Cavalleria e Onore: Gilbert Beilschmidt

di JhonSavor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I: Un cavaliere giunge sempre nel momento del bisogno ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II: Il secondo di tre fratelli ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III: Un cavaliere germanico in viaggio in terra straniera ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO IV: Incontri in terra di Francia ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO I: Un cavaliere giunge sempre nel momento del bisogno ***


 Cavalleria e Onore: Gilbert Beilschmidt

 
E vai col mambo ragazzi/e! Eccomi con una nuova fanfic: stavolta vi narrerò le avventure di uno dei personaggi più riusciti di tutto il manga di Hetalia: Gilbert! Non saremo nel periodo prussiano ma molto prima; vi presenterò le origini di questo fantastico, anzi magnifico (XD), personaggio che non potete neanche immaginare!
Questa appartiene alla stessa continuity delle mie altre fanfic, Hetalia: la storia eRicordi.
Buona lettura.
 
 
CAPITOLO I: Un cavaliere giunge sempre nel momento del bisogno

 
 
Città di Vienna, anno 1529, settembre.
 
 
Erano passati tre anni dalla disfatta ungherese presso Mohács.
 
Erano passati tre anni da quando gli ottomani avevano invaso le terre balcaniche, sottomettendo l’intera regione al loro volere.
 
Erano passati tre anni da quando il regno di Ungheria era caduto. Il suo re morto.
 
Terre saccheggiate, città e luoghi sacri violati dalla ferocia musulmana, che aveva smembrato la terra ungherese in due regioni separate e distinte.
Una che faceva capo a Zápolya*, che solo per fregiarsi del titolo di re era pronto a vendersi alla Porta*.
L’altra invece era guidata dall’arciduca d’Austria Ferdinando* che rivendicava la corona in quanto cognato del defunto re.
Elizabetha sapeva bene che fare un accordo con gli Asburgo era rischioso. Una famiglia potente e fiera e che aveva mire di predominio. Ma non ne aveva voluto tenere conto, e decise di legittimare la posizione di Ferdinando.
Molti criticarono questo suo gesto: in buona parte tra i suoi nobili, ma anche potenze straniere ebbero da ridire.
Ma che cosa avrebbe potuto fare? Che possibili varianti le erano state offerte? Nessuna.
Forse ai grandi d’Europa non preoccupava il pericolo turco poiché non li sfiorava da vicino, non era nelle loro priorità. Elizabetha non era intenzionata a metterlo in discussione, ognuno ha i suoi problemi e i suoi doveri: proprio per questo si trovava in quella città a prepararsi all’assedio.
Il suo dovere era di salvaguardare il popolo ungherese, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per evitare una dominazione turca.
Negli anni passati Ferdinando si era opposto a Zápolya in alcuni scontri, sconfiggendolo e facendolo ripiegare ma questi aveva chiesto l’aiuto del sultano turco Solimano*.
E ora il sultano stava arrivando con un immenso esercito, deciso a schiacciarli e a proseguire oltre la sua conquista.
Vienna era l’ultimo baluardo prima del contatto diretto con il centro dell’Europa. E sarebbe toccato a loro difenderlo.
La paura non li aveva certamente demoralizzati, anzi aveva messo ai cittadini e ai potenti le ali ai piedi: il massacro del presidio di Buda agli inizi di settembre aveva sortito il loro effetto.
La città sarebbe dovuta essere completamente riorganizzata per poter resistere all’invasione; fortunatamente il vecchio generale Niklas Graf Salm* si dimostrò l’uomo giusto al momento giusto.
Giunse in città con un buon numero di Lanzichenecchi e di moschettieri spagnoli e si adoperò per approntare le misure di difesa necessarie.
A lei era stato affidato il compito di supervisionare e guidare le operazioni per la costruzione di un baluardo interno, e di riferirgli costantemente come procedessero i lavori.
 
Alcuni giorni dopo l’arrivo del generale, giunse in città una colonna di uomini a cavallo.
Ungheria li vide perchè nella loro avanzata per le vie cittadine, evidentemente per giungere alla chiesa di Santo Stefano dove Salm aveva posto il suo quartier generale, passarono di fianco al suo cantiere.
Erano tedeschi, li riconobbe dalle loro voci che sentiva fuoriuscire tonanti dagli elmi: stavano cantando e la loro lingua non le era ignota…
 
-Purificami, o Signore… sarò più bianco della neve! -
 
Montavano degli enormi cavalli da guerra, ed erano interamente ricoperti da armature di ferro, bardati di lunghi mantelli.
 
-Pietà di me, o Dio, nel tuo amore… -
 
I loro elmi erano di una foggia strana, quadrata e con delle corna che partivano dai lati e si innalzavano, dando loro un aspetto particolarmente minaccioso…
 
-…nel tuo affetto cancella il mio peccato e lavami da ogni mia colpa…-
 
Sui loro scudi vi era rappresentata una croce nera in campo bianco…
 
-…purificami da ogni mio errore-
 
Elizabetha li aveva riconosciuti alla prima occhiata, non potevano essere che loro…


-Purificami, o Signore...-
 
La donna guerriero si mise in mezzo alla via bloccando il passo ai cavalieri.
Il cavaliere in testa alla colonna fece cenno di arrestare la marcia e con essa anche il canto si fermò.
L’uomo, che si distingueva in modo particolare per le corna estremamente elaborate del suo elmo, le si rivolse in tedesco con tono leggermente irritato.
-Perchè ci blocchi la strada, donna? Fatti da parte, dobbiamo proseguire il nostro cammino-
Elizabetha invece di rispondere mostrò l’anello dorato che portava alla mano destra, recante l’effige regale ungherese.
Il cavaliere rimase in silenzio osservando l’oggetto, riprendendo poi a parlare con tono calmo.
-Riconosco la vostra autorità, mia signora. Noi cavalieri dell’Ordo Teutonicus siamo giunti qui per aiutarvi nella lotta contro i musulmani. Sapreste indicarci la via per l’accampamento del generale Niklas Graf Salm?-
La donna appoggiando la mano sull’impugnatura della spada che teneva legata alla vita, gli rispose –Vi accompagnerò di persona… ditemi il vostro nome e sarà lieta anche di annunciarvi a lui-
Il cavaliere si levò l’elmo mostrando a Elizabetha un volto familiare. Molto famigliare.
Quei capelli e quegli occhi, non erano in tanti a averli.
L’uomo, di fronte allo stupore della donna, rispose con un sorrisetto ironico.
-Mi chiamo Gilbert von Edelstein-Beilschmidt, Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici dell’Ospedale di Santa Maria-
 
*Giovanni I d'Ungheria (Castello di Spiš, 2 febbraio1487Szászsebes, 22 luglio1540)
* Sublime Porta, era uno dei nomi con cui si identificava l’Impero Ottomano, a causa del portone che conduceva ai quartieri del Gran Visir, luogo d’accoglienza degli ambasciatori.
*Ferdinando I d'Asburgo (Alcalá de Henares, 10 marzo1503Vienna, 25 luglio1564)
*Solimano I detto "il Magnifico" (Trebisonda, 6 novembre1494Szigetvár, 6 settembre1566) fu sultanodell'Impero ottomano
* Generale mercenario settantenne tedesco che si distinse nella battaglia di Pavia del 1525
 
Beh? Che ne dite fatemi sapere!
Ciao.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO II: Il secondo di tre fratelli ***


Scusate il ritardo!!!
Però, caspita! Ha fatto un certo successo questa fanfic! Forse ho centrato il genere, voi che dite? :)
Comunque avete notato che Gilbert si presenta ad Elizabetha con due cognomi? È una caratteristica della mia versione storica di Hetalia, capirete una volta letto il capitolo… XD
 
 
CAPITOLO II: Il secondo di tre fratelli
 
 
C’era silenzio nella foresta.
Gilbert avanzava piano nel folto, stringendo l’arco da caccia nella mano sinistra.
Aveva lasciato il suo seguito al limitare, non volendo essere seguito. I momenti della ricerca, dello scovare le tracce, e dell’inseguimento della preda erano i migliori e i più importanti, o almeno lui la pensava così: l’adrenalina che cresce dentro di te all’idea di essere sulla pista giusta, lo scovare la bestia, ignara del tuo arrivo… era molto più che il colpirla e abbatterla con le frecce; li contava l’abilità, nient’altro.
 
I saggi sono piuttosto chiari riguardanti la formazione della famiglia dei Rappresentanti germanici.
In origine c’era un solo uomo che ne rappresentava volontà. Nessuno dei latini sapeva come si chiamasse, era un guerriero schivo e solitario che gli stessi barbari parevano venerare e temere.
Si dice che Caio Massimo* lo avesse incontrato una volta dai campi di battaglia: osservava lo scontro dall’alto di una collina, alto e massiccio ricoperto dalla pelle di un orso come fosse un mantello. Roma lo inseguì ma questi scomparve nel nulla. Niente poteva dimostrare che fosse lui, ma aveva scorto dei lunghi capelli e una folta barba bionda che i popoli al di là del Reno gli attribuivano. Inoltre i Rappresentanti sanno riconoscersi tra loro.
 
Gilbert amava cacciare, questa era di dominio pubblico.
Nei castelli imperiali era ormai abitudine nei pranzi e nella cene cibarsi delle particolari selvaggine che lui portava come trofei, e la fama della sua abilità andava di bocca in bocca.
Ma non era certo per essere conosciuto o apprezzato dai nobili che il ragazzo lo faceva.
Lui lo amava cacciare perchè gli piaceva. Lo metteva alla prova.
 
I latini lo chiamavano il Gotico. I germani si riferivano a lui, parlando sottovoce, con la parola Geheimnis*
Anche quando i popoli germani si acquartierarono nelle province dell’Impero, non si mostrò mai con assiduità ma faceva la sua comparsa solo quando accadevano particolari avvenimenti in terra di Germania. La sua era una figura avvolta nell’ombra, di cui le persone comuni non riuscivano a capirne la mentalità.
Le cose cambiarono quando comparve quella donna: Adelheid*, la figlia del Gotico.
I saggi non sanno di preciso quando nacque si sa solo che divenne la Rappresentante di alcuni dei più importanti popoli barbari che invasero le terre dell’Europa Occidentale.
 
Infine lo aveva trovato: il cervo stava brucando dell’erba in uno spiazzo libero da alberi.
Era un maschio dalle lunghe corna e probabilmente di 370 libbre*.
Gilbert si appostò facendo il minimo rumore possibile. Doveva prenderlo alla testa o al collo altrimenti gli sarebbe scappato: quelle bestie sanno essere più veloci dei cavalli*.
Afferrò una freccia dalla faretra e la incoccò.
Tese la corda dell’arco, tirando i muscoli del braccio il più possibile.
Chiuse l’occhio sinistro per prendere la mira.
Il muso del cervo si alzò.
Il ragazzo inspirò dell’aria fresca e scoccò la freccia.
 
Il popolo di Odoacre divenne l’esempio più celebre. Dopo la sua caduta, si ritirò in Germania come se avesse semplicemente svolto un ruolo temporaneo. Paritario fu il suo ruolo per i Burgundi e medesimo il suo distacco al crollo della loro discendenza. Successivamente toccò alle genti di Alboino* ricevere la sua rappresentanza e sembrò che questa fosse stata la sua ultima scelta, finchè Re Carlo non annesse la penisola alla giurisdizione franca. Caduto l’ennesimo regno di germanica stirpe, Adelheid tornò nelle sue terre come ogni volta, venendo accolta dal padre Geheimnis che la rese sua portavoce.
Fu allora che la storia ebbe modo di assistere ad una grande svolta. Re Carlo per mettere fine ad una guerra centenaria portò i suoi eserciti in Sassonia e in Frisia.
 
La freccia fendette l’aria, sibilando raggiunse il suo obbiettivo.
Il cervo fece alcuni passi poi stramazzò al suolo: Gilbert lo aveva centrato nel mezzo del cranio.
Ancora una volta il suo nome si era dimostrato azzeccato.
Il ragazzo gli si avvicinò e mise mano al suo corno, soffiandoci dentro per dare il segnale ai suoi.
 
Dopo numerosi scontri e sommosse i Franchi ebbero ragione delle genti germaniche e Adelheid divenne una sottoposta di Re Carlo,
Del padre invece non si seppe più niente; c’è chi dice che si sia ritirato a vivere gli ultimi anni della sua vita in solitudine dopo aver affidato tutte le responsabilità e poteri alla sua figlia prediletta. Geheimnis scomparve come molte volte aveva fatto in passato, con la differenza che nessuno lo avrebbe mai più rivisto
Erano avvenuti e seguirono anni importanti i cui eventi avrebbero forgiato i secoli a venire…
 
-Gran bella preda mio signore-
Gli scudieri al seguito del giovane caricarono su un carretto il corpo del cervo abbattuto e non la finivano di congratularsi.
-Davvero un bel colpo, padroncino- gli disse con molta reverenza il cocchiere, un uomo anziano e canuto.
Gilbert lasciò arco e frecce sul carretto e montò sul cavallo che gli venne portato –Figuriamoci, ho preso anche bestie più grosse in passato! È solo l’occasione di quest’oggi che mi ha obbligato ad accontentarmi. La prossima volta ne vedrete anche di più impressionanti!-
Gli uomini gli fecero un cenno entusiastico d’assenso e non appena il giovane nobile fu pronto a partire, si incamminarono verso casa.
 
Nell’anno del Signore 800, a Roma, nella notte di Natale, re Carlo venne nominato Imperatore dei Romani* e Franciscus ricevette l’investitura come fu di suo padre e del padre di suo padre  prima di lui*.
Dopo quella notte si potè dire con certezza che un nuovo sovrano era salito sul trono imperiale d’Occidente.
Ma qualcosa doveva essere ancora compiuto: l’impero aveva si un suo Rappresentante designato ma i popoli che lo componevano erano radicalmente divisi a metà.
Il regnum Langabardorum e il regnum Francorum da una parte e le terre tedesche dall’altra. Se l’Italia era tenuta per dovere fraterno* alla reverenza al nuovo Imperatore e a Franciscus, la stessa cosa non era detta per i Sassoni.
C’era bisogno di un legame più forte, di più saldo, che avrebbe evitato ogni possibile futura controversia.
In altre parole c’era bisogno… di un erede.
 
-Forza portatelo nelle cucine, fate in fretta!-
Gilbert non aspettò neanche di ricevere una risposta e si fiondò all’interno del palazzo.
I suoi passi rimbombavano nei lunghi corridoi di pietra, ma non più di quelli di tutti i servi, maestri delle cerimonie, cortigiani e guardie che in quello stesso momento stavano passando con una fretta tale che dovevano fare dei veri e propri salti mortali per salutarlo come conviene e al contempo non interrompere la propria marcia.
Erano tutti molto impegnati e il ragazzo non poteva dar loro torto.
Si diresse nelle sue stanze e vide che sul suo letto erano già stati preparati e ben distesi degli abiti da parata, di quelli delle grandi occasioni.
Gilbert li stava rimirando per bene, avendo fatto caso che erano fatti con una stoffa del suo colore preferito, quando la porta all’improvviso si aprì.
Voltandosi e riconosciuto chi aveva di fronte Gilbert potè solo dire –Fratello-
 
Si un erede. Un nuovo Legalizzatore per quello che era un rinnovato Impero.
E c’erano pure le condizioni per farlo: Franciscus avrebbe sposato Adelheid e in questo modo le due stirpi si sarebbero fuse in una sola.
Una cosa del genere era già stata tentata quasi quattro secoli prima ma si comprendeva che non era una cosa certo facile.
Un matrimonio di quello stampo sarebbe dovuto essere consenziente da entrambe le parti, sarebbe dovuto essere preceduto da un lungo periodo di fidanzamento ufficiale e da una assidua frequentazione… non poteva essere trattato come un qualsiasi tipo di matrimonio politico o di convenienza, che sono soliti essere compiuti anche ai giorni nostri*, proprio per il fatto che i due sposi non erano un normale uomo e una normale donna e si sarebbe trattato di un legame eterno e inscindibile… una cosa davvero seria*
Purtroppo re Carlo non ebbe la possibilità di veder realizzato questo suo progetto, e suo figlio Ludovico non se ne diede mai troppa preoccupazione.
Poi accadde ciò che accadde…
 
Di fronte a Gilbert fece al sua comparsa uomo elegantemente vestito e dai modi composti –Fatta buona caccia, fratello?-
Gilbert lo guardò duro ma rispose cortesemente –Ho preso un cervo di almeno trecento libbre… dovrebbe andare bene come portata principale-
L’uomo avanzò verso di lui. Era di poco più alto e i suoi capelli castani entravano in contrasto con la chioma argentea.
-Hai fatto un buon lavoro Gilbert… me ne compiaccio, ora però cambiati e tieniti pronto, il banchetto avrà inizio tra poco…-
Detto questo gli voltò le spalle e stava per andarsene quando la voce del fratello lo fermò –Roderich, aspetta-
 
Adelheid si sposò.
Una volta che la frattura imperiale si formalizzò a pieno, Adelheid si sposò con un nobile teutone, di cui non è stato riportato il nome. Da questa unione nacquero tre figli e si formò il casato degli Edelstein-Beilschmidt; fu la stesso Rappresentante a dar loro il nome.
Il primogenito lo chiamò Rodericus… Ricco di Gloria.
Il secondogenito lo chiamò Gilbertus… Famoso lanciatore di frecce.
Il terzogenito lo chiamò Lodovicus… Celebre guerriero
Dopo il terzo parto, la donna passò ancora parecchi anni insieme ai figli, ma lasciò definitivamente questa valle di lacrime quando Lodovicus era ancora un bambino.
Negli anni si sentiva sempre più stanca ma non aveva paura di morire; disse che era pronta ad andare incontro a Dio senza rimpianti perchè aveva compiuto il suo destino… aveva lasciato tre figli che avrebbero compiuto il dovere a cui erano tesi… tante furono le ipotesi su quale fosse il vero significato delle sue parole.
Circolano tuttora delle voci sostenenti che le ultime volontà di Adelheid siano state riferite ad una persona in particolare… ad uno dei suoi figli…
 
-Roderich, se mi è concesso esprimermi ti vorrei parlare di…-
-Avrai tutto il tempo dopo al banchetto, ora ho molto da fare-
Sembrava che la discussione dovesse terminare con quelle parole , quando Gilbert lo richiamò ancora una volta –Per me avete commesso un errore-
Roderich lo guardò stupito –Di che parli?-
-Parlo di quello che avete fatto tu e il nostro re* a Roma, prendere il titolo imperiale*… il Privilegium*… sento che è sbagliato… non dovremmo immischiarci in queste faccende e…-
-Se avessi tempo- Roderich si passò una mano sugli occhi –ti spiegherei tutte le motivazioni che abbiamo trovato per giustificare tale atto… è fine politica e tu non ne sei avvezzo…-
Gilbert non volle raccogliere la provocazione –Ma associare nostro fratello alla Rappresentanza! È troppo giovane, è troppo…-
A quel punto il moro lo guardò con occhi di ghiaccio –Ah, è questo il motivo-
Gilbert deglutì e volle come replicare ma suo fratello lo afferrò per il bavero e lo guardò dritto negli occhi -Vedi di stare al tuo posto Gilbert. Io sono il capofamiglia, prende le decisioni che più mi aggradano! Tu sei solo un cadetto* che non ha alcun diritto di immischiarsi!-
Lo mollò con uno strattone -Ora muoviti a darti una ripulita e a vestirti-
Si allontanò verso la porta e fece per uscire  quando si voltò verso l’albino –Il perchè di quello che faccio non è affar tuo, ma sappi che ho sempre un motivo preciso. Ed è sempre buono-
Una volta che Roderich uscì, Gilbert non potè che stringere i pugni dalla rabbia, tanto forte da renderne bianche le nocche.
 
Sei solo un cadetto… non hai alcun diritto di immischiarti… ho sempre un motivo preciso…
 
Doveva sfogarsi in un qualche modo, doveva farlo o sarebbe esploso.
Prese il pugnale che teneva alla cintola e con un urlo forsennato lo scagliò contro un arazzo appeso al muro, centrando il viso di un cavaliere in posa e armato di lancia.
Ansimando ripensò a quelle parole e sentì male non appena gli risuonarono nella mente
 
…Sei solo un cadetto.
 
 
 
* Non sapete chi è? Filate subito a leggere la fanfic Hetalia: la storia! XD
* Mistero in tedesco
* Figlia Nobile in tedesco
* Ragazzi qui si va a spanne (XD) dato che per calcolare la libbra si va addirittura con i decimali ancora oggi, figuriamoci in pieno Medio Evo dove il suo valore cambiava di regione in regione addirittura! Comunque dovrebbero essere circa 170 chili: un cervo europeo maschio adulto va dai 150 ai 250 chili anche se ci sono casi maggiori.
* Gilbert è il solito esagerato: in realtà un cavallo spinto alla corsa può raggiungere i 90 km/h mentre un cervo “solo” sui cinquanta…
* Longobardi
* Il titolo completo con cui il re fu incoronato è “Carlo Augusto, grande e pacifico Imperatore dei Romani
* Francis Bonnefoy, è figlio di primo letto di Impero Romano d’Occidente, e quindi nipote di Impero Romano.
* Feliciano e Lovino sono i figli di secondo letto di Impero Romano d’Occidente e quindi fratelli minori di Francia (eeeh vi sto tirando fuori una bella dinastia! XD).
* Ovviamente per giorni nostri si intende il periodo in cui Gilbert agisce in questa storia; la parte in corsivo è infatti una narrazione di un contemporaneo di questo giovane Prussia.
* E già, a quei tempi certe cose le si facevano, almeno in teoria, seriamente, non come quella burletta che è diventata oggi! XD
* Ottone I detto il Grande (23 novembre 912 - 7 maggio 973)
* Il 2 febbraio 962 Ottone si fece incoronare Imperatore dei Romani in San Pietro da Papa Giovanni XII, dando una svolta ai rapporti tra i regni di Germania e Italia. In questo capitolo ci troviamo poco dopo gli eventi dell’incoronazione, in quel periodo di tregua prima che la faida con Berengario II d’Ivrea si riaccendessero e scattassero i dissensi con il Papa stesso.
*Privilegium Othonis
* Roderich fa riferimento al fatto che essendo Gilbert il secondo figlio gli è inferiore come status sociale.
 
 
Okay devo darmi una regolata se no qui finisce che nessuno mi legge più la parte successiva alle note…
Va bè, ben ritrovati cari lettori e lettrici! Sono riuscito a concludere anche questo capitolo e spero che vi sia piaciuto XD
Ci siete rimasti, eh? È proprio così, Gilbert è un secondogenito e questo in età medievale aveva il suo significato, un significato che influenzerà non poco le scelte di Gilbert.
È una famiglia complicata la sua come avete letto, vedremo come essa si svilupperà con il passare degli anni… ma non voglio dirvi di più per il momento!
Eh, eh, eh, come sono malvagio! XD
 
Bon rispondiamo alle recensioni:
 
Sokew86: Grazie per i complimenti sulla cura storica! È una delle cose a cui tengo di più. Si beh, essendo un prologo non ho voluto essere troppo lungo anche perchè è questo il primo capitolo vero e proprio, che ne pensi?
 
Chaska: Se è una storia intricata che cercavi l’hai trovata! XD Ci saranno un sacco di personaggi, sia storici che hetaliani, capitoli integrativi, momenti seri, divertenti, drammatici, romantici ed epici perfino! Aspettati tante cose non tanto scontate XD
 
Cosmopolita: La premiata ditta JhonSavor non tradisce mai! E Ungheria avrà la sua fetta di partecipazione, non ti preoccupare! Grazie per seguire anche questa serie e tra poco potrai sentire ancora parlare del tuo amato inglese! A risentirci! XD
 
Historygirl93: Un’altra fan di Elizabetha! È di certo un personaggio che mi ha colpito molto e le farò fare un figurone, anche se ovviamente il personaggio principale sarà il nostro Gilbert! Grazie per la recensione è sempre un piacere! Ciao XD
 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO III: Un cavaliere germanico in viaggio in terra straniera ***


No davvero sono molto soddisfatto di come stanno andando le cose XD
 
Tanti recensori soddisfatti e lettori che mettono tra le salvate questa fic… molto soddisfacente!
Spero che vi piaccia anche questo capitolo, buona lettura!
 
(Ah! Stavo dimenticando: ho postato una fanfic su Feliciano “Passando per Venezia” ambientata nel 1796… vi andrebbe di leggerla? XD)
 
 
 
CAPITOLO III: Un cavaliere germanico in viaggio in terra straniera
 


Era una bella giornata nella terra dei Franchi.
Una giornata come tante oramai per Gilbert: erano passati circa due mesi da quando aveva lasciato la dimora di famiglia.
Aveva preso le sue vesti, una spada, arco e faretra.
Aveva montato Hector, il suo cavallo frisone ed era partito.
In cerca di se stesso.
 
“Fratello!”
Gilbert si vide venire incontro suo fratello minore Ludwing, bardato da un mantello di pelliccia sopra una lunga tunica verde con ricami argentei. Era talmente ingombrante su di lui, che d’aspetto pareva ancora un ragazzino di quindici anni, che Gilbert non potè che sorridergli in modo un po’ triste.
“Devo partire Lud, non posso farne a meno per trovare la mia strada”
“Ma tu… tu sai già chi sei! Tu sei mio fratello!”
“Ora non fare l’immaturo- gli disse mentre gli metteva le mani sulle spalle - Non posso fare il mantenuto sulle spalle della mia famiglia… devo anch’io fare la mia parte… giusto Roderich?”
Ludwing si voltò e vide che loro fratello maggiore li stava osservando a braccia conserte.
“Stai prendendo una decisione giusta Gilbert. Dovrai compiere grandi gesta affinchè tu possa rendere onore a te stesso e a noi. Ma penso che tu possa farcela, in fondo sei sangue del nostro sangue”
Gilbert guardò suo fratello negli occhi: bene o male riusciva sempre a mettere in mezzo se stesso anche nelle faccende che non lo riguardavano.
Ma doveva rendergliene merito: Roderich non era un sprovveduto ne tanto meno un debole.
Anche se non ricopriva più il ruolo di egemonia che aveva fino a qualche anno prima*, l’Impero era ancora l’altra grande colonna del mondo*.
Roderich non possedeva un titolo effimero: anche se condiviso con suo fratello minore, era ancora lui il Rappresentante dell’Impero Romano*.
“Non temere, farò il mio dovere”
 
Dovete sapere, o voi che state leggendo queste parole, che il caso del giovane Gilbert non era isolato o particolarmente curioso.
Era cosa comune: i giovani rampolli di famiglie nobili o di medio retaggio, non avevano la possibilità di ereditare le terre del proprio casato in quanto i beni, secondo la tradizione, sarebbero stati amministrati dal primogenito una volta venuto meno il capo famiglia.
Per i secondogeniti e i bastardi c’erano appena due vie: quella del chiostro o della spada.
La vita sacerdotale o il convento erano scelti per una sincera chiamata oppure come una conseguenza di un interesse relativo alla cultura, ma non erano le sole componenti, né tanto meno le uniche motivazioni.
L’altra strada era più difficile.
Il monastero, lo status di servi del Signore concedeva una protezione ricercata in un mondo che non era per tutti. Avrebbero pregato per gli altri, mentre quest’ultimi avrebbero combattuto e compiuto i lavori manuali. Come la società predisponeva per l’ordine del mondo cristiano e per il suo equilibro*.
Ma la spada era un’altra cosa.
I figli cadetti e i quelli illegittimi, partivano per trovare realizzazione presso nobili signori che li assoldavano come vassalli o gendarmi, dando loro una nuova vita e occasione di potersi imporre, di poter compiere il debutto nel ceto dei cavalieri.
I nuovi padroni si accollavano il loro vitto e alloggio e in caso di guerra dovevano vestirli di tutto punto.
Era uno scambio equo in fondo: l’avere un gran numero di uomini al proprio seguito pronti ad imbracciare le armi per un nobile era fonte di prestigio e potere.
Ma nessuna delle due era fattibile per Gilbert.
Non era detto che fosse sempre così facile o immediato il processo di assunzione presso gli ambiziosi signorotti di campagna, oppure presso i grandi nobili.
I raminghi non erano pochi, e le campagne dei regni cristiani pullulavano di tali personaggi senza metà e senza destino.
Gilbert si trovava a percorrere la loro medesima strada.
Benchè non si fosse ancora manifestato con chiarezza, il suo retaggio era inequivocabilmente quello di un proto-regnum*, e un giorno, chissà quando, avrebbe dovuto compiere il suo dovere.
Un proto-regnum per tal motivo non poteva prendere voti, per il legame che essi comportano*.
Inoltre essendo membro di una delle famiglie più nobili d’Europa non avrebbe potuto diventare vassallo di un uomo di ceto inferiore. Non glielo avrebbero permesso.
Gilbert non era certo neanche lui di cosa gli avrebbe potuto trasmettere quel viaggio. Era un uomo devoto ma il chiostro non lo aveva mai attratto. Amava tirar di spada ma non era per nulla intenzionato ad andare a combattere solo perchè qualcuno, e per motivi tal volta meschini, glielo avesse imposto.
Sentiva che avrebbe dovuto forgiarsela da solo la propria strada; quel viaggio per il momento gli aveva aperto gli occhi su molte cose.
La vita del popolo, le difficoltà del viver quotidiano, privato di tutti quei conforti che la sua precedente condotta gli assicurava. Il dormire all’addiaccio era stata una delle più significative.
Ogni tanto aveva trovato ospitalità presso qualche chiesa e per il cibo… era pur sempre il miglior arciere delle terre di Germania: presentarsi sull’uscio di un’abitazione con dell’ottima selvaggina in mano apriva anche le porte più ostiche.
 
Era comunque una bella giornata e Gilbert cavalcava tranquillo con aria quasi svogliata per le stradine che attraversavano le smisurate campagne coltivate franche.
Hector procedeva lento, con un andazzo quasi ciondolante, risentendo evidentemente anche lui di quell’aria apatica.
In quel momento un vento leggero gli accarezzò le membra e rinvigorito alzò lo sguardo ad osservare il cielo. Era ricolmo di bianche nuvole e quasi gli venne voglia di sdraiarsi da qualche parte e mettersi a guardarle.
In mezzo a quel gregge bianco vide che una più grigia si ergeva in verticale e si domandò che fosse.
Abbassò allora gli occhi e scoprì che proveniva dal basso, da dietro una collinetta per essere precisi.
Un colpo di tallone spronò il cavallo al trotto e in pochi istanti fu sopra la collina.
La lunga colonna di fumo proveniva dal fumaiolo di un locanda.
Una locanda! Lì, proprio lì, in mezzo a quel nulla di frumento!
Dalla sua posizione Gilbert potè vedere che interi filari di viti si estendevano a perdita d’occhio.
“Sono pronto a scommettere cinque denari che mi trovo nella terra della Champagne”
Era fortemente possibile dato che proveniva da Est e aveva di per certo attraversato il territorio della Lorena.
A quel pensiero l’albino sentì la gola farsi secca all’istante e un desiderio impellente di un ricco boccale di fresco vino rosso* gli iniziò a martellare il cervello.
Diede un’altra tallonata ai fianchi di Hector, stavolta più forte tanto che il cavallo nitrì e dondolò la testa: aveva capito che il padrone aveva fretta e che doveva correre il più in veloce possibile.
A pochi passi dalla meta si cacciò sopra la testa il cappuccio del mantello per coprirsi bene il volto: non tutti apprezzavano il colore dei suoi capelli e il suo sguardo carismatico… e non aveva voglia di mettersi a ciarlare con il bifolco di turno per tranquillizzarlo.
Raggiunta la locanda, non ebbe modo di smontare che subito un uomo vestito da stalliere gli venne incontro e gli si rivolse con fare gentile e mostrando un sorriso allegro.
Ecco una cosa che non aveva previsto, si disse il giovane peregrino: lui non sapeva la lingua del posto.
Vedendo che non gli rispondeva l’uomo si tolse il cappellaccio e passandosi una mano sulla nuca continuò a parlare sempre con aria ossequiosa. E lui ovviamente non capì un accidente.
-Quid vis?- gli domandò a quel punto
L’uomo lo guardò con cipiglio sorpreso e Gilbert si diede dello stupido “Ma figuriamoci se questo qua sa il latino…”
Lo vide afferrargli le briglie del cavallo per poi indicargli con ripetuti gesti della mano una casupola vicino alla locanda.
Gilbert scostò lo sguardo e vide che al suo interno c’erano un paio di altri cavalli e una grande quantità di fieno: era una stalla.
A quel punto riportò gli occhi sull’uomo. Si rese contò che evidentemente il fatto che fosse vestito come uno stalliere forse faceva di lui davvero uno stalliere, per di più era molto probabile che fosse lo stalliere della suddetta locanda che si stava offrendo di portare Hector nella stalla per farlo riposare meglio e prendersi cura di lui*.
Alla fine smontò da cavallo e gli lanciò una moneta presa dal sacchetto che teneva legato alla cinta.
Lo stalliere guardò prima la moneta come sconvolto, poi rialzò la testa con un sorriso talmente largo che pareva strabordare dal viso ma gli morì subito non appena vide gli occhi di ghiaccio di Gilbert e il rosso vermiglio che gli colorava le iridi.
Il cavaliere gli fece un inequivocabile gesto con la mano per fargli intendere di fare estrema attenzione con il suo cavallo o sarebbero stati guai.
Non seppe se era riuscito a farsi capire ma la faccia tesa e gli occhi spalancati dell’uomo lo rincuorarono un po’.
Se ne pentì subito però, pensando di essere stato troppo duro con quell’uomo, ma d’altro canto, trovarsi appiedato in mezzo ad un territorio sconosciuto era una cosa che era più che intenzionato ad evitare.
Entrò così nella locanda e vide che non c’era quasi nessuno, solo qualche avventore che chiacchierava ad un tavolo.
Le finestre erano aperte e la luce del sole illuminava l’unico largo stanzone, lasciando entrare una dolce e fresca brezza estiva.
Si mise a sedere presso uno dei tavoli liberi, stiracchiandosi in maniera composta per non dare nell’occhio: era da un bel pezzo che continuava a cavalcare e si sentiva tutte le membra intorpidite.
Dopo alcuni minuti un ragazzo sui diciotto anni si appressò al suo tavolo e incominciò a dirgli qualcosa in franco
Gilbert, capita l’antifona lo bloccò sul nascere: mimò il gesto del bere e poi gli disse con tono secco -Vinum-
Lo sguattero rimase un po’ incerto a quella reazione ma evidentemente capì al volo e fece per andarsene quando venne bloccato dalla voce aspra del nuovo venuto: Gilbert, sempre a gesti, gli spiegò che voleva anche qualcosa da mangiare.
Infine gli fece intendere di levarsi di torno.
Gilbert si appoggio al muro posto alle sue spalle e sospirò “Non vedo il momento di arrivare in una città in cui almeno qualcuno sappia capire ciò che dico”
Di sottecchi vide che il ragazzo stava parlottando in modo concitato con l’oste, un uomo ben piazzato, con un grosso naso arrossato e una barbetta incolta, che a sua volta fissava il punto in cui Gilbert era seduto. Cercava di intuire molto probabilmente se lo straniero di poche parole fosse uno che potesse creare problemi. Tra i due c’era anche una ragazza poco più grande del garzone che, al pari dell’uomo, era particolarmente impegnata a lanciargli occhiate dure e severe.
Il germanico non voleva avere problemi, ed era intenzionato a farlo capire una volta per tutte. Cacciò una mano dentro al suo borsello e ne trasse alcune monete che sbattè platealmente sul tavolo. Si mise a braccia conserte e osservò la reazione a quella sua azione: come volevasi dimostrare l’oste si mise a dare ordini secchi ai due giovani e con un tono tale da far piuttosto pensare che li stesse rimproverando per qualcosa.
Un sorrisino compiaciuto si dipinse sul volto di Gilbert, ora contento di potersi rilassare un po’.
 
Un odore di stufato di carne gli riaccese i sensi.
Gli venne portata una porzione abbondante e un’intera caraffa di vino, con tanto di ossequio dall’oste stesso, che sembrava non saper più che santo ringraziare per aver avuto un cliente che non gli avrebbe dato problemi.
Gilbert senza troppi complimenti si mise a mangiare innaffiando il tutto con qualche sorso di vino.
Non era neppure a metà del pasto che la porta della locanda si aprì con forza.
Il germanico pensò di essersi spaccato un dente, dato che quel fracasso lo aveva preso di sorpresa e si era ritrovato a dare un morso anche il cucchiaio di legno oltre che allo stufato.
Massaggiandosi la guancia dolorante si guardò intorno e vide che un gruppo di cinque uomini aveva fatto il suo ingresso, ridacchiando e berciando con forza.
Erano tutti armati e uno di loro aveva addirittura una cicatrice che gli solcava il viso dall’alto verso il basso, ma anche gli altri non apparivano meno minacciosi… insomma dei brutti ceffi, abituati ad attaccare briga.
Gilbert li conosceva bene i tipi come loro: nei reparti dell’esercito si incontra sempre qualcuno del genere, con la terribile abitudine di piantar grane, prendendosala con i popolani più per un esigenza personale che per obblighi di natura pratica.
Gentaglia da cui guardarsi le spalle.
Li vide andare verso la cucina e non appena si ritrovarono di fronte l’oste lo accolsero sghignazzando e dandogli alcune pacche sulle spalle.
Gli dissero qualcosa al quale l’omone non potè che replicare con un sorrisino tirato e nervoso. Al contempo uno dei ceffi si rivolse torvo agli altri tre soli clienti della locanda, che senza alcun indugio si alzarono e se la diedero a gambe levate.
E questo era un brutto segno.
Significa che non erano nuovi, che venivano li spesso.
Gilbert li osservò ma non vide nessun simbolo particolare o altro: non erano nobili, o signorotti spacconi, o se lo erano, non appartenevano di sicuro a casate madri, più probabilmente a rami collaterali…
Dei cadetti insomma, uomini come lui.
Dovevano essere di qualche clientela di una famiglia media, ma sicuramente abbastanza benestante da permettersi di mantenerli.
Terminato di parlare con il padrone si sedettero scomposti sulle panche ora vuote e si fecero portare anche loro da bere.
Gilbert non aveva potuto non notare le occhiate che quegli uomini lanciavano alla ragazza della cucina, che si era sporta giusto un paio di volte per passare le vivande al garzone, ma che evidentemente conoscevano bene.
Non accadde nient’altro. Una volta ricevuto il cibo si erano messi rumorosamente a mangiare e a bere, senza procurare altri disturbi.
Ma una presentimento gli diceva che qualcosa sarebbe successo. E lui ne sarebbe stato coinvolto. Lo sapeva, lo sentiva.
Si guardò intorno e vide che non c’era nessuno a parte loro… o meglio vedeva che in un angolo d’ombra un uomo incappucciato stava sonnecchiando appoggiato alla parete.
E intanto il vino scorreva a fiumi.
Gilbert approfittando della calma apparente, riprese a mangiare l’ormai freddo stufato. Forse si era preoccupato troppo. Forse si sarebbero semplicemente ubriacati e se ne sarebbero andati ciondolanti sulle loro gambe storte.
Quando un gridò di donna  e un rumore di qualcosa che va in frantumi si levò dalla cucina.
Il germanico alzò lo sguardo e si voltò verso il tavolo dei balordi. Ne contò quattro.
Rivolse allora lo sguardo all’apertura e con uno scatto si lanciò verso di essa ma il filo di una spada si frappose lungo la sua strada.
Uno degl’uomini la teneva in mano, quello con la cicatrice, facendo un cenno di diniego con il dito.
Un altro urlo ma stavolta era un vocione baritonale, di uomo.
-Adepto de mea via, immundum… statim!*-
Il tono con cui Gilbert aveva pronunciato quella minaccia, venne senz’altro inteso: i rimanenti tre si alzarono e misero mano all’elsa delle lame che portavano alla cinta.
Gilbert agì velocemente: estrasse la spada e colpì la lama tesa verso di lui, distanziandola. Vedendoseli arrivare addossò, arretrò, afferrò lo sgabello che stava di fianco al suo tavolo e lo scagliò contro il gruppetto che si schermì come potè, sulla difensiva.
In uno spazio così ristretto era molto preferibile una rissa che un duello con la spada.
L’uomo con la cicatrice gli si lanciò contro e Gilbert gli lanciò negli occhi il vino rimasto nella brocca, facendolo arretrare accecato.
Neanche stavolta riuscì a sfondare perchè i tre compari lo attaccarono tutti insieme con un taglio dall’alto che il cavaliere parò con un posa orizzontale della lama.
Ma era una finta: la spada non ricevette l’impatto ma semplicemente si lasciò cadere, mentre Gilbert si scostò con un passo veloce di lato.
Le spade avversarie proseguirono la loro corsa verso il suolo, facendo perdere l’equilibrio ai loro proprietari che si aspettavano invece una resistenza contro cui contrattaccare, scoprendo il fianco al nemico.
Gilbert si era portato sul lato sinistro dei suoi avversari e con tutta la forza che aveva diede una spallata micidiale al più vicino dei tre, che sbalzato andò a colpire gli altri due, finendo poi tutti e tre ad impattare contro il muro.
Finalmente liberò si diresse verso la cucina ma ancora una volta lo sfregiato si frappose, guardandolo con occhi irati. Stava per colpirlo, quando un suono spezzato riecheggiò.
Il balordo con la cicatrice crollò al suolo privo di sensi.
Dietro all’uomo comparve un ragazzo sui vent’anni, biondo e con una mantella leggera da viaggio sulle spalle… e ciò che restava di una caraffa nella mano sinistra.
-Quis estis?*- gli domandò Gilbert
Il giovane non gli rispose; lo sorpassò, andando a puntare la spada contro i tre che nel frattempo tentavano di rialzarsi.
Gilbert si diresse verso la cucina e trovò il corpo del quinto uomo disteso per terra, svenuto e con una leggere ferita alla testa, in mezzo alla porta.
Guardò dentro e vide il garzone, con un livido al volto, e la ragazza, visibilmente scossa e con il vestito in parte strappato, stavano controllando una ferita al braccio dell’oste, che era seduto per terra con il labbro spaccato.
Gilbert capì che anche se normalmente avrebbero saputo cosa fare, in quel momento erano troppo scossi per pensare lucidamente. Gilbert mosse qualche passo e non appena lo fece i tre sobbalzarono come gatti.
Con cautela si avvicinò ancora ma la donna si frappose arrivando addirittura ad afferrargli il braccio e stringerglielo.
Alzò lo sguardo su di lei e la sentì dire qualcosa in franco, che ovviamente non intese, ma dal tono secco capì che lo stava minacciando.
Gilbert avrebbe potuto svincolarsi facilmente da quella presa, la presa di una donna spaventata e sull’orlo del pianto, che non sapeva se considerare il nuovo venuto un nemico o meno.
-Visitare infirmos*- pronunciò il ragazzo
A quelle parole la ragazza sembrò come destarsi e, dopo aver guardato gli altri due, lasciò la presa.
Gilbert si inginocchiò verso l’uomo e gli esaminò la ferita, scostando la manica strappata e zuppa di sangue. Non era profonda, doveva averlo preso di striscio e poi colpito al viso con un pugno o con la guardia della spada.
Sul tavolo vide una altra caraffa, la prese e verso un poco del vino al suo interno sulla ferita, causando un leggero mugolio all’uomo. Si strappò poi un pezzo del mantello e gli fasciò stretto il braccio. Come primo intervento non poteva fare di più… non voleva peggiorare le cose con la cauterizzazione, che non aveva mai praticato prima.
Aiutò l’oste a tirarsi su per poi adagiarlo su uno sgabello, ricevendo in cambio una occhiata riconoscente.
A quel punto guardò gli altri due che non gli avevano levato gli occhi di dosso per un secondo, parlottando a bassa voce tra loro.
-In… infirmi?- domandò loro indicandoli
Risposero negando con il capo.
Vedendo però che la ragazza tremava e che la sua veste si stava sfilacciando dalle spalle, si slacciò il mantello e glielo mise addosso.
Per la prima volta poterono vederlo in faccia e Gilbert vide lo stupore crescere nei loro occhi.
Quando era più piccolo quegli sguardi lo mettevano a disagio come se i suoi capelli argentei e il colore dei suoi occhi potessero essere chissà quale cosa di eccezionale. Ormai ci aveva fatto l’abitudine ma non potè evitare di guardarli male per questo.
E i due abbassarono subito gli occhi.
-Frater! Venitis hic!*-
Sentendosi chiamare Gilbert si diresse nello stanzone spada in mano.
Vi trovò il guerriero misterioso di prima, seduto su un tavolo, lama sulla spalla, mentre teneva d’occhio i cinque balordi seduti per terra a gambe incrociate e con gli occhi bassi.
Le spade erano accatastate nell’angolo opposto, lontane, per non indurre tentativi di rivolta.
Appena entrò lo sfregiato lo guardò con odio ma il germanico non si impressionò per niente. Sentì però qualcuno afferrargli il braccio farsigli vicino: la ragazza lo aveva seguito e alla vista dei suoi aggressori si nascose dietro di lui.
-Frater, possetis mittere his viri in vinculis?*- disse con un ghigno ironico il biondo
Gilbert in risposta lo fissò e non mosse un muscolo.
L’uomo allora inarcò un sopracciglio come a chiedergli che aspettasse.
Solo allora parlò –E con cosa? Non ho nemmeno una corda con me-
A quella uscita il giovane ride sonoramente, per poi parlare in franco alla ragazza dietro di lui, che subito si mise all’ascolto.
Non appena il giovane smise di parlare, si staccò subito dall’albino e si diresse nuovamente in cucina
-Certo che avete avuto un bel coraggio messere- gli disse in latino il cavaliere franco
-Ho solo fatto la cosa giusta…- gli rispose Gilbert rinfoderando la spada alla cinta
-Certamente- continuò -fare la cosa giusta, affrontando quattro uomini allo stesso tempo, non è qualcosa da poco-
-Piuttosto perchè non siete intervenuto prima ad aiutarmi?-
-Non potevo agire immediatamente, altrimenti saremmo stati in due a doverci occupare di questi gaglioffi… e quella ragazza e i suoi famigliari avrebbero perso qualcosa di particolarmente prezioso-
Gilbert non potè dargli torto.
-Domando il vostro nome messere, che non parlate il franco ma che vi battete con il coraggio di un franco-
-Mi chiamo Gilbertus del casato degli Edelstein-Beilschmidt… ma la buona creanza prevede che ci si debba presentare prima di rivolgere domande personali a qualcuno-
-Noto però che non ci avete messo molto a rispondermi – gli disse con la solita risata – comunque avete ragione e me ne dolgo. Mi chiamo Ugo e provengo dalla vicina città di Payns e come voi, immagino, passavo per puro caso da queste parti-
La figlia dell’oste arrivò con delle fibbie di cuoi e delle corde da tiro e le porse a Gilbert.
-Gratias- le disse lui
La ragazza abbassò gli occhi e dopo un istante di esitazione scappò, letteralmente, in cucina.
Gilbert decise di non farci caso e si diresse verso i cinque che non si erano mossi dalle loro posizioni
-Ora ascoltatemi bene… mi capite innanzitutto?-
Nessuno disse niente.
-ALLORA?!-
I cinque sobbalzarono e uno di loro balbettò qualcosa che gli parve tanto un “si”.
-Tirate avanti le mani, e se provate a fare anche solo una mossa, ve ne farò pentire…-
Sembrò che l’intimidazione fosse servita a qualcosa, quando l’uomo che aveva cercato di violentare la ragazza scattò verso la porta, tentando una fuga verso l’esterno.
Ugo lo anticipò e con un pugno lo abbatté al suolo.
Come se non fosse successo niente si rimise al suo posto, seduto sul tavolo –Continuate pure messer Gilbertus… non credo che ci riproveranno. Anche perchè il prossimo colpo sarà di lama…-
 
Legati stretti ai polsi con le fibbie di cuoio, che a loro volta vennero legate con delle corde alle selle dei cavalli, i cinque uomini se ne stavano a capo chino fuori dalla locanda guardato a vista da Gilbert mentre Ugo finiva di parlare con l’oste e i suoi.
Quella giornata non l’avrebbe scordata molto facilmente.
Era d’altro canto questa una delle componenti del mondo al di fuori delle città, dei palazzi, della vita dei benestanti. Nelle campagne cose come quella accadevano spesso e in molti casi non c’era rimedio. Aveva sentito in passato che addirittura dei villaggi erano stati saccheggiati da dei briganti, da bande armate, composte da malvagi, da senzadio e da feccia di ogni sorta… ma vivere tutto ciò in prima persona era tutt’altra cosa.
C’erano troppo punti vuoti. Doveva saperne di più, non poteva tollerare che ciò avvenisse, che accadessero e rimanessero impuniti simili crimini.
C’era un sistema, no? C’erano delle regole, regole sacre, erano state imposte le paci di Dio*, no? La Chiesa condannava tali comportamenti, i nobili si arrogavano il diritto di difendere le proprie terre, il Re sopra tutti si poneva il compito di mantenere l’ordine e l’armonia.
E allora perchè?
Perchè succedeva? Cosa c’era che non andava?
-La città è a mezza giornata di cammino, se partiamo subito potremmo farcela prima di sera… almeno non ci chiuderanno le porte in faccia*!-
Gilbert tornò in sé –Uh?-
-Ho detto che dobbiamo avviarci, che vi prende messer Gilbertus?-
-Pensavo a cose mie…- disse prendendo qualcosa dalla cinta -sentite… potete dare questo all’oste? Sono per tutto il disturbo e i danni-
Ugo lo guardò stupito –Siete davvero onesto Gilbertus, e questo vi fa onore, ma non pensate che potreste averne bisogno in futuro? Da quel che ho capito siete molto lontano da casa…-
-Mi farò ospitare presso qualche monastero e manderò una lettera per farmi mandare qualcosa da casa… non sono un diseredato che credete?-
Il franco tirò un sospiro –D’accordo come volete ci penso io, ma voi mettete via quel sacchetto-
-Come?- stavolta era lui ad essere stupito
-Pagherò io-
-Non posso permetterlo, sono più che disposto a…-
-Queste sono le terre in cui sono nato, messer Gilbertus… ho l’obbligo io per primo di occuparmene, è un mio compito. Sarebbe un disonore se lo facessi fare ad uno straniero, anche se tanto onorevole come voi-
Gilbert non ebbe modo di rispondere, non poteva continuare altrimenti sarebbe stato un bel problema d’attrito.
Mise il piede sulla staffa e si rizzò su Hector che nitrì forte, segno che era pronto a ripartire.
Dopo un po’ anche Ugo salì sul suo destriero, e con uno strattone impose ai tre che erano dietro di lui di incamminarsi.
Anche Gilbert era pronto a fare lo stesso quando vide che di fianco a sé, si erano schierati tutti dall’oste allo stalliere e sotto il suo sguardo stupito, gli fecero un piccolo e goffo inchino in segno di ringraziamento.
Il cavaliere non potè evitare di mostrarsi sorpreso, anche se cercò di mascherarlo con un atteggiamento serio: non seppe dire perchè ma si sentiva parecchio a disagio.
Cercò di dare un colpo ai fianchi di Hector per allontanarsi il più velocemente possibile, ma gli occhi della ragazza lo inchiodarono sul posto.
Erano occhi scuri, molto profondi e carichi di riconoscenza. Fece un passò avanti fino ad arrivare proprio all’altezza della sella, senza staccargli gli occhi di dosso.
Afferrò un lembo del mantello e lo baciò con garbo, in segno di reverenza.
Gilbert rimase impietrito, e potè solo alzare il braccio per un saluto veloce e quasi formale tanto era rigido.
Il cavallo parti di lena andando all’inseguimento di quello di Ugo che si era fermato poco più avanti, trascinandosi dietro i restanti due prigionieri.
Era stato davvero strano, si ritrovò a pensare Gilbert, strano e inaspettato.
Davvero, non era per niente adatto a cose del genere!
 
 
 
 
 
* Nel 1075 Papa Gregorio VII emanò il Dictatus Papae e nel 1077 Enrico IV subì l’umiliazione di Canossa

* Il Papato e l’Impero erano i due poteri universali nel Medio Evo e colonne portanti della società occidentale

* No, non mi sono fatto di funghetti allucinogeni: citando solennemente wikipedia (ma potremmo benissimo prendere qualsiasi libro di storia e, fidatevi, ne ho) “La dizione Impero Romano fu usata nel 1034 per indicare le terre sotto Corrado II, e Sacro Impero nel 1157. L’uso del termine Imperatore Romano con riferimento ai monarchi del Nord Europa cominciò presto con Ottone II" e inoltre "il termine esatto Sacro Romano Impero della Nazione Germanica fu introdotto nel 1254".

* Intorno all’anno 1000 e per molto tempo la società era concepita e vissuta in tre semplici ordini: Oratores, bellatores e laboratoresovvero chi pregava per il mondo, chi combatteva per il mondo e, ovviamente, chi lavorava per sfamare e occuparsi del sostentamento del resto del mondo.

* Proto-regnum è un mio termine tecnico per identificare quelle Nazioni che non hanno ancora raggiunto il proprio ruolo di rappresentanza: alcuni popoli hanno raggiunto una propria identità o un proprio costrutto nazionale solo in alcuni tempi storici molto più recenti rispetto ad altri, o addirittura l’hanno persa o mai raggiunta. In teoria nel corso della storia potrebbero esserci stati anche molti più Rappresentanti di quelli che io vi presento in queste mie fic, ma è una cosa accessoria. Ehi non prendetemi troppo sul serio! Questa è una fiction storica basata su Hetalia, io adotto solo un metodo storico perchè lo preferisco e allora appaio un po’ serio, non vi preoccupate XD

* L’unica eccezione è Benedetto Gregorio – Stato Pontificio – Vaticano.

* Lo spumante famoso in tutto il mondo comparve solo nel XVII secolo, prima era solo prodotto dell’eccellente vino rosso di pari apprezzamento

* Signore e signori avete appena assistito ad una dimostrazione pratica delle grandi doti intuitive di Gilbert Beilschmidt… è una brutta cosa andare in un paese straniero e non sapere la lingua del posto vero? XD

* Togliti dalla mia strada, schifoso… ora!

* Chi siete?

* Visitare gli infermi (una delle opere di misericordia; Gilbert lo pronuncia ritenendo che di questo non possano ignorarne il significato)

* Fratello! Vieni qui!

* Fratello, potresti mettere questi uomini in ceppi?

* Le Paci di Dio erano delle imposizioni, dei richiami ecclesiastici per frenare la violenza dei conflitti regionali e delle lotte tra bande e azioni violente in genere che soprattutto nell’alto medioevo sembravano non guardare in faccia a nessuno. Più tardi vennero formalizzate con le Tregue di Dio che invece prevedevano dei veri e propri periodi cronologici in cui era severamente vietato, l’uso di armi, violenza e far la guerra, posti durante l’anno e coincidevano soprattutto con eventi del calendario liturgico, festività e giorni di mercato

* Nel Medioevo, le città erano organismi molto autonomi e quando calava la notte si istallavano i corpi di guardia e i portoni venivano chiusi e contro-serrati: in parole povere, chi fuori è fuori, chi dentro è dentro, e non si sgarrava. Tutto ciò per impedire che malintenzionati potessero entrare con il favore delle tenebre.

Ed eccoci alla fine del terzo capitolo della saga.
C’è stato un balzò temporale rispetto al capitolo precedente, solo di qualche annetto niente di particolare  (un seco- coff,coff -lo… XD), ma penso che ci abbiate fatto il callo oramai, ma non vi preoccupate eventi particolari verranno narrati attraverso relativi flash-back, anche perchè dobbiamo proseguire  lungo la storia principale, siamo appena al 1091 e dobbiamo ricongiungerci al prologo che è ambientato nel 1529, quindi fate un po’ voi XD
Bon in questo capitolo abbiamo visto Gilbert partire per il suo viaggio e la sua tappa è stato il nord della Francia e la prossima è Parigi!
Nel prossimo cap. incontreremo qualcuno molto caro al pubblico e vedremo cosa avrà da dire.
Spero comunque che vi sia piaciuto! E ora sotto con le recensioni:
 
Malice: thanks, è un piacere che ti sia piaciuta questa mia versione XD
 
Nihila Lilium: ugh, mi aspetto che mi bacchetti ancora nel caso succedesse di nuovo… però è colpa del computer! Mi scrive “o” quando volevo scrivere “ò”! XD Comunque sono contento che ti piaccia l’intreccio in se e i protagonisti, spero che mi seguirai ancora.
 
Cosmopolita: Eh si, cosma, Gilbert è il secondo figlio e questo fatto, come tanti altri che andrò a descrivere, hanno influito molto sulla sua vita.  Infatti gli intrecci famigliari e i legami tra le varie nazioni sono fondamentali ai fini della storia… e dato che tutte le mie fan di Hetalia sono collegate tra loro, è assai probabile che eventi dell’una coinvolgeranno anche altre… ma al massimo vi avvertirò! XD Ah se ti sono piaciute le varie dinastie reali, stai attenta perchè non è ancora finita!
Grazie per i complimenti e a risentirci! XD
 
NaruHina91: my friend! Visto che ho postato subito dopo che me l’hai chiesto? XD  Diciamo che con questo cap si da inizio alla saga che porterà Gilbert a essere quello che sarà cioè un cavaliere ma c’è molto di più di quello che il blasone dei Teutonici possa mostrare al momento… Gilbert anche in versione storica possiede senza dubbio un carattere sicuro e deciso, ha carattere il ragazzo si farà valere… certo sicuramente non lo sentirete vantarsi dei suoi cinque metri o quelle altre cazzate che di solito dice! XD Comunque ti fiaccio ancora i miei complimenti per la tua serie su Russia… ma guarda che adesso ti raggiungo Muwahahah! Grazie ancora, per i complimenti! XD
 
Historygirl93: eheheheh, non pensare mia cara history che sia finita qui vero? Ne accadranno di cose ai tre fratelli che non te le puoi immaginare soprattutto a Gilbert! (ma và? È il protagonista dopo tutto…) comunque sono contento che mi segui e che apprezzi la mia genial… ehm la mia bravu… oh insomma la mia capacità di scrivere ‘ste cose! XD E si Rappresentanti è un termine che mi è sembrato stra azzeccato! XD
 
 
 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO IV: Incontri in terra di Francia ***


Bon, bon, mi sono reso conto che effettivamente si va un po’ a rilento con gli eventi e che tutti voi vorreste vedere Gilbert che cavalca per le praterie innevate brandendo spada e lancia… e sarà così ve lo assicuro! Solo che ci devono anche essere dei capitoli di passaggio per comprendere il perchè il nostro magnifico protagonista fa quello che fa.
E poi ho avuto tremilacinquecentosette cose da fare anche con altre fic! Ci vuole pazienza XD.
Grazie per il vostro sostegno e arrivederci!
Risponderò a qualsiasi recensione!
 
 
 
CAPITOLO IV: Incontri in terra di Francia.
 
 
-Cosa mi stai dicendo Ugo? Che tutto quello che abbiamo fatto oggi è stato inutile?-
-Esattamente-
-Abbiamo salvato delle vite, questo non può essere inutile, no?-
-Certo. Se fosse altrimenti, non saremmo qui a bere sereni e tranquilli-
-E allora dove starebbe questa insoddisfazione? Spiegamelo, così potrò capire-
Ugo fece roteare il vino nel suo calice con lenti ma ritmici giri della mano –Quei balordi che abbiamo catturato…-
-Li abbiamo portati dal balivo*, qual è il problema?-
-Probabilmente tra qualche giorno potrebbero essere fuori-
-Cosa?- Gilbert osservò il suo amico con un misto di rabbia e stupore
-Quello che ho detto-
-M-ma, sono degli sporchi bastardi, stupratori… feccia! Non puoi veramente credere che la passeranno liscia!-
-Tentativo di stupro, Gilbert, non hanno commesso il reato, lo abbiamo impedito e questo ci ha tagliato il principale capo d’accusa a loro sfavore-
-Ma ci sono dei testimoni! L’oste, i suoi figli… noi!-
-Cosa credi che valga la testimonianza di un paio di contadini, a conti fatti? E come ti ho detto noi facciamo parte del caso: abbiamo partecipato ad una rissa, bene o male siamo sul loro stesso livello-
-Tu ti vuoi burlare di me! È così vero?-
Ugo lo guardò serio, e bevve un sorso di vino –Gilbertus calmati e ragiona… non farti trascinare da un’inutile frustrazione-
-Beh, scusa tanto se mi indigno per una cosa del genere… avranno una pena da scontare comunque! Il minimo…-
-Gilbertus, loro molto probabilmente sono dei vassalli minori di qualcuno, faranno parte del seguito di un nobile di campagna o qualcosa del genere; ciò che ci sarà da pagare lo pagherà lui, e la pena sarà commutata in moneta sonante… ecco come andrà a finire…-
Il franco gli mise una mano sulla spalla e, sospirando gli disse –È tardi oramai, è meglio andare a letto e riposare. Spero che la notte ti porti consiglio, amico mio-
 
 
Gilbert stava correndo a più non posso per il bosco, cercando ad ogni passo di non incespicare e andarsi a rompere l’osso del collo nella caduta, cosa alquanto difficile soprattutto se un cinghiale di proporzioni mastodontiche è alle tue calcagna, sbuffando e guaiendo come un forsennato.
La freccia lo aveva mancato.
Un arciere sa che non deve pensare ad altro mentre è intento a prendere la mira, ma il germanico non ci potè fare niente. Quella cosa gli bruciava ancora e non era un pensiero gradevole da avere in testa.
-Quid facimus?- gli gridò il biondo al suo fianco
-Nescio!- gli rispose
In lontananza Gilbert vide una grossa quercia ergersi dal terreno. Verdeggiante, gigantesca e soprattutto… solida.
-Aumentate la velocità e correte contro quell’albero laggiù!-
Il biondo che con un balzo era riuscito ad evitare una radice sporgente e in questo modo ad evitare di rompersi l’osso del collo, lo guardò male –Siete impazzito per caso?-
-Fate come vi dico! Correte fino a quasi sotto, poi spostatevi di lato all’ultimo secondo! Fidatevi, va bene?-
Il biondo udì lo sbuffare del cinghiale dietro di loro. Si convinse.
-D’accordo! Spero che solo che la vostra idea funzioni!-
I due corsero da perdere letteralmente il fiato dai polmoni e il cinghiale era sempre dietro di loro, li tallonava a meno di un passo. Se avessero anche solo inciampato o fossero scivolati, sarebbe stata la fine.
Ma non fu così.
Erano ormai arrivati alla quercia secolare, sempre più vicini.
-Ora!-
Gilbert e il biondo si lanciarono di lato all’ultimo secondo e il cinghiale andò dritto a schiantarsi contro l’albero con uno fragore rintonante.
Gilbert prese tre frecce dalla faretra e le scagliò contro il cinghiale. Non soddisfatto ne scagliò altre due e una terza dritta nell’occhio.
La bestia intontita dal colpo e indebolita dalle ferite, non si accasciò al suolo ansimando come avrebbe dovuto ma incominciò a voltarsi verso il germanico.
Gilbert dal canto suo, concedette un moto di ammirazione all’animale per la sua costanza, ma non ci mise più di un secondo a tirare indietro il braccio per prendere un’altra freccia; solo che al posto dell’asticella piumata sentì solo il vuoto nella faretra.
-Stercus!*-
Prima che qualcuno dei due potesse fare qualcosa, il biondo saltò in piedi sulla groppa del cinghiale e brandendo una mazza di ferro gli fracassò il cranio.
Con un tonfo sordo, la bestia cadde al suolo.
-A-ah! Ecco un modo per uscire da una brutta situazione! Vi siete spaventato quando questa bestiaccia vi si è rivolta contro, nevvero messer Gilbertus?-
L’albino si sedette sull’erba fresca, leggermente esausto.
-Oh, mai quanto voi quando lo avete mancato con il giavellotto… messer Franciscus-
 
-Un presente?-
-Si. Sua altezza è più che contento di ricevervi messer Gilbertus degli Edelstein-Beilschmidt. Ma conoscendo di fama la vostra bravura come cacciatore vorrebbe che gli portaste una preda da poter servire al banchetto in vostro onore come portata principale-
-D’accordo, nessun problema… pensate che basterà un cinghiale?-
-Penso che un cinghiale vada più che bene-
-Allora partirò subito-
-Aspettate… c’è qualcuno della corte che ha richiesto di venire con voi-
-Qualcuno della corte? E chi sarebbe costui, un cortigiano?-
-Lo scoprirete presto immagino…-
 
Beh, dovette ammettere che non si sarebbe aspettato che il Regnum Francorum in persona si scomodasse a venire con lui a caccia.
E non appena lo vide venirgli incontro a cavallo si sentì veramente in trepidazione.
Insomma, si disse, il casato degli Edelstein-Beilschmidt discendeva direttamente da Geheimnis, il Rappresentante più antico dei popoli germanici che le cronache ricordano, e lui stesso era il suo secondo nipote*, e ciò era più che un buon motivo per essere orgogliosi di se.
Ma lui era Franciscus Maximus*, il più alto in autoritas insieme ai Rappresentanti dell’Impero e del Papato!
Inoltre la sua dinastia gettava ombra su qualsiasi altra: il padre di suo nonno, Lucio, era Res Publica Romana e suo nonno era Caio Massimo che oggi tutti lo identificano con l’Impero stesso. I suoi genitori erano Quirino Massimo, figlio di Caio, e Grania, figlia di Cadogan, il Rappresentante dei popoli celti dell’Antica Gallia.
E come se questo non bastasse suo zio era Basilio Massimo, gemello di Quirino, Rappresentante dell’Impero di Bisanzio, e sua moglie era nessun’altra che Asparsia, Signora degli Elleni.
Persino i suoi fratellastri minori erano personaggi di spicco: Felix e Lovinus, Custodi della penisola italica, come lo erano stati i loro antenati, protetti del Papa e del Rappresentante del Patrimonium Petrii*, Benedictus Gregorius.
Chi poteva competere con un uomo del genere? Un uomo nella cui persona era riunito quasi tutto ciò che di più valoroso e nobile ci fosse nelle terre della cristianità, in tutto il mondo conosciuto. Chiunque si sentirebbe come schiacciato da un uomo di tal prestigio. Chiunque inizierebbe a provare un moto di ammirazione anche solo dopo averne solo sentito parlare…
 
-Che bestione nevvero Gilbertus?- si lasciò andare una risata divertita –Al banchetto farà la sua bella figura non c’è che dire
L’albino sbuffò, guardandolo roteare la mazza ferrata come fosse un giocattolo: rimase alquanto stranito dall’affabilità dell’uomo, non se l’aspettava.
In tutta onestà lo aveva immaginato un po’ diverso caratterialmente.
Non assomigliava per niente a suo fratello.
Aveva un atteggiamento completamente differente; più… conciliante?
-Bene ora dobbiamo solo recuperare le cavalcature e…- un ombra di smarrimento calò sul suo viso –Messer Gilbertus… vi ricordate vero dove abbiamo lasciato i cavalli?-
Ci volle meno di un secondo perchè Gilbert si rendesse conto di quella realtà –I cavalli! Quando il cinghiale ci ha caricato siamo scappati e loro per non farsi travolgere sono partiti al galoppo!-
Gilbert si coprì la faccia con un mano, avvilito: E adesso che combinavano?
Francis si mise una mano tra i capelli e con un leggero sospiro se ne uscì con un –Suvvia non è successa una tragedia, li andremo a cercare, sono sicuro che li ritroveremo! È ancora presto mi pare…-
-È quasi sera a dire il vero…-
Francis si cinse il mento con una mano e chiuse gli occhi.
-D’accordo allora… passeremo la notte qui. Il cinghiale andrà bene anche per domani, non vedo dove sia il problema-
-Qui? Volete dormire qui all’addiaccio?-
Francis lo guardò strano –Che vi prende Gilbertus? Non lo avete mai fatto?-
-Certo che si!- rispose prontamente l’albino –Ma voi…-
Il biondo gli sorrise un po’ spavaldo –Ragazzo mio, ho dormito all’aperto talmente tante di quelle volte, e non sempre in piacevoli situazioni, con la pioggia e in mezzo al fango, che non saprei neanche dirti un numero preciso-
Gilbert rimase in silenzio, dandosi mentalmente dell’idiota.
-Ora io andrò a cercare i cavalli, mentre voi preparerete il fuoco e la cena… sapete scuoiare un coniglio, no?-
-Si, certo-
-Perfetto! Ci vediamo tra poco allora-
Prima di immergersi nuovamente tra gli anfratti del bosco, Francis si voltò un ultima volta –Il nome del vostro cavallo qual è?-
-Hector-
-Ettore… dall’Iliade immagino-
-Si, l’ho trovato… azzeccato come nome per un destriero. Più giusto-
Il biondo annuì in silenzio, e sempre silenziosamente si avviò nella sua ricerca.
 
La notte era già quasi completamente scese e solo la vermiglia luce del fuoco riluceva nel bosco
Gilbert non ci aveva messo poi molto ad assolvere ai suoi doveri.
La sua preda era già li bell’e pronta ad arrostire sul fuoco che attizzava ogni tanto con uno spiedo.
E Francis non era ancora tornato.
Aveva tutto il tempo di riflettere.
Per qual motivo era alla fine giunto nella terra dei Franchi? Per qual motivo aveva iniziato il suo viaggio?
Perchè cercava risposte? Certo che si.
Perchè in fondo l’ignoto e l’idea dell’avventura e del pericolo lo attiravano? Sicuramente.
Perchè voleva dimostrare il proprio valore a tutti? Certo, si disse, avrebbe fatto risplendere il suo nome di luce propria, affianco di altri grandi eroi del passato. Si sarebbe mostrato degno agli occhi di Dio e del mondo.
C’era altro?
Forse.
Gilbert fece fatica ad ammetterlo a se stesso, ma in fondo era anche perchè si sentiva soffocare in quel mondo che era più dei suoi fratelli Roderich e Ludwig.
Sentiva che non era quello il suo posto. Sentiva che non era quella la sua missione.
Poi che non sapesse neanche lui bene quale fosse la sua vera missione, questo era un altro discorso.
Gilbert iniziò a pensare che stesse andando troppo sul filosofico e scacciò quei pensieri dalla mente. Anche perchè se non faceva attenzione rischiava di bruciarsi la cena!
All’improvviso dall’oscurità venne una voce che gli fece prendere un colpo.
-Eccoci qui, messer Gilbertus!-
L’albino si voltò e vide la bionda figura di Francis farsi avanti con i loro due cavalli tenuti per le briglie.
-Erano andati a cacciarsi in un piccolo spiazzo erboso a mangiare dell’erba. Figuratevi, non appena la paura gli è passata la prima cosa a cui hanno pensato è stata riempirsi la pancia!-
Il franco, legati i due cavalli ad un albero, si sedette accanto Gilbert scaldandosi le mani al fuoco.
-Ecco qui- gli disse porgendogli una porzione della lepre.
-Adoro la selvaggina! Anche se non guasterebbe un po’ di vino, ma tant’è!-
Il silenzio scese tra i due.
Solo che l’albino non sembrava trovarsi per niente a suo agio, al contrario del ben più anziano compagno.
Lo infastidiva quel silenzio. Doveva trovare qualcosa da dire.
Fu lo stesso Regno dei Franchi a trarlo d’impiccio.
-Qual è il motivo della tua visita?-
Il tono diretto stupì al quanto il germanico, abituatosi a sentirlo parlare solo in modo formale, per quanto cordiale.
-Il motivo mi chiedete?-
-Esattamente-
Lo sguardo del biondo si era fatto serio e tagliente, come se la giovialità non gli fosse mai appartenuta.
-Sono in cerca di risposte. Ho lasciato la mia casa per vedere il mondo… e capirlo-
Francis diede un morso alla coscia di lepre e borbottò –Capire la realtà non è cosa facile. La nostra stessa ragione è limitata-
-Ma espansa quanto basta per interrogarci sulle cose e trovare delle risposte appunto, anche se alle volte si ritrovano alla fine di un lungo viaggio-
Gilbert lo vide sorridere e scagliare lontano un osso –Bella risposta. Sei molto acuto Gilbertus. Sono sicuro che farai grandi cose in futuro-
Il franco si battè una mano sulla coscia
-Avanti- continuò -chiedimi quello che vuoi sapere. Perchè se il mio intuito non mi inganna, sono convinto che tu pensi che io possa darti alcune delle risposte alle tue domande-
Gilbert rifletté per un secondo.
-Ecco ci sono molte cose che vorrei domandarvi… ma ho paura di offendervi-
Francis sorrise –Hai la mia parola-
L’albino rimase comunque un po’ tentennante –Ecco… come è possibile che presso di voi ci siano casi di ingiustizie e di mercimonio?-
Francis rimase spiazzato da quella domanda e per alcuni secondi rimase a fissare il suo compagno di caccia nel più completo silenzio.
-Ecco, io non volevo dire che…-
-Stai tranquillo ho capito cosa mi vuoi chiedere. È solo che non mi aspettavo un quesito del genere-
Il franco attizzò il fuoco con lo spiedo usato per girare il coniglio –È una domanda che ha un che di teologico oserei dire… hai mai letto gli scritti di Sant’Agostino?-
Gilbert fece un cenno di assenso ma si affrettò a precisare –Io però non stavo parlando della natura dell’uomo. Volevo solo sapere come mai nelle terre del Re dei Franchi… presso di te…-
L’albino non sapeva come soppesare le parole.
Diamine gli sembrava che ogni cosa che volesse dire, sarebbe suonata offensiva alle orecchie del biondo erede di Roma.
-Ah! Ma allora vuoi disquisire di politica! Ho ragione o no?-
Gilbert optò per un assenso silenzioso.
Il Rappresentante si prese ancora qualche secondo prima di rispondere ma Gilbert potè vedere come sul suo viso si fosse fatto strada un sorrisetto che non aveva nulla di allegro.
-Il fatto è questo Gilbertus: sto cambiando. Non penso di essere mai stato così debole in vita mia. Tranne forse quando ero appena un ragazzino-
Gilbert sgranò gli occhi, incredulo –C-cosa?-
-Eppure è così, mio giovane amico. Non Rappresento più l’Impero. Non sono più chi ero. Il mio re, la cui ascesa io stesso ho legittimato, non ha la forza di imporsi al di là delle terre che gli appartengono per motivi dinastici. La terra dei Franchi è divisa e uomini cercano di sovvertire l’ordine in varie parti di quelli che un tempo erano i miei possedimenti-
Gilbert non riusciva a replicare alcunchè.
-Quindi si, se questo era il tuo segreto quesito, la tua domanda nascosta nell’ombra delle tue parole: sono debole, sono molto debole. Più debole di mio zio o di tuo fratello se vogliamo essere precisi-
Francis alzò lo sguardo al cielo che quella notte sembrava una trapunta di stelle.
-Ma il Buon Dio deve avere ancora qualcosa da farmi fare. Oppure deve avermi protetto in modo che qualcosa possa avvenire. Evidentemente per il popolo che rappresento deve esserci un futuro a cui sono ancora chiamato ad assistere-
Francis gli rivolse un sorriso che stavolta era carico di reale gioia –Sono ancora qui perchè ho un compito da portare avanti. Devo fare ancora il mio dovere, come ho fatto finora. E questo mi da speranza, non solo per me ma per tutti coloro che ho sotto di me, di cui ho responsabilità-
A Gilbert venne quasi da piangere a sentire quelle parole.
L’impressione che aveva avuto di lui all’inizio gli era stata confermata: lui non assomigliava per niente a suo fratello.
Nonostante quello che gli aveva appena detto, l’albino non avrebbe avuto remore a metterlo sullo stesso piano di Roderich in quanto ad autorità.
E a dirlo una persona migliore di lui, per quel che potesse contare.
-Io penso che vi attendano cose grandiose, messer Franciscus. Voi forse non porterete più l’aquila di Roma, dell’Impero. Ma siete comunque il maggiore degli eredi di Roma. Il vostro destino non potrebbe che essere dei più splendenti. Ne sono sicuro-
Francis guardò quel ragazzo venuto dall’est del Reno, con i suoi capelli color della neve e gli occhi come rubini. Un viaggiatore in cerca di risposte a domande difficili, ma sicuro di poterle trovare.
Non sapeva dove quel suo errare lo avrebbe portato. Ma prima o poi avrebbe trovato il suo posto nel mondo, ne aveva piena fede.
-Ti ringrazio per le tue parole Gilbertus. Ora sarà il caso di andare a dormire perchè domani dovremo portare quel bestione a sua altezza-
Dicendo quelle parole Francis si alzò per stiracchiarsi le membra prima di coricarsi.
Le parole del germanico lo colpirono:
-Dovrai scusarmi con il re ma domani partirò verso Ovest-
-Ovest?- domandò incuriosito il franco
-O Sud- continuò lui, stiracchiandosi a sua volta la schiena e le gambe –o Sud-est… insomma devo riprendere il mio cammino. Ho già avuto le risposte che cercavo qui-
-Davvero?-
-O forse mi è bastato incontrarti. Fatto sta che ora voglio vedere personalmente queste terre ricche e divise. Sento di avere ancora molto da vedere, da capire, da domandare-
Francis sospirò mettendosi le mani sui fianchi.
-Allora forse è meglio che ti dica una cosa prima che tu te ne vada-
Gilbert lo guardò incuriosito
-Questa è la prima volta che ci incontriamo, nevvero? Non sapevi nulla di me prima di incontrarmi, giusto?-
-Beh non proprio…- il tono della conversazione si era fatto nuovamente serio all’improvviso e il suo sesto senso gli diceva che qualcosa era in arrivo -so tutto quello che riguarda la tua famiglia, ma penso che questo valga per qualsiasi Protettore che viva in Europa, se non oltre-
-Tua madre non ti ha mai parlato di me, vero?-
A quella domanda l’albino pensò di essersi perso qualcosa
-Eh?-
-Lo immaginavo. Vedi se molti anni fa io e tua madre non avessimo preso… strade differenti, diciamo, ora il mondo sarebbe molto diverso e io e te forse non saremmo neanche qui-
-Che intendi dire?-
Francis non gli parve potesse essere più serio come in quel momento -Sarei potuto essere tuo padre Gilbertus. Era una possibilità che entrambi, e non solo noi, prendemmo in considerazione all’epoca-
Quella rivelazione gli mozzò il fiato.
Lui, Franciscus Maximus, sarebbe potuto essere suo padre? O meglio, lui un tempo era nelle attenzioni di sua madre?
Dire che era sconvolto sarebbe stato un felice e quanto mai azzeccato esempio di eufemismo.
-Anche dopo la fine dell’Impero che fu di Carlo… io e lei avremmo potuto costruire qualcosa. Certo era già stata sposata e aveva avuto tre figli (tu e i tuoi due fratelli per essere chiari) ma non mi sarebbe importato-
A Gilbert la testa iniziò a tamburellare -Che cosa intendi dire?-
-Che mi sarei preso cura di voi. Che saremmo potuti essere una famiglia. Ma lei non volle. Diceva che non ci sarebbe mai potuto essere un noi. Neanche… dopo. Diceva che vi avrei dovuto far crescere secondo i vostri cammini, senza la mia influenza su nessuno di voi tre-
-Quindi ti odiava?-
-Oh no. Quando mi parlava aveva sempre un tono dolce e uno sguardo sincero. Non c’erano conflitti tra noi. Semplicemente sentiva che non avrebbe funzionato…-
Gilbert era più che mai confuso –Non capisco…-
-Neanch’io a dire il vero. Tua madre era molto misteriosa e… complicata in certi argomenti. Sentiva che era così che le cose dovevano andare…-
Mille domande gli ronzavano in testa: Gilbert non sapeva da che parte cominciare.
Sentiva tante cose dentro di se ma quella sera solo una riusciva a sovrastare tutte le altre: benessere
-E ora? Tra di noi intendo-
Francis rimase in silenzio per alcuni istanti.
Gli afferrò una spalla e con una leggera risata gli rispose –Beh se anche solo per stanotte vuoi chiamarmi “padre” mi va più che bene!-
Altro pugno metaforico allo stomaco: quell’uomo era decisamente l’opposto di suo fratello.
La mano dalla spalla passò alla testa e con una leggera pressione la avvicinò alla sua fronte
-Per quanto possa valere, concordo con la tua decisione di voler vedere come è fatto il mondo. Di viaggiare per capire. Tua madre voleva che voi tre trovaste i vostri cammini da soli? Che i vostri destini si sarebbero fatti manifesti prima o poi? Se questo viaggio ti aiuterà ad andargli incontro, allora hai la mia benedizione e le mie preghiere-
Stavolta Gilbert pensò che avrebbe pianto davvero.
Quando aveva lasciato casa sua non avrebbe mai pensato che una cosa del genere sarebbe mai potuta accadere.
Era al si là di ogni umana immaginazione.
 
-Abbi cura di te, Gilbertus-
 
 
 
Anni dopo, a Clermont
 
“Se verrete, riceverete il giusto guiderdone nell'alto dei cieli; se non verrete, ricadrà su di voi il castigo di Dio”
Una volta che Urbano II smise di parlare, la folla che lo ascoltava gridò come un unico corpo con un'unica voce, alta e clamorosa.
“DIEU LI VOLT!”
 
 
 
 
 
* Il balivo era un funzionario a cui erano demandati numerosi impieghi e servizi in molti regni occidentali, soprattutto la Francia, ma in alcuni erano sostituiti da altri funzionari per i diversi sistemi e organismi (in Inghilterra c’erano gli sceriffi e i giudici erranti per esempio) e avevano compiti amministrativi, giudiziari e fiscali, anche se in molti casi la loro autorità dipendeva dai luoghi e dalle situazioni.
 
* Un modo per dire merda in latino.
 
* Per una migliore comprensione della famiglia di Gilbert, leggasi il capitolo secondo XD
 
* Il cognome Bonnefoy è una componente moderna del nome di Francis, non saprei dire se basso medievale o più recente, però penso che in quell’epoca esattamente come non esisteva ancora il concetto di “Francia”, Francis adottasse ancora il suo nome in latino che come è per l’appunto Franciscus (un praenomem preso però in un secondo momento… è una cosa lunga lo so io stesso XD) Maximus (il nomen della famiglia); facciamo i precisini: oggi il nome completo di Francia è Francis Maxime Bonnefoy.
 
* Antico nome dello Stato Pontificio

 

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