An unknown part of the story

di evilregal9841
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nightmares and dreams ***
Capitolo 2: *** The Love Escape ***
Capitolo 3: *** Lucy ***
Capitolo 4: *** Mom and Daughter ***
Capitolo 5: *** All the Truth ***



Capitolo 1
*** Nightmares and dreams ***


Mi svegliai di soprassalto, mettendomi istintivamente a sedere, il fiato corto ed il corpo madido di sudore. Stavo ancora urlando, il volto di mio figlio come stampato a fuoco nella mente. Lo avevo perso, avevo perso una delle pochissime persone che mi avessero mai amata, o che comunque io avessi mai amato. Il pensiero di non poterlo più riabbracciare mi attanagliava lo stomaco in una morsa d’acciaio, lasciando un enorme macigno che rendeva il cuore pesante. Ma anche terribilmente vuoto. Come avrei potuto continuare a vivere, se a lui fosse capitato qualcosa? Le lacrime scorrevano copiose, scivolando sula pelle liscia del volto, fino ad infrangersi sulle coperte ruvide che mi avvolgevano.
Mary Margaret ed Emma accorsero subito, svegliate quasi sicuramente dalle mie grida. Sul volto di Snow era dipinta un’espressione preoccupata … L’istinto di assestarle un bel cazzotto sul naso era forte, ma mi trattenni. In fondo, era venuta solo per assicurarsi che stessi bene.
Anche Emma sembrava turbata. Nelle due notti precedenti, passate a dividere la stanza con lei sulla Jolly Roger, era quella l’espressione che vedevo sul suo volto.
Ogni volta che mi coricavo, gli incubi prendevano possesso della mia mente, costringendomi a svegliarmi, in lacrime, terrorizzata, persa … Immagini dolorose e raccapriccianti mi scorrevano di fronte agli occhi, tetre memorie delle mie paure più profonde, che sembravano riversarsi in fiumi nella mia mente, nei miei sogni. Immagini il cui macabro protagonista era Henry. Henry riverso in una pozza di sangue, Henry accasciato inerme tra le mie braccia, Henry, il mio Henry, freddo come il marmo, immobile mentre cerco disperatamente di riportarlo da me, accarezzandogli con mani tremanti il viso, chiamandolo per nome con voce strozzata …
<< Regina, tutto bene? >>
La voce di Snow mi raggiunse ovattata, quasi estranea, mentre cercavo di smettere di piangere Ma sembrava tutto inutile. Le sembrava andasse tutto bene? Davvero le sembrava la domanda appropriata? Avrei voluto risponderle, urlarle contro che niente andava bene, che avrei preferito la morte, pur di uscire da quella situazione. Ma non ne ebbi la forza.
Cercai di nascondere il viso fra le mani, di nascondere le lacrime. Richiamai le ginocchia al petto, rannicchiandomi in quella scomoda branda. Desideravo soltanto sparire, letteralmente cessare di esistere. Tutto purché non essere lì, a piangere per l’incommensurabile dolore di un figlio forse perduto per sempre, mentre a fianco a me avevo persone che solo una settimana prima avrei volentieri strangolato con le mie stesse mani.
Non risposi forse perché non potevo, forse perché non volevo.
Madre e figlia rimasero in piedi, di fianco al letto, immobili. Fino a quando Mary Margaret non si sedette accanto a me, ed iniziò dolcemente ad accarezzare la mia schiena scossa dai singhiozzi. Non avrei mai, e dico mai, anche solo immaginato una scena come quella.
Le altre notti solo Emma si era accorta dei miei incubi,di cui l’avevo pregata di tacere. Così aspettavo il mattino, incapace di dormire,con gli spettri del mio passato come unica compagnia. Non che fosse un compagni gradita. Cercai di capire cosa mi avesse spinto quella notte a gridare in preda al panico, invece di rimanere a singhiozzare il più silenziosamente possibile come i giorni precedenti. Era stato sicuramente quello a svegliare Snow, a costringerla a correre nella nostra stanza, spaventata quasi sicuramente per l’incolumità della figlia. Che avesse pensato ad un attimo di ira,in cui avrei potuto benissimo ucciderla anche solo schioccando le dita? Probabile. Era quasi confortante averla vicino a me adesso, a consolarmi. Mi domandai con stizza quanto fossi caduta in basso. Regina Mills, rigido ed inflessibile sindaco, temuta e rispettata regina. Era quella l’immagine che avevo dato di me per tutta la mia vita, la maschera che mi ero cucita addosso, facendola aderire perfettamente al mio corpo. Ed ora? A farsi compiangere da Snow? Da una maestrina elementare, alias principessina che giocava a fare la ribelle? Scossi brevemente la testa. Perché ciò che più mi irritava, era il fatto che a me piacesse essere consolata, compresa, per una volta nella mia vita. Era davvero tanto grave? Tanto strano?
Così, mentre i singhiozzi diminuivano e le lacrime smettevano di scendere, mentre la mente si faceva a mano a mano più lucida, cercai di ricordare quel tremendo incubo. C’era Henry, di quello ero certa. Una stanza completamente nera, senza porte né finestre. In trappola. Inginocchiata sul pavimento freddo, incapace di comprendere ciò che stesse realmente accadendo. Ricordavo la mia testa, china sul volto di Henry, ricordavo la mia fronte, che quasi sfiorava la sua, ricordavo le mie mani accarezzargli i capelli, il viso, il collo, mentre la luce nei suoi occhi lentamente si affievoliva. Ma io ed Henry, che giaceva scompostamente al mio fianco, non eravamo soli. Solo allora quel particolare, importantissimo, fondamentale, mi balzò agli occhi. Fra le mie braccia strigevo uhn corpicino freddo ed immobile, proprio come Henry. Una bambina. No, non una bambina, quella era lei. No no no no no no … non potevo permettermi che anche il suo ricordo mi tormentasse, non ora che dovevo ritrovare Henry. Non ora, non adesso, no. Scacciai quell’immagine.
<< Stai meglio Regina? >> mi chiese Mary Margaret,  quando finalmente riuscii a calmarmi. Emma non aveva ancora aperto bocca.
<< Si, si … È stato solo, solo un incubo >> dissi, più a me stessa che a loro << solo un orrendo incubo >>
<< Ma non è la prima volta, giusto? Non è la prima notte che hai gli incubi, non è vero? >> insistette lei. Lanciai ad Emma un’occhiata omicida. Forse il fatto di tradire la fiducia altrui, soprattutto la mia, era ereditario. Lei si strinse nelle spalle, senza rispondere, per poi voltarsi e dirigersi lentamente verso la sua branda. La sentii borbottare qualcosa sul fatto che tutti avevano gli incubi, soprattutto ora che ci trovavamo in situazione così, così … drammatica forse era la parola giusta.
<<  È solo ansia, non preoccuparti >> risposi. Volevo solo che se ne andasse. Non volevo che mi vedesse così. Fragile, debole, letteralmente spezzata. Era umiliante. E così triste al tempo stesso.
<< Sicura di non volerne parlare? >> Mi si rivolgeva con un tono di voce talmente irritante …  Come fossi stata parte di una delle sue classi, quando era ancora una maestra elementare senza memoria, né passato.
Scossi la testa, facendole cenno di andare. L’ultima cosa che volevo in quel momento, era una discussione con Mary Margaret sui miei problemi. Chi si credeva di essere? Uno psicologo forse? Perché chi non vorrebbe sfogarsi con la persona che ti ha manipolata per uccidere tua madre? Ed il tuo fidanzato ... oltre ad essere la causa indiretta anche della morte di tuo padre … forse stavo esagerando.
Snow se ne andò silenziosamente, non prima di baciare delicatamente la guancia di Emma. E mi ritrovai di nuovo sola. Cioè non del tutto sola, considerando che sentivo i respiri pesanti della bionda a poca distanza. Ma non faceva differenza. Mi sentivo isolata, schiacciata dal peso dei miei stessi pensieri. Per tanto, troppo tempo mi ero abituata a non provare niente, né gioia, né dolore, solo un profondo rancore, che aveva preso il controllo di ogni mia azione. E mentre un gelo quasi piacevole mi aveva attanagliato il cuore, io cercavo di reprimere ogni barlume di compassione, per quanto difficile potesse essere. Mi ero letteralmente rinchiusa in me stessa, prigioniera del mio stesso corpo, intrappolata da barriere invisibili ed impalpabili,con le quali mi difendevo da ogni sofferenza, da ogni emozione. Ironico, pensando che quella era la punizione che avrei voluto imporre a Snow, prigioniera di sé stessa. Ma da quando Henry era entrato nella mia vita, niente era stato più lo stesso.
Fin dal primo giorno, quando avevo stretto per la prima volta il suo corpicino, era stato come se uno spiraglio di luce si fosse fatto breccia nel mio cuore, un tenue barlume che illuminava un oceano di tenebre. Nella mia vita non era più esistito altro al di fuori di Henry. Da quel giorno, da quando il ghiaccio si era finalmente sciolto, da quando qual piccolo bambino paffuto e sorridente era divenuto mio figlio, avevo ricominciato ad amare, amare davvero. Ed avevo ricominciato a soffrire.
Mia madre mi aveva sempre ripetuto che l’amore è una debolezza. E ci avevo creduto. Ma quando ero diventata io la madre, avevo capito che valeva la pena correre il rischio. Ciò che non sapevo ( o che forse sapevo fin troppo bene) è che l’amore non è debolezza, è sofferenza.
Mi rigirai su un fianco, fissando il vuoto. Non provavo nemmeno a riprendere sonno, sapevo che non sarebbe successo, quasi lo speravo. All’improvviso immagini di lei mi riempirono la mente. Lei piccola, fragile, innocente. Lei fra le mie braccia, mentre la cullavo, mentre i suoi occhioni celesti si chiudevano lentamente. Riuscivo quasi a vedere i sogni rincorrersi sotto le sue palpebre diafane. Le cantavo una ninna nanna, sentivo il cuore esplodermi di gioia. Perché se l’era portata via? Via da me … perché? Desiderai poterla vedere di nuovo, lo desiderai così tanto che per un attimo, solo per un attimo, mi dimenticai di Henry. Stupida, stupida, che madre orrenda. Come avevo potuti farmi distrarre? Sentii subito le lacrime pungermi gli occhi, un po’ per il rimorso, un po’ per la disperazione. Cercai di asciugarle rabbiosamente con il dorso della mano. Dovevo essere forte. Ma loro continuavano a scendere impietose. E fu così che mi addormentai., gli occhi gonfi dal pianto e le mani strette convulsamente intorno alle lenzuola. Fu un sonno agitato, dove si alternarono sogni ed incubi tremendi. Forse su per questo che decisi che dormire non era poi gran cosa, considerando che riusciva a portarmi altro dolore, altre sofferenza. Altri ricordi.   









Angolo autrice: spero vi piaccia :) è la mia prima fanfiction e aspetto ansiosa le recensioni (sia positive che negative, naturalmente) grazie a tutti quelli che leggeranno

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Capitolo 2
*** The Love Escape ***


Rimasi alla finestra, ad osservare i domestici caricare i pesanti bagagli sulla carrozza. Di quanti abiti aveva bisogno mia madre, per un solo giorno fuori casa? La vidi aggirarsi fra i servitori, come per tenerli sotto controllo. Questi chinavano leggermente la testa quando Cora si avvicinava, senza mai toccarli, come se il solo sfiorarli le provocasse disgusto. Mi chiesi se si fosse dimenticata di essere lei stessa figlia di un mugnaio, mi chiesi quale fosse la differenza fra un benestante, un nobile, un re, ed un servitore. Non erano forse uguali, persone la cui unica differenza era la disponibilità monetaria? Scossi brevemente la testa. Lei non avrebbe mai capito, testarda e cocciuta, concentrata solamente sulla sua idea di essere superiore a tutto ed a tutti, sul suo unico scopo di ascesa sociale. Continuai a riflettere, mentre anche le ultime borse venivano issate sul cocchio.
Mentre Cora continuava a vagare con lo sguardo fra i lacchè, mio padre la seguiva come un cagnolino, senza osare proferire parola. Non lo avevo mai capito, troppo timido ed insicuro perfino per parlare alla moglie. Gli volevo un mondo di bene, amavo mio padre forse più di qualunque altra persona al mondo, ma non mi aveva mai protetta davvero, non mia aveva mai protetta da lei, mia madre. Quando mi teneva rinchiusa in casa con la magia, mi puniva per il solo fatto di essere arrivata tardi a cena, lui non faceva altro che guardarmi dispiaciuto, senza mai ribattere, pur sapendo quanto fosse ingiusto il modo in cui lei mi trattava. Era un codardo, ecco cos’era. Mi voleva bene, ma non sarebbe mai riuscito a fuggire dal controllo che Cora aveva su di lui, su di me, sulle nostre vite. Salirono sulla carrozza, e mentre mia madre non si voltò nemmeno, Henry mi fece un breve saluto con la mano, sorridendomi. Gli sorrisi a mia volta.
Il rumore degli zoccoli sul terreno si estinse presto, mentre li osservavo allontanarsi lentamente. Non avevo idea di dove stessero andando; “affari” era stata la secca spiegazione di mia madre. Ma non importava. Ciò che contava veramente è che fossero lontani, e che non sarebbero tornati prima del pomeriggio seguente.
Mi assicurai che non potessero più vedermi. Così corsi velocemente alla piccola porta che dava sul giardino, lanciando uno sguardo complice alla cameriera, che mi rispose con un sorriso imbarazzato. Mi avrebbe coperto lei, non c’era il problema che qualcuno dei servitori si insospettisse della mia assenza. Attraversai l’ampio portico, per poi correre ad aprire la porta della stalla.
<< Daniel? >> chiesi. Nessuna risposta.
<< Daniel? >> ripetei. Silenzio.
Allarmata iniziai a guardarmi attorno. Che avesse cambiato improvvisamente idea? Che mia madre avesse scoperto tutti nostri piani per quel giorno? Mentre ancora preoccupata mi aggiravo fra le balle di fieno, due braccia possenti mi cinsero i fianchi dal dietro, in un dolce abbraccio. Mi sciolsi subito fra le sue braccia, per poi abbandonarmi contro il petto dello stalliere. Lui mi baciò il capo, lasciando scivolare il naso fra i miei capelli. Mi voltai verso di lui, guardandolo nei suoi occhi blu.
<< Mi hai fatta spaventare! >> iniziai, fingendomi arrabbiata << mi sono passati per la testa mille pensieri, su mia madre su di te, su … >>
<< Shh >> sussurrò Daniel, posandomi l’indice sulle labbra << Scommetti che posso farmi perdonare? >>
Senza aspettare che rispondessi, mi prese il viso fra le mani e si avvicinò lentamente. I nostri volti erano a soli pochi centimetri, tanto che riuscivo a sentire il suo respiro caldo accarezzarmi il viso. Premette le labbra contro le mie, baciandomi con passione. Mi strinsi a lui e risposi al bacio, desiderando che quel momento non finisse mai.
<< Suppongo che i tuoi se ne siano già andati >> disse Daniel scostandosi leggermente da me, così da potermi guardare negli occhi.
<< Proprio così >> risposi sorridendo << Questo vuol dire che possiamo stare insieme fino a domani, senza che nessuno ci possa interrompere >> lo baciai di nuovo << A questo proposito … dov’è che andremo? >>
Daniel sorrise, senza rispondere. Erano giorni che programmavamo questa piccola “fuga d’amore”, ma lui non mi aveva ancora voluto rivelare il luogo dove saremmo andati.
<< Lo vedrai quando ci arriveremo >> disse soltanto. Si avvicinò ad uno dei box, prendendo le redini con una mano, mentre con l’altra conduceva il cavallo fuori dalla stalla. Accarezzai il collo dall’animale, le dita che passavano nella lentamente nella liscia criniera. Daniel prese una piccola borsa e la poggiò sulla sella.
<< L’altro cavallo? >> chiesi.
<< Non ci serve >>
<< Come non ci serve? Siamo in due e qui c’è un solo … >> Non riuscii a finire, perché Daniel mi afferrò i fianchi, mi sollevò di peso e mi poggiò dolcemente sulla sella. Salì anche lui ed io mi appoggiai al suo petto, lasciandomi avvolgere dal suo profumo.
 << Allora sei pronta? >> domandò circondandomi con le braccia. Prese le redini e si chinò verso di me, guardandomi con amore.
<< Mai stata più di adesso >>


Passò circa un’ora, durante la quale chiacchierammo del più e del meno. Daniel non si lasciò sfuggire nemmeno un piccolo indizio sul posto in cui eravamo diretti, nonostante io cercassi in tutti i modi di capire, di ricavare qualche informazione. Ci addentrammo in un piccolo bosco. Sentivo scorrere un ruscello a poca distanza, mentre sbucavamo in una radura fresca e soleggiata. Mi voltai leggermente e vidi una piccola casetta. Niente di eccezionale, sotto il punto estetico, ma comunque così accogliente, intima, graziosa. Niente a che vedere con l’immensa e fredda villa dove vivevo con  i miei. Ci avvicinammo lentamente, mentre Daniel scendeva dal cavallo per aiutarmi. 
<< Era la casa dei miei genitori. Sai, mio padre era una taglialegna. Non è niente di straordinario, però avevo pensato potesse essere … carino passare del tempo qui … insieme … e … >>
<< È perfetta >> risposi.
Vidi subito il suo volto illuminarsi in un sorriso sinceramente sollevato. Mi mise una mano sulla schiena, camminando al mio fianco. Quando arrivammo sul piccolo portico, appoggiò la borsa a terra, mentre il cavallo brucava tranquillamente l’erba.
<< Togli le scarpe >>
<< Cosa? >> Ma che diamine stava dicendo? Si, certo, era settembre, ma non mi sembrava il caso di andarmene in giro scalza per il bosco.
<< Togli le scarpe >>
<< Che cosa? >>Era forse impazzito?
<< Togli le scarpe, fidati, mi ringrazierai >>
<< Va bene mi fido ….Ma perché mai dovrei togliere … >> Lanciai un gridolini di stupore, mentre mi sollevava ed iniziava a dirigersi a grandi falcate verso il retro della casa.
<< Cosa stai facendo? >> dissi ridendo << Aspetta un attimo … non oserai, vero?>> Guardai il piccolo ruscello che scorreva a pochi metri da noi. L’acqua sembrava abbastanza alta da arrivare alla petto.
<< Oh … si che oserò >> sorrise malizioso << sai nuotare, non è vero?>>
<< Certo che so … >> Mi getto letteralmente in acqua. Faceva freddo, e la corrente mi spingeva. Riemersi prendendo fiato, guardando infuriata Daniel.
<< È freddissima! >> protestai, schizzandolo con le mani.
Lui si tolse la casacca. Rimasi a fissarlo per qualche secondo … era così, così … perfetto … mi riscossi  improvvisamente. Arrossii fino alla punta delle orecchie, sperando, pregando, che lui non mi avesse visto. Non sapevo perché fossi così imbarazzata. Cioè in fondo l’avevo solo guardato … e desiderato con tutta me stessa. In quella frazione di secondo avevo desiderato di potermi stringere a lui, di poterlo baciare fino a restare senza fiato. Scossi la testa, mentre non riuscivo a trattenere un piccolo sorriso divertito.
Si tuffò abilmente in quel piccolo, freddo ruscello, nuotando verso di me. Continuai a schizzarlo, ridendo. Mi abbracciò, ed io feci intrecciai le mie mani dietro la sua nuca. Si avvicinò ancora, e quando i nostri corpi furono tanto vicini da sembrare una cosa sola, quando le nostre fronti per poco non si sfioravano, disse: << Ti amo Regina, più di ogni altra cosa al mondo >>
La spontaneità, la dolcezza con cui lo disse mi colpirono come una pugnalata, togliendomi il respiro. Allora mia amava davvero come io amavo lui. Il tono con cui pronunciò quelle parole, come fossero la cosa più ovvia e semplice del mondo, mi riempirono il cuore di gioia. Niente ci avrebbe mai separati.
<< Anch’io ti amo >>
Mi baciò, un piccolo bacio come per suggellare quelle mute promesse che ci eravamo scambiati, nascondendole nei nostri sguardi, mentre pronunciavamo quelle poche parole. Promesse di fedeltà, amore e rispetto. Promesse che avremmo mantenuto per sempre.
Quando uscimmo dall’acqua eravamo entrambi infreddoliti. Sentivo il gelo nelle ossa, e certamente il vestito completamente bagnato non era d’aiuto. Quando entrammo in casa, Daniel accese subito il camino. Un piacevole tepore si diffuse velocemente, riscaldando le poche stanze. Entrai in quella che doveva essere stata la camera dei genitori di Daniel. Mentre lui alimentava il fuoco, mi spogliai, stendendo il vestito inzuppato d’acqua su una sedia. Mi misi una vecchia casacca che Daniel mi aveva dato. Era consunta e lisa, ma quando la indossai mi sentii subito avvolta dal suo profumo, così dolce e rassicurante. E comunque tutto purché non rimanere ancora bagnata. Mi voltai verso un grande specchio polveroso, osservando attentamente la ragazza riflessa. La casacca mi arrivava alle ginocchia. Chissà cosa avrebbe detto mia madre, vedendomi così, con i  capelli ancora bagnati che mi ricadevano scompostamente sulle spalle, scalza, mentre indossavo una casacca da uomo. Come minimo le sarebbe preso un infarto. Sorrisi a quel pensiero.
Tornai nella stanza dove si trovava Daniel. L’arredamento era povero e c’era uno spesso strato di polvere che ricopriva quasi ogni cosa; chissà da quanto qualcuno non era entrato in quella casa. Ma a me non importava. Avevo occhi solo per Daniel che, a petto nudo, con solo un paio di brache leggere, sedeva davanti al fuoco, osservando le fiamme lambire il legno. Mi avvicinai lentamente, i piedi nudi che sembravano scivolare silenziosamente sul pavimento freddo. Si voltò verso di me. Aprì la bocca per parlare, ma rimase in silenzio, come per cercare le parole adatte.
<< Cosa c’è? >> chiesi un po’ allarmata.
<< C’è che … che tu … tu sei >> si interruppe, schiarendosi la voce. Poi riprese con più convinzione << Sei bellissima >>
Arrossii leggermente, e nella penombra della casa immaginai non l’avesse notato. Mi accoccolai in terra, di fianco a lui, poggiando la testa sulla sua spalla. Sarei potuta rimanere così per sempre. Sentivo il legno scricchiolare, bruciando lentamente, mentre mi sentivo cullata dal piacevole tepore.
 Daniel si girò verso di me, guardandomi con i suoi occhi azzurri. Forse stava per dirmi qualcosa, o forse no, comunque non ne ebbe il tempo. Appena i nostri sguardi si incontrarono, fu come se ci fossimo letti nel pensiero. Incominciammo a baciarci, prima lentamente, poi con più passione. Sentivo la sua bocca premere sulla mia, mentre rispondevo al bacio con foga. Assaporai il sapore dolce delle sue labbra, mentre le dischiudeva lentamente. Mi avvicinai ancora a lui, intrecciando le dita fra i suoi capelli. In un attimo ribaltò la situazione, mentre con la schiena a terra continuavo a baciarlo. Poi si staccò improvvisamente da me, come se si fosse ricordato solo in quel momento di qualcosa di importante.
<< No Regina, non possiamo. Questo è un punto di non ritorno. Cosa direbbe tua madre, se sapesse che ho … be’…
compromesso la tua dote? >>
Lo guardai inizialmente perplessa, poi sorrisi
<< Daniel io ti amo, e sono tua, solo tua. Lo sarò per sempre. Non importa ciò che dice mia madre. Io ti amo e resterò con te per il resto della mia vita >> E ricominciammo a baciarci.
Poi mi prese in braccio e mi porto in camera. Mi adagiò dolcemente sul letto, raggiungendomi subito. Rimanemmo insieme, mentre per la prima volta mi sentivo davvero parte di qualcuno. Quella notte non fu altro che la prova del nostro amore, che, pensavo, sarebbe durato per sempre.







Angolo autrice: allora non so per quale strano motivo mi scrive tutto attaccato senza farmi andare a capo... comunque spero vi sia piaciuto questo secondo capitolo / flashback :) Recensiteeee 

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Capitolo 3
*** Lucy ***


Continuai a guardare di fronte a me, gli occhi appannati da quelle lacrime che ormai sembravano non voler smettere di scendere, intenzionate quasi a bruciarmi le guance. Lacrime di dolore, di angoscia, di disperazione. Perché così ero, disperata, forse come mai mi ero sentita prima di allora. Continuavo a cercare una soluzione, a cercare la via di fuga che non avevo. Tutto lo sfarzo che mi circondava, la bellezza ostentata di quella stanza. Ma a me non importava. Volevo solo scappare, fuggire dal palazzo, dal re, da quella vita, prima che fosse troppo tardi, prima di aver compiuto il passo che mi avrebbe costretta ad una vita di prigionia. Intrappolata in quel castello, al fianco di un uomo che non amavo, vincolata a lui fino alla morte, intrappolata nella mia bella prigione dorata. Ma soprattutto volevo scappare da lei, mia madre. Iniziai a singhiozzare, senza potermi, o volermi, trattenere. Come avrei potuto nasconderle il mio segreto? Perché lei non doveva saperlo. Non avrebbe capito, mai. Come non aveva capito il mio amore per Daniel. Continuai a piangere, ormai incapace di arrestare le lacrime. Sprofondai ancora di più nel grande letto vuoto, cercando di coprirmi con le lenzuola fin sopra gli occhi. Mi rannicchiai prendendomi la testa fra e mani. Dovevo trovare una soluzione. Erano passati due giorni dalla visita del medico. Le sue parole ancora mi risuonavano nella mente. Non che non ne fossi al corrente, il dubbio era già sorto qualche mese prima, ma sentir confermare le mie più grandi paure mi aveva stroncata. Come avrei potuto risolvere quella situazione?
La porta si spalancò all’improvviso.
<< Adesso mi devi spiegare cosa sta succedendo! >> la voce di mia madre mi raggiunse inaspettata. Era irata, la stizza traspariva anche fin troppo dalle sue parole.
<< Alzati Regina, è un ordine! E smettila di piangere, i tuoi singhiozzi si sentono perfino dal corridoio! Non vorrai mica che il re ti senta? L’ultima cosa che vuole è una moglie che piagnucola>> continuò. Avrei tanto voluto poterle saltare al collo.
Mi prese malamente per un braccio, scrollandomi. Mi mise in piedi e mi guardò con disprezzo. Non potei far altro che abbassare lo sguardo, colpevole, e lasciare che le lacrime scendessero silenziose sul mio viso, per poi infrangersi sul tappeto ai miei piedi. Il matrimonio sarebbe stato di lì a pochi mesi, ma non volevo ricordarlo, non in quel momento. Avevo un problema più grande a cui pensare.
<< Non sarà ancora per quello stupido stalliere, vero? >> disse. Scossi brevemente la testa, intimorita anche solo ad incrociare il suo sguardo << Allora cosa hai fatto? Sono giorni che piangi! Il re sarà anche un uomo debole, ma di certo non è stupido. Di sicuro presto si accorgerà delle tue continue assenze ai pasti ed i tuoi occhi arrossati. Sai la servitù chiacchiera … pettegolezzi sulla nuova regina … che non fa altro che piangere da quando … >> si bloccò. Vidi i suoi occhi  farsi grandi. Aveva capito? << … da quando il medico le ha fatto visita. Che cosa ti ha detto Regina ?>>
Sapevo che l’avrebbe scoperto. Ma avevo comunque continuato a sperare che non se ne sarebbe accorta. Stupida illusa.
<< Cosa-ti-ha-detto? >> ripeté, scandendo lentamente ogni parola << Regina ti ordino di rispondermi. Dimmelo! Non costringermi ad usarmi mezzi di cui poi potrei pentirmi >>
Tutte bugie. Lei non si sarebbe mai pentita. Non faceva che gioire di fronte alla mia sofferenza, al mio dolore. Con una sua piccola rotazione del polso, mi ritrovai sollevata terra.
<< Ti prego madre, ti prego >> mi portai una mano al ventre. Fu un gesto inconsapevole, quasi da definire ingenuo. Ma lei lo notò, perché a Cora non sfuggiva mai niente. Allora non bastò altro che fare due più due. Riuscii a vedere a rabbia riversarsi nei suoi occhi. Non l’avevo mai vista così infuriata.
<< Tu! >> gridò << Tu, piccola bastardella! Come hai potuto! Con uno stalliere … Ed io ne ero all’oscuro! Vergognati! >> le frasi erano sconnesse, ma il senso arrivò forte e chiaro. Mi scaraventò di fianco. Ero inchiodata al muro, incapace di muovermi.
<< Adesso il re lo verrà a sapere >> continuò << Mancano solo pochi mesi alle nozze … dobbiamo eliminare al più presto il problema >> si avvicinò a me , con un braccio teso. Riuscivo quasi a vedere la magia scaturire dalle sue dita. Non glielo avrei permesso.
<< Ti prego madre, ti prego >> urlai fra i singhiozzi, cingendomi il ventre con le braccia, come a voler proteggere il figlio che portavo dentro di me. Perché quello era
mio figlio, mio e di Daniel, non avrei mai potuto permettere che li accadesse qualcosa << È pur sempre tuo nipote … >>
<< Non osare! >> mi interruppe, gridando  a sua volta << Quello
non è mio nipote >> sputò quella frase con disgusto << È solo il figlio di uno stalliere >>
<< Ti prego madre … >> la mia voce ormai si era ridotta a poco più che un sussurro, una supplica quasi impercettibile << Ti prego madre, non fargli del male, farò qualunque cosa, ti prego … >>
Un’ultima lacrima silenziosa mi accarezzò la guancia. Mia madre continuò a fissarmi con disprezzo, aggrottò la fronte e girò sui tacchi.
<< Sappi che troverò una soluzione, per quanto drastica o spiacevole ti potrà sembrare >>
Uscì dalla stanza, sbattendo rumorosamente la porta. Appena fu fuori, caddi a terra, la fronte poggiata sul marmo. Rimasi immobile, sul freddo pavimento, ascoltando solo i miei respiri. Feci scivolare un braccio sotto il corpo, per poter accarezzare il lieve gonfiore del mio ventre. Poi sussurrai << Non preoccuparti, io sono qui …  ti voglio bene >>


Dopo la discussione, se così poteva essere definita, con Cora, i giorni ripresero a susseguirsi lentamente, la mia vita scorreva sfuggendomi dalle dita come fumo, senza poterla controllare, incapace di afferrarla veramente. Giorno dopo giorno, banchetto dopo banchetto, intrappolata negli stretti corsetti che cercavano di nascondere la mia colpa. Ogni mattina sembrava che le ancelle stringessero sempre più i lacci, fino a farmi mancare il respiro. Non avrei potuto continuare così ancora a lungo. Quasi non mangiavo più, come se questo potesse evitare al di rendere visibile ciò che presto lo sarebbe stato. Sentivo gli occhi del re scrutarmi, sempre, come se già gli appartenessi. Ogni volta rabbrividivo al pensiero di quello sguardo su di me, forse perché temevo che scoprisse il mio segreto, o forse per la semplice paura di quell’uomo tanto più vecchio di me. L’idea della morte mi sfiorava spesso, lasciarmi semplicemente andare al mio destino. Non mi sarebbe dispiaciuto, morire, potermi finalmente riunire con il mio amato Daniel. Ma non ora, non potevo, per quanto allettante fosse l’idea. Perché adesso non ero più sola. Avevo un figlio da proteggere, qualcuno per cui vivere.
Quando la gravidanza divenne impossibile da nascondere, anche sotto le vesti più larghe ed i corsetti più stretti, a Cora venne la malsana idea di inscenare una mia malattia. Sarei rimasta rinchiusa in quella piccola ala del castello, mentre tutti mi credevano in quarantena, colpita dalla peste, il tifo o Dio solo sa quale altra malattia potesse essere venuta in mente a mia madre. Teneva sotto controllo le menti del re, di Biancaneve, di tutto il palazzo, anche della servitù che non fosse stata la sua personale. Me li immaginai, storditi e confusi da quegli incantesimi, che riuscivano a tenerli lontani da me. Rinviarono le nozze di qualche mese, l’unica buona notizia in quel disastro che era la mia vita.
Erano ormai due mesi che non uscivo da quella stanza, sentivo le pareti schiacciarmi, soffocata da quelle mura. Non parlavo quasi più con nessuno, e la cosa mi stava facendo impazzire. Quando cercavo di scambiare poche parole con le ancelle che entravano nella camera, non ricevevo mai risposta, per quanto banali e scontate fossero le mie domande, che potevano andare da “che bel tempo oggi, non credi?” ad un semplice “grazie”. Riuscivo a vedere la paura nei loro occhi, paura di me, di mia madre, paura di dire qualcosa che sarebbe costato loro la vita. Avrei voluto poterle convincere, far capire loro quanto fossi diversa da mia madre. Ma sembrava impossibile, ed inutile, anche solo tentare.
Persa fra i miei pensieri, mi avvicinai lentamente allo specchio, quasi timorosa del riflesso che mi si sarebbe presentato. Io ero la stessa di sempre, forse le spalle un po’ più scarne, il volto più smunto. Non avevo esattamente l’aspetto di una donna al nono mese di gravidanza, tutt’altro. Se non fosse stato per il ventre rigonfio, probabilmente chiunque mi avrebbe scambiato per una povera morta di fame. Letteralmente. Ma in fondo, che senso aveva anche solo mangiare, in quella vita che ormai quasi non mi apparteneva? L’unica cosa che mi spingeva ad andare avanti era il pensiero di mio figlio. Perfino mia madre mi obbligava a mangiare, le rare volte che veniva a farmi visita. Non che fosse per premura o preoccupazione, non sarebbe di certo stata un cosa “da Cora”. Semplicemente le faceva comodo che io restassi in vita, la mia morte avrebbe solo portato scalpore. E poi chi altri avrebbe potuto sposare il re, se io fossi morta? Lei forse? Certamente non le sarebbe mancato il coraggio. Ma era stata proprio la mia condanna a rivelarsi un’arma a doppio taglio.
Avevo costretto mia madre a promettere di non uccidere il bambino. Lo avrebbe portato in un orfanatrofio o affidato ad una famiglia. Di più non avrei potuto fare per lui, non sarei mai riuscita a tenerlo con me. Il cuore si strinse in una morsa di ferro, così stretta da farmi sussultare. Avrei abbandonata mio figlio, come mi avrebbe immaginata una volta cresciuto?

Come una madre che non lo vuole, disse una voce nella mia testa.
Ma io lo voglio, non voglio lasciarlo andare, è mio figlio…
Ma sai di non avere scelta. O questo, o la sua morte….
I pensieri si accavallarono, intrecciandosi fino ad intessere un breve conversazione. Le idee presero a viaggiare, come animate di vita proprio, fino  a portarmi da lui. Pensai a come sarebbe stato averlo al mio fianco, avere Daniel come marito, come padre di mio figlio, nostro figlio. Lo vidi, nella mia mente, un’immagine così nitida da sembrare un ricordo. O un sogno, forse. Vidi Daniel avvicinarsi, posare una mano sul pancione, accarezzandolo teneramente. Scossi la testa, sbattendo le palpebre. Avrei voluto impedire agli occhi di farsi lucidi a quel pensiero. Poi una fitta lancinante mi trafisse, come una lama avvelenata. No no no no… non poteva già essere arrivato il momento. Non ero pronta. Non ancora.
Le ore successive non furono altro che dolore. Ricordavo solo quello. Le ancelle andavano avanti ed indietro con gli asciugamani, che in breve tempo si riempivano del mio sangue. Guardavo il medico di fronte a me, senza realmente vederlo.  Dopo quattro lunghe ore ero stanca, sudata, sfinita. E mia madre rimaneva impassibile, immobile accanto al letto, senza degnarmi di uno sguardo. Nemmeno per un attimo cercò di consolarmi, di alleviare le sofferenze. Quando fui sopraffatta dal dolore per un’altra contrazione, allungai convulsamente la mano verso di lei, per trovare anche solo un appiglio a cui aggrapparmi. Guardò la mano con disgusto. Così, rassegnata, strinsi più forte le lenzuola, dando un’ultima spinta. Pochi secondi dopo sentii un lieve vagito.
Il cuore mi si riempì di una gioia nuova, una gioia mai provata prima.
Distinsi poche parole pronunciate dal medico : << Brutta emorragia… bisogno di riposo … >>. Ma non importava. Allungai le braccia verso l’alto, fino a quando non mi adagiarono un piccolo fagottino fra le braccia. Il mondo intorno a me sembrò dissolversi. Non esisteva più niente per me, se non quegli occhioni smarriti che mi fissavano. Erano gli occhi di Daniel, ne ero certa.
<< È una femmina >> sentii dire a qualcuno.
Eccola lì,
mia figlia. Com’era possibile esistesse una cosa tanto bella e perfetta in tutto il mondo? Così fragile, così piccola che temetti di stringerla troppo forte, mentre una lacrima, la prima lacrima di gioia in mesi di disperazione, andava ad infrangersi sulla fronte candida della neonata.
Sentii i sensi abbandonarmi lentamente, e qualcuno cercare di prendere la bambina dalle mie braccia. Prima che la portassero via, prima che le forse venissero a meno, riuscii una sussurrare debolmente un nome, così piano che forse solo lei poté udirmi : << Lucy… >>
Poi tutto si fece buio.


Quando aprii gli occhi, il mio pensiero fu solo uno: Lucy. Pregai che non l’avesse già portata via, pregai di poterla rivedere. Non avrei sopportato l’idea di averla potuta tenere fra le braccia solo per pochi secondi, i secondi più belli della mia vita. Mi guardai intorno, constatando che la stanza era deserta. Benissimo. Poi vidi una piccola culla, di fianco al letto. Il cuore quasi mi esplose nel petto. Mi alzai di scatto, provocandomi dolorose fitte all’addome. Nemmeno le sentivo, ,mentre mi sporgevo oltre al bordo del lettino per poterla vedere, per poter imprimere a fuoco nella mia mente ogni sua caratteristica, ogni suo dettaglio. Non mi sarei mai permessa di dimenticarla, mai. Allungai le braccia, avvicinandomela al petto. Dormiva. Era così indifesa, quasi senza peso. La baciai sulle palpebre diafane, mentre con  mano tremante le accarezzavo la piccola guancia rosea. Come avrei potuto lasciarla andare? Come potevo farla scomparire dalla mia vita, come fosse stato un errore? Non volevo, non potevo.
La adagiai nel  mio letto, circondandola con i cuscini perché non cadesse. Poi mi sedetti di fianco a lei, prendendo dal portagioie una piccola collanina dorata, con un ciondolo a forma di cuore. Niente di speciale, era solo un regalo di compleanno che mio padre mi aveva fatto all’età di sei anni. Già, mio padre… chissà se Cora aveva impedito anche a lui di venire a conoscenza della mia condizione, del mio segreto. O forse semplicemente era rimasta sottomesso a lei, senza osare venirmi a cercare, senza contraddire la moglie che da tanto, troppo, ormai temeva. Presi fra le mani il piccolo cuoricino. Non sapevo se sarei riuscita nel mio intento, ma se quello che mia madre diceva era vero, la magia mi scorreva nel sangue. Non volevo fare un incantesimo complicato, che comunque non sarei riuscita a realizzare. Semplicemente tenetti stretto il ciondolo, immaginandolo per come volevo. Quando riaprii la mano, una piccola scritta decorava la superficie liscia del cuore: “Lucy” era vergato a caratteri eleganti. Aprii il ciondolo, guardando se anche l’interno era cambiato come volevo. Sul lato sinistro era scritto il mio nome e quello di mia figlia, mentre il lato destro era occupato da una piccola immagine, che avevo impresso nel metallo. Io e la mia bambina.
Sorrisi. Ero davvero riuscita ad utilizzare la magia? Misi la catenina al collo di mia figlia. Non sarebbe stata un’orfana sperduta, senza radici. Avrebbe sempre saputo la vera identità di sua madre. Poi un’altra idea mi balenò nella mente. Se davvero potevo usare la magia, forse avevo la possibilità di scappare, forse avrei potuto portare Lucy con me. Con questo pensiero mi riaddormentai, di fianco a lei. L’avrei salvata. Ad ogni costo.


Un lamento, che presto si trasformò in un pianto. Ancora nel limbo fra il sonno e la veglia aprii gli occhi. Lucy non c’era, non era più nel letto. E quel pianto era il suo. Vidi mia madre uscire dalla porta con la bambina in braccio.
<< Madre fermati! >> urlai, alzandomi di scatto. Le corsi letteralmente dietro, provocandomi fitte di dolore. Al diavolo il dolore! << Fermati! >> mi si spezzò la voce. Me la stava davvero portando via?
<< No Regina, abbiamo fatto un  patto, non puoi tenerla >> la voce era atona, come se stesse semplicemente commentando il tempo.
<< Mi ucciderò! E tu non potrai avere tua figlia a capo del regno >> la vidi bloccarsi, visibilmente turbata dalla risposta che non si aspettava certo di ricevere. Si voltò verso di me, mentre la bambina urlava fra le sue braccia. E il mio cuore urlava insieme a lei. Poi il viso di Cora si increspò lentamente in un sorriso, un ghigno così malvagio che avrei volentieri voluto farlo sparire con un cazzotto.
<< No che non lo farai >>
<< Non puoi impedi…>>
<< E invece si >> mi interruppe << Perché se solo tenterai il suicidio, se anche solo ti sbuccerai un ginocchio cadendo dalle scale, io farò fare una brutta fine al tuoi amato paparino… sai ho già qualche idea… >>
<< Non ti permetterò di ferire anche lui >> Sentii una porta aprirsi. Henry entrò nella stanza, rimanendo immobile . << Padre aiutami ti prego, non puoi permetterglielo >>
<< Non posso… lo sai che lei non me lo permetterebbe >> la sua era quasi una supplica. In quel momento lo odiai. Cora riprese a camminare spedita verso la porta.
<< Ma madre, è mia figlia! Non puoi separarmi da lei… ti prego madre, ti prego, non portarmela v… >>
<< Oh no Regina, io  non te la porterò via, non la darò ad un’altra famiglia >> si intromise di nuovo, continuando a camminare per il corridoio del palazzo. Ero a pochi passi da lei, ma all’improvviso mi bloccai. Davvero mi avrebbe permesso di tenerla con me? Rabbrividii quando la sua voce assunse un tono alquanto divertito. << Io mi
sbarazzerò di lei >>
<< NO! >> gridai con tutto il fiato che avevo in gola. Corsi verso di lei, ma fui costretta a fermarmi. Mi accasciai a terra,  il fiato mozzato da un forte dolore al ventre. Guardai in basso, verso la camicia da notte macchiata. Sangue. Ricordai le parole del medico, “emorragia” aveva detto. Non mi interessava niente di me, in quel momento. Sentivo le lacrime pungermi gli occhi. Iniziarono a scivolare copiose sulla pelle, mentre Cora si avvicinava alla porta che conduceva all’uscita del castello. Strisciai lentamente verso di lei, lasciandomi dietro rivoli rossi.
<< Madre… >> la voce era rotta dai singhiozzi. Perché? Perché mi stava facendo questo? Mio padre mi si avvicinò lentamente, ma lo fulminai con lo sguardo. Scossa dai singhiozzi, incapace di vedere per le troppe lacrime. A terra, in mezzo a quel corridoio macchiato dal mio sangue. Sentii il portone sbattere. Era finita, non avrei potuto fare altro per mia figlia. L’avrebbe uccisa. All’improvviso su come se il cuore mi fosse stato strappato dal petto. Una voragine incolmabile prese ad allargarsi dentro di me. Continuavo a ripetere il suo nome << Lucy… Lucy… >>
Quasi non mi accorsi di mio padre che mi sollevava, come fossi stata una bambina. Non mi ribellai. Semplicemente rimasi inerme senza guardarlo, desiderando solo morire. Tremavo, come se niente me lo potesse impedire. Mi portò in camera, adagiandomi delicatamente sul letto. Continuai a guardare di fronte a me, il soffitto bianco sfuocato attraverso il velo di lacrime.
<< Non ti preoccupare, chiameremo un medico >>
Sperai non arrivasse in tempo, ma la sorte fu inclemente con me. Restai immobile, smisi di parlare, smisi di mangiare, per giorni. Solo lievi gemiti uscirono dalle miei labbra. Era come se una parte di me mi fosse stata tolta, come se il solo vivere fosse una fatica insostenibile. Mi sentivo vuota.

 
*  *  *
 
<< Regina svegliati presto >> La voce di Emma mi raggiunse estranea. Mi scosse per le spalle. Aprii gli occhi di malavoglia , per incontrare lo sguardo eccitato della bionda << Siamo arrivati. Possiamo finalmente andare a cercare Henry >>
Non aveva ancora terminato la frase, che già ero in piedi.





Angolo autrice:
Scusatemiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!! vi prego non uccidetemi per il grandissimo ritardo! ho avuto molto da fare con la scuola :( allooooora spero che mi perdoniate e che vi piaccia questo capitolo :) anticipo che, come detto nella storia, nel prossimo cap. saremo a Neverland!!! Ringrazio tantissimo tutti quelli che mi seguono e che recensiscono la mia storia. vi prometto che cercherò di essere più regolare con le pubblicazioni... o comunque non far trascorrere così taaaanti giorni fra un capitolo e l'altro :)
Ciao e grazie a tutti
alla prossima!
P.S. questo sarebbe dovuto essere un capitolo più breve... ma poi mi è venuto così ... spero comunque che lo apprezzerete <3

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Capitolo 4
*** Mom and Daughter ***


Continuai a camminare, lentamente, come svuotata da tutto ciò che provavo. Dov’era Henry? Dov’era il mio bambino? Erano ormai ore che pattugliavamo, per così dire, quella foresta fitta e selvaggia, macinando metri e metri di quell’oscura boscaglia. Il risultato? Assolutamente niente. Non avevamo trovato una sola traccia, non un solo capello che ci indicasse il suo passaggio. Non dovevo scoraggiarmi, lo sapevo, ma ormai anche la speranza sembrava avermi voluta abbandonare. Mi sentivo così impotente in quella situazione, così dannatamente incapace. Persino la magia mi aveva lasciata. Certo, avevo ancora i miei poteri, ma erano cambiati. Sentivo la magia scorrere veloce nelle mie vene, più oscura e potente che mai. Ma come un fiume in piena prima o poi straripa, così anche io mi sentivo esplodere. Non riuscivo più a controllarmi, non ero più io a decidere quando e come utilizzarla. E tutto ciò era molto frustante. Forse la prima cosa che mi era stata insegnata, quando avevo iniziato ad apprendere l’uso della magia, era stato come tenerla separata dai sentimenti. Perché la magia è emozione, non pensiero, ma sopra qualsiasi altra cosa la magia è controllo. È la capacità di gestire tutto ciò che ti sta attorno, è manipolazione, è un flusso continuo ed irrefrenabile, un incontenibile corrente che ti dà la vita. È quel qualcosa che ti rende libera, sfuggente ed inafferrabile. Ma al tempo stesso ti vincola ad essa, fino a rimanere intrappolata, costretta a pagare un prezzo spesso troppo alto. E l’unico modo per controllarla veramente è  mantenere sempre un certo distacco, una sottile linea che separa la buona riuscita di un incantesimo dal caos. Ed in quel momento quel piccolo muro di divisione sembrava essersi semplicemente sbriciolato, frantumato in tanti piccoli pezzi come la mia anima, come il mio cuore. Le barricate che avevo eretto in tutti quegli anni, ciò che mi avevano impedito di provare tutte le emozioni che invece adesso mi imperversavano nel petto, erano crollate. Non avevo più niente con cui difendermi. Adesso tutti avrebbero potuto vedere cosa provavo, tutti avrebbero visto il mio essere distrutta. Mi sentivo così vulnerabile, fragile. Ed in tutta quel sofferenza, mi sentivo viva. Così terribilmente, dolorosamente viva. Non ne potevo più di quella situazione, volevo solo poter tornare a casa con mio figlio.  Perché Gold riusciva a controllarsi? Come poteva mantenere quel distacco emotivo? Non aveva forse perso anche lui un nipote?
Quell’isola mi stava cambiando, era evidente, non sapevo come tornare indietro, non sapevo come trovare Henry. Ero persa. E poi ci si mettevano anche quegli strani sogni, che mi tormentavano ogni volta che tentavo di addormentarmi. Non avrei resistito un’altra sola notte. Ma soprattutto quello che più mi turbava era lei. Perché proprio ora, dopo tutti quegli anni in cui ero riuscita a non far riemergere il suo ricordo? Mi bloccai per un secondo. Chi volevo prendere in giro? Quelle erano solo bugie. Perché lei era sempre stata nei miei pensieri, ogni giorno di ogni anno della mia vita. Ogni istante avevo avuto la sua immagine di fronte agli occhi, ogni qual volta socchiudevo le palpebre. La mia piccola Lucy.
Sentii una mano calda sulla spalla. Avevo iniziato a tremare impercettibilmente. Ma ad Emma non era sfuggito. Mi sorrise timidamente. Anche lei, forse solo lei, poteva capire cosa stavo provando in quel momento. Eravamo entrambe le madri di Henry, dopo tutto. Ma riflettendo, forse neanche lei. Emma non aveva cresciuto un figlio per dieci anni, per poi vederlo andare  via, vederlo fuggire, non si era mai sentita odiata dal suo bambino. Era stato uno dei dolori più grandi della mia vita. Emma non aveva dato alla luce un figlio, per poi vederselo strappare via, rimanendo incapace di impedire che gli facessero del male . Lucy. Quanto avrei voluto poterla crescere, poterla stringere a me anche solo per pochi secondi in più. Non volevo pensare a cosa le avesse fatto mia madre. Come avevo potuto permettere che accadesse? Immaginai la mia bambina, piccola, tremante, impaurita, fra le braccia fredde di Cora, di quella donna che in quel momento non era stata degna di essere definita tale. Ecco come l’avevo vista l’ultima volta, quello era il mio ricordo di Lucy. Serrai gli occhi, assalita da un moto di pianto. Ricacciai indietro le lacrime.
Dopo poco ci  fermammo in una piccola radura, per riposare qualche ora. Poi saremmo ripartiti. Mi sedetti in disparte, lontana dalle svenevolezze dei Charming, lontana dalle avances di Hook a Emma, e certamente il più lontano possibile da Gold. Pensai intensamente ad Henry, come a poterlo focalizzare, rintracciare in qualche modo. Niente da fare, non riuscivo a fare niente. O perlomeno niente che riuscissi a decidere di fare. Appoggiai la schiena al tronco di un albero, per poi scivolare lentamente a terra. Volevo riposare, anche se la paura degli incubi era grande. Così decisi di tenere semplicemente gli occhi chiusi, senza pensare a niente, rimanendo in quello strano limbo tra il sonno e la veglia. Poi mi rinvenni, assalita dalla strana ed irrazionale sensazione di essere osservata. Aprii gli occhi di scatto, per poi ritrovarne un altro paio a fissarmi. Erano azzurri come il ghiaccio, così freddi, crudeli. Mi alzai in fretta. Davanti a me un ragazzino poco più basso di me.
<< Chi sei? >> sibilai. Tutti gli altri si destarono. Possibile che nessuno si fosse accorto del suo arrivo?
<< Io? >> ghignò << Sono Peter Pan naturalmente >> fece un profondo inchino, senza smettere di ridere.
Scattai in avanti, senza sapere davvero cosa fare. Lo avrei strangolato? Forse. Ma lui fu più veloce di me. Mi afferrò il polso, bloccandomi.
<< No, no, no … Cosa sono queste maniere? >>
<< Lasciala stare >> Charming corse verso Peter Pan, la spada sguainata, mirando a colpirlo lateralmente. Con uno scatto fulmineo il ragazzo scartò di fianco. La lama si fermò all’improvviso, ma non abbastanza velocemente. La camicia si strappò e una sottile linea rossa iniziò a disegnarsi sulla mia pelle. David mi guardava a bocca aperta, confuso e dispiaciuto al tempo stesso. Mi portai una mano al fianco, trovandola poi imbrattata di sangue. Sentivo rivoli vermigli scorrere lenti, inzupparmi la stoffa leggera della camicetta bianca.
<< Dov’è Henry? >> si intromise Emma, quasi ringhiando. Gli altri erano rimasti immobili per tutto il tempo, forse troppo sorpresi anche solo per reagire.
<< Oh non così in fretta biondina >> Peter continuò tranquillamente, con quel sorriso strafottente ancora stampato in volto << E … Quasi dimenticavo … Ho portato degli amici a farvi visita … Alla prossima >> Mi fece l’occhiolino, per poi scomparire in un massa di persone che sembravano essere apparse dal nulla. Pochi secondi e ci ritrovammo circondati da figure incappucciate armate fino ai denti.
<< I Lost Boys >> sussurrò Killian. Cos’erano questi Lost Boys, i Bimbi Sperduti? I seguaci di Pan?
Ci attaccarono da tutti i lati, le spade si scontravano, creando suoni stridenti. Mary Margaret prese l’arco, iniziando a colpire alcuni dei ragazzi incappucciati. Gold, ripresosi dallo shock di poco prima, colpì alcuni di loro, con sfere infuocate. Ed io ero l’unica rimasta immobile, incapace di aiutare, indifesa senza la mia magia. Tentai in tutti modi di concentrarmi, di richiamare il potere a me, di piegarlo al mio volere. Ma niente da fare. Una figura alta e longilinea mi veniva incontro, un ragazzo di forse diciassette anni, lo sguardo spento, quasi assente. Mi si gettò contro, ed io feci la prima cosa che mi venne in mente per proteggermi, una cosa che non avevo mai fatto, o che comunque non avrei mai pensato di fare. Gli assestai un cazzotto in piena faccia. Quello indietreggiò, asciugandosi il sangue che gli colava dal naso. Snow si voltò stupefatta verso di me. Le risposi con un sorriso divertito, che però si trasformò presto in una smorfia. Il taglio aveva iniziato a farsi sentire. Poi, come erano arrivati, veloci, silenziosi ed inaspettati, i Lost Boys fuggirono via, dileguandosi in pochi secondi. Mi guardai attorno: eravamo tutti stanchi. Forse era quello l’obbiettivo di Pan? Prenderci per sfinimento?
Arrancai lentamente verso gli altri, tenendomi una mano sul fianco. Dovevo fermare il sangue, si sarebbe potuto infettare … mentre camminavo, sentii uno sguardo fisso su di me. Uno dei Bimbi Sperduti era rimasto su un lato della radura, continuava a guardarmi, senza muoversi, senza dire una parola. Era semplicemente immobile, mentre mi fissava stupito, anzi stupita, la bocca leggermente dischiusa. Il cappuccio era sceso, così da lasciare scoperti lunghi capelli corvini. Vidi Emma seguire il mio sguardo. Tutto ciò che accadde dopo fu come a rallentatore. La bionda estrasse la spada gridando, per poi correre e puntarla al collo della ragazza. Questa non oppose resistenza, non mosse un solo muscolo per evitare che Emma la afferrasse per  capelli, sbattendola contro il tronco di un albero. Continuava a guardarmi, con quello strano sguardo … felice, stupito … forse commosso al tempo stesso. Chi era quella strana ragazza?
<< Dove tenete Henry? >> sbraitò, spingendo di più  la lama contro la gola della ragazza, che non si degnò neanche di guardarla. Tutti corsero verso di loro. Anche io barcollai in quella direzione, cercando di osservare meglio la situazione. Era sicura di conoscere la ragazza, una di quelle sensazioni strane ed inspiegabili al tempo stesso. Quindici, forse sedici anni, non di più. I suoi occhi, così azzurri e limpidi … li avevo visti solo a due persone in tutta la mia vita … a Daniel ed a … No. Non era quello il momento di distrarsi.
<< Emma! >> disse Snow << È solo una bambina! >>
<< Ma non lo capisci Mary Margaret? È una di loro! Sicuramente sa dove hanno portato Henry >> la bionda non allentò la presa sull’elsa.
<< Emma ha ragione >> intervenne Hook << Potrebbe essere il nostro vantaggio, avere una di loro come prigioniera >>
<< E adesso cosa siamo diventati? Dei carcerier … Ma chi sta guardando? >> Snow si girò verso di me, imitata presto da tutto il resto del gruppo. Mi sentii un po’ a disagio. Ma ripresi subito il controllo
<< Lasciala >> dissi ad Emma << Le parlo io >>
Così mi avvicinai, mentre lei abbassava la spada, borbottando qualcosa a proposito delle mie “solite buone maniere”. Sbuffai. Appena fu libera, la ragazzina fece la cosa che meno mi sarei aspettata. Immaginavo avrebbe cercato di fuggire, o pregato di essere liberata. Invece mi corse incontro. Cosa voleva fare? Stava piangendo, ma non per paura o per rabbia, quelle erano lacrime di gioia, lacrime di qualcuno che aveva appena ritrovato la speranza. E poi mi sentii stringere la vita in un abbraccio così carico di amore, quasi mi ritrovai sopraffatta da quella dimostrazione di affetto. Appoggiò il viso sul mio petto, chiudendo gli occhi. Sentivo le sue lacrime calde scorrermi sulla pelle. Gli altri mi guardarono straniti: sicuramente erano scioccati quanto me. Ero così sorpresa, che la prima cosa che feci fu forse la più istintiva: ricambiai quell’abbraccio. Posai una mano sulla schiena di quella ragazza sconosciuta, mentre con l’altra presi ad accarezzarle amorevolmente i capelli. Cosa mi stava succedendo? Non sapevo il motivo delle mie azioni, ma qualcosa dentro di me mi disse che era la cosa giusta da fare. E poi non mi ero mai sentita così bene. Quel contatto mi infondeva un calore che avevo provato raramente, di cui adesso non volevo privarmi.
<< Mi hai trovata >> sussurrò la ragazza, continuando a piangere. Di cosa stava parlando? Quando provai a staccarmi da lei per poterla guardare negli occhi, si strinse ancora di più a me. Era come se avesse paura che potessi andarmene, paura di perdermi.
<< Ti prego, non mi lasciare di nuovo >> aveva iniziato a singhiozzare. Sentii il cuore stringersi in una morsa. Cosa dovevo dirle? Come potevo consolare una persona che non conoscevo, e che probabilmente mi aveva scambiata per qualcun altro?
<< Non ti lascio >> le mormorai di rimando. Sembrò calmarsi. Sentii i singhiozzi diminuire, mentre lentamente allentava la presa intorno alla vita. Nel frattempo i Charming mi, anzi ci guardavano a bocca aperta, Emma sembrava sul punto di svenire, Gold di vomitare. L’unico era Hook, che rimaneva impassibile.
Presi coraggio : << Ma io non so … chi … sei … >> terminai la frase in un sussurro. Il cuore mi si fermò nel petto, il respiro venne a mancare. Sentii le gambe cedere sotto il peso della verità, una verità così assurda ed impossibile. Era davvero quello che avevo visto? Oppure era stata solo un’allucinazione? No, era veramente lì. Fra la stoffa della casacca bianca che indossava, brillava una piccola catenina. Ed appeso alle piccole maglie dorate c’era un piccolo cuoricino.
<< Lucy … >> sussurrai lentamente, mentre le lacrime già mi bagnavano le guance. Poteva davvero essere lei? La presi per le spalle, guardandola negli occhi. Quello sguardo, era quello di Daniel, avrei potuto riconoscere quel colore ovunque. Gli alberi intorno a me iniziarono a creparsi, la corteccia che sembrava sbriciolarsi come sabbia.
<< Regina controllati! Cosa stai facendo? >> Non sentii Gold urlarmi contro, ne tantomeno gli altri chiedermi di fermarmi, mentre la terra intorno a me iniziava a tremare. Ero io a creare tutto questo?
<< Sei davvero tu? >> domandai, quasi intimorita dalla risposta. Lei annuì, gli occhi lucidi dalla felicità. Così tutto si acquietò nuovamente. Iniziai a piangere senza ritegno, mentre si buttava di nuovo fra le mie braccia, con tanto impeto da farmi cadere a terra. La strinsi forte a me, per poi accarezzarle con mano tremante il viso, seguendone dolcemente il profilo. Non sapevo cosa fare, non sapevo cosa pensare. Solo di una cosa ero certa. La mia bambina era lì, fra le mie braccia, dopo tutti quegli anni. Le baciai la fronte.
<< Regina chi è quella ragazza? >> Mary Margaret sembrava preoccupata. Ma in quel momento avevo occhi ed orecchie solo per Lucy.
<< Io non sapevo … io credevo tu fossi … Cora … >> iniziai. Cosa avrei dovuto dirle?
<< Shh non ti devi preoccupare … so tutto >> mi sorrise dolcemente. Adesso era lei a consolare me.
<< Ti voglio bene >> le dissi, la voce leggermente incrinata dal pianto.
<< Anche io mamma >>
Mamma. Mi aveva davvero chiamata così. All’improvviso sentii il cuore esplodermi di così tante emozioni, che iniziarono a turbinarmi nel petto. Io ero sua mamma. Lo ero davvero.
<< Mamma? >> Snow era a bocca aperta, come tutti d’altronde. Era l’unica ad aver avuto il coraggio di parlare.  << Quindi voi … lei … lei è … è tua … >>
Non  riuscì a finire di parlare. Perché Lucy si alzò in piedi, rivolgendomi un sorriso. Alcune lacrime le sfuggirono, mentre si girava verso Mary Margaret.
<< Si >> disse con voce ferma e sicura << Io sono sua figlia >>






Angolo autrice:
Allora... non c'è molto da dire. Ringrazio tantissimo tutti quelli che recensiscono, che seguono la mia fanfiction ed anche quelli che semplicemente leggono. Spero tanto che anche questo cap vi piaccia! Aspetto le vostre recensioni, pareri e consigli
Alla prossima e grazie ancora

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Capitolo 5
*** All the Truth ***


<< Lei è davvero tua figlia? >> Snow era allibita.
La guardai annuendo, sconvolta. Mary Margaret si portò una mano alla bocca. Tutti ci fissavano con gli occhi sgranati, incapaci di emettere solo un suono. Anche io non sapevo cosa dire. Finito lo shock iniziale, ero rimasta immobile, senza dire o fare niente, ancora seduta a terra. Davvero mia figlia era lì? Com’era possibile? Sbiancai, sentii i battiti cardiaci aumentare. Tutti quegli anni, ed io non ero stata capace di trovarla, non l’avevo nemmeno cercata. La mia bambina non aveva forse fatto altro che aspettarmi, mentre quasi non ero nemmeno a conoscenza della sua esistenza. Mi sentii assalita dai sensi di colpa. Come avevo potuto essere così stupida? Non era forse l’istinto materno a farti capire quando tua figlia sta bene, anche se non puoi vederla? Invece quell’idea non  mi aveva mai nemmeno sfiorata. Mi ero semplicemente arresa, forse perché era più facile evitare di illudersi in qualcosa, qualcosa che ti avrebbe potuto ferire ancor di più. In quel momento mi odiai, più di quanto avessi mai fatto, più che in qualunque altro momento nella mia vita. Non ero riuscita a crescerla, a proteggerla, in tutti questi anni. Sentivo il cuore pesante, era come se un grande macigno mi opprimesse il petto. Poi un’altra consapevolezza si fece strada nella mia mente, fino a mostrarsi chiara e nitida. Come avrebbe mai potuto volermi bene, o anche solo guardarmi, dopo tutto quello che avevo fatto? Ero una persona orribile. Avevo torturato, distrutto, ucciso. Quello era il motivo per cui Henry non mi amava più. E quello sarebbe stato il motivo per cui anche Lucy non lo avrebbe fatto.
David, che era il più vicino a me in quel momento, mi mise una mano su una spalla: << Va tutto bene? >>
Mi limitai a guardare Lucy, che nel frattempo si era girata di nuovo verso di me. Vedevo quella luce nei suoi occhi, quella luce di cui prendeva il nome. Si sentiva fiera di ciò che aveva appena detto, fiera di essere mia figlia. Ma come poteva? Io l’avevo abbandonata, avevo dedicato la mia vita alla ricerca della vendetta, senza mai trovare il coraggio anche solo di pensare che fossa ancora viva. Perché, lo sapevo, se quell’idea si fosse insinuata nella mia mente, avrei sofferto più di quello che già mi stava angosciando, e quella prospettiva mi faceva paura. Tremendamente paura.
Cercai di alzarmi in piedi, mi sentivo stremata. Con uno sforzo enorme barcollai verso di lei, che ora mi guardava preoccupata. Le presi il viso fra le mani, asciugando con il pollice una piccola lacrima che le era sfuggita. Mi assomigliava tantissimo, riuscivo a vederlo, a sentirlo. Stessa fisionomia, stesso carattere, stessa voglia di indipendenza e di protezione al tempo stesso. Era come trovarsi di fronte ad uno specchio, che sembrava riflettere il mio passato. Perché era ormai molto tempo che non ero più così. Era quasi identica a me da ragazza, lunghi capelli scuri, labbra carnose. Ma non gli occhi. No, gli occhi erano quelli di Daniel. Continuai a guardarla, accarezzandole dolcemente il viso, mentre sentivo le guance farsi bagnate.
<< Ti prego … >> la voce uscì in un gemito. Le gambe mi cedettero improvvisamente, ma Lucy mi sostenne, permettendomi di continuare a guardarla negli occhi.  Sentivo le forze venire a meno, ed il fianco bruciare come non mai. Stavo perdendo molto sangue, forse troppo. Lucy sembrò accorgersene immediatamente. Subito premette una mano sulla ferita, cercando di fermare i rivoli rossi che colavano lentamente a terra. Nessun altro osò nemmeno fare un passo. Ma dove diamine era Gold quando serviva? Così con un il ultimo sforzo, cercai di parlare, la vista già appannata.
<< Ti prego …>> ripetei. Ormai il mio non era più che un sussurro. Non ero sicura avrebbe potuto udirmi << Ti prego, perdonami >> E tutto si fece buio.

Appena aprii gli occhi, mi sentivo smarrita. Dove mi trovavo? Cosa era successo? Vidi il cielo stellato sopra di me. Nessun rumore. Stavano tutti dormendo. Posai una mano sul fianco, dove una stretta fasciatura mi avvolgeva la pelle. Bastarono pochi secondi, perché la mente potesse ricollegare tutti gli avvenimenti accaduti nell’arco di poco tempo. Mi ero forse sognata tutto? Non riusciva neanche a pensare all’ipotesi che non fosse vero. Sentii i battiti aumentare, il ritmo del respiro accelerare. Scattai a sedere, preoccupata di essermi immaginata tutto. Ma qualcosa me lo impedì. Non fu la fitta che partì dalla ferita, né tantomeno i muscoli intorpiditi. Qualcuno si era addormentato, con la testa posata sul mio ventre. Tirai un sospiro di sollievo. Allora era davvero lì con me. Lucy si mosse leggermente, borbottando qualcosa nel sonno. Aprì lentamente le palpebre, sorridendomi.
<< Non preoccuparti >> le sussurrai << Continua pure a dormire … >>  Sembrò non sentirmi. Si alzò a sedere, per poi mettersi di fianco a me. Era così strano averla vicina. Le circondai le spalle con un braccio, trattenendo una smorfia. Ma perché diavolo il signor Gold non aveva curato il taglio con un semplice incantesimo? Mi voleva forse far morire per una stupida intenzione?
<< Ti senti bene? >> mi chiese Lucy. Sembrava un po’ in ansia.
<< Si, certo. È solo un graffio >> mi circondò la vita con le braccia, appoggiando la testa sulla mia spalla. Dovevo trovare il coraggio di parlarle. Forse era proprio quello il momento giusto.
<< Lucy … >> alzò lo sguardo, per poi fissarmi in attesa << Lucy, io non sono la persona che tu credi io sia. Sono una persona orribile, sono stata una madre orribile con mio figlio, Henry >> già Henry … chissà se lo aveva incontrato … chissà se lo avrebbe mai incontrato << Ho fatto cose di cui … mi sono pentita, cose atroci.  Sono stata accecata dalla vendetta, dall’odio … dal dolore >> Non mi ero mai esposta così tanto con qualcuno, neppure con mio padre << Io non so cosa dirti … adesso ti vedo qui, di fronte a me, quando per tutta la mia vita ho pensato tu fossi morta. E non riesco a capire fino in fondo ciò che mi sta accadendo … sicuramente la mia vita sarebbe stata diversa  se mia madre non avesse ucciso Daniel … non che io voglia giustificarmi, forse non avrei fatto del male a così tante persone se lei non mi avesse fatto credere che tu eri… >>
<< Non importa >>
<< Cosa? >>
<< Non importa >> ripeté << So cosa hai fatto, le voci sul sortilegio e sulla “ perfida Regina Cattiva” sono giunte fino a Neverland >>
Abbassai gli occhi, colpevole. Adesso mi avrebbe odiata. Come tutti, del resto. Ma invece di continuare a parlare, mi prese il viso fra le mani, costringendomi a guardarla negli occhi.
<< So cosa hai fatto, ma non mi interessa. Mi rendo conto che sono cose orribili, ma probabilmente anch’io avrei reagito così. Quello che conta è ciò che sei adesso, non quello che sei stata in passato. E adesso io non vedo altro che una donna che sta facendo tutto per salvare suo figlio … E che si sente terribilmente in colpa con la figlia … Ma non devi esserlo. Io non devo perdonarti niente … anzi ti chiedo solo una cosa: di volermi bene, quanto io ne voglio a te, anche dopo tutti questi anni … Mamma … >> si fermò, incerta << Mamma tu mi vuoi bene vero? >> Il suo sguardo si fece improvvisamente allarmato.
<< E come potrei non volerti bene? Lucy io ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo, sei mia figlia … >> La tenni stretta a me, inspirando il suo dolce profumo.
<< Chi è Daniel? >> la sua non era stata altro che una domanda innocente. Si, me l’ero aspettato. Ma riuscì comunque a farmi sussultare.
<< Daniel è …  era … >> Quell’ “era” sembrò turbarla. Vidi il suo sguardo intristirsi. Anche io mi fermai, giusto per permettere ai ricordi di riaffiorare, quei ricordi che per così tanto tempo avevo cercato di seppellire dentro di me. Come potevo spiegarle chi fosse Daniel? Era troppo doloroso.
<< Se non vuoi … non preoccuparti. Sono stata troppo invadente, scusami … >>
<< No, Lucy. La tua è stata una domanda più che lecita. Daniel era un uomo fantastico, il più dolce e gentile che io abbia mai conosciuto. Ci amavamo, sai? Ma poi è stato ucciso. Per colpa di … >> il mio sguardo corse subito a Mary Margaret, che dormiva con Charming a qualche metro di distanza << Per colpa di Cora. E adesso tutto ciò che mi è rimasto di lui … Sei tu >> le sorrisi.
<< Quindi, quindi Daniel era mio padre? >>
Annuii, sentendo la morsa intorno al mio cuore farsi più stretta. Possibile sentire ancora la mancanza di qualcuno a distanza di tutti quegli anni?
<< Mi … mi dispiace >> disse. Si strinse di più a me.
<< Ti voglio bene >> le sussurrai fra i capelli << Lo so che sono ripetitiva. Ma non posso fare a meno di dirtelo … Ma ora sono io a farti una domanda. Come puoi essere viva? Dopo tutto questo tempo, dopo che mia madre … >> un moto di rabbia iniziò a crescere dentro di me. Mi aveva separata da mia figlia.
Si accomodò di fronte a me, e socchiuse gli occhi, come a voler riordinare i pensieri : << Sono cresciuta per quindici anni in un orfanatrofio. Non so perché Cora mi abbia lasciato lì, forse pensava che sarei potuta tornarle utile … >>
<< Per ricattarmi >> conclusi sibilando. Lucy mi guardò tristemente. Annuì.
<< Si, penso di si … comunque non sapevo chi fosse mia madre, avevo solo l’immagine della collana >> si portò istintivamente la mano al collo, intorno alla catenina dorata << Ma poi ti ho vista, un giorno sei passata nel nostro villaggio e ti ho riconosciuta. Non l’ho detto a nessuno, mi avrebbero preso per pazza. Io, un’insignificante orfana, figlia della regina: era impensabile. Comunque non so come Cora sia venuta a saperlo. Senza troppe spiegazioni mi ha presa e buttata da un portale, se non ricordo male attraverso un cappello, in quest’isola dimenticata da Dio. Penso temesse che io ti venissi a cercare, probabilmente pensava le sarei stata utile in seguito. Ma tutto questo l’ho capito dopo. Sono stati i Lost Boys a spiegarmi chi fosse realmente quella donna. E da allora sono stata qui, sotto il controllo di Pan … Ecco qui tutta la verità >>
Aveva passato tutto quello, era cresciuta da sola, rapita da mia madre per poi essere sbattuta su un isola tiranneggiata da un pazzo. E tutto questo avrei potuto impedirlo. Se solo avessi saputo …
<< Oh Lucy … >> non potei far altro che abbracciarla, di nuovo << Ti porterò via da qui. Te lo prometto >>
Mi scoccò un bacio sulla guancia. In quel momento non notai la tristezza dipinta sul suo volto. Durò solo pochi secondi.  Forse la seppe camuffare bene dietro un sorriso, o forse ero semplicemente troppo presa per rendermene conto. Solo in seguito avrei capito la natura di quello sguardo.
<< Vi aiuterò a ritrovare tuo figlio >> disse ad un tratto.
<< Davvero sapresti come fare? >> allora c’era davvero speranza.
<< Non posso promettere nulla, con Peter tutto è imprevedibile. Ma sono sicura di poter dare una mano. Sai ho visto Henry qualche giorno fa. Eravamo all’accampamento. Vi vuole bene, ad Emma e a te>>
<< Come fai a sapere della situazione con Emma e tutto il resto? >> quella ragazza continuava a sorprendermi.
<< Pan ci ha spiegato tutti, di voi e di Henry. So di Snow, Rumpel e  gli altri. Voleva che fossimo informati prima di attaccare. E comunque farò qualsiasi cosa per liberare Henry >>sfoggiò un sorriso a trentadue denti << In fondo, è pur sempre il mio fratellino >>
Non avevo ancora pensato a Lucy ed Henry come fratello e sorella. Chissà se a lui sarebbe piaciuta. Finito tutta quella strana situazione, saremmo finalmente potuti essere una vera famiglia.
<< Adesso ci conviene dormire. Domani dovremo camminare tanto e dobbiamo essere tutti riposati>> già, da quando non avevo più il controllo sulla mia magia, tutto quello che avevamo potuto fare era girare a vuoto in quella foresta inospitale. Ma forse con Lucy la situazione sarebbe cambiata.
Mi sdraiai sul giaciglio improvvisato e lei si sistemò di fianco a me. La conoscevo da poco più di qualche ora, ma già l’amavo tantissimo. Quante volte avevo sognato una scena come quella, per poi svegliarmi in lacrime? Ma ora non sarebbe più accaduto. Mai più.
<< Buonanotte mamma >>
<< Buonanotte Lucy >> 





Angolo autrice: 
allora spero che questo piccolo capitolo intermedio abbia chiarito un po' di dubbi che erano rimasti riguardo alla storia di Lucy :) premetto che nei prossimi capitoli questo personaggio svolgerà un ruolo molto importante nella ricerca di Henry. Come sempre non posso far altro che ringraziare tutti quelli che leggono la mia fanficion. Ringrazio tantissimo i 10 che la seguono, chi ha messo la mia storia fra le preferite e chi recensisce!! Poi un particolare grazie a California98 che ha commentato ogni capitolo
Alla prossima! Baciiiii
EvilRegal9841

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