la giovane sbatté il pugno contro la parete con talmente tanta violenza
da tagliarsi. Le si avvicinò, consapevole del fatto che lei aveva ormai
imparato ad accettare di avere un contatto fisico con lui, la cinse da dietro,
la afferrò le mani e le strinse, poggiando il mento sulla sua spalla. “Basta,
Mendekouze, basta così. Finirai per ammazzarti, se continui.” “Lasciami.”
sibilò lei, truce. “Tu non capisci.” Lui scosse il capo, costringendola a
voltarsi verso di lui e a guardarla negli occhi. “No. Spiegamelo tu, allora.”
la guardò, e riconobbe un lampo di stupore negli occhi verdi. “Quello che
provo non ha importanza.” replicò lei, chinando lo sguardo. “Dobbiamo solo
cercare di salvare Gaara.” “Ti sbagli.” ribattè Shikamaru. “Quello che provi
ha molta importanza. Perché se io devo combattere insieme a te, se dobbiamo
passare ancora molto tempo insieme, allora vorrei sapere cosa ti passa per la
testa.” “Lo dici perché non sai più come fare per farmi stare ferma o perché
ti interessa davvero?” “Mi interessa davvero.” Temari si sedette a terra
ed incrociò le gambe, sospirando. Si spostò una ciocca di capelli dal volto,
mentre Shikamaru si accoccolava accanto a lei, attento. “Da quando sono nata,
mi hanno sempre detto che un ninja non deve aver paura di nulla. Ed è la stessa
cosa che hanno ripetuto anche a Kankuro. Ma poi, quando è nato Gaara, mi hanno
insegnato che di lui era giusto aver paura. Ero abituata a vedere gli shinobi
del mio Villaggio come delle persone coraggiose, che non temevano di gettarsi
nella battaglia, né di cadere uccisi durante le missioni. Ma poi, quando Gaara
ha iniziato a capire che con il suo potere poteva fare molto più di quanto non
possano fare i ninja normali, allora loro hanno iniziato ad avere il terrore di
lui. E cosa potevo pensare io di mio fratello, vedendo che i più grandi shinobi
ne erano terrorizzati? L’idea di stare insieme a lui mi faceva star male, se era
in casa non lo guardavo neppure, ed ho spinto Kankuro a fare lo stesso.
“Vedi, Kankuro, all’inizio, non capiva cosa ci fosse di strano in Gaara.
Diceva che era persino più piccolo di noi, che non dovevamo averne paura. Ma
poi, quando avevo sette anni...” sospirò “Gaara ha cercato di uccidere Kankuro.
Non so perché. Ci siamo spaventati a morte entrambi, e non volevamo più avere
nulla a che fare con lui. Così mio padre l’ha affidato a Yashamaru. Credo che
avesse capito che lo odiava, nonostante cercasse di dimostrarsi gentile. Fatto
sta che ci siamo persi di vista. Tuttavia, avevamo ancora molta paura di lui, e
il fatto di non vederlo mai peggiorava la situazione.” S’interruppe, e si
voltò verso il ragazzo. Gli occhi erano lucidi, ma sembrava del tutto non
intenzionata a piangere di nuovo. “Me ne vergogno così tanto...” mormorò.
“Era soltanto un bambino, se l’avessimo amato di più forse tante cose si
sarebbero potute evitare...” Il ragazzo scosse il capo. “Anche tu eri
soltanto una bambina. La colpa di quello che è successo non è né tua né dei tuoi
fratelli.” con lo sguardo la invitò a continuare. “Dopo che Gaara ha ucciso
Yashamaru, è tornato a vivere con noi. Credo che in quel periodo lo odiassi. Gli
stavo lontano, lo ignoravo. Qualche volta, all’inizio, lui ha cercato di
avvicinarsi a noi, ma non gliel’abbiamo mai permesso. Aveva sempre avuto un
carattere piuttosto instabile, con la scusa che era nato da un jutsu, ma in quel
periodo è peggiorato moltissimo. Mio padre lo teneva chiuso nella sua stanza con
dei sigilli che gli impedivano di uscire, e lo rendevano ancora più
nervoso. Quando credevo che ormai sarebbe impazzito del tutto, c’è stata
tutta la questione degli esami di selezione dei chunin. Da allora abbiamo
cercato di riavvicinarci a lui, ma più ci riusciamo e peggio mi sento...” Si
passò una mano sugli occhi, ricacciando le lacrime, e lasciò che Shikamaru si
avvicinasse di più a lei. “Mi sento in colpa per quello che gli ho fatto. Ed
ora che è in pericolo, che è solo, vorrei poter fare di più. Vorrei fargli
capire che gli voglio bene, che ci tengo davvero a lui.” “Gaara ne dubita?”
chiese il ragazzo, accigliato. “Non ne sono sicura.” ammise Temari,
scrollando le spalle. “Ma mi sembra che faccia fatica a comprendere il nostro
cambiamento. Credo che pensasse che fosse solo un suo problema, che fosse
l’unico a non riuscire a relazionarsi con gli altri.” “Cosa intendi
dire?” “Gaara era convinto di essere l’unico a non avere amici, e questo
perché, se vedeva me e Kankuro, capiva che io e lui ci aiutavamo a vicenda. Non
ha neppure mai immaginato, suppongo, che uno di noi due potesse avere dei
problemi a interagire con gli altri.” “Credeva che riusciste a comportarvi
con gli altri esattamente come vi comportavate tra di voi?” “Sì. Ma non è
così. Quindi lui si è trovato piuttosto spiazzato. Era confuso, io ho cercato di
aiutarlo e non ci sono riuscita come avrei voluto. Soffre ancora molto, e io non
riesco a fare a meno di pensare che sia tutta colpa mia.” “Non è colpa
tua.” “Sono stata io a convincerlo ad aiutare voi della Foglia. Lui non ne
era convinto. Diceva che c’era il pericolo che il nuovo Kazekage se la prendesse
con il popolo, che non c’entrava nulla.” Una lacrima le affiorò
all’improvviso dagli occhi, le cadde lungo una guancia, per poi finire sulla
maglietta, subito seguita da un’altra, e un’altra ancora. Shikamaru le passò
un braccio sulle spalle, e lei, senza aspettare che lui, come faceva sempre, la
stringesse a sé, poggiò il volto al suo petto, piangendo silenziosamente,
aggrappandosi alla stoffa della sua maglia, cercando conforto tra le braccia di
quel ragazzo che in pochi giorni aveva imparato come consolarla e come
comportarsi con lei. Lui non disse nulla. Si limitò e carezzarle i capelli,
tenendola stretta a sé, ripensando a quanto lei gli aveva detto. Quanto le
era costato quel racconto? Lei, che era sempre stata abituata a tenere tutto per
sé, a soffocare i propri sentimenti, quanto aveva sofferto nel raccontargli
quelle cose? Certo, non poteva dire che gli avesse confessato granché, ma in
qualche modo, sapere che lei aveva accettato di aprirgli il suo cuore, di
condividere con lui ciò che la faceva star male, gli dava una strana sensazione
che non sarebbe mai stato in grado di descrivere. “Credo che Gaara sappia che
gli vuoi bene.” mormorò dopo qualche minuto. “Anzi, ne sono certo.” “Come
puoi dirlo?” chiese la ragazza con voce tremante, senza accennare a volersi
allontanare da lui. “Dal modo in cui ti ha guardata questa mattina, quando si
è accorto della nostra presenza. Sono sicuro che lui non prova nessun rancore
nei tuoi confronti.” Lei non rispose. Rimase immobile, allentando la presa
sulla maglietta, lasciandosi consolare dal ragazzo.
Shikamaru si mosse leggermente. Temari si era addormentata ancora stretta a
lui, in una posizione davvero scomoda per il giovane, che cercava in tutti i
modi di spostarsi lievemente, senza svegliarla. Dopo vari tentativi, rinunciò
all’impresa. Si avvicinò con il volto ai capelli ricci della ragazza, perdendosi
nel suo profumo dolce e caldo. Improvvisamente gli venne da sorridere. Se
Choji l’avesse visto in quel momento... l’amico che da anni gli ripeteva che non
era assolutamente normale che lui non avesse interesse per le ragazze, cosa
avrebbe detto se avesse saputo che in quel momento Shikamaru teneva stretta a sé
una ragazza che aveva imparato a definire, nella sua mente, come splendida? Se
solo avesse sentito il cuore del suo amico che batteva furiosamente nel petto, o
la piacevole sensazione che l’aveva preso alla bocca dello stomaco... Si
ritrovò a pensare ad una discussione che avevano avuto prima di partire per
quella folle guerra, quando Choji gli aveva detto che avrebbe dovuto imparare a
distinguere una ragazza bella da una brutta. E Shikamaru gli aveva risposto che
non era la bellezza ciò che cercava. Guardò Temari, che ancora dormiva, e
sorrise. La ragazza che faceva per lui era tra le sue braccia. Era
intelligente, astuta. Capace, ne era certo, di amare con passione, e di odiare
con altrettanto accanimento. E amava il suo profumo, che sapeva di dolce, di
sabbia; il calore della sua pelle abbronzata dal sole cocente del suo Paese; il
colore dei suoi occhi; e anche quel corpo non proprio perfetto che a lei non
piaceva. In quel momento la ragazza si mosse. Aprì gli occhi, lo guardò, si
allontanò da lui. Non disse nulla, si limitò a voltarsi con lo sguardo verso la
parete e a restare immobile nel silenzio del rifugio. Shikamaru si
alzò. Doveva tentare di rientrare al Villaggio, non appena avesse fatto buio,
ma questa volta non avrebbe portato Temari con sé. L’avrebbe costretta a
rimanere al sicuro con la forza, se fosse stato necessario. “Mendekouze...”
la chiamò dolcemente, avvicinandosi di un passo a lei. “Che vuoi?” fece
brusca la giovane, voltandosi con un bagliore furioso negli occhi. Shikamaru
sospirò. Si sentiva forse umiliata per quello che era successo? Perché non
capiva che mostrare i propri sentimenti non era segno di debolezza? “Ho
intenzione di tornare al Villaggio, stanotte. Ma non voglio che venga anche tu.”
lo disse lentamente, temendo la reazione della giovane, che non tardò ad
arrivare. “Vuoi lasciarmi qui come se fossi una stupida ragazzina da
proteggere? Posso venire anch’io!” esclamò, furibonda. “No, invece. Perché tu
adesso sei troppo sconvolta. Devi restare qui e riposare.” “Non voglio
riposare.” “Non m’importa. Non verrai. A costo di legarti e di impedirti di
uscire di qui con la forza.” “Non puoi farlo!” “Ti ho detto di no.” Lei
attese qualche istante prima di rispondere. “Perché? Io non capisco.” “E’
proprio questo il punto!” sbottò il giovane, felice del fatto che lei gli avesse
dato un appiglio con cui argomentare le sue intenzioni. “Adesso tu sei troppo
sconvolta per ragionare, ed è normale, dopo aver visto tuo fratello in quelle
condizioni. Ma non possiamo rischiare di metterci in pericolo in questo modo. Lo
capisci?” “Non trattarmi come se fossi un idiota.” “Non lo sto
facendo.” Seguirono alcuni attimi di teso silenzio. Per un po’, Shikamaru
temette che Temari l’avrebbe ucciso. “Allora vai.” concluse lei, dopo un po’.
“Ma se ti fai ammazzare, non è colpa mia. E vedi che non se la prendano con
Gaara.” “Farò attenzione.” le assicurò lui, prima di aprire la botola con
circospezione. Uscì con fare deciso, facendo capire che aveva un piano ben
preciso in mente. In realtà, non aveva idea di cosa avrebbe dovuto
fare. Tornare all'interno del carcere avrebbe significato combattere,
mettersi in pericolo, uccidere o essere uccisi. D'altro canto, dopo tutto quello
che era successo di sicuro le difese dell'edificio erano state aumentate, anche
se forse ci si poteva ancora avvicinare alla struttura esterna senza farsi
notare troppo. Alzò gli occhi al cielo. Da quando era arrivato a Suna,
non aveva mai avuto il tempo di fermarsi ad osservare le nuvole. I
combattimenti, prima, e poi la sua fuga forzata con Temari, gliel'avevano
sempre impedito. Presto il sole sarebbe tramontato, e allora avrebbe
potuto cercare di entrare nuovamente al Villaggio. Iniziò a dirigersi lentamente
verso la porta principale, cercando un modo di entrare che non desse
nell'occhio. Non avrebbe potuto mentire ancora, come aveva fatto nei giorni
precedenti, perché era sicuro che le guardie l'avrebbero riconosciuto. Decise
di deviare, e di avvicinarsi alle rocce di confine. Sarebbe entrato da
lì. Sarebbe stato molto più sicuro, anche se, con suo rammarico, gli sarebbe
costata molta più energia. Si sedette, poggiando la schiena alla parete
rocciosa, e attese il calare del sole.
Il Villaggio era stranamente in agitazione, quella sera. Non si vedeva
nessuno per le strade, eppure si sentivano gruppi di voci che confabulavano
animatamente. Shikamaru suppose che gli abitanti del villaggio si fossero
riuniti in una delle case lì vicino, oppure che fossero rimasti talmente
indignati dal terribile spettacolo che era stato offerto loro la mattina da far
dimenticare il terrore di infrangere le regole che prevedeva il
coprifuoco. Sicuramente, rifletté Shikamaru, un eventuale appoggio del popolo
sarebbe stato molto utile per la liberazione di Gaara. Sperava che quel clima,
che preannunciava i preparativi per una rivolta, sarebbe durato almeno fino alla
mattina dell'impiccagione, quando, con l'aiuto di Konoha, o, nel peggiore dei
casi, del solo Kankuro, avrebbero dovuto sfidare apertamente le forze militari
di Suna e salvare finalmente Gaara. “Sperando che sopravviva fino ad allora.”
sussurrò poi, rivolgendosi a sé stesso. Dopo le torture subite quella
mattina, in effetti, non ci sarebbe stato da stupirsi più di tanto se il giovane
fosse morto. Intravide, dietro all'angolo, la struttura carceraria. Come
aveva previsto, all'esterno non c'erano guardie. Approfittando del buio, si
avvicinò alla finestrella nella parete. Si inginocchiò e sbirciò
all'interno.
Gaara era lì, nel mezzo della stanza, adagiato per terra. Qualcuno lo aveva
ripulito dal sangue, e a Shikamaru venne il sospetto che fossero stati gli altri
carcerati. Una donna gli stava bagnando le labbra, mormorandogli qualcosa, ma
il ragazzo aveva tutta l'aria di non sentirla. Il ragazzo di Konoha cercò di
scorgerlo meglio per controllare che almeno respirasse. Il petto nudo
dell'altro, in effetti, si alzava e si abbassava, seppur in modo impercettibile.
Shikamaru sospirò. Tornato al rifugio, avrebbe avuto almeno una buona notizia da
portare a Temari. In quel momento un uomo, che lo aveva visto, si avvicinò
alla finestra. Il ragazzo cercò di allontanarsi, ma quello lo afferrò per una
mano, sporgendosi verso di lui, per quanto possibile. “Il Kazekage sta molto
male” disse con voce roca. “Tu devi aiutarlo! Io ti ho visto, so che sei un suo
amico, ho visto che eri con Temari-sama, voi potete farlo, potete salvarci
tutti...” s'interruppe per riprendere fiato “Noi qui ci occuperemo del Kazekage,
ma non possiamo fare molto, è debole e noi non siamo medici. Ti prego...” Chiuse
gli occhi in una smorfia di sofferenza, poi lasciò andare il giovane di Konoha e
tornò a mischiarsi alla folla che si era disposta attorno a Gaara. Shikamaru
si voltò in fretta. Iniziò a correre alla massima velocità che riuscì a
raggiungere, e ben presto fu di nuovo al rifugio. Temari lo stava aspettando
con gli occhi pieni di ansia. “Allora?” chiese con impazienza quando lo
vide. “E' vivo, per il momento.” si limitò a rispondere il ragazzo. “Ma
dobbiamo muoverci.” La ragazza annuì, incapace di parlare. Shikamaru la
fissò, e realizzò in un istante che mancavano soltanto due giorni, e a quel
punto non era più sicuro che sarebbero riusciti a salvare il giovane.
***
Gaara si mosse leggermente, avvertendo la sabbia bollente sul proprio volto.
La caduta era stata talmente veloce che quasi non se n'era accorto, ma l'impatto
con il terreno era stato terribile. Poteva sentire, vicino a sé, i mormorii
spezzati della gente del suo Villaggio, che era rimasta tutta la mattina a
guardarlo soffrire sotto il sole cocente. E non potevano comprendere
l'umiliazione e il senso di impotenza che in quel momento lo affliggevano.
Era stato il ninja più forte del Villaggio, lo shinobi più temuto. Ma in
quel momento, si riconosceva soltanto come un ragazzino come tanti altri,
distrutto dalle lunghe torture e dagli interrogatori disumani a cui veniva
regolarmente sottoposto. Non avrebbe mai parlato, e, in fondo, cosa avrebbe
mai potuto dire? Non sapeva dove fosse Kankuro, né cosa stesse combinando
Temari. L'unica cosa di cui era certo era che la sorella aveva cercato di
portarlo via di lì, con l'aiuto di quel ninja di Konoha che non gli aveva mai
ispirato fiducia, ma che in quel momento sembrava essere pronto a morire per
aiutare qualcuno che non aveva mai fatto nulla per lui. Dallo sguardo che
aveva lanciato a Temari, due giorni prima, Gaara aveva intuito che quello strano
shinobi stava facendo tutto ciò solo per Temari, ma non poté fare a meno di
essergliene comunque molto grato. Avvertì delle mani che lo afferravano
rudemente, e si sentì trascinare fino alla cella. Soffocò un gemito di dolore
mentre lo scagliavano sul pavimento bollente. Alla fine, riuscì a socchiudere
gli occhi e a guardare un po' intorno a sé, distinguendo gli altri carcerati che
gli pulivano le ferite e gli bagnavano le labbra. Entro due giorni, si
ripeté, in un modo o nell'altro, sarebbe finito tutto.
Ecco qui. Spero che, nonostante la sua infinita banalità, possa
esservi piaciuto almeno un pochino.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Non faccio promesse per il prossimo aggiornamento, ma cercherò di
fare in modo che sia abbastanza presto.
Baci,
rolly too |
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Capitolo 7 *** Sesto giorno ***
Dopo un lungo periodo di assenza (vi
prego di perdonarmi!) sono finalmente tornata. La mia ispirazione era, infatti,
andata a a farsi un giro, ma ora che è tornata sono riuscita a scrivere sia
questo capitolo sia il prossimo, che sarà l'ultimo, e che pubblicherò a breve.
Nel frattempo, vi ringrazio tutti per i bellissimi commenti che mi avete
lasciato, e vi invito a farmi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, che non
è un granchè e che è anche oscenamente corto.
Shikamaru guardò impassibile i corpi delle due
guardie che cadevano a terra con un tonfo sordo. Temari,
accanto a lui, stringeva in mano un kunai insanguinato. Senza dire nulla,
entrarono lentamente nel Villaggio, nascosti dall’oscurità della
notte. Sapevano che non potevano più fallire. Quella
sarebbe stata la loro ultima occasione. Se avessero fallito, Gaara avrebbe
pagato il loro errore con la vita. Sentivano la tensione crescere ad ogni passo,
ad ogni minuto che passava. Non erano
sicuri che Kankuro sarebbe riuscito a tornare in tempo per aiutarli, e non
sapevano neppure se Konoha gli aveva effettivamente dato aiuto. La situazione
tra Konoha e Suna stava precipitando, e da qualche giorno a quella parte i ninja
di entrambe le fazioni si stavano dimostrando quanto mai spietati e privi di
scrupoli.
Temari si voltò verso il palazzo del Kazekage. Si
accigliò. Nonostante fosse notte fonda, c’era una luce
accesa in una delle stanze dove, lei lo sapeva bene, il Kazekage riceveva il
capo delle guardie. “Cry-baby” chiamò piano, e il ragazzo si voltò
verso di lei, avvicinandolesi “Andiamo lì. Potrebbe esserci il
Kazekage.” Shikamaru la seguì. Non era certo che fosse una
buona idea; se il Kazekage si fosse accorto della loro presenza, forse non
sarebbero morti molto prima dell’esecuzione. Tuttavia, non protestò. Temari
sembrava estremamente decisa e quasi imprudente, ma Shikamaru sapeva che era
riuscita a ritrovare il senno e che non si sarebbe messa in pericolo
inutilmente. Si appostarono sotto alla finestra aperta,
ringraziando il colpo di fortuna insperato. Forse, il Kazekage confidava
talmente tanto nelle sue guardie da non curarsi di proteggere il palazzo, che,
evidentemente, era ben custodito dall’interno. “Kazekage-sama, tutto è pronto per domani mattina. Come dobbiamo
procedere?” la voce del Capo delle Guardie li raggiunse dopo qualche istante,
più limpida e chiara di quanto non avessero mai sperato. “Fate in modo
che tutti lo vedano.” replicò il Kazekage con voce divertita. “Voglio che il
popolo sappia che anche lui è un essere umano. Picchiatelo, prima di impiccarlo.
Davanti a tutti, che vedano. Cosa penseranno quando si accorgeranno che il
grande Gaara non è nemmeno in grado di difendersi?” “Non credete,
signore, che questo potrebbe scatenare una rivolta?” domandò preoccupata la
guardia, ma per risposta si udì una risata falsa e
malvagia. “No. Uccidete tutti quelli che si mostrano
contrariati. Il popolo non deve intromettersi. Ma fate attenzione. Cercate fra
di loro, potremmo trovare i traditori.” “Intendete...
I due fratelli del ragazzo?” “Proprio
loro.” convenne il Kazekage. A quelle parole, Temari e Shikamaru si fecero più
attenti. “Se li vedete, catturateli.” “Che cosa
dobbiamo farne?” “La ragazza è molto carina.” commentò malevolo il
Kazekage. “Credo che alle guardie potrebbe piacere un bottino simile. Fatene ciò
che volete, ma quando avete finito ammazzatela.” Shikamaru
guardò Temari e la vide impallidire paurosamente, eppure lei non si mosse, né
diede segno d’essere spaventata da ciò che aveva sentito. Il Capo delle
Guardie schioccò la lingua, divertito. “Certo,
Kazekage-sama. Siete molto generoso.” aggiunse, e Shikamaru sentì lo stomaco
contrarsi dolorosamente all’idea di ciò che avrebbe atteso Temari se si fossero
fatti catturare. “Ma se troviamo il fratello, invece, che cosa dobbiamo
fare?” Seguirono alcuni istanti di
silenzio. “Uccidetelo, ma prima raccontategli di come avete
torturato Gaara. Sono sicuro che gli farà molto piacere.” scoppiò a ridere. “So
che c’è anche un ninja della Foglia con loro.” aggiunse dopo un po’. “Se lo
vedete, uccidetelo senza esitazione. Siamo in guerra e sono certo che all’Hokage
non interesserà più di tanto perdere un ragazzino che si è schierato contro il
proprio Paese per aiutare tre fratelli di Suna.” “Sì, signore,
certamente. L’esecuzione è fissata per domani mattina all’alba. Volete che vi
venga a chiamare, quando saremo pronti?” Avvertirono
un rumore di sedie che si spostavano, poi dei passi pesanti sul
pavimento. “No, chiamatemi prima. Voglio parlare con quel
ragazzino prima che venga portato davanti al popolo.” Shikamaru,
sentendo che qualcuno si avvicinava alla finestra, afferrò Temari per un braccio
e la condusse lontano, giusto qualche secondo prima che il Kazekage si
affacciasse e guardasse fuori.
“Non dobbiamo
farci prendere, Mendekouze.” mormorò guardandola negli occhi. “Cerca di
ricordartelo. Salveremo Gaara, ma non dobbiamo farci prendere. Niente di
affrettato, dunque. Interverremo solo quando saremo sicuri che non ci saranno
rischi.” “Se lo tortureranno, non puoi chiedermi di
rimanere a guardare.” replicò pianissimo lei. “Non puoi. Gaara non sopporterà
un’altra cosa simile, morirebbe. Se quelli si mettono a picchiare mio fratello,
io con che coraggio posso restare ferma ad aspettare che finiscano? Porterei via
un cadavere, e non è quello che voglio. Se devo dare la vita per salvarlo,
allora lo farò, cry-baby.” Shikamaru
rimase in silenzio, contemplando lo sguardo deciso della ragazza. Lo capiva,
certo, ma lui non le avrebbe mai permesso di compiere un simile, folle, gesto.
Non avrebbe sopportato di saperla prigioniera tra uomini privi di morale che le
avrebbero recato ogni tipo di offesa, prima di
ucciderla. “No, Mendekouze. Niente vittime, in questa
missione. Nemmeno Gaara. Lo salveremo, costi quel che costi, ma non ti
permetterò di sacrificarti così. Adesso ci conviene andare. La guardia che
parlava con il Kazekage uscirà da lì, suppongo” e indicò con la mano la porta
principale del palazzo del Kazekage “e sarebbe un bel guaio se ci trovasse
qui.” Si allontanarono di corsa, facendo attenzione a
non fare rumore. Arrivarono sino alla piazza del Villaggio, e lì,
seminascosta dall’oscurità, si trovava una struttura che non avevano mai visto
prima. Distinguendola meglio, si accorsero che si
trattava del patibolo su cui Gaara sarebbe stato impiccato, all’alba del giorno
seguente. Shikamaru osservò Temari. La giovane era
immobile, e fissava inorridita la corda che il giorno dopo avrebbe ucciso suo
fratello. “Andiamo via.” mormorò d’un tratto, voltandosi
verso Shikamaru. “Cerchiamo un posto dove nasconderci. Ci conviene restare
all’interno del Villaggio, o potremmo non fare in tempo, domani, ad arrivare.
Dobbiamo sistemare il nostro piano, e riposare.” Shikamaru
annuì. “Sì, hai ragione.” “Non credo che
la mia casa sia ancora sorvegliata. Ormai l’hanno distrutta, penseranno che non
ci torneremo più.” Senza attendere una risposta del ragazzo, imboccò una strada
laterale, la stessa che Shikamaru aveva percorso, giorni prima, cercando
l’entrata del carcere.
La casa, come
si aspettavano, era stata completamente distrutta. Metà del tetto era crollata,
e la porta, scardinata, era stata posta in malo modo davanti all’ingresso, che
era stato sbarrato, simbolicamente, con due travi di
legno. Shikamaru e Temari riuscirono ad entrare senza
difficoltà. La ragazza si guardò intorno per un po’, le mani
riverse poggiate sui fianchi. “Ci sarà da
lavorare un bel po’, prima di riuscire a vivere qui dentro.” sussurrò, non del
tutto certa che al di fuori non li avrebbero sentiti. “Vuoi tornare
in questo posto, Mendekouze?” chiese Shikamaru, stupefatto. Lanciò un’occhiata
sbieca alle pareti, su cui facevano bella mostra di sé delle scritte oscene e
dei disegni altrettanto immorali il pavimento era coperto di legno, sabbia e
pezzi di mattone e vetro; le finestre erano state murate e ogni mobile era stato
dato alle fiamme. Sui muri si vedevano ancora le macchie scure lasciate dal
fuoco, che evidentemente era stato appiccato volontariamente e controllato
meticolosamente, perché, in caso, contrario, Shikamaru dubitava che l’incendio
avrebbe risparmiato gli arredamenti più costosi e quel tappeto pregiato che,
arrotolato, era stato appoggiato al muro. “Sì, ci
tornerò quando avremo salvato Gaara.” replicò la ragazza sedendosi per terra.
“Ma per il momento non è questa la mia preoccupazione, cry-baby. Dobbiamo
decidere che cosa fare domani, tenendo in considerazione che Kankuro potrebbe
non arrivare in tempo.” sospirò, afferrando il ragazzo, che era in piedi accanto
a lei, per un braccio e costringendolo a sedersi. “Sì, Mendekouze.” mormorò,
convinto che se avesse osato dire una sola parola di più la ragazza l’avrebbe
ucciso. La guardò di sottecchi. Anche se Temari era
tornata a comportarsi come sempre, con il suo carattere ostile e scontroso,
Shikamaru le leggeva negli occhi l’ansia e la preoccupazione di non riuscire a
fare nulla per Gaara. Accigliandosi, pensò che in fondo le probabilità
di portare a termine quella folle missione che avevano intrapreso erano
infinitesimali. Loro erano soltanto in due, e le guardie del
Kazekage, se non aveva sbagliato i conti, erano nove, più un intero esercito al
suo servizio. La guerra in corso rendeva tutto ancora più complicato. Se Konoha
avesse deciso di attaccare Suna proprio quel giorno, lui sarebbe stato fatto
passare per traditore, mentre Temari, probabilmente, sarebbe stata uccisa o
catturata. Sapeva che i suoi amici non l’avrebbero
maltrattata, ma non era certo di ciò sarebbero stati in grado di fare gli altri
ninja, in particolare quelli che appartenevano alla squadra Anbu e che facevano
fatica a comprendere il significato della parola
‘pietà’. “Cry-baby? Mi stai ascoltando?” la voce di Temari
lo riportò improvvisamente alla realtà. La ragazza
sbuffò, lanciandogli un’occhiataccia seccata. “Stavo
dicendo, cry-baby, che dovremmo aspettare che lo portino fuori. Se entrassimo
nel carcere combineremmo un disastro.” “Sì.” approvò Shikamaru, che aggiunse:
“Dobbiamo uccidere il Kazekage, Temari. Dobbiamo ucciderlo per primo, e lo farò
io. In questo modo, le sue guardie mi attaccheranno e tu avrai tutto il tempo
che ti serve per salvare Gaara. Contro un tal numero di ninja, credo di non
poterti offrire più un minuto e mezzo, a meno che tuo fratello non si faccia
vivo insieme ai rinforzi. Ce la puoi fare, vero?” “Non ho il mio
ventaglio.” soffiò la giovane, chinando il capo, e il seguente sguardo che lo
shinobi intercettò era di rassegnata ovvietà. “No, non ce la
puoi fare.” disse lentamente il ragazzo, facendosi pensieroso. “Dobbiamo
ammazzarlo, però, e la mia forza non può aumentare da oggi a domani. Se ci
mettessimo troppo, farebbero in tempo a ucciderci prima che riusciamo a salvare
perlomeno lui.” “Dobbiamo tentare, quindi?” lo interruppe lei,
fissandolo seria. “Sì.” annuì Shikamaru, serio. “E avremo una sola
possibilità. Dobbiamo farcela, Temari, dobbiamo farcela al primo colpo, o siamo
tutti morti.” “Manca un solo giorno, cry-baby. Ed ho come
l’impressione che non ce la faremo.”
*** “Kankuro! Kankuro, ti prego, rallenta!” Sakura
incespicò su una radice, ma si rialzò in fretta e cercò di raggiungere lo
shinobi di Suna, che correva quanto più veloce glielo consentissero le gambe e
la volontà. “Kankuro! Se corri così ti sfinirai prima ancora di arrivare al
Villaggio, e non sarai in grado di aiutare Gaara!” “Non ti sta
ascoltando.” la interruppe Naruto, che l’aveva raggiunta. “Ha ragione! Non
possiamo lasciare Gaara da solo. Morirà, se quello che Kankuro ha detto è
vero.” “Lo so.” si adirò la ragazza. “Ma non è questo il
modo di...” “Non è questo il modo di salvare Gaara?!” Kankuro,
che si era fermato di botto, si portò davanti a lei, pallido di collera,
gridando. “Io non lo so qual’è il modo di salvare Gaara, ma so che devo
salvarlo. E se non ce la fai a correre, se ti vuoi fermare, allora fallo. Ma non
cercare di fermare me, perché non ci sto. Devo essere al Villaggio entro domani
mattina all’alba.” “Manca ancora un giorno di viaggio...” mormorò
scoraggiata la ragazza, chinando il capo. Il
combattimento a cui erano stati costretti il pomeriggio prima li aveva
rallentati non poco, e lei si rendeva perfettamente conto che, di quel passo,
sarebbero arrivati a esecuzione conclusa. Tuttavia,
l’istinto le diceva che la rabbia e la disperazione di Kankuro li stavano
conducendo in una missione suicida, e nessuno sembrava essere in grado di farlo
tornare in sé. “Devi cercare di calmarti, Kankuro!” sbottò,
consapevole del fatto che non era affatto semplice come voleva far credere. “In
questo modo ci farai ammazzare tutti.” “Lo so che
dovrei calmarmi” ringhiò il ragazzo, puntandole il dito contro, minaccioso. “Ma
tu hai una vaga idea di come mi sento? Mio fratello in questo momento è
prigioniero, ed io non so dove l’hanno portato né cosa gli hanno fatto o cosa
gli hanno detto. E Temari? Tu sai dov’è Temari, o come sta? So che c’è
quell’idiota col codino con lei, ma non mi fido di lui, e per quanto ne sappiamo
potrebbero già essere morti tutti quanti, e noi, in questo caso, correremmo
soltanto per fare la loro stessa fine. Quindi, mi
dispiace, ma non sono disposto a fermarmi. E non farmi più perdere
tempo!” Ricominciò a correre, più veloce di prima, con la
rabbia che gli cresceva in corpo e la disperazione che aumentava ad ogni passo.
L’ultima traccia di speranza che aveva avuto sino a quel momento era scomparsa
nel nominare i fratelli. E mai come in quel momento si era reso conto di
quanto potessero mancargli, di quanto li amasse in realtà. Se l’idea che Gaara
era prigioniero lo atterriva, il non sapere dove fosse né cosa stesse facendo
Temari lo faceva impazzire. Sentì gli
occhi inumidirsi, un po’ per la corsa, un po’ per la rabbia e per la
disperazione, ma non aveva nemmeno il tempo di piangere; doveva arrivare al
Villaggio, e il più in fretta possibile. Avrebbe ucciso tutti quelli che si
fossero messi in mezzo, si fosse trattato anche di donne e di
bambini. Nessuno avrebbe potuto fermarlo. Per la prima
volta nella sua vita, sentiva che la sua famiglia, o quello che restava di essa,
veniva prima di ogni cosa. Sollevò
leggermente gli occhi al cielo, che stava già cominciando a schiarirsi. Accelerò
fino a che non sentì che non gli sarebbe stato possibile aumentare ancora
l’andatura, e proseguì tra le dune sabbiose che finalmente erano comparse
attorno a lui. La stanchezza parve passare, e le forze parvero
tornargli. Gaara, Temari, sto
arrivando.
Bene, ecco qui. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi fa sempre molto
piacere ricevere i vostri pareri.
Baci,
rolly too |
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Capitolo 8 *** Ultimo giorno ***
Lo so, lo so. Avevo promesso che avrei
aggiornato presto. Come vi avevo detto, avevo scritto anche questo capitolo.
Peccato che poi io abbia deciso che mi facesse schifo, e quindi l'ho riscritto
daccapo e ci ho messo più del previsto. Comunque sia, ora è arrivato e spero che
vi piaccia.
Per Shikamaru, quella era stata una notte senza
sonno. Temari non aveva fatto altro che girare senza
sosta per la casa, mormorando tra sé e sé, sfiorando quei pochi oggetti che
erano rimasti intatti, ripetendo il piano che avevano preparato
insieme.
“Cry-baby” lo chiamò piano quando il sole iniziò a
sorgere. “E’ ora.” La voce le tremò appena, mentre col capo accennava alla folla
che già si stava dirigendo verso la piazza, fuori dalla
finestra. “Andiamo.” sospirò lui, alzandosi dal pavimento
sporco e afferrando i kunai. Le si parò davanti e la fissò negli occhi. “Cerca
di mantenere la calma, Mendekouze. So che è difficile, ma cerca di mantenere
la calma. Dobbiamo uccidere il Kazekage, ed avremo un colpo soltanto, uno.
Non possiamo permetterci di sbagliare. Tu non preoccuparti dei ninja, se non
puntano a te. Prendi Gaara e vattene. Ricorda.” La ragazza
annuì decisa, ma dentro di sé sapeva che, una volta che fosse cominciato, non
avrebbe saputo ignorare il combattimento. Certo, avrebbe per prima cosa portato
in salvo Gaara, ma poi? Avrebbe avuto il coraggio di lasciare che lo shinobi di
Konoha se la cavasse da solo contro un intero esercito? Sarebbe stata in grado
di restare a guardare mentre lui si esponeva in quel modo alla morte?
Conosceva già la risposta, ma preferì ignorare i
propri pensieri e seguire Shikamaru in strada. Più si
avvicinavano alla piazza, più la giovane si sentiva invasa da un senso di
nausea. Per la prima volta dopo una settimana si rese conto della situazione in
cui si trovavano. Prima non aveva pensato al fatto che il Kazekage
avesse molte guardie al suo servizio, mentre loro erano soltanto in due. Non
aveva considerato che Gaara era talmente debole da rischiare di morire in ogni
secondo, forse tra le sue braccia, se fosse riuscita a strapparlo al patibolo. E
il popolo? Che ne sarebbe stato del popolo se loro avessero fallito, se non
fossero riusciti ad uccidere il Kazekage? E se anche avessero portato a termine
la loro missione, chi assicurava che le guardie non avrebbero attaccato la
popolazione civile per vendetta? “Sarà
un’ecatombe” mormorò sconvolta quando realizzò cosa avrebbe potuto comportare
quello che avevano in mente. Shikamaru
annuì. “Forse. Ma qualunque cosa accada, ricordatelo:
mantieni la calma e stai lontana dal combattimento.”
Temari
sollevò lo sguardo lentamente, sperando che nessuno dei militari lì presenti le
prestasse attenzione. Si voltò verso Shikamaru e lo vide concentrato e attento.
Gaara non era ancora stato portato allo scoperto,
e l’esecuzione era continuamente ritardata. Il Kazekage si muoveva impaziente
sulla sedia che gli era stata riservata, mentre la corda che avrebbe dovuto
uccidere Gaara oscillava macabramente, mossa da un lievissimo
vento. “Che seccatura.” borbottò Shikamaru muovendo
impercettibilmente le labbra. S’accigliò. “Se ritardano così tanto significa che
c’è qualcosa che non va.” rifletté, e la ragazza annuì. “Forse
Gaara...” mormorò, ma non aggiunse altro. Sapeva che
Shikamaru avrebbe capito. “No.” replicò
quello sottovoce. Mosse impercettibilmente la mano e le indicò due soldati che
stavano avanzando in quel momento. “Eccolo lì.” Temari sentì
un nodo alla gola. Portato a braccia da due shinobi, privo di sensi,
pallidissimo, coperto da qualche abito lacerato e sporco di sangue; Gaara,
nient’altro che un prigioniero, uno dei tanti, che non sperava altro che farla
finita in fretta. Lo fecero cadere sul legno della forca, poi uno
dei due prese un foglio che il Kazekage gli porgeva ed iniziò a
leggere. “Il qui presente Gaara... citato in giudizio
per...” Temari non ascoltava. Si guardava intorno attenta, cercando di
capire quante persone si sarebbero trovati addosso una volta ucciso il Kazekage.
Quando il ninja ebbe finito di leggere, la
ragazza si voltò verso Shikamaru. Lui annuì. Si fece largo
tra la folla, che arretrò alla vista delle armi che il ragazzo teneva tra le
mani. Prese la mira e attese un solo istante; una
goccia di sudore gli scivolò dalla tempia al collo e lui, sentendo l’ansia che
aumentava, scagliò il kunai con tutta la forza che riuscì a
trovare. Il Kazekage si afflosciò con un grido, e le due
guardie che si trovavano sul patibolo gli corsero vicino per aiutarlo. Temari,
vedendo che si allontanavano, si affrettò a raggiungere
Gaara. Nel frattempo, gli altri shinobi avevano
circondato Shikamaru. Avvertì una stretta allo stomaco, ma cercò di ignorarla.
Cercò di sollevare il fratello come meglio poteva, passandosi il braccio inerme
del ragazzo intorno alle spalle e tenendolo per i fianchi; con pochi balzi lo
portò fuori dal campo di battaglia. Gli shinobi
ancora non si erano accorti del suo gesto, e ne fu
sollevata. Osservò qualche istante Gaara. Era sporco,
emaciato, pallido, eppure respirava ancora. Temari sospirò, portandogli una mano
alla fronte. Scottava. Quanto
avrebbe potuto resistere ancora? La prigionia l’aveva indebolito molto più di
quanto si fosse aspettata. E dov’era Kankuro? Perché non era ancora tornato da
Konoha? Ormai avrebbe dovuto essere lì, ad aiutare Shikamaru, a soccorrere
Gaara, a consolare lei. Ma in fondo,
che cosa poteva fare Kankuro? Forse avrebbe potuto dare man forte a Shikamaru,
che combatteva, circondato da nemici, mentre, pochi metri più in là, il Kazekage
moriva, ma non era certa che sarebbe bastato. Quante
possibilità avevano di sconfiggere quegli shinobi? Erano ben più esperti di
loro, e molto più numerosi. Prese la mano
di Gaara e la strinse. Si voltò a
osservare la battaglia. Shikamaru
pareva in netto svantaggio. Cercava di difendersi utilizzando armi, pugni, calci
e morsi, ma era inutile contro così tante persone. E il popolo, per quale motivo
stava a guardare, immobile? Perché gli uomini non correvano ad aiutarlo?
La ragazza osservò qualche istante il volto del
fratello, mordendosi il labbro. Come poteva lasciare che Shikamaru si facesse
ammazzare, lì in mezzo? E allo stesso modo, con che coraggio avrebbe abbandonato
Gaara in quelle condizioni, dopo che avevano rischiato tanto per
salvarlo? Shikamaru era stato categorico, su quel punto;
lei non avrebbe dovuto avvicinarsi al combattimento, e, soprattutto, non avrebbe
dovuto attirare su di sé l’attenzione. “Temari!” la
ragazza si voltò di scatto, stringendo tra le mani un kunai.
Quando riconobbe la persona che stava correndo
verso di lei, lo lasciò cadere, stupefatta. Sgranò gli
occhi e sentì che c’era ancora qualche speranza.
Kankuro
accelerò all’improvviso, e con un ennesimo scatto superò Sakura e Naruto, che da
poco l’avevano raggiunto. “Il
Villaggio!” esclamò. “Gaara...” Si avviarono velocemente verso le porte,
cercando di vincere la stanchezza, la sete, la fame; Kankuro non aveva accettato
di fermarsi nemmeno un istante, il giorno prima, e in quel momento sentivano che
avrebbero avuto bisogno di una pausa. “Kankuro, dove
si terrà l’esecuzione?” domandò Sakura guardandosi intorno. Per quale motivo non
c’era nessuno di guardia all’ingresso del Villaggio? Kankuro
allungò un braccio e lo puntò dritto avanti a sé. “Là.” mormorò.
Poteva sentire chiaramente un gran frastuono
provenire dalla direzione in cui erano diretti. Forse erano
arrivati troppo tardi, forse Temari non era riuscita a salvare Gaara, forse
anche lei era stata catturata... e quel ninja della Foglia, che cosa ne era
stato di lui? Era morto? Era stato vicino a sua sorella, come Kankuro sperava? O
forse l’aveva consegnata agli shinobi di Konoha, o al Kazekage in
persona? Che cosa stava succedendo in quella
piazza? Imboccò una stradina secondaria che l’avrebbe
portato nel centro del Villaggio in meno tempo, seguito da Naruto e
Sakura. E finalmente, eccola. Kankuro
trattenne il fiato. Il patibolo era vuoto, e distinse, lì accanto, un
gruppo di persone che si agitavano attorno a qualcosa. Nel bel mezzo della
piazza, qualcuno combatteva, solo contro l’intera guardia del Kazekage, composta
da una decina dei ninja più esperti di Suna. Strizzando
gli occhi, Kankuro si accorse che era Shikamaru. Sentendo che
il cuore saltava un battito, si mise alla ricerca di Temari. E infine, eccola,
in disparte, un po’ lontana dal combattimento, accanto ad una persona stesa a
terra, inerme... Corse in quella direzione. Era Gaara, Gaara
quello che non si muoveva, a terra? E allora, che fosse già
morto? Era arrivato troppo tardi? Sentì la rabbia
ribollirgli nello stomaco e gli occhi iniziarono a pizzicare.
Era così incapace da non riuscire a salvare il
proprio fratello? “Temari!” chiamò, ma le urla dei ninja
sovrastarono la sua voce. Vide Naruto gettarsi nel combattimento, mentre Sakura
lo stava seguendo. Quando fu più vicino, gridò
nuovamente: “Temari!” E fu solo
allora che lei si voltò.
Temari si
alzò in piedi di scatto e corse verso Kankuro, che la prese per le spalle e la
guardò qualche istante. “Nee-chan....”
mormorò. Aveva gli occhi lucidi, velati di lacrime. “E’ vivo,
Kankuro, è vivo.”sussurrò lei voltandosi verso Gaara. “Vivo...”
ripeté il ragazzo, poi annuì convulsamente, passandosi una mano sugli occhi.
Quando la ritrasse, le lacrime iniziarono a segnargli il volto, ma lui non ci
fece caso. “ E tu, Temari, tu come stai? Che cosa è successo? Perché quel ninja
della Foglia sta combattendo da solo in mezzo alla
piazza?” La giovane annuì. “Sto bene, ma
non è questo il momento. Dobbiamo occuparci di Gaara, subito. E’ debole,
e...” “Temari-san.” Sakura, già china su Gaara, la
interruppe. “Non ti preoccupare, lo curerò io.” Un grido,
seguito da un boato, li fece sobbalzare. Si voltarono
appena in tempo per vedere Shikamaru e Naruto correre verso di loro, mentre la
folla afferrava le guardie del Kazekage. Un gruppo di uomini ne trascinò uno sul
patibolo che avevano preparato per Gaara. Uno di loro urlò qualcosa, poi strinse
la corda attorno al collo dello shinobi, che cercava di divincolarsi e ruggiva
qualche ordine ai suoi compagni, anche loro intrappolati dalla furia del
popolo. Temari smise di guardare, e si concentrò sui due
ninja che li avevano raggiunti. Shikamaru
aveva un lungo taglio sulla guancia, e avanzava lentamente, coperto di
sangue. “Cry-baby!” esclamò la ragazza. “Sei
ferito?” Lui scosse il capo, passandosi un dito sulla
ferita al volto. “No, un taglietto.” indicò le vesti impregnate di
sangue. “Non è mio.” spiegò, poi si voltò a guardare
Gaara. Naruto era già corso vicino a Sakura e fissava
con un’espressione di terrore il volto dell’altro ragazzo, che ancora non
accennava a riprendersi. “Sakura-chan... è grave?” domandò con voce rotta. “Gaara è
forte.” si limitò a replicare la ragazza con espressione
seria. Temari si avvicinò a Kankuro, si appoggiò a lui.
Non aveva mai sentito il bisogno, prima, di
stargli accanto, di farsi rassicurare da lui. Ma in quel momento le sembrò di
essere incredibilmente debole, stanca, di necessitare di un conforto più
profondo delle semplici parole, che in quel momento poco potevano
fare. Kankuro, con un gesto un po’ goffo, le cinse le
spalle con un braccio e la strinse a sé. Le sussurrò qualche parola
d’incoraggiamento all’orecchio, poi si allontanò da lei e s’inginocchiò accanto
a Gaara. “Ho bisogno di portarlo in un posto più tranquillo
per poterlo medicare.” disse Sakura dopo un po’. “Casa
nostra...” rispose Temari. “Lì non ci disturberà
nessuno.”
§§§
Shikamaru si
avvicinò a Temari e le lanciò un’occhiata indagatrice. Era seduta a
terra, in un angolo, e sembrava serena. Con l’aiuto di Kankuro e Naruto aveva
riordinato la casa, e in quel momento i due ragazzi si stavano dando da fare per
cancellare le scritte dai muri e raccattare ciò che non era stato distrutto dai
militari. “Cry-baby.” lo chiamò alzandosi. Lui piegò un po’
la testa da un lato. “Sì?” “Perché mi hai
aiutata?” Shikamaru rimase in silenzio per un po’. Si era
posto quella domanda tante volte, in quei giorni, e non era mai riuscito a
trovare una risposta. Non era certo che si trattasse solo di bontà d’animo,
perché, in effetti, non avrebbe mosso un dito se fosse stato qualcun altro in
quella situazione. E allora, forse, l’unica cosa che potesse fare era ammettere
la verità. “Non lo so.” sospirò sedendosi accanto a lei.
“Credo... no, non lo so. L’ho fatto e basta. Non fare domande complicate,
Mendekouze, è seccante.” Temari
sbuffò. “Sei impossibile, cry-baby.” sentenziò alzandosi e
raggiungendo Sakura che, nell’altra stanza, si stava occupando di
Gaara. Shikamaru la seguì. “Come
sta?” “Si riprenderà.” rispose Sakura sorridendo. “E’
forte, ma ha bisogno di riposo, di cibo e acqua. E’ disidratato e probabilmente
è stato picchiato varie volte, ma non è in pericolo di vita. In questo momento è
solo molto, molto debole.” spiegò asciugandosi il sudore della fronte con il
braccio. Si voltò verso Shikamaru. “Tu sei
ferito? Ho visto che combattevi.” “Sto
benissimo.” replicò il ragazzo alzando le spalle.
Temari
sospirò e sollevò gli occhi al cielo limpido. Era uscita di
casa in cerca d’un po’ d’aria, e Shikamaru l’aveva seguita, sebbene nemmeno lui
comprendesse appieno il motivo di quel suo gesto. “Non hai mai
guardato le tue amate nuvole, durante questa missione.” commentò con un ghigno
la ragazza. Shikamaru si corrucciò, pensieroso. In effetti,
non ne aveva mai sentito il bisogno. Certo, era stata una settimana estremamente
impegnativa, ma le occasioni per osservare il cielo non erano mancate,
eppure... “No, pensavo ad altro.” “A come
evitare di farti ammazzare?” “No, a come
evitare che ammazzassero te, Mendekouze.” ribattè serio lui, e Temari sgranò gli
occhi, per poi ridurli a due fessure. “Che cosa
intendi dire, cry-baby?” sibilò, già sulla difensiva. Shikamaru
scrollò le spalle, alzando le mani in segno di resa. “Ah, ti scaldi
per niente, Mendekouze. Non sto dicendo che sei un incapace. Sto dicendo che ero
preoccupato per te. Avevo paura che facessero del male a
te.” Improvvisamente si sentì un idiota. Come gli era
saltato in mente di dire una cosa simile ad una kunoichi come Temari? Come
minimo, ora lei avrebbe messo mano al suo famoso ventaglio e avrebbe messo fine
alla sua sofferenza. “Mi stai prendendo in giro, cry-baby?” domandò
invece lei, tesa e sospettosa. “No,
Mendekouze, sono serio. In verità, rispondendo alla domanda che mi hai posto
prima... Ti ho aiutata perché non sopportavo di vederti in quello stato. Non
potevo vederti soffrire così. Ecco tutto.” Si passò una
mano tra i capelli e la guardò di sottecchi, in attesa del colpo di
grazia. Invece, la ragazza sembrava pensierosa. Rimase
qualche attimo silenziosa, poi, all’improvviso, gli si avvicinò e gli scoccò un
leggero bacio sulla guancia. Il giovane
arrossì e si portò una mano al volto, mentre lei si voltava e rientrava in
casa. “Sai, cry-baby, sei insopportabile. Durante questa
missione, credimi, ti avrei strangolato almeno una volta al giorno, soprattutto
se ti dimostravi più razionale di me, ma se ci sarà un’altra vita, credimi,
voglio incontrarti ancora.” Gli strizzò
l’occhio e chiuse la porta alle sue spalle, lasciandolo solo in
giardino. Il ragazzo chiuse gli occhi e lasciò che il vento
gli carezzasse dolcemente il volto. Inspirò a
pieni polmoni e sorrise. “Anch’io,
Mendekouze.”
-Fine-
Ordunque. Ecco qui l'ultimo capitolo di una storia che mi
ha senza dubbio fatta dannare. Che dire? E' sempre una sofferenza scrivere la
parola "fine".
Qualche parolina a riguardo. Questo capitolo non mi
soddisfa, ma spero che abbia perlomeno allietato voi. A proposito, avete
visto che non ho ucciso Gaara? Pensavate davvero che sarei stata così crudele?
No, non rispondete, sappiamo tutti che l'avrei fatto e che era il mio piano
originale. Ma la mia carissima i_still_believe (Non smetterò mai di
ringraziarla!) mi ha puntato un fucile alla testa minacciando di sparare se
l'avessi ucciso e quindi il caro Kazekage è ancora qui tra noi.
In ultima, ringrazio di tutto cuore tutte le persone che
hanno commentato, mi avete resa felicissima e ve ne sono estremamente grata. I
vostri commenti sono stati per me dei regali preziosi, e spero che mi aiuterete
a migliorare.
Grazie infinite anche a tutti quelli che hanno messo la
storia tra i preferiti.
Ho finito.
Bacioni,
rolly too. |
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