you're the best i've ever had

di 31luglio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** see you again ***
Capitolo 3: *** i am in a relationship, bieber ***
Capitolo 4: *** hear your heartbeat ***
Capitolo 5: *** you and me right now ***
Capitolo 6: *** nothing better ***
Capitolo 7: *** he drives me crazy ***
Capitolo 8: *** i just cant go back in time ***
Capitolo 9: *** same mistakes ***
Capitolo 10: *** friends with benefits ***
Capitolo 11: *** do you like him? ***



Capitolo 1
*** prologo ***


prologo


«No, Audrey, io non entro.» La castana era ferma davanti a quell'enorme villa, con le mani sui fianchi. La sua voce era decisa. «Io faccio da palo. Vai tu.»

«Heather» iniziai, sospirando, «sei la mia migliore amica! Devi venire con me. L'abbiamo già fatto!» la pregai.

«Sì» ammise, «l'abbiamo già fatto e io ho perso vent'anni di vita.»

Ridacchiai, ricordandomi l'avvenimento di una settimana prima. L'avevo quasi obbligata ad entrare in casa di Britney Spears, che si trovava a Chicago per un concerto. Dopo essersi opposta per ore, aveva accettato e, cavolo, se ne era valsa la pena. Tuttavia, dopo una dozzina di minuti le era sembrato di sentire la sirena di una macchina della polizia ed era voluta uscire, spaventata. «Sei una fifona» commentai, divertita.

Lei mi fulminò con lo sguardo, offesa. «Non è vero» protestò, «semplicemente, trovo che questo tipo di avventure potrebbero procurarci dei guai.»

Alzai un sopracciglio. «Ci staremo solo il minimo indispensabile!»

Scosse la testa, convinta. «Se vuoi, entra tu.»

«Guarda che ho controllato: è in Canada, dai suoi nonni. Non ci scoprirà nessuno.»

«Non vengo» ripeté.

Sospirai rassegnata e la guardai: il lieve venticello di maggio le accarezzava i lunghi capelli castani, scompigliandoglieli leggermente; i suoi occhi, color azzurro cielo, insieme alle labbra, curvate in un lieve sorriso, avevano un'espressione quasi divertita. La conoscevo abbastanza da sapere che si stava mordendo l'interno della guancia, come faceva ogni volta che era nervosa e non voleva darlo a vedere. «Non ti arrabbierai, se lo faccio?»

«No; l'importante è che non coinvolgi me.»

«Tornerò subito, promesso.» Le diedi un bacio sulla guancia, prima di avviarmi verso la villa. Salii piano le scale in pietra levigata che portavano alla porta d'ingresso e provai ad aprirla: era aperta. Non riuscivo a capire il motivo per cui le celebrità non le chiudessero. Insomma, era come un invito, tipo: hey, ciao, non ci sono, per cui tu entra pure e derubami! Non aveva nessun senso.

Entrai cercando di non fare rumore, quasi temendo di essere scoperta. Fino ad allora mi era andata bene: ero entrata in almeno una mezza dozzina di case appartenenti alle stelle di Hollywood e non mi aveva mai scoperta nessuno. Non mi infiltravo per rubare qualcosa, non l'avevo mai fatto ed, onestamente, la cosa nemmeno mi interessava in modo particolare; lo facevo per sapere come esse fossero fatte all'interno. Non mi bastavano le fotografie su Internet, volevo visitarle personalmente.

Girai per qualche minuto per i locali del piano inferiore, entrando in ogni stanza con un'espressione sempre più stupita. Quella era la villa più bella che avessi mai visto: ognuna era ampia, piuttosto luminosa. Solamente il salotto era grande quanto l'intero appartamento di una persona normale, non povera, ma nemmeno ricca. Il pavimento di esso era in marmo bianco e, probabilmente, camminarci sopra d'estate, con un caldo soffocante fuori dalle mura della casa, era paradisiaco. Un enorme divano di pelle candida a forma di ferro di cavallo occupava la metà della stanza; lì a fianco vi era il caminetto, con davanti un paio di poltrone ed, al lato, un alto mobile nero contenente tronchetti, disposti ordinatamente, per accendere il fuoco ed, accanto, una palma. Appeso al muro dominava un grande quadro in bianco e nero, raffigurante Marilyn Monroe.

All'interno della sala da pranzo, proprio sopra il lungo tavolo in legno, dominava un gigantesco lampadario di cristallo. Se avessi abitato in quella casa, probabilmente mi sarei rifiutata di mangiare lì, per paura che mi cadesse in testa. La stanza di fianco era la cucina, anch'essa parecchio ampia. Al centro era posizionato un bancone bianco con la superficie in marmo e, sopra esso, dal soffitto pendevano delle palle da discoteca. Dopo aver visitato la palestra, uscii sul retro: anche lì, trovai un salottino, composto da divanetti bianchi; un po' più a sinistra, un letto nero faceva quasi da guardia alla piscina, di una forma squadrata.

Tornai all'interno; dopo aver controllato l'orario sullo schermo del mio iPhone 5 bianco, rinunciai a visitare i piani superiori, promettendo a me stessa che sarei tornata per farlo, e mi diressi verso la porta d'ingresso per uscire.

«Allora, che ne pensi?» mi chiese una voce alle mie spalle.






"want you to see all of the lights!"
Ciao di nuovo, bella gente!
Non so, è da un po' che ho in mente questa cosa; più o meno da quando ho visto Bling Ring.
Ho deciso di pubblicare, sperando che sia qualcosa di diverso e che vi possa piacere.
Non sono proprio decisa sul titolo, quindi forse lo cambierò, un giorno.
Forse #2, farò un trailer, se riesco.
Per ora il prologo è leggermente corto, chiedo umilmente venia.
Per il resto, ora vi elenco i personaggi (cliccate sul nome per sapere chi sono ahah):

Justin Drew Bieber
Audrey Charlie Thompson 
Heather Nicole Howard

Per ora abbiamo incontrato questi; mano a mano, ne aggiungerò altri, probabilmente.
Fatemi sapere che ne pensate!

Andrea :)

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Capitolo 2
*** see you again ***


(cap 1) see you again

 

«Allora, che ne pensi?» mi chiese una voce alle mie spalle.

Mi fermai, pietrificata. Avrei riconosciuto quella voce tra un milione di altre: così bassa, profonda, sensuale e perfetta; l'avevo ascoltata un'infinità di volte, tra canzoni, concerti, interviste o video di paparazzi e fan. Però non avrei mai immaginato, nemmeno quella sera, di poterla sentire dal vivo e, soprattutto, in un'occasione come quella.

Il cuore cominciò a battermi velocemente, mentre io cercavo di calmare la mia ansia: non sapevo se girarmi e scusarmi, se pregarlo di non chiamare la polizia, se comportarmi in modo disinvolto, o scappare. Il problema, forse, era proprio che non riuscivo a fare nulla di ciò che stavo programmando.

«Dunque?» incalzò lui; lo sentii avanzare verso di me, nel buio.

Continuai a tacere, rimpiangendo di non avere ascoltato Heather e di non essere rimasta fuori e, magari, essere tornata a casa con lei. Magari a quest'ora sarei stata sotto le coperte color corallo del suo letto in pigiama, con in mano un barattolo di gelato Ben&Jerry's ai biscotti e di fianco svariati pacchetti di patatine e di caramelle a guardare uno dei nostri film preferiti alla televisione, e non in un guaio come quello in cui mi trovavo.

Sentii appoggiare una mano sul mio fianco; sussultai spaventata, per poi decidermi a voltarmi verso di lui. Alzai lo sguardo solo per un secondo, eppure riuscii a vedere perfettamente il suo viso: era ancora più bello, dal vivo. I lineamenti di esso erano delicati anche ora che aveva diciannove anni, proprio come quando era un piccolo sedicenne; gli occhi estremamente profondi avevano un'espressione confusa ed incerta, ma non arrabbiata; le sue labbra carnose erano leggermente curvate all'insù, mostrando l'ombra di un sorriso che, non riuscivo a capire come, appariva amichevole.

Accese la luce con un telecomando che aveva in tasca e, dopo averlo riposto dove l'aveva preso, mi alzò il mento cosicché potesse guardarmi. «Sono serio» disse, «ti piace?»

«Io...» provai a rispondere, senza successo.

Chinò leggermente in avanti il capo e mi fissò negli occhi. «Ormai sei entrata, e poi ho visto che non hai rubato niente» cercò di rassicurarmi, «quindi tanto vale chiederti un parere.»

«Mi dispiace» scandii, abbassando nuovamente lo sguardo.

La mano che aveva sul mio fianco si spostò sul collo, facendomi rabbrividire. «Inizialmente anche a me» ammise, «ma ora credo di aver cambiato idea.»

Lo guardai negli occhi, senza capire. «Cosa?»

Annuì, deciso. Poi, mi domandò nuovamente: «Allora, cosa pensi di casa mia?»

Arrossii, imbarazzata. «È... molto bella. Ed enorme» abbozzai un sorriso.

«Lo so» concordò, sorridendo. «Come mai sei entrata?» mi chiese, dopo qualche secondo, seriamente curioso.

Aprii la bocca per rispondere, ma non riuscii a dire niente, a causa della vergogna che si era impadronita totalmente di me. Avrei voluto trovare delle parole che non mi facessero sembrare una ragazzina stupida ed ossessionata dalla fama, ma non ce n'erano. Non avrei potuto giustificarmi in alcun modo. Avrei fatto la figura della ladra svitata qualunque cosa avessi detto. Dopo essere stata in silenzio per qualche minuto, decisi di tirare fuori le palle e di dire la verità: «Volevo vedere casa tua.»

Nei suoi occhi color miele si dipinse un'espressione confusa che trovai adorabile. «Ma ci sono le foto su Internet...» provò a ribattere.

«Sì» ammisi, «ma volevo vederla personalmente.» Quando vidi che sul suo volto stava comparendo un'espressione ancora più sconvolta, cercai di riparare, almeno parzialmente, a ciò che avevo fatto. «Senti» iniziai, raccogliendo tutto il coraggio che avevo dentro di me e guardandolo seriamente, «non ho rubato nulla e, sinceramente, non avevo nemmeno intenzione di farlo. So che può essere sconvolgente trovare un'estranea in casa propria, ma guardami: sono una ragazzina! Non farei male nemmeno ad una mosca, te lo posso assicurare. Ora non mi interessa, chiama la polizia, se vuoi; sono pronta ad assumermi le mie responsabilità, Justin.»

Sgranò gli occhi, stupito. «Justin?» ripeté. Dopodiché le sue labbra si allargarono in un ampio sorriso e le iridi color caramello si illuminarono, il che, da una parte, mi ipnotizzò e, dall'altra, mi fece pensare che quel ragazzo avesse qualche grave problema mentale.

«Sì: è il tuo nome, nel caso non lo sapessi.»

Lui rise, seriamente divertito dalla mia squallida battuta. «Lo so, lo so, ma poche persone mi chiamano solo Justin» disse. Alzai un sopracciglio e lui riprese: «La mia famiglia, il mio team e le mie Beliebers.» Quando pronunciò l'ultimo nome sorrisi istintivamente; erano come una seconda famiglia, per me. «Quindi» ricominciò, attirando la mia attenzione, «sei una di loro, non è vero?»

Annuii arrossendo. «praticamente dall'inizio» precisai. «Ho visto la cover di With You per la prima volta il sedici marzo duemilaotto e ricordo perfettamente di aver passato tutto il pomeriggio a guardare i tuoi video. Non avevo ancora compiuto dodici anni.»

«Come sei arrivata al mio canale?»

Ci pensai un po' su. «Non so; stavo girovagando su YouTube e per caso ho aperto quel video» dissi. «È stata una delle cose migliori che abbia mai fatto.»

Lui sorrise, mostrandone uno dei migliori che avessi mai visto. Quel ragazzo era capace di togliermi il respiro con semplici gesti, figuriamoci se si fosse impegnato per farlo. Dopo qualche secondo di silenzio, disse: «Mi piaci.»

Lo guardai, incredula. «Cosa?» gridai. Temetti quasi che Heather, la mia migliore amica, che mi stava fedelmente aspettando fuori – o almeno speravo fosse ancora lì – mi avesse sentita.

Ridacchiò della mia reazione. «Non è come pensi tu» mi tranquillizzò, permettendomi così di riprendere a respirare regolarmente. «Intendo che, nonostante abbia violato la mia proprietà e questo continua leggermente a spaventarmi, quando mi hai visto non hai perso la calma. Non hai urlato...»

«Ci mancherebbe altro» lo interruppi, «ero io quella dalla parte del torto. Se avessi fatto anche la fan pazza ed ossessionata, la situazione non sarebbe certo migliorata.»

«Sei anche intelligente» osservò, fingendosi stupito per prendendomi in giro; subito dopo, per rendere più veritiera la scena – o, forse, semplicemente per fare maggiormente lo stronzo – mi applaudì.

Lo fulminai con lo sguardo. «Vaffanculo.»

«Ah, dici anche le parolacce? Male, male...» Scosse la testa, contrariato.

«Sei proprio uno stronzo, Bieber.»

Feci per andarmene, leggermente irritata. Sapevo di essere fin troppo permalosa, ma non sopportavo chi mi prendeva per il culo, anche se era il mio cantante preferito ed amore platonico. Non permettevo di farlo al mio ragazzo né alla mia migliore amica, figuriamoci a lui. Quando stavo per giungere alla porta d'ingresso per aprirla, sentii un «Aspetta!» pronunciato da quella voce che conoscevo perfettamente, seguita da una mano che afferrava il mio braccio destro, costringendomi a voltarmi.

«Cosa vuoi?» gli chiesi, con una punta di acidità nella voce.

«Hey, ti ricordo che sei tu ad essere dalla parte del torto, qui!» disse. Mi liberai dalla sua presa ed allungai il braccio verso la maniglia, ma mi afferrò nuovamente. «Dai, scherzavo» si scusò, con tono dolce. «Volevo chiederti se continuerai ad ascoltarmi, anche se ho fatto lo stronzo. Sai, non mi piace perdere le fan» ammiccò.

Che montato di merda, pensai. «Me ne vado.»

Prima che potessi voltarmi di nuovo verso l'uscita appoggiò le mani alla mia vita e mi attirò velocemente a sé. «Vorrei rivederti» sussurrò, a pochi centimetri dal mio viso.









"a successful recovery"
Ciao, amici e amiche di efp!
Eccomi di nuovo qui con il primo vero capitolo di questa fan fiction.
Prima di dire qualsiasi cosa, ringrazio:

roby3musicFrancyR5justinsgirl e Girl98 che hanno recensito il prologo.
elena97, Girl98 (di nuovo!), percoca e TITTAJONAS che l'hanno messa tra le seguite. 
FrancyR5 (di nuovo) che l'ha messa tra le ricordate.
Bya99percoca (di nuovo! Ps. il tuo nickname mi ricorda rum e pera ahahah), roby3music (di nuovo) e _imaBelieber che l'hanno messa tra le preferite.
Infine, ringrazio tantissimo le 194 persone che hanno letto o anche solamente visitato il prologo.
Vi amo tutti!
Spero che vi piaccia il primo capitolo e, per favore, recensite: vorrei seriamente un parere.
Un bacio e un biscottino per tutti,

Andrea :)

Ps. Recovery è la perfezione, non pensate anche voi?

 

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Capitolo 3
*** i am in a relationship, bieber ***


(cap 2) i am in a relationship, bieber
 

Vorrei rivederti.”

Quella frase, quelle due parole, quelle quindici lettere continuavano a risuonarmi nella mente come uno di quei motivetti troppo orecchiabili che senti una volta, per caso, e ti ritrovi a canticchiare senza ragione e nei momenti meno opportuni. Così come quella frase, anche i suoi occhi color caramello continuavano ad apparirmi in mentre, come se li avessi avuti davanti anche allora.

Ero uscita da casa sua da qualche minuto e l'aria fresca tipica delle sere di maggio accarezzava le mie braccia, passando sotto alle maniche del leggero maglioncino color crema che indossavo. Strizzai gli occhi per scorgere Heather nel buio; la intravidi a una decina di metri più avanti.

«Meno male che saresti tornata subito!» gridò quando la raggiunsi; un'espressione irritata aveva fatto capolino sul suo viso delicato, contrastando con la dolcezza che, di solito, manteneva. «Ti sto aspettando da più di un'ora, Audrey.»

Abbassai lo sguardo, come per darle ragione. «Ho avuto un contrattempo» mi giustificai.

«Non mi interessa» tagliò corto. Fece il giro dell'auto, una Audi Q7 grigia, e si posizionò sul sedile del guidatore, lasciando a me quello del passeggero. Quando fui salita, mise in moto e partì a tutta velocità.

Mi appoggiai allo schienale, sospirando. «Mi dispiace» provai a dire.

Per tutta risposta, lei accelerò maggiormente. Pregai di arrivare sana e salva a casa, mentre vedevo le strade di Beverly Hills, poi di Hollywood ed, infine, di Hollywood Hills sfrecciare di fianco a noi.

«Non vuoi sapere cos'è successo?» Tentai nuovamente di aprire una conversazione, quando ebbe fermato la macchina. Eravamo nel vialetto di casa sua, una villa a due piani color sabbia.

Lei mi fulminò con lo sguardo, scendendo dall'auto. «Tu non ti rendi conto di quanto io sia arrabbiata, se mi chiedi una cosa del genere.»

«Me ne rendo conto, invece, ma penso sia inutile...» Una volta finita la frase, mi pentii di aver pronunciato l'ultima parola.

«Inutile?» gridò. «Inutile. Va bene, la prossima volta ti faccio aspettare io.»

«Scusa!» mi affrettai a dire. Lei prese le chiavi di casa dalla tasca destra dei suoi jeans ed infilò quella della porta nella serratura, poi la girò verso sinistra ed essa si aprì. «Hai ragione, mi dispiace» ripetei. «Ma non l'ho fatto apposta, lo giuro! Ero pronta ad uscire venti minuti dopo essere entrata» spiegai, avviandomi verso il salotto.

«Certo» finse di credermi. «E allora perché non l'hai fatto? Cos'è successo, dovevi andare in bagno, per caso?» chiese ironicamente, roteando gli occhi.

Sorrisi leggermente per la battuta, poi tornai seria. «Sono stata scoperta» confessai.

Alzò un sopracciglio, cercando di trattenere una risata. «Non ci credo.»

«Te lo giuro. Lui era in casa.»

Si sedette sul divano bianco al lato della televisione a schermo piatto, incrociando le gambe e guardandomi, leggermente più tranquilla di poco prima. «Non è possibile, Audrey, dai!»

Presi posto sulla poltrona più vicina a lei. «E invece sì, Heather. Mentre stavo per uscire, mi ha chiesto cosa pensavo della casa. Credo di essermi spaventata così tanto, che morirò domani.»

La mia amica ridacchiò ed io sorrisi, contenta che si fosse calmata. «Dovevi dirmelo subito!» mi accusò.

«Ci ho provato» le ricordai, «ma eri arrabbiata.»

«Mi avevi promesso che saresti tornata presto!»

«Lo stavo facendo!»

Sospirò. «Va bene» disse, «ora raccontami tutto, per filo e per segno. Alla fine, voglio sapere anche quanti capelli ha in testa.»

 

La sveglia iniziò a suonare, intonando Same Love di Macklemore e Ryan Lewis. Sfilai il morbido cuscino color acquamarina da sotto il capo di Heather, che mugugnò un insulto e misi la mia testa sotto esso, cercando di coprire il suono del mio iPhone che segnalava che erano le sette del mattino.

Sentii la mia migliore amica togliersi le coperte di dosso ed alzarsi dal letto, per poi muovere qualche passo verso il bagno. Tornò una manciata di minuti dopo, cercando di spronarmi a prepararmi per andare a scuola, ma non mi mossi. Sospirò, aprendo poi l'armadio. La conoscevo abbastanza da sapere che sarebbe stata lì davanti un quarto d'ora per scegliere cosa indossare quel giorno.

«Audrey, svegliati!» gridò esasperata.

Mi rassegnai ed appoggiai la testa sopra il cuscino, senza tuttavia alzarmi. «Sono sveglia» borbottai, stropicciandomi gli occhi.

La castana mi guardò, severa. «Allora, alzati. Dobbiamo andare a scuola, non voglio essere ancora in ritardo per colpa tua.»

Spalancai la bocca, sorpresa. «Mia?» Risi divertita. «Oh, certo, sono io quella che non sa mai cosa mettersi la mattina. La settimana scorsa siamo entrate alla seconda ora perché tu hai impiegato ventitré minuti a scegliere un semplice paio di jeans e un maglioncino bianco» le ricordai, mettendomi a sedere sul bordo del letto.

Mise il broncio, ma non rispose ed io ne approfittai per andare in bagno. Dopodiché tornai in camera ed aprii la grande borsa rossa che portavo da Heather ogni volta che restavo a dormire da lei. Mi misi un paio di collant color carne, un paio di shorts di jeans; poi indossai una canottiera bianca e una camicia scozzese gialla, nera e bianca. Infine, infilai le Dr. Martens color rame e mi sedetti nuovamente sul bordo del letto.

«Ma come fai a decidere la sera cosa metterti il giorno successivo?» mi domandò la mia migliore amica, sbuffando.

Mi affrettai ad affiancarla, esaminando il suo guardaroba. Dopo pochi minuti le porsi un paio di leggings neri con stampate sopra delle rose rosse, un maglioncino color panna e delle Vans rosse. «Tieni» le dissi, dirigendomi poi verso lo specchio ed afferrando la matita nera. La passai sulla rima inferiore dell'occhio, poi diedi volume alle ciglia con un po' di mascara.

Dopo aver fatto colazione io e Heather salimmo sulla sua Audi e ci avviammo verso la Fairfax High School; era una scuola piuttosto prestigiosa, nonostante fosse pubblica e distava una quarto d'ora da dove abitavamo. La sede era un edificio antico, di colore bianco e con i tetti di tegole marroni ed era circondata per la metà anteriore da un lungo corridoio aperto. Dietro di essa vi erano diverse costruzioni molto ampie, di un colore così neutro da mettere tristezza. Ancora più lontano stavano i campi di tennis, softball, calcio e pallavolo. La scuola aveva parecchio verde attorno a sé, che dava un senso di aria pura e freschezza che faceva quasi venire voglia di svegliarsi presto e frequentare le lezioni. Quasi.

Entrammo nel parcheggio della scuola e la mia migliore amica fermò la macchina al solito posto, poi ci dirigemmo verso il piazzale antistante l'edificio principale.

«Amore!» gridai verso Aaron. Non appena lo raggiunsi gli circondai il collo con le braccia e lo salutai con un tenero bacio. Era il mio ragazzo da ormai un anno e mezzo e con lui avevo avuto il mio primo bacio, la mia prima volta. Era il mio primo amore.

Lui mi sorrise. «Come stai?»

«Bene, grazie» risposi. «Tu?»

«Anche io.» Mi cinse la vita con le braccia. «Sei andata da qualcuno, ieri?»

Mi schiarii la gola. «Da lui» dissi semplicemente. Sapevo che avrebbe capito: conosceva il mio amore per Justin ed, occasionalmente, ne era anche geloso.

«Ah» disse, sorpreso. «E com'è andata?»

«Era in casa» sussurrai incerta. «Abbiamo parlato un po'.»

Scosse la testa. «Stai scherzando» affermò, convinto.

«Ti giuro di no, era lì!»

«È simpatico?»

«Non saprei. Forse un po' stronzo...» ammisi.

Le sue labbra si aprirono in un sorriso, mostrando una fila di denti bianchissimi che contrastavano con la sua carnagione olivastra. «Ecco!» gridò, puntandomi contro l'indice. «Visto? Te l'avevo detto che era una testa di cazzo!» disse, canzonatorio.

Lo fulminai con lo sguardo. «Modera gli epiteti, quando parli di lui» dissi, seria. «Si è comportato un po' da montato, ma stava scherzando. E poi solo io posso insultarlo.»

Aaron alzò un sopracciglio, con un'espressione a metà tra il divertito e il sorpreso sul volto. Notai che si stava trattenendo dal ridere, per evitare di farmi arrabbiare ancora di più, ed apprezzai il suo sforzo. «Va bene» si arrese, dopo qualche secondo. «Scusami.»

Mi attirò a sé e mi baciò prima la guancia, poi le labbra. Il contatto con la sua bocca mi provocava la stessa sensazione di un anno e mezzo prima, vale a dire confusione mista a felicità mista ad incredulità. Avevo quindici anni quando ci eravamo messi insieme, e prima di allora avevo una cotta per lui da mesi. Lui era uno dei migliori giocatori di basket della scuola ed io una semplice ragazza che si era costruita una discreta reputazione da sola. Non facevo teatro, né la cheerleader, non andavo a letto con tutti – anzi, non ci andavo proprio con nessuno – e non avevo altre qualità nascoste, quindi non pensavo di avere possibilità con lui. Eravamo conoscenti, ci salutavamo nel caso ci vedessimo nei corridoi, ma niente di più. Poi, un venerdì sera, Jamie aveva costretto me ed Heather ad imbucarci alla festa del capitano della squadra di basket dove, ovviamente, c'era anche Aaron. Lì avevamo iniziato ad essere amici e poi, pian piano, diventammo sempre più legati. Un pomeriggio mi portò sulla collina di Hollywood e mi baciò. Fu il bacio più bello della mia vita, probabilmente perché non ne avevo mai dato uno, e subito dopo pensai che per lui non sarebbe significato niente, che sarei stata una delle tante. Invece, con mia grande sorpresa, mi disse che voleva che fossi la sua ragazza.

La campanella suonò, riportandomi alla realtà. Salutai Aaron con un bacio e gli diedi appuntamento alla pausa pranzo, poi trascinai Heather verso l'aula 217, dove frequentavamo la lezione di spagnolo.

«Hey!» protestò. «Non hai visto che ero impegnata?»

Era vero: quando l'avevo presa per un braccio era ancora avvinghiata al suo ragazzo, Zach, come se non avesse sentito la campanella. Ridacchiai. «Sì, ho visto, ma lo sai che, se arriviamo in ritardo, comincia a fare il suo solito monologo sulla puntualità, sulla scuola e bla bla bla. Sai, vorrei evitare. Vado lì per imparare lo spagnolo, non per ascoltare le sue riflessioni di mezz'età.»

Lei alzò gli occhi al cielo, ma non rispose, sapendo che avevo ragione. Arrivammo in classe e ci sedemmo ai nostri soliti posti, terza fila e banchi di fianco alla finestra, appena prima che entrasse il professore.

 

A metà della terza ora, quella di Storia Americana, una delle materie che consideravo un pugno in un occhio, il mio cellulare vibrò dentro la tasca destra degli shorts. Lo tirai fuori e lessi il messaggio prima di sbloccarlo: “Vuoi vedere i piani superiori, allora? :) J”.

Sorrisi istintivamente allo schermo, per poi digitare: “No, grazie”. Sperai di sembrargli, con quella risposta, una menefreghista. Volevo tornare a casa sua, certo, ma non volevo che mi vedesse come una disperata.

Dai, ti prego! La mia camera da letto è bellissima ;) non so se intendi. J”

Alzai gli occhi al cielo, pensando che il disperato fosse lui. “Sono fidanzata, Bieber”.

Provai a prestare attenzione alla lezione ma, ancora una volta, il telefono vibrò, annunciando un nuovo messaggio. “Merda, davvero? Non me l'hai detto, ieri!”

Sospirai. Almeno aveva smesso di firmarsi con la prima lettera del suo nome; pensava che non sapessi chi era? “Beh, sai, non ti conosco”, risposi.

Va bene, senti, ti vengo a prendere a scuola e ti porto a casa mia. Niente camera da letto, solo una visita. D'accordo?”

Sbuffai. Com'era pesante, Dio! “Non desisterai facilmente, vero?”

No. :)”

Non replicai; cominciai a scarabocchiare un dinosauro con una penna verde sul quaderno degli appunti color corallo, senza motivo. Poi guardai il professore, intento a spiegare la scoperta dell'America con tutta la passione che aveva. Posai successivamente gli occhi sui miei compagni: uno stava dormendo, una ragazza si stava ripassando il trucco, un'altra scarabocchiava cuoricini sul quaderno, tre mandavano messaggi, altri quattro guardavano qualcosa fuori dalla finestra, un paio sbadigliavano. In tutto, quelli che prestavano attenzione alla lezione – o, almeno, sembravano farlo – erano tre. Povero professore.

Stavo per chiudere il quaderno, dal momento che mancavano un paio di minuti alla fine dell'ora, quando il mio telefono vibrò nuovamente. Sospirai, rassegnata, e guardai il nuovo messaggio: “Allora? J”

Ottimo. Non solo aveva ricominciato a scrivermi, ma anche a firmarsi. “Sei estenuante, Bieber. E smetti di scrivere la tua iniziale alla fine di ogni messaggio, perché so come ti chiami.”

Non trattarmi male :( dai, va bene se vengo a prenderti a casa? Alle 4?”

Alzai gli occhi al cielo e decisi di dargliela vinta. “Va bene” risposi. 











 




"i ain't all bad"
Ciao amici e amiche di EFP!
Sono tornata, un po' con molta calma, ma sono tornata.
Vorrei ringraziare le due ragazze che hanno recensito, anche se ne gradirei di più.
Ringrazio tutte le quattro persone che l'hanno messa nelle preferite, le due nelle ricordate e le sette nelle seguite.
Siete tutte gentilissime, vi amo :')
Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo.
Un bacino a tutti,

Andrea :)
 
 

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Capitolo 4
*** hear your heartbeat ***


(cap 3) hear your heartbeat
 

Quando il campanello suonò, esattamente alle quattro di quel pomeriggio, stavo finendo di prepararmi. Decisi che avrebbe aspettato: d'altronde, non solo si era comportato da stronzo la sera precedente, ma mi aveva anche stressata tutta la mattina, perciò si meritava che io fossi leggermente in ritardo.

L'aria pomeridiana di maggio era decisamente afosa, perciò mi ero cambiata i vestiti: indossavo un paio di shorts bianchi a vita alta ed una maglietta a maniche corte nera a fiori color pastello. Indossai le Vans nere, poi afferrai le chiavi di casa e il telefono ed uscii.

La Range Rover color carbone di Justin era parcheggiata di fronte al cancello in ferro battuto che delimitava la villa in cui abitavo da quando ero piccola, e lui era appoggiato contro di essa, con le braccia incrociate sul petto e un paio di Ray Ban neri che gli coprivano gli occhi. Era terribilmente bello, così tanto da mozzare il fiato: indossava un paio di jeans stretti, una maglietta color panna aderente che metteva in risalto i pettorali scolpiti e una giacca di pelle nera.

Non ero per niente abituata a vederlo dal vivo – lo avevo sempre visto in foto o da lontano, quando io ed Heather andavamo ai suoi concerti – perciò averlo così vicino a me mi provocava un discreto stato di ansia. Mi obbligai a calmarmi, quindi a riacquistare la normale frequenza del battito cardiaco e ci riuscii, appena prima di arrivare da lui.

Justin sorrise, divertito dal mio comportamento. Purtroppo, a quanto pareva, non ero riuscita a nascondere la mia agitazione abbastanza bene. Mi si avvicinò e mi schioccò un bacio sulla guancia. Per quanto mi sforzassi di restare calma, non riuscii a trattenere un leggero gemito, causato dalle sue labbra contro la mia pelle.

«Devo fare la superstar montata per farti calmare?» mi chiese, sfoggiando un sorriso furbo. «Guarda che non ci metto molto a cambiare atteggiamento.»

Lo guardai, alzando un sopracciglio e cercando di apparire sicura di me stessa. «Scusami? Sono calmissima, tesoro» ammiccai.

Ridacchiò. «Certo» concordò, «allora perché ti tremano le mani?»

Spostai lo sguardo su di esse: aveva ragione. Le nascosi dietro la schiena e mi sentii avvampare. «Non mi tremano» affermai.

Mi attirò a sé e mi abbracciò. Sentire le sue braccia attorno ai miei fianchi, seppur per una manciata di istanti, fu come essere trasportata all'istante in paradiso. Erano calde e forti e mi sentii subito al sicuro, nonostante non ci fosse alcun motivo per essere preoccupata.

Mi aprì la portiera ed io salii sul sedile del passeggero, poi fece il giro dell'auto e si mise a sedere davanti al volante. Infilò la chiave nel quadro e la girò, quindi partì verso casa sua. Quando accese la radio, le note di Love Me Like You Do, una delle mie canzoni preferite del suo ultimo album, invasero le mie orecchie. Mi appoggiai allo schienale e chiusi gli occhi, canticchiando il testo a bassa voce, mentre lui dava il meglio di sé.

Si esibì in una specie di concerto privato per me, anche se formato da sole quattro canzoni: oltre alla prima, cantò anche Where Are You Now, Beauty and a Beat e U Smile. La sua voce era ancora meglio ascoltata dal vivo dentro una semplice macchina, e mi chiesi se cantasse ogni volta o se lo stesse facendo solo perché c'ero io con lui.

Parcheggiò la macchina davanti a casa sua; scendemmo entrambi da essa e la chiuse premendo un tasto sulla chiave, poi, dopo essersi guardato intorno per vedere se ci fossero paparazzi appostati da qualche parte – che, per fortuna, non erano presenti – mi prese per mano, con mia grande sorpresa. Mi guidò su per le scale di pietra che conducevano alla porta d'ingresso e, dopo averla aperta, entrammo. Mi mostrò ogni stanza del piano terreno nuovamente, spiegando le curiosità di ognuna di essa, poi mi portò al primo piano.

Salita la rampa di scale che portava ad esso mi trovai di fronte ad un ampio disimpegno; metà di esso aveva il pavimento in parquet di pino, l'altra in vetro. Le pareti cristalline davano sulla piscina e, più in basso, sulle colline Hollywoodiane e mi sentii prendere da un lieve senso di vertigine, che mi obbligò ad indietreggiare, sotto lo sguardo divertito del biondo. Entrai nella prima stanza che vidi: era una delle camere da letto. Enorme, con gran parte del pavimento in parquet coperto da un tappeto tondo color panna e il letto basso con le lenzuola del medesimo colore, quella stanza era semplice, ma perfetta, come il resto dell'abitazione.

«Allora» iniziò, «che ne dici?» Sorrise, lasciandomi la mano e sedendosi sul letto matrimoniale.

Annuii. «Carina.»

La sua espressione si fece un po' irritata. «Carina?» ripeté. «È tutto quello che hai da dire sulla camera in cui scoperemo?»

Lo guardai, dapprima confusa, poi arrabbiata. «In cui faremo cosa?» chiesi, senza aspettarmi una risposta. «Per caso, non hai letto che sono fidanzata?»

«E quindi?» mi chiese, tranquillo. «Se sei fidanzata, non scopi?»

«Non con te» risposi secca. Non potevo credere che un ragazzo apparentemente così intelligente facesse davvero ragionamenti del genere.

Il suo sguardo si fece un po' triste, poi sorrise teneramente. Il mio cuore, che con lui diventava di ghiaccio – o almeno, provava a farlo – si sciolse. «Dai, scherzavo» si scusò. Dopodiché, mi prese la mano destra e mi tirò verso di sé, facendomi cadere sul letto. «Ahia!» gridò, ridendo. Si massaggiò la tempia, contro cui la mia testa aveva sbattuto.

Mi sdraiai a pancia in su e lo guardai. «Mi dispiace, ma è stata colpa tua» mi giustificai, divertita. Lui mi fulminò con lo sguardo, poi mise il broncio. La sua espressione era terribilmente dolce, a tal punto che mi avvicinai gattonando verso il bordo del letto su cui era seduto e lo abbracciai da dietro. Non riuscì a restare imbronciato; sorrise, poi mi diede un bacio sulla guancia.

«Vuoi vedere le altre stanze?» domandò, dopo qualche istante di piacevole silenzio. Dopo che ebbi annuito, mi portò a visitare il resto della casa ed, infine, ci sdraiammo sul letto nero al bordo della piscina esterna. Lui stava a pancia in giù, con il capo posto sulle braccia incrociate, rivolto verso di me; io, invece, stavo supina, il viso diretto verso il cielo, baciato dal sole, e gli occhi chiusi. Un venticello tiepido mi scompigliava leggermente i capelli castani, facendomi rilassare ancora di più.

«Sei bellissima» disse, cogliendomi di sorpresa.

Aprii gli occhi e voltai il capo verso di lui, sentendomi avvampare. Sorrisi timidamente. «Grazie» replicai, senza sapere bene che altro dire. Dopo qualche istante, continuai: «Anche tu sei abbastanza decente.»

Mi diede un leggero pugno sul braccio, apparentemente offeso e, nonostante sapessi perfettamente che si era sforzato per non farmi male, finsi il contrario. «Ahia!» gridai, imbronciata.

«Che bugiarda» affermò con sdegno. «Faresti qualsiasi cosa per sentirti sussurrare parole dolci da me, non è vero?»

«Forse dimentichi che sto con un ragazzo. Non ho bisogno delle tue parole dolci, tesoro» ammiccai, lasciandolo a bocca aperta. Probabilmente non si era mai sentito rifiutato da nessuna ragazza.

«Bene» borbottò. «Dato che parli sempre di questo tuo ragazzo, perché non vai da lui?»

«Oh mio dio, sei geloso!» esclamai, ridacchiando.

Mi guardò serio. Aveva la stessa, tenera espressione di un bambino a cui era stato negato un lecca-lecca. «Non sono geloso.»

Mi avvicinai a lui, girandomi su un fianco. Appoggiai la testa al suo petto e Justin non impiegò molto a cingermi le spalle con il braccio. Sentivo il suo cuore battere a ritmo regolare, come se tenesse il tempo di una canzone.

Amavo ascoltare il battito dei cuori delle persone. Appoggiavo sempre l'orecchio al petto di qualcuno, che fosse quello dei miei genitori, dei miei fratelli, di Aaron, di Heather o di qualche mio amico e chiudevo gli occhi, lasciandomi cullare dai loro palpiti cardiaci. A volte mi addormentavo in quel modo.

Il mio iPhone iniziò a squillare, interrompendo quel magico momento. Sbuffai, scorrendo il dito sullo schermo per rispondere a mia madre. «Pronto?»

«Audrey, dove sei?» mi domandò.

«Da un amico, mamma» replicai, svogliata.

«Chi è?»

«Non lo conosci.»

«Lo sai che non voglio che tu vada a casa di gente che non conosco!» disse, aumentando il tono di voce.

Roteai gli occhi. «Ho quasi diciassette anni, non sono più una bambina.»

«Senti, signorina» iniziò irritata, «finché vivrai sotto il mio tetto farai come dico io.»

«Che palle» sussurrai. «Se ti dico il nome, smetti di rompere?»

Dalla pausa che fece prima di rispondere intuii che ci stesse pensando. «Forse» rispose infine, leggermente più calma di prima.

«Justin.»

«Justin? Intendi Justin Preston? Ma sì che lo conosco!»

«Intendo Justin Bieber» la corressi, preparandomi mentalmente ad ogni sua possibile risposta.

«Quel Justin Bieber?»

«Proprio lui.»

«Sì, certo» mi assecondò divertita.

Sbuffai sonoramente. «Come vuoi.»

«Vedi di tornare a casa presto» mi ordinò, ancora ridacchiando.

«Sì, capo. Ciao» riattaccai.

Justin mi stava osservando accigliato. «Dovrei conoscere tua madre?»

La sua espressione mi fece ridere. «No, non ti preoccupare.»

Fece un sospiro di sollievo, poi mi strinse a sé. Mi sdraiai a pancia in giù, appoggiai nuovamente il capo sul suo petto e gli chiesi di cantarmi Christmas Eve, nonostante fosse maggio inoltrato. Dapprima mi guardò come se fossi pazza, però assecondò la mia richiesta. Quella era una delle mie canzoni preferite. A parte il fatto che amavo l'atmosfera natalizia in generale, aveva un testo che mi piaceva tantissimo e una melodia rilassante. Lo ascoltai chiudendo gli occhi, lasciando che la sua voce e i battiti del suo cuore mi cullassero.















"cause you deserve the best"
Buongiorno a tutti!
Come vedete sono tornata con "soli" dieci giorni di ritardo.
Innanzitutto vorrei ringraziare le tre meraviglie che hanno recensito lo scorso capitolo e chiunque abbia messo questa fan fiction tra le preferite, le ricordate o le seguite. Siete gentilissime!
Per favore, fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo e preparatevi al prossimo, che ho già pronto e che, secondo me, sarà discretamente interessante... if you know what I mean ;)
Per qualsiasi cosa, sul mio profilo ci sono sia il mio profilo Facebook, sia quello Twitter, quindi nel caso voleste contattarmi sapete dove trovarmi!
Un enorme bacio a tutti voi, vi amo tanto.

Andrea :)

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Capitolo 5
*** you and me right now ***


(cap 4) you and me right now

 

Aprii la mia cabina armadio e la esaminai attentamente. Una goccia d'acqua percorse la mia schiena, procurandomi un leggero brivido, senza tuttavia riuscire a distrarmi dal mio obiettivo: dovevo trovare un vestito da mettermi quella sera, e anche in fretta. Di solito sceglievo quello che avrei indossato ad una festa con largo anticipo, ma quella volta avevo rimandato la cosa giorno dopo giorno, trovandomi alla sera in cui sarei dovuta uscire senza avere idea di cosa mettere.

Erano passate un paio di settimane da quando avevo conosciuto Justin ed eravamo diventati amici. Ci vedevamo regolarmente ogni settimana per qualche ora, passavamo insieme interi pomeriggi a ridere, parlare, giocare e, spesso e volentieri, anche a litigare. La nostra era quel tipo di amicizia che non sopporti, ma di cui non puoi fare a meno. Lui si comportava da stronzo ed io mi arrabbiavo, poi provava a calmarmi ed io non facevo che adirarmi maggiormente, quindi anche lui si innervosiva e cominciavamo a litigare. Più di una volta, nel corso di quelle due settimane, avevo fatto per andarmene, ma poi lui mi tirava a sé e mi abbracciava e io... Beh, io non sapevo resistere a quelle braccia muscolose, forti, calde e piene di tatuaggi.

Quasi una settimana prima mi aveva invitata ad una festa a casa di Usher e, quando l'aveva fatto, mi ci era voluto più di uno sforzo per non urlare di gioia. Ovviamente avevo accettato e, quello stesso pomeriggio, ci eravamo organizzati. Mi sarebbe venuto a prendere alle otto e mezza a casa, avrei dormito da lui – avevo detto a mia madre che sarei rimasta da Heather – e mi avrebbe riportata la mattina successiva.

Avrei voluto urlare al mondo intero che sarei andata a casa del cantante afroamericano, eppure, in un qualche modo, riuscii a trattenermi. Passai la settimana cercando di apparire il più tranquilla possibile con i miei amici ed Aaron e mi sembrò che nessuno di loro sospettasse che fosse successo qualcosa. Ricevetti inviti a varie feste per quel venerdì, ma declinai cordialmente ognuno di essi, dicendo loro che sarei stata a casa a giocare con Evie, la mia sorellina, perché ero stanca.

Decisi di tornare in bagno per asciugarmi i capelli, invece di stare a perdere tempo dentro alla cabina armadio senza scegliere nulla. Accesi il phon alla massima potenza e lo agitai finché non mi sentii asciutta, quindi tornai ad esaminare i miei abiti. Questa volta, l'ispirazione arrivò quasi subito: un vestito nero di pizzo con lo scollo a V che avevo messo forse una volta da quando lo avevo comprato stava in bella vista, quasi a volermi pregare di indossarlo. Mi affrettai a prenderlo e lo infilai, compiacendomi mentalmente per il modo in cui mi stava. Mi sentivo estremamente sexy.

Subito dopo mi diressi verso lo specchio di fronte al mio letto e mi truccai con l'ombretto, bianco all'angolo interno dell'occhio sfumato fino ad arrivare a nero a quello esterno, un po' di matita sulla rima inferiore, del mascara e un po' di blush. Per finire, ripassai le labbra con un rossetto dal colore abbastanza naturale.

Tornai in camera e mi infilai un paio di décolleté nere, poi afferrai una pochette del medesimo colore e vi infilai dentro le chiavi di casa. Poco dopo il mio iPhone iniziò a squillare, segno che Justin era arrivato e mi stava aspettando. Scesi velocemente le scale, salutai la mia famiglia ed uscii, dirigendomi verso la Range Rover nera.

«Buonasera!» mi salutò sorridendo, per poi darmi un bacio sulla guancia. «Sei uno schianto, oggi più del solito.»

Sorrisi. «Grazie, anche tu non sei niente male» ammisi. Era vero: nonostante fosse vestito come al solito – jeans, maglietta bianca e giacca di pelle – era meraviglioso. Ogni giorno che passava sembrava più bello e non capivo come fosse possibile.

«Finalmente mi fai un complimento» osservò divertito. Dopo aver riso a causa dell'occhiataccia che gli rivolsi mi aprì la portiera ed io salii; si posizionò dietro al volante ed accese l'auto, partendo verso la casa dell'amico.

Arrivammo dopo un quarto d'ora di canzoni cantate a squarciagola, totalmente indifferenti del fatto che qualcuno ci potesse sentire e etichettare come malati mentali. Scendemmo dall'auto davanti a un'enorme villa gremita di gente già all'esterno e Justin mi condusse per mano dentro all'abitazione. Prima, però, si fermò una ventina di volte a salutare prima questo personaggio famoso, poi quell'attore, poi quell'altro cantante. Riconobbi almeno una dozzina di celebrità di cui avevo visto i film o ascoltato le canzoni, tra cui Selena Gomez, la sua ex, che salutò di sfuggita, e Justin Timberlake, con cui scambiò quattro chiacchiere. Infine, mentre stavamo entrando in casa, il biondo urlo un «Ciao, amico!» in direzione di Usher, che stava parlando con una bionda.

Non appena sentì Justin lasciò perdere la conversazione e ci venne incontro con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto. «Come va, uomo?» gli domandò in tono amichevole. Poi spostò lo sguardo su di me, facendomi sentire leggermente a disagio. «E chi è questa bella ragazza? Presentamela, se non vuoi essere sbattuto fuori all'istante!»

Il biondo rise, sinceramente divertito. «Tutto bene, grazie» rispose. «Lei è una mia amica. Si chiama Audrey.» Mi guardò. «Audrey, lui è Usher, ma credo tu lo sappia.»

Sorrisi, porgendo la mano all'uomo. «È un enorme piacere conoscerla.»

Lui mi abbracciò, lasciandomi sorpresa. «Per carità, tesoro, dammi del tu, o mi farai sentire vecchio!» disse in tono scherzoso.

Ridacchiai; aveva un modo di fare simpatico, che metteva allegria. Non me l'aspettavo, da uno che era famoso da anni. «Non vorrei mai mancarti di rispetto!» replicai, infine.

«Senti Audrey, ti tratta bene questo ragazzo?» chiese, rivolgendo a Justin un'occhiata severa. «Perché so come si comporta con le fanciulle, sai, è solito darsi un sacco di arie e fare un po' il maleducato...»

Annuii ma, prima che potessi rispondere, il biondo lo interruppe: «la tratto benissimo.»

Lo guardai con un'espressione a metà tra il divertito e l'incredulo, poi scossi la testa. «Che bugiardo» commentai. Poi risposi ad Usher: «ogni tanto, anzi, spesso rompe le palle, ma per adesso riesco ancora a sopportarlo senza avere voglia di buttarlo giù dal balcone.»

L'uomo rise. «Non esitare a chiamarmi, se dovessi avere bisogno!» ammiccò. Subito dopo si guardò attorno e, dando una pacca amichevole sulla spalla a Justin, disse: «ora vi lascio soli. Laggiù c'è il bar, lì il vario cibo, il bagno è la terza porta sulla destra e... niente, divertitevi!» Dopodiché scomparve dietro un gruppo di persone.

«Allora, che te ne pare?» mi domandò il biondo.

«È simpatico.»

«Simpatico?!» esclamò, contrariato. «Ma se mi ha infamato davanti a te!»

Lo guardai divertita. «Scherzava.»

«Oh, no. Non scherzava affatto. Io lo conosco» affermò.

«Non mi ha detto nulla che non sapessi già.»

«Grandioso.» Incrociò le braccia al petto, imbronciato. Lo presi per mano e lo trascinai verso il bar, ordinando due Long Island che ci vennero serviti subito. Afferrai il mio ed iniziai a berlo tranquillamente, senza accorgermi che mi stava guardando. «Tu bevi?» domandò, sorpreso.

«È proibito farlo, per caso?»

La sua bocca si aprì in un sorriso. «Sei la ragazza dei sogni» disse, per poi prendere in mano il suo drink e cominciare a sorseggiarlo. La sua affermazione continuò a volteggiare per la mia mente finché l'effetto dell'alcool non iniziò a fare il suo corso, donandomi un po' meno di lucidità e un po' più di libertà mentale.

Lo trascinai sulla pista da ballo mentre il DJ stava suonando un remix di Die Young di Ke$ha, ed iniziai a saltellare a ritmo di musica cercando di stare in piedi sulle décollété che, per quanto belle, erano anche terribilmente scomode per ballare. Lui iniziò a muoversi davanti a me, apparentemente senza alcuno sforzo. Dopo aver ballato un paio di canzoni a cinque centimetri di distanza l'uno dall'altra mi attirò a sé e fece combaciare i nostri corpi. Nonostante l'alcool – o forse proprio grazie ad esso – non potei fare a meno di notare quanto sembrassero incastrarsi alla perfezione, come fossero la parte complementare l'uno dell'altro. Sentivo il suo petto contro il mio, le sue braccia che cingevano la mia vita... e non potei evitare di pensare come sarebbe stato a letto.

In uno sprazzo di lucidità scacciai via quella fantasia, vergognandomi di averla fatta e ricordandomi di Aaron, il ragazzo che amavo. Non avevo alcuna intenzione di rovinare la nostra storia durante una semplice serata che avrei trascorso con un ragazzo che non era niente più di un amico.

Se è solo un amico, come mai non hai rivelato a nessuno che saresti andata ad una festa con lui?, mi chiese una vocina nella mia testa. La risposta era ovvia: non l'avevo fatto perché non era una semplice festa, ma una con centinaia di celebrità e, se qualcuno fosse venuto a saperlo, si sarebbe presentato e l'avrebbe rovinata.

Bugiarda, affermò la vocina, Heather non l'avrebbe fatto. Heather sarebbe voluta venire con me ed io non avevo voglia di condividere questa piccola esperienza con lei, per ora. Gliene avrei parlato l'indomani, quando tutto sarebbe già stato finito.

Non l'hai rivelato perché avevi paura. Paura? Paura di cosa? Ma per favore, era ridicolo. Io non avevo paura.

Paura che Aaron si arrabbiasse. Aaron non si sarebbe arrabbiato, perché sapeva che io avevo occhi solo per lui, da quasi due anni ormai.

Aaron è geloso e tu lo sai, per questo non gliel'hai detto.

Decisi di non dare peso ai miei pensieri. «Justin» gli sussurrai ad un orecchio, apparendo forse troppo provocante. «Voglio un altro drink.»

Lui si fermò, guardandomi serio. «Non se ne parla» disse infine, scuotendo la testa deciso. «Ne hai bevuti solo due e sei già fuori di testa. Non ne avrai un terzo.»

Lo fulminai con lo sguardo. «Vaffanculo.»

Mi prese per mano e mi portò a sedere su uno dei divanetti di pelle color panna sistemati attorno all'ampia piscina piena di ospiti non del tutto sobri. La testa cominciava a farmi male e a girare, perciò aggrottai la fronte massaggiandomi le tempie. «Non ho nessuna voglia di pulire il tuo vomito dalla mia bellissima macchina, chiaro?» disse.

Sbuffai. «Okay!» mi arresi, scocciata. «Bene. Non avrò un drink. Una canna, però, posso farmela?» domandai, guardandolo con aria supplicante. Avevo un terribile bisogno di estraniarmi dalla realtà per evitare che i pensieri a cui non volevo dare voce prendessero il sopravvento, e sperai che lui lo capisse in qualche modo.

Chiuse gli occhi per un secondo, sospirando. «Metà io e metà tu, va bene?»

Capii che, se volevo fumare, le condizioni erano quelle, perciò accettai. Estrasse il drum riempito di erba dalla tasca destra dei jeans, poi la accese con un accendino verde e me lo porse. Appoggiai il filtro tra le labbra, inspirai e ben presto sentii i miei nervi rilassarsi, quindi espirai giocherellando con il fumo e gliela passai. Lui ripeté le mie azioni quasi in modo identico. Continuammo così finché non rimase solamente il filtro.

Mi sdraiai sul divanetto e guardai il cielo. «Secondo te, le stelle quante sono?» chiesi, cercando di contarle tenendo il segno con le dita. Una, due, tre, quattro, cinque... Mi persi a cercare di individuare le costellazioni, quindi ricominciai. Dopo aver fallito una mezza dozzina di volte rinunciai, e tornai a guardare il cielo con aria sognante.

Mi rivolse uno sguardo divertito. «Sei proprio fuori.»

«Rispondi.»

«Non so che cosa dirti, Audrey.»

«Spara un numero.»

«L'infinito...»

«Come io e te in questo momento?»

Mi guardò nuovamente, sorpreso. «Sì» sorrise, «come noi due in questo momento.»














"rollercoaster"
Ciao splendori!
Come potete ben notare, sto aggiornando solo due giorni dopo aver pubblicato il capitolo 3.
E perché? Un po' perché sono soddisfatta dai risultati che ha avuto, un po' perché non ce la faccio a resistere.
Il fatto è che sono troppo soddisfatta di questo capitolo per tenervi ancora sulle spine, eheheh.
Spero che vi piaccia e, come al solito, ringrazio infinitamente chiunque abbia recensito e/o messo tra le preferite, le seguite o le ricordate la mia fan fiction.
Per favore, fatemi sapere cosa pensate del capitolo!
Un bacio grande grande a tutti,

Andrea :)

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Capitolo 6
*** nothing better ***


(cap 5) nothing better

 

Una volta finito l'effetto dello spinello, ne avevamo fumato un altro. Non voleva che bevessi dell'alcool nonostante fossi tornata quasi completamente sobria, quindi ero ricorsa ad una cosa alternativa: l'erba. Non poteva fare che bene; essa mi rilassava, mi rendeva tranquilla, al massimo faceva venire fame.

Dopo aver mangiato, eravamo tornati sui divanetti bianchi attorno alla piscina e ci eravamo rimasti. Stavamo lì da un tempo che non ero riuscita a definire, lui seduto ed io sdraiata, con la testa appoggiata sulle sue gambe. Avevo rinunciato a contare le stelle; ora mi limitavo semplicemente a spostare lo sguardo dal cielo, a lui. I suoi occhi color caramello, illuminati semplicemente dalle deboli luci sistemate qua e là, mi toglievano costantemente il respiro. Sarei potuta perdermi dentro quelle iridi, se solo avesse intrecciato il suo sguardo al mio, ed invece non lo faceva.

E lo faceva apposta. Lo vedevo sforzarsi a concentrarsi su qualcos'altro, che fosse una ragazza, due persone che parlavano, la casa. Si accorgeva che lo stavo osservando, quindi si mordeva nervosamente il labbro inferiore ed, infine, spostava lo sguardo su qualcosa a caso. E deglutiva. E io lo avrei volentieri mandato a fare in culo, ma non avevo intenzione di rovinare la serata con un litigio.

«Non ti uccido se mi guardi, promesso» lo rassicurai ad un certo punto, decisa a sapere cosa lo spingesse a spostare l'attenzione su qualsiasi cosa tranne me.

Obbligò se stesso a mostrarsi sorpreso; il suo gesto non fece che aumentare la mia irritazione. «Come mai questa affermazione?» domandò, osservando insistentemente una coppia che si stava scambiando effusioni dentro la piscina.

Mi alzai di scatto. «Vaffanculo» dissi semplicemente, dirigendomi verso l'interno della villa. Lo sentii scattare in piedi dietro di me e seguirmi; mi prese per un braccio, costringendomi a voltarmi. I nostri sguardi si incrociarono per un solo istante, poi fui io ad obbligare me stessa a spostare l'attenzione su Usher, a qualche decina di metri da noi. Si voltò e mi guardò, salutandomi con la mano. Gli rivolsi un sorriso, cercando di mostrarmi sincera, poi decisi che la mossa di guardare proprio lui era stata pessima. Era decisamente meglio guardare il muro, perciò non esitai a farlo.

«Non ti uccido se mi guardi, promesso» affermò Justin, ripetendo quel che avevo detto io poco prima con un tono di voce acido ed un sorriso bastardo dipinto sul viso.

Gli rivolsi uno sguardo gelido. «Mi chiedo solo il motivo per cui sono entrata in casa tua, quella sera.» Le parole mi uscirono affilate come una lama. «Sarebbe stato molto meglio continuare a seguirti da uno schermo.»

La mia frase lo lasciò a bocca aperta. Vidi le sue iridi diventare tristi, poi mi fulminò. Mi lasciò il braccio con rabbia, quindi mi accorsi di averlo ferito. Fece un lungo respiro, chiudendo gli occhi per tutta la durata di esso e, dopodiché, mi guardò freddo. Feci un passo verso di lui, ma indietreggiò e mi fermò dal farne un altro con la mano.

«Justin, io...»

«No» mi interruppe, «stai zitta. Non c'è bisogno che tu dica altro, ho già capito tutto.» Mi lasciò lì, dirigendosi verso Usher; si fermò parlare un paio di minuti con lui, poi li vidi scambiarsi qualcosa. Infine, tornò da me. «Seguimi» sibilò, dirigendosi verso l'interno della casa. Feci come mi aveva ordinato; entrammo, salimmo le scale che conducevano al primo piano, percorremmo un breve corridoio e ci fermammo davanti alla terza porta sulla sinistra. Era diversa dalle altre: mentre esse erano di semplice legno e si aprivano verso l'interno della stanza, questa era scorrevole e dipinta di viola. Il biondo estrasse una chiave dalla tasca e la infilò nella serratura, quindi girò. La porta si aprì e lui entrò, facendomi segno di fare lo stesso. Mi trovai davanti una stanza enorme, con delle frasi di canzoni – Love Me Like You Do, Fall e un'altra che non conoscevo – e qualche graffito sulle pareti bianche. Un letto matrimoniale con le lenzuola viola sotto la frase che non conoscevo – and if I had the world in my hands I'd give it all to you – stava nella parte di destra. Di fronte ad esso, appoggiata all'altra parete, vi era una scrivania nera con sopra un Macbook, un mixer ed un paio di cuffie; una chitarra per mancini stava appoggiata di fianco alla scrivania. Di fronte alla porta si trovava una batteria; di fianco, invece, un pianoforte nero a corde.

Guardai Justin mentre chiudeva la stanza a chiave da dentro, confusa. Dal momento che non mi rivolse alcuna spiegazione, mi diressi verso il letto e mi sedetti sul bordo di esso, togliendomi le scarpe.

«Questa è la mia camera» disse, poi. «Cioè, in questa villa, è la mia. Quando vengo qui e non ho voglia di prendere la macchina e tornare a casa, dormo qua dentro. Ho tutto quello che mi serve. Ed è insonorizzata» continuò. «E, dato che ho dedotto ti andasse di litigare, ti ho portata qui. Così possiamo farlo senza dare nell'occhio.»

«Non voglio litigare» ribattei.

Rise nervosamente. «Ah, no? Sono sicuro che tu non abbia fatto quell'affermazione perché non sapevi cosa dire.»

«Non volevo ferir...»

«Non importa» mi interruppe. «Ormai non puoi più tornare indietro.»

«Grazie per farmi sentire in colpa. Mi ci voleva» dissi ironica.

«Ma cosa vuoi che ti dica, eh?» sbottò. «Magari che non me ne frega niente? Beh, sorpresa! Mi importa, invece!»

«Lo so che ti importa, altrimenti non l'avrei detto!»

«Sei proprio una stronza.»

«Ah, io?!» gridai. «Tu no, vero? È tutta la cazzo di sera che cerco il tuo sguardo e tu lo sposti su chiunque, tranne me. Ma la stronza sono io, vero? Ma vaf...»

Sospirò rumorosamente prima di interrompermi. «Vuoi sapere perché non ti guardavo?» urlò, senza tuttavia aspettare una risposta. «Perché non mi sarei limitato semplicemente a guardarti!»

«Ma che cazzo vuol dire?»

«Porca troia, Audrey.» Diede un pugno contro al muro. «È tutta la fottuta sera che mi provochi» disse, passandosi una mano tra i capelli color grano. «Prima ti presenti con quel vestito...»

«È un semplice vestito, Justin!» questa volta fui io ad interromperlo.

Strinse i denti. «Fammi finire» scandì. Poi riprese: «Prima ti presenti con quel vestito, poi bevi in quel modo, poi balli in quel modo, poi mi sussurri che vuoi dell'altro alcool con un tono di voce che sembra voglia dire tutt'altro, poi quella cosa delle stelle e dell'infinito!» sputò. «Non avrei resistito a guardare i tuoi cazzo di occhi senza baciarti» gridò infine.

Abbassai lo sguardo, riflettendo sulle sue parole. Merda, merda, merda, che casino. «E tu, allora?» dissi. «Non sono io quella che ha fatto aderire i nostri corpi! E quel tuo respirare...»

Ridacchiò, a metà tra il divertito e l'incredulo. «Non dovrei più respirare?»

Scattai in piedi, per poi dirigermi verso di lui; allontanò presto la breve distanza che avevo lasciato, facendo aderire i nostri corpi. Mi alzai sulle punte e premetti le mie labbra sulle sue; ricambiò il bacio con la mia stessa foga, premendo le sue mani sul mio sedere.

Seguivo Justin Bieber da cinque anni e l'avevo visto crescere. Lo avevo conosciuto a quattordici anni, mi ero innamorata di lui all'istante; lo avevo supportato dall'inizio della sua carriera, quando aveva il ciuffo biondo davanti agli occhi, passando per quando se lo era tagliato, arrivando fino a quel momento. In tutti quegli anni, non avevo mai pensato che avrei potuto baciare le sue labbra perfette. Avevo sognato di farlo, ma sapevo che le mie erano semplici fantasie che non si sarebbero mai avverate.

Ed invece, lo avevano fatto.

Passai a baciargli il collo, senza riuscire nemmeno a pensare di interrompere quel momento, come se lui fosse una droga per me. Mugugnò un «oddio» mentre mi staccavo per sfilargli la giacca e, subito dopo, la maglietta, lasciandolo a petto nudo. Mi morsi il labbro sfiorando i suoi tatuaggi con la punta delle dita, poi ripresi a baciargli i pettorali, poi il ventre. Sbottonai i suoi jeans e gli abbassai i boxer, massaggiando poi il suo membro; lui mi strinse a sé e premette nuovamente le sue labbra sulle mie, togliendomi il respiro.

Lo guardai divertita mentre infilava le mani sotto il vestito ed armeggiava per sfilarmi gli slip. Quando ci riuscì, mi sentii percorrere da tanti brividi lungo la schiena. Attaccò le sue labbra all'incavo tra la mia spalla e il collo, mentre le sue dita abbassavano la zip del mio vestito.

«Guardami» ordinai. «Justin...» Alzò lo sguardo ed intrecciò le sue iridi color miele alle mie azzurre, aspettando che continuassi. «Sai che questo non è giusto, vero?»

«Sì» affermò serio. «E tu lo sai?»

Annuii.

«Vuoi fermarti, Audrey?»

Lo baciai nuovamente; lasciai che le nostre lingue si intrecciassero e giocassero nelle nostre bocche, affondando le mie dita tra il grano dei suoi capelli. «Mai» risposi infine.

Lo sentii sorridere sulle mie labbra, per poi baciarmi ancora, e ancora, e ancora. Poi mi fece indietreggiare, finché non caddi sul letto. Si sistemò su di me, togliendomi definitivamente il vestito e sfilandosi i jeans. Percorse il mio addome con la punta dell'indice, poi con quella della lingua, facendomi gemere.

Con un movimento quasi naturale mi sganciò il reggiseno e lo buttò al lato del letto; mi massaggiò entrambi i seni e dovetti trattenermi per non urlare. Si tolse poi boxer e, alla vista della sua erezione, mi mordicchiai il labbro nervosamente. Mi rivolse un sorriso rassicurante, poi mi accarezzò dolcemente una guancia. Mi baciò nuovamente; l'unico bacio tenero fino ad allora. Non riuscii a capire il motivo.

«Sei sicura?» mi domandò, sussurrando.

Chiusi gli occhi, sospirando. «Dio, sì» risposi.

Intrecciò le sue dita alle mie nello stesso momento in cui lo sentii entrare dentro di me, facendomi gemere di piacere. Iniziò spingendo piano, poi intensificò il ritmo. Lo guardai per un momento: aveva gli occhi chiusi, la fronte imperlata di sudore e cercava di respirare normalmente, senza riuscirci.

La sensazione che almeno in una minima parte fosse mio mi procurava felicità. Il mio amore platonico era dentro di me. Eravamo una cosa sola, in quel momento, eravamo davvero l'infinito.

Premette le sue labbra contro le mie, lasciandomi stupita. Poco dopo raggiungemmo l'apice del piacere entrambi e lui uscì da me; mi accoccolai sul suo petto, tremando. Mi strinse a sé, baciandomi i capelli e, subito dopo, le labbra.

Ero, anche se in una piccola parte, sua.

E non c'era niente di meglio.














"imma put you down"
Ciao bellissime!
Vi lascio con questo capitolo e scappo ai colloqui con i professori, sperando che tutto vada bene.
Vi ringrazio come sempre per le recensioni, i preferiti, i seguiti e i ricordati. 
Siete fantastiche, grazie davvero!
Vorrei raggiungere almeno 5 recensioni, se no vi farò aspettare ancora per il prossimo capitolo eheheheh
Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo, veramente, vi prego.
Vi amo tutti e addio (speriamo a presto)

Andrea :)

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Capitolo 7
*** he drives me crazy ***


(cap 6) he drives me crazy

 

Mi svegliai nel letto dalle lenzuola color panna della camera di Justin, di fianco a lui. Non ricordavo un granché in che modo e quando eravamo tornati a casa sua, né sapevo che ore fossero allora. Indossavo una maglia leopardata grigia e nera del ragazzo, mentre lui era a petto nudo.

Mi misi a sedere e ripercorsi mentalmente quello che avevamo fatto insieme quella sera. Avevamo fumato un paio di canne, avevamo ballato, ci eravamo divertiti. E, cosa più importante, eravamo andati a letto insieme. Improvvisamente mi ricordai di una cosa non indifferente: stavo da quasi due anni con un ragazzo. Mi passai una mano tra i capelli, delusa da me stessa.

«Merda» sussurrai, mentre una lacrima mi rigava la guancia. Mi alzai e mi diressi verso il bagno della casa, la stanza lì a fianco. Avevo combinato un casino. Un casino enorme che mi sarebbe costato terribilmente caro. Mi sedetti per terra, nell'angolo subito a sinistra della porta. Lasciai che le lacrime scendessero senza tentare di fermarle; ero un'idiota e non meritavo Aaron, nemmeno in una minima parte.

Come avevo fatto ad andare a letto con uno che conoscevo da appena due settimane mentre stavo con un ragazzo? Era stato il mio primo amore ed ero convinta che lo fosse ancora. Non ero ubriaca e l'effetto dello spinello era svanito almeno una mezzora prima che io Justin iniziassimo a litigare. Ero totalmente cosciente e tuttavia non mi era passato in mente nemmeno per un istante il pensiero che sarebbe successo un casino.

A parte quando gli avevo detto che non era giusto.

Era sicuro, decisi: ero una deficiente. Avrei perso il ragazzo di cui ero innamorata e tutto questo per colpa delle iridi nocciola di quello che era diventato molto più del mio cantante preferito. Adesso era il ragazzo che mi faceva smettere di ragionare.

Mi asciugai le lacrime con il palmo della mano, senza tuttavia riuscire a placarle. Poco dopo sentii Justin sedersi di fianco a me e stringermi a sé, lasciandomi sfogare. Passò vario tempo prima che parlasse: «Non piangere» provò a dire.

«Sono un'idiota» replicai con la voce che tremava.

Mi baciò i capelli. «Non hai fatto tutto da sola. Mi dispiace...»

«No. Ho iniziato io, è colpa mia.»

Sospirò a lungo. «Smettila di dire così. Le cose si fanno in due, chiaro?»

«È stato un fottuto sbaglio.»

«Hai intenzione di dirglielo?» domandò con un tono di voce che mi spezzò il cuore. Ottimo, stavo ferendo non una, ma ben due persone a cui, per ironia della sorte, tenevo più della mia stessa vita.

«È il minimo che possa fare.»

Sospirò profondamente. «Mi picchierà.»

«Probabile» confermai.

Mi diede una leggera spintarella sulla spalla, ridacchiando. «Dai!»

«Sto scherzando, non glielo permetterei mai.»

«Perché no? Sono stato io a combinare il casino.»

Appoggiai la testa al suo petto. «Non glielo permetterei mai. E lui non è il tipo che picchierebbe qualcuno.»

«Fa qualche sport violento?»

«Gioca a basket.»

«Interessante» disse. «Potremmo giocarci il tuo amore in una partita.»

Ridacchiai. «Stupido.»

Mi alzò il mento, facendo intrecciare i nostri sguardi. Mi sorrise tristemente, poi passò i pollici sotto i miei occhi, asciugandomi le lacrime. «Non piangere, okay? Andrà tutto bene.»

«Non andrà tutto bene, ma fa lo stesso. Ormai è andata e non si torna più indietro, no?»

«Ti starò vicino, te lo prometto.»

Sorrisi nel buio della stanza, lasciando che mi accarezzasse teneramente la schiena. «Scusa se ti ho svegliato» dissi infine. «Non era mia intenzione.»

«Non potevo lasciarti piangere da sola.»

 

Tornammo a dormire; quando mi svegliai erano le due del pomeriggio ed ero da sola nel grande letto del biondo. Lo trovai in palestra a fare gli addominali, ma non mi feci vedere. Tornai invece in camera, mi rivestii ed, infine, gli chiesi di portarmi a casa.

Ora ero in camera mia con addosso un paio di pantaloncini ed una maglia color verde spento ereditata da mio fratello. Stavo aspettando Heather per dirle cosa era successo tra me e Justin quella notte, senza sapere se avrei avuto il coraggio. Ero sicura che sarei scoppiata in lacrime e dalla mia migliore amica non potevo aspettarmi conforto: avevo sbagliato e lei non era una di quelle persone che cercava di tirarti fuori dalla merda quando c'eri dentro fino al collo, anzi; il più delle volte te lo faceva pesare ancora di più.

Sapevo però che non potevo nasconderle il tutto. Io e lei ci dicevamo qualsiasi cosa ci succedesse sin da quando eravamo piccole; non c'era niente che non sapesse di me. Aveva saputo subito che mi piaceva Aaron, come aveva saputo per prima che ci eravamo messi insieme e che avevo avuto la mia prima volta con lui.

Il campanello suonò e io presi un profondo respiro prima di alzarmi dal mio letto ed andarle ad aprire. Entrò tranquilla in casa, guardandosi intorno nonostante conoscesse perfettamente ogni angolo di essa. Sapevo bene cosa significava quel comportamento...

«Cos'è successo?» domandò poco dopo.

Appunto. Ogni volta che intuiva che avevo bisogno di parlare perché era accaduto qualcosa entrava in quella che era praticamente la sua seconda casa e osservava ciò che la circondava, prima di fare la fatidica domanda. Era allo stesso tempo rassicurante e inquietante: non potevi nasconderle nulla.

Mi schiarii la gola mentre chiudevo la porta della mia stanza. «Un casino enorme» dissi soltanto. Bastò quello per scatenare in me ogni emozione possibile: rabbia, delusione, tristezza... eppure sentivo anche un leggero senso di felicità, nonostante fosse sovrastato da tutti i sentimenti negativi. Una lacrima mi rigò la guancia e mi morsi il labbro inferiore per cercare di fermare le altre.

«Non piangere e raccontami.» Batté la mano destra sul letto su cui era seduta a gambe incrociate, come per invitarmi a raggiungerla. «Sono sicura che non è nulla a cui non si possa rimediare.»

Feci un paio di passi verso di lei con le gambe simili a gelatine. «Stavolta no» replicai, scoppiando a piangere. «È una cosa seria, Heath. E non posso più uscirne.»

Mi venne accanto e mi abbracciò. «Va tutto bene, piccola. Calmati e raccontami tutto, altrimenti non so come potrei aiutarti...»

Respirai a fondo prima di guardarla negli occhi e sputare quelle orribili parole: «Ho tradito Aaron» sussurrai.

Vidi l'espressione della mia migliore amica passare da dispiaciuta ad incredula; mi allontanò di scatto. «Cosa?» gridò. Poi scosse la testa. «Stai dicendo una cazzata.»

«Vorrei che lo fosse.» Mi passai una mano tra i capelli.

«Okay, calma» disse, «raccontami per bene. Quando è successo?»

Abbassai lo sguardo. «Stanotte.»

«Ma se eri a casa con tua s...» Impiegò poco per mettere insieme tutti i pezzi del puzzle, dopodiché la sentii deglutire rumorosamente. «Con chi?» domandò, la voce fredda.

«Lui» sibilai.

«Chi?» ripeté, nonostante avesse sentito e capito chi intendessi.

«Justin.»

Chiuse gli occhi; le labbra erano ridotte a una linea sottile. «Ti prego, dimmi che stai scherzando. Te lo chiedo per favore, perché altrimenti devo ammettere che la mia migliore amica sia una deficiente e mi rifiuto di credere che sia così.»

«Non so cosa fare.»

«Lo conosci da due settimane!» gridò. Camminò avanti e indietro in silenzio, con un'espressione delusa dipinta sul viso. «Dimmi almeno che si è trattato solo di un bacio.»

Sentii le gambe tremare. «Mi dispiace tanto...»

«Oh, no.» Rise amaramente. «Non ti dispiace, altrimenti non l'avresti fatto.» Fede un'altra pausa prima di rivolgermi un'altra domanda: «eri ubriaca?»

«No.»

«E allora si può sapere che cazzo ti è saltato in mente?» sbottò arrabbiata. «Lo conosci da due settimane e ci sei andata a letto, nonostante tu sia fidanzata! Cosa pensavi mentre lo facevi, eh? Aaron non ti è passato nemmeno per un istante in testa, vero?»

«Mi sento già abbastanza in colpa» abbozzai.

«Ci mancherebbe altro! Non è una cosa a cui puoi rimediare, Audrey. Non puoi nemmeno passarci sopra. Lo perderai.»

Aprii la porta e mi diressi velocemente in bagno, chiudendomi dentro a chiave. Mi appoggiai al muro e mi lasciai cadere, in lacrime. Sapevo che aveva ragione, eppure avrei voluto essere illusa per un secondo. Avrei voluto che mi dicesse che sarebbe andato tutto bene, nonostante sapessi che non sarebbe stato così.

«Apri» ordinò Heather da fuori. «Fammi entrare, adesso.»

Impiegai qualche secondo a rispondere. «Lasciami sola.»

«Apri!» urlò. Obbedii; chiuse la porta dietro di sé e mi guardò. «Sono arrabbiata e delusa, non posso negarlo» iniziò, sedendosi sul bordo della vasca, «però sei anche la mia migliore amica e non posso neanche lasciarti affrontare tutto questo da sola.»

Non risposi; tirai su col naso e mi asciugai una lacrima.

«Hai fatto una cazzata» continuò, «ma ti starò vicina ugualmente, come faccio da anni.» Si alzò e venne a sedersi di fianco a me, poi mi abbracciò. «Ora smettila di piangere, Audrey.»

«Sono una cogliona.»

«Sono d'accordo.»

Sul mio viso comparve l'ombra di un sorriso, che svanì poco dopo. «Io lo amo.»

«Aaron?»

Annuii, concentrandomi sul marmo delle piastrelle del pavimento.

«Mi spieghi perché l'hai fatto, allora?» domandò.

«Se te lo dicessi, penseresti che sono un'idiota.»

«Non preoccuparti» mi rassicurò stringendomi a sé, «lo penso già.»

Sentii i suoi occhi color cielo su di me; aspettava che le rispondessi. Respirai a fondo, torturandomi l'interno della guancia. «Non so esattamente cosa sia successo» iniziai, «un momento prima stavamo litigando e quello successivo eravamo attaccati. Non mi so dare spiegazioni, Heather. Mi manda fuori di testa...»

«Ho notato» disse. «Sei sicura di amare Aaron?» chiese sussurrando.

La guardai, eppure non risposi. Nonostante ciò che avevo detto poco prima, mi resi conto che non avevo una vera risposta.





















"girl i'm ready if you're ready now"
Hey guys, oggi inizio dicendo che Change Me mi spezza il cuore. 
Seriamente. E' una canzone troppo triste per essere vera e io boh... ora piango.
Ad ogni modo, lo scorso capitolo ha avuto quattro recensioni e sono (abbastanza) soddisfatta, tuttavia questa fan fiction è seguita da 20 persone, preferita da 22 e ricordata da tre (e vi ringrazio tanto) e, nonostante io sappia che la pigrizia è una brutta bestia che toglie la voglia di fare qualsiasi cosa, mi piacerebbe tanto ricevere qualche recensione in più.
Chiariamoci: non sono una di quelle persone che ne pretende in media 15 a capitolo, anzi, per me anche averne 10 è un traguardo che mi renderebbe enormemente fiera, però boh, dal momento che siete così in tanti a seguirla ne vorrei qualcuna in più, anche solo un paio.
Comunque vi ringrazio tantissimo ugualmente, spero che questo capitolo vi piaccia ed (ovviamente) vi prego di dirmi se è così o meno.
Come ultima cosa, vi lascio la gif di Aaron (mi scordo sempre di metterla):
 Aaron Parker Grint.
Non so voi, ma io mi sono innamorata.
Ora vi lascio.
Un bacio grande,

Andrea :)

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Capitolo 8
*** i just cant go back in time ***


(cap 7) i just can't go back in time

 

Mi allacciai le Converse nere; poi sospirai ed, infine, mi alzai. Cercai di calmarmi, senza grandi risultati, mentre uscivo di casa e mi dirigevo verso il Greystone Mansion con la mia Audi Q3 grigia. Era domenica pomeriggio e stavo per incontrare Aaron.

Anzi, no. Se avessi dovuto semplicemente incontrarlo non sarei stata così tesa; tra non molti minuti, avrei dovuto rivelargli il mio tradimento. Avrei dovuto sopportare i suoi occhi che diventavano tristi senza poter dire né fare qualcosa.

Più mi avvicinavo al parco, più il battito del mio cuore aumentava di velocità. Quando arrivai, temevo che mi sarebbe venuto un infarto. Parcheggiai la mia macchina di fianco all'entrata e mi diressi verso l'interno con le gambe che tremavano.

Mi sedetti su uno dei muretti antistante il palazzo, dove io ed il mio ragazzo ci davamo spesso appuntamento. Il sole di maggio splendeva nel cielo come se volesse illudermi che sarebbe andato tutto bene. Qualche gruppo di turisti era in fila davanti all'abitazione ormai adibita a museo, aspettando di entrare per visitarla; altri ragazzi erano sdraiati sull'erba meticolosamente curata.

Mentre prendevo l'ennesimo respiro mi sentii baciare il collo. «Hey» sussurrò Aaron.

Mi sforzai di sorridere mentre incrociavo i suoi occhi. «Ciao.»

«È successo qualcosa?» domandò; segno che non ero riuscita a mascherare la mia ansia.

Abbassai lo sguardo, mordendomi il labbro inferiore. «Sì» ammisi infine.

Mi attirò a sé, schioccandomi un bacio sulla guancia. «Qualsiasi cosa sia, la risolveremo insieme.» Mi alzò il mento costringendomi a guardarlo negli occhi. Dovetti trattenere le lacrime mentre mi perdevo dentro le sue iridi color smeraldo. Erano terribilmente sincere, cristalline; non nascondevano nulla, a differenza delle mie.

Mi lasciai cullare dalle sue braccia per quella che sarebbe stata probabilmente l'ultima volta. Lo avrei baciato, ma sapevo che non sarebbe stato corretto nei suoi confronti. Ero stata con un altro e stavo per dirglielo, non potevo approfittare di lui. Anche se, quando avevo incrociato i suoi occhi, mi ero resa conto di amarlo più di quanto pensassi.

Mi sorrise teneramente, allontanandomi. «Allora, cos'è successo?» chiese.

Il battito del mio cuore accelerò ulteriormente. «Vorrei premettere una cosa, prima di...»

«È accaduto qualcosa di brutto?» mi interruppe.

«Aaron» iniziai sospirando, «io ti amo, okay?»

«Anch'io ti amo, Audrey.»

Abbozzai un sorriso. «Fammi finire... Io ti amo, sei il mio primo amore e il primo amore non si scorda mai» dissi. Vidi la sua espressione farsi confusa e quasi impaurita. «Ed io ti chiedo scusa in anticipo.»

«Mi stai lasciando?» sussurrò.

Sentii il mio cuore stringersi. «No» replicai.

«E allora? Ti prego, dimmi che cazzo è successo.»

Guardai lui, poi l'edificio davanti a me, poi le mie Converse. «Ti ho tradito» confessai; le lacrime minacciavano di uscire e le mie gambe erano diventate di gelatina.

«Cosa?» domandò. «Dimmi che stai scherzando...»

Incrociai il suo sguardo mentre iniziavo a piangere.

«Dimmi almeno che è stato un bacio.»

Tornai ad osservare le mie scarpe. «Mi dispiace» mormorai con la voce che tremava.

«Ti dispiace? È tutto quello che sai dire?»

«Non volevo che succedesse.»

Rise amaramente. «Non è una cosa che puoi dire di un tradimento, Audrey! Non vuoi che succeda una tragedia, non di questo!»

«Ti prego...»

«Ti prego cosa?» gridò. «Io... io non so nemmeno cosa dire. Come hai potuto farlo?»

«Mi dispiace.»

«Di' qualcos'altro, merda!»

«Cosa vuoi che ti dica?» gli chiesi, urlando. «Non posso giustificarmi!»

«Non me l'aspettavo» disse, più a se stesso che a me. Aspettò vario tempo prima di parlare. «Come cazzo fai a dire che mi ami prima di dirmi questo?»

«Te l'ho detto perché è vero!» replicai. Mi asciugai le lacrime con il dorso della mano, senza tuttavia riuscire a fermarle. «Non so come sia potuto succedere, Aaron, e mi dispiace di averlo fatto, ma non posso più tornare indietro nel tempo.»

«Questo è certo.»

«Cosa volevi che facessi? Preferivi non saperlo, forse?»

«Hai ragione» concordò, «meglio liberarsi subito di una come te» disse, e una lacrima gli scese dall'occhio sinistro rigandogli la guancia. Dopodiché se ne andò; lo seguii con lo sguardo mentre si dirigeva verso l'uscita.

 

Quando lo avevo visto piangere avevo sentito il mio cuore spezzarsi in milioni di pezzi minuscoli. Ora, mentre entravo in camera mia in lacrime, mi sembrava di non riuscire a respirare. Era come se, insieme ad Aaron, avessi perso anche l'ossigeno. E forse in un certo senso era vero, perché più di una volta avevo considerato quel ragazzo come l'aria che mi serviva per vivere. Ora che se n'era andato, come avrei potuto continuare a farlo?

Mi appoggiai alla porta e mi lasciai scivolare fino al pavimento. Era stato tutto uno sbaglio. Avevo sbagliato quando avevo voluto entrare in casa di Justin, quando avevo accettato di tornarci per visitarla del tutto; avevo sbagliato continuando a frequentarlo, e avevo fatto un errore madornale quando avevo accettato di partecipare alla festa di Usher. Ma soprattutto, lo sbaglio più grande che avevo commesso era stato l'andare a letto con lui.

Non mi sarei mai perdonata una cosa del genere. Non appena avrei riacquistato la vista, ora appannata dalle lacrime, avrei scritto al biondo che non volevo più avere nulla a che fare con lui. Sin dal giorno successivo avrei provato a sistemare le cose con Aaron e, magari, ci sarei anche riuscita, ricominciando così anche a respirare.

Ora, però, la cosa principale da fare era smettere di tremare e di piangere. Chiusi gli occhi, respirando più volte e a lungo, cercando di calmarmi. Dopo vari minuti ci riuscii, quindi mi alzai e andai a sedermi sul letto evitando di guardare ogni foto che ritraeva me ed il mio – ormai ex – ragazzo.

Tirai fuori dalla tasca posteriore destra dei miei pantaloncini l'iPhone. Avevo ricevuto tre messaggi da Heather, otto da Justin e due chiamate da entrambi. Sbloccai il telefono, digitai il codice e lessi gli sms della mia migliore amica.

Il primo era delle 3.58 e diceva: “Com'è andata?”

Beh, non tanto bene, pensai.

Il secondo era arrivato un quarto d'ora dopo: “Audrey, ti prego, rispondimi...”

Il terzo risaliva solo a pochi minuti prima: “Ho parlato con lui. Vuoi che venga da te?”

Sul mio volto comparve l'ombra di un sorriso. Era la migliore amica del mondo anche quando commettevo sbagli del genere che avrebbero potuto allontanare chiunque.

Prima di risponderle, decisi di leggere i messaggi di Justin.

Ore 3.42: “Gliel'hai detto? Mi dispiace che tu ti sia trovata in questo casino per colpa mia.”

3.56: “Va tutto bene? Hai bisogno?”

3.59: “Se vuoi venire da me chiamami. Io ci sono”

4.07: “Rispondimi, sono preoccupato”

4.13: “Se non mi rispondi entro cinque minuti, giuro che vengo a casa tua.”

4.18: “Almeno rispondi alle chiamate, per favore!”

4.24: “So che stai piangendo, quindi ti prego, smettila. Andrà tutto bene”

4.31: “Ho l'ansia, seriamente. Come stai? Hai bisogno di cioccolato?”

Vaffanculo, tu e il tuo cioccolato di merda. Ho bisogno solo che tu sparisca.

Decisi di rispondere ad Heather: “Posso venire a dormire a casa tua?”

Dopodiché, digitai al biondo: “Non voglio avere più nulla a che fare con te.”

Appoggiai il telefono sul comodino e mi sdraiai sul letto. Chiusi gli occhi, lasciando che i ricordi inondassero la mia mente.

 

«Buonasera, amore» mi salutò Aaron. Era il 23 novembre dell'anno precedente, il giorno del nostro primo anniversario e saremmo andati fuori a cena a festeggiare l'occasione. Era venuto a prendermi a casa; quando avevo aperto mi ero trovata davanti un enorme mazzo di rose rosse e bianche che mi aveva fatto capire quanto fossi importante per lui. «Sei bellissima» disse.

In effetti non ero niente male: avevo sfumato l'ombretto nero e bianco, ripassato le ciglia col mascara e la rima inferiore dell'occhio con la matita e, nonostante non lo sapesse poiché, essendo ormai dicembre, poteva vedere solo il mio cappotto grigio e le décolleté color panna, indossavo un vestito bianco senza spalline che mi stringeva il busto e poi, dopo un cinturino di brillantini, scendeva morbido che sapevo avrebbe apprezzato.

«Grazie» sorrisi e, subito dopo, lo baciai. «Anche tu lo sei.»

Ricambiò il sorriso, poi mi aprì la portiera della sua Mustang e, dopo essersi seduto al posto del guidatore, partimmo verso Los Angeles. I trentacinque minuti che seguirono furono piacevoli: Aaron guidava con una mano sulla mia coscia e, di tanto in tanto, lo vedevo mentre mi scrutava con la coda dell'occhio. Non parlammo; l'atmosfera era rilassata e la radio dell'auto suonava canzoni a volume basso.

Arrivammo davanti al Cicada alle sette e mezza ed entrammo subito. Non sapevo cosa avesse programmato il mio ragazzo per quella sera e non ero mai stata dentro quel ristorante: l'atrio era enorme e, nonostante le luci fossero poche, era anche ben illuminato. Un cameriere ci venne incontro con un ampio sorriso spontaneo sulle labbra e, qualche secondo dopo, ci accompagnò al nostro tavolo.

La sala del ristorante era ampia e bellissima: vari tavoli che ospitavano gruppi di persone erano sistemati qua e là, illuminati da candele poste al centro; dall'altro capo rispetto all'entrata vi era una rampa di scale in marmo da cui si accedeva alle balconate superiori, riservate alle cene intime; dal soffitto pendeva un bellissimo lampadario di cristallo.

Il cameriere ci accompagnò ad un tavolo per due sistemato sulle balconate e ci fece accomodare. Quando fummo soli, aprii il menù e cominciai a leggere gli antipasti proposti in esso.

«Cosa pensi di prendere?» domandai.

Gli occhi smeraldo di Aaron spuntarono da dietro il menù e mi guardarono, facendomi sorridere. «Credo...» fece una pausa per guardare il nome della pietanza, poi riprese: «Credo la Tartare di tonno.»

Storsi il naso. «Bleah, pesce» commentai.

Lui rise. «Tu cosa vuoi, signorina Non-Mangio-Il-Pesce?»

«La caprese.»

«Ottimo. Riguardo alla pasta, pensavo che potremmo dividerci le penne ai porcini con il pollo; che ne pensi?»

«Va benissimo. Invece, riguardo alla carne?»

«Vuoi dividere anche quello?» domandò dolcemente.

«Preferirei» ammisi. «Sai, per prepararmi al dolce.»

Rise nuovamente ed io mi resi conto di quanto lo amassi. «Il vitello?» propose.

«È per questo che mi piaci: sai sempre quello che voglio» ammiccai.

«Sono qui per questo, tesoro.»

Subito dopo arrivò una cameriera; dopo averci informati che il suo nome era Allie, come scritto sulla targhetta dorata attaccata alla camicetta bianca, ci aveva chiesto sorridente cosa volessimo mangiare. Aaron glielo comunicò, quindi lei si appuntò le ordinazioni sul taccuino ed, infine, se ne andò.

«Sei bellissima.» Alzai lo sguardo ed incrociai gli occhi verdi del mio ragazzo. «So che te l'ho già detto» continuò, «ma sento il bisogno di ridirtelo. Sei perfetta, Audrey. Sono fortunato ad averti.»

«Mi farai piangere...»

«Non importa; sei bellissima anche quando piangi. Ringrazio Dio ogni giorno per averti fatta imbucare alla festa di Logan e per averti fatta innamorare di me. Senza di te, non so dove sarei adesso. Forse nel letto di qualcuna, ma non importa, non è questo il punto. Il punto è che tu sei la miglior cosa che mi sia successa in quasi diciotto anni della mia vita e spero che continuerai ad esserlo per molto, molto tempo.»

Mi alzai dalla sedia e mi sedetti sulle sue gambe con le lacrime agli occhi. «Vorrei dirti parole belle come quelle che hai detto a me, ma sono sicura che scoppierei a piangere. Ti chiedo scusa per questo, perché ti meriti tutte le parole dolci e piene d'amore che esistono su questo mondo, ma riesco a dirtene solo due.» Feci una pausa e lui mi strinse a sé. «Ti amo. Ti amo più di qualsiasi altra cosa, Aaron, davvero.»

Il ragazzo premette le labbra sulle mie. «Anch'io ti amo.»

 

Il flusso dei miei ricordi venne troncato dal suono del campanello. Dedussi che fosse Heather, quindi mi alzai dal letto e mi diressi verso il portone, contrariata per via dell'interruzione del ricordo di quella che era stata una delle serate più belle della mia vita. Percorsi il lungo corridoio bianco con i quadri dipinti da mia madre rappresentanti un campo fatti in diverse parti del giorno appesi alle pareti, quindi scesi le scale di corsa ed, infine, arrivai davanti alla porta d'ingresso.

«Dovevi proprio arrivare in ques...» iniziai a dire. La frase morì quando alzai lo sguardo ed incrociai un paio di occhi tristi e confusi di uno splendido color caramello.

Avevo sbagliato: non era Heather.

Era Justin.





























"take me back to the start"
Ciao amici, buona domenica e buona immacolata!
Non so come si possa dire "buona domenica" onestamente, oggi che il Believe Tour si è concluso. Io sono a pezzi: come può essere finito così velocemente? Il mio piccolo ha già fatto due tour mondiali, sono così fiera di lui! 
Passando al capitolo, spero vi piaccia perché io mi sono impegnata. Vedo che i seguiti e i preferiti continuano a salire dopo ogni aggiornamento, mentre le recensioni sono sempre quattro, quindi vi prego di farmi sapere in di più (?) quello che pensate della mia storia affinché io possa capire quello che vi piace e quello che non vi piace.
Inoltre, oltre alle varie, dolcissime persone che recensiscono e che seguono la fan fiction, voglio ringraziare anche coloro che mi scrivono i commenti brevi; non vi ringrazio mai, mi dimentico sempre e di questo vi chiedo scusa. Vi ringrazio oggi, perché ci tengo che sappiate che per me contate tutti moltissimo.
Okay, ora ho finito. Fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto o no o cosa, per favore.
Vi amo tutti,
Andrea :)

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Capitolo 9
*** same mistakes ***


(cap 8)  same mistakes

 

Justin restò fermo sulla soglia in silenzio per quasi cinque minuti. Mi guardava con quelle iridi chiare in cui erano dipinti il dolore e la confusione, facendomi sentire a disagio e di tanto in tanto spostava l'attenzione sull'interno della casa in attesa che parlassi.

Il problema era che non avevo idea di cosa dire, perché nell'esatto momento in cui avevo incrociato il suo sguardo mi ero pentita di avergli mandato il messaggio che lo aveva portato lì. Però ero anche convinta di avere fatto la cosa giusta: la fase è-tutta-colpa-mia era passata ed adesso ero convinta che se avevo tradito Aaron era stato esclusivamente a causa sua. Lui ci aveva provato con me per due settimane, lui mi aveva invitata alla festa, lui mi aveva portata in camera sua.

«Mi fai entrare?» domandò.

Gli rivolsi un'occhiata gelida, poi mi spostai per farlo passare. Quando fu dentro chiusi la porta e mi voltai verso di lui. «Cosa vuoi?»

Sul suo viso comparve un sorriso nervoso. «Non sono mai stato qui» osservò, guardandosi intorno. «È carino.» Entrò in cucina, emise un verso di approvazione e ne uscì, dirigendosi verso un'altra stanza a caso con una naturalezza irritante. Passò dal bagno alla sala da biliardo alla camera dei giochi di mia sorella come se fosse a casa sua e questo non fece che incrementare la mia ira. Infine entrò in sala e si fermò ad osservare sbalordito la piscina ben visibile dalla parete in vetro che dava sull'esterno.

Sospirai irritata, appoggiandomi alla soglia della porta della stanza. «Che cosa vuoi?» ripetei. «E mi aspetto una risposta, subito

Si voltò di scatto e mi guardò con un'espressione a metà tra il triste e l'arrabbiato. «Cosa significa quel messaggio?»

«Significa esattamente quello che c'è scritto, Bieber.»

Finse di ridere. «Non dire cazzate, Audrey.» Si lasciò cadere su uno dei divani neri di fronte al caminetto e alzò un sopracciglio. «Se non volessi più avere nulla a che fare con me non mi avresti fatto entrare. Mi basta assumere un'espressione triste per farti dubitare delle tue scelte.»

Scossi la testa incredula. «Sei proprio uno stronzo.»

«Non è vero» obiettò deciso. «So imparare a conoscere velocemente le persone.»

«Alza il culo da quel divano e vattene prima che mi incazzi sul serio.»

«Hai sedici anni» mi ricordò, «pensi di spaventarmi?»

«Non mi interessa spaventarti!» gridai. «Mi interessa solo che tu te ne vada, perché da quando sei entrato nella mia vita è andato tutto a puttane, per colpa tua!»

«Sei tu che mi hai baciato!» Si alzò dal divano e guardò il camino mentre si passava una mano tra i capelli color grano. «Non è stata solo colpa mia se la tua cazzo di relazione è finita, Audrey! Smettila di giustificarti dicendo che sono io il responsabile!»

«Ma lo sei!»

Strinse i pugni e mi fulminò con lo sguardo. Vidi i muscoli delle sue braccia contrarsi sotto la camicia di jeans che indossava, la vena del collo guizzare e la mascella irrigidirsi. Chiuse gli occhi e respirò a lungo prima di urlare: «Una ragazza, bella tra l'altro, mi salta addosso e io dovrei allontanarla? Secondo te ho pensato che eri impegnata? Che cazzo mi importava che lo fossi? In quel momento volevi essere mia, Audrey!» Serrò la bocca per qualche istante, poi parlò di nuovo abbassando leggermente il tono: «Se avessi saputo che saremmo arrivati a questo punto e che mi avresti addossato ogni colpa, non lo avrei fatto. È stato uno sbaglio farti entrare nella mia vita. Avrei dovuto semplicemente farti uscire da casa mia» disse freddamente.

Abbassai lo sguardo e sentii una lacrima rigarmi la guancia. Non riuscii a capire se mi avevano ferita maggiormente le parole che aveva pronunciato, o il modo in cui le aveva dette. Mi rimproverai mentalmente perché avevo lasciato che quelle frasi mi pugnalassero il cuore senza cercare di difendermi e provai a trattenere le altre lacrime che premevano per uscire, senza avere successo.

«Non parli più?» mi incalzò lui con finto buonismo. «E come mai?» Mi morsi il labbro più volte, con il viso rigato di lacrime e rivolto verso il pavimento di marmo e non gli risposi, quindi fu lui a parlare nuovamente. «Te lo dico io, il perché!» gridò, «Perché sai che ho ragione!»

Alzai il capo. «Perché sto piangendo, idiota!» replicai con la voce spezzata. «Sei felice, adesso? Vuoi sentirti dire che hai ragione? Bene: hai ragione! Ora smettila di parlare così, però.»

Si morse il labbro. «'Fanculo» mormorò. Si sedette nuovamente sul divano e si passò una mano tra i capelli. Mi guardò, poi spostò l'attenzione sul pavimento, poi sul tavolino davanti a sé; infine colpì il cuscino zebrato che gli stava di fianco con un pugno. Mentre uscivo dalla stanza per andare in camera mia, lo sentii alzarsi ed un attimo dopo mi cinse la vita da dietro.

«Lasciami!» Provai a liberarmi, ma io ero bassa e magra e lui era tutto muscoli, perciò ben presto fui costretta ad arrendermi. Mi voltai e lasciai che le sue braccia ricoperte di tatuaggi mi cullassero dolcemente.

«Mi dispiace» disse poco dopo. «Non volevo ferirti... cioè, sì, ma solo perché ero arrabbiato. E ora mi sono pentito» biascicò incerto.

«Va bene» mentii.

Afferrò le mie spalle e mi guardò negli occhi. «Sono serio» continuò, «Non penso davvero che tu sia uno sbaglio, Audrey...» Fece combaciare i nostri corpi premendo il mio contro il suo, poi si morse un labbro senza sapere cosa fare. Passò lentamente il pollice sotto i miei occhi e mi asciugò le lacrime esattamente come la notte precedente, dopodiché intrecciò le sue iridi color miele alle mie. Infine mi baciò la fronte, poi il naso, gli zigomi, le guance; quando arrivò alle labbra mi sentii come se avessi raggiunto una fonte d'acqua dopo aver trascorso un anno in un deserto arido.

Justin alternava gesti passionali ad altri più premurosi e dolci. Prima mi accarezzava la schiena, poi mi strizzava i seni, poi mi baciava teneramente e subito dopo infilava una mano nei miei slip.

Cercò la mia lingua con la sua, le fece intrecciare, e qualche secondo più tardi si staccò quasi come se fosse annoiato, quindi passò a slacciarmi il reggiseno con un movimento naturale. Mi sfilò la maglietta che avevo ancora addosso e le spalline, poi mi fece indietreggiare finché non mi trovai con la schiena contro la parete del corridoio.

Dovevo ammettere due cose: primo, sapeva decisamente come usare le mani. Le sue dita affusolate mi facevano fremere ad ogni minimo movimento. Percorrevano il mio petto lentamente, fino ad arrivare al ventre, per poi passare a slacciare gli shorts di jeans. Subito dopo erano tra i miei capelli, poi sul mio collo, poi tenevano la mia coscia. Quel ragazzo riusciva a farmi impazzire solo con le mani...

La seconda cosa da ammettere era che non sapevo cosa provavo per lui. Un secondo prima stavamo litigando, quello dopo eravamo incollati l'uno all'altra,. Non mi piaceva e di questo ero sicura, ma non mi era nemmeno totalmente indifferente. Era possibile che riuscissimo ad andare d'accordo solamente se finivamo a letto insieme? Anzi, non necessariamente a letto, perché adesso eravamo in piedi contro il muro.

Gli sfilai lentamente la camicia di jeans mentre lui cercava di baciarmi. Lo guardai e gli rivolsi un sorriso bastardo, al quale rispose con un'occhiata di disappunto. Infilai le mani sotto la maglietta a righe verticali bianche e nere e disegnai delle linee immaginarie sul suo ventre prima di lasciarlo a petto nudo. Mi prese in braccio e mi portò in cucina; mi fece sedere sul bancone in marmo nero al centro di essa ed io affondai le dita tra i suoi capelli biondi mentre gli baciavo il collo.

Justin chiuse gli occhi, si mordicchiò un labbro e portò la testa all'indietro. «Oddio» sussurrò. «Ti prego, muoviti... sto esplodendo.»

Ridacchiai divertita. «Povero cucciolo.» Il suo viso assunse un'espressione fintamente triste, mentre lui annuiva. Abbassai il capo per baciarlo con foga, poi continuò a premere le sue labbra sulla mia guancia destra e, quando arrivò al mio collo, cominciò a succhiare piano. Quando ebbe finito restò ad ammirare soddisfatto il suo lavoro per qualche istante, quindi mi baciò ancora.

Si sfilò velocemente i jeans neri, poi mi sfilò con altrettanta velocità gli slip. «Sei bellissima» mi sussurrò all'orecchio ed io sorrisi istintivamente. Un istante dopo si tolse i boxer, quindi mi prese di nuovo in braccio ed entrò in me. Affondai le unghie nelle sue braccia e lui urlò; mi lasciò andare quando mi trovai con la schiena contro la porta della cucina. Intrecciò le dita alle mie e velocizzò i movimenti, facendomi gemere di piacere.

Quando raggiunse il culmine uscì e mi baciò, facendomi capire che non era ancora soddisfatto. Lo presi per mano e lo condussi velocemente al piano superiore, in camera mia, dove diventammo una cosa sola per la seconda volta in pochi minuti e per la terza in due giorni. La sensazione di averlo mio, anche se per poche decine di minuti, era una delle migliori che avessi mai provato in tutta la vita.

Justin si addormentò con un braccio attorno alla mia vita, mentre io rimasi a pensare. Quando andavo a letto con lui mi sentivo assalire dalla felicità; mi sentivo catapultata in un mondo parallelo, in cui c'eravamo solo noi due e per gli altri non c'era spazio. Poi, però, la magia finiva e dovevo tornare alla realtà, la realtà in cui io avevo tradito il mio ragazzo con lui, la realtà in cui non c'era spazio per noi, la realtà in cui non andavamo bene l'uno per l'altra, la realtà in cui eravamo sbagliati.

E allora, come poteva qualcosa di sbagliato rendermi così felice da dimenticare di essere impegnata sentimentalmente? Come poteva quel ragazzo riuscire a farmi dire bugie al mio primo amore e alla mia migliore amica? E a proposito della mia migliore amica...

«Merda!» sussurrai. Prima che arrivasse Justin le avevo chiesto se potevo passare la notte da lei e ora erano ormai le due di notte. Allungai la mano verso il comodino di fianco al mio letto e tastai finché trovai il mio telefono. C'erano tre messaggi di Heather.

Il primo era la risposta alla mia domanda e diceva “Stanotte non riesco proprio, piccola. So che è un momento difficile, ma non posso. Scusami...” Mi lasciai uscire un sospiro di sollievo e passai al successivo, in cui mi aveva chiesto come stavo. Nell'ultimo mi aveva detto che sperava avessi smesso di essere triste e mi dava la buonanotte.

Sì, avevo decisamente smesso di essere triste. Se avesse saputo in che modo lo avevo fatto non ne sarebbe stata troppo felice, ma se non altro questa volta non avevo tradito nessuno. Era incoerente da parte mia piangere per Aaron, ricordare la nostra storia e poi andare di nuovo a letto con la persona con cui lo avevo tradito, ma Justin era davvero bravo a stregarmi. Oltre a farmi arrabbiare, ovviamente.

Guardai il biondo illuminato debolmente dalla luce della luna: il suo petto si alzava e si abbassava regolarmente e sul suo viso era dipinta un'espressione rilassata. Era di una bellezza mozzafiato anche quando dormiva con i capelli scompigliati per colpa mia. Sorrisi e mi avvicinai lentamente a lui, facendo attenzione a non svegliarlo. Premetti le labbra contro il suo collo; aprì gli occhi e mi guardò, ancora assonnato.

«Che cosa c'è?» La sua voce impastata e profonda era terribilmente dolce.

«Niente» dissi, appoggiando la testa al suo petto. «Volevo darti un bacino.»

Mi accarezzò i capelli, poi mi strinse a sé. «Buonanotte, Aud.»

Sorrisi nel buio, contenta di aver commesso lo stesso sbaglio di due notti precedenti altre due volte e mi addormentai con il suo profumo che mi inondava le narici.













"i can take you, oh, oh, where you wanna go"
Ciao amici :)
Sarò sincera con voi: oggi è un giorno triste, sto ascoltando le canzoni di Justin in riproduzione casuale dall'iPad e spero possiate capire il dolore che sto provando nel passare da canzoni tipo Born to Be Somebody, ad Overboard, ad As Long As You Love Me, ad All That Matters; perché deve crescere, perché, perché? Mi sta venendo voglia di piangere fino alla mia morte.
Sarò sincera con voi, parte 2: questo capitolo non mi piace. Non mi convince, è un altro capitolo di passaggio e questi non fanno altro che scopare e litigare, ma le idee che ho in testa e che voglio sviluppare, saranno nei capitoli a seguire (molto a seguire). Ve lo dico subito: siamo ancora lontani dal momento in cui si ameranno per sempre e vivranno felici e contenti con unicorni arcobaleno nel magico mondo delle fate e degli gnomi. 
Comunque spero che almeno a voi piaccia questa "cosa". Se così fosse, fatemelo sapere; se così non fosse, fatemelo sapere lo stesso. Voglio ringraziarvi comunque perché leggete e recensite e seguite la mia fan fiction; ne sono molto felice.
Vi chiedo scusa per il capitolo e anche per il ritardo.
Vi amo comunque,
Andrea :)

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Capitolo 10
*** friends with benefits ***


(cap 9) friends with benefits

 

«Parleremo di stanotte oggi pomeriggio» annunciai, prima di uscire dalla stanza e, di conseguenza, di casa. Era lunedì mattina e, dopo avere cercato di stare a letto, avevo obbligato me stessa ad alzarmi, vestirmi ed andare a scuola. Erano gli ultimi giorni prima delle vacanze estive e dovevo tenere duro; un'assenza sarebbe potuta costarmi la promozione.

Justin, invece, sarebbe rimasto a casa mia fino alla fine della giornata scolastica; mia madre era via per lavoro, così come mio padre, Evie era dalla nonna e mio fratello al college, perciò nessuno lo avrebbe saputo.

Salii in macchina e mi diressi verso la scuola, incerta su cosa aspettarmi una volta arrivata. Forse Aaron aveva sparso la voce che io ero andata a letto con qualcuno e ora tutta la scuola mi avrebbe etichettata come una troia; forse aveva fatto anche il nome di Justin e ogni giornale avrebbe riportato la notizia, mettendo il biondo nei casini. Prima di scendere dall'auto, dopo aver parcheggiato di fianco all'Audi di Heather, mi guardai allo specchietto retrovisore e sospirai cercando di darmi coraggio.

Camminai lentamente fino all'entrata principale dell'edificio, dove trovai la mia migliore amica ed il suo ragazzo. Le mi salutò con un bacio sulla guancia, poi mi prese da parte e mi guardò seria. «Come stai?» domandò.

«Bene» risposi; dopo qualche secondo di silenzio, mi decisi a confessare che ero andata di nuovo a letto con Justin, il giorno precedente. Lei sospirò, scuotendo la testa rassegnata. «Non è stata colpa mia!» mi giustificai.

Ridacchiò divertita. «Ah, no?»

«Io gli avevo detto che non volevo più avere nulla a che fare con lui, ma poi si è presentato a casa mia, abbiamo litigato e...»

«E d'un tratto ti sei trovata ad urlare il suo nome» concluse lei.

Abbassai lo sguardo, colpevole. «Non so cosa dirti, Heath.» La guardai, aspettandomi di trovare un'espressione severa dipinta sul suo viso; invece, sorrideva, come per incoraggiarmi a continuare. «Non riesco a resistere alle sue labbra, alle sue braccia che mi stringono, alle sue dita che mi accarezzano. Non riesco a fermarlo.»

Mi abbracciò come solo una migliore amica sa fare, facendomi sentire amata. «Io non ce l'ho con te» iniziò, «penso solo che dovresti capire quello che provi davvero.»

«Io so che non mi piace» dissi. «Quando sono con lui non provo quello che provavo con Aaron, non sono nervosa o incerta... Provo un sentimento forte, ma non è amore. È come se fossimo due calamite che si attraggono.»

«E per quanto riguarda il povero cornuto?»

La spinsi scherzosamente. «Se ci penso sono triste, poi arriva Justin.»

«Te lo fa dimenticare, non è vero?»

Annuii. «Non so come sia possibile, ma quando c'è lui è come se non esistesse nessun altro.»

Heather sorrise ed io la seguii a ruota. Era una ragazza così bella che era impossibile non essere contagiati quando le sue labbra si curvavano all'insù, mostrando quella fila di denti bianchissimi. «Non posso dirti che quello che fate sia sbagliato, se ti fa questo effetto.»

«Ma non è nemmeno giusto» aggiunsi.

Si schiarì la voce. «Anche questo è vero, secondo me. Ricordati che, per colpa della reazione che ha su di te, hai dimenticato di essere fidanzata da un anno e mezzo e hai tradito il tuo ragazzo. Non è sbagliato, ma non è giusto. Credo che dovreste parlare di questa cosa e decidere cosa fare. E, soprattutto, impara a controllarti!» Pronunciò l'ultima frase con tono scherzoso.

«Provaci tu a controllarti, con uno così!» ribattei.

Poco dopo la campanella suonò ed io salutai la mia migliore amica, per poi dirigermi verso l'aula di letteratura. Mentre percorrevo il corridoio che mi avrebbe portata in classe incrociai Aaron: nonostante le sue labbra fossero curvate in uno splendido sorriso, i suoi occhi erano cupi. Non riuscii a capire se fossi l'unica ad averlo notato, o se anche gli amici che lo circondavano lo avessero fatto; passai di fianco a loro con lo sguardo basso, sentendo vari sguardi puntati su di me.

Tuttavia non udii nessun commento acido alle mie spalle; nessuno dei cinque ragazzi mi insultò, né parlò, né ridacchiò. Che Aaron non avesse detto niente riguardo al mio tradimento? Mi sembrava improbabile, ma ero sicura che, se l'avesse fatto, i suoi amici non mi avrebbero risparmiata. Ero stata parte di quel gruppo e li conoscevo abbastanza da sapere che non perdevano mai occasione per vendicare uno dei loro compagni. E lui non era stato vendicato.

Entrai in classe e mi sedetti al mio solito posto, di fianco alla finestra. Il professore entrò pochi minuti dopo e ci salutò cortesemente; dopodiché iniziò a spiegare, con la solita passione che riusciva a coinvolgere anche gli studenti più svogliati. Nonostante di base la sua non fosse una delle mie materie preferite, quell'insegnante mi piaceva tantissimo e durante le sue spiegazioni stavo attenta e prendevo appunti.

«Thompson» mi chiamò, «cosa mi sai dire di Edgar Allan Poe?»

«Poe nacque a Boston il 19 gennaio 1809. Era il figlio di due attori, che morirono quando lui aveva solo due anni, e trascorse l'infanzia presso un mercante di Richmond, John Allan. Nel 1815 con lui si trasferì in Inghilterra, dove frequentò la scuola per i cinque anni successivi...» Continuai a ripetere tutto quello che avevo studiato dell'autore finché il professore mi interruppe per fare continuare Zach. Il ragazzo terminò di parlare della morte proprio mentre la campanella che segnava la fine dell'ora cominciò a suonare.

Mi alzai e presi il libro ed il quaderno di letteratura, poi mi diressi al mio armadietto e lo aprii per prendere le spiegazioni di matematica. Quando lo chiusi, di fianco a me trovai Brad, un ragazzo castano dagli occhi cristallini. Era uno degli amici di Aaron, perciò sapevo cosa mi avrebbe chiesto.

«Ciao» mi salutò, sorridendo.

«Ciao...»

«Non voglio fare giri di parole, quindi cos'è successo?» domandò.

Abbassai lo sguardo, senza sapere cosa dirgli esattamente. «Ci siamo lasciati.»

Rise nervosamente. «Sì, questo lo avevo capito. Sai, non vi guardate più in faccia. Voglio sapere il perché, Audrey.»

«Perché non lo chiedi a lui?»

Sospirò. «Credi non l'abbia fatto? Non mi risponde.»

«Ci siamo lasciati e basta, Brad. Se vorrà dirtelo lo farà lui più avanti, altrimenti credo dovrai farti bastare questo.»

«Ma è successo qualcosa?»

«Non andavamo più d'accordo» mentii, sperando di aver avuto successo. Mi guardò negli occhi ed io cercai di assumere un'espressione convincente; subito dopo se ne andò, lasciandomi da sola in un corridoio pieno di persone.

 

Infilai la chiave nella serratura e la girai; il portone si aprì come se mi stesse aspettando ed io entrai. La richiusi subito dopo dietro le mie spalle, buttai lo zaino lì accanto e mi sfilai gli scarponcini che, per quanto fossero belli, facevano urlare dal dolore i miei piedi. Salii le scale lentamente e mi diressi verso la mia camera.

Sentivo delle note provenire dall'interno di essa. Mi appoggiai alla porta senza fare rumore, per cercare di identificare la canzone. Un re minore, seguito da un mi minore, poi mi, fa, sol, mi minore e di nuovo. La melodia era rilassante, ma non l'avevo mai sentita. Premetti l'orecchio contro il legno finché sentii anche dei versi: «Don't let this go to your head, but you're the best I've ever had.»

Aprii la porta mentre stava cantando le ultime due parole e gli sorrisi. «Bella canzone» commentai, «è nuova?»

Si schiarì la voce ed appoggiò per terra la sua chitarra, che non avevo idea di come fosse arrivata in casa mia. «Sì» rispose infine, «stamattina mi annoiavo, quindi ho iniziato a buttare giù qualche nota e poi qualche parola.»

«Direi che la noia porta buone cose» osservai. «Mi piace.»

Le sue labbra si curvarono in un sorriso che avrebbe fatto invidia alle stelle. Erano quei piccoli e quasi insignificanti gesti che mi facevano ripensare ai sentimenti che provavo per lui. Non sentivo le farfalle nello stomaco quando mi baciava, ma decine di brividi mi percorrevano la schiena quando le sue dita mi sfioravano; sarei potuta annegare nei suoi occhi, ma quando mi guardava con quell'espressione quasi famelica, prima di fondere il suo corpo col mio, mi dicevo che tra noi non c'era nessun sentimento se non l'attrazione fisica. Perché ero sicura che quella ci fosse, mentre non riuscivo a capire le altre emozioni che mi provocava.

«Com'è andata a scuola?» domandò, distogliendomi dai pensieri. Lo ringraziai mentalmente per questo, perché odiavo perdermici dentro. Per me, spesso e volentieri, i pensieri erano nemici. Non volevo riflettere, perché ciò significava capire ciò che provavo ed io avevo paura di saperlo.

«Normale» risposi, «non vedo l'ora che finisca.»

«Quanto manca?»

Feci un paio di conti nella mia testa prima di rispondere. «Nove giorni.»

Si alzò dal pavimento sul quale era seduto e mi abbracciò. «Allora puoi farcela.»

Ridacchiai divertita. «Speriamo!»

«Lo hai visto?»

«Sì, ma non ci siamo parlati. Non ci siamo nemmeno guardati in faccia.»

«Mi dispia...»

«Non sembrava così, ieri sera» osservai.

Chinò il capo. «Mi dispiace che vi siate lasciati, ma su noi due» fece una pausa per guardarmi con un'espressione maliziosa sul viso, «beh, non posso che essere contento.»

«A proposito di noi due» iniziai incerta. «Non pensi che dovremmo parlarne?»

«Perché parlarne, se abbiamo un letto proprio qui di fianco per ripetere quello che è successo ieri?» propose con aria maliziosa.

Non potei fare a meno di ridere, ma subito dopo obbligai me stessa a concentrarmi su quello che Heather aveva suggerito di fare. «Sono seria.»

«Anche io, tesoro, non sai quanto.»

Scossi la testa, rassegnata. Cosa potevo aspettarmi da un diciannovenne, per di più ricco e famoso? Uscii dalla stanza e scesi le scale, dirigendomi in cucina senza parlare. Un senso di umiliazione si impadroniva lentamente di me: ero stata così stupida! Come avevo potuto pensare che Justin Bieber fosse interessato a me? La sua intenzione era stata portarmi a letto fin da subito e io ero stata un'idiota a non averlo capito subito.

«Aspetta!» gridò. Subito dopo lo sentii scendere rumorosamente le scale, finché mi raggiunse in cucina. Lo fulminai con lo sguardo, aspettando che dicesse qualcosa. «Vuoi parlare? Allora eccomi, sono qui. Parliamone.»

«Non ho più niente di cui parlare.»

Sospirò a lungo. «Faccio sempre qualcosa di sbagliato, non è vero?»

«Esatto.»

«Ma questa volta non posso farmi perdonare baciandoti, giusto?»

«Affermativo.»

«Allora cosa devo fare?» domandò serio.

«Voglio sapere cosa significa quello che abbiamo fatto.»

Mi guardò confuso, poi fece un passo indietro e aprì le braccia. «Cosa vuoi che ti dica? È stata una scopata, Audrey! È questo quello che odio di voi ragazze: date troppa importanza alle cose. Un bacio è un bacio, un sorriso è un sorriso, e cazzo, una scopata è una scopata! Cosa vuoi che significhi? Non ti sposerò perché l'abbiamo fatto!»

«Volevo solo sapere se per te significasse qualcosa di più.»

«No.»

«Bene, perché anche per me è così.»

Sorrise; quando i nostri occhi si incrociarono, ad entrambi fu chiaro cosa volevamo. «Senti, che ne dici di essere amici...»

«Che scopano» conclusi, avvicinandomi a lui. «Può andare.»

«Inauguriamo subito questa nuova condizione?» domandò; senza aspettare risposta cominciò a baciarmi il collo, stringendomi a sé. Poco dopo, eravamo già parte l'uno dell'altra ed ero sicura che la sensazione che provavo fosse felicità.




















"be my date this christmas eve"
Ciao amici, buon inizio vacanze e buona vigilia della vigilia, o buona vigilia, o buon Natale, a seconda di quando state leggendo questo spazio.
Sono in ritardo e mi scuso, ma è stata una settimana un po' così e ho iniziato a scrivere questo capitolo solo ieri sera e ho appena finito. 
Inizio ringraziandovi un milione di volte perché per la prima volta in questa fan fiction un capitolo ha raggiunto le sei recensioni e io sono felicissima davvero! In più, ha superato le 40 seguite e le 30 preferite, quindi non so davvero come ringraziarvi, siete fantastiche e tra poco mi commuovo.
Oggi è uscito anche Journals finalmente, voi che ne pensate? Io lo adoro, mi piace tantissimo, Justin è cresciuto un sacco e io piango perché voglio che smetta di farlo, ahhhh.
Cooooomunque. Spero che questo capitolo vi piaccia; vi prego di lasciarmi una recensione per farmelo sapere.
Non so più che dire oltre che vi ringrazio immensamente ancora una volta e vi auguro un buon Natale.
Vi amo,

Andrea :)

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Capitolo 11
*** do you like him? ***


(cap 10) do you like him?

 

Mi svegliai e con la mano sinistra tastai il materasso per assicurarmi che Justin ci fosse ancora, senza aprire gli occhi. Quando mi accorsi di essere da sola, mi alzai e mi infilai la maglietta a righe verticali bianche e nere del biondo e i miei slip, poi scesi lentamente le scale. Dalla cucina proveniva un idilliaco profumo di bacon e mi sentii ben felice di camminare verso esso, curiosa di sapere cosa stesse producendo Justin.

«Buonasera» salutai, entrando nella stanza.

Si girò, per poi sorridermi. «Buonasera a te, Audrey.» Dopodiché tornò a concentrarsi sui fornelli ed io mi sedetti sul bancone di marmo color carbone, osservandolo al lavoro: indossava solo un paio di boxer neri che gli mettevano in risalto il sedere e la schiena era leggermente lucida per via del sudore. L'indiano tatuato sulla sua spalla spiccava, così come l'immagine di Gesù e le mani sul polpaccio. Feci una smorfia di disgusto guardando questi ultimi, dal momento che non mi piacevano e, anche se li avessi apprezzati, mai e poi mai mi sarei tatuata due immagini del genere.

«Stavi dormendo, quindi ho pensato di cucinare qualcosa» disse, rompendo un uovo e poi versandolo dentro una padella. «Spero non ti dispiaccia.» Versò il formaggio già tagliato nella stessa, lo distribuì ed infine si appoggiò al bancone sul quale ero seduta, proprio di fianco a me, e mi guardò.

«Non mi dispiace, però sono sicura di saper cucinare meglio di te.»

Ridacchiò divertito. «Ne dubito.»

«È vero!» ribattei. Pensai a cosa sapevo preparare, poi iniziai ad elencare. «So fare la pasta, le torte, i muffin, le frittelle, la pizza...»

«D'ora in poi, allora, ti chiamerò chef» mi interruppe.

Lo fulminai con lo sguardo, consapevole che mi stesse prendendo in giro. «Potrei dimostrartelo, sai?»

«Quando vuoi.» Ammiccò e tornò nuovamente davanti ai fornelli; girò l'omelette al formaggio e mescolò il bacon che cuoceva a fuoco basso in un altro tegame, quindi prese i funghi e li tagliò a fettine. Li versò dentro un'ulteriore padella con aglio ed olio. Dopodiché versò della farina in una ciotola, con un po' di sale e mezzo litro di latte e lavorò il composto fino a farlo diventare liscio; a parte sbatté tre uova e poi le aggiunse ad esso.

Trasferì l'omelette, ormai cotta, in un piatto e fece altrettanto col bacon, quindi mise dentro una padella un po' di burro e, una volta fuso, vi versò un po' del composto di farina, sale, latte ed uova. Lo distribuì velocemente su tutta la superficie; quando fu cotta, fece scivolare la crespella su un piatto e ne preparò altre.

«Metti 270 grammi di funghi nel frullatore, per favore», disse; obbedii ed, una volta ridotti in crema, li misi in una padella con del mascarpone e poco latte. Mentre si cuocevano tagliai un po' di formaggio come mi aveva chiesto il biondo ed infine mi sedetti nuovamente sul bancone; nel frattempo, lui ultimò la preparazione delle crespelle riempiendole con la crema ai funghi e con il formaggio.

«La mia maglietta ti dona, lo sai?»

Mi guardai, mordendomi il labbro. «Grazie. A te donano i boxer, invece.»

La sua risata riempì la stanza, ed io non potei fare a meno di sorridere. A parte la sua voce, quello era il mio suono preferito. Come era possibile che a qualcuno non piacesse? Sarebbe dovuta essere considerata una delle meraviglie del mondo. Era così melodiosa che sarei stata ad ascoltarla per tutta la vita, senza interruzione.

I miei pensieri furono spezzati dal rumore della porta d'ingresso che si chiudeva. Justin mi guardò confuso, poi i suoi occhi si spostarono sul suo corpo semi nudo.

«Tesoro, sono a casa!» la voce di mia madre arrivò sommessa.

Vidi negli occhi del biondo un lampo di terrore. Mi morsi il labbro nervosamente, cercando come fare per nasconderlo, almeno momentaneamente. Dal momento che le scale erano esattamente di fronte alla porta d'ingresso non potevo farlo tornare in camera mia senza farlo vedere.

«Come...» Mia madre si bloccò a metà frase, sulla soglia della cucina, ed io la guardai cercando di avere un'espressione disinvolta sul viso. I suoi occhi smeraldo, leggermente più chiari dei miei, si rivolsero a Justin, che sorrise imbarazzato.

«Salve, signora Thompson» la salutò, abbassando lo sguardo. Ancora una volta, non potei fare a meno di sorridere, questa volta per il tono di voce che aveva usato.

«Ciao. Tu sei...» Non terminò la frase, aspettando che lo facesse il biondo.

«Mamma, dimmi che scherzi. Sai benissimo chi è.»

Non parlò per qualche secondo, mentre rifletteva. «Justin Bieber!» esclamò, poi. «Allora eri seria, qualche settimana fa?»

«Io...» iniziò il ragazzo. «Io credo sia meglio che vada.»

«Ti accompagno» lo assecondai. Mentre correvamo di sopra, mia madre mi annunciò che avremmo parlato una volta rimaste sole. Chiusi la porta della mia camera alle mie spalle e, mentre lui mi guardava sconvolto, scoppiai a ridere.

«Cosa ridi?» domandò, con un'espressione disperata sul viso. «Dopo questo, non ci vedremo mai più, ti rendi conto?»

La mia risata si fece ancora più rumorosa. «Ho sedici anni e ho passato gli ultimi due con un ragazzo» gli ricordai. «Pensi che non sappia che faccio certe cose?»

«Non penso sia così facile» obiettò.

Mi avvicinai a lui e lo abbracciai. Avrei voluto baciarlo così tanto, sfiorare le sue labbra umide, fino a consumarle... Ed invece, non potevo. Avrei dovuto aspettare il prossimo momento intimo, perché al di fuori di esso non eravamo altro che amici. «Fidati di me» sussurrai. Con il mio orecchio sinistro, appoggiato contro il suo petto nudo, potevo sentire il suo cuore battere. Durante quel momento di silenzio, decisi che quello era il mio terzo suono preferito e che avrei fatto di tutto per ascoltarlo di nuovo.

Poco dopo costrinsi me stessa a staccarmi da lui e mi sfilai la maglietta; gliela porsi, per poi mettermi il pigiama mentre si rivestiva. Una volta pronto prese il suo iPhone e si avviò verso la porta della camera, per poi aprirla ed avviarsi a quella d'ingresso.

«Allora ci sentiamo» disse, con un tono leggermente distaccato.

Annuii. «Ci sentiamo» ripetei. Subito dopo mi rivolse un sorriso imbarazzato ed uscì. Dalla finestra nell'ingresso lo guardai attraversare la via, salire sulla sua Range Rover nera e partire velocemente, poi mi diressi verso il salotto, dove mia madre mi stava aspettando.

 

«Che bel ragazzo», commentò tranquilla. «Ma penso di essermi persa qualcosa.»

Mi sedetti su una delle poltrone di velluto nero di fronte al divano su cui era posizionata mia madre e iniziai a giocare con il lembo della mia canottiera. «Non dovevi tornare mercoledì?» le domandai, cercando di cambiare discorso.

«Abbiamo finito prima» rispose semplicemente. «E ringrazia che non sia tornato prima tuo padre, perché allora sì che saresti nei guai. Ora mi aspetto che mi racconti qualsiasi cosa.»

«Justin ed io siamo stati ad una festa venerdì e ho tradito Aaron, quindi ci siamo lasciati.»

Mi guardò sorpresa. «Cosa? Perché? Non avresti dovuto lasciarlo, prima di tradirlo? Non ti ho cresciuta così, Audrey. Non ti ho insegnato a tradire le persone.»

«Non l'ho fatto apposta, okay? Non so cosa avessi in testa, perché lo amavo...»

«Questo è decisamente il potere dei soldi.»

Mi alzai irritata. «Non dire una cosa del genere, perché non sai niente di noi due.»

«Stavo scherzando!» si giustificò. «Non pensavo fossi così permalosa.»

Le rivolsi un'occhiata gelida, poi mi sedetti di nuovo. «Non volevo tradirlo e, credimi, l'avrei lasciato se avessi saputo cosa sarebbe successo, per evitare che soffrisse.»

«E Justin ti piace?»

Già. Mi piaceva? Mi sembrava troppo presto per avere già una risposta, erano passate appena due settimane da quando ci eravamo conosciuti e solo tre giorni da quando eravamo finiti a letto insieme la prima volta. Eppure...

Eppure mi provocava delle sensazioni indescrivibili. Il calore del suo corpo era rilassante, le sue braccia il mio posto felice e i suoi baci erano perfetti. Sentire le sue labbra a contatto con il mio collo mi faceva dimenticare che esistesse qualcun altro oltre a noi due e quando eravamo l'uno parte dell'altra mi sentivo in pace con me stessa.

Guardai mia madre, indecisa se dire sì o no. Perché, nonostante le sensazioni positive, spesso lo avrei voluto picchiare perché non capiva nulla, perché prendeva tutto troppo alla leggera e perché sembrava gli importasse solamente del sesso. E poi si comportava da celebrità montata che non sapeva cosa volesse dire perdere, ed era una cosa che non sopportavo. Però poi sorrideva...

«No... credo» risposi, chiedendomi se avessi dato la risposta giusta o meno.

«Tesoro, il tuo “credo” dimostra che la risposta alla mia domanda è affermativa.»














"where would i be, if you didn't believe?"
Ciao, amici!
So bene di fare terribilmente schifo, perché non aggiorno da più di un mese, ma...
Tra le feste, poi gli ultimi avvenimenti riguardanti Justin (l'arresto, Chantel di merda, la cocaina in casa e bla bla bla) e l'uscita di Believe Movie (che, tra l'altro, ho visto due volte ed ho pianto i mari in entrambe) non mi sentivo più ispirata. 
Ma poi ho deciso che voi non vi meritate che io sparisca così e quindi mi sono obbligata ad aggiornare.
So che questo capitolo non è un granché, ma tra un po' inizieranno dei capitoli migliori (speriamo) e spero continuerete a seguire la mia fan fiction perché per me è molto importante.
Inoltre ci tengo a ringraziarvi perché è tra le preferite di 41 persone, tra le ricordate di 7 e tra le seguite di 40. Vi amo da morire, ve lo giuro, grazie, grazie, grazie!
Fatemi sapere cosa pensate del capitolo.
Un beso,

Andrea :)

PS. Ci tengo a precisare che non ho abbandonato Justin per gli avvenimenti che ho accennato prima, né ho intenzione di farlo. La mia non-ispirazione non è stata perché mi sono allontanata da lui, ma perché ero giù e non me la sentivo di scrivere. Io continuo ad amare quel deficiente più di qualsiasi cosa, sia chiaro!

 

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